L'indagato che abbia avuto visione di gran parte degli atti non ha diritto a vedere il fascciolo a suo carico una volta archiviato: è peraltro manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 116 e 408 c.p.p., sollevata in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonchè 6 CEDU, in quanto il problema della tutela del diritto di difesa della persona sottoposta si pone solo in caso di opposizione alla richiesta di archiviazione e in tal caso l'udienza in camera di consiglio, fissata ai sensi dell'art. 410 c.p.p., comma 3, assicura congruamente il diritto di difesa anche dell'indagato ed appare in linea con il principio del giusto processo.
Deve escludersi che il diniego del G.i.p. all'estrazione di copia della richiesta di archiviazione possa essere considerato atto abnorme e come tale impugnabile direttamente in cassazione.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sent., (ud. 13/12/2013) 01-04-2014, n. 14999
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. CITTERIO Carlo - Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - rel. Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.A., nato a (OMISSIS);
avverso i provvedimenti del 17 e 20 settembre 2012 nonchè del decreto del 26 novembre 2012 emessi dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, i provvedimenti impugnati e il ricorso;
lette le richieste del sostituto procuratore generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udita la relazione del consigliere Dott. FIDELBO Giorgio.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 14 febbraio 2013 C.A., tramite i suoi avvocati di fiducia M.G. e P. G., ha proposto ricorso per cassazione contro il decreto del 29 novembre 2012 con cui il G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto l'archiviazione del procedimento nei suoi confronti per il reato di cui all'art. 319 ter c.p., nonchè contro i provvedimenti del 17 e del 20 settembre 2012 con cui lo stesso giudice aveva rigettato la sua istanza di rilascio di copia della richiesta di archiviazione inoltrata dal pubblico ministero in data 14 settembre 2012.
Nel ricorso viene fatta valere l'abnormità di tutti e tre i provvedimenti impugnati per violazione dei diritti di difesa dell'indagato, perchè gli sarebbe stato impedito di prendere visione della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e, conseguentemente, di confutare la ricostruzione dei fatti operata dall'accusa. L'abnormità dei provvedimenti di rigetto ex art. 116 c.p.p., travolgerebbe, secondo il ricorrente, lo stesso decreto di archiviazione "assunto in totale violazione dei diritti di difesa dell'indagato".
Riguardo ai due provvedimenti del 17 e del 19 settembre 2012 il ricorrente ne assume l'abnormità in quanto il giudice "ha ritenuto di essere titolare del potere discrezionale di negare il rilascio di copia della ponderosa richiesta di archiviazione sulla scorta di un'interpretazione dell'art. 116 c.p.p., del tutto disancorata dai presupposti (anche impliciti) che ne governano l'applicazione e fuori dallo specifico contesto procedimentale che regola la materia"; più precisamente si sostiene che nel caso in esame l'abnormità rileva sia dal punto di vista strutturale, in quanto non era rimesso alla discrezionalità del G.i.p. negare il rilascio della copia, soprattutto dopo che l'indagato aveva appreso dalla stampa del deposito della richiesta di archiviazione, sia sotto il profilo funzionale, perchè il rifiuto avrebbe alterato il procedimento di archiviazione, privando l'indagato della facoltà di difendersi attraverso la presentazione di memorie ex art. 121 c.p.p.. Si censura il modo in cui il giudice ha fatto uso del suo potere discrezionale ex art. 116 c.p.p., sacrificando il diritto dell'indagato alla propria difesa, cioè a concorrere alla formazione di una decisione giusta. Sintomo dell'abnormità è, nella ricostruzione del ricorrente, la stessa motivazione con cui il G.i.p. ha rigettato la richiesta di copia, là dove ha escluso che il diniego potesse produrre effetti sul procedimento "a nocumento dell'indagato, non potendo in alcun modo precludere qualsivoglia efficace esercizio delle garanzie difensive": al contrario, si sostiene nel ricorso che la mancata conoscenza della richiesta di archiviazione ha compromesso il diritto di difesa dell'indagato, consegnando al giudice una ricostruzione dei fatti senza una consapevole mediazione della difesa.
