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Legittimo investigatore privato per controllo su attività extralavorativa del lavoratore (Tr. Padova, 2/10/2019)

2 ottobre 2019, Tribunale di Padova

Il rigoroso divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali non opera nel caso in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite, quali ad esempio la violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro, ovvero l'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, di permessi di cui all'art. 33 del legge n. 104/1992 , e a maggior ragione nel caso in cui si tratti di comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (cosiddetti "controlli difensivi").

L'incarico ad un investigatore privato da parte di una datore di lavoro risulta proporzionato - ai sensi dell'art. 8 CEDU -  rispetto all'esigenza di bilanciare da un lato la tutela dell'interesse del datore di lavoro a prevenire e, quando necessario, reprimere condotte illecite lesive del patrimonio aziendale da parte di chi lavora per l’impresa, dall'altro lato l'interesse del lavoratore alla tutela della propria privacy.

Alla luce della sopra citata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ciò che conta è che l’atto di controllo sull’attività lavorativa sia, nel suo complesso, posto in essere per mezzo di strumenti proporzionati rispetto al fine perseguito. Lo stesso decalogo enunciato dalla Corte EDU (sentenza Bărbulescu, in tema di controllo effettuato sulla posta elettronica utilizzata dal lavoratore) non deve essere inteso in termini tassativi, bensì alla stregua di elenco di indici sintomatici della proporzione dell’atto di controllo, la cui ponderazione è rimessa al giudice di merito per mezzo di un complessivo giudizio di bilanciamento che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto.

E' vietato ogni controllo diretto a verificare il corretto adempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali imposti dal contratto di lavoro, in particolare con riferimento al diligente adempimento delle mansioni pattuite nel caso in cui i fatti non siano qualificabili alla stregua di fattispecie illecite assistite da autonoma rilevanza civile, amministrativa ovvero penale.

 

REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI PADOVA

ordinanza 2 ottobre 2019

Il Giudice del Lavoro Dott. Francesco Perrone ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 nella causa civile di I° Grado iscritta al ruolo al n. 1774/2019 R.G., promossa da

 ***, con il patrocinio dell’avv. ** e dell’avv. **

 contro

*** S.P.A., con il patrocinio dell’avv. ** e dell’avv. **

Il Giudice del Lavoro, a scioglimento della riserva che precede, letti gli atti ed esaminata la documentazione allegata, visto l'articolo 1, commi 48 e 49 della legge n. 92/2012, atteso che:

  • il ricorrente domanda: “accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità e/o l’inefficacia e comunque l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente dalla società *** spa, c.f. ** con sede legale in **, **, in persona del legale rappresentante pro tempore, perché privo di giusta causa o giustificato motivo per insussistenza – materiale o giuridica – del fatto contestato e/o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, e comunque perché sproporzionato, in violazione dell’art. 2106 c.c., e conseguentemente in via principale ordinare la reintegrazione del ricorrente nel suo posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, comma 4° comma della legge n. 300/70 così come novellato dall’art. 1 comma 42 legge n. 92/2012, con riserva di opzione del ricorrente per l’indennità sostitutiva della reintegrazione. condannare la società convenuta, come sopra rappresentata e domiciliata, al pagamento in favore del ricorrente della somma dovuta a titolo di indennità risarcitoria ex art. 18 legge 300/1970, come novellato dalla citata legge, commisurata alle retribuzioni dovute dal momento del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto, da calcolarsi secondo i criteri stabiliti dall'art 2121 cod. civ., pari ad Euro 2.536,55 (retribuzione mensile lorda ordinaria di Euro 2.174,19, con un rateo di 13^, uno di 14^ ed uno di t.f.r.) o al diverso importo che dovesse risultare di giustizia, con interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze all’effettivo saldo, nonché al versamento, a favore dell'INPS, dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti per legge dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorato dagli interessi legali. In via subordinata: dichiarare tenuta e condannare la società convenuta, come sopra rappresentata e domiciliata, al pagamento di un’indennità risarcitoria a favore del ricorrente ex art. 18, comma 5° legge n. 300/70 pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto da calcolarsi secondo i criteri stabiliti dall’art. 2121 cod. civ., pari ad Euro 2.536,55 (retribuzione mensile lorda ordinaria di Euro 2.174,19, con un rateo di 13^, uno di 14^ ed uno di t.f.r.), o nella diversa misura che si riterrà dovuta, comunque non inferiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria sino all’effettivo saldo. In ogni caso: Con vittoria di spese per questa e per la precedente fase di giudizio, oltre spese generali, IVA e CPA”;
  • si costituisce parte resistente domandando il rigetto di ogni domanda in quanto infondata in fatto e in diritto;

rilevato che:

  • il ricorrente a decorrere dall’11.7.2011 è stato assunto alle dipendenze della società resistente con contratto di lavoro a termine, poi convertito in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con mansioni di tecnico sviluppatore nell’ambito del processo di apertura dei nuovi punti vendita dei marchi “**” e “**” nelle aree di ** e zone limitrofe, con inquadramento nel 3° livello del CCNL commercio-terziario;
  • per lo svolgimento di tale lavoro, il ricorrente usufruiva di un ufficio sito a ** adiacente al punto vendita **. Non è contestato che all’interno di tale ufficio il ricorrente lavorasse da solo. Tale ufficio era separato dal punto vendita da un muro e aveva un proprio ingresso, per cui non era possibile entrare e uscire dall’ufficio passando per il punto vendita;
  • è altresì pacifico in causa che il ricorrente,al pari di ogni altro dipendente aziendale, doveva timbrare il badge, in particolare servendosi dell’apposito lettore situato all’interno del suo ufficio di via ** 76;
  • nemmeno è contestato che, le volte in cui il ricorrente non passasse per l’ufficio, o qualora, pur passando, si fosse dimenticato di timbrare, l’orario di ingresso o di uscita veniva inserito manualmente in un apposito tabulato dallo stesso ricorrente, il quale si collegava via internetal gestionale aziendale ed inseriva retroattivamente, con le proprie credenziali e password, il suddetto orario;
  • il ricorrente non era sostanzialmente sottoposto al controllo diretto di alcun superiore gerarchico, attesa la sua collocazione presso un’unità distaccata da ogni altra sede aziendale. La società datrice di lavoro afferma che, a tale particolare riguardo, il ricorrente “godeva della massima fiducia” (vedi par. 7 della memoria difensiva);
  • non è contestato in causa che l’orario ordinario di lavoro osservato dal ricorrente si estendesse sostanzialmente tra le ore 8.00-9.00 e le ore 17:30-18:30, da lunedì a venerdì;
  • è invece ravvisabile una divergenza nelle rispettive prospettazioni difensive nella parte in cui il ricorrente allega di essere stato da sempre autorizzato ad una gestione libera dell’orario di lavoro in ragione della particolare qualità delle mansioni svolte, mentre la società resistente asserisce che il ricorrente fosse obbligato ad osservare l’orario normale di lavoro contrattualmente pattuito;
  • tanto premesso, la società datrice di lavoro allega che il 26 settembre 2018 **, addetto all’Ufficio Sicurezza della società resistente, si recava presso il punto vendita ** di Bologna per alcune verifiche aventi ad oggetto l’impianto d’allarme (doc. 4: timbratura del sig. Varotto ed estratto del gestionale comprovante il suo numero di matricola – ossia il n. 1888) e, nell’occasione, faceva visita al ricorrente presso il suo ufficio, senza però trovarlo, e provvedeva a segnalare l’episodio alla Direzione aziendale. La società provvedeva quindi a verificare il planning settimanale del ricorrente, dal quale risultava che, quella mattina, avrebbe dovuto trovarsi in ufficio (doc. 5). La società procedeva pertanto ad un esame delle timbrature del ricorrente, da cui emergeva che il ricorrente, in svariate occasioni, aveva inserito l’orario di lavoro manualmente, anziché con timbratura elettronica a mezzo badge (v. doc. 6);
