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Lavoro e arresti domiciliari (Cass. 8276/18)

15 marzo 2018, Cassazione Penale

La concessione dell’autorizzazione a recarsi al lavoro non si configura come un "diritto" del detenuto agli arresti domiciliari, posto che consentire attività lavorative svolte con continui spostamenti, difficilmente controllabili, snaturerebbe il regime della custodia domestica.

Per autorizzare quindi lo svolgimento di attività lavorativa durante gli arresti domicilairi, è richiesta unl’apprezzamento rigoroso delle complessive fonti di sostentamento disponibili, tenuto conto che con riguardo agli apporti provenienti da terzi, possono essere considerati solo a quelli provenienti da soggetti obbligati legalmente, tra i quali non sono compresi i familiari non gravati da un obbligo legale di mantenimento.

 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 gennaio – 21 febbraio 2018, n. 8276
Presidente Gallo – Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Cagliari sezione per il riesame delle misure coercitive rigettava l’appello proposto avverso il diniego di svolgere attività lavorativa presentato nell’interesse del S. , sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. vizio di legge e di motivazione: sarebbero illogiche le ragioni poste a sostegno del provvedimento, ovvero la asserita indeterminatezza delle ore di lavoro, il fatto che lo stato di indigenza non fosse documentato e l’incompatibilità dell’autorizzazione richiesta con la finalità preventiva della misura imposta. Si deduceva, in particolare, che ad attestare lo stato di assoluta indigenza dell’indagato sarebbe sufficiente la dichiarazione ISEE.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Il collegio ribadisce che quando è in valutazione la richiesta di svolgere attività lavorativa è necessario effettuare, in concreto, il bilanciamento tra la efficacia cautelare della cautela domiciliare e le esigenze sottese alla richiesta di svolgere attività lavorativa.
Sul punto si condivide la giurisprudenza secondo cui la concessione dell’autorizzazione a recarsi al lavoro non si configura come un "diritto" del detenuto agli arresti domiciliari, posto che consentire attività lavorative svolte con continui spostamenti, difficilmente controllabili, snaturerebbe il regime della custodia domestica (Cass. Sez. 3, n. 3472 del 20/12/2012 - dep. 23/01/2013, Barbullushi, Rv. 254428; Cass. sez. 1, n. 103 de/ 01/12/2006 Cc. -dep. 08/01/2007 - Rv. 235341).
Si condivide pertanto l’affermazione che "non solo la valutazione in ordine alla concessione del beneficio ex art. 284 cod.proc.pen., comma 3 deve essere improntata a particolare rigore, proprio come dimostrato dalla qualificazione, nella norma, dei presupposti autorizzativi in termini di "indispensabilità" e di "assolutezza", ma va anche ribadito che il relativo apprezzamento non può prescindere dalla considerazione della compatibilità dell’attività lavorativa proposta, rispetto alle esigenze cautelari poste alla base della misura stessa (Cass. Penale sez. 6, 32574, Pres. De Roberto, est. Conti, imputato Politane), la quale costituisce pur sempre una forma di custodia cautelare (art. 284 cod.proc.pen., comma 5). I

n buona sostanza, ai predetti requisiti di "indispensabilità ed assolutezza" va accoppiata la considerazione della specifica e "concreta compatibilità" di tale attività con le esigenze cautelari, e ciò all’effetto:

  • di impedire che l’attività lavorativa, che si chiede di poter svolgere, comporti l’allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari e spostamenti continui, con orari di lavoro difficilmente controllabili (Cass., Sez. 1, 1 dicembre 2006,Cerchi);
  • oppure, implicando la possibilità per il prevenuto di restare fuori di casa per considerevoli periodi della giornata, vanifichi, in fatto ogni possibilità di sottoporre la persona ai controlli necessari a fini cautelari (Sez. 4, 15 marzo 2005, Haris), nella specie assolutamente necessari (...)considerata la varietà e il numero delle condotte illecite realizzate" (Cass. Sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008 - dep. 19/03/2008, Presta, Rv. 23931).


1.2. Tale apprezzamento è successivo allo scrutinio dell’esistenza della condizione di ammissibilità della istanza, ovvero l’esistenza di una situazione di "assoluta indigenza" del richiedente.

Al riguardo il collegio ritiene che le condizioni concrete del richiedente debbano essere valutate nel loro complesso, senza che sia possibile individuare alcun elemento di prova cui assegnare un peso esclusivo e decisivo.

