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Estradizione verso l'estero e diritti fondamentali: una analisi critica

13 settembre 2016, Nicola Canestrini

La clausola di salvaguardia comune vieta l?estradizione verso paesi che non rispettino i diritti fondamentali della persona, o che la espongano al rischio di tortura, trattamenti crudeli, disumani o degradanti o a persecuzione arbitraria o discriminazione. Essa costitusce il principio ispiratore della normativa che regola la estradizione per l?estero, ma rischia di essere svilita nella sua applicazione quotidiana.

Italian extradition law prohibits surrender of who would risk a gross violation of his fundamental rights, fair trial included, or slavery, torture, cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, arbitrarily arrest, denial of freedom of expression, religlion, thought. Despite that, Italian case law risks to weaken these internationally recognized principles.

Pubblicato il 12 settembre Giurisprudenza Penale Web, 2016, 9 reperibile al seguentelink: http://www.giurisprudenzapenale.com/2016/09/12/diritti-fondamentali-nellestradizione-lestero-analisi-critica/  (con file .pdf da scaricare)

 

(Indice)

 

1. Introduzione

 2. La clausola di salvaguardia comune nel codice di procedura penale

 2.a)  Il mancato rispetto dei diritti fondamentali 

2.b) Disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato

2.c) Reato politico, atti persecutori o discriminatori e pene o  trattamenti  crudeli,  disumani o degradanti

2.c.1. Reato politico

2.c.2 Atti persecutori o discriminatori: in particolare, lo status di rifugiato politico

2.c.3 Pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti

 3. Conclusioni

 

La recente modifica dell?articolo 698 c.p.p., rubricato ?Reati politici. Tutela  dei   diritti fondamentali della persona?,[1] costituisce l?occasione per fare il punto sulla rilevanza della tutela dei diritti fondamentali nel procedimento estradizionale per l?estero regolato dal codice di procedura penale (cd. estradizione extraconvenzionale passiva)[2].

 1.     Introduzione

 Come noto, l?istituto della estradizione è uno strumento classico nella prassi internazionale, costituendo la più antica forma di collaborazione fra Stati nella lotta alla criminalità e si sostanzia nel meccanismo attraverso il quale uno Stato consegna una persona che si trovi sul suo territorio alle autorità di uno Stato estero che ne abbia fatto richiesta[3].  

 E? stato osservato come ?nella procedura tradizionale di estradizione è ineliminabile  un  profilo  politico.  La natura  politica  dello  Stato  si  riflette  sulla  natura  politica  delle  relazioni  internazionali  e  permea,  pertanto, anche l?istituto dell?estradizione. L?avvento   delle   Costituzioni   rigide,   per   altro,   ha   limitato   e   circoscritto la     discrezionalità     politica     nella     cooperazione internazionale   per   la   repressione   dei   reati,   sia   sul   versante   dell?imparzialità  delle  decisioni  sulla  libertà  personale  -  affidate ad un giudice indipendente ? sia sul versante della tutela dei diritti fondamentali?[4].

 Se va ricordato come il codice sancisca il principio della prevalenza delle Convenzioni e del diritto internazionale generale sulle norme previste dal libro undicesimo ( art. 696 c.p.p.), l'art. 705/2 c.p.p. individua alcune condizioni la cui presenza è assolutamente ostativa, a prescindere dall'esistenza o meno di una convenzione tra gli Stati, alla concessione dell'estradizione.

 Il giudizio di garanzia giurisdizionale previsto dal nostro sistema in tema di estradizione passiva[5] ha infatti per oggetto non solo l'osservanza delle disposizioni di diritto oggettivo regolanti il rapporto, ma anche la tutela del diritto fondamentale della persona umana alla libertà ed alla sicurezza; tale diritto non può essere compresso se non nei casi e nei modi previsti dalla legge. Se così non fosse, l'estradizione si risolverebbe in un ?sistema giuridico per violare la libertà e la sicurezza dell'individuo, laddove il procedimento di garanzia giurisdizionale mira, nel rispetto di tale diritto, proprio ad evitare che l'istituto possa risultare snaturato rispetto alla sua finalità di doverosa forma di cooperazione giudiziaria internazionale, nei casi e nei modi predeterminati dalle legge?[6].

 Almeno nelle intenzioni del legislatore, la finalità di tutela dei diritti fondamentali caratterizza l?intero procedimento estradizionale del nostro codice procedurale: il rispetto di un nucleo di diritti dell?uomo è avvertita come una esigenza fondamentale, anche a dispetto di un?efficace repressione penale.

 2.     La clausola di salvaguardia comune nel codice di procedura penale (705/2 c.p.p.)

 L?articolo 705/2 c.p.p. prevede una cd. "clausola di salvaguardia comune" rispetto all'estradizione passiva, sia essa convenzionale, extraconvenzionale, processuale o esecutiva, poiché prevede una serie di ipotesi in cui, "comunque", la Corte d'Appello[7] pronuncia sentenza contraria all'estradizione[8].

 Ciò accade, in particolare,  quando:

 a)                per il reato per il quale è richiesta l'estradizione, la persona è stata o sarà sottoposta ad un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali;

b)                la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l'estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato;

c)                 vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta agli atti, alle pene o ai trattamenti indicati nell'art. 698/1 c.p.p., che recita che ?non può essere concessa l'estradizione per un reato politico nè quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per  motivi di razza, di  religione,  di  sesso,  di  nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni  personali o sociali ovvero a pene o  trattamenti  crudeli,  disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona?[9].

 L?articolo 705/2 c.p.p. riproduce sostanzialmente quelle norme di diritto internazionale consuetudinario in materia di diritti umani che hanno acquisito natura cogente, essendo peraltro riconosciute dallo stesso diritto internazionale pattizio[10]: il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti[11], il divieto di discriminazione[12], il divieto di violare i principi fondamentali dell?equo processo[13] (ivi compresa la presunzione di innocenza) ed il divieto di detenzione arbitraria[14].

 

2. a)  Il mancato rispetto dei diritti fondamentali (705/2 c.p.p. lett. a)

 La lettera a) dell?art. 705/2 c.p.p. individua come condizione ostativa ad una decisione favorevole all?estradizione la sottoposizione dell?estradando ad un procedimento all?estero che non assicuri il rispetto dei diritti fondamentali.

 La verifica richiesta dalla disposizione in parola consiste essenzialmente nell?analisi se la normativa dello Stato richiedente e il giudizio relativo all'estradando assicurino il rispetto dei diritti fondamentali alla luce delle garanzie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo[15] e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici[16], [17], [18].

 La giurisprudenza di legittimità ha peraltro più volte espresso il principio che la condizione ostativa all'estradizione del pericolo di violazione dei diritti fondamentali opera esclusivamente nel caso in cui derivi da una scelta normativa o solo di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee e orientamenti istituzionali e non rilevando quelle situazioni rispetto alle quali sia comunque possibile una tutela legale (Cass. sez. 6^ 6 dicembre 2013, Neledva; 6 marzo 2013 n. 10905, Bishara Meged; 24 maggio 2006 n. 21985, Raduef; 26 aprile 2004 n. 26900, Martinez; 18 novembre 1998 n. 3702, Frederik).

 Uteriore restrizione giurisprudenziale del principio enunciato dalla norma in analisi è costituta dalla necessità che la valutazione della sussistenza o meno di detta causa ostativa non può nel caso di specie che essere effettuata in concreto[19].

 Esclusa la previsione normativa da parte dello Stato richiedente di atti persecutori o discriminatori ovvero di pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque di atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, l'eventuale scelta di fatto non può infatti che riguardare la determinazione a livello politico-amministrativo di tollerare una situazione diffusa e non episodica di gravi violazioni dei diritti umani, ad esempio nel trattamento carcerario, evitando di adottare misure adeguate per prevenirle.

