Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Legittimo vietare velo sul lavoro se ... (CGUE, 344/20)

13 ottobre 2022, Corte di Giustizia dell'Unione Europea

La direttiva 2000/78 antidiscriminazione non impedisce al datore di lavoro di vietare ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituendo, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata.

L'espressione «religione o (...) convinzioni personali» contenuta nella direttiva costituisce un solo e unico motivo di discriminazione che comprende tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali.

Corte di giustizia dell'Unione europea

sentenza 13 ottobre 2022, causa C-344/20, (ECLI:EU:C:2022:774)

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 1, dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), e dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).

2        Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra L.F., ricorrente nel procedimento principale, e S.C.R.L., resistente nel procedimento principale – una società cooperativa a responsabilità limitata la cui attività principale consiste nella locazione e nella gestione di alloggi popolari – in merito alla mancata presa in considerazione della candidatura spontanea della ricorrente nel procedimento principale a un tirocinio in seguito al rifiuto di quest'ultima di rispettare il divieto imposto da S.C.R.L. ai suoi dipendenti di manifestare, segnatamente mediante l'abbigliamento, le loro convinzioni religiose, filosofiche o politiche.

Contesto normativo

 Direttiva 2000/78

3        I considerando 1, 4, 11 e 12 della direttiva 2000/78 recitano:

«(1)      Conformemente all'articolo 6 [TUE], l'Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti gli Stati membri e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [c]onvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto [dell'Unione].

(...)

(4)      Il diritto di tutti all'uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla [d]ichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai patti delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e dalla [c]onvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari. La [c]onvenzione n. 111 dell'Organizzazione internazionale del lavoro proibisce la discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

(...)

(11) La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato [FUE], in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone.

(12)      Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta [l'Unione] (...)».

4        L'articolo 1 di tale direttiva così dispone:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5        L'articolo 2 di detta direttiva così prevede:

«1.      Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)      tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (...)

(...)

5.      La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».

6        L'articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva recita:

«Nei limiti dei poteri conferiti all['Unione], la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(...)

c)      all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

(...)».

7        Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78:

«Gli Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste nella presente direttiva».

Diritto belga

8        La loi du 10 mai 2007 tendant à lutter contre certaines formes de discrimination (legge del 10 maggio 2007 sulla lotta a talune forme di discriminazione; Moniteur belge del 30 maggio 2007, pag. 29016), nella versione applicabile alla controversia principale (in prosieguo: la «legge generale contro la discriminazione») è diretta a recepire la direttiva 2000/78 nel diritto belga.

9        L'articolo 3 di tale legge così dispone:

«La presente legge mira a stabilire, nelle materie menzionate all'articolo 5, un quadro generale per combattere la discriminazione basata sull'età, sull'orientamento sessuale, sullo stato civile, sulla nascita, sul patrimonio, sulle convinzioni religiose o filosofiche, sulle convinzioni politiche, sulla lingua, sullo stato di salute attuale o futuro, su una disabilità, su una caratteristica fisica o genetica o sull'origine sociale».

10      L'articolo 4 di detta legge, che verte sulle definizioni, recita:

«Ai fini dell'applicazione della presente legge, si deve intendere per:

(...)

4°      criteri protetti: l'età, l'orientamento sessuale, lo stato civile, la nascita, il patrimonio, le convinzioni religiose o filosofiche, le convinzioni politiche, la lingua, lo stato di salute attuale o futuro, una disabilità, una caratteristica fisica o genetica, l'origine sociale;

(...)

6°      distinzione diretta: la situazione che si verifica quando, sulla base di uno dei criteri protetti, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione paragonabile;

7°      discriminazione diretta: distinzione diretta, basata su uno dei criteri protetti, che non può essere giustificata sulla base delle disposizioni del titolo II;

(...)».

11      L'articolo 5, paragrafo 1, della medesima legge dispone quanto segue:

«Ad eccezione delle materie di competenza delle Comunità o delle Regioni, la presente legge si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli enti pubblici (...)».

