Una decisione di espulsione o estradizione solo eccezionalmente può sollevare una questione ai sensi dell'articolo 6 CEDU (diritto ad un equo processo) quando il fuggitivo ha subito o rischia di subire un palese diniego di giustizia nello Stato richiedente, principio che deve essere applicato nel particolare contesto dell'esecuzione da parte di uno Stato membro dell'UE di un MAE emesso dalle autorità di un altro Stato membro dell'UE.
La decisione quadro sul MAE si basa su un meccanismo di riconoscimento reciproco che a sua volta si fonda sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell'UE.
Il MAE previsto dalla decisione quadro è un'espressione concreta del principio di riconoscimento reciproco, nel campo della garanzia della libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il MAE è un mandato d'arresto risultante da una decisione giudiziaria emessa dall'autorità giudiziaria competente di uno Stato membro dell'UE in vista dell'arresto e della consegna, da parte dell'autorità giudiziaria competente di un altro Stato membro, di una persona ricercata ai fini di un procedimento penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva.
La creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in Europa e l'adozione dei mezzi necessari a tal fine siano del tutto legittimi ai sensi della Convenzione: il sistema del MAE non è qundi di per sé in contrasto con la Convenzione.
Le modalità di creazione del MAE non possono però essere in contrasto con i diritti fondamentali delle persone interessate.
Quando le autorità nazionali attuano il diritto dell'UE senza avere poteri discrezionali, si applica la presunzione di protezione equivalente stabilita nella causa Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi c. Irlanda [GC] (n. 45036/98, CEDU 2005-VI) e sviluppata nella causa Michaud c. Francia (n. 12323/11, CEDU 2012), dovendo quindi il giudice presumere un sufficiente rispetto dei diritti fondamentali da parte di un altro Stato membro: la presunzione di equivalenza nel rispetto dei diritti può essere confutata, dato che il principio del riconoscimento reciproco non sia può essere applicato automaticamente e meccanicamente, a discapito dei diritti fondamentali.
Nota sulla presunzione di protezione equivalente (la "presunzione Bosforo")
Avv. Nicola Canestrini
Anche quando applicano il diritto dell'Unione, gli Stati contraenti della Convenzione EDU restano vincolati dagli obblighi che hanno assunto; tuttavia, tali obblighi devono essere valutati alla luce della presunzione stabilita dalla Corte nella sentenza Bosphorus e sviluppata nella causa Michaud (entrambe citate sopra; si veda anche M.S.S. c. Belgio e Grecia [GC], no. 30696/09, § 338, CEDU 2011).
Nella causa Michaud, la Corte europea pe i diritti dell'Uomo ha riassunto la sua giurisprudenza su questa presunzione nei seguenti termini.
"102. La Corte ribadisce che esonerare completamente gli Stati contraenti dalla loro responsabilità nei confronti della Convenzione quando essi si limitano ad adempiere ai loro obblighi in quanto membri di un'organizzazione internazionale alla quale hanno trasferito una parte della loro sovranità sarebbe incompatibile con lo scopo e l'oggetto della Convenzione: le garanzie della Convenzione potrebbero essere limitate o escluse a piacimento, privandola così del suo carattere perentorio e minando il carattere pratico ed effettivo delle sue salvaguardie. In altre parole, gli Stati restano responsabili, ai sensi della Convenzione, delle misure che adottano per adempiere ai loro obblighi giuridici internazionali, anche quando tali obblighi derivano dalla loro appartenenza a un'organizzazione internazionale alla quale hanno trasferito parte della loro sovranità (cfr. Bosforo, sopra citata, § 154).
103. È vero, tuttavia, che la Corte ha anche affermato che l'azione intrapresa in ottemperanza a tali obblighi è giustificata quando l'organizzazione in questione tutela i diritti fondamentali, sia per quanto riguarda le garanzie sostanziali offerte sia per quanto riguarda i meccanismi che ne controllano l'osservanza, in un modo che può essere considerato almeno equivalente - vale a dire non identico ma "comparabile" - a quello previsto dalla Convenzione (fermo restando che tale constatazione di "equivalenza" non potrebbe essere definitiva e sarebbe suscettibile di revisione alla luce di qualsiasi cambiamento pertinente nella tutela dei diritti fondamentali). Se si ritiene che l'organizzazione fornisca una protezione equivalente, si presume che uno Stato non si sia discostato dai requisiti della Convenzione quando si limita ad attuare gli obblighi giuridici derivanti dalla sua appartenenza all'organizzazione.
Tuttavia, uno Stato sarà pienamente responsabile ai sensi della Convenzione per tutti gli atti che esulano dai suoi obblighi giuridici internazionali, in particolare quando ha esercitato una discrezionalità statale (cfr. M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 338). Inoltre, tale presunzione può essere confutata se, nelle circostanze di un caso particolare, si ritiene che la protezione dei diritti della Convenzione sia stata manifestamente carente. In tali casi, l'interesse della cooperazione internazionale sarebbe superato dal ruolo della Convenzione come "strumento costituzionale di ordine pubblico europeo" nel campo dei diritti umani (cfr. Bosforo, sopra citata, §§ 152-58, e anche, tra le altre autorità, M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, §§ 338-40).
104. Questa presunzione di protezione equivalente è intesa, in particolare, a garantire che uno Stato contraente non si trovi di fronte a un dilemma quando è costretto a invocare gli obblighi giuridici che gli incombono in virtù della sua appartenenza a un'organizzazione internazionale che non è parte della Convenzione e alla quale ha trasferito parte della sua sovranità, al fine di giustificare le sue azioni o omissioni derivanti da tale appartenenza nei confronti della Convenzione. Serve anche a determinare in quali casi la Corte può, nell'interesse della cooperazione internazionale, ridurre l'intensità del suo ruolo di supervisione, conferitole dall'articolo 19 della Convenzione, per quanto riguarda l'osservanza da parte degli Stati contraenti dei loro impegni derivanti dalla Convenzione. Da questi obiettivi consegue che la Corte accetterà tale accordo solo se i diritti e le garanzie che essa tutela riceveranno una protezione paragonabile a quella offerta dalla Corte stessa. In caso contrario, lo Stato sfuggirebbe a qualsiasi controllo internazionale sulla compatibilità delle sue azioni con gli impegni assunti con la Convenzione".
102. Nel contesto dell'ex "primo pilastro" dell'Unione europea (cfr. Bosphorus, sopra citata, § 72), la Corte ha ritenuto che la tutela dei diritti fondamentali offerta dall'ordinamento giuridico dell'Unione europea fosse in linea di principio equivalente a quella prevista dalla Convenzione. Per giungere a tale conclusione, la Corte ha constatato, in primo luogo, che l'Unione europea offre una protezione equivalente delle garanzie sostanziali, osservando a questo proposito che all'epoca il rispetto dei diritti fondamentali era già una condizione di legittimità degli atti comunitari e che la CGUE ha fatto ampio riferimento alle disposizioni della Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo nell'effettuare la sua valutazione (cfr. Bosphorus, cit., § 159). Questa constatazione si applica a maggior ragione dal 1° dicembre 2009, data di entrata in vigore dell'articolo 6 (modificato) del TUE, che conferisce alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea lo stesso valore dei Trattati e attribuisce ai diritti fondamentali, quali garantiti dalla Convenzione e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, lo status di principi generali del diritto dell'Unione europea (cfr. Michaud, sopra citata, § 106).
