Lo spirito della disciplina della messa alla prova riconosce agli imputati la possibilità di procedere ad una "risocializzazione" e comunque di accedere ad procedimento di "rieducazione" in conformità al disposto dell'art. 27 Cost., comma 3,: ma il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l'imputato di accedere a tale procedura condizionato alla sola richiesta dell'imputato stesso ma prevede pur sempre l'esercizio di un potere valutativo del Giudice che deve inserirsi nel più ampio quadro della situazione personale dell'imputato nonchè della situazione processuale nella quale verrebbe ad operare l'istituto della sospensione (parziale) del processo.
Per l'ammissione (discrezionale) all'istituto de qua non può prescindersi dalla valutazione del tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale e non, invece, rivelatore di un sistema di vita, che faccia escludere un giudizio positivo sull'evoluzione della personalità dell'imputato verso modelli socialmente adeguati ecco che ben non si potrebbero ritenere sussistenti tali condizioni nel momento in cui il soggetto è contemporaneamente chiamato a rispondere anche di ben più gravi e connessi fatti-reato che ex se contrastano con quella prognosi positiva di risocializzazione che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
(ud. 12/03/2015) 08-04-2015, n. 14112
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Mario - Presidente -
Dott. TADDEI Margheri - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
Dott. ALMA M.M - rel. Consigliere -
Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
- A.L., nato a (OMISSIS);
- A.G., nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza emessa nel corso dell'udienza preliminare del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo in data 7/11/2014 nell'ambito del proc.pen. n. 24589/12 R.G.n.r. e n. 777/13 R.G.G.I.P.;
visti gli atti, l'ordinanza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. STABILE Carmine, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore degli imputati, Avv. MDM che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ordinanza emessa nel corso dell'udienza preliminare del 7/11/2014 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo nell'ambito del proc.pen. n. 24589/12 R.G.n.r. e n. 777/13 R.G.G.I.P. che vede imputati tra gli altri A.L. e A. G., il Giudice "respinta ogni altra domanda, eccezione o difesa" ammetteva i predetti (oltre altri imputati) al rito abbreviato allo stato degli atti.
Tra le richieste che il Giudice con l'ordinanza de qua respingeva vi era anche quella formulata dagli imputati A.L. e A. G. di sospensione del procedimento per messa alla prova degli imputati stessi in relazione ad alcuni dei reati a loro contestati.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore degli imputati, deducendo (ex art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento all'art. 464 quater c.p.p., comma 7) la violazione dell'art. 464 bis c.p.p. e ss., art. 168 bis c.p. e ss., art. 81 c.p., e art. 18 c.p.p.. Osserva la difesa dei ricorrenti che il Giudice per le indagini preliminari avrebbe errato nel momento in cui, in presenza di una richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova per alcuni dei reati contestati agli imputati (c.d.
"messa alla prova parziale"), l'ha respinta affermando che non si poneva un problema di ammissibilità di tale richiesta, ma di possibilità che la stessa potesse trovare accoglimento "atteso che essa non può accogliersi ex art. 18 c.p.p., comma 1, prima parte, nei casi come quelli in cui si procede in cui il giudice ritenga la riunione dei reati assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti" atteso che - ha proseguito il Giudice - la prova del reato associativo si fonda proprio su una serie di condotte autonomamente integranti il reato che, al di là della mera connessione per continuazione, si intrecciano fra loro e non consentono una valutazione separata.
Ciò secondo il difensore dei ricorrenti determinerebbe:
a) la violazione dell'art. 81 cpv. c.p., contestato dal Pubblico Ministero in tutti i capi di imputazione che precluderebbe di fatto all'imputato di poter beneficiare della disciplina della messa alla prova laddove la disciplina della continuazione non deve essere applicata in tutti i casi in cui possa arrecare una danno od un pregiudizio all'imputato;
b) la violazione dello spirito della disciplina della messa alla prova finalizzata alla risocializzazione dell'imputato;
c) la violazione dell'art. 18 c.p.p., lett. b), laddove la norma prevede la separazione dei processi nei casi di sospensione del procedimento;
d) la violazione dell'art. 18 c.p.p., lett. a), laddove la norma prevede che se per una o più imputazioni si può addivenire prontamente alla decisione si deve procedere alla separazione dei processi atteso che in nessun caso la necessità dell'accertamento dei fatti può prevalere sul principio di rieducazione del reo ex art. 27 Cost..
La decisione assunta dal Giudice per le indagini preliminari violerebbe quindi il principio del favor rei e, in ogni caso, dipendendo dalla scelta del Pubblico Ministero le modalità di esercizio dell'azione penale ciò determinerebbe una disparità di trattamento tra coloro per i quali il Pubblico Ministero decida di procedere separatamente per i vari reati (così consentendo, laddove sia possibile, agli stessi di coltivare la richiesta di messa alla prova) rispetto a coloro che come del caso di specie sono stati rinviati a giudizio per una serie di reati solo per alcuni dei quali sarebbe applicabile l'istituto de qua.
