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Incostituzionale doppia sanzione per omesso versamento IVA (Trib., Bologna, 21.4.2015)

21 aprile 2015, Tribunale di Bologna

Sollevata questione di legittimità costituzionale della norma che punisce penalmente l'omesso versamento dell'IVA (10ter), per violazione dell?art. 117, primo comma,della Costituzione, in relazione all?art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell?Uomo e delle Libertà fondamentali, dell?art. 649 c.p.p., in relazione all?art. 10- ter d.lgs. 74/2000, nella parte in cui non prevede l?applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all?imputato sia già stata comminata, per il medesimo fatto nell?ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU e dei relativi Protocolli.


TRIBUNALE DI BOLOGNA

Sezione Prima Penale

Il Giudice

Sulle questioni sollevate dalla difesa, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

1. L?imputato B.F.M. è stato rinviato a giudizio, davanti al Tribunale Monocratico di
Bologna, per rispondere del reato di cui all?art. 10 ter d.lgs.74/2000 perché quale
legale rappresentante della Società ?*** S.r.l.? non versava l?Iva dovuta in base alla
dichiarazione annuale 2008 per un importo superiore alla soglia prevista dal presente
articolo per ciascun periodo di imposta, ossia per complessivi ? 378.180,71 entro il
termine per il versamento dell?acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Nel corso del procedimento è stato sentito il funzionario dell?Agenzia delle Entrate, il
quale ha riferito degli accertamenti fatti e della iscrizione a ruolo del debito tributario
contestato in via amministrativa e ha confermato che, al momento del processo,
l?imputato aveva già provveduto al pagamento rateale dell?imposta, delle sanzioni pari
al 30% e degli interessi, non residuando più alcun debito residuo nei confronti di
Equitalia.

Dalla documentazione in atti è emerso, inoltre, che l?Agenzia delle Entrate, considerata
l?entità delle somme in questione, ha provveduto alla segnalazione alla competente
Procura della Repubblica per il reato di cui all?art. 10 ter d.lgs. 74/2000 da cui è
scaturito il procedimento penale in epigrafe.

La difesa dell?imputato ha prodotto la documentazione attestante il debito con
l?Agenzia delle entrate (comprensivo di capitale, interessi e sanzione), la rateizzazione
della somma di 450.797,20 (comprensiva dell?importo di 378.180,71 e di un ulteriore
importo) con la concessionaria Equitalia a seguito dell?iscrizione a ruolo della cartella e
le quietanze di pagamento da parte della società della somma sopra indicata.

Il difensore ha altresì depositato una memoria difensiva contenente istanza per il
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell?Unione Europea ex art. 267 T.F.U.E.
avente ad oggetto l? art.10-ter d.lgs. 74/2000 e, in alternativa, questione di legittimità costituzionale dell?art. 13 d.lgs. 74/2000 in via principale e dell?art. 649 c.p.p. in via subordinata, per violazione dell?art. 117 comma 1 Cost., in relazione all?art. 4 del Prot. n. 7 della CEDU.

In particolare:

  1. in via principale: la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell?art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all?art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell?Uomo e delle Libertà fondamentali, dell?art. 13 d.lgs. 74/2000 nella parte in cui non prevede che l?irrogazione di una sanzione definitiva ex art. 13 d. lgs. 471/1997 ad un soggetto per l?omesso versamento dell?I.V.A. determini l?improcedibilità, per violazione del ne bis in idem, del successivo procedimento penale per i medesimi fatti (art. 10- ter d. lgs. 74/2000) e nei confronti dello stesso soggetto;
  2. in via subordinata: la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell?art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all?art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell?Uomo e delle Libertà fondamentali, dell?art. 649 c.p.p., nella parte in cui non prevede l?applicabilità di un divieto di un secondo giudizio al caso in cui all?imputato sia già stata comminata, per il medesimo fatto nell?ambito di un procedimento amministrativo una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione EDU.