  • la società quindi incaricava l’agenzia investigativa **S.n.c. (doc. 7) a svolgere un’attività di controllo sul ricorrente, che aveva luogo dal 21 gennaio al 15 febbraio 2019. Il rapporto conclusivo dell’indagine datato 16 febbraio 2019 (doc. 8) dava atto di una serie di fatti che venivano contestati al ricorrente con lettera 18 febbraio 2019 (doc. 9) nei termini che seguono: “Siamo venuti a conoscenza che Lei, durante l’orario di lavoro, anziché prestare la propria attività a favore della nostra Società, si occupa pure di questioni personali, sottraendo anche lunghi tempi, che Le vengono regolarmente retribuiti. In particolare, abbiamo appreso quanto di seguito riportato. Il 22 maggio 2019, alle 13.45, dopo essere rientrato dalla pausa pranzo, è uscito dal Suo ufficio di via ** e si è recato nella Sua abitazione. Successivamente, ha inserito una timbratura manuale nel gestionale delle presenze, attestante la Sua uscita alle 17.30 (4 ore). Il 24 gennaio 2019, Lei – come programma condiviso con l’Arch. ** – si è recato a Terni presso il punto vendita di corso **. Al rientro, Lei si è fermato, dalle 17 alle 17.40, presso ** per effettuare degli acquisti personali (40 minuti). Il 25 gennaio 2019, come da programma, Lei avrebbe dovuto rimanere tutto il giorno in ufficio, dove si è recato alle 8.32 e ha timbrato. Subito dopo, si è recato al bar adiacente e, mentre stava consumando la colazione, ha incontrato una donna, con la quale si è intrattenuto in una conversazione amichevole e confidenziale per circa 15 minuti. Quindi, Lei e la donna siete usciti dal bar e vi siete recati nel Suo ufficio. Alle 9.30, siete usciti entrambi (1 ora). Lo stesso giorno, per ragioni personali, Lei si è recato, dalle 10.45 alle 11, presso la carrozzeria ** (15 minuti). Il 29 gennaio 2019, Lei si è recato nel Suo ufficio alle 9.55, ma ha inserito una timbratura manuale, attestante la Sua entrata alle 8.30 (1 ora e 25 minuti). Alle 12.40, Lei è uscito dal Suo ufficio ed è andato a pranzare nel ristorante sito nel lato opposto della strada. Alle 14, è rientrato in ufficio. Cinque minuti dopo Lei è uscito dall’ufficio e con la Sua auto personale (**) si è recato in via __, presso il bar ristorante ** Cafè, ove si è incontrato con due uomini, con i quali si è intrattenuto per circa 40 minuti; quindi, tutti e tre vi siete recati presso la concessionaria ** ** s.r.l. in via ** 62 e lì avete incontrato un venditore, con il quale siete rimasti a parlare sino alle 15.15. poi Lei è rientrato in ufficio alle 15.55 (1 ora e 50 minuti). Il 30 gennaio 2019, Lei è entrato in ufficio e ha timbrato alle 8.44. Subito dopo è uscito e si è recato al bar limitrofo, dove ha fatto colazione e si è intrattenuto per 15 minuti; poi è rientrato in ufficio (15 minuti). Alle 9.30, Lei è uscito dall’ufficio senza timbrare e con la Sua auto personale si è recato presso il vicino distributore Q8, dove ha lasciato l’auto per il lavaggio ed è rientrato a piedi in ufficio dove è arrivato alle 9.44 (14 minuti). Quindi, alle 9.45, è ripartito a bordo dell’auto aziendale ed è rientrato nella Sua abitazione per seguire i lavori di ristrutturazione. E’ ripartito alle 10.15 ed è rientrato in ufficio alle 10.25 (40 minuti). Nel pomeriggio, dopo aver effettuato un sopralluogo in un nuovo punto vendita di **, nel rientrare in ufficio, Lei si è fermato presso il negozio ___ dove si fermava per acquisti per 20 minuti (20 minuti). Il 5 febbraio 2019, dalle 9.35 alle 10, Lei si è recato dall’ufficio a casa per parlare con gli operai addetti alla ristrutturazione della Sua abitazione (25 minuti).  Successivamente, mentre si stava recando a ** per un sopralluogo, si è fermato, dalle 11.10 alle 11.40, presso il negozio __ in via ___per degli acquisti (30 minuti).            