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Ingiusta detenzione estradizionale e non luogo a provvedere (Cass. 14088/24)

8 aprile 2024, Cassazione penale

In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, la privazione della libertà personale sofferta nell'ambito di una procedura di estradizione passiva può essere ritenuta ingiusta anche nel caso in cui tale procedimento si concluda, non con una decisione sfavorevole all'estradizione, ma con una pronuncia di natura strettamente processuale, quale il non luogo a provvedere in ragione dell'allontanamento dell'estradando. 

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(data ud. 08/02/2024) 08/04/2024, n. 14088
 

Composta da:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. CENCI Daniele - Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio - Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A. nato il (omissis)

avverso l'ordinanza del 27/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO

udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO ANTEZZA;

lette le conclusioni del PG, MARIELLA DE MASELLIS, nel senso del rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Milano, quale giudice della riparazione, ha rigettato l'istanza proposta nell'interesse di A.A., ex art. 314 cod. proc. pen., avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l'asserita ingiusta detenzione patita in forza di ordinanza cautelare emessa in seno a procedimento di estradizione passiva.

1.1. La Corte territoriale, circa la situazione di contesto nella quale è maturata l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione, ha evidenziato che l'8 settembre 2019 A.A. è stato arrestato in esecuzione di mandato di cattura internazionale emesso dall'Autorità giudiziaria del Brasile (ex art. 716 e 715 cod. proc. pen.). Il 9 settembre 2019 l'arresto è stato convalidato, con contestuale applicazione della custodia cautelare in carcere (ex artt. 716 cod. proc. pen.), in forza di provvedimento non impugnato ex art. 719 cod. proc. pen., e il successivo 23 settembre 2019 è stata presentata dal Governo dalla Repubblica del Brasile, per i medesimi fatti, domanda di estradizione accolta dalla Corte d'appello di Milano con sentenza n, 68 del 19 novembre 2019.

In parziale accoglimento del ricorso proposto nell'interesse dell'estradando, rigettati i motivi deducenti vizi afferenti alla mancata trasmissione degli atti necessari ai fini dell'istruttoria, l'omessa valutazione delle prove documentali fornite dalla difesa, la prescrizione del reato e la violazione del ne bis in idem internazionale, la sentenza d'accoglimento della richiesta d'estradizione è stata annullata da Sez. 6, n. 6241 del 29/01/2020 con rinvio. Finalizzato, quest'ultimo, all'acquisizione di informazioni suppletive presso l'autorità brasiliana al fine di valutare la sussistenza delle condizioni per l'estradizione in quel Paese con specifico riferimento al pericolo di sottoposizione dell'estradando a trattamenti crudeli, disumani o degradanti e, in seconda battuta, al fine di verificare la compatibilità dello stato di salute di A.A. con il viaggio oltreoceano e la struttura penitenziaria di destinazione.

Nelle more del giudizio di rinvio, su richiesta della difesa, il 6 maggio 2020 è stata sostituita la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, successivamente revocati il 15 settembre 2020 dalla Corte d'appello, su richiesta del Ministero della Giustizia, in ragione della revoca da parte dell'autorità brasiliana del provvedimento di detenzione preventiva a carico dell'estradando.

Con sentenza n. 82 del 17 dicembre 2020 è stato infine dichiarato non luogo a provvedere in merito alla domanda di estradizione per il venir meno del relativo presupposto, essendosi A.A. allontanato dall'Italia per rientrare nel proprio Paese.

1.2. Ricostruiti nei termini di cui innanzi i fatti processuali, la Corte territoriale ha rigettato l'istanza di riparazione per l'asserita ingiusta detenzione patita in seno alla procedura di estradizione passiva, ritenendo non sussumibile la fattispecie concreta nell'ipotesi di cui all'art. 314, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen.

1.2.1. In primo luogo, è stata ritenuta inconfigurabile una ingiustizia c.d. "sostanziale" (art. 314, comma 1, cod. proc. pen.), non essendosi concluso il procedimento con una sentenza irrevocabile di rigetto della richiesta di consegna per infondatezza della stessa, bensì con una pronuncia d'improcedibilità, per il venir meno del relativo presupposto a causa dell'allontanamento dell'estradando dall'Italia.