103. La Corte ha ritenuto equivalente la tutela sostanziale offerta dal diritto dell'Unione tenendo conto delle disposizioni dell'articolo 52 § 3 della Carta dei diritti fondamentali, secondo cui, nella misura in cui i diritti contenuti nella Carta corrispondono ai diritti garantiti dalla Convenzione, il loro significato e la loro portata sono identici, fatta salva la possibilità per il diritto dell'Unione di fornire una tutela più ampia (si veda Bosphorus, sopra citata, § 80). Nell'esaminare se, nel caso in esame, possa ancora ritenere che la protezione offerta dal diritto dell'Unione sia equivalente a quella prevista dalla Convenzione, la Corte è particolarmente attenta all'importanza del rispetto della norma di cui all'articolo 52 § 3 della Carta dei diritti fondamentali, dato che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (cfr. paragrafo 37 supra) ha conferito alla Carta lo stesso valore giuridico dei Trattati.
104. In secondo luogo, la Corte ha riconosciuto che il meccanismo previsto dal diritto dell'Unione per il controllo del rispetto dei diritti fondamentali, nella misura in cui è stato sfruttato appieno il suo potenziale, offre anche una protezione paragonabile a quella prevista dalla Convenzione. Su questo punto, la Corte ha attribuito una notevole importanza al ruolo e ai poteri della CGUE, nonostante il fatto che l'accesso individuale a tale organo giurisdizionale sia molto più limitato rispetto all'accesso a questa Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione (cfr. Bosphorus, §§ 160-65, e Michaud, §§ 106-11, entrambi citati).
come riassunto nella sentenza della grande camera CAVOTIŅŠ v. LATVIA (procdedimento 17502/07) del 23 maggio 2016, l'applicazione della presunzione del Bosforo nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea è soggetta a due condizioni: l'assenza di margini di manovra da parte delle autorità nazionali e dell'utilizzo di tutte le potenzialità del meccanismo di controllo previsto dal diritto dell'Unione.
(traduzione informale, della sentenza Pirozzi, originale in francese qui )
Corte europea per i diritti dell'Uomo
SECONDA SEZIONE
CASO PIROZZI c. BELGIO
(procedimento n. 21055/11)
SENTENZA
STRASBURGO, 17 aprile 2018
La sentenza è divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può essere soggetto a un editing formale.
Nel caso Pirozzi c. Belgio,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (seconda sezione), riunita in una sezione composta da:
Robert Spano, Presidente,
Paul Lemmens,
Ledi Bianku,
Nebojša Vučinić,
Valeriu Griţco,
Jon Fridrik Kjølbro,
Stéphanie Mourou-Vikström, giudici,
e Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Avendo deliberato in camera di consiglio il 20 marzo 2018,
Emette la seguente sentenza, che è stata adottata in tale data:
PROCEDURA
1. Il caso trae origine da un ricorso (n. 21055/11) contro il Regno del Belgio presentato alla Corte il 22 marzo 2011 da un cittadino italiano, Vittorio Pirozzi ("il ricorrente"), ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. Il richiedente era rappresentato dal sig. H. El Abouti, avvocato a Bruxelles. Il governo belga ("il governo") era rappresentato dal suo agente, la sig.ra I. Niedlispacher, Servizio pubblico federale di giustizia.
3. Il ricorrente ha sostenuto, in particolare, che il suo arresto da parte delle autorità belghe non era stato effettuato in conformità con la legge e che era stato consegnato alle autorità italiane in base a un mandato d'arresto europeo ("MAE") basato su una condanna pronunciata dai tribunali italiani a seguito di una procedura contraria al diritto a un equo processo.
4. Il 2 febbraio 2017 sono state comunicate al Governo le censure relative agli articoli 5 § 1 e 6 § 1 e il ricorso è stato dichiarato irricevibile per il resto ai sensi dell'articolo 54 § 3 del Regolamento della Corte.
5. Essendo il ricorrente cittadino italiano, l'8 febbraio 2017 il governo italiano è stato informato della possibilità di presentare osservazioni scritte ai sensi dell'articolo 36 § 1 della Convenzione e dell'articolo 44 del Regolamento della Corte. Non avendo ricevuto alcuna risposta dal Governo italiano entro il termine previsto, la Corte ritiene che il Governo italiano non intenda avvalersi del proprio diritto di intervento.
I FATTI
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
6. Il richiedente è nato nel 1952 ed è attualmente detenuto nel carcere di Spoleto (Italia).
A. La procedura in Italia
7. Il 26 giugno 1998 il ricorrente è stato condannato dal tribunale di Brescia per traffico di droga a diciotto anni di reclusione e a una multa di 250.000 euro ("euro"). Il richiedente ha partecipato al suo processo.
8. La decisione di primo grado è stata riformata da una sentenza del 18 aprile 2002 della Corte d'Appello di Brescia, che ha ridotto la pena detentiva a quindici anni e la multa a 80.000 euro. La sentenza è stata pronunciata in contumacia, in quanto il ricorrente ha affermato di essere stato impossibilitato a comparire per motivi di salute. Era rappresentato dall'avvocato che aveva nominato e che lo aveva difeso in primo grado. La sentenza è stata notificata al ricorrente il 28 maggio 2002.
9. Poiché all'epoca la legge italiana non prevedeva la possibilità di presentare un'obiezione, il ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso il 23 maggio 2003. Ha ritenuto che la Corte d'appello, nel non legittimare l'impossibilità del ricorrente a partecipare al processo, abbia agito in modo diligente e legittimo, dal momento che il certificato fornito non era originale e non riportava la firma o altri elementi in grado di dimostrare che era stato rilasciato dall'ospedale, e che, in assenza di indicazioni sulla gravità delle condizioni del ricorrente e sulla sua trasportabilità, non è stato dimostrato che la patologia cui si fa riferimento nel certificato fosse tale da impedirgli di comparire. Infine, il documento riportava una data di dimissione dall'ospedale, il che indicava che il presunto impedimento non era assoluto.
10. Il 15 gennaio 2004 l'avvocato del ricorrente ha presentato un ulteriore ricorso in Cassazione, che è stato dichiarato irricevibile con sentenza del 17 maggio 2004.
11. Con decisione del 24 gennaio 2007, il tribunale di Brescia, investito di una domanda di grazia, ha ridotto la pena del ricorrente di un anno.
12. Il 27 luglio 2010 il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha emesso un MAE in vista dell'esecuzione della sentenza della Corte d'appello del 18 aprile 2002 per i quattordici anni di reclusione ancora da scontare. Il MAE è stato trasmesso alle autorità belghe il 2 agosto 2010 sulla base della presunzione che il richiedente si trovasse a Bruxelles.