 Anche la "situazione di endemica violenza" deve infatti essere suscettibile, con ragionevole grado di probabilità, di riverberare i suoi effetti sull'estradando e di comportare per lui un concreto rischio di sottoposizione a trattamenti che costituiscano violazione dei suoi diritti fondamentali, a nulla rilevando la denuncia da parte di organizzazioni internazionali e organi di informazioni di episodi occasionali di persecuzione e discriminazione segnalati in modo tale da non essere ritenuti peculiari di un sistema (tra le tante, Cass. sez. 6^ 8 aprile 2014 n. 30864, P.G. in proc. Lytvynyuk; sez. 6^ 20 dicembre 2013 n. 2657, Cobellan; sez. 6^ 5 febbraio 2008 n. 15626, Usurelu Ion). Anche il Comitato contro la Tortura (CAT), con riferimento all'art. 3 della Convenzione ONU contro la Tortura, e la Corte EDU, con riferimento all'art. 3 della CEDU, hanno emesso pronunce, di cui nel ricorso vi è un'ampia rassegna, in cui la rilevanza di trattamenti contrari ai diritti fondamentali viene ancorata alla situazione concerta del singolo individuo.

 Infine, sempre in tema di estradizione per l'estero, il divieto di pronuncia favorevole ove si abbia motivo di ritenere che l'estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, non opera qualora, pur in presenza di informazioni circa la violazione di tali diritti derivante da una diffusa e grave situazione di endemica violenza all'interno del sistema carcerario dello Stato richiedente, le Autorità di quello Stato offrano specifiche assicurazioni in ordine alla sottoposizione del "consegnato" ad un trattamento diverso da quello previsto nell'ordinario circuito penitenziario, tale da escludere radicalmente la possibilità di assoggettamento a maltrattamenti di qualsiasi natura[20].

 Purtroppo quindi la giurisprudenza di legittimità italiana pare accontentarsi delle garanzie diplomatiche, laddove si dovrebbe invece considerare che le stesse provengono dalle stesse autorità che quantomeno tollerano la grave violazione di diritti fondamentali in essere; si dovrebbe tenere altresì presente che la violazione delle garanzie è rilevabile solo su un piano politico e non giudiziario, non avendo le assicurazioni in parola valore legalmente vincolante, con il risultato che ? al di là di (improbabili) conseguenze sul piano dei rapporti internazionali[21] ? l?estradato subirà comunque quelle violazioni dei diritti fondamentali che la normativa interna, anche Costituzionale, ed internazionale mira ad evitare in assoluto[22].

 2.     b) Disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (705/2 c.p.p. lett.b)

 

La circostanza preclusiva di cui alla lett. b dell?art. 705/2 c.p.p. pone problemi interpretativi nell'individuazione dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato.

 Sulla nozione di diritti fondamentali della persona, sia consentito chiosare il leading case della Suprema Corte[23]:

 ?la materia dell'estradizione, per sua stessa natura, mette in gioco le relazioni internazionali degli Stati ed elementari esigenze di amichevole e pacifica convivenza internazionale impongono che, di regola, la disciplina dell'estradizione sia regolata da convenzioni e trattati.

 .. (L)a centralità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali fonda una rilevante eccezione alle stipulazioni pattizie, costituita dal divieto di estradizione:

- in caso di concreta prospettiva di mancato rispetto dei diritti fondamentali nel procedimento penale dello stato richiedente (art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a);

- nell'ipotesi di esecuzione di sentenza contenente disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano (art. 705 c.p.p., comma 2, lett. b);

- quando vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti, pene o trattamenti indicati nell'art. 698 c.p.p., comma 1 (art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c).

 In proposito, va richiamata l'attenzione sulla necessità di adoperare con rigore l'aggettivo "fondamentale" per qualificare un diritto, sottolineando la distinzione operata dal legislatore tra "principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano" e "diritti fondamentali della persona" (a cui fa riferimento anche l'art. 698 c.p.p., comma 1), i quali implicitamente - in forza del criterio direttivo dettato dalla Legge Delega n. 81 del 1987, art. 2, comma 1, secondo cui "il codice di procedura penale deve (...) adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificare dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale" - richiamano sia la Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, adottata a Roma il 4.11.1950, sia la Convenzione Europea di estradizione, adottata a Parigi il 13.12.1957).

 Ne consegue che, ai fini del divieto di estradizione previsto dall'art. 705 cod. proc. pen., non tutti i diritti riconosciuti dal nostro codice di procedura penale possano e debbano ritenersi "fondamentali", ma soltanto quelli riconosciuti come tali dal diritto internazionale, consuetudinario o pattizio."

 La Suprema Corte ha ritenuto che non sussista tale condizione ostativa quando sia denunciata la mera violazione di norme processuali, ma solo quando venga prospettata l'assenza nell'ordinamento dello Stato richiedente di una normativa a tutela delle garanzie difensive e del diritto al giusto processo[24].

 In tal senso, se si è ritenuto che non fosse contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato una sentenza straniera basata sulla sola confessione dell'imputato, posto che il livello di verifica dell'attendibilità della confessione attiene alle regole proprie di ogni ordinamento e non coinvolge il rispetto dei diritti fondamentali[25], la Corte ha ritenuto attuative di un principio fondamentale dell'ordinamento italiano diverse disposizioni relative alla custodia cautelare[26] e alla prescrizione[27].

 Fra i principi generali dell'ordinamento pacificamente dovrebbero ritenersi inoltre compresi i principi della irretroattività della legge penale, del divieto di analogia in malam partem, della responsabilità personale e dell'interpretazione pro reo; la giurisprudenza non ha, tuttavia, ricompreso il divieto della reformatio in peius, non possedendo tale principio valore fondamentale o di rango costituzionale[28].

 Assume invece particolare importanza il riconoscimento alla sanzione penale di una funzione rieducativa, ex art. 27/3 Cost. e, al proposito, non si ritengono sussistenti le condizioni per la concessione dell'estradizione di un cittadino italiano condannato all'estero, qualora la richiesta di esecuzione della pena venga sollecitata solo per esigenze di prevenzione generale, con riferimento alla esemplarità della pena irrogata, escludendosi la sussistenza di necessità di prevenzione speciale nei confronti del condannato estradando[29]. Più di recente, la giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, chiarito come non ritenga che l'assenza di una disciplina che preveda le misure alternative alla detenzione possa attribuire alla pena una funzione contrastante con le esigenze teleologiche proprie dell'ordinamento dello Stato richiesto[30]. Sempre con riferimento alla pena, viene valorizzato anche ai fini ostativi alla estradizione la violazione del principio di legalità della pena, costituzionalmente garantito dall'art. 25/2 Cost., che richiede una preventiva determinatezza, da parte della legge del quomodo, dell'an e del quantum della sanzione[31].

 Con riferimento, poi, alle modalità di esercizio della difesa ed alla possibilità di concedere l'estradizione in caso di condanna in contumacia, pacificamente rilevato che il diritto di difesa costituisce principio fondamentale del nostro ordinamento ex art. 24 Costituzione[32], l'elaborazione giurisprudenziale, incrementatasi negli ultimi anni, ha definito come contrario ai principi fondamentali del nostro ordinamento un procedimento contumaciale che non consenta l'impugnazione della sentenza definitiva quando l'imputato non sia stato messo in condizione di conoscerne l'esistenza[33] e ha, quindi, chiarito che è ammissibile l'estradizione di un soggetto condannato in contumacia ove sia prevista la possibilità di impugnare la sentenza definitiva[34], il diritto di chiedere la rinnovazione del giudizio, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti della difesa[35] o la possibilità di domandare la revisione del processo[36].

 Incombe peraltro semore sull'estradando un preciso onere di allegazione degli elementi e delle circostanze idonei a fondare il timore che l'estradizione preluda alla sua sottoposizione nello Stato richiedente a trattamento incompatibile col rispetto dei diritti fondamentali della persona[37].

 

2.  c)  Reato politico, atti persecutori o discriminatori e pene o  trattamenti  crudeli,  disumani o degradanti (705/2 c.p.p. lett.c, art 698 c.p.p.)