1.2.2. In secondo luogo, la corte territoriale ha escluso nella specie una ingiustizia c.d. "formale" della detenzione (ex art. 314, commi 2 e 3, cod. proc. pen.) non essendo stato emesso il provvedimento limitativo della libertà personale in assenza delle condizioni di legge.

Sono stati in particolare evidenziati: a) il rispetto della disciplina dell'estradizione passiva e del relativo Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Brasile, come avrebbe sottolineato dalla sentenza rescindente della Suprema Corte (nell'annullare la sentenza solo per la necessità di approfondimenti istruttori); b) l'assenza di una decisione irrevocabile circa l'emissione o il mantenimento del provvedimento cautelare in assenza, ab origine, delle condizioni di applicabilità, anche in ragione dell'assenza di impugnazione ex art. 719 cod. proc. pen., stanti i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di fuga (ritenuto concreto e attuale in considerazione della presenza in Italia dell'estradando solo occasionale per un periodo di vacanza, come dimostrato dal successivo allontanamento).

2. Avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di riparazione per ingiusta detenzione è stato proposto ricorso nell'interesse di A.A. fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).

2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione degli artt. 314, commi 1, 2 e 3, 705, comma 2, lett. C-bis), e 125 cod. proc. pen, in relazione alla tutela del diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost., e vizio cumulativo di motivazione.

In sostanza, al di là della formulazione della rubrica, la censura lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare l'istanza di riparazione sull'assunto della sussistenza dei presupposti per l'estradizione, senza considerare l'intervenuto annullamento della sentenza di accoglimento della domanda di estradizione motivato anche in ragione dell'assenza della valutazione delle condizioni di salute dell'estradando. La valutazione di cui innanzi, peraltro, non sarebbe stata condotta in seno al giudizio di rinvio, a causa della mancata risposta delle autorità brasiliane, in quanto conclusosi con l'improcedibilità per l'allontanamento dall'Italia di A.A. e nonostante la documentazione della difesa, a detta del ricorrente, avesse dimostrato condizioni di salute ostative.

2.2. Con il secondo motivo si deducono la violazione degli artt. 314, commi 1, 2 e 3, 698, 705, comma 2, lett. b) e c), art. 5 lett. b), del trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federativa del Brasile del 17 ottobre 1989, anche in relazione alla tutela del diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost. all'art. 3 CEDU, nonché vizio cumulativo di motivazione.

La censura, sostanzialmente, lamenta al di là della formulazione della rubrica, che la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare l'istanza di riparazione sull'assunto della sussistenza dei presupposti per l'estradizione, senza considerare l'intervenuto annullamento della sentenza di accoglimento della domanda di estradizione motivato anche in ragione dell'assenza della valutazione della situazione carceraria in Brasile. La valutazione di cui innanzi, peraltro, non sarebbe stata condotta neanche in seno al giudizio di rinvio, in quanto conclusosi con l'improcedibilità per l'allontanamento dall'Italia di A.A., e nonostante, a detta del ricorrente, notizie di cronaca e pubblicazioni di associazioni non governative (queste ultime indicate anche dalla sentenza rescindente) dimostrassero, ictu oculi, la necessità di respingere la richiesta per le condizioni carcerarie brasiliane. La Corte territoriale, nel decidere sulla domanda di estradizione, tanto in seno al giudizio conclusosi con la sentenza annullata quanto nel giudizio rescissorio conclusoci con una sostanziale improcedibilità, non avrebbe altresì considerato "la situazione carceraria brasiliana, dove l'estradando avrebbe trovato morte sicura, anche solo ricevendo un colpo accidentale durante una rivolta".

3. La Procura generale ha concluso per iscritto nei termini di cui in rubrica.
Motivi della decisione
1. In ricorso è inammissibile.

2. Come è stato già rilevato da Sez. 4, n. 52813 del 19/09/2018, Maroci, Rv. 275197, con iter logico-giuridico di seguito evidenziato, l'istituto della riparazione per l'ingiusta detenzione ha conosciuto un'evoluzione interpretativa che lo ha condotto a un più vasto ambito di applicazione, rispetto a quello definito dal legislatore nel dare attuazione alla legge-delega del 16 febbraio 1987, n. 81.

