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Litigiosità non permette minacce (Cass. 50946/19)

20 dicembre 2019, Cassazione penale

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La minaccia, reato di pericolo, va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto: non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie.

In tema di risarcimento del danno, la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 13 settembre – 17 dicembre 2019, n. 50946
Presidente Scarlini – Relatore Riccardi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 18/09/2018 il Tribunale di Reggio Emilia ha confermato l'affermazione di responsabilità pronunciata dal locale Giudice di Pace nei confronti di En. Gh. per i reati di percosse (capo B, così riqualificato, in parziale riforma, il contestato reato di lesioni personali) e di minaccia (capo C), riducendo, in parziale riforma, la multa inflitta e la condanna al risarcimento dei danni morali.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di En. Gh., Avv. Do. No. Bu., che ha dedotto due motivi di ricorso.

2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 612 cod. pen.: le espressioni pronunciate erano prive di reale efficacia minacciosa, e la sentenza impugnata ha omesso di considerare, a tale fine, il contesto nel quale sono maturati i fatti, la conflittualità pregressa, il fatto che l'imputata fosse stata provocata, ingiuriata e anche schiaffeggiata dalla persona offesa, che aveva reagito con un sorriso alle frasi pronunciate; sicché l'idoneità della minaccia non può essere astratta ed avulsa dalla considerazione del contesto, e dell'offensività concreta del fatto, altrimenti non sussisterebbe differenza tra il fatto penalmente rilevante, la minaccia grossolana e l'espressione triviale.

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 185 cod. pen., 1226 cod. civ., e 538 cod. proc. pen.: lamenta che il danno non patrimoniale sia stato liquidato mediante valutazione equitativa, nonostante non vi sia prova dell'esistenza dello stesso, anche in considerazione della dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dalle sentenze di merito, il reato di minaccia (capo B) è stato commesso l'11.9.2012, nell'ambito di un litigio determinato dalla violenta presa per l'orecchio, da parte della persona offesa Ja. Ma. Be., in danno del figlio di En. Gh., poiché costui aveva urtato con la sua bicicletta l'auto della donna; nell'ambito di tale contesto conflittuale, l'odierna ricorrente aveva pronunciato le espressioni minacciose compendiate nell'imputazione ("ti spacco la testa! Vedrai cosa ti faccio! Questa storia non finisce qua. Vattene via"); successivamente, il 22.9.2012, l'imputata percuoteva la Ja., cagionandole la rottura degli occhiali.

3. Ciò posto, le doglianze proposte con il primo motivo, concernenti l'asserita carenza di offensività delle espressioni minacciose, in considerazione del contesto reciprocamente litigioso e della provocazione della persona offesa, sono manifestamente infondate.

Al riguardo, è infatti pacifico che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 612 cod. pen., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicché non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie (Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Bernasconi, Rv. 27581902; Sez. 5, n. 45502 del 22/04/2014, Scognamillo, Rv. 261678: "Nel reato di minaccia, elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante, invece, l'indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente").
Nel caso in esame, irrilevanti, quanto meno ai fini della sussistenza del reato di minaccia, le provocazioni, le ingiurie e gli schiaffi della persona offesa, le espressioni pronunciate dall'odierna ricorrente risultano obiettivamente intimidatorie, tenuto altresì conto del contestuale contegno materiale serbato dalla En. Gh., che si era proiettata con le mani alzate sulla contendente, e del quadro conflittuale violento nel quale sono maturati i fatti, dopo alcuni giorni culminati in una colluttazione fisica.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di liquidazione del danno morale, la relativa valutazione del giudice, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170), ed é dunque censurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se essa difetti totalmente di giustificazione o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza o sia radicalmente contraddittoria (Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, R.C. Istituto Città Studi, Baldini, Rv. 257123).
Ne consegue che, in tema di risarcimento del danno, la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento (Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B, Rv. 274229; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 263450); inoltre, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l'obbligo di espressa motivazione quando, per la sua non particolare rilevanza, l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile (Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017, Mazzella, Rv. 269882).
Nel caso in esame, la condanna al risarcimento per i danni morali è stata, in parziale accoglimento dell'appello, ridotta ad Euro 500,00, sulla base della efficacia intimidatoria delle espressioni - alle quali la persona offesa aveva replicato con un sorriso - e delle conseguenze della colluttazione fisica, che, pur senza integrare una malattia rilevante ai sensi dell'art. 582 cod. pen., erano state integrate da graffi e dalla rottura degli occhiali della vittima.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.