 

2.c.1. Reato politico

 Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in tema di estradizione per l'estero, la nozione di reato politico a fini estradizionali trova fondamento non nell'art. 8 c.p. , nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero[38].

 In tale ottica va ribadito che la norma di riferimento non possa essere costituita da quella contenuta nell'art. 8 c.p. , dato che, in maniera incongrua, si farebbe dipendere la nozione costituzionale da una definizione prevista da una disposizione di legge ordinaria (che, peraltro, risponde ad una logica di ampliamento della pretesa punitiva statuale), ma debba essere rappresentata da quelle dettate dall'art. 10 Cost. , comma 4, e art. 26 Cost. , comma 2, che vietano, in generale, l'estradizione per reati politici tanto degli stranieri quanto dei cittadini: norme queste con le quale, nell'impostazione generale della Carta fondamentale, si è inteso garantire il cittadino o lo straniero dalle inammissibili pretese punitive avanzate da Stati esteri.

 Tuttavia, per poter definire l'inammissibilità di tali pretese, da cui consegue il divieto di estradizione, non è possibile considerare aspetti di natura meramente "soggettiva", connessi cioè alle finalità o agli scopi delle condotte incriminate, che finirebbero per lasciare all'interprete margini di eccessiva discrezionalità, ma occorre valorizzare elementi di natura "oggettiva".

 Così, in un'ottica sostanziale, ai fini della verifica richiesta dall?art. 7092/2 (c) c.p.p., i reati sono qualificabili come politici in ragione dell'interesse giuridico che risulti leso: si pensi ai delitti di manifestazione di pensiero che siano stati consumati all'estero per contrastare regimi illiberali e tutelare libertà fondamentali, purchè risultino ispirati dalla volontà di affermare valori di libertà e democrazia protetti dalla nostra Costituzione.

 

2.c.2.  Atti  persecutori o discriminatori: in particolare, lo status di rifugiato politico

 La lettera (c) dell?art. 705/2 c.p.p. riproduce la ?clausola di non discriminazione" prevista in varie convenzioni internazionali, come ad esempio nell'art. 3.2 della Convenzione europea sull'estradizione, con ulteriore ampliamento ai diritti fondamentali che possono essere individuati sulla base di quanto previsto dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici.

 Il riconoscimento dello status di rifugiato politico previsto dalla Convenzione di Ginevra[39]costituisce un formidabile esempio di elemento che possa far ritenere integrata la persecuzione di cui trattasi.

 Si evidenzia peraltro come il riconoscimento dello status di rifugiato rilevi anche sotto altro aspetto, essendo connaturato il divieto di espulsione (non refoulement) ex art. 33 Convenzione di Ginevra; al principio in parola è riconosciuta valore di norma di diritto internazionale consuetudinario cogente, senza quindi alcuna possibilità di valutazione discrezionale da parte dell?autorità giudiziaria.

 Infatti, pur non sussistendo ancora uno spazio europeo di asilo e mancando quindi una clausola di mutuo riconoscimento, è evidente come il riconscimento in uno Stato costituisca una base fattuale che permette ai profughi di vedere riconosciuto il proprio diritto d'asilo in tutti gli Stati una volta che lo si è ottenuto in uno soltanto: e tale principio è desumibile nelle regole dettate dalla Convenzione di Ginevra, principale strumento internazionale in materia di diritto di asilo[40].

 La Convenzione di Ginevra fu, come noto, pensata per tutelare, all?indomani della seconda guerra mondiale, quei soggetti che sono oggetto di specifiche persecuzioni per motivi individuati in determinate categorie: razza, religione[41], nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche[42].

 La medesima convenzione esplicita sub art. 33 il divieto di respingimento (?non refoulement?), principio ascritto allo jus cogens con il divieto di pena inumana e degradante sancito dall?art 3 CEDU, che sancisce che ?nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.?

 Se quindi l?Italia procedesse al trasferimento anche in via estradizionale (?in qualsiasi modo?) di un rifugiato politico, si violerebbe l?art. 33 della Convenzione di Ginevra. 

 Del resto, la Suprema Corte nel 2014 ha stabilito che è legittimo negare l'estradizione, ritenendo sussistente il pericolo che la persona estradanda, ove sia consegnata allo Stato richiedente, sarà sottoposta per motivi di opinioni politiche ad atti persecutori ovvero a trattamenti disumani o degradanti, e ciò anche desumendolo dallo status di rifugiato politico (nel caso esaminato la Turchia, sez. VI, sent.28-01-2014, (ud. 18/12/2013), n. 3746[43]):

 ?.. l'art. 704 c.p.p. , comma 2, disponendo che la corte d'appello decide sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione "dopo avere assunto le informazioni e disposto gli accertamenti ritenuti necessari", affida alla valutazione discrezionale del giudice il compito di stabilire se e quali accertamenti siano necessari ai fini della decisione.

 Nel caso concreto, la Corte territoriale ha recepito il risultato degli accertamenti effettuati dalla Commissione preposta al riconoscimento della protezione internazionale e ha altresì ritenuto di condividerne la valutazione conclusiva e tale decisione non merita censura.

 Occorre infatti considerare che il provvedimento che accorda allo straniero la protezione internazionale nelle forme del riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria viene emesso all'esito di un'istruttoria specificamente regolamentata, che accerta sulla base di criteri di valutazione prestabiliti (v. D.Lgs. cit., art. 3, commi 4 e 5) l'effettiva esistenza dei presupposti di fatto tipizzati dalla legge, compendiati nelle due distinte categorie degli "atti di persecuzione" e del "danno grave", che giustifichino il fondato timore, rispettivamente, di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità od opinione politica oppure di subire un grave danno alla vita o alla persona.

 L'accertamento, condotto dall'autorità amministrativa istituzionalmente chiamata a verificare la sussistenza dei presupposti di fatto legittimanti il riconoscimento della protezione internazionale, pur non essendo vincolante per la giurisdizione a causa del principio della separazione dei poteri dello Stato, può essere però assunto dal giudice come utile elemento di valutazione da porre a fondamento della propria decisione, ove ritenuto completo, certo e affidabile.

 A tal fine assume particolare rilievo la motivazione del provvedimento amministrativo, nella parte in cui illustra i fatti addotti e le prove esibite dal richiedente la protezione, gli accertamenti compiuti d'ufficio e il relativo risultato probatorio, sul quale si innesterà l'autonoma- anche se generalmente coincidente - previsione circa il pericolo che quella persona, se ritornasse nel Paese di origine, potrebbe subire atti persecutori o trattamenti disumani o degradanti.?

 Infine, occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema, la disposizione dell'art. 698, comma 1, c.p.p., che prevede quale causa ostativa alla estradizione, la fondata ragione per ritenere che l'imputato o il condannato verranno sottoposti ad atti persecutori o discriminatori per motivi, fra gli altri, di razza o di religione costituisce applicazione, nella materia della estradizione, del più generale principio di salvaguardia del diritto fondamentale dell'individuo alla libertà ed alla sicurezza contro qualsiasi forma di discriminazione, che potrebbe essere attuata con lo strumento della domanda di estradizione da parte dello Stato estero; l'atto persecutorio e discriminatorio - si è aggiunto - è pertanto, quello che, in quanto mascherato sotto forma di domanda di estradizione per perseguire un determinato reato, costituisce lo scopo dissimulato che lo stesso Stato richiedente mira a realizzare per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, laddove dallo status del soggetto, connesso ad una o più delle suddette posizioni, dipendano, nell'ordinamento interno del suddetto Stato richiedente, situazioni di oggettivo pregiudizio reale o potenziale (cd. estradizione mascherata)[44].

 

2.c.3 Pene o  trattamenti  crudeli,  disumani o degradanti

 

Il divieto di tortura o trattamenti inumani o degradanti sancito dall?art. 3 CEDU costituisce il nucleo essenziale, la base, di ogni diritto fondamentale: si tratta del diritto per il quale (unitamente al diritto alla vita di cui all?art. 2 CEDU) è esclusa espressamente la sospensione ex art. 15 CEDU[45], che costituiscono, secondo la Corte, il noyau dur (?nocciolo duro?) della Convenzione.