In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni prospettate,

OSSERVA

2. Quanto alla questione sollevata in via principale, occorre premettere che viene qui
in rilievo il particolare rapporto intercorrente, in materia di reati tributari, tra
procedimento penale e procedimento tributario.

L?art. 20 del D.lgs. 74/2000 stabilisce che il procedimento amministrativo di
accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del
procedimento penale avente a oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento
comunque dipende la relativa definizione. Tale norma, disponendo il superamento
della pregiudiziale tributaria, sancisce il principio del doppio binario e l?autonomia tra il
procedimento amministrativo e quello penale, in quanto il primo non può essere
sospeso per la pendenza del secondo e viceversa.

Viene poi in rilievo il rapporto intercorrente tra il procedimento penale ed il pagamento
del debito tributario relativo ai fatti costituivi dei medesimi delitti.

In particolare, ai sensi dell?art. 13 del D.lgs. 74/2000, l?estinzione mediante
pagamento, avvenuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all?accertamento previste dalle norme tributarie, determina la diminuzione della pena fino ad un terzo.

La norma precisa al comma 2, che, a tale fine, il pagamento deve riguardare anche le
sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non
applicabili all?imputato a norma dell?art. 19 comma 1.

Quest?ultima norma sancisce il principio di specialità, stabilendo che quando uno
stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che
prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.

Alla luce di una lettura convenzionalmente orientata, come si osserverà nel prosieguo,
deve evidenziarsi, nonostante il tenore letterale della legge, la natura sostanzialmente
penale della sanzione amministrativa di cui all?art. 13 d. lgs. 471/1997, sicché il
doppio binario penale-amministrativo previsto dal legislatore in materia tributaria
comporta una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.

Orbene, una volta acclarato che la sanzione amministrativa irrogata in caso di omesso
versamento dell?IVA assuma natura afflittivo-penale, risulta evidente che l?intero
impianto normativo del D.Lgs. 74/2000 si pone in contrasto con il principio
convenzionale del ne bis in idem e, in particolare, si appalesano incostituzionali le
disposizioni di cui agli artt. 20 e 21 dello stesso decreto, posto che tali norme
presuppongono la prosecuzione del procedimento amministrativo di accertamento o
del processo tributario ? culminanti nell?applicazione di una sanzione avente carattere
afflittivo-penale ? nonostante la pendenza o la definizione del processo penale per lo
stesso fatto.

Tuttavia, tali questioni non assumerebbero rilevanza nel presente giudizio, perché
entrambe le norme citate hanno ad oggetto specificamente la sanzione definita come
amministrativa dall?ordinamento interno - la quale nel caso di specie è già stata
eseguita dall?imputato, avendo egli pagato il debito tributario comprensivo anche
dell?importo della sanzione amministrativa ? mentre il presente giudizio ha ad oggetto
la sanzione penale di cui all?art. 10 ter D.lgs. 74/2000.

La questione di l.c. sollevata in via principale in relazione all?art. 13 del d.lgs. 74/2000
non appare rilevante nei termini prospettati dalla difesa.

Infatti, non può condividersi il tentativo di invocare un intervento manipolativo di
detta norma per attribuirle una funzione che essa non si proponeva di avere.

Detta disposizione, per comprensibili ragioni, si propone unicamente di stabilire un
trattamento sanzionatorio di favore all?imputato che abbia fatto fronte all?integrale
pagamento del debito tributario. In questi termini la disposizione del primo comma

della norma si sottrae ad ogni possibile censura, prevedendo in linea generale il
pagamento dell?imposta evasa e degli interessi di mora.

Ciò che, invece, per quanto si verrà a dire, implica una violazione insanabile del
principio del ne bis in idem, è la disposizione del secondo comma dell?art. 13, in base
al quale ai fini dell?applicazione dell?attenuante occorre il pagamento anche della
sanzione amministrativa.