12      L'articolo 7 della legge generale contro la discriminazione recita:

«Ogni distinzione diretta basata su uno dei criteri protetti costituisce discriminazione diretta, a meno che tale distinzione diretta sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e che i mezzi per raggiungere tale finalità siano idonei e necessari».

13      L'articolo 8, paragrafo 1, di detto regolamento stabilisce quanto segue:

«In deroga all'articolo 7, e fatte salve le altre disposizioni del presente titolo, una distinzione diretta basata sull'età, sull'orientamento sessuale, sulle convinzioni religiose o filosofiche, o su una disabilità nei settori di cui all'articolo 5, paragrafi 1°, 4°, 5º, e 7º, può essere giustificata unicamente da esigenze professionali essenziali e determinanti».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14      Il 14 marzo 2018, nell'ambito della sua formazione professionale in (..), la ricorrente nel procedimento principale, che è di confessione musulmana e indossa il velo islamico, ha presentato una candidatura spontanea a S.C.R.L. al fine di svolgervi un tirocinio non retribuito di sei settimane.

15      Il 22 marzo 2018 la ricorrente nel procedimento principale è stata ricevuta per un colloquio con i responsabili di S.C.R.L., al termine del quale questi ultimi hanno comunicato di avere un parere positivo quanto alla sua candidatura e le hanno chiesto se potesse accettare di conformarsi alla regola di neutralità promossa in seno a S.C.R.L.

16      In base a tale regola, stabilita nel regolamento aziendale di S.C.R.L., «[i] dipendenti si impegnano a rispettare la politica di rigorosa neutralità vigente all'interno dell'azienda» e tali dipendenti «non dovranno pertanto manifestare in alcun modo, né verbalmente, né con un particolare abbigliamento o in altro modo, le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche, di qualsiasi tipo».

17      La ricorrente nel procedimento principale ha comunicato ai responsabili di S.C.R.L. che si sarebbe rifiutata di rimuovere il suo velo e di conformarsi a detta regola di neutralità.

18      Poiché non è stato dato seguito alla sua candidatura, nell'aprile 2018 la ricorrente nel procedimento principale ha reiterato la sua domanda di tirocinio presso S.C.R.L., proponendo di indossare un diverso tipo di copricapo. In risposta a tale comunicazione, S.C.R.L. l'ha informata che non poteva esserle offerto un tale tirocinio, in quanto al suo interno non era consentito l'uso di alcun copricapo, che si trattasse di un cappello, di un berretto, o di un velo.

19      Nel maggio 2019, dopo aver segnalato una discriminazione presso l'ente pubblico indipendente competente per la lotta contro la discriminazione e dopo scambi di corrispondenza tra tale organismo e S.C.R.L., la ricorrente nel procedimento principale ha adito il giudice del rinvio con un'azione inibitoria. Con tale azione, essa lamenta la mancata conclusione di un contratto di tirocinio, che essa ritiene direttamente o indirettamente fondata sulla convinzione religiosa, e mira ad ottenere la constatazione di una violazione, da parte di S.C.R.L., in particolare, delle disposizioni della legge generale contro la discriminazione.

20      Dinanzi al giudice del rinvio, S.C.R.L. fa valere, basandosi sulla sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C 157/15, EU:C:2017:203), che il suo regolamento di lavoro non genera una discriminazione diretta, poiché tratta in maniera identica tutti i dipendenti dell'impresa, imponendo loro, in maniera generale ed indiscriminata, segnatamente, una neutralità di abbigliamento che osta all'uso di segni visibili delle loro convinzioni religiose, filosofiche o politiche.