 La violazione del divieto di refoulement verso Stati in cui il rimpatriato correrebbe il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, costituirebbe essa stessa una violazione dello Stato richiesto all'art. 3 Cedu[46]; si noti peraltro che con la cd. lisbonizzazione[47] della Carta dei diritti fondamentali vengono in rilievo anche gli articoli 4 e 19 Carta[48].

 Incredibilmente però vi è contrasto giurisprudenziale da parte della Suprema Corte sul fatto se il giudice italiano possa fondare il proprio giudizio anche sulla base di documenti e di rapporti elaborati da organizzazioni non governative, la cui affidabilità sia generalmente riconosciuta sul piano internazionale[49];  al contrario, tali documenti sono stati ritenuti ad esempio utilizzabili sia dalle Sezioni Unite della Corte di Giustizia[50] e della Corte europea dei diritti dell?Uomo per affermare che l?espulsione verso un Paese dove si pratica la tortura integra una violazione dell?art. 3 della CEDU[51].

 Spesso peraltro esistenza di dichiarazioni e l?accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali sono riconosciute dalla giurisprudenza italiana come sufficienti, da sole, ad assicurare una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti nonostante quando fonti affidabili riportano pratiche delle autorità ? o da esse tollerate ? manifestamente contrarie ai principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell?uomo e delle libertà fondamentali[52]; del resto, la Suprema Corte in tema di estradizione regolata dalla Convenzione europea di estradizione è arrivata ad affermare ch ?il giudizio sull'eventuale sussistenza di una estradizione cosiddetta mascherata o di altra situazione idonea ad incidere negativamente sui diritti fondamentali dell'estradando deve peraltro basarsi su elementi idonei a far ritenere fondato il pericolo in questione e detti elementi debbono potersi ricavare dagli atti ovvero debbono essere prospettati dall'interessato secondo un preciso onere di allegazione: l'esercizio, in via esclusiva, di un potere di iniziativa officioso del giudice, in assenza di concreti ed apprezzabili sospetti, costituirebbe fatto non amichevole e non corretto nei confronti dello Stato richiedente, il quale, con l'accettazione di clausole comuni europee, consente, peraltro, il controllo dell'osservanza dei diritti riconosciuti nella fondamentale Carta europea.?[53].

 Tipicamente le fonti da prendere in considerazione sono giudiziarie, anche di stai esteri (tipicamente corti supreme o corti costituzionali), della stessa Corte di Cassazione e la Corte Europea dei Diritti dell?Uomo (database HUDOC della Corte Edu[54]!), ma anche rapporti istituzioni (quali il Parlamento Europeo) e/o di organizzazioni quali quelli del Consiglio d?Europa (ad es. Comitato contro la Tortura), Amnesty International, Fair Trials International, Human Rights Watch.

 In tale contesto, è da rilevare come debba essere sufficiente non la certezza, ma anche solo un pericolo concreto di realizzazione di tortura o trattamenti inumani o degradanti[55]. Il principio è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte, richiamando gli standard internazionali fissati dalla Corte Europea dei Diritti dell?Uomo nella sentenza Torreggiani e altri contro Italia[56], che ha chiarito che ?osta ad una pronuncia favorevole all'estradizione non solo la certezza ma anche il pericolo concreto che l'estradando venga sottoposto ad un trattamento avente un oggettivo carattere inumano o degradante, nell?ottica delineata dalla Cedu?[57].

 La Corte di Cassazione ritiene ricorrere il divieto di pronuncia favorevole all'estradizione in caso di accertata esistenza nello Stato richiedente di fenomeni di c.d. "pulizia etnica", che concretizza il fumus persecutionis nei confronti dell'estradando (C., Sez. feriale, 17.8.1995, Gligic, in CP, 1996, 2629).

 E? ancora richiesto che il rischio allegato sia riferibile ad una scelta di fatto dello Stato richiedente, considerato nella sua veste istituzionale, peculiari del sistema,  quindi non episodi occasionali di persecuzione o discriminazione o episodi ad opera di singole persone o contingenze estranee agli apparati[58].

 3.     Conclusioni

 Motivi di natura economica non possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale[59]; la tutela dei diritti dovrebbe essere inoltre sempre praticata rifiutando approssimazioni, motivazioni aparenti e clausole di stile . 

 Ciò vale soprattutto se i diritti sono fondamentali, in primis per una ragione di coscienza e di solidarietà: l?articolo 1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell?Uomo impone a tutti gli esseri umani, ?liberi ed uguali?, di agire gli uni verso gli altri "in spirito di fratellanza".

 Se però coscienza e spirito di solidarietà non fossero sufficienti, i diritti fondamentali di cui si è trattato trovano la loro fonte oltre che nella legge ordinaria, nel diritto internazionale consuetudinario, in quello internazionale pattizio e nella Costituzione, e cioè nelle più alte fonti di diritto. Ogni operatore della giustizia, sia esso difensore[60], magistrato inquirente o magistrato giudicante dovrebbe esssere consapevole della responsabilità che ne deriva.



 

Note

 

[1] Si veda la recente ?Legge sulla ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive?, in GU Serie Generale n.181 del 4-8-2016.  Rilevano, per quanto qui interessa, le modifiche introdotte dall?art. 5, rubricato ?Modifiche alle disposizioni del codice di procedura penale in materia di estradizione per l'estero a  tutela  dei  diritti  fondamentali:   termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive? che sostituisce il precedente comma 2, già oggetto di intervento della Corte Costituzionale, con il seguente: «2. Se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è  punito con  la  pena  di  morte  secondo  la  legge  dello   Stato   estero, l'estradizione  può  essere   concessa   solo   quando   l?autorità giudiziaria accerti che è stata adottata una decisione  irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata  commutata  in  una  pena  diversa,  comunque  nel rispetto di quanto stabilito dal comma 1? (..). Si riporta per comodità il testo dell'art.  689, comma 2, del  codice  di procedura penale prima della modifica introdotta dalla legge di cui supra: «2. Se il fatto per il quale è domandata l'estradizione è punito con la pena di morte secondo la legge dello Stato estero, l'estradizione può  essere  concessa  solo  quando l?autorità giudiziaria accerti che è stata  adottata  una decisione irrevocabile che irroga una  pena  diversa  dalla  pena di morte o, se questa è stata  inflitta,  è  stata commutata in una pena diversa,  comunque  nel  rispetto  di quanto stabilito dal comma 1.»

[2] L?estradizione si suddivide sommariamente in estradizione attiva o passiva, a seconda se l?Italia è Stato richiedente o richiesto; inoltre, si distingue la estradizione processuale da quella esecutiva a seconda se l?estradizione abbia ad oggetto una persona da giudicare o questa sia invece già stata giudicata; infine, si distinguono le cd. estradizioni convenzionali, cioè regolate da trattati bi- o multilaterali, da quelle extraconvenzionali, cioè quelle attuate in assenza di un trattato internazionale e quindi regolate dal nostro codice di procedura penale. La disciplina fra le diverse ?tipologie? estradizionali ha tratti comuni, ma anche molto divergenti, quali ad esempio, nella estradizione processuale passiva, il potere del giudice italiano di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza solo quando non esista convenzione di estradizione (estradizione processuale passiva extraconvenzionale) o questa non disponga diversamente (cfr., per esempio, la Convenzione europea del 13 dicembre 1957, che non contenendo deroghe impone all'autorità giudiziaria italiana di accertare, con una sommaria delibazione, che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea ad evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando).  Si noti peraltro che anche in caso di estradizione convenzionale parte della giurisprudenza ritiene che il fatto che l'estradizione venga normalmente accordata sulla base dell'esame dei soli documenti allegati alla domanda, non significhi che si possa prescindere dall'accertamento relativo alla sussistenza dei "gravi indizi", ma solo che la sussistenza di questi ultimi vada desunta dai documenti che le convenzioni indicano e che devono essere allegati alla domanda (procedura  "semplificata" rispetto a quella codicistica, che trova la propria giustificazione proprio nel reciproco riconoscimento di una comune cultura giuridica e di un rapporto di affidabilità tra gli Stati che sottoscrivono l'accordo internazionale (Cass.pen., Sez. IV, 2.2.2011).