2.1. Secondo la previsione codicistica, l'indennizzo compete, in primo luogo, a chi, sottoposto a custodia cautelare, è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, sempre che non abbia concorso con colpa grave o dolo all'adozione del provvedimento restrittivo (comma 1); inoltre compete a chi è stato prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 cod. proc. pen. (comma 2).

Alle medesime condizioni, l'indennizzo può essere riconosciuto a favore delle persone nei cui confronti sia pronunciato provvedimento di archiviazione o sentenza di "non luogo a procedere" (comma 3).

Una più risalente interpretazione riteneva che, poiché il diritto è riconoscibile solo in caso di proscioglimento pronunciato per ragioni di merito e il quarto comma dell'art. 314 dispone che "il diritto alla riparazione è escluso ... per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all'applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo", se il provvedimento restrittivo della libertà è fondato su più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste, sempreché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà, impedisce il sorgere del diritto, irrilevante risultando il proscioglimento dalle altre imputazioni (ex plurimis, Sez. 4, n. 18343 del 02/03/2007, dep. 2007, P.G. in proc. Ferlini, Rv. 236411). Di conseguenza, si reputava non indennizzabile la detenzione che, imposta per reato per il quale intervenga proscioglimento nel merito, sia stata subita anche per reato per il quale venga ritenuta mancante la prescritta condizione di procedibilità (Sez. 4, n. 5949 del 13/12/2002, Rv. 226152); o anche per reato estinto per prescrizione (Sez. 4, n. 3590 del 04/12/2006, dep. 2007, Di Grazia e altro, Rv. 236010).

Secondo il tenore delle disposizioni, inoltre, non può essere ottenuto l'indennizzo quando la detenzione subita non abbia avuto funzione cautelare ma sia stata espiata in esecuzione della condanna inflitta con pronuncia definitiva; altrettanto dicasi per l'ipotesi che venga sofferto un periodo di detenzione cautelare superiore alla pena che risulta inflitta con il giudicato.

2.2. Orbene, queste e altre limitazioni, derivanti dallo stretto tenore letterale del dettato codicistico, sono state progressivamente superate dalla giurisprudenza, costituzionale e di legittimità.

Già con risalenti pronunce venne adottata una interpretazione estensiva della previsione di cui al terzo comma dell'art. 314 cod. proc. pen., risolvendo in senso affermativo il dubbio se l'ipotesi di cui al comma 1 si applicasse anche al decreto di archiviazione, quale che ne sia la ragione (Sez. 4, n. 1585 del 18/12/1993, dep. 1994, Fazari, Rv. 197642). Quanto all'ipotesi di reato estinto per prescrizione, l'orientamento maggioritario formatosi nella giurisprudenza di legittimità, militante per la insussistenza del diritto, è stato dapprima contrastato da talune pronunce, per le quali la detenzione sofferta per reato dichiarato prescritto va tenuta in considerazione e raffrontata, al fine di valutarne la ingiustizia, all'entità della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna (Sez. 4, n. 40094 del 06/07/2005, Cinanni, non massimata; Sez. 4, n. 36898 del 08/07/02005, Femia, non massimata), quindi fatto presupposto di un sospetto di illegittimità costituzionale dell'art. 314, co. 1 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la riparazione per la detenzione subita in relazione a reato per il quale è intervenuto proscioglimento non nel merito. Peraltro, con l'ordinanza di rimessione la Corte di cassazione ampliò il raggio della questione - sollevata anche a riguardo del comma 4 dell'art. 314 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 2, 3, 24, 76 e 77, Cost. - investendo la Corte costituzionale anche del profilo concernente la mancata previsione del diritto alla riparazione della custodia cautelare sofferta per una durata superiore alla pena inflitta (Sez. U, n. 25084 del 30/05/2006, Pellegrino, Rv. 234144).

Ponendo per il momento da parte l'esito di tale giudizio di costituzionalità, ha rilevanza rimarcare, nel solco di Sez. 4, n. 52813 del 2018, Maroci, cit., che proprio il giudice delle leggi ha impresso un impulso decisivo al moto espansivo del diritto, indicando al giudice ordinario la necessità di cogliere, nella diversità delle vicende, il nucleo fondante dell'istituto, rappresentato non già da un particolare esito del procedimento penale quanto dalla oggettiva lesione della libertà personale.