21      Il giudice del rinvio, pur essendo a conoscenza dell'esistenza delle sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C 157/15, EU:C:2017:203), nonché del 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH (C 188/15, EU:C:2017:204), ritiene che l'interpretazione della nozione di «discriminazione diretta» adottata dalla Corte nella prima di tali sentenze «ponga un problema serio». Tra le esitazioni menzionate da tale giudice figura quella della valutazione della comparabilità delle situazioni che rientra nella competenza dei giudici nazionali. Occorrerebbe infatti distinguere chiaramente, da un lato, il potere d'interpretazione, che appartiene alla Corte e, dall'altro, l'applicazione del diritto ai fatti di causa, che ricade nella competenza esclusiva del giudice nazionale adito. Nella sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C 157/15, EU:C:2017:203), la Corte si sarebbe fondata sulla constatazione di un'applicazione generale ed indiscriminata della regola interna che vieta di indossare in modo visibile segni politici, filosofici o religiosi sul luogo di lavoro, ma non avrebbe escluso che, sulla base di elementi di cui non disponeva, l'applicazione di tale regola all'interessata potesse essere diversa dalla sua applicazione a qualsiasi altro dipendente. Poiché il dispositivo di tale sentenza non riproduce tale importante sfumatura, si porrebbe la questione se sussista ancora un margine di discrezionalità per il giudice nazionale o se quest'ultimo sia privato di ogni possibilità di valutare in concreto la comparabilità delle situazioni quando si tratta di esaminare il carattere discriminatorio di una regola interna di un'impresa privata che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso sul luogo di lavoro.

22      Il giudice del rinvio si chiede inoltre se la Corte, nelle sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C 157/15, EU:C:2017:203), nonché del 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH (C 188/15, EU:C:2017:204), abbia inteso istituire un solo criterio protetto, costituito dalle convinzioni religiose, dalle convinzioni filosofiche e dalle convinzioni politiche, cosicché non sarebbe necessario distinguere tra tali criteri. Ciò equivarrebbe ad interpretare l'articolo 1 della direttiva 2000/78 nel senso che la «religione o le convinzioni personali», ai sensi di tale articolo, sono le due facce di un solo e medesimo criterio protetto. Orbene, se la religione dovesse essere messa allo stesso livello delle convinzioni personali diverse da quelle religiose, ciò ridurrebbe significativamente l'ambito di ricerca della persona di riferimento ai fini dell'esame della comparabilità delle situazioni nel contesto della valutazione dell'esistenza di una discriminazione diretta. Infatti, ciò vorrebbe dire che, in presenza di una regola interna come quella di cui trattasi nella controversia principale, un dipendente che si richiama a una convinzione religiosa non può essere comparato a un dipendente animato da convinzioni filosofiche o politiche. Un quesito del genere ne solleverebbe un altro, ossia se disposizioni nazionali che accordano una protezione separata alle convinzioni religiose, alle convinzioni filosofiche e alle convinzioni politiche e mirano così a rafforzare il grado di tale protezione sottolineando le specificità di ciascuna di esse nonché una maggiore visibilità delle stesse, possano essere considerate, «per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste nella [direttiva 2000/78]», ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di quest'ultima. Infine, il giudice del rinvio rileva un certo numero di criteri di fatto che ritiene pertinenti per stabilire se una differenza di trattamento costituisca una discriminazione diretta.

23      Di conseguenza, il tribunal du travail francophone de Bruxelles (Tribunale del lavoro di Bruxelles di lingua francese, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l'articolo 1 della direttiva [2000/78] debba essere interpretato nel senso che la religione e le convinzioni personali sono i due aspetti di uno stesso criterio protetto o, al contrario, che la religione e le convinzioni personali costituiscono criteri distinti, essendovi, da un lato, quello della religione, che ricomprende la convinzione ad essa collegata, e dall'altro, le convinzioni personali, di qualsiasi tipo.

2)      Nel caso in cui l'articolo 1 della direttiva [2000/78] debba essere interpretato nel senso che la religione e le convinzioni personali sono due aspetti dello stesso criterio protetto, se ciò osti a che, sulla base dell'articolo 8 della stessa direttiva e al fine di evitare un abbassamento del livello di tutela contro la discriminazione, il giudice nazionale continui ad interpretare una norma di diritto interno come quella dell'articolo 4, paragrafo 4, della [legge generale contro la discriminazione], nel senso che le convinzioni religiose, filosofiche e politiche costituiscono criteri protetti distinti.