[3] La Corte di Cassazione ha individuato la base attuale dell?estradizione nella necessità della cooperazione internazionale per la repressione dei reati, che trova la sua migliore realizzazione nel favorire l?assoggettamento del reo alla giurisdizione penale dello Stato che ha maggiore interesse ad esercitarla (Cassazione penale, 18 gennaio 1978, n. 152, e più recentemente, negli stessi termini, Cass. pen., 17 agosto 1989, n. 837).

[4] Gaetano Silvestri, ?Estradizione, mandato di arresto europeo e altre forme di cooperazione in materia penale?, Lisbona, 15-17 novembre 2012, http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/RI_Silvestri_Lisbona20121116.pdf

[5] Il procedimento di estradizione può essere definito come sistema misto, che combina più poteri: una fase di alta amministrazione, i.e. amministrativa, attribuita al Ministro della giustizia (artt. 708 e 720 c.p.p.) e una giurisdizionale (appunto il cd. cd. ?giudizio di garanzia giurisdizionale? perché mira a accertare l?esistenza delle condizioni legittimanti l?estradizione e la tutela della libertà personale dell?estradando). In altre parole, la valutazione compiuta dalla Corte d'Appello concerne esclusivamente la legale possibilità dell'estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità, che rientra, invece, nell'esclusiva sfera di competenza del Ministro della giustizia (C., Sez. VI, 12.6.2008, in Mass. Uff., 240570; C., Sez. VI, 22.5.2007, in Mass. Uff., 237186). Inoltre, la Corte d'Appello è priva di alcun potere di sindacato con riferimento alla sussistenza delle condizioni per richiedere l'estradizione (C., Sez. VI, 9.10.2006, P.G. in proc. Ion, in Mass. Uff., 235281), all'efficacia dei titoli esecutivi (C., Sez. VI, 7.1.2009, H.A., in Mass. Uff., 242151; si veda, altresì, C., Sez. VI, 12.12.2008, N.D., in Mass. Uff., 242643, secondo cui non costituisce motivo ostativo la sostituzione da parte dello Stato istante del titolo estradizionale, per lo stesso fatto, prima della pronuncia della Corte d'Appello), alla motivazione della sentenza (C., Sez. VI, 9.1.2008, in Mass. Uff., 239152) ed alla legittimità dell'ordine di arresto (C., Sez. VI, 5.4.2007, Gruszcnynski, in Mass. Uff., 237666). Si noti che il Ministro della giustizia può delegare questo tipo di atto ai dirigenti (capo dipartimento o direttore generale) specificamente preposti all'articolazione ministeriale competente ad occuparsi della materia estradizionale (arg. ex Sez. 6^, n. 45988 del 26/10/2011, dep. 12/12/2011, Rv. 251186). Invero, le richieste formulate in materia cautelare dal Ministro della giustizia (ex art. 704 c.p.p. , comma 3, art. 714 c.p.p. , comma 1, art. 715 c.p.p. , comma 1, art. 716 c.p.p. , comma 4 e art. 718 c.p.p. , comma 2) dispiegano i loro effetti tipici all'interno della fase giurisdizionale del procedimento di estradizione, ma non costituiscono atti riservati alla sua esclusiva competenza personale, nè di certo possono essere definiti come atti politici, in quanto non ineriscono all'esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato, né riguardano la formulazione in via generale e al massimo livello dell'indirizzo politico e programmatico del Governo (arg. ex Sez. 1^, n. 19678 del 03/03/2003, dep. 28/04/2003, Rv.225745), con la conseguenza che deve ritenersi legittima ed efficace una richiesta sottoscritta dal direttore generale del Ministero della giustizia in virtù di una delega amministrativa, anche di carattere generale, conferitagli dallo stesso Ministro.

[6]  Cfr. Cass. Pen., 8 giugno 1987, Drivas, in Cass. Pen., 1988, 1882, con nota di Di Chiara, ?Note minime in tema di estradizione passiva: verso un nuovo indirizzo giurisprudenziale".

[7] E? stato esattamente rilevato come l'estradizione di una persona imputata o condannata sia subordinata al rispetto della "garanzia giurisdizionale?: cioè non è ammessa estradizione senza la previa deliberazione favorevole dell'autorità giudiziaria ex artt. 700 ss. c.p.p., la quale compirà una verifica di legalità, cioè la sussistenza di tutti i requisiti di legge: e «ciò costituisce l'ostacolo all'estrinsecazione del potere del Ministro della giustizia in ambito estradizionale» (Gaito, Mandato d'arresto europeo ed estradizione, in Dominioni-Corso-Gaito-Spangher-Dean-Garuti-Mazza, Procedura penale, Torino, 2010). Si noti peraltro come anche a delibazione giudiziale irrevocabile il Ministro della giustizia non sia obbligato a dare corso all?estradizione, dato che  l'art. 698/2 c.p.p. prevede la valutazione discrezionale dell'organo politico secondo un parametro di opportunità politica, con atto di cd. alta amministrazione.

[8] Si rileva peraltro che la previsione di cui all?art. 714/3 c.p.p.. che prevede che non possano essere applicate misure coercitive ?se vi sono ragioni per ritenere che non sussistano le condizioni per una sentenza favorevole all?estradizione? rende l?analisi delle condizioni ostative in analisi sin dal primo contato con l?AG.

[9] La clausola di salvaguardia comune è una delle condizioni ostative all?estradizione, previste nel variegato catalogo di divieti risultante dal quadro normativo costituzionale (artt. 10, 26 Cost.), codicistico (artt. 13 c.p., 698, 699, 705 c.p.p.) e convenzionale (art. 3 Convenzione EDU).

[10] Si vedano gli artt. 3, 5 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e 7 e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, cfr. infra.

[11] Human Rights Committee, General Comment 24 (52), General comment on issues relating to reservations made upon ratification or accession to the Covenant or the Optional Protocols thereto, or in relation to declarations under article 41 of the Covenant, U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.6 (1994): ?..  Although treaties that are mere exchanges of obligations between States allow them to reserve inter se application of rules of general international law, it is otherwise in human rights treaties, which are for the benefit of persons within their jurisdiction. Accordingly, provisions in the Covenant that represent customary international law (and a fortiori when they have the character of peremptory norms) may not be the subject of reservations. Accordingly, a State may not reserve the right to engage in slavery, to torture, to subject persons to cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, to arbitrarily deprive persons of their lives, to arbitrarily arrest and detain persons, to deny freedom of thought, conscience and religion, to presume a person guilty unless he proves his innocence, to execute pregnant women or children, to permit the advocacy of national, racial or religious hatred, to deny to persons of marriageable age the right to marry, or to deny to minorities the right to enjoy their own culture, profess their own religion, or use their own language. And while reservations to particular clauses of Article 14 may be acceptable, a general reservation to the right to a fair trial would not be.?(par. 8 e 10).

[12] Human Rights Committee, General Comment 18, Non-discrimination (Thirty-seventh session, 1989), Compilation of General Comments and General Recommendations Adopted by Human Rights Treaty Bodies, U.N. Doc. HRI/GEN/1/Rev.1 at 26 (1994): ?Non-discrimination, together with equality before the law and equal protection of the law without any discrimination, constitute a basic and general principle relating to the protection of human rights.? (par 1 ss).

