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False fotocopie di autorizzazione amministrativa: non c'è reato (Cass.51699/18)

15 novembre 2018, Cassazione penale

Non sussiste il reato di falso documentale, quando la falsificazione ha ad oggetto una copia fotostatica, presentata come tale, atteso che quest’ultima non ha, di per sé, valore di documento, e può essere produttiva di effetti giuridici solo se autenticata o non espressamente disconosciuta.

Risponde dei delitto di falso ideologico in autorizzazioni amministrative e non del delitto di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale, il privato che alleghi, a corredo della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, atto avente natura di autorizzazione amministrativa, documentazione non veritiera attestante l’avvenuta demolizione del manufatto e il ripristino dello stato dei luoghi, così inducendo in errore il pubblico ufficiale destinatario della richiesta.


CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. V PENALE - SENTENZA 15 novembre 2018, n.51699

Pres. Fumo – est. Michelli

Ritenuto in fatto

Il difensore di GP ricorre per cassazione avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei confronti del suo assistito, il 31/05/2013, dal Tribunale di Benevento, sezione distaccata di Airola. La declaratoria di penale responsabilità del P. aveva riguardato, all’esito del giudizio di primo grado:

- una ipotesi di falso, rubricata al capo A) ex artt. 110, 61 nn. 2 e 11, 476 e 482 cod. pen., per avere egli avere formato, in concorso con Pe.An. e agendo quale geometra incaricato da Giovanni C. di redigere un progetto per il rilascio di un permesso di costruire relativo ad un centro polivalente, una concessione edilizia totalmente contraffatta, utilizzando un modello fornitogli dal Pe. (già impiegato presso l’ufficio tecnico del comune di (omissis) ) corrispondente a quelli in uso anni addietro presso la pubblica amministrazione e compilandolo in tutte le sue parti con dati inesistenti e con l’apparente sottoscrizione del sindaco (firma apocrifa, in realtà vergata dal Pe. );

- una seconda ipotesi di falso, contestata sub B) mediante il richiamo alle medesime disposizioni di legge, concernente l’alterazione di tre ricevute di versamento di bollettini postali, i cui originali riguardavano somme realmente pagate al servizio di tesoreria del comune di Montesarchio nell’interesse del committente C. , ma per importi inferiori (Euro 3,33, 1,21 e 5,38, rispettivamente contraffatti in Euro 193,33, 7.420,21 e 3.115,38);

- un addebito di truffa aggravata, ancora in concorso con il Pe. , per essersi fatto corrispondere dal C. e dal suocero di costui somme da correlare all’attività professionale compiuta, dopo aver dimostrato al cliente (attraverso l’esibizione dei falsi anzidetti) di avere prestato la propria opera a seguito dell’incarico ricevuto.

La Corte territoriale ha invece dichiarato l’intervenuta prescrizione del delitto di cui all’art. 640 cod. pen., confermando non di meno il complessivo trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado.

La difesa dell’imputato lamenta innanzi tutto l’erronea applicazione degli artt. 157 e 476 cod. pen., facendo presente che - secondo la giurisprudenza di legittimità - le condotte indicate ai capi A) e B) non potrebbero mai integrare ipotesi criminose riconducibili alla previsione normativa di cui al secondo comma del citato art. 476 (con la conseguente necessità di avere riguardo a limiti edittali più elevati e dunque a diversi termini massimi di prescrizione).

Più in particolare, la falsificazione od alterazione di una concessione edilizia dovrebbe essere ricondotta nella fattispecie di cui agli artt. 477, trattandosi di autorizzazione amministrativa, e, considerata la veste di soggetto privato del P. , 482 cod. pen.; quanto all’alterazione delle fotocopie delle ricevute dei bollettini postali, il difensore del ricorrente evidenzia che la condotta non ha alcuna rilevanza penale laddove le fotocopie siano spese semplicemente come tali, come nel caso in esame (si tratterebbe, piuttosto, dell’artificio strumentale a rendere possibile il raggiro della vittima, posto che le fotocopie de quibus non risultano essere state prodotte per ottenere un qualsivoglia provvedimento). Le stesse persone offese, come da dichiarazioni rese nel corso del dibattimento, percepirono direttamente e senza equivoci che quelle a loro esibite erano semplici copie, né essi chiesero mai i relativi originali, rimasti inalterati.

Ne deriva che il reato sub A) dovrebbe intendersi prescritto, già alla data della pronuncia emessa in grado di appello; mentre il fatto di cui al capo successivo - comunque a sua volta estinto, ove ravvisabile - non può dirsi sussistente.