Sul punto si condivide la giurisprudenza secondo cui la situazione di assoluta indigenza deve essere valutata, stante l’eccezionalità della previsione, secondo criteri di particolare rigore, che non possono però spingersi sino a pretendere una sorta di prova legale della condizione di impossidenza del nucleo familiare dell’indagato, pur essendo legittimo rifiutare l’autorizzazione in assenza di qualsiasi documentazione che dimostri lo stato economico prospettato (Cass. Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016 - dep. 16/12/2016, Condorelli, Rv. 268852; Cass. Sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015 - dep. 25/03/2015, Bosco, Rv. 262775). Pertanto lo stato di assoluta indigenza non è desumibile dalla produzione della certificazione ISEE, tenuto conto che la stessa si fonda in parte su dati autocertificati e, comunque non consente la valutazione complessiva dello stato economico in valutazione che postula la analisi delle attuali forme di sostentamento della persona sottoposta al vincolo domiciliare.

1.3. Nella rilevazione delle forme di sostentamento e dunque della esistenza ella condizione di "assoluta indigenza" del richiedente assume particolare rilievo la analisi di eventuali apporti economici provenienti da terzi. In materia la Cassazione ha chiarito che l’assoluta indigenza dell’imputato deve essere riferita ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari a suo carico, ma non deve essere intesa in senso esclusivamente "pauperistico", dovendo farsi riferimento alle condizioni reddituali e patrimoniali del soggetto, eventualmente comprensive delle utilità economiche costituenti anche esse reddito personale, che siano corrisposte dalle persone obbligate per legge o per rapporti contrattuali al suo mantenimento per motivi che prescindano dalla capacità al lavoro dell’assistito (Cass. Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005 - dep. 26/08/2005, Politanò, Rv. 231869).

Si è tuttavia chiarito che nella valutazione dell’assoluta indigenza deve farsi riferimento alle condizioni personali dell’indagato, senza tener conto di quelle del nucleo familiare che dimorino nello stesso luogo, sia perché la situazione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge, sia perché non sussiste un obbligo di costoro di sostenere gli oneri di mantenimento del congiunto sottoposto a misura restrittiva; la Corte ha rilevato che ad opposta conclusione nella specie non si sarebbe potuto giungere neanche sotto il profilo del dovere di somministrazione degli alimenti, data l’idoneità del potenziale alimentando a provvedere al proprio sostentamento con l’attività lavorativa e non ostando a quest’ultima preminenti esigenze cautelari (Cass. Sez. 1, n. 123 del 29/10/2002 - dep. 08/01/2003, Organista, Rv. 222941; Cass. Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005 - dep. 26/08/2005, Politanò, Rv. 231869).


1.4. Può dunque essere affermato che quando sia applicata la misura degli arresti domiciliari:

a) la richiesta di svolgimento di attività lavorativa è ammissibile solo se è provata la condizione di "assoluta indigenza" del richiedente;

b) la valutazione di tale condizione richiede l’apprezzamento delle complessive fonti di sostentamento disponibili, tenuto conto che con riguardo agli apporti provenienti da terzi, possono essere considerati solo a quelli provenienti da soggetti obbligati legalmente, tra i quali non sono compresi i familiari non gravati da un obbligo legale di mantenimento (che non consegue alla inabilità lavorativa derivante applicazione della cautela);

c) tale apprezzamento globale esclude che possa assegnarsi efficacia dimostrativa esclusiva alla dichiarazione ISEE;

d) la valutazione dell’esistenza dello stato di assoluta indigenza non implica l’automatica concessione dell’autorizzazione richiesta, dato che deve essere successivamente valutato se la attività lavorativa in concreto richiesta incida sulla efficacia cautelare del vincolo.


1.5. Nel caso di specie il Tribunale, in coerenza con tali linee ermeneutiche, da un lato escludeva che lo stato di assoluta indigenza potesse essere provato sulla base della dichiarazione ISEE, e dall’altro ribadiva la necessità di conservare la funzione cautelare degli arresti domiciliari.
Il provvedimento risulta tuttavia viziato nella parte in cui effettuava la valutazione dello stato di indigenza, riconoscendo una fonte sostentamento nei familiari del S. , senza che tale valutazione risultasse ancorata alla rilevazione di un obbligo legale di mantenimento in capo a tali soggetti.
Pertanto, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuova valutazione sulla esistenza dello stato di assoluta indigenza del richiedente.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Cagliari.