Motivi della decisione
In via del tutto preliminare deve essere evidenziato che l'ordinanza del Giudice per l'udienza preliminare emessa in data 7/11/2014 è provvedimento espressamente ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 464 quater c.p.p., comma 7.
Passando, quindi, all'esame del ricorso, deve essere ricordato che l'art. 464 bis c.p.p., comma 1, dispone testualmente che "nei casi previsti dall'art. 168 bis c.p., l'imputato può formulare richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova".
A sua volta l'art. 168 bis c.p., comma 1, indica i casi in cui è possibile accedere a tale procedura stabilendo testualmente: "Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonchè per i delitti indicati dall'art. 550 c.p.p., comma 2, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova".
Alla luce del quadro normativo di cui si è detto deve essere evidenziato che la problematica si pone laddove ci si trovi in presenza di procedimenti oggettivamente cumulativi nei quali risultano contestati all'imputato sia reati per i quali sarebbe possibile l'ammissione al beneficio sia altri per i quali ciò non sarebbe possibile.
E' infatti, di tutta evidenza, che in un caso come quello in esame, non potendosi procedere alla sospensione dell'intero procedimento l'unica soluzione processuale potenzialmente percorribile non potrebbe che essere quella della separazione dei processi ex art. 18 c.p.p..
In tal caso bisogna però necessariamente tenere in conto la regola generale di cui al disposto del comma 1 del citato art. 18 che stabilisce che la separazione dei processi è disposta "salvo che il Giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti".
Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame avendo il Giudice per l'udienza preliminare evidenziato che "la prova del reato associativo si fonda proprio su di una serie di condotte autonomamente integranti il reato (capi "g", "h" ed "I"), tra quelli per i quali sarebbe ammissibile la messa alla prova che, al di là della mera connessione per continuazione, si intrecciano fra loro e non consentono una valutazione separata".
Sotto quest'ultimo profilo l'ordinanza del G.U.P. è da ritenersi congruamente motivata in relazione all'espressione di un potere valutativo di carattere discrezionale nell'applicazione dell'art. 18 c.p.p., che certamente gli competeva.
La questione richiede però una valutazione più approfondita sotto il profilo della possibilità di procedere ad una messa alla prova "parziale" con conseguente separazione in un processo relativo ad una pluralità di reati in contestazione al medesimo imputato dei soli reati per i quali l'istituto sarebbe applicabile, con successiva sospensione del procedimento così "stralciato".
Va detto subito che non sono condivisibili le argomentazioni difensive secondo le quali l'ordinanza sarebbe viziata per il fatto che il Giudice ha sostanzialmente privilegiato l'esigenza del compiuto accertamento dei fatti (asseritamente non possibile qualora si fosse proceduto alla separazione dei reati per i quali era potenzialmente possibile la messa alla prova ed alla sospensione del procedimento con riguardo agli stessi), esigenza che trova a sua volta un fondamento costituzionale nella necessità di speditezza degli accertamenti giudiziari e nella parallela necessità di una corretta e compiuta formazione della prova che a loro volta si inseriscono nel più generale principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Non va dimenticato che seppure sia indubbio che lo spirito della disciplina della messa alla prova riconosce agli imputati la possibilità di procedere ad una "risocializzazione" e comunque di accedere ad procedimento di "rieducazione" in conformità al disposto dell'art. 27 Cost., comma 3, il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l'imputato di accedere a tale procedura condizionato alla sola richiesta dell'imputato stesso ma prevede pur sempre l'esercizio di un potere valutativo del Giudice che deve inserirsi nel più ampio quadro della situazione personale dell'imputato nonchè della situazione processuale nella quale verrebbe ad operare l'istituto della sospensione (parziale) del processo.
Infatti la concessione del beneficio della sospensione del processo con messa alla prova presuppone un giudizio prognostico positivo sulla rieducazione del soggetto interessato, per la cui formulazione non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale e non, invece, rivelatore di un sistema di vita, che faccia escludere un giudizio positivo sull'evoluzione della personalità dell'imputato verso modelli socialmente adeguati.
E, valga il vero, neppure si potrà sostenere, come fa la difesa dei ricorrenti che il giudice sarebbe incorso nella violazione dell'art. 18 c.p.p., per non avere provveduto alla separazione dei processi nonostante che si fosse in presenza di situazioni per le quali era possibile pervenire prontamente alla decisione per una o più imputazioni (lett. a) o nel caso in cui per una o più imputazioni è stata ordinata la sospensione del procedimento (lett. b).