Nell’interesse del P. si deduce quindi, sviluppando ulteriormente le argomentazioni precedenti, la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, giacché la Corte di appello: non segnala in base a quale orientamento interpretativo i fatti in rubrica dovrebbero qualificarsi ai sensi dell’art. 476 cod. pen.; indica la concessione edilizia, al contempo, come atto conclusivo ed intermedio di un medesimo procedimento amministrativo; non considera che la stessa concessione sarebbe affetta da falso grossolano, tale da non poter integrare neppure artificio o raggiro ai fini della truffa, visto che all’epoca dei fatti contestati l’atto abilitante un intervento edificatorio era il permesso di costruire (un teste dell’accusa dichiarò infatti di essersi subito reso conto della contraffazione); sulle fotocopie delle ricevute dei bollettini postali, comunque non utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo, afferma che 'la falsità riguardava le copie fotostatiche dei bollettini e non gli originali', poi che 'l’imputato ha presentato come originali le ricevute false dei versamenti', senza neppure tenere conto che si trattava di copie realizzate su foglio A4, ergo non delle dimensioni di un bollettino.

Secondo la difesa, inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni spese con l’atto di appello, circa la verosimile estraneità del P. ai fatti di cui alla rubrica: in concreto, la Corte napoletana si sarebbe limitata ad un apodittico 'non poteva non sapere', rilievo che appare del tutto inconferente laddove si discuta di responsabilità penale.

Infine, con gli ultimi motivi di doglianza, il difensore dell’imputato lamenta la violazione dell’art. 597 cod. proc. pen. e segnala che il ricorrente avrebbe comunque meritato la concessione delle attenuanti generiche.

Con una memoria datata 10/05/2018, la difesa ha ulteriormente ribadito le censure come sopra articolate.

Considerato in diritto

 1. Il ricorso è fondato, nei sensi e limiti di cui appresso.

2. Il motivo di doglianza afferente la contestata responsabilità del P. (perché, come implicitamente rappresentato nella ricostruzione difensiva, estraneo a condotte poste in essere dal solo coimputato) deve essere affrontato in via preliminare, ma appare inammissibile perché si risolve in una mera sollecitazione al giudice di legittimità affinché rivaluti le risultanze istruttorie. Del resto, la Corte territoriale ha già diffusamente chiarito che il ricorrente:

- era il titolare dell’incarico professionale conferito dal C. , tanto da avere egli stesso elaborato il progetto, mentre il Pe. era un suo collaboratore;

- si atteggiava comunque a dominus nei rapporti con la clientela, gestendo gli incartamenti delle relative pratiche, ed è impensabile che egli fosse nella condizione di non rendersi conto della palese discrasia tra i modesti importi versati con i bollettini postali originali e quelli risultanti dalle fotocopie esibite alle persone offese.

3. In ordine all’addebito sub A), il falso in una concessione edilizia non può effettivamente sussumersi nella fattispecie astratta di cui all’art. 476 cod. pen., giacché 'ai fini della classificazione delle falsità in atti disciplinate dal codice penale, la concessione edilizia di cui all’art. 1 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 rientra nelle fattispecie previste dagli artt. 477 e 480 cod. pen., trattandosi di autorizzazione amministrativa' (Cass., Sez. U, n. 673/1997 del 20/11/1996, Botta, Rv 206661); anche in epoca recente, sia pure fuori da ipotesi di presunta falsità materiale, si è ribadito che 'risponde dei delitto di falso ideologico in autorizzazioni amministrative e non del delitto di falso ideologico in atto pubblico per induzione in errore del pubblico ufficiale, il privato che alleghi, a corredo della richiesta di concessione edilizia in sanatoria, atto avente natura di autorizzazione amministrativa, documentazione non veritiera attestante l’avvenuta demolizione del manufatto e il ripristino dello stato dei luoghi, così inducendo in errore il pubblico ufficiale destinatario della richiesta' (Cass., Sez. III, Sentenza n. 7273 del 09/01/2018, Cavallo, Rv 272559).

In ogni caso, non potrebbe ritenersi che un provvedimento amministrativo costituente titolo per attività edificatoria, avendo valore di manifestazione di determinazioni discrezionali dell’autorità competente, abbia fede privilegiata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 476 cpv. cod. pen. (tema, peraltro, cui i giudici di merito non dedicano alcuna disamina, in una fattispecie concreta dove la rubrica non contiene riferimenti di sorta alla norma appena menzionata).