D'altra parte, si sottolinea come sia pacifico che con la richiesta di archiviazione si consumino le esigenze di segretezza presenti nella fase delle indagini, sicchè nessuna circostanza avrebbe dovuto ostacolare il rilascio di copia degli atti nella fase intermedia tra il deposito della richiesta di archiviazione e l'adozione del decreto, tantomeno valutazioni ispirate alla mera opportunità.
Sotto il profilo propriamente funzionale il ricorrente sostiene che i provvedimenti di diniego abbiano alterato la sequela del procedimento di archiviazione che si è concluso con un decreto monstre, non solo per la lunghezza, ma per il fatto che il giudice, recependo l'impostazione della richiesta del pubblico ministero, si è diffuso su circostanze del tutto estranee alla notizia di reato iscritta, con un effetto emulativo, funzionale ad "agevolare meccanismi sanzionatori (anche in primo luogo quelli mediatici) che esulano dalle obiettive necessità della procedura di archiviazione".
A questo proposito si ribadisce che il procedimento di archiviazione costituisce una fase a cognizione sommaria e neutra, caratterizzata dalla precarietà dell'accertamento, sicchè la rottura di questo schema processuale e la deviazione funzionale rispetto ai canoni di normalità del procedimento rende l'atto impugnato abnorme.
Con un distinto motivo il ricorrente deduce l'abnormità dei provvedimenti impugnati non solo in relazione al parametro dell'art. 111 Cost., ma anche in rapporto ai principi contenuti negli artt. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Infine, nel ricorso viene sollevata questione di costituzionalità degli artt. 116 e 408 c.p.p. nella parte in cui le norme consentono di rifiutare all'indagato il diritto a conoscere il contenuto della richiesta di archiviazione, con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre che agli artt. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
2. Successivamente i difensori di C.A. hanno depositato una memoria difensiva in cui contestano la requisitoria scritta con cui il procuratore generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso, ribadendo e precisando i motivi già proposti nel ricorso.
Motivi della decisione
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Innanzitutto, con riferimento alle censure riguardanti il rigetto delle istanze della difesa dirette ad ottenere una copia della richiesta di archiviazione, deve ribadirsi l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento con il quale il giudice rigetti l'istanza di rilascio di copie degli atti del procedimento è inoppugnabile.
L'art. 116 c.p.p., che disciplina la materia, non prevede la possibilità di impugnare i provvedimenti adottati al riguardo, nè è rinvenibile nell'ordinamento processuale altra disposizione che preveda una tale facoltà.
Ne consegue che, in forza del principio di tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione (art. 586 c.p.p., comma 1) il ricorso per cassazione proposto avverso il rifiuto di rilasciare copie di atti processuali deve ritenersi inammissibile (Sez. 6^, 11 aprile 1995, n. 1412, Iacovelli; Sez. 1^, 25 maggio 1994, n. 2498, Ascione; Sez. 6^, 10 maggio 1993, n. 1356, Di Napoli; Sez. 3^, 2 settembre 1993, n. 1851, Boccolato), a meno che non si deduca l'abnormità del provvedimento, così come ha fatto il ricorrente nel presente ricorso.
Tuttavia, nel caso in esame deve escludersi che il diniego del G.i.p. all'estrazione di copia della richiesta di archiviazione possa essere considerato atto abnorme e come tale impugnabile direttamente in cassazione.