Il primo arresto che merita di essere rammentato in questa sede è la sentenza n. 310 del 1996, con la quale il Giudice delle leggi dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. Il silenzio serbato a riguardo di tale evenienza dal legislatore è stato ritenuto ingiustificato alla luce del fatto che la detenzione conseguente a ordine di esecuzione illegittimo offende la libertà della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta e che la legge delega lascia trasparire l'intento del legislatore delegante di non introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Del resto - ricordò la Corte costituzionale - l'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo prevede il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta; art. 5 che la stessa legge delega indica - in uno con le norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale - tra le norme alle quali il nuovo codice si deve adeguare.

L'erosione dell'originario caposaldo conobbe un ulteriore avanzamento nella sentenza n. 109 del 1999, con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la riparazione anche per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziati di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare; e dell'art. 314, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che lo stesso diritto nei medesimi limiti spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida. Ancora una volta la Corte costituzionale sottolineò che nella legge di delegazione è ben presente l'esigenza che tutte le offese arrecate alla libertà personale mediante "ingiusta detenzione" siano riparate, indipendentemente dalla durata di queste e quale che sia l'autorità dalla quale la restrizione provenga; e ciò, conformemente all'art. 5, comma 5, della Cedu, il quale prevede espressamente il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzioni di sorta. Qualche anno dopo, affrontando proprio la questione che le era stata rimessa dalle Sezioni Unite "Pellegrino", la Corte costituzionale ha ritenuto ingiustificato anche il limite derivante dalla necessità che sia intervenuto proscioglimento nel merito, dichiarando l'art. 314 cod. proc. pen. costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nell'ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all'equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni. Dopo tale pronuncia il massimo organo di nomofilachia ha statuito che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione spetta anche quando la durata della custodia cautelare risulti superiore alla misura della pena inflitta con la sentenza di primo grado, alla quale abbia fatto seguito una sentenza di appello dichiarativa della estinzione del reato per prescrizione, precisando che, ai fini della quantificazione dell'indennizzo, non si deve tenere conto della parte di detenzione cautelare patita che corrisponda alla condanna inflitta in primo grado (Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, Pellegrino, Rv. 241855).

Con la sentenza n. 230 del 2004 il giudice delle leggi ha ricondotto all'area di disciplina del comma 2 dell'art. 314 cod. proc. pen. il caso di colui che abbia subito un periodo di custodia cautelare sulla base di un'ordinanza emessa per un fatto per il quale egli era già stato giudicato ovvero aveva addirittura scontato la pena inflitta con precedente sentenza di condanna. Si è affermato che la norma non esclude che l'accertamento negativo circa la sussistenza delle condizioni di applicabilità, previste dagli artt. 273 e 280cod. proc. pen., consegua in modo implicito a una sentenza irrevocabile che accerti che l'azione penale non poteva essere esercitata perché preclusa da precedente giudicato, visto che non può non concludersi che anche la misura cautelare disposta per il medesimo fatto per il quale l'imputato era già stato giudicato risulta priva dei requisiti che ne legittimano l'adozione, stante l'evidente nesso di strumentalità dell'azione cautelare rispetto all'azione penale.

2.3. Risulta del tutto evidente, quindi, che, secondo la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non la pronuncia di una determinata statuizione condiziona il diritto alla riparazione bensì una oggettiva lesione del diritto. E quando il tessuto normativo non offra tutela va esplorata la possibilità di un'interpretazione costituzionalmente conforme.

Sulla scorta di tale criterio direttivo, dopo averlo escluso (Sez. 6, n. 1648 del 22/04/1997, Priebke, Rv. 208145; Sez. 6, n. 31130 del 08/07/2003, Napar. G.O., Rv. 226208), dando seguito alle indicazioni offerte dalla sentenza n. 231 del 2004 della Corte costituzionale, la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto alla riparazione della detenzione ingiustamente patita nell'ambito della procedura di estradizione passiva, a riguardo della quale la disciplina codicistica risulta silente. Con la citata decisione il giudice delle leggi ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 314 cod. proc. pen., sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24 della Costituzione, nella parte in cui in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione. È stato infatti rilevato come sia possibile dare alla norma una interpretazione in senso conforme al fondamento solidaristico della riparazione per l'ingiusta detenzione, in ragione della quale il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione va ricollegato alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ex post; e pertanto anche qualora tale lesione derivi da un titolo di detenzione che trovi origine nell'ambito della procedura di estradizione.

