Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Litigare per figli e spesa .. non è reato (Cass. 21115/23)

17 maggio 2023, Cassazione penale

Richiami al risparmio e critiche costanti anche con espressioni volgari non costituiscono reato, soprattuto se vi è forte conflittualità.

L’assenza di condotte violente, umilianti o vessatorie si configura in considerazione del quadro familiare, connotato da contrasti reciproci, alimentati da una accesa conflittualità e da disparità di vedute sia nella gestione delle spese necessarie per le esigenze familiari che nell’educazione dei due figli minori.

I litigi della coppia non sono quini reato, ma manifestazione di una reciproca conflittualità, e non di vessazioni unilaterali ai danni della donna: le offese non hanno mai avuto finalità denigratorie ma espressione della abitudine al turpiloquio, inserendosi in litigi in cui anche la persona offesa ricambiava le offese al marito

 

 

Cassazione penale

 sez. VI, ud. 13 aprile 2023 (dep. 17 maggio 2023), n. 21115
Presidente Di Stefano – Relatore Amoroso

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Taranto, con sentenza in data 15 luglio 2021, assolveva D.D. dal reato di sottrazione di minori ascritto al capo A) e lo condannava per il reato di maltrattamenti in famiglia ascritto al capo B) alla pena di un anno e mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Con il provvedimento indicato epigrafe, sull'appello dell'imputato, la Corte d'appello riformava la sentenza di primo grado assolvendo il D. anche dal reato di maltrattamenti perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.

2. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione ai soli effetti civili la difesa della parte civile, la quale articolava le seguenti censure.

2.1. Vizio della motivazione per carenza di motivazione in ordine alla valutazione delle fonti di prova ed in particolare della deposizione della persona offesa, che è stata ritenuta inattendibile sulla base di considerazioni illogiche, che hanno irragionevolmente svilito la rilevanza, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti, degli insulti e delle umiliazioni subite dalla persona offesa.

Al riguardo si osserva che è del tutto verosimile che il D. possa aver minacciato la moglie perché inizialmente contrario alla separazione, e che l'abbia poi invece incoraggiata a separarsi dopo aver preso atto della impossibilità di proseguire il rapporto, anche per i contrasti con i figli.

Quanto, poi, alla reciprocità delle offese, si obietta che le condotte maltrattanti erano di esclusivo appannaggio del D. per le umiliazioni inferte alla moglie privandola del denaro necessario per le esigenze personali e familiari, ed impedendole di vedere i figli.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.

È principio ormai consolidato quello secondo cui, mentre la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo allorché le decisioni di primo e secondo grado siano tra loro concordanti, nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti o a cagione delle nuove acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse, costui non può limitarsi ad argomentare attraverso espressioni di mera critica o dissenso essendo necessario un attento riesame del materiale probatorio già sottoposto al vaglio del primo giudice in uno a quello, se del caso, sfuggito alla delibazione e quello ulteriormente acquisito, per modulare una compiuta motivazione idonea a supportare li diverse conclusioni cui si giunge (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musimeci, Rv. 191229).

Sicché anche nel caso in cui il giudice d'appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Troise, Rv. 272430).

Anche alla stregua di tale principio di diritto, la valutazione del compendio probatorio operata da parte del Giudice di appello appare inattaccabile, in difetto dell'allegazione di atti contrari rispetto ai dati di fatto ritenuti accertati, idonei a ravvisare un travisamento delle prove dichiarative e documentali poste a fondamento della decisione di riforma.

La Corte ha ritenuto non sufficientemente provati i fatti per la ridotta attendibilità della persona offesa in ragione delle contraddizioni emerse dalla sua deposizione e per l'assenza di condotte violente, umilianti o vessatorie, in considerazione del quadro familiare connotato da contrasti reciproci, alimentati da una accesa conflittualità e da disparità di vedute nella gestione sia delle spese necessarie per le esigenze familiari e sia per l'educazione dei due figli minori.