B. La procedura in Belgio
13. Il 4 agosto 2010 il ricorrente si trovava a Bruxelles. Nel rapporto redatto a seguito della localizzazione e dell'arresto del ricorrente da parte della polizia giudiziaria federale la sera del 4 agosto 2010 si legge che i fatti si sono svolti come segue:
"Facciamo riferimento alla rogatoria internazionale emessa dall'autorità giudiziaria italiana di Napoli, trasmessa e convalidata dal giudice istruttore L. (...) consistente in una richiesta di intercettazione e localizzazione di numeri di telefono cellulare belgi presumibilmente utilizzati dal [Ricorrente] e di conseguenza anche di localizzazione e intercettazione di quest'ultimo". Si può affermare che i risultati e lo sfruttamento consentono di stabilire che [il richiedente] utilizzava effettivamente i numeri indicati nella rogatoria internazionale (...). Si precisa che [il ricorrente] è anche oggetto di una segnalazione internazionale effettuata dalle autorità italiane sulla base di un MAE emesso dalla Procura del Tribunale di Napoli. Premettiamo che durante la classica osservazione effettuata oggi dalle ore 10:00 nel quartiere (...) è stato notato che una persona con una forte somiglianza con [il Richiedente] è entrata nell'edificio alle 14:30 (...). Alle 16 di oggi abbiamo contattato il pubblico ministero (...) presso la Procura di Bruxelles e l'abbiamo informata dei risultati delle nostre indagini e delle nostre osservazioni. Si precisa che alle ore 16.30 ci è stata inviata via fax una postilla con la quale si chiedeva di arrestare [il ricorrente] e di metterlo a disposizione della signora. Il Pubblico Ministero (...) ci ha autorizzato, muniti di questa postilla e del MAE, ad entrare nell'edificio di (...). Alle 17.55 la porta d'ingresso dell'edificio è stata aperta dal fabbro (...). Visto il rischio di fuga dal retro, tutti i piani sono stati immediatamente occupati. La serratura della porta d'ingresso dell'appartamento al secondo piano occupato da [X] è stata rotta e poi sostituita con una nuova. (...) Premettiamo che [il ricorrente] è stato scoperto nell'appartamento al terzo piano con la moglie (...) Dichiariamo che [il richiedente] ha fornito la sua vera identità (...). Dichiara che la carta d'identità italiana falsa trovata nell'appartamento e in possesso [del ricorrente] (...) è stata rilasciata il 24.08.2006 (...). Premettiamo che il questore (...) alle 18.20 ha contattato il pubblico ministero (...), che ha dato istruzioni di privare [il ricorrente] della libertà e di metterlo a sua disposizione per il giorno successivo. (...) "
14. La sera del suo arresto, il ricorrente è stato interrogato con l'aiuto di un interprete italiano e ha informato la polizia di essere arrivato in Belgio nel 2008 e di soggiornarvi illegalmente.
15. Il 5 agosto 2010, il ricorrente è stato portato davanti al giudice istruttore e si è svolto un colloquio con un interprete italiano. Il ricorrente ha dichiarato di non aver acconsentito alla sua consegna alle autorità italiane, di sapere di essere stato condannato ma di non sapere che la condanna fosse definitiva. Al termine del colloquio, il giudice ha disposto il suo trattenimento, ritenendo che, alla luce dei documenti trasmessi dalle autorità italiane, non vi fossero motivi per rifiutare l'esecuzione del MAE.
16. Il 21 agosto 2010 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ha redatto una memoria in cui riassumeva il procedimento a carico del ricorrente in Italia e precisava che gli articoli 175 e 670 del Codice di procedura penale italiano prevedevano che, in caso di decisioni pronunciate in contumacia, l'imputato potesse chiedere la riapertura dei termini di impugnazione, a condizione che non avesse rinunciato a comparire, e che tale richiesta dovesse essere presentata, in caso di estradizione, entro trenta giorni dalla consegna dell'interessato. La nota è stata poi trasmessa alle autorità belghe.
17. Con ordinanza del 25 agosto 2010, la Camera di Consiglio del Tribunale di Bruxelles ha reso esecutivo il MAE. Davanti al giudice istruttore, invocando l'articolo 5 § 1 della Convenzione, il ricorrente ha lamentato di non poter verificare la legalità dei mezzi utilizzati per il suo arresto. La Camera di Commercio ha risposto a questo appello nei seguenti termini:
"Considerando che va ricordato che il giudice che decide sull'esecuzione del mandato d'arresto europeo non è tenuto a valutare la legittimità e la regolarità di tale mandato, ma solo la sua esecuzione in conformità alle disposizioni degli articoli da 4 a 8 della legge del 19 dicembre 2003 sul mandato d'arresto europeo". In caso di esecuzione, la legittimità e la regolarità del mandato d'arresto europeo sono valutate dall'autorità giudiziaria che emette il mandato e alla quale la persona ricercata è consegnata, in modo tale che l'articolo 5 [§ 4] di detta Convenzione sia così soddisfatto".
18. Il ricorrente ha anche sostenuto che il procedimento italiano in contumacia era stato condannato dalla Corte perché la legge italiana non garantiva con un sufficiente grado di certezza la possibilità di riaprire il processo. La Camera ha respinto questa argomentazione, osservando che il Codice di procedura penale italiano era stato modificato nel 2005 e prevedeva la possibilità di riaprire il procedimento, anche in caso di estradizione.
19. Su appello del ricorrente, con sentenza del 9 settembre 2010, la Divisione d'accusa della Corte d'appello di Bruxelles ha confermato l'ordinanza della Camera di Consiglio. Ha ritenuto che le condizioni risultanti dagli articoli 3 e 5 § 1 della legge del 19 dicembre 2003 sul MAE fossero soddisfatte e che i fatti descritti nel MAE corrispondessero a quelli previsti dall'articolo 5 § 2 della stessa legge. Non c'era motivo di applicare nessuno dei motivi di rifiuto previsti dalla legge. Inoltre, ha ritenuto che l'arresto dell'interessato fosse legittimo poiché il MAE e la segnalazione internazionale Schengen consentivano, come un ordine di sequestro, l'ingresso in un'abitazione allo scopo di arrestare la persona ricercata. Ha inoltre ricordato di essere stato investito solo dell'esame del MAE e che non spettava a lui verificare la legittimità di una richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dall'Italia. Ha ritenuto che l'articolo 7 della legge del 19 novembre 2003 non fosse applicabile, poiché dal MAE risultava chiaramente che l'interessato era stato convocato personalmente o altrimenti informato della data e del luogo dell'udienza che aveva portato alla decisione pronunciata in contumacia. Ha notato che la sentenza della Corte d'appello di Brescia menziona che l'interessato è stato difeso da un avvocato che è stato ascoltato dal tribunale. Ha concluso che non vi erano quindi seri motivi per ritenere che l'esecuzione del MAE avrebbe avuto l'effetto di violare i diritti fondamentali dell'interessato.
20. Il ricorrente ha presentato appello contro la sentenza della Divisione d'accusa. Ha lamentato una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione, poiché l'assenza di documenti nel fascicolo relativi alle misure di osservazione adottate nel contesto della richiesta di assistenza giudiziaria per localizzarlo e arrestarlo ha reso impossibile il controllo della legalità di tali misure. La Corte di Cassazione, con sentenza del 22 settembre 2010, ha respinto questo argomento nei seguenti termini:
"L'esecuzione di un [MAE] è indipendente dalle funzioni svolte nello Stato di emissione o sulla base di una rogatoria internazionale. Le misure adottate in questo contesto non sono correlate ai controlli che i tribunali istruttori devono effettuare ai sensi degli articoli 16(1) e 17(4) della legge del 19 dicembre 2003.
Secondo l'articolo 15, paragrafo 2, della legge sulla polizia del 5 agosto 1992, nell'esercizio delle loro funzioni di polizia giudiziaria, i servizi di polizia hanno il compito di ricercare le persone il cui arresto è previsto dalla legge, di sequestrarle, di arrestarle e di metterle a disposizione delle autorità competenti.
Ai sensi dell'articolo 9 della legge del 19 dicembre 2003, il [MAE] costituisce un mandato d'arresto. Ai sensi dell'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla detenzione preventiva, spetta al pubblico ministero ordinare alla polizia di catturare la persona ricercata entrando, se necessario, nel suo luogo di residenza.
