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Licenza di mentire? (Cass. 8421/19)

26 febbraio 2019, Cassazione penale

Le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria od amministrativa non sono punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell’ottica dell’accoglimento della domanda proposta quand’anche esse non, siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell’argomentazione.

Non è necessario che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione.

 

Corte di Cassazione

sez. V Penale, sentenza 23 gennaio – 26 febbraio 2019, n. 8421
Presidente Morelli – Relatore Borrelli

Ritenuto in fatto

1. La sentenza che questa Corte è oggi chiamata a giudicare è stata pronunziata dal Tribunale di Milano, quale Giudice di appello avverso la pronunzia del locale Giudice di pace che aveva condannato G.R. per diffamazione ai danni dell’Avvocato C.L. ; la diffamazione era consistita nell’attribuirgli condotte offensive della sua reputazione professionale nel corpo di un "ricorso in prevenzione" presentato presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano per contestare alcuni crediti professionali vantati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato.

2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando quattro motivi.

2.1. Il primo motivo lamenta erronea applicazione di legge penale per avere il Giudice di pace prima ed il Tribunale poi ritenuto che il ricorso in prevenzione fosse destinato ad essere letto da più persone, mentre si tratta solo di una richiesta di audizione nel caso in cui l’avvocato domandi all’ordine professionale la liquidazione della propria parcella, richiesta destinata ad essere esaminata solo dal consigliere delegato; nel caso di specie, dato che l’Avv. C. non aveva chiesto alcuna liquidazione, il ricorso in prevenzione era destinato a non essere esaminato da nessuno.

2.2. Il secondo dei motivi di ricorso, denunziando vizio di motivazione e violazione di legge, verte sulla mancata applicazione della scriminante di cui all’art. 598 c.p., per avere il Tribunale illogicamente ritenuto che le condotte attribuite al C. nel ricorso in prevenzione non sarebbero pertinenti al mandato professionale, mentre si riferivano proprio a quest’ultimo.

2.3. Illogica sarebbe altresì la motivazione nel punto in cui sostiene che i fatti descritti nel ricorso in prevenzione non sarebbero veri perché, all’atto di impulso dell’imputato, non era seguito un addebito disciplinare, dal momento che detto ricorso non è diretto all’instaurazione di un procedimento disciplinare, ma solo ad ottenere una convocazione in caso di richiesta di liquidazione da parte del professionista.

2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge perché l’entità del risarcimento era stata determinata in maniera spropositata.

3. Il 21 gennaio 2019, il difensore della parte civile ha depositato note di udienza, sostenendo che il ricorso sia la mera riproposizione dei motivi di appello, che vi sia stata comunicazione con più persone e che, per contestare una parcella, non si possono utilizzare argomentazioni false.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 598 c.p..

Detta disposizione concerne le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria od amministrativa, non punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell’ottica dell’accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, dep. 2017, Carpinelli, Rv. 269075 - 01; Sez. 5, n. 12057 del 23/09/1998, Lamendola A, Rv. 214354-01), quand’anche esse non siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell’argomentazione (Sez. 5, n. 6495 del 28/01/2005, Bonazzi, Rv. 231428 - 01). Deve essere esclusa, invece, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione (Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016, cit.; Sez. 5, n. 40452 del 21/09/2004, Ummarino ed altro, Rv. 230063).

Tanto premesso, si ritiene che la disposizione dell’art. 598 c.p. possa senz’altro trovare applicazione nel caso di specie, laddove il ricorrente era parte (tale qualifica viene peraltro data per scontata dal Giudice monocratico), sia pure potenziale, nell’eventuale giudizio di verifica presso il Consiglio dell’Ordine circa la congruità della parcella dell’Avv. C. , che si sarebbe attivato concretamente laddove questi avesse assunto l’iniziativa di richiederne il parere.

Non può, al contrario, trovare applicazione nella specie la giurisprudenza che esclude la possibilità di applicare l’art. 598 c.p. in caso di esposti disciplinari al Consiglio dell’Ordine, dal momento che si tratta di una situazione diversa da quella sub iudice.

Invero, correttamente, in quest’ultimo caso, l’esegesi di legittimità ha escluso che, data la struttura e le regole in rito del procedimento che si apre con la sollecitazione disciplinare, l’autore di quest’ultima vi partecipi e possa, quindi, considerarsi "parte" (per un’ottima ricostruzione delle ragioni in rito di tale conclusione, cfr. Sez. 5, n. 39486 del 06/07/2018, Ruggieri, Rv. 273888 - 01); si tratta, con ogni evidenza, di una situazione diversa da quella di chi attivi un ricorso in prevenzione, giacché quest’ultimo pone la condizione per una futura interlocuzione del cliente con il C.O.A. nel caso di richiesta di liquidazione da parte dell’avvocato, nell’ambito di un procedimento di cui il richiedente può dirsi senza dubbio parte.

Chiarito questo aspetto occorre affrontarne un altro, che costituisce il punctum dolens della sentenza impugnata, laddove quest’ultima ha escluso l’applicabilità dell’art. 598 c.p. assumendo non esservi pertinenza tra le argomentazioni adoperate nel ricorso in prevenzione a firma del G. e la contestazione del credito professionale dell’Avv. C. .

In particolare, a pag. 3, il Giudice monocratico ha ritenuto che l’aver lamentato che l’avvocato C. avesse disatteso promesse professionali, fosse venuto meno agli accordi in merito ai suoi onorari ed avesse abbandonato la difesa, fosse esorbitante rispetto alla contestazione della parcella.

A pag. 5 della sentenza impugnata, il Tribunale ha poi reputato che le frasi contenute nel ricorso fossero inconferenti rispetto alla contestazione del credito professionale anche nella parte in cui rappresentavano che la persona offesa, in fase di primo approccio con l’imputato, aveva criticato l’operato del precedente difensore ed aveva prospettato una migliore esecuzione del mandato in caso di conferimento dell’incarico, anche adducendo amicizie con il custode del marchio del G. , infine giustificando il mancato successo delle iniziative giudiziarie sotto il suo patrocinio sulla scorta di un presunto intervento della sacra corona unita.

Ebbene, il Collegio, diversamente opinando rispetto al Giudice di merito, ritiene che le espressioni contenute nel ricorso in prevenzione siano pertinenti e funzionali allo scopo cui esso tendeva, vale a dire quello di contestare preventivamente il credito professionale del difensore. È evidente che, rispetto a questo obiettivo, la spiegazione, nel ricorso in prevenzione, delle ragioni per le quali G. era stato indotto a scegliere l’Avv. C. , l’illustrazione delle prospettazioni di quest’ultimo in ordine alle possibilità di successo delle iniziative da intraprendere, le modalità di espletamento del mandato e le giustificazioni circa l’esito infausto delle azioni giudiziarie costituivano senz’altro temi di stretta pertinenza agli stessi scopi per cui era stata assunta l’iniziativa presso il C.O.A., in quanto indicatori che potevano guidare il Consiglio dell’Ordine nella valutazione della congruità del compenso in rapporto al concreto atteggiarsi del professionista nell’esercizio dello svolgimento del compito affidatogli dal cliente.

A ciò consegue, come sopra anticipato, che - assorbite le altre censure - la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.