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G8 di Genova, attentato ai diritti politici del cittadino?

20 luglio 2002, Fratelli Frilli Editore 2002, Nicola Canestrini e pubblicato in AAVV Dalla parte del torto

 La Costituzione individua una serie di diritti propedeutici, funzionali, all’esercizio libero ed informato del diritto di voto, i quali costituiscono cioè momenti necessari della partecipazione del cittadino alla vita politica del paese.La nozione di diritto politico in senso lato verrebbe così a ricomprendere tutti i diritti di libertà (di associazione, di riunione, di libera manifestazione del pensiero, ecc.) perché preordinati a sviluppare nel cittadino le sue qualità politiche.In definitiva, la distinzione comunemente acquisita tra libertà civili e libertà politiche potrebbe dissolversi nell’affermazione che tutti i diritti volti a proteggere l’indipendenza del singolo divengano libertà politiche.

 

Le Giornate di Genova G8 2001 sotto il profilo dell’attentato ai diritti politici del cittadino

  Avv. Nicola Canestrini*

 20 luglio 2002

  

Gli ultimi giorni del luglio 2001 hanno segnato una tappa che – per più ragioni – sarà ricordata per molto tempo.

 Dal punto di vista del bilancio della gestione della piazza e del mantenimento della sicurezza le giornate di Genova rappresentano una evidente sconfitta: più di 12mila uomini impiegati, decine di mezzi, fucili, lacrimogeni dagli effetti irreversibili, manganelli “tonfa” sperimentati eautorizzati con apposito decreto da parte del Ministero degli Interni pochi giorni prima del vertice non sono serviti a fermare le azioni dei violenti,ma sono stati efficacemente impiegati per cariche ripetute a cortei regolarmente autorizzati, diretti verso migliaia di persone pacifiche che stavano manifestando per affermare - con metodi e priorità differenti -principi di giustizia sociale, di solidarietà e di uno sviluppo equo e sostenibile.

 Le violenze nei confronti dei manifestanti, le lesioni di diritti fondamentali propri alle società democratiche e pluraliste, pongono gravi interrogativi a tutti coloro che hanno a cuore il rigoroso rispetto dei diritti e delle libertà nel nostro paese.

 Infatti, la Costituzione italiana, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e le libertà fondamentali del 4 novembre1950 ed ora anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 18 dicembre 2000 prevedono i diritti incondizionati di associazione, di riunione pacifica in luogo pubblico e di manifestazione del pensiero.La gravità e la metodicità delle violazioni di tali diritti “inviolabili”hanno determinato uno strappo nella società civile, tanto da indurre autorevoli commentatori a parlare di una “una mattanza insensata ed a sensounico, dove tutti i concetti di diritto, di diritti umani, sono gettati nel cesso” [1].

 In questa sede preme mettere in risalto proprio questa dimensione collettiva, e dunque politica, delle repressioni attuate.Le responsabilità per le massicce azioni repressive nei confronti dei manifestanti, gli attacchi ai cortei ed ai sit in di gente inerme poste in essere dalle forze dell’ordine appaiono andare al di là delle volontà dei singoli operanti nei reparti direttamente coinvolti, che pure non esitavano a colpire con una violenza inaudita ed indiscriminata i manifestanti indifesi dei cortei.

 Oltre alle cd. “carenze organizzative” (?) nella preparazione e nella gestione del vertice degli 8 Capi di Stato e di Governo, vi sono ulteriori elementi che legittimano il dubbio se non vadano cercate responsabilità ulteriori, risalendo la catena di comando fino ad arrivare ai massimi vertici politici. Ad esempio le sconcertanti dichiarazioni del Ministro dell’Interno del febbraio 2002 sull’autorizzazione all’uso indiscriminato delle armi (smentita), come i riferimenti dello steso Ministro alle centinaia di migliaia di cittadini che esercitavano i loro diritti costituzionali come“200mila scalmanati” (non smentita) [2].

 Sotto il punto di vista dei diritti costituzionali di libertà, negati in quei giorni a Genova, vi sono diverse ipotesi di reato allo studio dei legali del GLF.

Così, si sta verificando se possa essere integrata l’ipotesi di reato previsto e punito dall’articolo 610 c.p., che prevede il reato di violenza privata, come del resto sembrerebbe confermato dalla Cassazione già nel lontano 1923 (Moras):

 “Se il diritto che si impedisce di esercitare, è politico solo in senso lato, si ha violenza privata”.

 Vi è però di più: sotto la rubrica “attentato contro i diritti politici dei cittadini” l’articolo 294 del Codice Penale statuisce infatti che

 “chiunque con violenza, minaccia o inganno, impedisce in tutto o in parte, l’eserciziodi un diritto politico, ovvero determina taluno ad esercitarlo in mododifforme dalla sua volontà, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.

 L’applicabilità di tale fattispecie ai fatti di Genova dipende, in sostanza,dall’interpretazione che si vuole dare al concetto di “diritto politico”[3].

