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Impugnazione specifica per capi e punti (Cass. 34504/18)

20 luglio 2018, Cassazione penale

La legge regola i requisiti formali dell'impugnazione, richiedendosi, a pena di inammissibilità, non solo la "specificità" dei motivi, ma anche dell'enunciazione dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, nonchè delle richieste, anche istruttorie.

Assume particolare rilevanza la dicotomia capi-punti della sentenza, funzionale a qualificare - in punto di ammissibilità - l'atto di impugnazione delimitandone con precisione l'oggetto, in modo che sia lo stesso impugnante a circoscrivere gli esatti confini del gravame al fine di scongiurare impugnazioni generiche o dilatorie.

Nella delineata prospettiva, per capo si intende la statuizione emessa in relazione ad una incolpazione che assume autonomia rispetto ad altre parti (o capi) della decisione, tanto da poter costituire ex se oggetto di sentenza: in altri termini, il capo corrisponde a quella parte di decisione che sarebbe stata idonea, di per sè sola, ad esaurire il contenuto della sentenza e che, trovandosi invece inserita all'interno di decisione cumulativa, può essere da questa "scissa senza che il resto della sentenza cada". Il giudicato, difatti, si forma sul capo, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto allorquando siano divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli.

Il punto, invece, assume portata più limitata ed è costituito da ogni singolo tema affrontato all'interno di un capo di decisione, relativamente all'accertamento del fatto storico, all'attribuzione di questo all'imputato, alla sua qualificazione giuridica, all'eventuale inesistenza di cause di giustificazione, all'elemento soggettivo e, nel caso di condanna, all'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti ed alla determinazione della pena.

Con la conseguenza per cui ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale la potestas decidendi non può considerarsi esaurita se non quando siano stati affrontati e argomentativamente risolti tutti i presupposti della pronuncia finale su ciascun reato.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 20 luglio 2018, n. 34504

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   

Dott. SABEONE   Gerardo  -  Presidente-  
Dott. TUDINO A.  -  Rel. Consigliere  -  
Dott. SCORDAMAGLIA Irene -  Consigliere  -  
Dott. MOROSINI  Elisabet -  Consigliere  -  
Dott. RICCARDI  Giuseppe -  Consigliere  -  
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da: 
C.M., nato a (OMISSIS); 
avverso l'ordinanza del 26/10/2017 della CORTE APPELLO di TORINO; 
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Tudino 
Alessandrina; 
lette/sentite le conclusioni del PG. 
 

RITENUTO IN FATTO


1. Con l'ordinanza impugnata, la corte d'appello di Torino ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello proposto, per mezzo del difensore, da C.M., limitatamente al trattamento sanzionatorio, avverso la sentenza del Gip del tribunale di Asti del 25 marzo 2013, con la quale è stata affermata la responsabilità dell'imputato.

2. La corte territoriale ha ritenuto la genericità dei motivi di impugnazione tanto in riferimento al censurato giudizio di equivalenza delle circostanze, che in relazione alla determinazione della pena.

3. Avverso l'ordinanza, ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, deducendo violazione della legge processuale e correlato vizio di motivazione per avere la corte territoriale erroneamente apprezzato la specificità dei motivi d'appello, omettendo di operarne una interpretazione ispirata al favor impugnationis e sottovalutando le circostanze, meritevoli di positivo apprezzamento, prospettate nel ricorso.

4. Con requisitoria scritta depositata in data 4 maggio 2018, il Procuratore Generale della Repubblica in sede ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.

2. La valutazione operata dalla corte territoriale ai sensi dell'art. 581 c.p.p., nella nuova formulazione introdotta dalla L. n. 130 del 2017 ratione temporis applicabile, impone talune preliminari considerazioni riguardo i parametri di delibazione dell'ammissibilità dell'atto di appello.

2.1. La materia delle impugnazioni costituisce uno degli ambiti sui quali la L. 23 giugno 2017, n. 103 ha più profondamente inciso.

2.1.1. In linea con la ratio ispiratrice della riforma - finalizzata alla razionalizzazione, deflazione ed efficacia dei procedimenti impugnatorii - la legge citata è intervenuta in duplice direzione, declinando, da un lato, un nuovo modello legale di motivazione in fatto della decisione di merito al quale si raccorda l'onere di specificità dei motivi di ricorso, e, dall'altro, rimodulando, in coerenza con siffatto modello, i requisiti formali di ammissibilità dell'impugnazione.