Il falso de quo, che non può intendersi grossolano (la circostanza che, in luogo della concessione edilizia, la normativa sopravvenuta richiedesse ormai il permesso di costruire deve ritenersi fosse nota in un contesto di soggetti qualificati, come era il teste indicato nel ricorso, ma non certo per un qualunque cittadino che avesse deciso di rivolgersi ad un professionista), è dunque prescritto.

Stando alla rubrica, le condotte criminose sarebbero state accertate nell’aprile 2007, mentre le somme oggetto della truffa furono incassate fino al 15 aprile dell’anno precedente; la realtà, dunque, è che anche i falsi vennero perfezionati prima del 15/04/2006, avendo avuto natura strumentale al fine di convincere le persone offese dell’evoluzione della pratica e della apparente necessità di erogare i compensi dovuti per l’attività professionale. In ogni caso, quand’anche si dovesse fare riferimento alla data del 01/04/2007, i sette anni e sei mesi previsti ex lege per il perfezionarsi della causa estintiva maturarono il 01/10/2014: pur tenendo conto di cause di sospensione per complessivi 8 mesi e 11 giorni, risultanti dall’esame del carteggio processuale, si perviene al 12/06/2015.

4. In ordine alla condotta sub B), che sarebbe parimenti prescritta per le ragioni appena evidenziate, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte 'integra il reato di falso in atto pubblico commesso dal privato la falsificazione del bollettino di pagamento effettuato mediante conto corrente postale, attesa la natura di atto pubblico di tale bollettino, che attesta, con efficacia probatoria nei confronti dei terzi, il versamento di una somma di denaro a mani di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio' (Cass., Sez. V, n. 36831 del 22/06/2016, Zagami, Rv 267955). Ancora una volta, però, non ci si troverebbe dinanzi ad atti cui riconoscere fede privilegiata.

Si deve comunque convenire con l’assunto difensivo circa l’irrilevanza penale della fattispecie in esame, se non in quanto descrittiva delle modalità artificiose attraverso le quali venne consumata la truffa già dichiarata estinta: infatti, per consolidato e risalente orientamento interpretativo, 'non sussiste il reato di falso documentale per inesistenza dell’oggetto ex art. 49 cod. pen., quando la falsificazione ha ad oggetto una copia fotostatica, presentata come tale, atteso che quest’ultima non ha, di per sé, valore di documento, e può essere produttiva di effetti giuridici solo se autenticata o non espressamente disconosciuta, secondo quanto previsto dagli artt. 477 cod. pen. e 2719 cod. civ.' (Cass., Sez. V, n. 11185 del 05/05/1998, Detti, Rv 212130; la vicenda riguardava proprio l’esibizione all’INPS di false fotocopie, non autenticate e disconosciute dall’ente, di ricevute postali di versamento di somme corrispondenti a un debito contestato per contributi non versati).

Anche nelle pronunce degli ultimi anni viene costantemente ribadito che 'non integra il delitto di falsità materiale previsto dagli artt. 476 e 482 cod. pen., la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un provvedimento amministrativo inesistente, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall’imputato e, pertanto, priva dei requisiti, di forma e di sostanza, capaci di farla sembrare un atto originale o la copia conforme di esso ovvero comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente' (Cass., Sez. V, n. 8870/2015 del 09/10/2014, Felline, Rv 263422; v. altresì, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 2297/2018 del 10/11/2017, D’Ambrosio).

Nel caso oggi sub judice, le fotocopie esibite non ebbero mai neppure la parvenza degli atti originali, dal momento che i truffati si videro mostrare dei fogli formato A4 su cui erano riprodotte le ricevute dei presunti versamenti: la circostanza risulta dagli allegati alla querela, nonché dalla relazione curata dal consulente tecnico nominato per accertamenti grafologici.

5. Le statuizioni civili della pronuncia meritano conferma, essendo intervenuta condanna generica ai risarcimento dei danni: il giudice civile, cui le parti sono state rimesse già in forza della sentenza di primo grado, dovrà comunque tenere conto della decisione liberatoria concernente il capo appena esaminato.

I residui motivi di ricorso, afferenti il trattamento sanzionatorio, debbono intendersi assorbiti.

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo B), perché il fatto non sussiste.

Annulla senza rinvio la medesima sentenza ai fini penali, con riferimento al capo A), perché il reato è estinto per prescrizione.

Rigetta il ricorso ai fini civili.