In realtà non solo nel caso in esame non era ancora stata ordinata la sospensione del procedimento, ma entrambi i casi di cui all'art. 18, lett. a) e b), per determinare la separazione dei processi erano comunque sottoposti alla condizione principale che il Giudice non abbia ritenuto - come avvenuto - la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti. Infine, assolutamente inconferente ai fini dell'odierna decisione si presenta l'osservazione secondo la quale si verrebbe a creare una discriminazione della posizione degli imputati a seconda delle modalità con le quali il Pubblico Ministero decide di esercitare l'azione penale: nel senso che l'esercizio separato dell'azione penale per reati per i quali sarebbe possibile l'accesso alla procedura di cui al Titolo Quinto - bis del cod. proc. pen. rispetto ai reati per i quali ciò non sarebbe possibile aprirebbe la strada alla possibilità di sospensione del procedimento per i primi mentre ciò non sarebbe possibile in caso di esercizio "cumulativo" dell'azione penale per entrambe le specie di reati.
Fermo restando, infatti, che secondo la Carta Costituzionale il Pubblico Ministero è - e rimane - il dominus dell'azione penale, e che lo stesso Pubblico Ministero non può certo sapere all'atto dell'esercizio dell'azione penale se l'imputato in un momento successivo formulerà richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, va detto che la possibilità per l'imputato di accedere a detta procedura non dipende certo dalle modalità di esercizio dell'azione penale ma - come avviene in caso di esercizio dell'azione penale per reati di entrambe le fattispecie - da ben altri fattori legati alla natura dei fatti - reato oltre che dalle conseguenti esigenze di intersecazione probatoria.
Nel caso poi, in cui chi è imputato sia chiamato a rispondere allo stesso tempo e nello stesso procedimento di reati per i quali non sia possibile l'accesso all'istituto unitamente ad altri per i quali ciò sia invece possibile, appare stridente con la struttura del sistema e, diremmo, con gli stessi presupposti dell'istituto che possa avvenire una "parziale" risocializzazione del soggetto interessato.
Del resto e non certo a caso il Legislatore nella formulazione dell'art. 168 bis c.p., (introdotto dalla L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 3, comma 11), richiamato dall'art. 464 bis c.p.p., non ha fatto direttamente riferimento ai reati quanto piuttosto ai "procedimenti per reati..." così lasciando all'evidenza intendere una visione unitaria e complessiva della prospettiva di risocializzazione del soggetto che potrà realizzarsi attraverso la messa alla prova previa sospensione dell'intero "procedimento" ma solo quando ciò sia possibile in relazione a tutti i reati in contestazione.
Non è qui in gioco un problema di effetto deflattivo del procedimento che si verrebbe a realizzare attraverso la separazione di alcuni reati in caso di procedimento oggettivamente cumulativo, opzione peraltro esclusa dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte Suprema in caso di richiesta di c.d. patteggiamento parziale (da ultimo, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 41138 del 23/05/2013, Rv. 256929; v. però contra: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34915 del 13/07/2011, Rv. 250860) quanto piuttosto il fatto che - pur in presenza di un istituto per cui è previsto un diritto di "richiesta all'accesso" (che è cosa ben diversa dall'automatico "diritto di accesso") da parte dell'imputato - non appare pensabile che taluno possa essere possa essere "risocializzato" solo per alcuno dei fatti in contestazione e nel contempo continui a rispondere di ben più gravi connessi fatti-reato per i quali l'accesso all'istituto de qua non è consentito.
Se, come detto sopra, per l'ammissione (discrezionale) all'istituto de qua non può prescindersi dalla valutazione del tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale e non, invece, rivelatore di un sistema di vita, che faccia escludere un giudizio positivo sull'evoluzione della personalità dell'imputato verso modelli socialmente adeguati ecco che ben non si potrebbero ritenere sussistenti tali condizioni nel momento in cui il soggetto è contemporaneamente chiamato a rispondere anche di ben più gravi e connessi fatti-reato che ex se contrastano con quella prognosi positiva di risocializzazione che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto.
Ciò perchè l'esigenza di rieducazione del condannato così come indicata nell'art. 27 della Carta Costituzionale, comma 3, rappresenta un beneficio non solo per l'imputato ma per la collettività e l'essenza dell'istituto in esame non può certo ricollegarsi al solo fatto materiale di consentire all'imputato di vedere estinto il reato del quale è chiamato a rispondere, ma ha radici ben più profonde (e nobili), che tendono all'eradicazione completa delle tendenze di condotta antigiuridica del soggetto e che contrastano con l'idea di un individuo semi-risocializzato.
Naturalmente l'istituto de qua si colloca in una fase anteriore alla definizione del processo e nulla toglie che all'esito dello stesso, qualora ne ricorrano le condizioni di legge l'imputato potrà nell'eventuale fase esecutiva della sentenza definitoria della vicenda accedere al corrispondente istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale (L. n. 354 del 1975, ex art. 47) il cui esito positivo estinguerà comunque la pena ed ogni effetto penale della stessa.
Alla luce di quanto detto ed in combinato disposto con le ragioni (logiche e congruamente motivate) addotte dal Giudice per l'udienza preliminare nell'ordinanza impugnata, non ritiene l'odierno Collegio che ricorrano le condizione per l'annullamento dell'ordinanza stessa.
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2015