Viene, in tal senso, ad essere valorizzata l'intima correlazione funzionale tra struttura dell'argomentazione della sentenza e forma dell'atto di impugnazione: la sentenza, difatti, deve rappresentare gli elementi dimostrativi ed esplicitare compiutamente le determinazioni del giudice, mentre l'atto di impugnazione dovrà correlarsi - criticamente - ai capi, ai punti, alle questioni processuali e probatorie contenute nella decisione attraverso la prospettazione di richieste ed argomentazioni, in fatto e in diritto, compendiate in motivi dotati di adeguata specificità.

2.1.2. In tale prospettiva, il legislatore ha innanzitutto modificato l'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), prevedendo che la sentenza debba contenere "la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dall'art. 533, c.p.p., comma 2 e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali".

Attraverso la ridefinizione dell'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), sono stati puntualizzati una serie di elementi già ricompresi all'interno della motivazione della sentenza ma non esplicitamente richiesti dalla legge, al fine di presidiare, attraverso l'esplicitazione del percorso logico seguito dal giudice, garanzie di libertà del cittadino, in linea con l'art. 111 Cost..

In tal senso, "la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto" viene a costituire il baricentro dell'apparato giustificativo-motivazionale della sentenza e ad esso si parametra un analogo rigore logico-argomentativo richiesto ai motivi d'impugnazione.

2.1.3. A tal fine è stato ridefinito l'art. 581 c.p.p., che regola i requisiti formali dell'impugnazione, richiedendosi, a pena di inammissibilità, non solo la "specificità" dei motivi, ma anche dell'enunciazione dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, nonchè delle richieste, anche istruttorie.

Di guisa che un atto privo della necessaria specificità dei predetti enunciati non costituisce valida forma d'impugnazione e non è idoneo a produrre gli effetti introduttivi del giudizio del grado successivo, con conseguente preclusione all'emissione di una pronuncia diversa dalla declaratoria di inammissibilità.

2.1.4. Nel quadro così delineato, assume particolare rilevanza la dicotomia capi-punti della sentenza, funzionale a qualificare - in punto di ammissibilità - l'atto di impugnazione delimitandone con precisione l'oggetto, in modo che sia lo stesso impugnante a circoscrivere gli esatti confini del gravame al fine di scongiurare impugnazioni generiche o dilatorie (V. SS. UU., 17 ottobre 2016, n. 10251, Rv. 235699).

Nella delineata prospettiva, per capo si intende la statuizione emessa in relazione ad una incolpazione che assume autonomia rispetto ad altre parti (o capi) della decisione, tanto da poter costituire ex se oggetto di sentenza (V. SS. UU., 9 marzo 2007, n. 10251, Rv. 235697; SS. UU., 19 gennaio 2000, n. 1, Rv. 216239). In altri termini, il capo corrisponde a quella parte di decisione che sarebbe stata idonea, di per sè sola, ad esaurire il contenuto della sentenza e che, trovandosi invece inserita all'interno di decisione cumulativa, può essere da questa "scissa senza che il resto della sentenza cada". Il giudicato, difatti, si forma sul capo, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto allorquando siano divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli (V. SS. UU., 9 marzo 2007, n. 10251, cit.).

Il punto, invece, assume portata più limitata ed è costituito da ogni singolo tema affrontato all'interno di un capo di decisione, relativamente all'accertamento del fatto storico, all'attribuzione di questo all'imputato, alla sua qualificazione giuridica, all'eventuale inesistenza di cause di giustificazione, all'elemento soggettivo e, nel caso di condanna, all'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti ed alla determinazione della pena.

Con la conseguenza per cui ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale la potestas decidendi non può considerarsi esaurita se non quando siano stati affrontati e argomentativamente risolti tutti i presupposti della pronuncia finale su ciascun reato.

Come osservato in dottrina, poichè il giudicato si forma sui capi della sentenza e non sui punti di essa - che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all'effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni - in caso di condanna, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell'imputato determina una preclusione su tale punto, ma non è idonea a far acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l'impugnazione abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicchè la res iudicata si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame.

2.1.5. Con riferimento al requisito della specificità riferito alle prove, in relazione alla inesistenza, omessa ed erronea valutazione delle stesse, il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile anche in fase di appello, deve avere un oggetto del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico chiaro e non opinabile. Riguardo, poi, l'omessa assunzione, rilevano le violazioni delle regole del contraddittorio sulla formazione della prova e del diritto alla prova contraria. Di conseguenza, qualora durante il giudizio di primo grado sia stata tempestivamente richiesta dall'imputato una prova contraria ex art. 190 c.p.p., quest'ultima, se negata dal giudice di primo grado - perchè manifestamente superflua o irrilevante - può essere ammessa dal giudice di secondo grado ove il relativo motivo di impugnazione sia stato indicato nell'atto di appello con la necessaria specificità.