2.4. Nelle decisioni successive la Suprema Corte ha ritenuto ammissibile la richiesta di riparazione attinente a detenzione subita nell'ambito di procedure estradizionali (cfr. Sez. 6, n. 21748 del 13/05/2008, Dakhlaoui, Rv. 239940:. Sez. 4, n. 2678 del 12/12/2008, dep. 2009, Pramstaller, non massimata).

Le Sezioni Unite, in particolare, prendendo in esame la questione "se la misura coercitiva a fini estradizionali perda efficacia nel caso in cui lo Stato richiedente non prenda in consegna l'estradando nel termine di legge a causa della sospensione dell'efficacia, disposta dal giudice amministrativo, del provvedimento ministeriale di concessione dell'estradizione", hanno espresso a chiare lettere l'adesione alla prospettiva interpretativa indicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 231 del 2004. È stato infatti ribadito che nei confronti dei soggetti di cui è richiesta l'estradizione gli estremi dell'ingiusta detenzione possono e debbono comunque essere valutati, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, ma non sulla base dei parametri ricavabili dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., la cui applicabilità è esclusa esplicitamente dall'art. 714, comma 2, cod. proc. pen., bensì verificando se risulta ex post accertata l'insussistenza delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per tali soggetti individuate, a norma del comma 3 dell'art. 714 cod. proc. pen., nelle "condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione". Per le citate Sezioni Unite, "al di fuori del limite indicato, non v'è ulteriore spazio per l'esperimento dell'azione di riparazione per l'ingiusta detenzione a fini estradizionali. Ne consegue che, in caso di sentenza irrevocabile favorevole all'estradizione, la detenzione eventualmente patita a tal fine dall'estradando non può considerarsi ingiusta e non può costituire, pertanto, titolo per un favorevole epilogo della procedura di cui agli artt. 314 e 315 cod. proc. pen." (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Maririaj, Rv. 251691, in motivazione, richiamando la precisazione già operata in Corte cost. n. 231 del 2004).

2.5. Alla luce dell'insegnamento delle citate Sezioni Unite "Marinaj", la sentenza "Maroci" ha concluso che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione occorsa nell'ambito di una procedura di estradizione passiva si coordina a condizioni peculiari.

La prima di esse è che non deve essere stata pronunciata sentenza irrevocabile favorevole all'estradizione. Non assume invece alcun rilievo che non sia stata emessa, e abbia assunto forza di giudicato, una delle pronunce alle quali fa riferimento l'art. 314, commi 1 e 3 cod. proc. pen.

Il diritto alla riparazione non presuppone dunque che la detenzione sia stata instaurata in violazione degli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Per le ipotesi di misure coercitive da adottare nei confronti della persona "della quale è domandata l'estradizione", la ragione risiede nella esplicita esclusione dell'applicabilità di tali norme, operata dal solo art. 714 cod. proc. pen. Ciò non di meno, la sussistenza di gravi indizi assume indiretta valenza, in forza della previsione dell'art. 705 cod. proc. pen., che detta le condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione.

A riguardo dell'arresto da parte della polizia giudiziaria (art. 716 cod. proc. pen.) e dell'applicazione provvisoria di misure cautelari nei confronti della persona la cui domanda di estradizione non sia ancora pervenuta (disciplinata dall'art. 716 e dall'art. 715 cod. proc. pen.), per i quali non si rinviene analoga previsione, è stato ritenuto irragionevole che debbano trovare applicazione gli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. in ipotesi caratterizzate da una delibazione che, salvo per il profilo concernente il pericolo di fuga, attiene a condizioni meramente procedurali (ovvero che lo Stato estero abbia dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso provvedimento restrittivo della libertà personale ovvero sentenza di condanna a pena detentiva e che intende presentare domanda di estradizione; che esso abbia fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato e delle pene previste per lo stesso, nonché gli elementi per l'esatta identificazione della persona). Dovendosi considerare, inoltre, che l'espressa previsione di un giudizio "sostanziale" limitato alla ricorrenza del pericolo di fuga conferma l'estraneità a esso della verifica delle condizioni previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.