3)      Se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78] possa essere interpretato nel senso che la regola contenuta nel codice disciplinare di un'impresa che vieta ai lavoratori di “manifestare in alcun modo, né verbalmente, né con un particolare abbigliamento o in altro modo, le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche di qualsiasi tipo” costituisca una discriminazione diretta, laddove l'attuazione concreta di tale regola interna lasci ritenere che ricorra una delle seguenti ipotesi:

a)      la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione indossando in modo visibile un segno (che reca un significato ulteriore), nella fattispecie un velo, è trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che non aderisce ad alcuna religione, non nutre alcuna convinzione filosofica e non dichiara alcun orientamento politico e che, per tale motivo, non ha alcun bisogno di indossare alcun segno politico, filosofico o religioso;

b)      la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione indossando in modo visibile un segno (che reca un significato ulteriore), nella fattispecie un velo, è trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che aderisce a una convinzione filosofica o politica qualsiasi, ma la cui necessità di esibire ciò pubblicamente indossando un segno (che reca un significato ulteriore) è minore o addirittura inesistente;

c)      la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione indossando in modo visibile un segno (che reca un significato ulteriore), nella fattispecie un velo, sia trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che aderisce a un'altra religione, o addirittura alla stessa religione, ma la cui necessità di esibire ciò pubblicamente indossando un segno (che reca un significato ulteriore) è minore o addirittura inesistente;

d)      muovendo dalla constatazione che una convinzione non è necessariamente di natura religiosa, filosofica o politica e che potrebbe essere di altro genere (artistico, estetico, sportivo, musicale,...) la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione indossando in modo visibile un segno (che reca un significato ulteriore), nella fattispecie un velo, sia trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che ha convinzioni diverse da quelle religiose, filosofiche o politiche e che le manifesta con l'abbigliamento;

e)      muovendo dal principio che l'aspetto negativo della libertà di manifestare le proprie convinzioni religiose comporta allo stesso modo che l'individuo non può essere obbligato a rivelare la sua appartenenza o le sue convinzioni religiose, la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione mediante l'uso di un velo, che non è di per sé un simbolo univoco di tale religione, dato che un'altra lavoratrice potrebbe scegliere di portarlo per motivi estetici, culturali o anche sanitari e che non si distingue necessariamente da una semplice bandana, sia trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che potrebbe manifestare verbalmente le proprie convinzioni religiose, filosofiche o politiche, in quanto per la lavoratrice che indossa il velo ciò comporta una violazione ancora più grave alla libertà di religione, sulla base dell'articolo 9, paragrafo 1, della [convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali] poiché, se non si vuole lasciare libero spazio ai pregiudizi, il fatto che un velo costituisca un segno distintivo di una convinzione non è evidente, e potrà venire [alla] luce, nella maggior parte dei casi, solo se la parte che lo porta viene obbligata a rivelare la propria motivazione al datore di lavoro;

f)      la lavoratrice che intende esercitare la propria libertà di religione indossando in modo visibile un segno (che reca un significato ulteriore), nella fattispecie un velo, sia trattata meno favorevolmente rispetto a un altro lavoratore che appartiene alla stessa convinzione che scelga di manifestarlo portando la barba (ipotesi non specificamente vietata dalla regola interna, a differenza di una manifestazione mediante l'abbigliamento)».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

24      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 1 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che l'espressione «religione o (...) convinzioni personali» ivi contenuta costituisce un solo e unico motivo di discriminazione o se, al contrario, tale espressione riguardi motivi di discriminazione distinti.

25      Per rispondere a tale questione, occorre rilevare che l'articolo 1 della direttiva 2000/78 cita allo stesso titolo «la religione» e «le convinzioni personali», al pari del testo di varie disposizioni del diritto primario dell'Unione, vale a dire l'articolo 19 TFUE, ai sensi del quale il legislatore dell'Unione può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate, tra l'altro, sulla «religione o le convinzioni personali», o l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), che, tra i diversi motivi di discriminazione che esso cita, prende in considerazione la «religione o le convinzioni personali» (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 47).

