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MAE su condanna senza difensore va eseguito (Cass. 45855/24)

13 dicembre 2024, Cassazione penale

I diritti fondamentali, al cui rispetto la decisione quadro è vincolata, sono quelli riconosciuti dal diritto dell'Unione europea e, conseguentemente, da tutti gli Stati membri allorché attuano il diritto dell'Unione: diritti fondamentali alla cui definizione, peraltro, concorrono in maniera eminente le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6, par. 3, T.U.E.; art. 52, par. 4, CDFUE). Spetta perciò al diritto dell'Unione, in primo luogo, stabilire i livelli di tutela dei diritti fondamentali, al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale, trattandosi di materia oggetto di integrale armonizzazione.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                    

 SEZIONE SESTA PENALE  

 sez. VI - 11/12/2024, n. 45855                       

La.Gj., nato a F (Albania) il (Omissis);

avverso la sentenza emessa il 29/08/2023 dalla Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione

svolta dal Consigliere Martino Rosati;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Cristina Marzagalli che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i

difensori del ricorrente, avv.ti MAe SF, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per la consegna del cittadino albanese La.Gj. alla Repubblica Francese, in adempimento del mandato di arresto europeo emesso il 6 settembre 2021 dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Auxerre di quello Stato, per l'esecuzione della pena irrogatagli da quel Tribunale per i reati di importazione, vendita, acquisto illecito di sostanze stupefacenti, con sentenza del 12 ottobre 2017 divenuta esecutiva.

2. Ha proposto ricorso avverso tale decisione l'interessato, con distinti atti dei suoi due difensori, avvocati A e F.

2.1. Entrambi lamentano, anzitutto, la violazione dell'art. 2, legge n. 69 del 2005, per essere stato il La.Gj. processato in assenza, senza aver ricevuto una citazione a comparire in giudizio, senza l'assistenza di un difensore e con una imputazione generica, in quanto consistente della semplice enunciazione delle norme asseritamente violate, senza nemmeno l'indicazione dei quantitativi di sostanza stupefacente in ipotesi trattata. Tanto avrebbe determinato la violazione del diritto alla difesa tecnica (qualificato come inviolabile dalla nostra Corte costituzionale) e, più in generale, il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, senza del quale un processo non può definirsi equo, così come invece richiedono la nostra Carta costituzionale, la CEDU ed il TFUE.

Né vale osservare - come invece ha fatto la Corte d'Appello - che, nell'ordinamento francese, la sentenza contumaciale ha carattere provvisorio ed è revocabile a richiesta del condannato, una volta ritualmente informato della stessa; come pure che l'assenza di difesa tecnica è giustificata dalla possibilità di difesa personale. Replicano i ricorsi, quanto al primo aspetto, che la consegna è stata pur sempre richiesta per l'esecuzione della sentenza e non per la celebrazione di un processo, con le più stringenti garanzie previste per tale seconda ipotesi; e, riguardo al secondo, che la scelta dell'autodifesa presuppone pur sempre la rituale citazione a giudizio dell'imputato e la sua presenza al processo, nello specifico, invece, non verificatesi.

2.2. L'avv. F, inoltre, deduce la violazione del medesimo art. 2, sotto il diverso profilo del pericolo di trattamenti penitenziari inumani o degradanti, tema rimasto inesplorato dalla Corte d'Appello, nonostante la produzione difensiva in tal senso (consistente in cinque articoli di giornale online) e, comunque, trattandosi di situazioni accertate dai competenti organismi dell'Unione europea e verificabili tramite fonti aperte.

3. All'udienza del 29 settembre 2023, questa Corte ha sottoposto in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, a norma dell'art. 267, TFUE, i seguenti quesiti:

- se l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea deve essere interpretato nel senso che il diritto dell'imputato alla difesa tecnica in un processo criminale sia annoverato tra i diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000 ed i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri dell'Unione europea, che esso riconosce come princìpi generali del diritto dell'Unione e che la decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri, obbliga a rispettare;

