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Interesse alla commissione di un reato edilizio: condanna? (Cass. 9225/15)

3 marzo 2015, Cassazione penale

Il rilascio in sanatoria della concessione edilizia non determina la estinzione dei reati previsti dalla normativa disciplinante le opere in conglomerato cementizio, atteso che la sanatoria estingue i soli reati contravvenzionali previsti dalla norme urbanistiche, fra le quali non possono essere ricomprese le disposizioni aventi oggettività giuridica diversa, quale la normativa in materia di cemento armato, rispetto alla tutela urbanistica del territorio.

In tema di adeguatezza della motivazione, non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che fondi il giudizio di colpevolezza sul principio del "cui prodest", qualora esso sia supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 16/01/2015) 03-03-2015, n. 9225

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo - Presidente -

Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -

Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S., n. (OMISSIS);

V.P.V.D., n. (OMISSIS);

avverso la sentenza del tribunale di UDINE in data 7/01/2014;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D'AMBROSIO Vito, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente ai capi 3 e 4 della rubrica, rideterminandosi la pena nella misura finale di Euro 600,00 di ammenda ciascuno.

Svolgimento del processo


1. P.S. e V.P.V.D. hanno proposto separati ricorsi avverso la sentenza del tribunale di UDINE emessa in data 7/01/2014, depositata in data 5/03/2014, con cui i medesimi sono stati condannati, con il concorso di attenuanti generiche, alla pena di Euro 600,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui all'art. 110 c.p., L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), (capo 1, contestato come commesso in data 10/02/2011), alla pena di Euro 600,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 65 e 71, (capo 3, contestato come segue "lavori iniziati nel dicembre 2009"), nonchè, infine, alla pena di Euro 600,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 64, comma 3 e art. 71, (capo 4, contestato come segue "lavori iniziati nel dicembre 2009"), il tutto secondo le modalità esecutive e spazio temporali meglio descritte nei relativi capi di imputazione.

2. Con il ricorso V.P.V.D., proposto dal difensore fiduciario cassazionista - procuratore speciale dell'imputato avv. AP, viene dedotto un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), per aver il tribunale ritenuto il medesimo responsabile senza tuttavia tener conto che l'avere un interesse specifico alla commissione di un reato non comporta responsabilità.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il tribunale ritenuto il ricorrente responsabile dei reati ascrittigli in base alla argomentazione secondo cui il medesimo, pur non essendo più l'amministratore della società dal marzo 2010, avrebbe continuato a interessarsi della gestione della medesima, come desumibile dalla circostanza di essere intervenuto in occasione del sopralluogo del giugno 2010 rendendo spiegazioni agli operanti sull'epoca di realizzazione dei lavori; difetterebbe, tuttavia, qualsiasi prova di un coinvolgimento del medesimo anche solo morale nei reati per cui si è proceduto, nè la semplice qualità di coniuge della P. (nuovo amministratore) sarebbe di per sè sufficiente, in assenza di prova di un contributo causale del medesimo alla realizzazione dell'illecito, dovendosi accertare in concreto tale concorso.

3. Con il ricorso P.S., proposto dal difensore fiduciario cassazionista - procuratore speciale dell'imputata avv. AP, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione alla L. n. 283 del 1962, art. 5.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il tribunale ritenuto la ricorrente responsabile del reato senza alcuna verifica volta ad accertare il cattivo stato di conservazione degli alimenti, ma deducendolo esclusivamente da quanto descritto dagli operanti sulla base di una mera sensazione visiva (presenza di importanti tracce di ghiaccio); non sarebbe stato svolto alcun accertamento in ordine alla consistenza e qualità del cibo, con travisamento del fatto, tanto che il ritrovamento degli alimenti avveniva in un locale posto fuori dall'area di somministrazione, non comprendendosi nemmeno da dove il giudice abbia ricavato che detti alimenti avessero una destinazione a terzi, ma soprattutto se la conservazione degli alimenti (pesce) operasse o meno senza ghiaccio (in tal senso, si obietta, sarebbe stata sufficiente una perizia, quantomeno sul frigorifero per escludere che la conservazione degli alimenti fosse data, ancorchè in presenza di formazioni di ghiaccio).

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), atteso che la concessione edilizia in sanatoria estinguerebbe i residui reati contestati.