Terminato il sopralluogo, alle 12.15 si è diretto verso la carrozzeria __ di __, dove si è intrattenuto fino alle 12.35 (20 minuti).Il 6 febbraio 2019, alle 11.15 è uscito dall’ufficio ed è andato a casa a visionare i lavori; è rientrato in ufficio alle 11.55 (40 minuti).Il 7 febbraio 2019, è entrato in ufficio e ha timbrato alle 8.43. Subito dopo è uscito ed è andato al bar adiacente per la colazione, rientrando in ufficio alle 9 (17 minuti).L’8 febbraio 2019, Lei si è recato a casa per seguire i lavori alle 11 ed è rientrato in ufficio alle 11.30 (30 minuti).  Nel pomeriggio, si è recato a casa per i lavori alle 14 ed è rientrato in ufficio alle 14.30 (30 minuti). L’11 febbraio 2019, è entrato in ufficio e ha timbrato alle 8.30. Subito dopo è uscito ed è andato al solito bar per la colazione; è rientrato in ufficio alle 9 (30 minuti). Alle 9.45 si è recato nella Sua abitazione ed è rientrato in ufficio alle 10.25 (40 minuti).  Alle 11.15 si è recato al bar dove si è trattenuto sino alle 11.35 (20 minuti).Il 12 febbraio 2019, dopo aver timbrato, si è recato al solito bar per la colazione alle 8.45, dove si è trattenuto sino alle 9.15; quindi, è uscito con una ragazza con la quale si è recato presso il Suo ufficio e si è intrattenuto a chiacchierare fino alle 9.25 (40 minuti). Dalle 16.25 alle 16.40, sempre al solito bar (15 minuti). Il 13 febbraio 2019, si è recato al bar dalle 9.10 alle 9.25 (15 minuti). Dalle 13.55 (terminata la pausa pranzo) alle 14.40 si è recato nella sua abitazione per seguire i lavori (45 minuti).Il 14 febbraio 2019, dalle 8.37, dopo aver timbrato, alle 9.10 è stato fuori ufficio con la Sua autovettura (33 minuti). Alle 9.10 è rientrato in ufficio ed è andato al bar sino alle 9.25 (15 minuti).  Dalle 9.45 alle 10.28 si è recato nella Sua abitazione per seguire i lavori (43 minuti). Alle 12.30 ha imboccato l’autostrada per Ancona ed è uscito a Imola (in realtà, secondo il programma, Lei si sarebbe dovuto recare a Parma e a Modena) (25 minuti). Alle 12.55 si recato presso la fioreria __ sita in via Amendola 69/b, dove ha acquistato un mazzo di fiori, che ha consegnato a una ragazza al ristorante ***, con cui avete mangiato insieme fino alle 13.50. Il 15 febbraio 2019, al rientro dai sopralluoghi, si è fermato presso la carrozzeria *** dalle 17.05 alle 17.30 (25 minuti). Dalla situazione sopra riportata, emerge che Lei, in 14 giorni di lavoro (ore 112), nel periodo compreso tra il 22 gennaio e il 15 febbraio 2019 - durante il quale, peraltro, è rimasto assente per ferie (il 23 gennaio) e per malattia (il 31 gennaio e il 1° febbraio) -, si è dedicato a questioni personali per ben 20 ore, pari al 17,86% del tempo complessivo.Tale Suo comportamento costituisce una grave infrazione ai Suoi doveri contrattuali, essendosi Lei allontanato ripetutamente dal servizio durante l’orario di lavoro e senza esplicito permesso, facendosi corrispondere indebitamente la retribuzione. Tanto Le contestiamo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 legge 20 maggio 1970, n. 300, invitandoLa a farci pervenire le Sue eventuali osservazioni e/o giustificazioni entro 5 giorni dalla ricezione della presente. Attesa la particolare gravità dei fatti contestati, Lei è sospeso cautelarmente (non disciplinarmente) del lavoro sino al termine dalla presente procedura”;
  • il ricorrente rendeva le proprie giustificazioni con lettera 21 febbraio 2019 (doc. 10). La società datrice di lavoro con lettera 26 febbraio 2019 (doc. 11) intimava il licenziamento per giusta causa;