- se, in caso affermativo, il diritto dell'imputato alla difesa tecnica in un processo criminale possa ritenersi comunque rispettato qualora la sentenza di condanna sia stata pronunziata nei confronti di un imputato assente e non assistito da alcun difensore, di sua fiducia o nominato dal giudice procedente, sebbene soggetta al diritto potestativo dell'imputato stesso, una volta consegnato, di ottenere la ripetizione del giudizio con le garanzie difensive;

- se, di conseguenza, l'art. 4-bis della decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea 2002/584/GAI, introdotto dalla decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea 2009/299/GAI del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che lo Stato richiesto della consegna abbia la facoltà di rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, se l'interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, anche quando sussistano le condizioni di cui al par. 1, lett. d), dello stesso art. 4-bis, ma l'interessato non sia stato assistito da un difensore, nominato di sua fiducia o d'ufficio dal giudice procedente.

4. Con ordinanza del 20 settembre 2024, in causa C-504/24 PPU, decidendo sulla domanda di pronuncia pregiudiziale successivamente propostale dalla Corte di appello di Roma nell'ambito di un diverso procedimento, ma fondata sulle stesse ragioni di quella già avanzata da questa Corte e, a differenza di quest'ultima, trattata con procedura accelerata, la Corte di giustizia ha stabilito che l'art. 4-bis della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009, letto alla luce dell'art. 6, TUE nonché dell'art. 47, dell'art. 48, par. 2, della CDFUE, dev'essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che non consente all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare la consegna di un interessato, in forza di un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà personale pronunciata nei suoi confronti nello Stato di emissione, se egli non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione senza essere rappresentato da un avvocato da lui incaricato o nominato d'ufficio, e se le condizioni di cui all'art. 4-bis, par. 1, lett. d), della decisione quadro 2002/584, sono soddisfatte.

Ivi si legge, in motivazione, che:

- "l'articolo 4-bis, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2002/584 non può essere interpretato nel senso che l'autorità giudiziaria dell'esecuzione possa rifiutare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo per il motivo che l'interessato non è stato rappresentato da un difensore da esso designato o nominato d'ufficio nel processo terminato con la decisione" (par. 53);

- "secondo la giurisprudenza della Corte, un'eventuale non conformità del diritto nazionale dello Stato membro emittente alle disposizioni di una direttiva non può costituire un motivo idoneo a comportare il rifiuto di eseguire il mandato d'arresto europeo" (par. 55);

- "in ciascuna delle situazioni di cui all'articolo 4-bis, paragrafo 1, lettere da a) a d), della decisione quadro 2002/584, l'esecuzione del mandato d'arresto europeo non lede i diritti della difesa dell'interessato o il diritto a un ricorso effettivo e a un equo processo, come sanciti dall'articolo 47 e dall'articolo 48, paragrafo 2, della Carta (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, EU:C:2013:107, punti da 47 a 54, e del 23 marzo 2023, Minister for Justice and Equality (Revoca della sospensione), C-514/21 e C-515/21, EU:C:2023:235, punto 73 e giurisprudenza ivi citata)" (par. 57);

- "laddove il giudice del rinvio sembra ritenere che il diritto italiano garantisca uno standard di protezione dei diritti della difesa, e in particolare del diritto all'assistenza di un difensore, superiore a quello derivante dai diritti fondamentali definiti dal diritto dell'Unione, in particolare dall'articolo 47 e dall'articolo 48, paragrafo 2, della Carta, occorre tenere presente che un'autorità giudiziaria dell'esecuzione può subordinare la consegna della persona interessata da un mandato d'arresto europeo all'autorità giudiziaria emittente solo al rispetto dei requisiti derivanti da queste ultime disposizioni e non al rispetto di quelli derivanti dal suo diritto nazionale;... la soluzione contraria, rimettendo in discussione l'uniformità dello standard di tutela dei diritti fondamentali definiti dal diritto dell'Unione, finirebbe per pregiudicare i principi della fiducia e del riconoscimento reciproci che la decisione quadro 2002/584 mira a sostenere e, dunque, per comprometterne l'effettività (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Melloni, C-399/11, EU:C:2013:107, punto 63, e del 15 ottobre 2019, Dorobantu, C-128/18, EU:C:2019:857, punto 79)" (par. 60).