[13] Human Rights Committee, General Comment 29, States of Emergency (article 4),U.N. Doc. CCPR/C/21/Rev.1/Add.11 (2001): ?Safeguards related to derogation, as embodied in article 4 of the Covenant, are based on the principles of legality and the rule of law inherent in the Covenant as a whole.  As certain elements of the right to a fair trial are explicitly guaranteed under international humanitarian law during armed conflict, the Committee finds no justification for derogation from these guarantees during other emergency situations.  The Committee is of the opinion that the principles of legality and the rule of law require that fundamental requirements of fair trial must be respected during a state of emergency.  Only a court of law may try and convict a person for a criminal offence.  The presumption of innocence must be respected.  In order to protect non-derogable rights, the right to take proceedings before a court to enable the court to decide without delay on the lawfulness of detention, must not be diminished by a State party?s decision to derogate from the Covenant? (par. 16; cfr. anche Human Rights Committee, General Comment No. 32, Article 14: Right to equality before courts and tribunals and to a fair trial, U.N. Doc. CCPR/C/GC/32 (2007): ?While reservations to particular clauses of article 14 may be acceptable, a general reservation to the right to a fair trial would be incompatible with the object and purpose of the Covenant. (?) Deviating from fundamental principles of fair trial, including the presumption of innocence, is prohibited at all times.? (par. 5 e 6).

[14] Cfr. nota che precede.

[15] Introdotta con  L. 4 agosto 1955, n. 848, Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

[16]  Introdotto con L. 25 ottobre 1977, n. 881, Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966.

[17] Cr. Marchetti, L'estradizione: profili processuali e principio di specialità, Padova, 1990, 61.

[18] Così, si è ritenuto rientrasse nella concezione di "diritto fondamentale" la titolarità del diritto della madre di prole di essere tutelata durante l'esecuzione della pena, anche se la Suprema Corte ha chiarito come non dia adito al rifiuto la circostanza che l'ordinamento dello Stato richiedente preveda per l'esecuzione di pene detentive forme di tutela non corrispondenti a quelle vigenti per l'ordinamento italiano, purché le stesse siano comunque funzionali a salvaguardare l'integrità psicofisica del minore, oltre che dello stesso genitore e dell'intera famiglia (C., Sez. VI, 26.11.2009, in Mass. Uff., 245487; C., Sez. VI, 8.5.2007, Sava, in Mass. Uff, 237183). Seguendo lo stesso ragionamento, è considerata, invece, causa ostativa alla consegna la circostanza che l'estradando sia genitore di prole inferiore ai tre anni affetta da patologia totalmente invalidante e bisognosa di assistenza continua, salvo che non si accerti che l'altro genitore, in relazione alle sue occupazioni e alle condizioni di reddito, risulti in grado di fare fronte autonomamente all'impegno (C., Sez. VI, 7.10.2010, in Mass. Uff., 249187). Inoltre, poiché le esigenze di tutela della condizione minorile assumono nel nostro ordinamento rango di "diritto fondamentale" della persona ai sensi dell'art. 31 Cost., non può essere concessa l'estradizione di un imputato minorenne all'epoca del fatto, allorquando la legislazione dello Stato richiedente non gli assicuri, sul piano processuale e sostanziale, un trattamento giuridico differenziato e mitigato rispetto a quello riservato all'adulto, nonché un trattamento penitenziario diversificato e favorevole al suo reinserimento sociale (così, C., Sez. VI, 17.9.2008, confl. in c. Jarczewski, in Mass. Uff., 241341; nonché C., Sez. VI, 8.1.2009, in Mass. Uff., 242696 e C., Sez. VI, 4.2.2008, Oneata, in Mass. Uff., 239153). Non invece è di ostacolo all'estradizione la circostanza che l'estradando debba assistere, in qualità di genitore, un minore impegnato, come parte offesa e testimone, in un procedimento penale pendente nello Stato (C., Sez. VI, 11.1.2007, Preda, in Mass. Uff., 236578).

Del pari, non è considerata lesiva di un diritto fondamentale quella legislazione straniera che consideri facoltativa la difesa tecnica dell'imputato presente (C., Sez. VI, 21.4.2008, in Mass. Uff., 239680).

La Suprema Corte ha, peraltro, rilevato come il divieto in questione tuttavia non ricorre, quando sia prospettata la operatività, nello Stato richiedente, di un differente regime processuale in tema di connessione di reati e conseguente competenza del giudice militare, ovvero l'assenza, nella fase della esecuzione, di misure alternative alla detenzione o della possibilità di computo del periodo di privazione della libertà sofferta agli arresti domiciliari (C., Sez. VI, 23.1.2009, V.C., in Mass. Uff., 242698; C., Sez. VI, 19.6.2006, B.A., in Mass. Uff., 234769; C., Sez. VI, 27.10.2005, Aradi, in RP, 2007, 2, 228; C., Sez. VI, 7.10.2005, Baran, in Mass. Uff., 232763; C., Sez. VI, 12.7.2004, Solak Petru Mircea, in GI, 2005, 1255).

[19] Cr. anche per i rilievi che seguono, praticamente testualmente, Cassazione penale, Sez. II, 06/10/2015, (ud. 06/10/2015, dep.20/01/2016),  n. 2282.

[20] Ad esempio, Cass. sez. 6^ 11 febbraio 2015 n. 10965, P.G. e altro in proc. Pizzolato.

[21] Così, la Suprema Corte scrive ?Le assicurazioni trasmesse per via diplomatica in ordine all'istituto di destinazione e al rispetto dei diritti fondamentali del V. C. costituiscono allo stato sufficiente garanzia in considerazione delle autorità di altissimo livello da cui provengono e dell'adesione dello Stato richiedente a trattati internazionali che garantiscono e promuovono il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti (ratifica del Protocollo Addizionale alla Convenzione ONU contro la Tortura), con l'accettazione di meccanismi di monitoraggio e valutazioni internazionali, anche per il tramite di ricorsi individuali. Ulteriore verifica della validità e della concreta rilevanza delle assicurazioni fornite dallo Stato richiedente sarà effettuata dal Ministro della Giustizia, competente per l'emissione dell'eventuale decreto di estradizione?. Ancora, Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 maggio - 13 giugno 2016 n. 24475: ?Al riguardo, la Corte di rinvio considererà che il divieto di pronuncia favorevole ove si abbia motivo di ritenere che l'estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, non opera qualora, pur in presenza di informazioni circa la violazione di tali diritti, le Autorità dello Stato richiedente offrano specifiche assicurazioni in ordine alla sottoposizione della persona richiesta in consegna ad un trattamento diverso da quello previsto nell'ordinario circuito penitenziario, tale da escludere radicalmente la possibilità di assoggettamento a maltrattamenti di qualsiasi natura (Sez. 6, n. 10965 del 11/02/2015, Rv. 262934)?.

Si segnala peraltro la diversa attenzione che altre giurisdizioni riservano alle garanzie in parola: nella recentissima sentenza Romania contro Rusu la Westminster Magistrates Court dd. 11 agosto 2016 il giudice inglese rileva come lo Stato emittente non pareva in grado di rispettare le assicurazioni date (si trattava in quel caso addirittura di un MAE!).

Sul piano internazionale, le assicurazioni che paiono essere sufficienti per la nostra giurisprudenza sono trattate con (condivisibile) cautela. Human Rights Watch, da esempio, segnala violazioni da parte di Russia, Siria, Egitto nel rapporto ?Diplomatic Assurances? against Torture. Questions and Answers  del 2014 sub https://www.hrw.org/sites/default/files/related_material/ecaqna1106web.pdf.

