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Genitore deve assistere moralmente e materialmente i figli (Cass. 29926/22)

27 luglio 2022, Cassazione penale

La norma che incrimina la mancata assistenza familiare  è norma a più fattispecie, che sono del tutto distinte, perchè relative a fatti eterogenei nel loro sostrato fattuale ed altresì nella considerazione sociale; l'una, riconducibile al comma 1, inerisce alla violazione dei doveri di assistenza morale, che sono proiezione tipica dei doveri di cura che innervano la genitorialità (evocati, dalla prospettiva del figlio, dall'art. 315-bis c.c.) e sono preordinati allo sviluppo armonico della personalità del minore; l'altra, prevista dal comma 2, posta a presidio dei bisogni più strettamente materiali della persona, si sostanzia nella mancata somministrazione delle provvidenze economiche necessarie al loro soddisfacimento.

 

Corte di Cassazione

Sez. VI penale, Sent., (data ud. 27/04/2022) 27/07/2022, n. 29926

 

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia;

nei confronti di:

P.C., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Mantova il 23/06/2020;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Stefania Riccio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza;

udita la discussione dell'avv. FAG che insiste per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Mantova ha condannato P.C. alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 570 c.p. (così determinata con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, assumendo a base di calcolo la pena di mesi tre di reclusione).

Al P. si imputa di essersi sottratto agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità dei genitori, serbando una condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie, e di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori e alla moglie.

2. Propone ricorso il Procuratore Generale della Corte di appello di Brescia, affidando le proprie doglianze a due motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 570 c.p. comma 1.
Il Tribunale ha omesso di applicare l'aumento di pena a titolo di continuazione in relazione al reato di cui all'art. 570 c.p.p. comma 1, pur avendo riconosciuto che, oltre a far mancare i mezzi di sussistenza, l'imputato si è disinteressato dei figli e li ha frequentati molto sporadicamente.

Detta norma configura un'ipotesi di reato autonoma rispetto a quella di cui al comma 2 e tra esse non vi è relazione di progressione criminosa, da potersi ritenere l'assorbimento dell'una violazione nell'altra.

2.2. Con il secondo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 570 c.p., comma 2, n. 2.

Il Tribunale ha omesso di applicare alimenti di pena ex art. 81 cpv. c.p., in ragione della pluralità di persone offese (i due figli, entrambi minori, ai quali l'imputato ha fatto mancare i mezzi di sussistenza), pur sussistendo una duplicità di reati, che sono in relazione di c:oncorso formale ovvero avvinti dal vincolo della continuazione.

Infine, la pena è stata determinata nella sola reclusione, mentre per la violazione di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. è prevista la pena congiunta.

3. Il difensore, avv. FAG ha depositato memoria scritta, con cui chiede pronunciarsi la inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, difetto di specificità dei motivi e di autosufficienza della prospettazione, carenza di vizi di nullità della sentenza; in subordine, ne chiede la conversione in appello.

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alessandro Cimmino ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

1. In via del tutto preliminare va disattesa la richiesta di conversione del ricorso in appello formulata dal difensore sul rilievo che, trattandosi di sentenza non appellabile dal pubblico ministero ex art. 593 c.p.p. - dal momento che non ricorrono le ipotesi derogatorie di c:ui al comma 1 di tale norma non avrebbe potuto essere avanzato ricorso per saltum ai sensi dell'art. 569 c.p.p..

Di contro, osserva il Collegio che l'art. 570 c.p.p., dedicato all'impugnazione del pubblico ministero, prevede il generale potere di proporre impugnazione da parte del procuratore generale presso la corte di appello nei casi stabiliti dalla legge, e in tali casi rientra quello disciplinato dall'art. 608 c.p.p., secondo cui: "il procuratore generale presso la corte di appello può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile". In ragione di tale disposizione, legittimamente è stato proposto il presente ricorso, posto che le sentenze di condanna non sono di norma appellabili dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 593 c.p.p., così come modificato dal D.Lgs. n.11 del 6 febbraio 2018.

2. Tanto premesso, il ricorso del Procuratore Generale è fondato in relazione ad entrambi i motivi proposti.

3. Come dedotto dal ricorrente, la condanna è incentrata non sulla sola condotta di mancato adempimento dell'obbligo di mantenimento e sui suoi presupposti di rilevanza penale (costituiti dallo stato di bisogno, presunto per legge, dei figli minori, e specularmente, sulla capacità di adempiere dell'obbligato), ma altresì sulla sottrazione agli obblighi di assistenza, espressiva di una condotta contraria all'ordine ed alla morale delle famiglie ex art. 570, comma 1, c.p..