In sintesi, anche per le ipotesi disciplinate dall'art. 715 cod. proc. pen. e dall'art. 716 cod. proc. pen., non assumono rilievo le condizioni poste per l'adozione di misure coercitive dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Le misure coercitive disposte nell'ambito di una procedura di estradizione passiva trovano nel pericolo di fuga il presupposto atto a giustificare l'applicazione del provvedimento limitativo della libertà personale. Esso può essere inteso come pericolo di allontanamento dell'estradando dal territorio dello Stato richiesto, con conseguente rischio di inosservanza dell'obbligo assunto a livello internazionale di assicurarne la consegna al Paese richiedente. La sussistenza del detto pericolo dev'essere, in sede di applicazione della misura cautelare, motivatamente fondata su elementi concreti, che abbiano cioè uno stretto legame nella realtà di fatto e che non siano basati su presunzioni o preconcette valutazioni di ordine generale, richiedendosi dunque che le circostanze prese in esame siano specifiche e rivelatrici di una vera propensione e di una reale possibilità di allontanamento clandestino da parte dell'estradando (Sez. 6, n. 28758 del 09/04/2008, dep. 2008, Costan, Rv. 240322).

Se l'ingiustizia della detenzione patita in via provvisoria, ex art. 715 cod. proc. pen. o ex art. 716 cod. proc. pen., non può essere data dalla insussistenza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., non può valere per tali ipotesi il canone indicato dalle Sezioni Unite, vale a dire la insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione: ciò per la ridotta base di giudizio del giudice nazionale chiamato ad applicare tali disposizioni e per la possibilità che, ove la domanda di estradizione non venga presentata dallo Stato estero, non sia oggettivamente possibile verificare la insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all'estradizione.

2.6. Il diritto alla riparazione per la detenzione subita a fini estradizionali va quindi accertato tenendo presente la varietà delle situazioni.

2.6.1. Come si è già ricordato, prosegue la sentenza "Maroci", allorquando la Corte costituzionale ebbe a occuparsi, con la sentenza n. 109 del 1999, dell'applicabilità dell'istituto della riparazione ai casi di adozione di misure precautelari (arresto in flagranza e fermo), ravvisò l'illegittimità costituzionale sia del comma 1 che del comma 2 dell'art. 314 cod. proc. pen., cosi prospettando la possibilità che possa trovare spazio anche per quelle misure tanto l'ipotesi di ingiustizia sostanziale che quella di ingiustizia formale. Ancor più chiaramente, il giudice delle leggi affermò che quando l'arresto o il fermo non siano convalidati si determina una situazione speculare a quella regolata dall'art. 314, comma 2, con la conseguenza che la mancata convalida rende di per sé illegittima la privazione della libertà; dal dispositivo della pronuncia si comprende che è comunque necessaria la irrevocabilità della decisione.

Tenendo ben presenti tali statuizioni questa Corte ha distinto l'ipotesi in cui si faccia valere l'ingiustizia formale del titolo custodiale pre-cautelare e della eventuale convalida da quella in cui si prospetta la sostanziale ingiustizia di una detenzione per essere stati prosciolti (Sez. 4, n. 6337 de 22/12/2015, dep. 2016, De Rosa, non massimata).

2.6.2. Ne deriva che ove all'arresto eseguito ai sensi dell'art. 716 cod. proc. pen., cioè preliminarmente alla domanda di estradizione, non sia seguita la convalida, purché la statuizione sia divenuta definitiva, il diritto alla riparazione non richiede altra condizione positiva.

2.6.3. Lo stesso dicasi per l'applicazione provvisoria della misura coercitiva all'esito della convalida dell'arresto, ai sensi del citato art. 716, o in assenza di preventivo arresto, ex art. 715 cod. proc. pen., dunque antecedentemente alla domanda di estrazione, ove essa sia stata revocata ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 715 (richiamato anche dall'art. 716, comma 5, cod. proc. pen.) o definitivamente annullata a seguito del ricorso previsto dall'art. 719 del codice di rito.