Tuttavia, la questione di l.c. dell?art. 13, comma 2, D.lgs. 74/2000 non assume
rilevanza in questo giudizio, posto che la declaratoria di illegittimità della norma non
modificherebbe il trattamento sanzionatorio da irrogare all?imputato in caso di
condanna, il quale potrebbe fruire ugualmente dell?attenuante, avendo pagato il
debito tributario consistente nell?imposta evasa e nelle voci accessorie.

2.2. Per contro, la questione sollevata in via subordinata dalla difesa, alla quale deve
attribuirsi invece rilievo centrale, è rilevante nel presente giudizio, posto che, in caso
di accoglimento, questo Tribunale potrebbe definire il giudizio mediante una pronuncia
ai sensi dell?art. 649 c.p.p. così come manipolato dal Giudice delle Leggi, essendo
l?imputato già stato condannato al pagamento di una sanzione, pur se formalmente
amministrativa, sostanzialmente penale, per il medesimo fatto.

Si osservi che non sono prospettabili interpretazioni costituzionalmente orientate in
relazione alla norma censurata.

L?art. 649 c.p.p. non si presta ad una lettura conforme a Costituzione posto che il
legislatore, codificando il principio del ne bis in idem, ha inteso garantire che lo stesso
soggetto non sia sottoponibile a successivi procedimenti penali che abbiano ad
oggetto il medesimo fatto storico per il quale è stato già condannato o prosciolto.

Risulta, infatti, di palmare evidenza il riferimento contenuto nella norma in questione
all?autorità giudiziaria penale con la conseguenza che l?interpretazione letterale della
norma con consentirebbe di estenderne l?ambito di operatività e di ricondurre nel suo
alveo le sanzioni irrogate dall?autorità amministrativa.

3. La questione proposta non è manifestamente infondata.

3.1 Giova premettere che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1995, n. 848, assume il
carattere di parametro costituzionale, per via del disposto dell'articolo 117 Cost., così
come modificato dal legislatore del 2001, in virtù del quale la potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Le norme della CEDU si collocano nella gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento
immediatamente dopo la Costituzione, ma sono di rango intermedio tra questa e la legge ordinaria e possono, dunque, definirsi come fonti interposte o norme subcostituzionali. Esse, di conseguenza, sono dotate di una forza maggiore rispetto a quella dell'atto con cui sono state ratificate, ovvero la legge ordinaria.

Dunque, la CEDU pur essendo dotata di una particolare natura che la distingue dagli
obblighi nascenti da altri Trattati internazionali non assume, in forza dell?art. 11 Cost.,
il rango di fonte costituzionale né può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del
diritto comunitario nell'ordinamento interno.

La Corte costituzionale con le sentenze n. 348 e 349 del 2007 ha affermato che le
disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,
nell'interpretazione che ad esse attribuisce la Corte europea dei diritti dell'uomo,
integrando uno degli obblighi internazionali, cui si riferisce il precetto costituzionale,
possono assumere il rango di fonte integrativa del parametro di costituzionalità di cui
all?art. 117 Cost., primo comma, determinando l'incostituzionalità della legge ordinaria
con essa contrastante.

A ciò consegue l'incostituzionalità, per violazione indiretta della Costituzione, di tutte
le norme di diritto nazionale contrastanti con tali norme pattizie. Anche quest?ultime,
tuttavia, devono superare il vaglio di conformità ai principi costituzionali, per fungere
da parametro indiretto di incostituzionalità.

Pertanto, ove si profili un eventuale contrasto tra norma interna e una norma della
CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilità di un?interpretazione
della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento
ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verifica di esito negativo - non potendo ciò
rimediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante - egli
deve denunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questione di legittimità
costituzionale in riferimento all'indicato parametro.

A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio, pur non potendo
sindacare l'interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta legittimata a
verificare se la norma della Convenzione - la quale si colloca pur sempre a livello sub-
costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della
Costituzione: ipotesi nella quale dovrà essere esclusa la idoneità nella norma
convenzionale a integrare il parametro considerato (crf. C. Cost. n. 113/2011).

