L’omessa valutazione di memorie difensive può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive.
La facoltà di presentare memorie è strettamente connessa con la difesa tecnica e corrisponde ad un atto tipico con il quale si mettono a disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico. È chiaro, dunque, che quando le memorie delle parti presentino argomentazioni difensive tese ad invalidare la ricostruzione fattuale o a porre discussione l’esegesi fatta propria dal giudicante, questi ha il dovere di esaminarle, fallendo altrimenti il compito motivazionale.
Il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un’arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato.
L’uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume però rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o porto di un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nella commissione dei delitti di rapina aggravata.
Corte di Cassazione
sez. II Penale, sentenza 9 ottobre 2018 – 13 febbraio 2019, n. 6955
Presidente Diotallevi – Relatore Verga
Ritenuto in fatto
Ricorre per Cassazione E.V. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che il 9.10.2017 ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che lo aveva condannato per il reato di rapina aggravata.
Deduce il ricorrente:
1. omessa motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione ex art. 603 c.p.p. finalizzata: all’acquisizione del filmato integrale della registrazione effettuata dal sistema di video sorveglianza dell’Istituto bancario; all’esame dell’agente di polizia D.S. presso il quale il giorno della rapina l’imputato aveva svolto attività lavorativa anche durante l’orario del fatto criminoso.
2. omessa motivazione in ordine alle argomentazioni esposte con la memoria difensiva depositata in data 13/6/2017 per l’udienza del 14/6/2017 e quelle contenute nelle note difensive intitolate "Brevissima sottolineatura alle note difensive già depositata in data 13 giugno 1017 in relazione alla perizia fisionomica e antropometrica" depositate il 4.10.2017 per l’udienza del 9 ottobre 2017. Rileva che i suddetti scritti difensivi- alle cui argomentazioni viene fatto espresso riferimento - erano stati predisposti a confutazione di quanto scritto nell’elaborato peritale. Rileva che la sentenza, all’esito della perizia disposta ex art. 603 c.p.p. conclude per la "compatibilità totale" glissando completamente le argomentazioni difensive articolate nelle indicate memorie che avevano evidenziato come nell’elaborato peritale fosse stato espresso il giudizio limitatamente alla compatibilità fisionomica senza nulla dire in ordine agli esiti della comparazione antropometrica, a fronte di particolari caratteristiche (quale l’elice dell’orecchio destro dell’E. ) segnalati dalla difesa;
3. omessa motivazione in ordine alla doglianza avanzata in sede di appello con riguardo alla richiesta esclusione dell’aggravante dell’uso dell’arma (richiama sul punto giurisprudenza di questa sezione, sentenza n. 43880/2014)
4. omessa motivazione in ordine alle doglianze in punto trattamento sanzionatorio (entità della pena diniego delle generiche).
Considerato in diritto
I primi due motivi di ricorso sono destituiti di fondamento.
La Corte territoriale in accoglimento della richiesta difensiva ha ritenuto necessario far effettuare alla Polizia scientifica una perizia antropometrica e fisionomica, comparando la persona dell’imputato con le immagini ritraenti l’autore della rapina, estrapolate dalle videoriprese del sistema di videosorveglianza dell’istituto di credito.
E la sentenza ha dato conto che l’elaborato peritale ha concluso per una compatibilità totale tra il soggetto autore della rapina e l’odierno imputato.
I "due" individui avevano tutti i particolari anatomici facciali simili, comprese le proporzioni generali e inoltre presentavano uno specifico contrassegno in comune, costituito da un’interruzione di continuità dell’elice posteriore dell’orecchio sinistro.
È stato altresì dato atto che il perito, sentito in udienza nel contraddittorio delle parti, ha fornito adeguata risposta alle obiezioni difensive chiarendo che il rapinatore non presentava un’interruzione anche dell’elice dell’orecchio destro e che ciò che secondo la difesa rappresenterebbe tale interruzione non era altro che una mera piegatura dell’elice dovuta agli occhiali che in quel momento il malvivente portava, mentre l’interruzione di continuità dell’elice posteriore dell’orecchio sinistro era una vera e propria malformazione che accomunava il rapinatore e l’imputato. È stato, altresì, indicato che la perizia antropometrica era stata effettuata solo in relazione all’altezza, fornendo un risultato di compatibilità, perché altri tipi di misurazione non venivano effettuati dalla polizia scientifica per l’impossibilità di ottenere risultati attendibili.