La Corte EDU, peraltro, rileva come ?diplomatic  assurances do not  absolve  the  Court from  the  obligation  to  examine  whether they in practice provided a   sufficient   guarantee   that   the   applicant   would   be protected against the risk of illtreatment prohibited by the Convention? (KABOULOV v. UKRAINE, no. 41015/04, novembre 2009, par. 198).  Ritiene quindi la Corte EDU che ?the weight to be given to assurances from the receiving State depends, in each case, on the circumstances prevailing at the material time? (Grand Chamber, SAADI contro ITALIA,  n. 37201/06,  sentenza 28 febbraio 2008,  par. 148). Così, la Corte ritiene (condivisbilmente) che ?diplomatic assurances were not in themselves sufficient to ensure adequate protection against the risk of ill-treatment where reliable sources had reported practices resorted to or tolerated by the authorities which were manifestly contrary to the principles of the Convention? (ISMOILOV contro RUSSIA; n. 2947/06, sentenza 24 aprile 2008). Altri organi del Consiglio d?Europa sono ugualmente pragmatici e quindi cauti: così, ad esempio, il Commissioner for Human Rights nel giugno 2006 rileva come le assicurazioni diplomatiche da parte di Stati nei quali vengono riportate violazione di dell?art. 3 ?are not credible and have also turned out to be ineffective in well documented cases. The governments have already violated binding international norms and it is plain wrong to subject anyone to the risk of torture on the basis of an even less solemn undertaking to make an exception in an individual case.?. L?Assemblea parlamentare COE, a sua volta, rileva  come ?relying on the principle of trust and assurances given by undemocratic states known not to respect human rights is simply cowardly and hypocritical? (PACE Doc. 10957, 12 June 2006, Alleged secret detentions and unlawful inter state transfers of detainees involving Council of Europe member states, Report, Committee on Legal Affairs and Human Rights, Rapporteur: Mr Dick Marty, Switzerland, Alliance of Liberals and Democrats for Europe, par. 260). Il European Committee for the Prevention of Torture?s (CPT) chiaramente rileva come che ?Fears are growing that the use of diplomatic assurances is in fact circumventing the prohibition of torture and ill treatment.? Sempre nel suo 15mo rapport annuale il CPT si chiede: ?The seeking of diplomatic assurances from countries with a poor overall record in relation to torture and ill-treatment is giving rise to particular concern. It does not necessarily follow from such a record that someone whose deportation is envisaged personally runs a real risk of being ill-treated in the country concerned; the specific circumstances of each case have to be taken into account when making that assessment. However, if in fact there would appear to be a risk of ill-treatment, can diplomatic assurances received from the authorities of a country where torture and ill-treatment is widely practised ever offer sufficient protection against that risk ? It has been advanced with some cogency that even assuming those authorities do exercise effective control over the agencies that might take the person concerned into their custody (which may not always be the case), there can be no guarantee that  assurances given will be respected in practice. If these countries fail to respect their obligations under international human rights treaties ratified by them, so the argument runs, why should one be confident that they will respect assurances given on a bilateral basis in a particular case?? (par. 38, http://www.cpt.coe.int/en/annual/rep-15.htm ). Per la posizione dell?UNHCR sulle cd. diplomatic  assurances  cfr. dichiarazione dell?agosto 2006 (http://www.unhcr.ch/fileadmin/unhcr_data/UNHCR_Note_on_Diplomatic_Assurances_and_International_Refugee_Protection.pdf); l?Assemblea generale delle Nazioni Unite ha rimarcato come le assicurazioni diplomatiche non liberano gli Stati dai loro obblighi internazionali anche in elazione al principio di ?non refoulment? (UN doc. A/C.3/60/L.25/Rev.1: si veda altresì il warning dell?UN Special Rapporteur against Torture, UN press release, 23 August 2005). Cr. infine, la decisione Agiza contro Svezia dove il Comitato contro la Tortura rileva come ?that diplomatic assurances cannot provide sufficient  protection  where  there  is  a  manifest  risk  of  torture,  especially where there is no effective mechanism for the ?refouling? state to enforce them. The state party must also supply the assurances to the Committee in order for it to perform its own independent assessment of their satisfactoriness or otherwise and detail with sufficient specificity the monitoring undertaken and the steps taken to ensure that the assurance was both in fact,  and  in  the  complainant?s  perception,  objective,  impartial  and  sufficiently trustworthy? (Agiza v. Sweden,  Communication No. 233/2003, UN doc. CAT/C/34/D/233/2003 (2005), 20 May 2005).

[22]In casi siffatti non resterebbe altro che non ricorrere al rimedio offerto dall?art 39 Reg. Corte EDU che prevede interim measures per evitare la consegna ad uno Stato in cui i sia il rischio di violazione dell?art. 3 Convenzione EDU (tortura, trattamenti inumani o degradanti)!

[23] Cass. pen. sez. VI, udienza  17 aprile 2009,  n. 20955.

[24] Cassazione penale, Sez. VI, 20.2.2009, B.M.H., in Mass. Uff., 242926, relativa alla nullità della notifica della citazione a giudizio, nonché C., Sez. VI, 15.1.2007, Trifu, in Mass. Uff., 236569, secondo cui, a fronte dell'irregolare citazione nel giudizio d'appello, non era stata dimostrata l'inesistenza di mezzi di impugnazione avverso una sentenza pronunciata in absentia dell'imputato non regolarmente citato. La giurisprudenza è citata nel Commento al Codice di Procedura penale, Wolters Kluwer, Legi d?Italia.

[25] Cass. pen., Sez. VI, 14.6.2007, in Mass. Uff., 237191

[26] E? ad esempio espressione di un principio fondamentale dello Stato quello stabilito dall'art. 285/3 c.p.p., secondo cui, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva, deve detrarsi dalla durata della stessa il periodo corrispondente alla custodia cautelare subita all'estero. Tuttavia, l'assenza di detto principio nell'ordinamento dello Stato richiedente non impedisce l'accoglimento della domanda di estradizione, quando la custodia cautelare subita in Italia dall'estradando sia di durata inferiore a quella della pena da espiare nel suddetto Stato; nel qual caso l'estradizione può essere concessa, limitatamente all'espiazione della pena residua (C., Sez. VI, 11.5.2010, in Mass. Uff., 247386; C., Sez. VI, 8.10.2009, in Mass. Uff., 245032; C, Sez. VI, 24.11.2006, Bala Ionel, in Mass. Uff., 235625; conf. C., Sez. VI, 9.6.2006, Miclescu, in Mass. Uff., 234737; in caso di durata della custodia cautelare pari o superiore alla pena prevista per il reato per il quale è richiesta la consegna, v. C., Sez. VI, 12.2.2008, R.R., in Mass. Uff., 239154), anche se non vi è necessità di diniego se il periodo di custodia cautelare a cui sia stato sottoposto l'estradando in Italia sia superiore al termine di durata massimo previsto dall'ordinamento dello Stato richiedente (C., Sez. VI, 17.4.2009, in Mass. Uff., 243844). La Corte di legittimità ha, inoltre, specificato che il principio dell'appellabilità o della possibile revisione per motivi di merito di una misura cautelare personale non può essere considerato quale principio fondamentale del sistema processuale italiano, la cui assenza nell'ordinamento dello Stato richiedente precluda la consegna dell'estradando (C., Sez. VI, 28.1.2010, K., in Mass. Uff., 245771) e che la circostanza che l'ordinamento dello Stato richiedente non preveda termini al periodo massimo di custodia cautelare, ma soltanto controlli periodici circa la persistenza delle esigenze cautelari, una volta che tale Stato sia entrato a far parte ad ogni effetto dell'Unione Europea, non può giustificare il rifiuto (C., Sez. VI, 10.5.2007, Mitraj, in Mass. Uff., 236587).

[27] Costituisce causa ostativa all'accoglimento della richiesta di estradizione l'avvenuta prescrizione del reato per cui si procede, secondo la legge dello Stato richiedente o dello Stato richiesto (C., Sez. VI, 5.11.2008, in Mass. Uff., 241527; C., Sez. II, 9.11.2006, Diagne, in Mass. Uff., 235577; conf. C., Sez. V, 26.5.2006, Fabbrocino in Mass Uff., 234421. Al proposito, di recente, C., Sez. VI, 20.12.2010, in Mass. Uff., 249218, ha precisato che la prescrizione è causa ostativa all'accoglimento della domanda unicamente nell'ambito delle estradizioni c.d. "processuali", relative cioè all'esercizio dell'azione penale, o comunque ad un procedimento in corso di svolgimento, non ancora esaurito con sentenza definitiva, dovendosi escludere l'applicabilità di tale motivo di rifiuto nell'ambito delle estradizioni avviate per finalità di esecuzione penale. Inoltre, secondo C., Sez., II, 5.10.2010, in Mass. Uff., 248881, nei rapporti di estradizione regolati dalla relativa convenzione europea, la prescrizione deve essere accertata in virtù della clausola del trattamento di miglior favore nei confronti dell'imputato, tra le legislazioni nazionali a confronto, contenuta nell'art. 10 della Convenzione europea di estradizione del 1957). L'avvenuta prescrizione del reato secondo la legge dello Stato richiesto, deve essere valutata applicando la legge vigente alla data di commissione del fatto (C., Sez. VI, 9.10.2008, in Mass. Uff., 242426; C., Sez. VI, 15.11.2007, Jankowski, in Mass. Uff., 238718).