5. Sulla base di tale decisione, la Corte di giustizia UE, con missiva dello scorso 8 ottobre a firma del proprio cancelliere, ha chiesto a questa Corte se intendesse insistere per la decisione del rinvio pregiudiziale disposto ovvero se ritenesse di revocarlo.

Con decisione del successivo 31 ottobre, il Collegio, preso atto che la Corte di giustizia si era sostanzialmente pronunciata sulla questione propostale, ha revocato il rinvio pregiudiziale, fissando l'odierna udienza per la prosecuzione del giudizio.

6. Nelle more, la difesa del consegnando ha depositato in cancelleria memoria scritta e documentazione, criticando la predetta decisione della CGUE e deducendo, in sintesi: che il diritto dell'Unione è recessivo rispetto ai diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione; che, tra questi, è ricompreso il diritto di difesa, ivi definito come "irrinunciabile" in ogni stato e grado del giudizio, e quindi, a maggior ragione, da ritenersi inalienabile; che, pertanto, nello specifico, la decisione-quadro non contiene una mera difformità di regole rispetto al diritto interno italiano, ma ne viola un principio fondamentale; che l'interpretazione offertane dalla sentenza criticata si pone in contrasto con l'art. 6, CEDU, espressamente richiamato dalla decisione-quadro.

Pertanto, la difesa chiede alla Corte di cassazione di dichiarare l'inesistenza delle condizioni per la consegna del La.Gj., affermando che il diritto di difesa e, comunque, quello ad un processo equo rientrino tra i princìpi supremi dell'ordinamento interno, prevalenti, in quanto tali, sulla contrastante normativa eurounitaria; oppure, in alternativa, investendo della questione la Corte costituzionale, per contrasto di tale normativa con gli artt. 11 e 111, Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Alla luce dell'interpretazione della normativa comunitaria offerta dalla Corte di giustizia dell'Unione, il primo motivo di ricorso risulta infondato e manifestamente tale si presenta, altresì, il dubbio di legittimità costituzionale avanzato dal ricorrente.

2. Come questa Corte ha già rilevato nell'ordinanza di rimessione della questione pregiudiziale, al fine di giustificare tale scelta anziché quella dello scrutinio di costituzionalità interno (v. par. 7), è precluso agli Stati membri condizionare l'attuazione del diritto dell'Unione, nei settori oggetto di integrale armonizzazione, al rispetto di standard puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali, laddove ciò possa compromettere il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'Unione (Corte cost., sentenza n. 216 del 2021; CGUE, sentenza 26 febbraio 2013, in causa C-617/10, Fransson, par. 29; sentenza 26 febbraio 2013, in causa C-399/11, Melloni, par. 60).

La Corte costituzionale, dunque, ha già spiegato che i diritti fondamentali, al cui rispetto la decisione quadro è vincolata, sono quelli riconosciuti dal diritto dell'Unione europea e, conseguentemente, da tutti gli Stati membri allorché attuano il diritto dell'Unione: diritti fondamentali alla cui definizione, peraltro, concorrono in maniera eminente le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6, par. 3, T.U.E.; art. 52, par. 4, CDFUE). Spetta perciò al diritto dell'Unione, in primo luogo, stabilire i livelli di tutela dei diritti fondamentali, al cui rispetto sono subordinate la legittimità della disciplina del mandato di arresto europeo e la sua concreta esecuzione a livello nazionale, trattandosi di materia oggetto di integrale armonizzazione.

Pertanto - sempre secondo la Corte costituzionale - l'esigenza di assicurare l'uniforme ed effettiva applicazione della normativa sul mandato di arresto europeo, fondata sul presupposto della fiducia reciproca tra gli Stati membri circa il rispetto dei diritti fondamentali da parte di ciascuno, comporta che sia di regola precluso alle autorità giudiziarie dello Stato di esecuzione rifiutare la consegna al di fuori dei casi imposti o consentiti dalla decisione quadro, sulla base di standard di tutela puramente nazionali, non condivisi a livello europeo, dei diritti fondamentali della persona interessata (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 5 aprile 2016, in cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU, Aranyosi e Càldàraru, par. 80). Conseguentemente, si porrebbe in manifesto contrasto con tale principio un'interpretazione del diritto nazionale che riconoscesse all'autorità giudiziaria di esecuzione il potere di rifiutare la consegna dell'interessato al di fuori dei casi tassativi previsti dalla legge, sulla base di disposizioni di carattere generale come quelle dell'art. 2, legge n. 69 del 2005.