26      La Corte ne ha concluso che, ai fini dell'applicazione della direttiva 2000/78, i termini «religione» e «convinzioni personali» vanno trattati come due facce «dello stesso e unico motivo di discriminazione» (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 47).

27      Secondo tale giurisprudenza, come risulta dall'articolo 21 della Carta, il motivo di discriminazione fondato sulla «religione o le convinzioni personali» deve essere distinto dal motivo attinente alle «opinioni politiche o [a] qualsiasi altra opinione» e pertanto include tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 47).

28      Quanto all'espressione «di qualsiasi tipo» impiegata per quanto riguarda le convinzioni personali menzionate nel regolamento di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale, è sufficiente constatare che la tutela contro la discriminazione garantita nella direttiva 2000/78 comprende solo i motivi tassativamente menzionati all'articolo 1 di tale direttiva, cosicché quest'ultima non comprende né le convinzioni politiche o sindacali né le convinzioni o le preferenze artistiche, sportive, estetiche o di altro tipo. La protezione di tali convinzioni personali da parte degli Stati membri non è pertanto disciplinata dalle disposizioni di detta direttiva.

29      Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l'articolo 1 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che l'espressione «religione o (...) convinzioni personali» ivi contenuta costituisce un solo e unico motivo di discriminazione che comprende tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali.

Sulla terza questione

30      Con la sua terza questione, che occorre esaminare in secondo luogo, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che una disposizione di un regolamento di lavoro di un'impresa che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose, filosofiche o politiche, di qualsiasi tipo, costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva.

31      Per rispondere a tale questione, occorre ricordare che la Corte ha certamente dichiarato che una norma interna di un'impresa che vieta soltanto di indossare segni vistosi di grandi dimensioni di convinzioni segnatamente religiose o filosofiche può costituire una discriminazione diretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, nei casi in cui tale criterio sia inscindibilmente legato a una o più religioni o convinzioni personali determinate (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punti 72 e 73).

32      Tuttavia, nel caso di specie, la questione sottoposta alla Corte riguarda una norma che non vieta di indossare segni vistosi di grandi dimensioni, bensì di indossare qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose sul luogo di lavoro.

33      Orbene, la Corte ha altresì ripetutamente dichiarato che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che una norma interna di un'impresa privata che vieti di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose, non costituisce una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale disposizione, qualora essa riguardi qualsiasi manifestazione di tali convinzioni, senza distinzione alcuna, e tratti in maniera identica tutti i dipendenti dell'impresa, imponendo loro, in maniera generale ed indiscriminata, segnatamente una neutralità di abbigliamento che osta al fatto di indossare tali segni (sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C 157/15, EU:C:2017:203, punti 30 e 32 nonché del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 52).

34      A tal riguardo, la Corte ha precisato che, poiché ogni persona può avere una religione o convinzioni religiose, filosofiche o spirituali, una regola di tal genere, a condizione che sia applicata in maniera generale e indiscriminata, non istituisce una differenza di trattamento fondata su un criterio inscindibilmente legato alla religione o a tali convinzioni personali (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 52).

35      Occorre altresì aggiungere che il diritto alla libertà di coscienza e di religione sancito dall'articolo 10, paragrafo 1, della Carta, e che costituisce parte integrante del contesto rilevante ai fini dell'interpretazione della direttiva 2000/78, corrisponde al diritto garantito all'articolo 9 della CEDU e che, in forza dell'articolo 52, paragrafo 3, della Carta, esso ha lo stesso significato e la stessa portata di quest'ultimo (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 48). Orbene, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, sancito all'articolo 9 della CEDU, «è uno dei fondamenti di una “società democratica” ai sensi di [tale c]onvenzione» e costituisce, «nella sua dimensione religiosa, uno degli elementi più vitali che contribuiscono alla formazione dell'identità dei credenti e della loro concezione della vita» nonché «un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti», contribuendo al «pluralismo – duramente conquistato nel corso dei secoli – consustanziale a una tale società» (Corte EDU, 15 febbraio 2001, Dahlab c. Svizzera, CE:ECHR:2001:0215DEC004239398).