Mancando una espressa definizione legislativa di abnormità, la Cassazione ne ha ormai elaborato i tratti caratteristici, rinvenendoli nell'atto che si ponga al di fuori dell'ordinamento e determini una stasi del procedimento non altrimenti rimuovibile se non con l'impugnazione. Più precisamente è affetto da tale vizio l'atto che, per "singolarità e stranezza" del suo contenuto si presenti avulso dall'intero ordinamento processuale ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, sia emesso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite (Sez. un., 25 febbraio 2004, n. 19289, p.m. in proc. Lustri; Sez. 2^, 5 giugno 2003, n. 27716, p.o. in proc. Biagia; Sez. un., 29 maggio 2002, n. 28807, Manca; Sez. un., 11 luglio 2001, n. 34536, p.g. in proc. Chirico; Sez. un., 24 marzo 1995, n. 8, p.m. in proc. Cimili; Sez. un., 18 giugno 1993, n. 19, p.m. in proc. Garonzi).
Si è anche precisato che l'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorchè l'atto per la sua singolarità si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Sez. 5^, 11 marzo 1994, n. 1465, p.m. in proc. Luchino; Sez. 3^, 14 luglio 1995, n. 2853, p.m. in proc. Beggiato; Sez. 5^, 14 gennaio 1997, n. 87, p.m. in proc. Biancucei).
La vastità della casistica rende complicata l'individuazione dei caratteri comuni dell'abnormità, che tuttavia appare identificabile, con una certa approssimazione, sotto un duplice profilo: da un lato, il provvedimento abnorme è quello che presenta un forte grado di eccentricità rispetto al sistema, risulta cioè estraneo e avulso all'ordinamento processuale, inteso come complesso normativo unitario; dall'altro, la giurisprudenza riconosce la natura abnorme anche all'atto che sia frutto di un esercizio del potere processuale legittimo, ma che si caratterizzi per una carenza dei presupposti particolarmente intensa, tanto da tradursi in irragionevolezza.
Inoltre, perchè ricorra questa categoria di atto è necessario che non sia previsto alcun mezzo di impugnazione, sicchè il ricorso per cassazione rappresenta l'unico strumento per eliminare una situazione che produrrebbe effetti irreversibili.
Si tratta di una categoria di creazione giurisprudenziale che finisce per integrare il sistema di invalidità degli atti, introducendo un correttivo al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione attraverso il rimedio del ricorso immediato per cassazione contro provvedimenti non impugnabili autonomamente e comunque affetti da anomalie talmente radicali da giustificare una forma di tutela.
Tenendo conto di quanto è stato detto dalla giurisprudenza di questa Corte riguardo ai caratteri dell'abnormità, deve riconoscersi che il provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria oggetto del ricorso non rientra in tale categoria.
Non vi rientra nè dal punto di vista strutturale, ne "da quello funzionale, in quanto si tratta di un provvedimento che non presenta alcun profilo di "eccentricità" che lo collochi al di fuori del sistema organico della legge processuale. In altre parole, l'atto con cui si è negata la possibilità di estrazione di copia della richiesta di archiviazione non può qualificarsi come avulso o estraneo all'ordinamento giuridico, in quanto è lo stesso art. 116 c.p.p., che conferisce al giudice un tale potere, riconoscendogli un'ampia discrezionalità nella valutazione dell'interesse della parte richiedente.
Infatti, l'art. 116 c.p.p., subordina il rilascio ad una valutazione discrezionale del giudice e la stessa insussistenza di un diritto della parte interessata ad ottenere copia degli atti di indagine è stata affermata dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. un., 3 febbraio 1995, n. 4, Sciancalepore), che ha confermato l'assunto secondo cui la norma richiamata pone, come regola generale, una mera possibilità e non un vero diritto della parte interessata ad ottenere il rilascio di copia degli atti.
Inoltre, deve escludersi una intrinseca irragionevolezza del diniego, tale da compromettere il diritto di difesa di C.A.. Il giudice ha rigettato la richiesta sulla base di una valutazione comparativa avente ad oggetto, da un lato, l'interesse del richiedente, che già aveva avuto conoscenza di quasi tutti gli atti di indagine, dall'altro, il diritto alla riservatezza di terzi, dando prevalenza a quest'ultimo in forza di una scelta che non assume i tratti dell'abnormità, intesa appunto come inaccettabile irragionevolezza.