Ritenendo che il [MAE] e la segnalazione internazionale di Schengen consentano l'ingresso in un'abitazione allo scopo di arrestare la persona ricercata, e che la Corte d'appello si sia occupata solo dell'esame di tale mandato senza dover esaminare la legittimità di una richiesta di assistenza giudiziaria da parte delle autorità italiane, la sentenza non viola la disposizione del trattato invocata".
21. 21. Invocando l'articolo 6 della Convenzione, il ricorrente ha sostenuto che la procedura italiana in contumacia costituiva un motivo di rifiuto dell'estradizione per diversi Paesi dell'UE, in quanto la condanna rimaneva esecutiva e non era possibile alcun appello, una situazione che era stata condannata in diverse occasioni anche dalla Corte. Ha lamentato di non aver avuto un processo equo in Italia; poiché la procedura in vigore all'epoca non gli consentiva di presentare un'obiezione alla Corte d'appello, era stato costretto a ricorrere alla Corte di cassazione italiana, che si era pronunciata solo sul diritto e non sul merito dell'accusa. In secondo luogo, il ricorrente ha sostenuto che, avendo presentato ricorso e non essendo comparso in tribunale, non si trovava nella situazione di cui agli articoli 175 e 670 del Codice di procedura penale italiano, che riguardano le condanne in contumacia in primo grado. Allo stato attuale del diritto italiano, poiché la Corte di Cassazione aveva respinto il suo ricorso, egli non aveva alcuna garanzia di ottenere un riesame del merito della sua condanna in contumacia, in conformità all'articolo 6 della Convenzione.
22. La Corte di Cassazione ha respinto la prima parte del motivo in quanto, criticando la valutazione della Divisione d'accusa sul modo in cui le autorità giudiziarie italiane avevano rispettato i diritti fondamentali del ricorrente, richiedeva una verifica di elementi di fatto per i quali la Corte di Cassazione non era competente. Sulla base dei fatti riscontrati, i giudici d'appello avevano giustificato giuridicamente la loro decisione. Per quanto riguarda la seconda parte, la Corte di Cassazione l'ha respinta in quanto il timore che le autorità italiane non agiscano in conformità con l'articolo 6 della Convenzione era puramente ipotetico.
23. Il 30 settembre 2010 il ricorrente è stato consegnato alle autorità italiane.
II. LEGGE E PRASSI PERTINENTI
A. Decisione quadro 2002/584/GAI
24. La decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri, mira a migliorare e semplificare le procedure giudiziarie per la consegna di una persona ricercata ai fini di un procedimento penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva. È un sistema di consegna da parte dello Stato membro dell'Unione europea ("UE") nel cui territorio si trova la persona ricercata, detto "Stato membro di esecuzione", allo Stato membro da cui proviene il MAE, detto "Stato membro emittente".
25. Il MAE sostituisce il sistema di estradizione. Esso prevede che ogni autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione riconosca ed esegua, con controlli minimi ed entro termini rigorosi, la richiesta di consegna di una persona presentata dall'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione. Il MAE mira all'arresto e alla consegna della persona interessata ai fini di un procedimento penale o dell'esecuzione di una pena detentiva o di una misura di sicurezza.
26. La decisione quadro elenca, tra l'altro, i casi in cui il mandato è applicabile (articolo 2) e i casi in cui gli Stati possono o devono rifiutare l'esecuzione (articoli da 3 a 5, modificati dalla decisione quadro 2009/99/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009).
27. In una sentenza Melloni (causa C-399/11, sentenza del 26 febbraio 2013), la Corte di giustizia dell'Unione europea ("CGUE") ha formulato le seguenti considerazioni generali sulla decisione quadro 2002/584/GAI, modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI:
" 36. Occorre ricordare che la finalità di tale decisione quadro, come risulta in particolare dall'articolo 1, paragrafi 1 e 2, e dai considerando 5 e 7, è quella di sostituire il sistema di estradizione multilaterale tra Stati membri con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie di persone condannate o indagate ai fini dell'esecuzione delle sentenze o dell'esercizio dell'azione penale, sistema quest'ultimo basato sul principio del reciproco riconoscimento (cfr. sentenza del 29 gennaio 2013, Radu, C-396/11, punto 33).
37. La decisione quadro 2002/584 ha quindi lo scopo, istituendo un sistema nuovo, semplificato e più efficace per la consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, di facilitare e accelerare la cooperazione giudiziaria al fine di contribuire alla realizzazione dell'obiettivo dell'Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia sulla base dell'elevato grado di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri (sentenza Radu, punto 34).
38. Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, della suddetta decisione quadro 2002/584, gli Stati membri sono in linea di principio obbligati a dare seguito a un mandato d'arresto europeo. In effetti, secondo le disposizioni di tale decisione quadro, gli Stati membri possono rifiutare di eseguire tale mandato solo nei casi di non esecuzione obbligatoria previsti dall'articolo 3 della decisione quadro e nei casi di non esecuzione facoltativa elencati agli articoli 4 e 4 bis della stessa. Inoltre, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione può subordinare l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo solo alle condizioni previste dall'articolo 5 di tale decisione quadro (sentenza Radu, citata, punti 35 e 36).
(...)
Per quanto riguarda la portata del diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale previsto dall'articolo 47 della Carta e dei diritti della difesa garantiti dall'articolo 48, paragrafo 2, della stessa, è opportuno sottolineare che, sebbene il diritto dell'imputato di comparire personalmente al processo costituisca un elemento essenziale del diritto a un processo equo, tale diritto non è assoluto (si veda, in particolare, la sentenza del 6 settembre 2012, Agenzia per il commercio, C 619/10, paragrafi 52 e 55). L'imputato può rinunciarvi, di sua spontanea volontà, espressamente o tacitamente, purché la rinuncia sia stabilita in modo inequivocabile, sia circondata da un minimo di garanzie commisurate alla sua gravità e non sia in conflitto con alcun importante interesse pubblico. In particolare, non si verifica una violazione del diritto a un processo equo, anche se l'imputato non è comparso personalmente, se è stato informato della data e del luogo del processo o se è stato difeso da un avvocato da lui stesso incaricato a tale scopo.
(...)
Alla luce di quanto precede, si deve concludere che l'articolo 4 bis, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 non viola il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale né i diritti della difesa garantiti rispettivamente dagli articoli 47 e 48, paragrafo 2, della Carta.
Considerazioni simili sono state fatte in una sentenza Dworzecki (causa C-108/16 PPU, sentenza del 24 maggio 2016, paragrafi 26-27 e 42).
28. Nella sentenza Lanigan (causa C-237/15 PPU, sentenza del 2 luglio 2015), la CGUE ha affermato che, poiché la decisione quadro non può avere l'effetto di modificare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE e, più in particolare, dall'articolo 6, che stabilisce che ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza, l'articolo 12 della decisione quadro deve essere letto in conformità con essa. La CGUE ha ricordato che, ai sensi dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, le limitazioni all'articolo 6 della Carta devono necessariamente essere previste dalla legge, rispettare il contenuto essenziale dei diritti previsti da tale articolo, essere conformi al principio di proporzionalità, vale a dire essere necessarie e soddisfare obiettivi di interesse pubblico noti. Inoltre, dall'articolo 52 § 3 della Carta si evince che, nella misura in cui essa contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione, il loro significato e la loro portata sono identici a quelli conferiti dalla Convenzione. Inoltre, ai sensi dell'articolo 53 della Carta, nessuna disposizione della Carta può avere l'effetto di limitare o pregiudicare i diritti riconosciuti dalla Convenzione. Facendo riferimento alla sentenza della Corte nella causa Quinn c. Francia (22 marzo 1995, serie A n. 311), la CGUE ha concluso che, una volta scaduti i termini previsti dall'articolo 17 della decisione quadro, la prosecuzione del trattenimento poteva essere conforme all'articolo 6 della Carta solo se la procedura di esecuzione del MAE era stata condotta con sufficiente diligenza e non era eccessiva, cosa che spettava al giudice nazionale valutare.