ritenuto che:

  • deve essere innanzitutto chiarito che oggetto di contestazione disciplinare non è la circostanza che il ricorrente avrebbe arbitrariamente gestito in modo “flessibile” di un orario di lavoro invece “rigido”, quanto piuttosto fatti qualificabili alla stregua di falsa attestazione della propria presenza in ufficio in periodi temporali in cui, durante l’orario di lavoro, egli invece si trovava al di fuori della sede di via ** intento nello svolgimento di attività extra lavorative, quali ad esempio l’effettuazione di spese personali, la frequenza di bar e ristoranti, incontri con soggetti che nulla hanno a che vedere con lo svolgimento delle mansioni contrattuali, rientri anticipati presso la propria abitazione, arrivi tardivi presso il luogo di lavoro. Ciò è avvenuto in alcuni casi tralasciando la marcatura elettronica dell’uscita tramite badge, in altri casi iscrivendo a mano orari di ingresso e di uscita diversi da quelli reali;
  • tanto premesso, deve essere chiarito che l’impiego di personale di un’agenzia investigativa privata nell’accertamento della sussistenza di fatti disciplinarmente rilevanti non costituisce ipotesi di utilizzazione di "impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori", disciplinata dall'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, bensì integra la diversa ipotesi di impiego di personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa, in relazione al quale l’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”;
  • nemmeno risulta applicabile l’art. 2 dello Statuto dei Lavoratori, il quale si riferisce alla speciale ipotesi di utilizzazione di “guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, numero 773”, nel caso di specie inconferente;
  • è pacifico invece che gli agenti investigativi cui è stata commissionata l'indagine non sono soggetti compresi nell'organico aziendale, né i rispettivi nomi sono stati preventivamente comunicati ai lavoratori interessati;
  • il diritto vivente consolidatosi in seno alla giurisprudenza sia di merito (v. Corte d’Appello di Roma, sent. 13.2.2013, est. G. Poscia; Tribunale di Velletri, sent. 26.3.2006, F. Anzilotti; Tribunale di Venezia, ord. 8.10.2018, B. Bortot), sia di legittimità, ha tradizionalmente elaborato un'interpretazione marcatamente estensiva della norma in esame, in particolare stabilendo che il rigoroso divieto di controllo occulto sancito dall'art. 3 sull'attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali non opera nel caso in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possono configurare condotte illecite, quali ad esempio la violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (vedi Cass. n. 12810/2017), ovvero l'utilizzo improprio, da parte di un dipendente, di permessi di cui all'art. 33 del legge n. 104/1992 (vedi Cass. n. 4984/2014), e a maggior ragione nel caso in cui si tratti di comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (vedi Cass. n. 5269 e 14383/2000). Si tratta, nella sostanza, dell'estensione all'ambito applicativo dell'art. 3 della dottrina dei cosiddetti "controlli difensivi", tradizionalmente elaborata con riferimento all'interpretazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori nella formulazione precedente alla novella introdotta dall’art. 23, comma 1 del decreto legislativo n. 151/2015;
  • resta invece fermo l'assoggettamento al rigoroso regime interdittivo stabilito dall'art. 3 di ogni controllo diretto a verificare il corretto adempimento da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali imposti dal contratto di lavoro, in particolare con riferimento al diligente adempimento delle mansioni pattuite (vedi Cass. n. 21621/2018) nel caso in cui i fatti non siano qualificabili alla stregua di fattispecie illecite assistite da autonoma rilevanza civile, amministrativa ovvero penale;
  • qualunque conclusione voglia trarsi in merito alla perdurante compatibilità della dottrina dei controlli difensivi rispetto alla nuova formulazione dell'art. 4 introdotta dal Jobs Act (v. Tribunale di Roma, ord. 13.6.2018, D. Conte, e di avviso contrario Tribunale della Spezia, ord. 25.11.2016, G. Romano), essa non è di per sé estendibile all'art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, atteso che mentre la regolamentazione introdotta dal novellato art. 4, quantomeno in linea di principio, tende a definire una compiuta ed autosufficiente disciplina normativa in punto di liceità del controllo tramite impianti tecnologici ed utilizzabilità delle informazioni ottenute per mezzo di quest'ultimi, l'art. 3, rimasto immutato nella sua originaria formulazione, non presenta alcuna analogia strutturale rispetto all’art. 4 novellato;