La struttura dell?art. 117 Cost., dunque, viene integrata e resa operativo dalle norme
della CEDU, la cui funzione e' quindi di concretizzare nella fattispecie la consistenza
degli obblighi internazionali dello Stato.

Nel caso in esame, il parametro convenzionale interposto è costituito dall?art. 4 del
Protocollo n. 7 alla CEDU intitolato ?Diritto di non essere giudicato o punito due volte?

il quale dispone ?1. nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla
giurisdizione dello stesso Stato per per un reato per il quale è già stato assolto o
condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e dalla
procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non
impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e dalla procedura
penale dello stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un servizio
fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza
intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi
dell?articolo 15 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950?.

3.2. Il principio del doppio binario sanzionatorio previsto dalla legislazione italiana per
gli illeciti tributari e l?applicabilità cumulativa in relazione allo stesso fatto delle
sanzioni previste dall?art. 13 del d.lgs. 471/1997 violano, a parere di questo Tribunale,
il parametro costituzionale e, conseguentemente, l?art. 117, primo comma, Cost. per
via della natura penale dell?illecito amministrativo in questione, secondo
l?interpretazione fatta propria dalla Corte Edu.

Non possono, infatti, disattendersi i criteri interpretativi delineati dalla Corte di
Strasburgo sin dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell?8 giugno 1976 al fine di
individuare la natura ?penale? o meno di una sanzione tributaria.

In particolare, con tale sentenza la Corte ha stabilito che il primo criterio da adottare
consiste nella qualificazione della misura da parte del legislatore nazionale; tuttavia,
se per la legge nazionale la sanzione non ha natura penale, occorre fare riferimento
agli altri due Engel criteria che sono tra loro alternativi, ovvero alla natura sostanziale
della violazione e la gravità della sanzione comminata.

L?approccio sostanziale adottato dalla Corte Edu, il quale è svincolato dal nomen iuris
attribuito dallo stato dell?Unione, è stato recentemente ribadito dalla sentenza della
Corte EDU del 10 febbraio 2009, Zolotukhin c. Russia, nonché dalla sentenza del 4
marzo 2014 Grande Stevens e altri c. Italia.

Con la prima la, Corte ha elaborato una interpretazione uniforme del concetto di
?same offence?. Per stabilire se ci trova al cospetto dell?idem factum, infatti, non
occorre fare riferimento alla ?legal characterisation? ovvero alla fattispecie astratta,
ma al fatto concreto.

Con la seconda decisione, la Corte Edu ha rilevato l?incompatibilità con il divieto
convenzionale del bis in idem del regime del ?doppio binario? sanzionatorio previsto
dalla legislazione italiana per gli abusi di mercato. La pronuncia in esame si fonda su
due consolidati orientamenti della giurisprudenza di Strasburgo: quanto al riconoscimento della natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa comminata dal T.U.F. per gli abusi di mercato, la sentenza valorizza i criteri interpretativi ormai consolidati nella giurisprudenza convenzionale ovvero i cc.dd. criteri di Engel; quanto allo scrutinio dell'identità del fatto, la sentenza fa riferimento alla rilevanza di un accertamento in concreto della disamina degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte.

Tale interpretazione è stata fatta propria anche dal nostro giudice delle leggi, il quale
con la sentenza n. 196 del 2010 ha affermato che tutte le misure di carattere
punitivo-afflittivo, al di là della loro qualificazione formale, devono essere soggette alla
medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto.

3.3. Per una completa ricostruzione del quadro normativo appare opportuno
richiamare le norme sanzionatorie in questione e l?interpretazione datane dalla Corte
di Cassazione.