29. Nella causa Aranyosi e Căldăraru (cause riunite C-404/15 e C-659/15, sentenza del 12 aprile 2016), la CGUE ha stabilito che se, alla luce delle informazioni fornite o di qualsiasi altro elemento a sua disposizione, l'autorità incaricata dell'esecuzione del MAE constata l'esistenza, in relazione alla persona oggetto del mandato, di un'ipotesi di reato, a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, esiste un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione, l'esecuzione del mandato deve essere rinviata fino all'ottenimento di ulteriori informazioni per escludere l'esistenza di tale rischio. Se l'esistenza di tale rischio non può essere esclusa entro un tempo ragionevole, l'autorità deve decidere se interrompere la procedura di consegna.
B. Legge sul MAE del 19 dicembre 2003
30. In Belgio, la suddetta decisione quadro è stata recepita dalla legge sul MAE del 19 dicembre 2003, le cui disposizioni pertinenti sono le seguenti:
"Art. 2 § 1. L'arresto e la consegna di persone ricercate ai fini di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di detenzione tra il Belgio e gli altri Stati membri dell'Unione europea sono disciplinati dalla presente legge.
§ (2) L'arresto e la consegna sono effettuati sulla base di un mandato d'arresto europeo.
§ 3 Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa dall'autorità giudiziaria competente di uno Stato membro dell'Unione europea, nota come autorità giudiziaria emittente, in vista dell'arresto e della consegna da parte dell'autorità giudiziaria competente di un altro Stato membro, nota come autorità di esecuzione, di una persona ricercata ai fini di un procedimento penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà.
(...)
Articolo 3 Il mandato d'arresto europeo può essere emesso per fatti puniti dalla legge dello Stato membro emittente con una pena o una misura di sicurezza privativa della libertà per un periodo massimo di almeno dodici mesi o, se è stata pronunciata una pena o è stata emessa una misura di sicurezza, per un periodo di almeno quattro mesi.
Articolo 4. L'esecuzione del mandato d'arresto europeo è rifiutata nei seguenti casi
1o se il reato su cui si basa il mandato d'arresto è coperto da una legge di amnistia in Belgio, a condizione che i fatti avrebbero potuto essere perseguiti in Belgio in base alla legge belga;
2o se dalle informazioni di cui dispone il giudice risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in Belgio o in un altro Stato membro, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata inflitta o sia in corso di esecuzione o non possa più essere eseguita in base alle leggi dello Stato membro di condanna, o se la persona interessata è stata oggetto di un'altra decisione definitiva in Belgio o in un altro Stato membro per gli stessi fatti, che preclude un'ulteriore azione penale;
3o se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo non può ancora essere ritenuta penalmente responsabile, secondo la legge belga, dei fatti su cui si basa il mandato d'arresto europeo a causa della sua età;
4o quando l'azione pubblica o la condanna sono prescritte dalla legge belga e i fatti rientrano nella giurisdizione dei tribunali belgi;
5o se vi sono seri motivi per ritenere che l'esecuzione del mandato d'arresto europeo avrebbe l'effetto di violare i diritti fondamentali della persona interessata, come sancito dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea.
Articolo 5 § 1. L'esecuzione è rifiutata se l'atto su cui si basa il mandato d'arresto europeo non costituisce un reato ai sensi della legge belga.
§ (2) Il paragrafo precedente non si applica se l'atto costituisce uno dei seguenti reati, a condizione che sia punibile nello Stato di emissione con una pena detentiva massima di almeno tre anni:
(...)
5o traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope ;
(...)
Art. 7. Se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza imposte da una decisione pronunciata in contumacia, e se la persona interessata non è stata citata personalmente o altrimenti informata della data e del luogo dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in contumacia La consegna può essere subordinata alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni ritenute sufficienti a garantire alla persona oggetto del mandato d'arresto europeo la possibilità di chiedere un nuovo processo nello Stato emittente e di essere giudicata in sua presenza.
Art. 9 § 1. Una segnalazione effettuata in conformità alle disposizioni dell'articolo 95 della Convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni costituisce un mandato d'arresto europeo.
§ Finché la segnalazione non contiene tutte le informazioni richieste dal mandato d'arresto europeo, la segnalazione deve essere seguita dalla trasmissione dell'originale del mandato d'arresto europeo di cui agli articoli 2 e 3 o di una copia autenticata.
Articolo 10 La persona ricercata può essere arrestata sulla base della segnalazione di cui all'articolo 9 o su presentazione di un mandato d'arresto europeo. L'arresto è soggetto alle condizioni dell'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla detenzione preventiva.
Art. 11 § 1. Entro ventiquattro ore dall'effettiva privazione della libertà, l'interessato è condotto davanti al giudice istruttore, che lo informa: 1o dell'esistenza e del contenuto del mandato d'arresto europeo; 2o della possibilità di acconsentire alla sua consegna all'autorità giudiziaria emittente; 3o del diritto di scegliere un avvocato e un interprete.
Queste informazioni devono essere riportate nel verbale dell'udienza.
(...) "
31. L'articolo 7 della legge sul MAE è stato sostituito dalla legge del 24 aprile 2014. Ora si legge come segue:
"Art. 7. § 1. L'esecuzione del mandato d'arresto europeo ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà può essere rifiutata anche se l'interessato non è comparso personalmente al processo che ha portato a una sentenza in contumacia, a meno che il mandato d'arresto europeo non preveda che l'interessato, in conformità con gli altri requisiti procedurali previsti dal diritto nazionale dello Stato membro emittente:
1o a tempo debito, è stato citato personalmente e quindi informato della data e del luogo previsti per il processo che ha portato alla sentenza in contumacia, oppure ha effettivamente ricevuto con altri mezzi informazioni ufficiali sulla data e il luogo previsti per tale processo, in modo tale da stabilire inequivocabilmente che era a conoscenza del processo previsto ed è stato informato del fatto che poteva essere emessa una decisione in caso di mancata comparizione in giudizio; oppure
(2) essendo a conoscenza del processo previsto, ha incaricato un legale, nominato dall'interessato o dallo Stato, di rappresentarlo nel processo ed è stato efficacemente difeso da tale legale durante il processo; oppure
3o dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del diritto a un nuovo processo o a un appello, al quale l'interessato ha diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito del caso, comprese nuove prove, e che può portare all'annullamento della decisione originaria:
(a) ha espressamente dichiarato di non contestare la decisione; oppure
(b) non ha richiesto un nuovo processo o l'appello entro il termine; oppure
4o non ha ricevuto personalmente la notifica della decisione, ma
(a) riceverà personalmente la notifica della decisione senza indugio dopo la sua consegna e sarà espressamente informato del diritto a un nuovo processo o a un appello, al quale l'interessato ha diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito del caso, comprese nuove prove, e che può portare all'annullamento della decisione originaria; e
(b) sarà informato del termine entro il quale deve richiedere un nuovo processo o un appello, come specificato nel relativo mandato d'arresto europeo.