2.1.6. La nuova formulazione dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) impone, infine, l'onere per l'impugnante di individuare in forma specifica le richieste principali e secondarie (che possono anche desumersi implicitamente dai motivi quando da questi emergano in modo inequivoco V. Sez. 6, 18 maggio 2010, n. 29235, Rv. 248205; Sez. 6, 6 febbraio 2004, n. 7742, Rv. 228978; Sez. V, 6 maggio 2003, n. 23412, Rv. 224932).

In tale contesto - come segnalato da autorevole dottrina - se rispetto alle prime la richiesta di assoluzione deve contenere l'esatta indicazione della formula in relazione alla quale viene prospettata l'esigenza di rivisitazione della sentenza di primo grado, è nei confronti delle richieste secondarie che la modifica si mostra particolarmente rilevante: le stesse, invero, vanno formulate in adeguato ordine logico, con la conseguenza che non sono più consentite eventuali richieste subordinate inserite nel corpo dei motivi che devono, invece, essere chiaramente ed analiticamente espresse con riguardo alle circostanze; al giudizio di bilanciamento; alla determinazione della pena; ai benefici della sospensione condizionale e della non menzione; alla conversione della pena detentiva; alla confisca e alle altre misure di sicurezza.

3. Gli interventi riformatori citati rafforzano il collegamento sistematico fra gli artt. 581 e 546 c.p.p., in termini ancor più stringenti, confermando il principio secondo cui l'onere di specificità dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, è direttamente proporzionale alla specificità delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti.

3.1. Nella delineata prospettiva, ha costituito obiettivo del legislatore definire un modello legale di motivazione che rendesse maggiormente esplicita la parte giustificativa della sentenza, ponendosi questa quale effettivo paradigma devolutivo al quale commisurare la facoltà di impugnazione delle parti e i poteri di cognizione dell'organo ad quem, nel senso che la piattaforma decisionale deve essere chiara perchè è su questa che si circoscrive la devoluzione al giudice d'appello.

3.2. Di guisa che il giudizio di secondo grado non può (più) avere ad oggetto la mera ripetizione di valutazioni già compiute e la necessaria specificità comporta che l'appello viene a configurarsi come giudizio critico su punti specificamente dedotti, rappresentando una fase eventuale destinata alla individuazione di un errore della sentenza di primo grado, se esistente, con la conseguenza per cui ove i motivi non siano idonei a rappresentare l'esistenza e l'incidenza dell'errore, l'atto di appello è destinato alla declaratoria di inammissibilità.

4. Nel delineare in tal guisa struttura e funzione dell'impugnazione, l'intervento riformatore ha raccolto gli approdi più avanzati della giurisprudenza di legittimità che, ancor prima dell'emanazione della L. n. 103 del 2017, hanno evidenziato la natura dell'appello come giudizio critico e di controllo sui motivi tassativamente enunciati all'interno dell'impugnazione, sanzionando con la inammissibilità per difetto di specificità dei motivi la mancata esplicita enunciazione ed argomentazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

4.1. In tale evoluzione interpretativa si pone la decisione delle Sezioni Unite 27 ottobre 2016 (dep. 22 febbraio 2017), n. 8825, Galtelli, Rv. 268823, che ha affermato la piena equiparazione tra appello e ricorso per cassazione, quanto alla specificità dei motivi di censura, validando la consolidata giurisprudenza che ha affermato l'inammissibilità del ricorso per cassazione in difetto di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione.

Secondo le sezioni unite, i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili "non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato" (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), in quanto le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest'ultimo "non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato" (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Rv. 259425)".

4.2. Di guisa che ad uno standard di determinatezza intrinseca - enucleabile nella necessaria specifica enunciazione testuale dei motivi - viene a giustapporsi un ulteriore profilo di determinatezza estrinseca, riferibile al rapporto critico e puntuale tra ragioni della decisione e fondamento razionale delle correlative censure, e l'ammissibilità dell'impugnazione viene ad essere correlata alla sufficiente argomentazione del motivo ed all'esplicito collegamento del medesimo alla specifica parte della sentenza che si intende impugnare. Cosicchè i motivi di appello, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l'oggetto del gravame e di evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cfr., ex multis, Cass. pen., Sez. 6, 18 dicembre 2012, n. 1770, RV 254204).