In particolare, è stato osservato che: i) i litigi della coppia sono manifestazione di una reciproca conflittualità e non di vessazioni unilaterali ai danni della persona offesa; ii) le offese verbali non hanno mai avuto finalità denigratorie ma sono espressione dell'abituale abitudine al turpiloquio, e si inseriscono in litigi in cui anche la persona offesa ricambiava le offese al coniuge; iii) i due figli D.M. e DI.MA. - nati rispettivamente nel […] e nel […] hanno descritto il rapporto pessimo con la madre, considerata una provocatrice, ed hanno parlato di dissidi reciproci dovuti soprattutto al comportamento della madre; iiii) i contrasti erano dovuti alle modalità di gestione delle risorse familiari, poiché la moglie lamentava che il coniuge le faceva pesare ogni spesa, quindi si tratta di litigi insorti per questioni economiche e non originati dalla volontà dell'imputato di arrecare umiliazioni, ma conseguenza di semplici divergenze di vedute.

Infine, la testimonianza rese dalla persona offesa, è stata accuratamente e puntualmente riesaminata dalla Corte di appello, che ne ha evidenziato le contraddizioni emergenti dalla descrizione confusa di accadimenti della vita in comune, da cui emerge una forte contrapposizione non solo con l'imputato ma anche con i figli descritti dalla persona offesa come coalizzati in favore del padre, per il riferimento contraddittorio da un lato ad un progetto comune ai figli di indurre il suo allontanamento spontaneo dal nucleo familiare ("...istigatela così la mandiamo via") e dall'altro a minacciarla ove avesse deciso di separarsi ("se mi lasci ti tolgo i figli…).

Quindi, in considerazione delle valutazioni in merito alla ridotta attendibilità della persona offesa, le contrarie valutazioni del ricorrente circa la piena attendibilità della persona offesa si risolvono nell'inammissibile prospettazione di una lettura alternativa delle prove, non sindacabili in sede di legittimità in difetto di obiettivi travisamenti delle prove, e tenuto conto che il raffronto con la sentenza di primo grado evidenzia la scrupolosa confutazione di ogni argomento contrario a supporto della ravvisata insufficienza del compendio probatorio rispetto al grado di certezza che deve caratterizzare una affermazione di responsabilità.

Ugualmente generiche sono le ulteriori censure mosse rispetto alla unilateralità delle offese, essendo i litigi dovuti a contrasti e difformità di vedute sulla gestione delle spese familiari e sull'educazione dei figli, senza una descrizione di fatti effettivamente indicativi di condotte vessatorie e umilianti, in ragione della loro irrilevanza sotto il profilo dei maltrattamenti, non avendo la stessa persona offesa mai lamentato di essere stata privata del denaro necessario per il mantenimento proprio e dei figli, ma sostanzialmente criticato un regime di spesa eccessivamente orientato al risparmio.

Il ricorso si limita nel suo complesso a riproporre in modo inammissibile la propria prospettazione dei fatti, senza confrontarsi con le valutazioni della Corte territoriale in punto di reciprocità delle offese, di assenza di comportamenti abituali di sopraffazione anche per la natura dei litigi privi di rilevanza penale se non per le reciproche ingiurie.

Va ricordato che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).

In conclusione, si ritiene che la motivazione della sentenza impugnata, risultata conforme alla valutazione del compendio probatorio in difetto dell'allegazione di atti contrari rispetto ai dati di fatto ritenuti accertati, idonei a ravvisare un travisamento delle prove dichiarative e documentali poste a fondamento della decisione, non possa essere censurata in questa sede essendo precluso un nuovo apprezzamento della attendibilità delle testimonianze e delle altre risultanze documentali, proprio della fase di merito.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente fissata in Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Infine, va osservato in considerazione di tale esito decisorio, che trattandosi di giudizio di impugnazione per soli interessi civili promosso con ricorso presentato prima della entrata in vigore del nuovo comma 1-bis dell'art. 573 c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 33, comma 1, lett. a), non assume rilevanza stabilire nel caso concreto se trovi applicazione detta normativa che stabilisce che "Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".

Sul punto va osservato che in assenza di disciplina transitoria, la questione se debba trovare applicazione la normativa vigente al momento della pronunzia della sentenza impugnata, o se debba assumere rilievo il momento in cui deve essere assunta la decisione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

Ma tale questione non assume ovviamente rilievo nel caso in cui, come nel presente giudizio, si ravvisi l'inammissibilità dell'impugnazione, essendo previsto il rinvio per la prosecuzione davanti alla competente sezione civile solo se il ricorso non risulti inammissibile.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.