Con riferimento alla disciplina dell?illecito amministrativo, l?art. 13 d.gls. 471/1997
stabilisce che ?Chi non esegue, in tutto in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti
in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta
risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti
periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa
pari al 30% di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione
degli errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione
annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i
versamenti effettuati con ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al
primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 13 del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo
per ciascun giorno di ritardo(..)?.

Quanto all?illecito penale, l?art. 10-ter del d.lgs. 74/2000 stabilisce che ?la disposizione
di cui all'articolo 10 bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa
l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il
termine per il versamento dell?acconto relativo al periodo di imposta successivo?.

Appare evidente che il reato di omesso versamento annuale di cui all'articolo 10-ter
d.lgs. 74/2000 implica necessariamente il passaggio attraverso l'illecito
amministrativo, ovvero attraverso l?omesso versamento periodico mensile o
trimestrale dell?imposta.

Come osservato, l?intero impianto del D.Lgs. 74/2000 appare orientato al principio del
doppio binario sanzionatorio.

L?art. 13 d.lgs. 74/2000 prevede espressamente la possibilità di cumulo della sanzione
penale (pur se diminuita) e di quella amministrativa, subordinando l?applicazione della
circostanza attenuante al pagamento del debito tributario comprensivo della sanzione.

L?art. 13, comma 2-bis, subordina altresì l?accesso al giudizio di applicazione della
pena su richiesta (artt. 444 e segg. c.p.p.) alla ricorrenza della circostanza attenuante
di cui al primo comma.

Il doppio binario emerge, poi, dalla previsione dell?autonomia del procedimento
amministrativo di accertamento e del processo tributario in pendenza di quello penale
avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la
relativa definizione (art. 20 D.lgs. 74/2000).

Il problema del cumulo delle sanzioni dovrebbe essere risolto nel nostro ordinamento
dal principio di specialità così come sancito, con specifico riferimento alla materia
tributaria, dall?art.19 del d.lgs., norma in base alla quale ?quando uno stesso fatto è
punito da una delle disposizioni del titolo II del decreto in esame e da una che
prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale?.

Tuttavia le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a dirimere il contrasto sorto in
relazione al rapporto tra l?illecito amministrativo di cui all?art. 13 d.gls 471/1997 e
quello penale di cui all?art. 10-bis del d.lgs. 74/2000, hanno escluso che tra le due
norme sussista un rapporto di specialità e hanno ritenuto, invero, sussistente un
rapporto di progressione criminosa.

In particolare, la Cassazione ha affermato che ?Il reato di omesso versamento
dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs n. 74 del 2000), che si consuma con
il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un
ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine per il
pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo, non si
pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo,
D.Lgs. n. 471 del 1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso
versamento periodico dell'imposta entro il mese successivo a quello di maturazione
del debito mensile IVA, con la conseguenza che al trasgressore devono essere
applicate entrambe le sanzioni (cfr. Cass. S.U., 28 marzo 2013, n. 37424).

Non può negarsi che rientri nella discrezionalità del legislatore prevedere per le
medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una combinazione di
sovrattasse e sanzioni penali, al fine di assicurare la riscossione delle entrate
provenienti dall?IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell?Unione.

Tale principio è stato ribadito anche dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia nella
decisione Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson del 26.02.2013, la quale ha, tuttavia, precisato che ?qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi dell'articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona?.

Tale natura deve attribuirsi, a parere di questo Tribunale, alla sanzione amministrativa
di cui all'articolo 13 d.lgs. 471/1997, come di seguito si preciserà.

3.4. È pur vero che il legislatore italiano ha previsto un meccanismo idoneo in astratto
a scongiurare il cumulo della sanzione amministrativa con quella penale.

In particolare, l?art. 21 d.lgs. 74/2000 rubricato ?Sanzioni amministrative per le
violazioni ritenute penalmente rilevanti? stabilisce che ?1. L?ufficio competente irroga
comunque le sanzioni relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato.
2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati
dall'articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con
provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di
proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest'ultimo
caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di
archiviazione o la sentenza sono comunicati all'ufficio competente;(..)?.