  • tanto chiarito, si tratta di verificare se nel caso di specie le condotte addebitate al ricorrente costituiscano un mero inadempimento contrattuale, ovvero se esse integrino un'autonoma fattispecie di illecito civile, amministrativo ovvero penale;
  • nel caso di specie, le condotte contestate al ricorrente risulta costituire un atto illecito rilevante non solo sotto il profilo dell’esatto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di lavoro, ma assumono una ulteriore concorrente rilevanza penalmente illecita. Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, fini della configurabilità del reato di truffa sussiste l'ingiustizia del profitto nell'ipotesi in cui il lavoratore - attestando, contrariamente al vero, la propria presenza continuativa in servizio - assicuri un orario ridotto e tuttavia percepisca per intero il compenso stabilito forfettariamente per la giornata lavorativa completa, in quanto l'assenza per alcune ore incide comunque sul sinallagma retributivo, provocando un danno economico al datore di lavoro (v., ex multis, Cass. n. 52007 del 24/11/2016; n. 34210 del 6/10/2006; n. 14975 del 16/03/2018);
  • è irrilevante che nella lettera di addebito non si faccia riferimento ad eventuali qualificazioni giuridiche dei fatti contestati alla stregua di specifiche fattispecie penalmente illecite, atteso che devono costituire oggetto di contestazione disciplinare i soli comportamenti materiali addebitati al lavoratore, non anche la loro eventuale qualificazione giuridica. A questo riguardo, i fatti contestati risultano tutti dettagliatamente descritti;
  • pertanto, il controllo operato nel caso di specie è da ricondursi alla categoria dei controlli difensivi, così come delineata dal diritto vivente, in quanto indirizzato a verificare non puramente e semplice il corretto adempimento dell'obbligazione lavorativa privatistica da parte del lavoratore, ovvero eventuali effetti lesivi di interessi aziendali che siano pur sempre diretta conseguenza della violazione del contratto di lavoro (vedi, in questo senso, sentenza della Corte di Cassazione 19.922/2016), bensì la commissione dei fatti costituenti reato ai sensi dell’art. 640 c.p.c.;
  • quanto alla questione dell’utilizzazione in giudizio delle fotografie contenute nella relazione investigativa (doc. 8), l’art. 4, comma 1 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, e che in mancanza di accordo devono osservarsi le ulteriori condizioni dal comma 1;
  • deve ritenersi che l’utilizzazione dello strumento fotografico da parte degli agenti investigativi non ricada nell’ambito applicativo dell’art. 4, comma 1, atteso che quest’ultima norma fa riferimento a strumenti di controllo distanza che siano stabilmente “installati”, e che quindi siano per natura diretti ad effettuare un monitoraggio costante, continuativo e indiscriminato sui luoghi in cui la prestazione lavorativa deve essere eseguita;
  • l’ambito applicativo dell’art. 4, comma 1 è infatti diretto a disciplinare, nel suo insieme, l’utilizzazione di strumenti di controllo a distanza i quali, in quanto installati, consento un monitoraggio costante, continuativo ed indiscriminato dell’attività lavorativa, rispetto ai quali è appunto prevista la garanzia dell’accordo sindacale preventivo. La norma pertanto non può trovare applicazione con riferimento ad atti di controllo tecnologico effettuati ad hoc, e non per mezzo dell’installazione stabile e continuativa di strumenti di controllo a distanza;
  • pertanto, l’utilizzazione operata dagli agenti investigativi dello strumento fotografico, non essendo stata effettuata per mezzo di mezzi di controllo a distanza stabilmente e continuativamente “installati”, esorbita dall’ambito applicativo proprio dell’art. 4, comma 1 dello Statuto dei Lavoratori;