Peraltro, dinanzi ad una richiesta di archiviazione l'indagato non aveva particolari esigenze difensive da tutelare.
E' vero che dopo il primo diniego i difensori nel tentativo di evidenziare l'interesse che avrebbe potuto giustificare l'autorizzazione al rilascio della copia dell'atto, hanno rappresentato l'esigenza di verificare entro quali limiti si fosse contenuta la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, nell'ambito di una inchiesta che si riteneva avesse "esplorato temi del tutto eccentrici rispetto al fatto di corruzione in atti giudiziari in contestazione", tuttavia, in questo modo l'istanza non può dirsi che fosse funzionale a tutelare il diritto di difesa in quel procedimento, dal momento che la richiesta era diretta a verificare proprio l'esistenza di temi estranei all'oggetto del procedimento.
Inoltre, non può parlarsi di stasi processuale, che è quella determinata da un atto che non sia funzionale ad introdurre una pausa temporale nella progressione che porta alla sentenza definitiva e che qualifica una situazione in termini di abnormità, nè tantomeno ricorre un'ipotesi di regressione indebita del procedimento, ritenuta anch'essa tipico sintomo dell'abnormità del provvedimento. Nella specie, la richiesta di cui all'art. 116 c.p.p., non si inserisce in alcuna fase processuale in corso, dal momento che il procedimento si sarebbe concluso con l'archiviazione.
Pertanto, deve escludersi ogni ipotesi di "stasi processuale", trattandosi di un procedimento del tutto autonomo - del quale non è neppure certa la natura giurisdizionale - e in cui l'atto conclusivo non è in grado di spiegare alcun effetto preclusivo di medesime istanze o richieste, diversamente motivate e argomentate.
3.2. Per quanto riguarda il decreto di archiviazione deve, preliminarmente, escludersi che sussista l'interesse di C. A. all'impugnazione.
Il provvedimento di archiviazione disciplinato dagli artt. 408 c.p.p. e segg. è un provvedimento concepito dal legislatore come anteriore all'esercizio dell'azione penale, correlato alla insussistenza degli estremi per esercitarla, che in nessun modo può pregiudicare gli interessi della persona indicata come responsabile nella notizia di reato. Ne consegue che per la natura di provvedimento "neutro" non ne sono previsti mezzi di impugnazione, essendo esperibile solo il ricorso per cassazione connesso all'eventuale abnormità del decreto di archiviazione, a norma dell'art. 111 Cost., qualora il provvedimento sia caratterizzato da vizi in procedendo o in iudicando del tutto imprevedibili per il legislatore che non ha contemplato per esso alcun mezzo d'impugnazione (cfr., Sez. 1^, 23 febbraio 1999, n. 1560, Bentivegna).
Il procuratore generale nella sua requisitoria scritta ha messo bene in evidenza la "neutralità" dell'archiviazione, un provvedimento per sua stessa natura favorevole all'indagato e comunque inidoneo a spiegare efficacia in altri procedimenti. Con l'archiviazione viene accertata l'inesistenza dei presupposti per l'esercizio obbligatorio dell'azione penale nei confronti della persona sottoposta ad indagine, confermando in tal modo la richiesta del pubblico ministero circa l'inutilità del rinvio a giudizio. In questa fase procedimentale non è previsto alcun contraddittorio con l'indagato per la semplice ragione che nei suoi confronti si sta formando un provvedimento favorevole, perchè contrario alla strutturazione di una formale imputazione nei suoi confronti.
L'unico soggetto potenzialmente danneggiato dalla richiesta di archiviazione è la persona offesa ed infatti l'ordinamento processuale gli offre la possibilità di opporsi alla richiesta - che per questa ragione gli viene comunicata qualora lo abbia espressamente chiesto - dinanzi ad una prospettiva che si presenta sfavorevole ed è solo in tale ipotesi che si realizza il contraddittorio tra i soggetti interessati davanti al giudice per le indagini preliminari, in quanto rispetto all'opposizione proposta dalla persona offesa è evidente l'interesse dell'indagato a conoscere anche i termini della richiesta di archiviazione per potersi difendere dall'iniziativa collegata all'opposizione.