Dunque, per evitare il cumulo delle sanzioni penali e amministrative in capo al
responsabile, l?ordinamento prevede un meccanismo di sospensione della riscossione
della sanzione amministrativa fino alla definizione del giudizio penale.

In sostanza, l?amministrazione può premunirsi di un titolo nei confronti del
contribuente, dovendo tuttavia attendere l?esito del giudizio penale per eseguirlo.

L?eseguibilità della sanzione amministrativa è consentita nel solo caso in cui sia
pronunciata l?assoluzione dell?imputato con formula ?che esclude la rilevanza penale
del fatto? (il fatto non sussiste o l?imputato non lo ha commesso), non per altre ipotesi
di proscioglimento per motivi di merito o per estinzione del reato.

Orbene, se, nell?interpretazione datane dalla CEDU, le sanzioni amministrative
tributarie assumono natura sostanzialmente penale, è proprio quest'ultimo
meccanismo che si pone in evidente contrasto con la logica garantistica del divieto del
bis in idem di cui all'art. 4, Prot. VII CEDU, dal momento che, proprio a seguito di una
sentenza definitiva di assoluzione in sede penale, riprende vigore l'esecuzione di una
sanzione che ha carattere sostanzialmente penale e che viene irrogata in relazione
alle medesime condotte.

Anche a prescindere da tale osservazione, in ogni caso, è riscontrabile una violazione
del medesimo principio del ne bis in idem in chiave processuale, laddove si consente
che si determini aprioristicamente - al culmine di un procedimento amministrativo di accertamento o eventualmente di un contenzioso tributario - una sanzione di natura afflittiva avente natura analoga a quella penale.

In altri termini, per quanto l?eseguibilità della sanzione sia sospesa sino all?esito del
giudizio penale, essa viene formalmente ?irrogata?, con la sua iscrizione a ruolo, come
pare essere avvenuto nel caso di specie.

Dunque, in concreto si possono verificare ipotesi, come quella in esame, in cui la
sanzione penale si aggiunge a quella di cui all?art. 13 d.lgs. 471/1997 già inflitta.

D?altra parte, è lo stesso legislatore, nell?art. 13 comma 2 d.lgs. 74/2000, a
subordinare la concessione di una circostanza attenuante al pagamento del debito
tributario comprensivo di sanzione amministrativa, sollecitando così il contribuente al
pagamento anche di quest?ultima prima della definizione del processo penale e
generando altresì una contraddizione interna del sistema.

3.5. Facendo applicazione dei criteri cd. Engel sopra richiamati non può che pervenirsi
alla conclusione che la sanzione amministrativa prevista dall?art. 13 d.lgs. 471/1997
abbia natura penale, in quanto volta alla punizione del colpevole, trattandosi di una
sanzione avente natura non compensativa, bensì deterrente e punitiva, caratteri
questi tipici della sanzione penale.

Né tale natura può escludersi per via del fatto che la sanzione in questione possa
essere irrogata all?esito di un procedimento amministrativo, dal momento che ciò che
rileva, secondo la Corte Edu, è la natura della sanzione. D?altra parte, se la predetta
osservazione fosse realistica, si porrebbe un ulteriore dubbio di legittimità
costituzionale, tenuto conto che il suddetto procedimento sarebbe privo delle garanzie
difensive previste invece nel processo penale.

Non può, infatti, disattendersi la portata delle recenti pronunce della Corte Edu in
relazione al cumulo delle sanzioni amministrative e penali in materia tributaria.

In particolare, nella sentenza Nikanen c. Finlandia del 20.05.2014 la Corte si è
pronunciata sul cumulo sanzionatorio delle sanzioni tributarie affermando che
l?avvenuta irrogazione al contribuente, con provvedimento definitivo, di una sanzione
amministrativa tributaria - nella specie una soprattassa di importo pure assai
contenuto (1.700,00 euro) ma avente, in ogni caso, una connotazione punitiva -
impedisce di avviare o di proseguire un procedimento penale per la medesima
violazione, qualificata, nel caso specifico, come frode fiscale.