 Nell’attuale ordinamento costituzionale i diritti politici sono delle facoltà autonome ed inviolabili che permettono al cittadino di concorrere all’organizzazione ed al funzionamento dello Stato: questi diritti evidentemente si esercitano – e sono protetti – tanto esprimendo un consenso, quanto un dissenso.

 Dottrina e Giurisprudenza propendono per una interpretazione restrittiva della portata dell’articolo 294 c.p., che lo ricondurrebbe alla sola ipotesi di “potestà (…) di prendere parte alla vita costituzionale ed amministrativa dello Stato (..), concorrendo con il proprio voto alle elezioni delle cariche pubbliche” e facendone dunque un (inutile) doppione delle norme speciali che tutelano i diritti elettorali.

 Solo la violazione dei diritti politici in senso stretto, comprendenti il diritto di elettorato politico,il diritto al referendum (artt. 75, 87, 123, 132, 138 Costituzione), il diritto di petizione (art. 50 Costituzione) integrerebbe il reato di cui all’articolo 194 CP.

Il ruolo assolutamente centrale e fondante, che occupa il diritto politico nella nostra Costituzione, dovrebbe però necessariamente riflettersi sul bene giuridico tutelato da tal norma, cioè sulla sua funzione e sull’oggetto della tutela.

 Infatti, la ratio più profonda della norma sta nel riconoscimento di una libera partecipazione al governo generale della società.Il diritto politico come diritto individuale di libertà, volto, in altritermini, a proteggere l’indipendenza del singolo nella relazione con la collettività, diventa garanzia di espansione sociale, assume rilievo come garanzia, in un ordinamento democratico, della partecipazione attiva del singolo alla vita politica della comunità.

Oggetto della tutela diventerebbe – ad accogliere quest’interpretazione- il diritto di partecipazione alla vita politica dello stato.In altre parole, il bene protetto dalla norma dell’articolo 294 CP dovrebbe diventare – mediante una coraggiosa operazione di ridisegnamento costituzionale del bene protetto – la partecipazione alla vita organizzativa ed al funzionamento dello Stato, con lo scopo di recuperare nella concezione del diritto politico i diritti che spettano all’individuo come espressione della partecipazione alla vita politica del paese.Senza tutta una serie di libertà il solo diritto di voto non crea una democrazia.

 La Costituzione individua infatti una serie di diritti propedeutici, funzionali, all’esercizio libero ed informato del diritto di voto, i quali costituiscono cioè momenti necessari della partecipazione del cittadino alla vita politica del paese.La nozione di diritto politico in senso lato verrebbe così a ricomprendere tutti i diritti di libertà (di associazione, di riunione, di libera manifestazione del pensiero, ecc.) perché preordinati a sviluppare nel cittadino le sue qualità politiche.In definitiva, la distinzione comunemente acquisita tra libertà civili e libertà politiche potrebbe dissolversi nell’affermazione che tutti i diritti volti a proteggere l’indipendenza del singolo divengano libertà politiche[4].

 Non vi è dubbio che nelle giornate delle manifestazioni di Genova gli stessi diritti di libertà dei cittadini sono stati violati, e con essi è anche la partecipazione alla vita politica del paese ad essere stata ostacolata – o forse punita?

 Ciò ha comportato una "grave ferita nella democrazia italiana", la cui ricomposizione dipende ora anche da una coraggiosa azione della magistratura.

 NOTE: 

[1] Giulietto Chiesa, G8 - Genova, Einaudi, 2001, p.70.

 [2] Paul Ginsborg, La democrazia ferita nella caserma di Bolzaneto, LaRepubblica, 31 luglio 2001.

 [3] Per l'intepretazione qui proposta, si veda, per esempio, Lauretta Durigato, L'articolo 294 CP: un'ipotesi di tutela del diritto politico, Cedam, Padova, 1983.

 [4]  In questo senso, ad esempio, il progetto di riforma del Codice Penale presentato nel 1950 da un organizzazione di magistrati conteneva un titolo“dei delitti contro le libertà costituzionali” entro il quale ricondurre la tutela dei diritti di libertà nei quali il profilo politico è assorbente,come ad esempio la libertà di stampa, di pensiero di riunione, di associazione nonché le libertà sindacali. Secondo tale progetto, l’offesa a tali diritti avrebbe dovuto essere penalmente perseguita proprio perché“incide direttamente sulla partecipazione del cittadino alla vita pubblica”(Progetto preliminare del codice penale del 1950, Roma, 1950, 475).

 * L’autore è membro del Genoa Legal Forum, Direttore del Centro italiano Studi per la Pace e Professore a contratto di mediazione dei conflitti e diritti umani presso l’Università di Ferrara. Il presente contributo verrà pubblicato nel volume “Dalla parte del torto: avvocati di strada durante il G8 a Genova” a cura dei Fratelli Frilli (settembre 2002).