Essendosi, dunque, in questi termini già espressa la Corte costituzionale nella specifica materia che qui interessa, l'ulteriore investitura della stessa sollecitata dal ricorrente risulterebbe sostanzialmente inutile, non potendo condurre a diverse determinazioni il principio fissato dallo stesso giudice delle leggi e richiamato dal ricorrente, secondo cui il giudice europeo provvede a stabilire il significato della normativa dell'Unione, ma la verifica dell'osservanza dei principi supremi dell'ordinamento nazionale dev'essere comunque rimessa alle autorità nazionali e, in primis, alla Corte costituzionale, che i giudici devono investire del problema, sollevando questione di legittimità costituzionale (ord. n. 24/2017 del 23 novembre 2016). Si tratta, invero, di affermazione precedente rispetto a quella più sopra ricordata - e da quest'ultima comunque tenuta in considerazione - ma soprattutto resa in materia del tutto diversa e di portata più generale (in questo senso, anche Sez. 6, n. 42592 del 19/11/2024, Traore, nel procedimento per il quale la Corte d'Appello di Roma aveva sollevato la questione pregiudiziale decisa dalla CGUE).

3. Premesso ciò, la comune doglianza dei difensori dev'essere disattesa.

Non è corretto neppure obiettare, infatti, che, in ragione della peculiare procedura francese "a contraddittorio differito" e con decisione revocabile, si sarebbero dovute applicare le garanzie del mandato d'arresto c.d. "processuale" e non di quello "esecutivo".

Quel che rileva, infatti, a tal fine, è che la decisione giurisdizionale interna sottesa al mandato sia esecutiva (art. 1, comma 3, legge n. 69 del 2005), non anche che sia irrevocabile -, e - come più volte stabilito da questa Corte - una volta che l'autorità di emissione ha affermato che, secondo le norme interne, la sentenza di condanna a carico del soggetto di cui si chiede la consegna è divenuta esecutiva, non spetta all'autorità giudiziaria italiana sindacare, sulla base di quali presupposti normativi dell'ordinamento dello Stato di emissione l'esecutività della sentenza di condanna sia stata affermata (Sez. 6, n. 20254 del 04/05/2018, Markuns, Rv. 273276, con citazione di altri precedenti; v. pure Sez. F, n. 36352/2019, Tee Chwee Peng, cit.).

4. Non ha fondamento nemmeno la seconda censura, in tema di pericolo di trattamenti penitenziari inumani o degradanti.

Va osservato, anzitutto, che - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, citata anche dalla difesa ricorrente - l'allegazione del pericolo concreto di tali situazioni, il cui onere grava sull'interessato (così, tra molte, Sez. 6, n. 41075 del 10/11/2021, Sarwari, Rv. 282120), deve fondarsi su fonti istituzionali o, comunque, qualificate, attendibili, specifiche ed aggiornate. Tali non possono ritenersi, dunque, gli articoli di stampa prodotti nel caso specifico e dei quali, nel ricorso, non sono stati neppure indicati fonti e contenuti (presentando, perciò, il motivo anche profili di genericità).

In secondo luogo, deve rilevarsi che, dall'ultimo rapporto disponibile del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa relativo alla situazione penitenziaria francese, risalente ad una visita effettuata nel 2019, è emersa soltanto una generica situazione di sovraffollamento, senza la segnalazione di un serio e concreto pericolo di compromissione dei diritti fondamentali dell'individuo: situazione, quella, che non legittima il rifiuto della consegna, quando non corredata dalla dimostrazione del livello di pericolo derivante da quanto rappresentato, né da elementi concreti sulla reale situazione nelle carceri dello Stato richiedente (Sez. 6, n. 43537 del 15/10/2014, Florin, Rv. 260448).

3. Il ricorso dev'essere, dunque, respinto, con obbligatoria condanna del proponente al pagamento delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005.

Così deciso in Roma, l'11 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2024.