3.3. Nella specie, il ricorrente lamenta che il provvedimento di archiviazione sia stato condizionato dalla richiesta del pubblico ministero, dando così luogo ad un provvedimento monstre non solo per la lunghezza dell'esposizione, ma soprattutto per aver preso in considerazione circostanze del tutto estranee alla notizia di reato originariamente iscritta, rompendo lo schema processuale e superando la stessa funzione che viene attribuita all'archiviazione.
Occorre ribadire che l'interesse a impugnare una decisione giurisdizionale deve sempre essere commisurato al dispositivo e non alla motivazione, soprattutto quando si tratta di un provvedimento, come quello di archiviazione, inidoneo a produrre effetti in altri procedimenti, con la conseguenza che anche in caso di contraddizione tra motivazione e dispositivo non vi è spazio per proporre impugnazione qualora quest'ultimo è comunque conforme alla richiesta del soggetto processuale che si duole della motivazione, stante la carenza in tal caso di un interesse concreto e attuale.
A questo proposito si segnala l'esistenza di una giurisprudenza risalente che ritiene abnorme il provvedimento di archiviazione che in presenza di una richiesta di archiviazione per difetto di una condizione di proseguibilità o di procedibilità dell'azione penale ovvero per intervenuta estinzione del reato, si impegni in una motivazione sulla insussistenza di prove favorevoli all'imputato ex art. 129 c.p.p., comma 2, norma che come è noto non è applicabile alla fase delle indagini preliminari (Sez. 6^, 31 maggio 1994, Roseo, m. 199084).
Si tratta di un orientamento che non può essere condiviso, in quanto seppure il provvedimento di archiviazione così argomentato sia sfavorevole all'indagato nella motivazione, tuttavia non esclude che rimanga pur sempre a lui favorevole nel dispositivo. Infatti, come si è già accennato, nella giurisprudenza di questa Corte è indiscusso che l'interesse a impugnare una decisione giurisdizionale va commisurato al dispositivo, non alla motivazione.
Nel caso in esame, d'altro canto, oltre alla manifesta carenza di interesse all'impugnazione, non vi sono neppure i presupposti per definire abnorme, pur secondo la ricordata giurisprudenza, il provvedimento impugnato: infatti, nella specie non si rinviene alcuna contraddizione tra motivazione e dispositivo, in quanto, coerentemente, alla constatazione dell'assenza di sufficienti elementi per sostenere in giudizio l'accusa nei confronti di C.A., ha fatto seguito l'archiviazione del procedimento. D'altra parte, l'eccessiva lunghezza della parte motiva del decreto può giustificarsi con l'esigenza di aver dovuto verificare l'insussistenza dei riscontri alle accuse formulate dal collaboratore di giustizia ( L.G.A.) nei confronti del ricorrente.
In conclusione, deve ritenersi che non sussista l'interesse al ricorso da parte di C.A. e, comunque, non ricorrano neppure i presupposti per ritenere l'abnormità del decreto di archiviazione.
3.4. Infine, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 116 e 408 c.p.p., sollevata in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nonchè 6 CEDU, in quanto, come si è detto, il problema della tutela del diritto di difesa della persona sottoposta si pone solo in caso di opposizione alla richiesta di archiviazione e in tal caso l'udienza in camera di consiglio, fissata ai sensi dell'art. 410 c.p.p., comma 3, assicura congruamente il diritto di difesa anche dell'indagato (cfr., Corte cost., ord. n. 460/2002 e n. 286/2012) ed appare in linea con il principio del giusto processo.
4. In conclusione, alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si ritiene di dover disporre anche la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa per le ammende potendo escludersi la sussistenza della colpa rinvenibile in capo al ricorrente nell'aver dato corso ad un ricorso inammissibile, in considerazione della questione trattata (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2014