Tali principi sono stati ribaditi nella sentenza Lucky Dev c. Svezia del 27.11.2014 e
riguardano un caso sostanzialmente analogo a quello che si presenta innanzi a questo
Tribunale, posto che anche nell?ordinamento svedese alle violazioni di natura tributaria

consegue sia l?applicazione di una sanzione amministrativa, definita dalla Corte tax
surcharge, sia una sanzione di carattere penale, denominata tax offence.

Inoltre, anche nell?ordinamento svedese, così come in quello italiano, il procedimento
amministrativo-tributario e quello penale sono indipendenti, non essendo previsto
alcun meccanismo di raccordo tra essi.

La Corte Edu ha ribadito il proprio approccio analitico e concreto in relazione alla
qualificazione dello stesso fatto che porta i Giudici di Strasburgo a considerare
sostanzialmente unitaria l?idem factum quando le due condotte previste dalle norme
sanzionatorie ?costituiscono un insieme di circostanze fattuali che coinvolgono lo
stesso imputato e che sono inestricabilmente avvinte nel tempo e nello stesso spazio?.

La Corte ha poi precisato che si ha violazione del principio stabilito dall?art. 4 del
Protocollo n. 7 della Convenzione solo quando uno dei due procedimenti previsti per la
medesima condotta punita con l?irrogazione di due sanzioni sostanzialmente penali si
sia concluso con una decisione definitiva.

In particolare, con la sentenza indicata la Corte ha affermato che a rendere non
conforme la disciplina svedese alla convenzione sia l?assenza di una connessione tra i
due procedimenti ovvero una ?close connection in subitanee and in time? con la
conseguenza che i due procedimenti, in quanto autonomi, costituiscono duplicazioni
sanzionatorie per il medesimo fatto illecito e non una forma di tutela predisposta
dall?ordinamento in un?ottica complessiva ed unitaria (cfr. par. 61 e 62).

Le stesse osservazioni valgono, a parere di questo Tribunale, nell?ordinamento
interno. Difatti, nel caso sottoposto all?attenzione del Tribunale ci si trova di fronte a
due procedimenti scaturenti dagli stessi fatti, in quanto medesima è la violazione
posta in essere dall?imputato che ha dato luogo, da un lato, al procedimento
amministrativo di accertamento e, dall?altro, al procedimento penale.

Viene in rilievo, inoltre, la consecutività dei due procedimenti, posto che la sanzione
penale verrebbe applicata, nel caso in questione, dopo che il procedimento
amministrativo si è concluso con una decisione definitiva.

Invero, il ne bis in idem non può che ritenersi ulteriormente violato dalla previsione
dell?autonomia attribuita dal legislatore ai due procedimenti alla luce della previsione
dell?art. 20 sopra citato. Difatti, secondo la Corte Edu, l?art. 4 prot. n. 7 CEDU non
preclude la contemporanea apertura e celebrazione di procedimenti paralleli per lo
stesso fatto, bensì l?eventualità che uno dei procedimenti non venga interrotto nel
momento in cui l?altro è divenuto definitivo.

Alla luce della natura effettiva delle violazione prevista dall?art. 13 d.lgs. 471/1997 e
della finalità repressiva della sanzione ivi comminata la condanna in sede penale porterebbe alla violazione del ne bis in idem sostanziale e quindi dell?art. 4 del Protocollo sopra citato.

Le due sanzioni infatti verrebbero comminate in relazione allo stesso periodo ed allo
stesso comportamento per fatti identici.

L?omesso versamento dell?imposta, in concreto, già sanzionato in via amministrativa,
viene nuovamente sanzionato in via penale, solo perché protratto nel tempo.

