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Falsa attestazione per 104? Falsità ideologica e truffa (Cass. 2072/12)

19 gennaio 2012, Cassazione penale

La dichiarazione sostitutiva di certificazione L. n. 15 del 1968, ex art. 2 con successiva autocertificazione confermativa in cui si attesta il diritto al riconoscimento di permessi ex L. n. 104 del 1992 è atto pubblico.

L'applicazione della normativa di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33 che si compendia nell'adozione di un provvedimento autorizzatorio, ha natura pubblicistica, poichè la sua adozione è collegata al riconoscimento del diritto di un soggetto diversamente abile all'assistenza da parte di un famigliare lavoratore dipendente, fruitore di una regolare retribuzione da parte dell'Ente pubblico, sulla base di una legge dello Stato e sul presupposto del riconoscimento del diritto all'assistenza in forza della verificata sussistenza di precise condizioni regolate dalla legge stessa.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

(ud. 08/11/2011) 19-01-2012, n. 2072

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio - Presidente

Dott. PRESTIPINO Antonio - Consigliere

Dott. GALLO Domenico - Consigliere

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - rel. Consigliere

Dott. D'ARRIGO Cosimo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) C.L. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1950/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 20/05/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI DIOTALLEVI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALVI G., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito, per la parte civile, l'avv. DBR di Roma, quale sostituto processuale dell'avv. Fper la p.c. Regione Lombardia;

Udito il difensore avv. BM del Foro di Monza, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

C.L. ricorre avverso la sentenza, in data 20 maggio 2011, della Corte d'appello di Milano, con cui è stata condannata per il reato di cui all'art. 483 c.p. e per il reato di cui agli artt. 56 e 640 c.p., oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile Regione Lombardia, e, chiedendone l'annullamento, lamenta la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi essenziali da cui desumere la sussistenza del reato di cui all'art. 483 c.p., non potendosi riconoscere la qualità di "atto pubblico" alla dichiarazione sostitutiva di certificazione L. n. 15 del 1968, ex art. 2 con successiva autocertificazione confermativa, presentata alla Direzione Generale delle risorse della Regione Lombardia, in cui attestava falsamente il diritto al riconoscimento di permessi ex L. n. 104 del 1992, proprio al fine di ottenere tre giorni di permesso retribuito ai sensi della legge citata, per accudire la sorella portatrice di handicap, in realtà già deceduta in epoca antecedente; con il secondo motivo censura la ritenuta sussistenza degli artifizi e raggiri individuata nella falsa autocertificazione prodotta.

La Regione Lombardia, già costituitasi parte civile, ha presentato rituali conclusioni scritte insistendo nella declaratoria di inammissibilità del ricorso con conseguente condanna alla refusione delle spese processuali.

Il ricorso è manifestamente infondato.

In apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole alla ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità;

si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4^, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n. 12/2000, Jakani, rv 216260); per quanto riguarda la dedotta insussistenza della falsità ideologica nel caso in esame, osserva la Corte che, pur in presenza dell'avvenuta privatizzazione del rapporto di lavoro subordinato della ricorrente presso la regione, va ribadito il principio di diritto in base al quale "L'applicazione della normativa di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33 che si compendia nell'adozione di un provvedimento autorizzatorio, ha natura pubblicistica, poichè la sua adozione è collegata al riconoscimento del diritto di un soggetto diversamente abile all'assistenza da parte di un famigliare lavoratore dipendente, fruitore di una regolare retribuzione da parte dell'Ente pubblico, sulla base di una legge dello Stato e sul presupposto del riconoscimento del diritto all'assistenza in forza della verificata sussistenza di precise condizioni regolate dalla legge stessa".

La L. n. 104 del 1992, infatti, attribuisce proprio alle Regioni poteri di controllo in ordine alla effettiva attuazione della legge medesima, nonchè poteri di spesa con relativo finanziamento destinato a Regioni e Comuni.

La natura pubblica dell'atto, che autorizza il congiunto all'assistenza retribuita va ricercata dunque nella funzione dell'atto stesso e nella natura di soggetto pubblico dell'organo che emette il provvedimento sulla base delle false dichiarazioni ricevute, che ne costituiscono il presupposto indispensabile, a prescindere dalla natura privata del rapporto di lavoro del dipendente autorizzato.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, ai limiti dell'assoluta genericità, comunque meramente assertivo rispetto ad una valutazione operata dai giudici di merito ed esente da censure logico giuridiche.

Alla luce delle suesposte considerazioni va dichiarata inammissibile l'impugnazione.

Ne consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000,00 e alla rifusione in favore della parte civile Regione Lombardia delle spese sostenute in questo grado di giudizio, liquidate in Euro 1.400,00 oltre IVA e CPA e spese generali.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende e alla rifusione in favore della parte civile Regione Lombardia delle spese sostenute in questo grado di giudizio, liquidate in Euro 1.400,00 oltre IVA e CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2012