Ciò premesso deve rilevarsi con riguardo in particolare alla doglianza espressa nel primo motivo che l’art. 603 c.p.p., comma 1, non riconosce carattere di obbligatorietà all’esercizio del potere del giudice d’appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, se è vero che il diniego dell’eventualmente invocata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione - sulla quale nei limiti della manifesta illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità - può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora, come nella specie, il giudice abbia conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di poter decidere allo stato degli atti.
Con riguardo alla doglianza riferita nel secondo motivo ritiene questo collegio di aderire all’interpretazione giurisprudenziale, consolidatasi di recente, secondo la quale l’omessa valutazione di memorie difensive può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive. (sul punto: Sez. 4, sentenza n. 18385 del 09/01/2018 Ud. (dep. 27/04/2018) Rv. 272739; Sez. 3, Sentenza; n. 5075 del 13/12/2017 Ud. (dep. 02/02/2018) Rv. 272009 Sez. 5, Sentenza n. 51117 del 21/09/2017 Cc. (dep. 09/11/2017) Rv. 271600 Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015 - dep. 29/01/2016, Graziano, Rv. 26756101; in tema di giudizio abbreviato Sez. 6, Sentenza n. 44419 del 22/10/2015 Ud. (dep. 03/11/2015) Rv. 265040; Sez. 6, Sentenza n. 269 del 05/11/2013 Cc. (dep. 07/01/2014) Rv. 258456).
La facoltà di presentare memorie è strettamente connessa con la difesa tecnica e corrisponde ad un atto tipico con il quale si mettono a disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico. È chiaro, dunque, che quando le memorie delle parti presentino argomentazioni difensive tese ad invalidare la ricostruzione fattuale o a porre discussione l’esegesi fatta propria dal giudicante, questi ha il dovere di esaminarle, fallendo altrimenti il compito motivazionale.
In questo caso, seppure la Corte territoriale non abbia reso esplicito che la motivazione posta a base della decisone costituiva anche risposta alle considerazioni contenute nelle memorie, tuttavia ha argomentato in modo dettagliato su ciascuna delle sollecitazioni anche tecniche ivi formulate.
I motivi in argomento devono pertanto essere respinti.
Con riguardo alla censura relativa alla ritenuta aggravante dell’arma deve osservarsi che con l’entrata in vigore della L. n. 36 del 1990 che ha apportato modifiche alla L. n. 110 del 1975 (art. 5) questa Corte a Sezioni Unite (sentenza n 3394/1992) ha affermato il principio che il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un’arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato.
L’uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume però rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o porto di un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nella commissione dei delitti di rapina aggravata.
Ai fini della sussistenza del reato di rapina aggravata, per la realizzazione dell’effetto intimidatorio, che l’agente si propone per il conseguimento del suo scopo è pertanto sufficiente un’arma giocattolo, priva del dispositivo di identificazione. Nel caso in esame non risulta che l’arma utilizzata dal prevenuto nel corso della rapina fosse munita di tappo rosso alla canna, anzi dalla motivazione del primo giudice emerge la prova contraria. La decisione non si pone in contrasto con quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 43880/14, citata dalla difesa, considerato che nel caso in quella sede esaminato l’oggetto non aveva caratteristiche tali da presentare l’aspetto di un’arma, trattandosi all’evidenza di un giocattolo di plastica. Il motivo è pertanto infondato.
Con riguardo alla doglianza relativa al trattamento sanzionatorio deve rilevarsi che la Corte territoriale ha motivato (..) delle attenuanti generiche non solo per la mancanza di elementi di segno positivo, ma anche per la presenza di elementi di segno negativo quali la pluralità di i precedenti penali per rapina e altri reati contro il patrimonio. Così come non può dolersi della mancata motivazione in ordine alla fissazione della pena quando, come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p.. Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.