§ Se il mandato d'arresto europeo è emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza conformemente alle disposizioni del paragrafo 1, 4, e se l'interessato non è stato precedentemente informato ufficialmente dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, l'interessato può, nel momento in cui il contenuto del mandato d'arresto europeo viene portato a sua conoscenza, chiedere di ricevere una copia della sentenza prima di essere consegnato. Non appena l'autorità di emissione è informata di tale richiesta, essa fornisce all'interessato una copia della sentenza tramite l'autorità di esecuzione. La richiesta dell'interessato non ritarda la procedura di consegna o la decisione di eseguire il mandato d'arresto europeo. La sentenza sarà comunicata alla persona interessata solo a scopo informativo, e tale comunicazione non sarà considerata una notifica formale della sentenza e non farà decorrere i termini applicabili per richiedere un nuovo processo o un appello.
§ Se la persona è consegnata ai sensi del paragrafo 1(4) e ha richiesto un nuovo processo o un appello, il suo mantenimento in detenzione fino al termine del nuovo processo o dell'appello sarà riesaminato, in conformità con la legge dello Stato membro emittente, regolarmente o su sua richiesta. Il riesame comprende la possibilità di sospendere o interrompere il trattenimento. Il nuovo processo o l'appello inizieranno a tempo debito dopo la consegna.
C. Codice di procedura penale italiano
32. La validità di una sentenza di condanna può essere contestata sollevando un incidente di esecuzione, come previsto dall'articolo 670 § 1 del Codice di Procedura Penale ("CCP"), che prevede, in parti rilevanti:
"Quando il giudice dell'esecuzione accerta che l'atto non è valido o che non è divenuto esecutivo, [dopo aver] valutato anche nel merito l'osservanza delle garanzie previste per il caso di irreperibilità del condannato, (...) sospende l'esecuzione e dispone, se necessario, la liberazione dell'interessato e la rinnovazione della notifica che era stata irregolare". In questo caso, il termine per il ricorso ricomincia a decorrere.
33. Il 22 aprile 2005 il Parlamento ha approvato la legge n. 60 del 2005, che ha convertito in legge il decreto legge n. 17 del 21 febbraio 2005. La legge n. 60 del 2005 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 94 del 23 aprile 2005. Il suddetto decreto legislativo n. 17 ha modificato l'articolo 175 del CPP con il seguente nuovo comma 2
"In caso di condanna in contumacia (...), il termine per impugnare la sentenza sarà riaperto, su richiesta dell'imputato, a meno che quest'ultimo non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento [a suo carico] o della sentenza e abbia volontariamente rinunciato a comparire o a impugnare la sentenza". Le autorità giudiziarie effettuano tutte le verifiche necessarie a tali fini.
34. Il suddetto Decreto Legislativo n. 17 ha anche introdotto un paragrafo 2 bis nell'articolo 175 del CPC, che recita come segue
"La richiesta di cui al paragrafo 2 deve essere presentata, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza della sentenza. Nel caso di estradizione dall'estero, il termine per la presentazione della domanda decorre dal momento della consegna dell'imputato [alle autorità italiane] (...)".
IN DIRITTO
I. AMMISSIBILITÀ
A. Rispetto del termine di sei mesi
35. Il Governo ha eccepito il mancato rispetto del termine di sei mesi. Ha fatto presente che il timbro della Corte sul modulo di domanda era datato 29 marzo 2011, mentre la sentenza della Corte di cassazione belga era datata 22 settembre 2010.
36. La Corte ricorda che nella sua giurisprudenza sul rispetto del termine di sei mesi per la presentazione dei ricorsi (Edwards c. Regno Unito (dec.), n. 46477/99, 7 giugno 2001), affinché la data riportata sui documenti della prima comunicazione sia considerata come data di presentazione del ricorso, la posta doveva essere stata spedita entro il giorno successivo a tale data. In caso contrario, la data di presentazione della domanda era la data del timbro postale, non la data riportata sulla lettera o sul modulo di domanda (Arslan c. Turchia (dec.), n. 36747/02, CEDU 2002-X (estratti)).
37. Nel caso in esame, la Corte osserva che il timbro postale indica il 22 marzo 2010. Poiché il timbro postale è autentico, il termine di sei mesi deve essere considerato rispettato e l'obiezione del governo deve quindi essere respinta.
B. Non esaurimento delle vie di ricorso interne
38. Nella misura in cui il ricorso riguardava l'articolo 6 § 1 della Convenzione, il Governo lamentava che il ricorrente non aveva chiesto la riapertura del procedimento in Italia entro trenta giorni dalla sua consegna alle autorità belghe, come previsto dal codice di procedura penale italiano.
39. La Corte osserva che questa eccezione riguarda il procedimento in quanto si è svolto in Italia e non i ricorsi contro le decisioni prese dalle autorità belghe. Questa constatazione è sufficiente per respingere l'obiezione.
C. Conclusione
40. Ritenendo che i reclami sottoposti al suo esame non siano manifestamente infondati ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e che non sollevino altri motivi di irricevibilità, la Corte li dichiara ricevibili.
II. NEL MERITO
A. La presunta violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione
41. Il ricorrente lamentava che le autorità belghe avevano eseguito il MAE in violazione dell'articolo 5 § 1, in quanto il suo arresto non aveva seguito le vie legali. Questa disposizione, nelle sue parti rilevanti, recita come segue:
"Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere privato della propria libertà se non nei seguenti casi e in conformità alla legge:
(...)
(f) in caso di arresto o detenzione legittimi di una persona (...) contro la quale è in corso un procedimento di estradizione (...).
1. Osservazioni delle parti
42. Il ricorrente ha lamentato che i documenti relativi ai mezzi utilizzati dalla polizia belga per localizzarlo e arrestarlo non erano stati inseriti nel fascicolo della Procura e che ciò aveva reso impossibile il controllo della legittimità e della regolarità delle operazioni che avevano preceduto il suo arresto. Ha concluso che, per questo motivo, il suo arresto non era stato eseguito in conformità alla legge ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.
43. Il Governo ha sostenuto che, come hanno affermato i tribunali belgi, l'arresto è stato effettuato nel rispetto delle garanzie procedurali che regolano il lavoro investigativo e gli arresti in relazione all'esecuzione di un MAE. Il fatto che né la rogatoria internazionale né l'ordine di ricerca e localizzazione delle conversazioni telefoniche fossero agli atti della Procura è giustificato dal fatto che potevano contenere informazioni la cui comunicazione avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di terzi.
2. La valutazione della Corte
44. La Corte osserva che la localizzazione e l'arresto del ricorrente in Belgio sono avvenuti in esecuzione di un MAE emesso dalle autorità giudiziarie italiane e trasmesso tramite segnalazione internazionale Schengen.
45. Ha poi osservato che non era contestato tra le parti che l'arresto in questione fosse avvenuto in vista della consegna del ricorrente alle autorità italiane, con la conseguenza che l'articolo 5 § 1 (f) della Convenzione era applicabile nel caso di specie. Ricorda che, per quanto riguarda la "legittimità" della detenzione, compreso il rispetto delle "vie legali", la Convenzione si riferisce essenzialmente all'obbligo di osservare le norme sostanziali e procedurali del diritto nazionale, ma richiede anche che qualsiasi privazione della libertà sia conforme all'obiettivo dell'articolo 5: proteggere l'individuo dall'arbitrio (si veda Saadi c. Regno Unito [GC], n. 13229/03, §§ 67-74, CEDU 2008).
