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Info incomplete su trattamenti inumani: MAE ineseguibile (Cass. 3641/19)

24 gennaio 2019, Cassazione penale

Il motivo di rifiuto della consegna correlato al "serio pericolo" che la persona venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, impone di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro (basandosi su "elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati" sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione), se, in concreto, la persona oggetto del M.A.E. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria.

Quando nessuna informazione venga fornito dalle autorità (qui: Belgio) in ordine al serio rischio di trattamenti inumani e degradanti su circostanze segnalate (qui: relativo a situazioni conseguenti a scioperi del personale addetto alla custodia dei detenuti in Belgio), devono essere richieste informazioni complementari allo Stato emittente.

Corte di Cassazione

sez. VI Penale, sentenza 23 – 24 gennaio 2019, n. 3641
Presidente Petruzzellis – Relatore Mogini

Ritenuto in fatto

1. T.S.P. ricorre per mezzo dei suoi difensori di fiducia avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Napoli ha disposto la sua consegna all’Autorità giudiziaria belga in esecuzione di mandato di arresto Europeo processuale emesso in relazione al mandato di cattura del Tribunale di Prima Istanza di Anversa in data 29/3/2018 recante contestazione dei reati di associazione per delinquere e traffico illecito di stupefacenti commesso in (omissis) .

2. Il ricorrente deduce con unico motivo di ricorso violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h), e vizi di motivazione per avere la sentenza impugnata disposto la consegna dello stesso ricorrente all’Autorità giudiziaria belga nonostante con memoria depositata all’udienza del 28/6/2018 la difesa avesse prospettato e fatto proprie le considerazioni svolte nella sentenza di questa Sezione n. 8916 del 21/2/2018, Rizzo (non massimata), con particolare riferimento al rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti correlati alle condizioni degli istituti carcerari del Paese di emissione segnalati dalla sentenza della Corte EDU Vasilescu c. Belgio, nonché dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa (CPT) con Dichiarazione Pubblica emessa in data 13/7/2017 ai sensi dell’art. 10 della Convenzione istitutiva di detto Comitato e dal Rapporto reso nel 2017 dal CPT, che fa stato della persistente incapacità delle Autorità belghe ad assicurare un servizio minimo tale da garantire il rispetto dei diritti dei detenuti in caso di agitazione sindacale del personale penitenziario.
Pur avendo la Corte territoriale acquisito dalle Autorità belghe, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16, informazioni integrative circa le condizioni di detenzione garantite nello Stato emittente, la sentenza impugnata non avrebbe considerato che, per la loro genericità, dette informazioni non rispondono alle esigenze poste dalla citata sentenza di questa Corte per eliminare i rischi segnati dal CPT.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è, nei limiti di seguito descritti, fondato.

In vero, la sentenza impugnata ha motivatamente respinto la doglianza riguardante il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti correlati alla situazione carceraria in Belgio facendo riferimento non solo alle informazioni integrative fornite, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16, dal Direttore del Servizio Pubblico Federale di Giustizia del Regno del Belgio, ma anche all’espressa assicurazione da costui fornita circa il fatto che la persona richiesta in consegna sarà ristretta nel carcere di Anversa nel pieno rispetto dei diritti umani e degli standard internazionali - ed in particolare quelli richiesti dal CPT - incluso, tra l’altro, "uno spazio della cella singola sufficiente, servizi igienici separati e attività extra-cella" (p. 6).

Così facendo, la Corte territoriale ha escluso, con motivazione che si sottrae a censura perché del tutto congrua e immune da vizi logici e giuridici, la condizione di rischio connessa ai generali problemi di tipo strutturale evidenziati dalla sentenza Vasilescu c. Belgio del 25/11/2014 della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard Pascale, Rv. 269920, con riferimento a m.a.e. belga).

Tuttavia, è altrettanto vero che nessuna informazione è stata fornita dalle Autorità belghe in ordine al serio rischio di trattamenti inumani e degradanti, pure puntualmente recentemente segnalato dal CPT, relativo a situazioni conseguenti a scioperi del personale addetto alla custodia dei detenuti in Belgio. Rischio sul quale questa Corte si è anch’essa recentemente pronunciata (Sez. 6, n. 8916 del 21/2/2018, Rizzo, non massimata).

A tale riguardo, mette conto rammentare che, secondo quanto chiarito da questa Corte di legittimità sulla scorta delle indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C659/15, Caldararu, il motivo di rifiuto della consegna correlato al "serio pericolo" che la persona venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, impone di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro (basandosi su "elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati" sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione), se, in concreto, la persona oggetto del M.A.E. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296).