La censura investe l'impugnata sentenza per aver il tribunale dichiarato la ricorrente responsabile dei reati relativi alla violazione della disciplina in materia di conglomerato cementizio armato (capo 3 e capo 4) nonostante il rilascio della sanatoria edilizia in data 18/09/2012; detta sanatoria avrebbe determinato l'estinzione anche dei residui reati, oltre a quello edilizio, richiamando giurisprudenza in tal senso; in ogni caso, quanto all'aver realizzato le opere senza l'assistenza di un tecnico abilitato, si osserva in ricorso che il coimputato, poi, assolto ( R.), fosse progettista e direttore dei lavori delle opere e, sul punto, la motivazione si appaleserebbe contraddittoria.

Motivi della decisione

4. Ambedue i ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.

5. Seguendo l'ordine imposto dalla struttura dell'impugnazione di legittimità, dev'essere anzitutto esaminato il primo motivo, con cui il P. contesta l'affermazione della sentenza impugnata che lo avrebbe ritenuto responsabile del reato ascritto quale responsabile "di fatto" (sub specie, quale amministratore di fatto del ristorante, o, più precisamente, della società di gestione del medesimo). Il tribunale, sul punto, motiva chiarendo che questi aveva rivestito il ruolo di amministratore unico della società sino al 1/03/2010 (anche se il passaggio formale era stato comunicato al Comune in data 7/07/2010), aggiungendo che era stato però proprio il ricorrente a fornire spiegazioni agli operanti sulla relazione delle opere abusivamente eseguite nonchè, per quanto concerne la violazione della legge alimenti, nel corso dell'ispezione eseguita dall'organo di vigilanza, ciò che denotava piena consapevolezza su ambedue le questioni. La conclusione cui è pervenuto il giudice non merita censura. Ed invero, è noto che in tema di adeguatezza della motivazione, non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che fondi il giudizio di colpevolezza sul principio del "cui prodest", qualora esso sia supportato da altri elementi di fatto di sicuro valore indiziante (quali quelli descritti nell'impugnata sentenza: v., sul punto, Sez. 5, n. 12329 del 04/03/1988 - dep. 13/12/1988, D'Oronzo, Rv. 179918). Orbene, nel caso di specie, oltre la qualità di coniuge (di per sè neutra), il tribunale ha valorizzato ulteriori elementi, quali la circostanza che questi, al momento dell'inizio lavori (dicembre 2009) nonchè tra la presentazione del permesso di costruire (5/11/2009) e il sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria (17/06/2010), fosse ancora (sicuramente sino al 1/03/2010), di diritto e di fatto sino al 7/07/2010 (data della comunicazione al Comune del cambio di amministratore) amministratore della società del ristorante.

Inoltre, come emerge dalla lettura dell'impugnata sentenza, il medesimo, al momento del sopralluogo, si era dimostrato perfettamente informato sia dei lavori eseguiti e, in occasione del sopralluogo eseguito per accertare la violazione della legge alimenti (12/02/2011) aveva fornito puntuali spiegazioni agli operanti.

Elementi, questi, che hanno consentito al tribunale di qualificare il P. come corresponsabile.

6. Passando ad esaminare il ricorso P., quanto la primo motivo, con cui si contesta la condanna per la violazione della L. n. 283 del 1962, la ricorrente censura l'assenza di qualsiasi accertamento del "cattivo stato di conservazione" e che vi sarebbe stato un travisamento del fatto, aggiungendo che gli alimenti vennero trovati in un deposito sito al di fuori dell'area di somministrazione, non essendovi dunque prova della destinazione a terzi; inoltre, si sostiene che non sarebbe stata eseguita una perizia sul frigorifero per escludere la configurabilità del reato.