Solo attribuendo tali connotazioni al requisito di specificità dei motivi di appello, in definitiva, il giudice dell'impugnazione può dirsi efficacemente investito dei poteri decisori di cui all'art. 597 c.p.p., comma 2, lett. b) nonchè legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza che non abbiano formato oggetto di specifica critica, senza essere vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello (SS. UU., 27 ottobre 2016, ibidem).

4.3. Nella ricostruzione operata, il requisito della specificità viene a costituire l'asse portante delle prescrizioni richieste dall'art. 581 c.p.p., e la precisazione delle caratteristiche e dei contorni di tale specificità assume rilevanza decisiva in merito alla valutazione di ammissibilità ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c).

5. Siffatta impostazione si muove in coerenza con quanto già previsto nel processo civile, dove alla specificità dell'impugnazione si aggiunge l'ulteriore previsione della ragionevole probabilità che l'impugnazione venga accolta secondo un giudizio prognostico di plausibile fondatezza. Anche in tal caso, la disciplina dei requisiti formali dell'atto di appello contenuta nell'art. 342 c.p.c., come inciso dalla riforma del 2012, è stata rimodulata secondo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che avevano precisato i contorni della specificità in stretta correlazione con il percorso motivazionale del provvedimento impugnato, sottolineando come - affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato - non sia sufficiente che nell'atto di appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinare il fondamento logico giuridico (Cfr., ex multis, SS. UU. Civili, 9 novembre 2011, n. 23299, RV. 620062.).

Anche in tal caso la riforma normativa, dando pieno riscontro a siffatto orientamento, ha eliminato il generico riferimento ai motivi specifici dell'impugnazione, prevedendo che l'appello debba essere motivato, con la diretta sanzione dell'inammissibilità nei casi in cui la motivazione non contenga l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, ovvero l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

6. Alla luce della sommaria ricostruzione che precede, la riforma delle impugnazioni "tende a ricondurre l'appello nell'alveo di giudizio destinato al controllo sulla decisione impugnata", con finalità dissuasive rispetto ad impugnazioni dilatorie o troppo generiche, in piena attuazione del c.d. principio del tantum devolutum quantum appellatum ed in tale impostazione la specificità dei motivi - con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto - diviene elemento essenziale ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione, che non può limitarsi alla rivalutazione di argomentazioni sulle quali il giudice di prime cure si sia già espresso, ovvero tendere alla prospettazione della mera ricostruzione alternativa dei fatti, senza l'indicazione delle fonti di prova da cui si deduce la differente ricostruzione.

Di conseguenza, così come previsto per tutte le impugnazioni, a seguito della riforma, anche nell'appello il combinato disposto dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) comporta l'inammissibilità dell'impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi: per escludere tale patologia, come ampiamente ribadito in dottrina, è necessario che l'atto individui il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata e specificando tanto i motivi di dissenso alla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame.

7. La corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.

7.1. La declaratoria di inammissibilità dell'appello proposto dal C. è stata ancorata alla genericità dei motivi per non essere state specificamente dedotte le ragioni delle censure, in fatto ed in diritto, addotte in riferimento all'eccessività della pena e per essere - in riferimento al motivo inerente la censura del giudizio di comparazione tra circostanze nella prospettiva della prevalenza delle attenuanti generiche- del tutto aspecifico il richiamo alle condizioni di vita, all'ammissione degli addebiti ed alla modesta gravità dei fatti rispetto alla confutazione delle ragioni espresse sul punto di decisione impugnato.

7.2. Ed analoga genericità ed acriticità caratterizza l'impugnazione di legittimità, non avendo - anche stavolta - il ricorrente adeguatamente specificato i profili della denunciata manifesta illogicità della motivazione, omettendo di svolgere anche nel ricorso per cassazione il necessario scrutinio della portata demolitoria dei motivi d'appello rispetto alla decisione censurata, limitandosi a richiamare un favor impugnationis (mediante il riferimento ad orientamenti giurisprudenziali già minoritari e comunque definitivamente superati) che contrasta, all'evidenza, con l'onere di specificità dei motivi delineato dall'art. 581 c.p.p..

7.3. Il ricorso è, pertanto, inammissibile per genericità.

8. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, che si stima equo determinare in Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2018

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2018