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Identificazione sulla parola, accompagnamento in caserma illegittimo (Cass. 36162/08)

19 settembre 2008, Cassazione penale

La legge legittima l'accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell'indagato, ai fini della sua identificazione, solo nel caso in cui il soggetto richiesto rifiuti di fornire le proprie generalità o fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistano sufficienti elementi per ritenerne la falsità.

L'identificazione compiuta solo sulla base delle dichiarazioni rese dal soggetto da identificare preclude il compimento di una più completa attività di accertamento della identità da parte della Polizia Giudiziaria, tantomeno da effettuarsi, previo accompagnamento in caserma o presso il commissariato, attraverso gli strumenti tecnici e le procedure a tal fine predisposti.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 10/06/2008) 19-09-2008, n. 36162

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente

Dott. AGRO' Antonio - Consigliere

Dott. SERPICO Francesco - Consigliere

Dott. MATERA Lina - Consigliere

Dott. CARCANO Domenico - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) C.F., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 14/10/2005 CORTE APPELLO di TRENTO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MATERA LINA;

udito il P.G. Dott. D'ANGELO GIOVANNI, che ha chiesto in rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24.3.2004 il Tribunale di Trento, Sezione Distaccata di Borgo Valsugana, dichiarava C.F. colpevole del reato di cui all'art. 337 c.p., e art. 61 c.p., n. 2, (perchè in data 13.12.2002, al fine di conseguire l'impunità dal delitto di cui al capo 1, opponeva resistenza all'App. (OMISSIS) della Compagnia Carabinieri di Borgo Valsugana, che lo stava accompagnando all'auto di servizio al termine della perquisizione eseguita, spintonandolo e riuscendo ad allontanarsi), ascrittogli al capo 2) della rubrica e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione.

L'imputato veniva invece assolto dal reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ascrittogli al capo 1), perchè il fatto non costituisce reato.

A seguito di gravame dell'imputato, con sentenza in data 14.10.2005 la Corte di Appello di Trento, in parziale riforma della sentenza di primo grado, esclusa l'aggravante contestata e ritenuta la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulla recidiva contestata, ha ridotto la pena inflitta a mesi quattro di reclusione.

Il Giudice di appello, in particolare, ha negato la scriminante del fatto arbitrario del pubblico ufficiale invocata dalla difesa, fondata sul rilievo che, al momento in cui gli agenti volevano portare in caserma l'imputato, quest'ultimo era già stato identificato. Al riguardo, la Corte distrettuale ha osservato che la decisione dei militari di accompagnare il C. in caserma era giustificata dalla necessità di effettuare una completa identificazione ai sensi e con le modalità di cui all'art. 349 c.p.p., comma 2, non potendosi ritenere un'identificazione operata, come nella specie, sulla sola base delle dichiarazioni del soggetto interessato, di per sè idonea a precludere più compiuti accertamenti da parte della Polizia, mediante gli strumenti tecnici e le procedure a tal fine predisposti.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta pronuncia, lamentando con un unico motivo l'erronea applicazione della legge penale, in relazione alla ritenuta insussistenza della scriminante di cui al D.Lgs. n. 288 del 1944, art.

4. Deduce che l'attività di accompagnamento del prevenuto in caserma compiuta dai C.C. di Borgo Valsugana era illegittima ed arbitraria, sia in relazione alla identificazione dell'imputato ex art. 349 c.p., sia in relazione alla notifica degli atti. Sotto il primo profilo fa presente che, avendo l'imputato fornito le proprie generalità, peraltro note agli agenti operanti, questi ultimi avrebbero potuto e dovuto procedere alla redazione del verbale di identificazione del C., eventualmente invitandolo a presentarsi in caserma, senza ricorrere all'accompagnamento coattivo dell'indagato e, quindi, alla privazione della sua libertà personale. Sotto il secondo profilo, rileva che per l'esecuzione dei verbali di perquisizione e sequestro di sostanze stupefacenti, ai sensi degli artt. 352 e 354 c.p.p., in relazione agli artt. 357 e 373 c.p.p., non è previsto l'accompagnamento coattivo dell'indagato. Sostiene, inoltre, che da nessun atto di indagine risulta che la Polizia intendesse accompagnare l'imputato in caserma al fine di procedere a suo arresto, come invece emerso nel corso del dibattimento e che, d'altro canto, nella specie non sussistevano i presupposti richiesti dalla legge per l'arresto obbligatorio o facoltativo, in quanto la modestia del quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuta e la qualità del C. di assuntore abituale di droga rendevano evidente che ricorreva un'ipotesi di detenzione per uso personale, priva di rilevanza penale. Evidenzia, infine, che la reazione del C. si è limitata ad un divincolamento, del tutto proporzionato all'azione fisica esercitata dall'appuntato (OMISSIS), che lo aveva afferrato per un braccio.

Motivi della decisione

 Le ragioni addotte nella prima parte dell'unico motivo di ricorso sono fondate e, per il loro carattere assorbente, esimono la Corte dall'esame delle ulteriori doglianze mosse dal ricorrente.

La Corte di Appello, nel dare atto, in punto di fatto, che gli agenti intendevano condurre l'imputato in caserma ai soli fini di procedere alla sua completa identificazione, ha ritenuto legittimo tale comportamento, sul rilievo che l'identificazione compiuta solo sulla base delle dichiarazioni rese dal soggetto da identificare non preclude il compimento di una più completa attività di accertamento della identità da parte della Polizia Giudiziaria, da effettuarsi, previo accompagnamento in caserma o presso il commissariato, attraverso gli strumenti tecnici e le procedure a tal fine predisposti.

Tale affermazione, tuttavia, si pone in contrasto con le disposizioni dettate dal quarto comma dell'art. 349 c.p.p., che legittimano l'accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell'indagato, ai fini della sua identificazione ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, solo nel caso in cui il soggetto richiesto rifiuti di fornire le proprie generalità o fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistano sufficienti elementi per ritenerne la falsità.

Nel caso in esame, pertanto, avendo la Corte territoriale dato atto che l'imputato aveva fornito le proprie generalità, e non essendo stata rappresentata in sentenza la sussistenza di elementi di fatto che inducessero a ritenere la falsità delle dichiarazioni dal medesimo rese, gli agenti operanti non avrebbero potuto accompagnare coattivamente il C. in caserma per le operazioni di identificazione, privandolo illegittimamente della sua libertà personale.

Di conseguenza, avendo l'imputato reagito ad atti arbitrari dei militari, eccedenti i limiti delle loro attribuzioni, nella fattispecie trova applicazione la causa di giustificazione prevista dal D.Lgs. n. 288 del 1944, art. 4, invocata dal ricorrente.

S'impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2008