36      A tal riguardo, occorre aggiungere che dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che non è stato sostenuto che S.C.R.L. non avrebbe applicato il regolamento di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale in maniera generale e indiscriminata o che la ricorrente nel procedimento principale sarebbe stata trattata diversamente da qualsiasi altro dipendente che avesse manifestato la propria religione o le proprie convinzioni religiose o filosofiche indossando visibilmente segni, indumenti o in qualsiasi altro modo.

37      Risulta altresì dalla giurisprudenza costante della Corte che una norma interna come quella di cui trattasi nel procedimento principale può istituire una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, qualora venga dimostrato, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, che l'obbligo apparentemente neutro che essa contiene comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia (sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C 157/15, EU:C:2017:203, punto 34 e del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 59).

38      Conformemente all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, siffatta differenza di trattamento non costituirebbe tuttavia una discriminazione indiretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di detta direttiva, qualora fosse oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento fossero appropriati e necessari.

39      Per quanto riguarda il requisito dell'esistenza di una finalità legittima, la volontà di un datore di lavoro di mostrare, nei rapporti con i clienti sia pubblici che privati, una politica di neutralità politica, filosofica o religiosa può essere considerata legittima. Infatti, la volontà di un datore di lavoro di dare ai clienti un'immagine di neutralità rientra nella libertà d'impresa, riconosciuta dall'articolo 16 della Carta, ed ha, in linea di principio, carattere legittimo, in particolare qualora il datore di lavoro coinvolga nel perseguimento di tale obiettivo soltanto i dipendenti che si suppone entrino in contatto con i clienti del medesimo (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 63).

40      Tuttavia, la Corte ha altresì precisato che la semplice volontà di un datore di lavoro di condurre una politica di neutralità, sebbene costituisca, di per sé, una finalità legittima, non è sufficiente, in quanto tale, a giustificare in modo oggettivo una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, dato che il carattere oggettivo di una siffatta giustificazione può ravvisarsi solo a fronte di un'esigenza reale di tale datore di lavoro, che spetta a quest'ultimo dimostrare (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 64).

41      Tale interpretazione è ispirata dall'intento di incoraggiare per principio la tolleranza e il rispetto, nonché l'accettazione di un maggior grado di diversità e di evitare uno sviamento della creazione di una politica di neutralità all'interno dell'impresa a danno dei dipendenti che rispettano precetti religiosi che impongono di portare una determinata tenuta di vestiario.

42      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione di un regolamento di lavoro di un'impresa che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata.

Sulla seconda questione

43      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 1 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che osta a che disposizioni nazionali volte a garantire la trasposizione di tale direttiva nel diritto nazionale, le quali sono interpretate nel senso che le convinzioni religiose, filosofiche e politiche costituiscono tre distinti motivi di discriminazione, possano essere considerate, «per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste [in tale direttiva]», ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di quest'ultima.

44      Per rispondere a tale questione, da un lato, occorre ricordare che, come risulta dal punto 28 della presente sentenza, la tutela contro la discriminazione garantita nella direttiva 2000/78 copre solo i motivi tassativamente indicati all'articolo 1 di tale direttiva, cosicché detta direttiva non copre le convinzioni politiche oggetto di detta questione.

45      Dall'altro lato, come risulta dalla risposta fornita alla prima questione, l'espressione «religione o (...) convinzioni personali» di cui all'articolo 1 della direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che costituisce un solo e unico motivo di discriminazione che comprende tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali.

46      Ciò precisato, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la seconda questione sollevata dal giudice del rinvio mira, in sostanza, a chiarire il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle fissate nella direttiva 2000/78, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva.