46. Nel caso di specie, ai sensi degli articoli 9 e 10 della legge del 19 dicembre 2003, il MAE emesso dalle autorità giudiziarie italiane e trasmesso tramite segnalazione internazionale Schengen costituiva un mandato d'arresto. La Corte osserva poi, come risulta dal verbale del 4 agosto 2010, che la rogatoria internazionale emessa da queste autorità e convalidata dal giudice istruttore belga chiedeva alla polizia di localizzare i numeri di telefono cellulare e di intercettare il ricorrente. Come ha ricordato la Corte di Cassazione nella sentenza del 22 settembre 2010, la legge belga conferisce alla polizia il compito di ricercare le persone il cui arresto è previsto dalla legge, sequestrarle, arrestarle e metterle a disposizione delle autorità competenti.
47. La Corte osserva inoltre che, come previsto dall'articolo 2 della legge del 20 luglio 1990 sulla detenzione preventiva, il pubblico ministero ha incaricato la polizia, tramite una postilla, di arrestare il ricorrente e di sequestrarlo entrando nel suo luogo di residenza.
48. La Corte ritiene che questi elementi siano sufficienti per ritenere che l'arresto del ricorrente in vista della sua detenzione e della sua consegna alle autorità italiane sia stato effettuato secondo le vie legali ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.
49. È vero che i giudici belgi si sono ritenuti incompetenti a esaminare, nell'ambito dell'esecuzione del MAE (si vedano i paragrafi 19 e 20), i compiti investigativi svolti sulla base di una rogatoria internazionale al fine di localizzare e arrestare il ricorrente. La Corte osserva, tuttavia, che la denuncia del ricorrente non è supportata da prove concrete di un'azione impropria da parte della polizia (cfr. Čonka c. Belgio, n. 51564/99, §§ 41-42, CEDU 2002-I). Ritiene inoltre che, se sono state adottate misure di osservazione, esse non erano correlate all'arresto del ricorrente che ne sarebbe derivato. Ne consegue che la legittimità della privazione della libertà del ricorrente non dipendeva, in assenza di qualsiasi indicazione che ne indicasse l'arbitrarietà, dalla legittimità delle precedenti operazioni di localizzazione e arresto.
50. Infine, la Corte osserva che non è contestato che gli eventi successivi - l'audizione da parte della polizia e l'interrogatorio da parte del giudice istruttore - si siano svolti in conformità con le regole stabilite dalla legge belga.
51. La Corte conclude pertanto che non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione.
B. La presunta violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione
52. Il ricorrente ha lamentato che la sua consegna alle autorità italiane da parte delle autorità belghe in esecuzione del MAE aveva comportato una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita nelle sue parti pertinenti come segue:
"Ogni individuo ha diritto a un equo processo... da parte di un tribunale... che deciderà... sul merito di ogni accusa penale a suo carico".
1. Le osservazioni delle parti
53. Il ricorrente lamentava che le autorità belghe lo avevano consegnato alle autorità italiane senza verificare la legittimità e la regolarità del MAE, che si era basato su una condanna pronunciata dai giudici italiani a seguito di un procedimento in contumacia, in violazione dell'articolo 6 della Convenzione. Ha sostenuto che la procedura italiana in contumacia è un motivo di rifiuto dell'estradizione per diversi Paesi dell'UE, perché la persona arrestata non può più scontare la contumacia, cioè la decisione rimane esecutiva e non è possibile fare appello. In effetti, la Corte stessa ha affermato che il rifiuto di riaprire il procedimento in contumacia in assenza, come nel caso di specie, di qualsiasi indicazione che l'imputato abbia rinunciato al suo diritto di comparire deve essere considerato come un "flagrante diniego di giustizia", che corrisponde al concetto di procedimento "manifestamente contrario alle disposizioni dell'articolo 6 o ai principi in esso sanciti" (Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 84, CEDU 2006-II).
54. Il Governo ha ritenuto che, alla luce delle prove fornite dalla Corte di Cassazione italiana secondo cui la Corte d'Appello di Brescia aveva legittimamente respinto le scuse del ricorrente, e dato che il ricorrente era stato rappresentato dinanzi a tale tribunale da un avvocato, non vi era motivo di ritenere che la sentenza pronunciata contro il ricorrente dalla Corte d'Appello di Brescia fosse stata emessa in violazione dell'articolo 6 § 1, alla luce della giurisprudenza della Corte nella causa Medenica v. Svizzera (n. 20491/92, §§ 56-58, CEDU 2001-VI), e Sejdovic (sopra citata, § 88).
55. Inoltre, nel caso di specie, il giudice belga non aveva alcun potere discrezionale per rifiutare la consegna del ricorrente o per subordinarla alla concessione di garanzie che il ricorrente condannato in contumacia avrebbe avuto la possibilità di chiedere un nuovo processo. Come successivamente confermato dalla giurisprudenza della CGUE (caso Melloni), questo margine è limitato alle situazioni in cui l'interessato non è stato convocato o altrimenti informato della data e del luogo dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in contumacia o non è stato difeso da un legale da lui incaricato a tal fine.
56. Infine, diversi elementi hanno dato ai giudici belgi la certezza che i diritti fondamentali del ricorrente sarebbero stati rispettati in caso di trasferimento: il procedimento in Italia si era concluso sei anni prima e non era stato impugnato dinanzi alla Corte; nella nota del 21 agosto 2010 redatta dalle autorità giudiziarie italiane, si faceva menzione dei rimedi a disposizione del ricorrente ai sensi degli artt. 175 e 670 c.p.p. qualora volesse impugnare lo svolgimento del processo o la sentenza, nonché del termine previsto in caso di estradizione; l'Italia è parte della Convenzione ed è pertanto tenuta ad applicarla.
2. La valutazione della Corte
(a) Principi generali
57. La giurisprudenza della Corte stabilisce che una decisione di espulsione o estradizione può eccezionalmente sollevare una questione ai sensi dell'articolo 6 quando il fuggitivo ha subito o rischia di subire un palese diniego di giustizia nello Stato richiedente. Questo principio è stato affermato per la prima volta nella sentenza Soering c. Regno Unito (7 luglio 1989, § 113, Serie A n. 161) e successivamente confermato in numerosi altri casi (si veda, ad esempio, Mamatkoulov e Askarov c. Regno Unito). Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 90-91, CEDU 2005-I, Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, n. 61498/08, § 149, CEDU 2010, e Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, n. 8139/09, § 258, CEDU 2012 (estratti). Nel caso di specie, questo principio deve essere applicato nel particolare contesto dell'esecuzione da parte di uno Stato membro dell'UE di un MAE emesso dalle autorità di un altro Stato membro dell'UE.
58. A questo proposito, la Corte osserva che la decisione quadro sul MAE si basa su un meccanismo di riconoscimento reciproco che a sua volta si fonda sul principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri dell'UE (cfr. paragrafi 24-29).
59. La Corte è consapevole dell'importanza dei meccanismi di riconoscimento reciproco per la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e della fiducia reciproca che essi richiedono. Il MAE previsto dalla decisione quadro è un'espressione concreta di questo principio di riconoscimento reciproco, nel campo della garanzia della libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il MAE è un mandato d'arresto risultante da una decisione giudiziaria emessa dall'autorità giudiziaria competente di uno Stato membro dell'UE in vista dell'arresto e della consegna, da parte dell'autorità giudiziaria competente di un altro Stato membro, di una persona ricercata ai fini di un procedimento penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza detentiva.