Sicché oggetto di infondata ed illogica svalutazione da parte della Corte territoriale deve ritenersi l’allegazione del ricorrente circa il concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti derivante dalle gravi conseguenze ripetutamente prodotte nelle carceri belghe a seguito di scioperi o altre azioni collettive degli agenti penitenziari.

Si tratta infatti di situazioni più volte segnalate dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa e che hanno recentemente condotto il Comitato, in mancanza dell’adozione di misure idonee, a emettere in data 13/7/2017, ai sensi dell’art. 10(2) della Convenzione istitutiva di detto Comitato, una Dichiarazione Pubblica con la quale si denuncia il rischio di assoggettamento di un gran numero di detenuti a trattamenti inumani e degradanti, ovvero all’aggravamento di condizioni detentive già intollerabili e all’esposizione dei detenuti a pericolo per la loro salute e la loro stessa vita (Sez. 6, Rizzo, cit.).

Tali rilievi sono stati in vero reiterati nel Rapporto del CPT in data 8/3/2018, relativo alla visita in Belgio effettuata dal Comitato dal 27 marzo al 6 aprile 2017. Dal "Sommario Esecutivo" di tale Rapporto risulta infatti testualmente che "il principio di cooperazione esistente tra il Comitato e le autorità di una parte della convenzione, richiede anche che siano adottate le misure necessarie per migliorare la situazione alla luce delle raccomandazioni formulate dal CPT.

A tale riguardo, la visita è stata senz’altro un’occasione per osservare miglioramenti, in particolare in termini di condizioni materiali nei nuovi istituti penitenziari e nella cura degli internati nel centro psichiatrico forense.

Il CPT ha anche preso atto degli sforzi compiuti per combattere la violenza della polizia e rafforzare le garanzie procedurali. Tuttavia, la situazione rimane preoccupante sotto molti aspetti, in particolare per quanto riguarda la cura dei prigionieri e degli internati nelle carceri. In questo contesto, la visita non ha mostrato alcun progresso concreto verso l’istituzione di un meccanismo effettivo che consenta il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti in tutte le circostanze, in particolare nel contesto di scioperi del personale penitenziario. Le gravi conseguenze di tali azioni continuano a essere motivo di grande preoccupazione per il CPT.

Il Comitato ritiene che l’incapacità delle autorità belghe di istituire un tale dispositivo potrebbe esporre un gran numero di detenuti a trattamenti inumani e degradanti (...).

Si ricorda che dopo diversi anni il dialogo con le parti sociali non ha ancora avuto esito positivo e il CPT è stato costretto a rilasciare una dichiarazione pubblica nel luglio 2017 al termine della procedura di cui all’art. 10, paragrafo 2 della Convenzione, invitando le autorità belghe e tutte le parti interessate, comprese le parti sociali, ad assumersi le proprie responsabilità e a trovare rapidamente una soluzione adeguata a risolvere questo problema di gravità eccezionale".

A questi reiterati rilievi, le Autorità belghe hanno da ultimo fornito al CPT specifica e ufficiale risposta in data 7/6/2018 (pubblicata il 19/6/2018), indicando testualmente (p. 16) che "Per quanto riguarda lo stato di avanzamento dell’adozione di una base legislativa per risolvere la questione del servizio minimo garantito, la consultazione - sia con i rappresentanti dei sindacati del personale carcerario che con i partner governativi - è giunta alla fase finale. Un accordo politico è stato raggiunto. Il relativo provvedimento è attualmente in fase di controllo amministrativo e di bilancio e, nelle prossime settimane, sarà presentato al Consiglio dei ministri e poi alla Commissione giustizia del Parlamento federale. Prevede che durante i periodi di sciopero del personale carcerario, le norme minime per i detenuti continuino a essere garantite".

Se dunque, da un lato, la cennata, specifica situazione di rischio appare avviata a positiva soluzione, dall’altro, essa non risulta, dai documenti disponibili, ancora superata.

Da ciò discende la sussistenza della violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h) e del denunciato vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Si rende pertanto necessario l’annullamento della sentenza in esame con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli perché, assunte ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 16 aggiornate informazioni circa l’istituzione di un meccanismo effettivo che consenta l’apprestamento di un servizio minimo e il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nel contesto di scioperi del personale penitenziario, proceda a nuovo giudizio circa l’eventuale sussistenza del motivo di rifiuto di cui al citato art. 18, lett. h) in relazione alle misure adottate dal Belgio per eliminare i rischi segnalati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa con Dichiarazione Pubblica emessa in data 13/7/2017 ai sensi dell’art. 10(2) della Convenzione istitutiva di detto Comitato e nel Rapporto in data 8/3/2018, relativo alla visita in Belgio effettuata dal Comitato dal 27 marzo al 6 aprile 2017, per il caso di scioperi del personale penitenziario.
2. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’ipotesi di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h), e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.