  • ciò tuttavia non esclude la necessità di effettuare una verifica di compatibilità con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di tutela della privacy, atteso l’obbligo di interpretazione conforme gravante sul giudice ordinario alla luce dei principi affermati dalla consolidata giurisprudenza costituzionale (v. Corte Cost., sentenze nn. 348 e 349 del 2007, da ultimo ribadite in sentenza n. 25 del 2019). Ciò deve riguardare non solo l’impiego dello strumento fotografico da parte degli agenti investigativi, ma anche, nel suo complesso, le concrete modalità di controllo poste in essere dalla società resistente ai sensi dell’art. 3 dello statuto dei lavoratori;
  • come noto, l’art. 8 Cedu, così come gli altri diritti convenzionali c.d. “non assoluti” – quali, ad esempio, l’art. 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione), l’art. 10 (libertà di espressione) l’art. 11 (libertà di riunione e di associazione), ovvero l’art. 2 del Protocollo n. 4 (libertà di circolazione) – presenta una struttura bipartita. Esso è costituito da un primo paragrafo enunciante il contenuto del diritto tutelato e da un secondo paragrafo che enuclea i tre presupposti in presenza dei quali ogni Stato membro è legittimato a sottoporre a restrizioni (interferences), eventualmente anche ad opera di privati nei rapporti orizzontali, l’esercizio del diritto definito dal primo paragrafo: a) che la restrizione trovi fondamento nella legge; b) che la restrizione sia giustificata dalla necessità di perseguire almeno una delle finalità legittime tassativamente elencate dalla norma; c) che la restrizione sia necessaria in una società democratica;
  • nel caso di specie, sicuramente deve considerarsi legittimo il fine cui il controllo è stato concretamente indirizzato, essendo quest’ultimo effettivamente individuabile nella necessità di assicurare “protezione dei diritti […] altrui” (art. 8 § 2 CEDU), da identificarsi non solo nella salvaguardia degli interessi patrimoniali aziendali, ma anche nei concorrenti interessi, di rilevanza pubblicistica, della salvaguardia del patrimonio comunale e della corretta erogazione del servizio pubblico;
  • a tale riguardo, l’esigenza di accertare la commissione di condotte fraudolente da parte del dipendente costituisce di per sé un fine legittimo di restrizione del diritto alla privacy dei lavoratori ai sensi dell’art. 8 CEDU. Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie, ove la condotta penalmente illecita addebitata al ricorrente ha determinato un concreto danno economico a carico della società datrice di lavoro;
  • nemmeno è ragionevolmente contestabile che la restrizione al diritto alla privacy concretamente subita dai lavoratori trovi fondamento in una legge sufficientemente accessibile e prevedibile, attesa la consolidata interpretazione giurisprudenziale offerta dal diritto vivente in tema di controlli difensivi. Nella prospettiva convenzionale, una certa restrizione del diritto alla privacy può e deve essere considerata adeguatamente fondata sulla legge non solo in presenza di un fondamento legale certo ed esaustivo, bensì anche in presenza di orientamenti interpretativi giurisprudenziali consolidati i quali, così come avvenuto in Köpke, permettano di colmare l’eventuale deficitdi accessibilità e/o prevedibilità del dato legislativo formale;
  • per altro verso, le modalità procedurali di controllo implementate dalla società datrice di lavoro risultano esserenecessarie in una società democratica in quanto proporzionate rispetto all'esigenza di bilanciare da un lato la tutela dell'interesse del datore di lavoro a prevenire e, quando necessario, reprimere condotte illecite lesive del patrimonio aziendale da parte di chi lavora per l’impresa, dall'altro lato l'interesse del lavoratore alla tutela della propria privacy;
  • in primo luogo, risulta che il controllo operato dalla società datrice di lavoro per mezzo dell'agenzia investigativa non si è risolto in una misura di monitoraggio diretta a colpire indistintamente l’intero staff degli agenti addetti al controllo delle soste, bensì è consistita in un'attività di controllo specificamente indirizzata nei confronti di un particolare lavoratore indiziato della commissione di condotte penalmente illecite precisamente delineate (v. sul punto i principi generali elaborati in materia di tutela della privacysul luogo di lavoro ex art. 8 CEDU da Corte EDU, 5 settembre 2017, Köpke c. Germania, n. 420/07; v. arg. a contrarioex Corte EDU, 9 gennaio 2018, López Ribalda c. Spagna, n. 1874/2013);