60. La Corte ha indicato il suo impegno per la cooperazione internazionale ed europea. Essa ritiene che la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in Europa e l'adozione dei mezzi necessari a tal fine siano del tutto legittimi ai sensi della Convenzione (si veda, tra l'altro, Avotiņš c. Lettonia [GC], n. 17502/07, § 113, CEDU 2016). Di conseguenza, ritiene che il sistema del MAE non sia di per sé in contrasto con la Convenzione.
61. Detto questo, la Corte ha anche chiarito che le modalità di creazione del MAE non possono essere in contrasto con i diritti fondamentali delle persone interessate (idem, § 114).
62. A questo proposito, la Corte ha ricordato che quando le autorità nazionali attuano il diritto dell'UE senza avere poteri discrezionali, si applica la presunzione di protezione equivalente stabilita nella causa Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi c. Irlanda [GC] (n. 45036/98, CEDU 2005-VI) e sviluppata nella causa Michaud c. Francia (n. 12323/11, CEDU 2012). Questo è il caso in cui i meccanismi di riconoscimento reciproco obbligano il giudice a presumere un sufficiente rispetto dei diritti fondamentali da parte di un altro Stato membro. Come previsto dalla decisione quadro sul MAE, il giudice nazionale sarebbe privato del suo potere di apprezzamento, il che comporterebbe l'applicazione automatica della presunzione di equivalenza (Avotiņš, cit., § 115). Tuttavia, questa presunzione può essere confutata nel contesto di un determinato caso (cfr. Bosphorus, sopra citato, § 456, e Michaud, sopra citato, § 103). Anche se intende tenere conto, in uno spirito di complementarietà, del modo in cui funzionano gli accordi di riconoscimento reciproco e, in particolare, del loro obiettivo di efficienza, la Corte deve verificare che il principio del riconoscimento reciproco non sia applicato automaticamente e meccanicamente, a scapito dei diritti fondamentali (Avotiņš, sopra citata, § 116).
63. In questo spirito, quando i giudici di Stati che sono al tempo stesso parti della Convenzione e membri dell'UE sono chiamati ad applicare un meccanismo di riconoscimento reciproco istituito dal diritto dell'UE, come quello previsto per l'esecuzione di un MAE emesso da un altro Stato europeo, è in assenza di una manifesta inadeguatezza dei diritti tutelati dalla Convenzione che essi danno piena attuazione a tale meccanismo (idem, § 116).
64. D'altro canto, se ricevono un reclamo serio e circostanziato in cui si afferma che vi è una manifesta inadeguatezza nella tutela di un diritto garantito dalla Convenzione e che il diritto dell'UE non vi pone rimedio, non possono astenersi dall'esaminare tale reclamo per il solo motivo che stanno applicando il diritto dell'UE (idem, § 116). Spetta a loro leggere e applicare le norme del diritto dell'UE in conformità con la Convenzione.
b) Applicazione nel caso di specie
65. 65. Nel caso di specie, il ricorrente è stato trattenuto sulla base di un MAE emesso dalle autorità italiane il 27 luglio 2010 in vista dell'esecuzione di una pena detentiva a cui era stato condannato a seguito di un procedimento conclusosi con una sentenza della Corte di Cassazione italiana del 23 maggio 2003.
66. Secondo il sistema stabilito dalla decisione quadro sul MAE, e come ricordato dai giudici belgi, spettava all'autorità giudiziaria che aveva emesso il mandato e a cui il richiedente doveva essere consegnato, in questo caso le autorità giudiziarie italiane, valutare la legittimità e la regolarità del MAE. Per quanto riguarda il Belgio, la Procura belga non aveva alcun potere di valutazione sull'adeguatezza dell'arresto e i tribunali belgi competenti potevano rifiutarne l'esecuzione solo per i motivi previsti dalla legge belga sul MAE del 19 dicembre 2003 (cfr. paragrafo 30).
67. Alla luce dei principi generali sopra ricordati, la Corte ritiene che il controllo effettuato dalle autorità belghe, così limitato, non sollevi di per sé alcun problema con la Convenzione, dal momento che i giudici belgi hanno esaminato il merito dei reclami del ricorrente ai sensi della Convenzione. Hanno quindi verificato se l'esecuzione del MAE non abbia dato luogo, nel caso del ricorrente, a una manifesta inadeguatezza della tutela dei diritti garantiti dalla Convenzione.
68. Il ricorrente ha sostenuto che, consegnandolo alle autorità italiane quando era stato condannato in contumacia e l'ordinamento giuridico italiano dell'epoca non gli garantiva, con un sufficiente grado di certezza, la possibilità di difendersi in un nuovo processo, le autorità belghe avevano avallato una situazione contraria alla Convenzione.
69. La Corte ricorda che anche nel citato caso Sejdovic, a cui entrambe le parti fanno riferimento, il ricorrente era stato processato in contumacia e non aveva ricevuto alcuna informazione ufficiale sulle accuse o sulla data del suo processo. Inoltre, era stato processato da una corte d'assise davanti alla quale non era rappresentato. Tutte queste circostanze hanno indotto la Corte a verificare se il ricorrente avesse deciso di rinunciare al suo diritto di comparire o di sottrarsi alla giustizia, e ad accertare se il diritto interno gli offrisse, con un sufficiente grado di certezza, la possibilità di ottenere un nuovo processo, in sua presenza dopo averlo ascoltato nel rispetto dei diritti della difesa, sul merito delle accuse a suo carico. Avendo concluso che questo non era il caso, la Corte ha riscontrato una violazione dell'articolo 6 della Convenzione (idem, §§ 105-106).
70. La Corte osserva che l'articolo 7 della legge belga sul MAE del 19 dicembre 2003, conformemente all'articolo 5, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI prima della sua modifica con la decisione quadro 2009/299/GAI, prevedeva la possibilità che il giudice belga rifiutasse l'esecuzione del MAE se il richiedente si fosse trovato nella situazione condannata dalla Corte nel caso Sejdovic. Tuttavia, come ha constatato la Divisione d'accusa della Corte d'appello di Bruxelles nella sentenza del 9 settembre 2010 (cfr. paragrafo 19), questo non era il caso in questione. Il ricorrente era stato ufficialmente informato della data e del luogo del processo davanti alla Corte d'appello di Brescia. Era stato inoltre assistito davanti alla Corte d'appello e difeso da un avvocato da lui stesso nominato, che lo aveva difeso anche in primo grado e la cui difesa si era peraltro rivelata efficace, in quanto aveva portato a una riduzione della pena (cfr. paragrafo 8 supra).
71. Questi elementi sono sufficienti alla Corte per ritenere che, nel caso di specie, l'attuazione del MAE da parte dei giudici belgi non sia stata viziata da una manifesta inadeguatezza in grado di confutare la presunzione di protezione equivalente di cui gode sia il sistema del MAE, come definito dalla decisione quadro e chiarito dalla giurisprudenza della CGUE, sia la sua attuazione nel diritto belga nel caso specifico del ricorrente. Per le stesse ragioni, la Corte conclude che la consegna del ricorrente alle autorità italiane non può essere considerata come basata su un processo che costituisce un palese diniego di giustizia.
72. Di conseguenza, la consegna del ricorrente non violava l'articolo 6 § 1 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITÀ
1. Dichiara la domanda ammissibile;
2. Ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione;
3. Ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese e notificato per iscritto il 17 aprile 2017, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Stanley NaismithRobert Spano
RegistrarPresidente