La previsione di un termine diverso di scadenza, al fine di individuare il diverso
momento di consumazione della sanzione amministrativa e del reato, non vale a
differenziare il fatto nella sua concretezza; né la mera previsione di una soglia di
punibilità penale appare capace di distinguere il fatto oggetto delle due previsioni
sanzionatorie, che resta il medesimo.

Ci si trova con palmare evidenza di fronte alla medesimezza del fatto secondo i
principi sopra richiamati e fatti propri dalla Corte Edu.

Il meccanismo sopra delineato prescritto dal nostro legislatore all?art. 21 del d.lgs.
74/2000, pur se concepito in astratto al fine di scongiurare il cumulo sanzionatorio,
non è in grado di evitare che in concreto si creino, come nel caso in esame, delle
vicende in cui il contribuente abbia già pagato, prima dell?instaurazione del processo
penale, la sanzione amministrativa comminatagli.

3.6. In conclusione, alla luce di quanto precede, appare non manifestamente
infondata la q.l.c. proposta in via subordinata, in relazione all?art. 649 c.p.p. nella
parte in cui detta disposizione non prevede l?applicabilità della disciplina del divieto di
un secondo giudizio al caso in cui l?imputato sia stato giudicato, con provvedimento
irrevocabile, per il medesimo fatto nell?ambito di un procedimento amministrativo per
l?applicazione di una sanzione, alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi
della CEDU e dei relativi protocolli.

La pronuncia manipolativa invocata, appare l?unico rimedio idoneo a scongiurare
l?incompatibilità del regime del doppio binario previsto dal legislatore italiano in
materia tributaria con il divieto convenzionale di bis in idem.

Difatti, come osservato, può verificarsi che un soggetto si trovi sottoposto a
procedimento penale pur dopo che, per il medesimo illecito fiscale, gli sia già stata
comminata in via definitiva una sanzione amministrativa.

In ogni caso, quand?anche l?imputato non avesse provveduto al pagamento della
sanzione amministrativa per via del disposto dell?art. 21, permarrebbe una violazione
del ne bis in idem processuale e, conseguentemente, dell?art. 4 del protocollo n. 7 così
come stabilito dalla Corte Edu nelle sentenze sopra riportate.

Tale violazione determina un vulnus costituzionale attinente ad un diritto
fondamentale dell?individuo sanabile solo attraverso la pronuncia additiva richiesta,
che consentirebbe di rimuovere gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla violazione
del divieto di bis in idem qualora l?imputato sia stato giudicato, in via definitiva, per il
medesimo fatto nell?ambito di un procedimento amministrativo per l?applicazione di
una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della normativa
convenzionale.

P.Q.M.

Dichiara irrilevante la questione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa in via
principale.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata:

la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell?art. 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione all?art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la
Salvaguardia dei Diritti dell?Uomo e delle Libertà fondamentali, dell?art. 649 c.p.p., in
relazione all?art. 10- ter d.lgs. 74/2000, nella parte in cui non prevede l?applicabilità
della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all?imputato sia già
stata comminata, per il medesimo fatto nell?ambito di un procedimento
amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi
della Convenzione EDU e dei relativi Protocolli.

Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri
e sia comunicata ai Presidenti delle camere del Parlamento.

Visto l?art. 159, comma 1, n. 2) c.p., sospende il corso della prescrizione.

Dell?ordinanza è data lettura alle parti in udienza.

Così deciso in Bologna il 21 aprile 2015

Il Giudice

Dott. Massimiliano Cenni

 

In tema, cfr. anche Michele caianiello, Ne bis in idem e illeciti tributari per omesso versamento dell'Iva: il rinvio della questione alla Corte costituzionale, in http://www.penalecontemporaneo.it/area/2-economia/-/-/3923-ne_bis_in_idem_e_illeciti_tributari_per_omesso_versamento_dell_iva__il_rinvio_della_questione_alla_corte_costituzionale/, 2015.