Tenuto conto dell'interesse protetto dalla norma che punisce il procurato allarme, costituito dalla tutela dell'ordine pubblico, il reato è configurabile anche allorchè l'infortunio annunziato sia stato artificiosamente costruito, stante l'equivalenza tra infortunio "falso" e infortunio "inesistente".
La ratio della norma che punisce il procurato allarme va ravvisata nell'interesse dello Stato all'ordine pubblico, che si vuole garantire contro tutti i falsi allarmi, che distolgono l'autorità costituita dalle ordinarie incombenze.
Se il "disastro" è costituito da qualsivoglia evento dannoso di non comune gravità incidente su una pluralità di soggetti e tale da esporre a pericolo un numero indeterminato di persone, l'"infortunio" è integrato dall'evento dannoso concernente una o più persone che, senza avere i caratteri di gravità e diffusibilità propri del disastro, determini tuttavia un intervento delle autorità.
Ricorre ugualmente il reato in esame, qualora l'"annuncio" di un disastro, di un infortunio o di un pericolo inesistente sia "mediato", cioè non effettuato direttamente alle forze dell'ordine, bensì a un privato e, tuttavia, per l'apparente serietà del suo contenuto, risulti idoneo a provocare allarme nelle autorità e a determinare l'intervento d'ufficio delle medesime.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Sent., (ud. 09/02/2018) 12-06-2018, n. 26897
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZEI Antonella P. - Presidente -
Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere -
Dott. CASA Filippo - Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. COCOMELLO Assunta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.B., n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 803/2016 della CORTE di APPELLO di BRESCIA del 23/02/2017;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona della Dott.ssa CARDIA Delia che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l'avv. PA, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 23/02/2017 la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 18/11/2015, con la quale R.B. era stato condannato alla pena di mesi tre di arresto per il reato di cui all'art. 658 cod. pen. (in (OMISSIS)).
La fattispecie di reato contestata al R. consiste nell'allontanamento dalla propria abitazione, senza dare notizie di sè per cinque giorni, e nell'aver lasciato la propria autovettura nei pressi di un ponte su di un fiume, una bottiglia di whisky e scatole di antidepressivi all'interno, una propria foto inserita tra quelle di parenti defunti e la spedizione di un manoscritto alla propria convivente, contenente l'intenzione di suicidarsi, così procurando allarme presso le Autorità, che avviavano le ricerche di persona scomparsa e la macchina dei soccorsi, anche attraverso l'impiego di sommozzatori.
L'allontanamento era preceduto dalla predisposizione di una vera e propria messinscena, volta a far credere come avvenuto o imminente il proprio suicidio, allo scopo di recuperare il rapporto sentimentale con l'ex compagna S.B.. In particolare, R. si era procurato le scatole di antidepressivi dalla cognata e aveva elaborato il piano sopra esposto, al fine di attirare nuovamente l'attenzione di S.B.. Dopo la sua ricomparsa, le aveva sorriso, atteggiamento incompatibile col dedotto stato di prostrazione con idee suicidiarie.
2. R.B., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per Cassazione avverso la suindicata sentenza per vizio di motivazione.
La difesa deduce che doveva escludersi la configurabilità del reato, in quanto le condotte contestate non integravano atteggiamenti sintomatici di un intento suicidiario; si trattava, infatti, di meri atti di sfogo, determinati da una situazione di forte stress, conseguente a problematiche di carattere economico e allo stato di tossicodipendenza dei propri due figli.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Con l'unico motivo di ricorso, il R. denuncia l'inesistenza degli estremi oggettivi del reato di cui all'art. 658 cod. pen. e, in particolare, l'impossibilità di ravvisare la condotta incriminata nei comportamenti attuati.
Va premesso che la ratio della norma va ravvisata nell'interesse dello Stato all'ordine pubblico, che si vuole garantire contro tutti i falsi allarmi, che distolgono l'autorità costituita dalle ordinarie incombenze. A tal fine, va evidenziato che se il "disastro" è costituito da qualsivoglia evento dannoso di non comune gravità incidente su una pluralità di soggetti e tale da esporre a pericolo un numero indeterminato di persone, l'"infortunio" è integrato dall'evento dannoso concernente una o più persone che, senza avere i caratteri di gravità e diffusibilità propri del disastro, determini tuttavia un intervento delle autorità di P.G. (nel caso di specie la Squadra Mobile della Questura e i sommozzatori dei VV.FF.).
Tenuto conto dell'interesse protetto dall'art. 658 cod. pen., costituito dalla tutela dell'ordine pubblico contro i falsi allarmi, il reato in esame è configurabile anche allorchè l'infortunio annunziato sia stato artificiosamente costruito, stante l'equivalenza tra infortunio "falso" e infortunio "inesistente" (Sez. 2, n. 23440 del 23/04/2007, Zappia, non massimata).
2. Ciò posto in ordine agli elementi costitutivi della condotta incriminata del reato in questione, va osservato che il ricorrente, postulando la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, che, tuttavia, è inammissibile in sede d'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia - come nella specie - una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio.
Gli elementi processuali acquisiti, infatti, sono univocamente indicativi della coscienza e volontà del ricorrente di annunciare un'inesistente situazione di un grave danno già avvenuto - o probabile e imminente - alla propria persona (suicidio o tentato suicidio); egli, in questo modo, procurava allarme presso le autorità, le quali, avuto riguardo al contenuto della falsa informazione e al contesto temporale in cui la stessa veniva fornita, avviavano immediatamente articolate investigazioni, al fine di rintracciare il cadavere di R. o di scongiurare ipotetiche gravi conseguenze derivanti dal pericolo prospettato (Sez. 1, n. 11752 del 28/02/2012, A. Ben Ahmen, non massimata).
Grazie alla predisposizione di un articolato piano finalizzato alla riconquista della propria ex convivente, R. lasciava ipotizzare di essersi suicidato (o di aver tentato il suicidio) e, conseguentemente, induceva le forze dell'ordine ad attivare la macchina organizzativa delle ricerche e dei soccorsi per trarlo in salvo nonchè ad impiegare i sommozzatori dei VV.FF., immersisi nel fiume (OMISSIS), per rinvenire l'eventuale corpo esanime.
Va precisato al riguardo che ricorre ugualmente il reato in esame, qualora l'"annuncio" di un disastro, di un infortunio o di un pericolo inesistente sia "mediato", cioè non effettuato direttamente alle forze dell'ordine, bensì a un privato e, tuttavia, per l'apparente serietà del suo contenuto, risulti idoneo a provocare allarme nelle autorità e a determinare l'intervento d'ufficio delle medesime.
3. Per le ragioni che precedono, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali (art. 616 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2018