47      Per quanto concerne l'interpretazione dell'articolo 8, paragrafo 1, di detta direttiva, la Corte ha dichiarato che disposizioni costituzionali nazionali che tutelano la libertà di religione possono essere prese in considerazione come disposizioni più favorevoli ai sensi di tale disposizione, nell'ambito dell'esame del carattere appropriato di una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 90).

48      Per giungere a tale conclusione, la Corte ha ricordato che la direttiva 2000/78 stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la conciliazione dei diversi diritti e interessi di cui trattasi, tenuto conto della diversità dei loro approcci quanto al posto che essi accordano, al loro interno, alla religione o alle convinzioni personali. Il margine di discrezionalità così riconosciuto agli Stati membri in mancanza di consenso a livello dell'Unione deve tuttavia andare di pari passo con un controllo, che spetta al giudice dell'Unione, consistente, in particolare, nel verificare se le misure adottate a livello nazionale siano giustificate in linea di principio e se siano proporzionate (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 86 nonché giurisprudenza ivi citata).

49      La Corte ha aggiunto che dal quadro così stabilito emerge che, nella direttiva 2000/78, il legislatore dell'Unione non ha effettuato esso stesso la necessaria conciliazione tra la libertà di pensiero, di convinzione e di religione, da un lato, e gli obiettivi legittimi che possono essere invocati a giustificazione di una disparità di trattamento, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), di tale direttiva, dall'altro, ma ha lasciato il compito di procedere a tale conciliazione agli Stati membri e ai loro giudici (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 87 nonché giurisprudenza ivi citata).

50      La Corte ne ha concluso che la direttiva 2000/78 consente di tener conto del contesto specifico di ciascuno Stato membro e di riconoscere a ciascuno di essi un margine di discrezionalità nell'ambito della necessaria conciliazione dei diversi diritti e interessi di cui trattasi, al fine di assicurare un giusto equilibrio tra questi ultimi (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 88).

51      A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che, nell'esaminare il carattere necessario di un divieto analogo a quello controverso nel procedimento principale, spetta ai giudici nazionali, alla luce di tutti gli elementi del fascicolo di cui trattasi, tenere conto degli interessi in gioco e limitare «allo stretto necessario» le restrizioni «alle libertà in questione» (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 83 nonché giurisprudenza ivi citata).

52      Risulta quindi da tale giurisprudenza che l'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 non osta a che un giudice nazionale riconosca, nell'ambito della ponderazione degli interessi divergenti, una maggiore importanza a quelli della religione o delle convinzioni personali rispetto a quelli risultanti, in particolare, dalla libertà d'impresa, purché ciò derivi dal suo diritto interno. In un caso del genere, alla libertà di coscienza e di religione può pertanto essere concessa una tutela più ampia rispetto ad altre libertà, come la libertà d'impresa riconosciuta all'articolo 16 della Carta, tutela che produce i suoi effetti nella fase della valutazione della sussistenza di una giustificazione a una discriminazione indiretta, ai sensi dai sensi della giurisprudenza menzionata al punto 39 della presente sentenza.

53      È giocoforza constatare che ciò non è il caso delle disposizioni nazionali esaminate nella presente causa. Infatti, secondo le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, tali disposizioni avrebbero l'effetto di trattare la «religione» e le «convinzioni personali» quali motivi di discriminazione distinti.

54      Orbene, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri non può estendersi fino a consentire a questi ultimi o ai giudici nazionali di scindere, in vari motivi, uno dei motivi di discriminazione elencati tassativamente all'articolo 1 della direttiva 2000/78, salvo mettere in discussione il testo, il contesto e la finalità di tale motivo e pregiudicare l'effetto utile del quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro istituito da tale direttiva.

55      Infatti, poiché il motivo di discriminazione costituito dalla «religione o le convinzioni personali» copre tutti i dipendenti allo stesso modo, un approccio segmentato di tale motivo, secondo l'obiettivo perseguito dalla regola di cui trattasi, avrebbe la conseguenza di creare sottogruppi di dipendenti e di pregiudicare così il quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro istituito dalla direttiva 2000/78.