  • in secondo luogo, l'avvio dell'attività di controllo per mezzo dell'agenzia investigativa non è frutto di un'iniziativa arbitraria ed estemporanea del datore di lavoro, bensì è conseguenza delle incongruenze riscontrate dal funzionario aziendale ** circa l’immotivata assenza del ricorrente dal luogo di lavoro in data 26 settembre 2018, sia delle anomalie rilevate sulla base del confronto tra il planning settimanale e i tabulati attestanti l’orario di lavoro predisposti e compilati dal ricorrente stesso. Tale circostanza offre una base giustificativa oggettiva a fondamento delle successive iniziative di verifica intraprese dalla società datrice di lavoro;
  • in terzo luogo, la società resistente ha fatto ricorso ad uno strumento di indagine che risulta essere il meno invasivo tra quelli concretamente disponibili e comunque utili allo scopo (v. Corte EDU, GC, 5 settembre 2017, Bărbulescu c. Romania, n. 61496/08). Ed in effetti, assume rilevanza particolarmente qualificante il fatto che il ricorrente fosse inserito non nell’organico di una sede aziendale organizzato, bensì presso un ufficio distaccato del quale egli era l’unico occupante, senza che fosse presente alcun superiore gerarchico o altra unità di controllo in grado di verificare la commissione di eventuali illeciti per mezzo degli ordinari poteri di controllo spettanti al datore di lavoro. Ciò vale a giustificare anche sotto il profilo oggettivo la scelta aziendale di non procedere all’immediata contestazione disciplinare una volta riscontrata una prima potenziale infrazione disciplinare da parte degli agenti investigativi, bensì di attendere le risultanze di una più congrua attività di osservazione prolungata per un lasso di tempo sufficientemente significativo;
  • ciò premesso, deve ritenersi legittima l'attività di controllo posta in essere dalla società resistente a carico del ricorrente anche sotto il profilo della proporzione. Non vi sono pertanto ostacoli all'utilizzazione in giudizio delle risultanze attestate dalla relazione investigativa;
  • è per altro verso irrilevante, in questo caso, che la società datrice di lavoro non abbia provveduto a comunicare preventivamente al ricorrente il possibile compimento di indagini per mezzo di agenzia investigativa. In primo luogo, l’art. 3 Stat. Lav., a differenza dell’ultimo comma dell’art. 4, non prevede tal genere di incombente formale. In secondo luogo, la legittimità dei controlli difensivi comunque opera, per definizione, al di fuori dell’ambito giustificativo individuato dal perimetro applicativo proprio dell’art. 3 Stat. Lav., così come dell’art. 4. In terzo luogo, alla luce della sopra citata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ciò che conta è che l’atto di controllo sull’attività lavorativa sia, nel suo complesso, posto in essere per mezzo di strumenti proporzionati rispetto al fine perseguito. Lo stesso decalogo enunciato dalla Corte EDU al par. 121 della sentenza Bărbulescu- la quale peraltro si riferisce alla eterogenea fattispecie di un atto di controllo effettuato sulla posta elettronica utilizzata dal lavoratore - non deve essere inteso in termini tassativi, bensì alla stregua di elenco di indici sintomatici della proporzione dell’atto di controllo, la cui ponderazione è rimessa al giudice di merito per mezzo di un complessivo giudizio di bilanciamento che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto;
  • quanto al merito delle condotte oggetto di addebito disciplinare, esse non sono contestate dal ricorrente, e comunque risultano compiutamente riscontrate dalla relazione investigativa depositata in giudizio dalla società, la quale è ampiamente suffragata da un ampio corredo di immagini fotografiche;
  • trattandosi di procedimento urgente azionato ai sensi dell'art. 1, commi 48 e 49 della legge n. 92/2012, deve ritenersi allo stato sufficientemente provata la fondatezza degli illeciti disciplinari addebitati al ricorrente;
  • la sanzione irrogata al dipendente risulta altresì proporzionata rispetto alla gravità dei fatti accertati;
  • la domanda è pertanto rigettata;
  • le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM 

Il Giudice del Lavoro, ogni diversa istanza disattesa,

1) rigetta ogni domanda;

2) condanna il ricorrente alla rifusione in favore della società resistente delle spese di lite che liquida in € 2.500,00, oltre spese generali, Iva e cpa.

 

Padova, 2 ottobre 2019

        Il Giudice del Lavoro Dott. Francesco Perrone