Entrambe le fattispecie incriminatrici sono richiamate dalla contestazione e la sentenza impugnata motiva anche in riferimento al disinteresse del padre versoi figli ed al carattere del tutto sporadico con cui li aveva frequentati, quali presupposti in fatto della violazione degli obblighi di assistenza morale.

Deve al riguardo osservarsi che l'art. 570 c.p. è norma a più fattispecie, che sono del tutto distinte, perchè relative a fatti eterogenei nel loro sostrato fattuale ed altresì nella considerazione sociale; l'una, riconducibile al comma 1, inerisce alla violazione dei doveri di assistenza morale, che sono proiezione tipica dei doveri di cura che innervano la genitorialità (evocati, dalla prospettiva del figlio, dall'art. 315-bis c.c.) e sono preordinati allo sviluppo armonico della personalità del minore; l'altra, prevista dal comma 2, posta a presidio dei bisogni più strettamente materiali della persona, si sostanzia nella mancata somministrazione delle provvidenze economiche necessarie al loro soddisfacimento.

Non vi è, dunque, tra i reati detti, stante la loro autonomia concettuale, relazione di implicazione, per cui possa dirsi che la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza presupponga necessariamente la violazione dei doveri di assistenza morale, così come non ricorrono i presupposti della progressione criminosa, non potendosi affermare che l'una condotta costituisca sempre la naturale evoluzione dell'altra. Essi reati possono dunque concorrere, ove ricorrano - come ne caso in esame, gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi di entrambi.

Di tale orientamento sono espressione plurime pronunce di questa Sezione, le quali hanno ribadito che le ipotesi di reato in comparazione non sono in rapporto di progressione criminosa, avendo ad oggetto fatti non sovrapponibili nella loro storicità e tali da richiedere, sul piano processuale, l'apprestamento di strategie difensive diversificate (Sez. 6, n. 13741 del 04/02/2021, A., Rv. 280943; nello stesso senso, Sez. 6, n. 12307 del 13/03/2012, B., Rv. 252604).

Da quanto precede discende che la sentenza è viziata nella parte in cui non è stato applicato sulla pena-base un incremento di pena a titolo di continuazione ex art. 81 cpv. c.p..

3. Il secondo motivo è anch'esso fondato.

Ad avviso del Collegio va dato seguito all'indirizzo espresso sin da epoca risalente da questa Corte regolatrice per cui l'omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in danno di più soggetti, ancorchè conviventi nello stesso nucleo familiare, non configura un unico reato, bensì una pluralità di reati in concorso formale o, ricorrendone i presupposti, in continuazione tra loro (Sez. U, n. 8413 del 20/12/2007, dep. 2008, Cassa, Rv. 238468; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, dep. 2009, L., Rv. 242856.) E ciò, come precisato dalle Sezioni Unite, non solo perchè gli aventi diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza sono soggetti che ricevono diretta tutela dalla norma incriminatrice e sono portatori di posizioni differenziate (in ragione di un progressivo spostamento d'asse della tutela penale, che, dalla famiglia, intesa come istituzione unitaria, si è rivolta ai singoli componenti che costituiscono la formazione sociale, con una sempre più accentuata valorizzazione dei rapporti che nel suo nucleo traggono origine e si sviluppano); ma anche perchè, come osservarono le Sezioni Unite Cassa, rispetto ai diversi aventi diritto sono possibili adempimenti soggettivamente frazionati e, dunque, differenti eventi.

Nella vicenda in esame, in presenza di più parti lese avrebbe, dunque, dovuto essere applicato l'aumento per la continuazione interna.

Infine, erroneamente nella determinazione della pena il Tribunale ha irrogato la sola pena detentiva, lì dove l'art. 570, comma 2, n. 2, c.p., contempla la pena congiunta.

5. Al contrario, non hanno alcun pregio le deduzioni difensive sviluppate in memoria sulla infondatezza dei motivi di ricorso, per la assoluta genericità dei relativi contenuti.

6. La sentenza va conseguentemente annullata, con rinvio al giudice di primo grado che si atterrà, nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio, ai principi sopra enucleati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Mantova.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2022