Il motivo è privo di pregio. Ed infatti, esclusa la sindacabilità in sede di legittimità del cd. travisamento del fatto (v., ex multis: Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235656), quanto all'accertamento del cattivo stato di conservazione, costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello per il quale ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b), il cattivo stato di conservazione degli alimenti può essere accertato dal giudice di merito senza necessità di specifiche analisi di laboratorio, sulla base di dati obiettivi risultanti dalla documentazione relativa alla verifica (verbale ispettivo, documentazione fotografica, o altro) e dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, ed è ravvisabile nel caso di evidente inosservanza di cautele igieniche e tecniche necessarie ad assicurare che le sostanze alimentari si mantengano in condizioni adeguate per la successiva somministrazione (v., tra le tante: Sez. 3, n. 12346 del 04/03/2014 - dep. 17/03/2014, Chen, Rv. 258705). Quanto, invece, alla destinazione a terzi, va poi ricordato che nel reato di cui alla L. n. 283 del 1962, artt. 5 e 6 la destinazione alla vendita sussiste anche nel possesso di prodotti da vendersi successivamente e cioè, in definitiva, in una relazione di fatto tra il soggetto ed il prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita stessa, senza la necessità che la mercè si trovi in luoghi destinati immediatamente alla vendita ai consumatori (Sez. 3, n. 6266 del 17/05/1996 - dep. 22/06/1996, Ghigo, Rv. 205817).

Che, del resto, vi fosse un cattivo stato di conservazione degli alimenti, è ben motivato nell'impugnata sentenza, laddove si legge che gli ispettori avevano verificato all'interno del congelatore vaste formazioni di ghiaccio, sporcizia formata da residui di alimenti, alcuni prodotti erano sfusi, senza involucri protettivi, invasi di formazioni di ghiaccio, senza indicazioni riferite alla tipologia ed alla tracciabilità degli alimenti. A fronte di tale quadro, dunque, del tutto prive di spessore argomentativo si appalesano le doglianze della ricorrente.

7. Quanto, infine, al secondo motivo di ricorso P., avente ad oggetto la condanna inflitta per la violazione alla disciplina in materia di cemento armato, la ricorrente sostiene che la sanatoria estinguerebbe le relative violazioni, citando tuttavia una giurisprudenza che riguarda la disciplina del condono edilizio.

Pacifico è infatti che il rilascio in sanatoria della concessione edilizia non determina la estinzione dei reati previsti dalla normativa disciplinante le opere in conglomerato cementizio, atteso che la sanatoria estingue i soli reati contravvenzionali previsti dalla norme urbanistiche, fra le quali non possono essere ricomprese le disposizioni aventi oggettività giuridica diversa, quale la normativa in materia di cemento armato, rispetto alla tutela urbanistica del territorio (v., in termini: Sez. 3, n. 11511 del 15/02/2002 - dep. 21/03/2002, Menna A, Rv. 221439).

Quanto, infine, al reato contestato al capo 3), non v'è dubbio che si tratta di reato proprio del committente, dunque pacificamente ascrivibile alla P. (Sez. 3, n. 40341 del 27/05/2014 - dep. 30/09/2014, P.M. in proc. Cappelli e altri, Rv. 260752), laddove, in relazione al reato sub 4), è la stessa norma (art. 71, comma 1, T.U. Edilizia) a precisare che soggetto attivo è chiunque "commette", da intendersi evidentemente colui che riveste la qualifica di committente dei lavori senza la direzione di un tecnico abilitato.

Anche per tale imputazione, pertanto, non v'è dubbio sulla responsabilità della P..

8. I ricorsi devono essere, conclusivamente, dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in Euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

9. Solo per completezza, si evidenzia che tutti i reati non sono ancora prescritti; ed invero, tanto con riferimento al reato sub 1) quanto con riferimento ai reati sub 3) e sub 4), al termine ordinario (che maturerà, per il reato sub 1), in data 10/02/2016 e, per i reati sub 3) e sub 4), maturato in data 1/12/2014), devono essere aggiunti mesi 2 e gg. 17 di sospensione - per rinvii dal 14/05/2012 al 3/07/2012 e dall'8/09/2012 al 16/10/2012, determinati da istanze difensive - con conseguente maturazione del termine massimo di prescrizione, per il reato sub 1), alla data del 27/04/2016 e, per i reati sub 3) e sub 4), alla data del 18/02/2015, ambedue successive alla decisione di questa Corte.

La manifesta inammissibilità del ricorso non consente tuttavia di rilevare, pur non tenendo conto del predetto periodo di sospensione, l'intervenuta prescrizione maturata per i reati sub 3) e sub 4) ordinariamente alla data del 1/12/2014, in quanto successiva alla sentenza (emessa in data 7/01/2014). L'inammissibilità del ricorso preclude infatti l'apprezzamento della prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata, stante il non istauratosi rapporto processuale (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv.

217266).

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2015