56      Tale interpretazione non è rimessa in discussione dall'argomento secondo il quale essa potrebbe, eventualmente, comportare un abbassamento del livello di tutela contro la discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni religiose, dal momento che, in una fattispecie come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nulla sembra ostare a che i giudici nazionali procedano a un'interpretazione delle disposizioni nazionali di cui trattasi in modo che, nell'ambito della ponderazione degli interessi divergenti tra un dipendente e il suo datore di lavoro, le convinzioni filosofiche o spirituali ricevano lo stesso livello di tutela della religione o delle convinzioni religiose.

57      Infine, per quanto riguarda più specificamente l'argomento esposto dal giudice del rinvio, secondo cui l'esistenza di un criterio unico, comprendente le convinzioni religiose e filosofiche, avrebbe l'effetto di ridurre il livello di tutela contro le discriminazioni dirette fondate su tali motivi, in quanto osterebbe ai confronti tra dipendenti, rispettivamente animati di convinzioni religiose e convinzioni filosofiche, occorre precisare quanto segue.

58      Da un lato, e come rilevato da tale giudice, il problema di una siffatta comparabilità è rilevante solo ai fini della valutazione dell'esistenza di una discriminazione diretta. Orbene, la sussistenza di una discriminazione diretta è esclusa in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, come ricordato al punto 33 della presente sentenza.

59      Dall'altro, e in ogni caso, la Corte ha avuto l'opportunità di precisare che il divieto di discriminazione previsto dalla direttiva 2000/78 non è limitato alle sole differenze di trattamento esistenti tra persone che aderiscono a una religione o a convinzioni personali e quelle che non aderiscono ad una religione o a determinate convinzioni personali (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 49). In altri termini, l'esistenza di un criterio unico, che comprenda la religione e le convinzioni personali, non osta ai raffronti tra i dipendenti animati da convinzioni religiose e quelli animati da altre convinzioni personali, né a quelli tra i dipendenti animati di convinzioni religiose diverse.

60      L'obiettivo perseguito dalla direttiva 2000/78 depone d'altronde a favore di un'interpretazione dell'articolo 2, paragrafi 1 e 2, della medesima nel senso che essa non limita la cerchia delle persone rispetto alle quali può essere effettuato un raffronto per l'individuazione di «discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali», ai sensi di detta direttiva, a quelle che non aderiscono a una data religione o a determinate convinzioni personali (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 50).

61      Infatti, la direttiva 2000/78 mira a contrastare, per quanto riguarda l'occupazione e le condizioni di lavoro, ogni forma di discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni personali (v., per analogia, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej Krakowie, C 16/19, EU:C:2021:64, punto 34), atteso che una discriminazione «basata sulla» religione o sulle convinzioni personali, ai sensi di tale direttiva, può essere constatata solo qualora il trattamento meno favorevole o il particolare svantaggio di cui trattasi venga patito in funzione della religione o delle convinzioni personali (sentenza del 15 luglio 2021, WABE e MH Müller Handel, C 804/18 e C 341/19, EU:C:2021:594, punto 49).

62      Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l'articolo 1 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che disposizioni nazionali che garantiscono la trasposizione di tale direttiva nel diritto nazionale, le quali sono interpretate nel senso che le convinzioni religiose e le convinzioni filosofiche costituiscono due motivi di discriminazione distinti, possano essere considerate, «per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste [in tale direttiva]», ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di quest'ultima.

Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      L'articolo 1 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che l'espressione «religione o (...) convinzioni personali» ivi contenuta costituisce un solo e unico motivo di discriminazione che comprende tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali.

2)      L'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione di un regolamento di lavoro di un'impresa che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l'abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata.

3)      L'articolo 1 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che disposizioni nazionali che garantiscono la trasposizione di tale direttiva nel diritto nazionale, le quali sono interpretate nel senso che le convinzioni religiose e le convinzioni filosofiche costituiscono due motivi di discriminazione distinti, possano essere considerate, «per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste [in tale direttiva]», ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di quest'ultima.