2.6.4. Per contro, quando alle misure applicate antecedentemente alla domanda di estradizione, ex artt. 715 e 716 cod. proc. pen., sia seguita la prosecuzione del vincolo perché presentata la domanda di estradizione, o quando la misura venga adottata ai sensi dell'art. 714 cod. proc. pen.,, si determina una situazione speculare a quella prevista dall'art. 314, commi 1 e 3, cod. proc. pen. e il diritto alla riparazione è condizionato alla pronuncia di una sentenza sfavorevole all'estradizione.

2.7. La sentenza "Maroci" ha poi affrontato espressamente il tema della rilevanza di un eventuale comportamento doloso o gravemente colposo dell'instante, che sia stato quanto meno concausa dell'adozione e/o del mantenimento del vincolo coercitivo provvisorio, in termini ripresi e sviluppati da Sez. 4, n. 22688 del 14/03/2023, Burca, Rv. 284647, come di seguito specificato (circa l'applicabilità dell'art. 314 cod. proc. pen., in relazione e restrizione delle libertà personale in relazione a procedimento di estradizione passiva, si veda altresì, anche in merito al rilievo della condotta ostativa, altresì Sez. 3, n. 554 del 27/09/2022, dep. 2023, Chiperoni, Rv. 283921).

2.7.1. In sintesi, in relazione a tutte le ipotesi di ingiusta detenzione patita da soggetto estradando, la condotta integrante la condizione ostativa potrà inerire essenzialmente al presupposto del pericolo di fuga.

2.7.2. Ciò vale certamente nei casi di misura cautelare applicata a norma degli artt. 715 e 716 cod. proc. pen. in cui, a fronte della ricorrenza di presupposti formali che attengono alla esistenza di date condizioni, il giudice della cautela è tenuto a verificare, quale presupposto legittimante la misura, la sussistenza del pericolo di fuga ed è rispetto a tale presupposto che potrà essere valutato, in sede riparatoria, (solo) se il soggetto agente abbia tenuto una condotta dolosa o gravemente colposa tale da creare l'apparenza di tale pericolo.

2.7.3. Analogo principio si ritiene debba valere anche nel caso in cui la misura cautelare sia stata applicata, dopo il pervenimento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero, ai senti dell'art. 714 cod. proc. pen.

Vero è che, in tale ultimo caso, il presupposto dell'adozione della misura è duplice, ovvero, in positivo, la necessità di garantire che la persona della quale è domandata la estradizione non si sottragga alla consegna (formula con la quale si allude, appunto, al pericolo di fuga) e, in negativo, che non vi siano ragioni per ritenere che non sussistano le condizioni per una sentenza favorevole alla estradizione.

Tuttavia, rispetto al secondo presupposto, riassunto dalla citata sentenza "Burca" in termini di "prognosi di estradabilità", non sembra potersi configurare, anche in astratto, una incidenza della condotta del soggetto estradando. Tale requisito, per consolidata giurisprudenza, viene inteso nel senso che l'autorità giudiziaria italiana, in seno al procedimento estradizionale, è tenuta ad accertare, con una sommaria deliberazione, che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea a evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando (Sez. 6 n. 9758 del 30/01/2014, Bulgaru, Rv258810; Sez. 6 n. 16287 del 19/04/2011, Xhatolli, Rv249648). Si tratta, dunque, di valutazione meramente formale che l'autorità giudiziaria deve compiere, nel procedimento estradizionale, sulla base della documentazione che deve essere allegata a sostegno della domanda e rispetto alla quale nessuna incidenza può avere la condotta del soggetto estradando sottoposto a misura.

3. Orbene, come emerge dalla ricostruzione del fatto processuale (par. 1.1. del precedente "Ritenuto in Fatto"), in estrema sintesi, la fattispecie concreta è sussumibile, e in tali termini fattuali è stata sostanzialmente sussunta dal giudice della riparazione nonché posta quale presupposto dei motivi di ricorso, nell'ipotesi di applicazione provvisoria (poi stabilizzatasi a seguito della domanda estradizionale) della misura coercitiva all'esito della convalida dell'arresto, ai sensi degli artt. 716 e 715 (a cui il primo rinvia) cod. proc. pen., quindi antecedente alla domanda di estrazione.

