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Maltrattamenti e ripensamenti della vittima (Cass. 51950/18)

16 novembre 2018, Cassazione penale

La mutevolezza del comportamento del ricorrente, ora aggressivo ed umiliante, ora implorante perdono, e la conseguente ambivalenza dei sentimenti manifestati nei suoi confronti dalla vittima, incapace di recidere definitivamente ogni legame con quest’ultimo, non elimino di per sé il reato di maltrattamenti. . 

CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. VI PENALE - SENTENZA 16 novembre 2018, n.51950

 Pres. Petruzzellis – est. Bassi

Ritenuto in fatto

Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma dell’appellata sentenza del Tribunale di Firenze del 19 aprile 2017, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla ritenuta recidiva, ha rideterminato (nei termini indicati nel dispositivo) la pena inflitta in primo grado all’imputato in relazione ai reati di maltrattamenti, lesioni personali aggravate e atti persecutori, in danno della convivente F.S. , con le conseguenti statuizioni in punto di pene accessorie e responsabilità civile.

Con atto a firma del difensore di fiducia, S. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:

2.1. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione al reato di maltrattamenti di cui al capo a) (oggetto di modifica dell’imputazione nel corso dell’istruttoria dibattimentale), per avere la Corte d’appello ritenuto integrato il reato sebbene non vi sia prova della condizione di soggezione della vittima rispetto all’imputato né dell’abitualità delle condotte maltrattanti, trascurando altresì la condizione di tossicodipendenza dell’imputato e del fatto che entrambe le parti erano soggetti 'deboli' 'in balia' l’uno dell’altra;

2.2. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 99 cod. pen., per avere la Corte ritenuto integrata la recidiva senza motivare in ordine alla concreta maggiore pericolosità sociale dell’imputato;

2.3. mancanza di motivazione in relazione all’art. 81, comma secondo, cod. pen., per avere la Corte omesso di esplicitare le ragioni della commisurazione dell’aumento per la continuazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato in relazione a tutti i rilievi mossi e deve, pertanto essere disatteso.

Non coglie nel segno il primo motivo, col quale il ricorrente si duole della ritenuta integrazione del reato di maltrattamenti.

2.1. Premesso che non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità questioni che attengano squisitamente alla ricostruzione storico-fattuale della regiudicanda implicanti una rivalutazione del compendio probatorio (dovendosi in questa Sede verificare soltanto la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili; ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074), ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte d’appello abbia dato esaustiva risposta ai rilievi mossi dall’appellante in ordine alla contestata sussistenza del delitto di cui all’art. 572 cod. pen..

2.2. La Corte toscana ha invero richiamato le varie emergenze di fatto acclarate nel giudizio di primo grado ed ha rilevato: a) come S. ponesse in essere in danno della F. atti aggressivi e violenti (la cui materialità non è stata negata neanche dalla difesa) sia durante la convivenza, sia dopo il cessare della stessa (fatti integranti l’art. 612-bis cod. pen.); come il ricorrente passasse dalla condotta maltrattante e quella implorante aiuto e comprensione, facendo leva sui buoni sentimenti e sulla debolezza della F. , che ogni volta riallacciava la relazione per poi tornare ad essere nuovamente maltrattata; c) come la prova della condizione di dipendenza psicologica della vittima rispetto al S. sia dimostrata dal fatto che ella, nonostante le reiterate percosse ed umiliazioni, non riuscisse a troncare il rapporto con l’imputato (v. pagine 2 e seguenti della sentenza impugnata).

2.3. Contrariamente a quanto assume la difesa, non può ritenersi affetto da irragionevolezza il passaggio dell’iter argomentativo della sentenza impugnata, là dove il Giudice a quo ha ritenuto integrato il delitto nonostante la mutevolezza del comportamento del ricorrente - ora aggressivo ed umiliante, ora implorante perdono - e la conseguente ambivalenza dei sentimenti manifestati nei suoi confronti dalla vittima, incapace di recidere definitivamente ogni legame con quest’ultimo.

Senza dover pensare al caso limite conosciuto nella letteratura scientifica come 'sindrome di Stoccolma', non è inconsueto riscontrare nella prassi, soprattutto in contesti familiari consolidati o comunque connotati da legami sentimentali particolarmente intensi, quella situazione emotiva - che la psicologia qualifica in termini di dipendenza affettiva - che induce una persona a ritenere che il proprio benessere dipenda da un’altra e la predispone, nonostante le sofferenze cagionate dal partner, ad accettare la prosecuzione della relazione.

Accettazione che ragionevolmente si connette, da un lato, all’esistenza di un forte legame affettivo, di un 'amore malato', tale da creare una controspinta dovuta a dinamiche da dipendenza; dall’altro lato, ad una situazione di soggezione psicologica determinata proprio dalla coartazione esercitata dall’agente nei confronti della persona offesa.

Come correttamente notato anche dai decidenti di merito, il 'ripensamento' della persona offesa può allora trovare una spiegazione razionale proprio nell’esistenza di un forte legame affettivo, talvolta sfociante in dinamiche di vera e propria dipendenza, nonché nella condizione di soggezione psicologica determinata proprio dall’agire maltrattante dell’imputato.

Nondimeno, tale atteggiamento 'ambivalente' non rende di per sé inaffidabile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite dall’autore dei maltrattamenti, né - d’altro canto - è suscettibile di far venir meno la materialità dei maltrattamenti allorché, nonostante gli intervalli di pacificazione, le condotte violente ed umilianti imposte alla vittima siano causa - come acclarato dai decidenti di merito nella specie - di vere e proprie sofferenze morali.

A tale proposito va invero ribadito il principio secondo cui il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l’unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (Sez. 6, n. 15147 del 19/03/2014, P., Rv. 261831).

È infondato anche il secondo motivo di ricorso in punto di recidiva, là dove - contrariamente all’assunto difensivo - il Collegio fiorentino ha convincentemente notato come la condotta del S. sia reiterata nel tempo e caratterizzata da plurime manifestazioni di violenza alla persona e come costituisca, pertanto, espressione di una marcata pericolosità sociale dell’imputato (v. pagina 3 della sentenza impugnata).

Infine, è immune da vizi scrutinabili nella sede di legittimità la motivazione svolta in relazione alla determinazione della pena.

4.1. Al riguardo, basti richiamare la prevalente giurisprudenza di questa Corte da cui il Collegio non intende discostarsi, secondo la quale il giudice è tenuto a motivare adeguatamente la pena-base e non anche in ordine agli aumenti per i singoli reati satellite (ex plurimis Sez. 2, n. 50987 del 06/10/2016, Aquila, Rv. 268731).

Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.

5.1. Le spese sostenute nel presente giudizio dalla persona offesa, nella misura che sarà determinata dal giudice civile, dovranno essere liquidate a favore dello Stato essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla persona offesa F.S. , ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata dal giudice civile e ne dispone il pagamento in favore dello Stato.