3.1. Si è trattato, nel dettaglio, di vincolo non revocato, ex art. 715, comma 6, codice di rito, a causa di una tardiva proposizione della domanda estradizionale, né annullato dalla Suprema Corte, in assenza di ricorso esperito ai sensi dell'art. 719 cod. proc. pen., ma proseguito in ragione della tempestiva presentazione della domanda di estradizione, in merito alla quale non è stata però adottata una decisione essendosi concluso il relativo procedimento sostanzialmente con una pronuncia di natura processuale, di "non luogo a provvedere", in ragione dell'allontanamento dall'Italia dell'estradando all'esito della revoca della misura cautelare (disposta, su richiesta del Ministero della Giustizia, in ragione della revoca da parte dell'autorità brasiliana del provvedimento di detenzione preventiva a carico dell'estradando).

Si è così determinata, come per l'ipotesi di misura coercitiva applicata all'esito di domanda estradizionale (ex art. 714 cod. proc. pen.), in considerazione dei principi di cui alla citata sentenza "Maroci", una situazione speculare a quella prevista dall'art. 314, commi 1 e 3, cod. proc. pen; con la conseguenza che l'equa riparazione è condizionata alla pronuncia di una sentenza sfavorevole all'estradizione, fermo restando, nei termini innanzi evidenziati, l'elemento negativo dell'assenza di una condotta ostativa (dolosa o gravemente colposa) sinergica essenzialmente rispetto al pericolo di fuga, ritenuto sussistente dall'autorità procedente ex artt. 714, 715,, e 716 cod. proc. pen.

3.2. Per sentenza sfavorevole all'estradizione, è da chiarirsi in questa sede, deve intendersi non solo una pronuncia che neghi l'estradizione, per l'insussistenza delle relative condizioni legittimanti, ma anche una decisione, come quella nella specie adottata, di natura sostanzialmente processuale. Il nucleo fondante dell'istituto, difatti, è rappresentato non già da un particolare esito del procedimento penale, nella specie estradizionale, quanto dalla oggettiva lesione della libertà personale; sicché, con il conforto della giurisprudenza (costituzionale e di legittimità) innanzi richiamata, non la pronuncia di una determinata statuizione in seno al procedimento di estradizione condiziona l'accesso alla riparazione bensì una oggettiva lesione della libertà personale.

4. Premesso (e in ragione di) quanto innanzi, i motivi di ricorso, suscettibili di trattazione congiunta in ragione della connessine delle relative questioni, sono aspecifici oltre che formulati non confrontandosi con la ratio deciderteli sottesa alla decisione della Corte territoriale (per l'inammissibilità del motivo di ricorso che non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato, venendo così meno, in radice, l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 2644 del 16/12/2022, dep. 2023, Fiore, in motivazione; Sez. 4, n. 49411 del 26/10/2022, Troplini, in motivazione; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).

L'ordinanza impugnata, pur escludendo formalmente 'operatività, nella specie, dell'art. 314, commi 1 e 3, cod. proc. pen., in ragione della natura processuale della pronuncia, ha comunque sostanzialmente ritenuto l'istituto in esame astrattamente applicabile oltre che insussistenti i relativi presupposti, con riferimento alla condotta del ricorrente in relazione al pericolo di fuga, pur facendo riferimento anche alla gravità indiziaria e al rispetto del Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Brasile. In relazione all'apparato motivazionale di cui innanzi, il ricorrente deduce invece l'erroneità della decisione prospettando, in materia inconferente, la sussistenza di elementi che avrebbero condotto al diniego dell'estradizione, laddove l'oggetto del giudizio del merito riparatorio, inerente a limitazione della libertà personale patita con riferimento a procedimento estradizionale conclusosi con pronuncia di natura processuale, era l'accertamento dell'elemento negativo caratterizzante la fattispecie legale, cioè l'insussistenza di una condotta (dolosa o colposa) sinergica rispetto al pericolo di fuga, ritenuto dall'autorità procedente ex artt. 714, 715, e 716 cod. proc. pen.

5. Concludendo, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese alle parti civili.
Conclusione
Così deciso l'8 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria l'8 aprile 2024.