[28] Cassazione penale, Sez. VI, 2.7.2008, C.P.L.A., in Mass. Uff., 241915.

[29] Con  la  sentenza  n.  223  del  1996,  è  stata  dichiarata  l?illegittimità  costituzionale  della  disciplina  che  consentiva  l?estradizione  verso  gli Stati  che  prevedono  la  pena  di  morte  per  il  reato  in  ordine  al  quale  è  richiesta  l?estradizione  medesima.  Non  è  stata  peraltro ritenuta  sufficiente  la  garanzia dello Stato richiedente che la pena di morte non sarebbe stata in  concreto  irrogata,  e  che  comunque  non  sarebbe  stata  eseguita.  Ciò conferma  l?orientamento  della  Corte  a  ritenere  il  bando  della  pena  di  morte un principio supremo dell?ordinamento costituzionale e non una semplice tutela empirica del mantenimento in vita del condannato; è ora intervenuta la modifica normativa di cui supra. Cfr. anche Cassazione penale, Sez. VI, 21.12.1995, Di Maio, in CP, 1996, 1682, 302.

[30] Cassazione penale, Sez. VI, 23.1.2009, V.C., in Mass Uff., 242698

[31] ?Nel nostro sistema, dunque, la predeterminazione legislativa del massimo di pena irrogabile per un determinato tipo di reato costituisce un requisito essenziale affinchè la discrezionalità giudiziale nella determinazione concreta della pena trovi nella legge il suo limite e la sua regola e non si traduca, invece, in arbitrio. Così interpretato, in definitiva, il principio di legalità della pena esclude la legittimità costituzionale di reati a pena massima indeterminata? Così Cassazione penale, Sez. VI Penale, sentenza 3 ? 19 febbraio 2016, n. 6769, che nega l?estradizione verso la Cina perchè non è prevista una pena massima per il reato sub iudice.

[32] Cfrr. Aprile, Condizioni per l'accoglibilità della richiesta di estradizione passiva in caso di sentenza straniera contumaciale, in CP, 2008, 2907, che ha evidenziato come un giudizio che si svolga in totale assenza del difensore dell'imputato è un ipotesi che «oltre a porsi platealmente in contrasto con l'art. 24 Cost., contraddice l'art. 6, par. 3, lett. c della Convenzione europea secondo cui l'accusato ha diritto a difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore a sua scelta».

[33] Cassazione penale, Sez. VI, 24.6.2005, Kamarashev, in Mass Uff., 232052, con osservazioni di Aprile, La verifica del rispetto dei diritti fondamentali nel caso di estradizione passiva, in CP, 2006, 3529.

[34] Cassazione penale.  Sez. VI, 25.3.2009, S.B., in Mass. Uff., 243414; C., Sez. VI, 24.5.2007, Lupan, in Mass. Uff., 237111.

[35] Cass. pen., Sez. VI, 6.11.2008, Radu, in Mass. Uff., 242135; C., Sez. VI, 17.4.2007, Timcu, in Mass. Uff., 237796.

[36] Cass.pena. Sez. VI, 12.2.2007, Bolun, in Mass. Uff., 235558, con osservazioni di Aprile, Condizioni per l'accoglibilità della richiesta di estradizione passiva in caso di sentenza straniera contumaciale, in CP, 2008, 2907, che ha evidenziato come un giudizio che si svolga in totale assenza del difensore dell'imputato è un ipotesi che «oltre a porsi platealmente in contrasto con l'art. 24 Cost., contraddice l'art. 6, par. 3, lett. c della Convenzione europea secondo cui l'accusato ha diritto a difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore a sua scelta». V. anche, in precedenza, C., Sez. VI, 12.4.2000, Gartz, in Mass. Uff., 220754; C., Sez. VI, 1.3.1999, Poporogie, in Mass. Uff., 213664.

[37] Ex multis, Sez. 6, n. 4977 del 15.12.2015 Rv. 265899; Sez. 6, n. 38850 del 18.9.2008, Rv. 241261.

[38] Così, ex multis, Cass. pen. Sez. 6, n. 31123 del 19/06/2003, Baazaoui, Rv. 226520. L?art. 8, terzo comma, del codice penale italiano definisce delitto politico quello che «offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici».La norma penale citata è ispirata al criterio della massima espansione della giurisdizione italiana. In effetti, il primo comma del medesimo articolo stabilisce che sia il cittadino che lo straniero, i quali commettano in territorio estero un delitto politico, siano giudicati secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia.La  norma risente del regime autoritario esistente in Italia al momento dell?emanazione del codice penale (1930). Appare evidente la differenza tra la previsione codicistica, che tende alla repressione dei reati politici, e la norma costituzionale, che utilizza la nozione di reato politico in senso inverso, come garanzia dalla repressione nei confronti di ordinamenti autoritari, che considerino come reati ciò che nell?ordinamento costituzionale italiano consiste nel pieno godimento dei diritti di libertà associazione, riunione, manifestazione del pensiero etc.), di esercizio della sovranità popolare (diritto di voto), di partecipazione politica (iscrizione e militanza in partiti politici). La giurisprudenza ha individuato nei princìpi fondamentali enunciati dalla Costituzione l?ambito entro il quale si deve procedere alla determinazione, di volta in volta, della natura politica del reato (Cass. pen., I, 7 novembre 1990).

 

[39] La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954 ed è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

[40] A livello europeo tale principio del mutuo riconoscimento può essere rinvenuto nell'art. 17 del cd Regolamento Dublino Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l?esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. L'articolo 17 prevede due clausole molto importanti: la clausola di sovranità e la clausola umanitaria. La prima stabilisce che uno Stato membro, a prescindere dal regolamento di Dublino, possa sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se in base ai criteri ordinari la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro. La seconda, quella umanitaria, prevede che qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente per l'esame della domanda secondo i criteri ordinari, possa diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo. Da ciò si può ulteriormente argomentare l'esistenza di un principio di mutuo riconoscimento delle decisioni concernenti lo status di rifugiato fra gli Stati Membri.

De resto se così non fosse significherebbe che le frontiere, per i migranti provenienti da paesi esterni all'Ue, richiedenti asilo e rifugiati compresi, sarebbero sempre asimmetriche: si attivano tutte insieme per i dinieghi o le espulsioni, mentre per i diritti agiscono da dispositivo di confinamento che ne restringe la validità all'interno del solo territorio dello Stato membro che li ha concessi.

[41] Annulla l?estradizione verso l?Egitto per possibili discriminazioni religiose, dato che l?estradando era copto, la sentenza della Cassazione penale Sez. VI, 7.3.2013, n. 10905 (ud. 06/03/2013). La sentenza peraltro evidenzia che il giudice non può rinviare al Ministro la verifica sul diritto dei diritti fondamentali, pena il vizio di omessa motivazione, e censura il (ahimè troppo frequente) uso di ?affermazioni generiche e di stile? da parte delle Corti di merito.

[42] Il rifugiato è definito all'Art. 1, sezione A, punto 2, primo comma, della Convenzione di Ginevra, il termine «rifugiato» si applica a chiunque, ?temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure a chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra?.

[43] Enfasi aggiunta. 

 

[44] Cfr., ex plurimis, Cass. pen. Sez. VI, (ud. 15/11/2002) 23-11-2002, n. 39709, Sez. VI, 17 aprile 1996. Sull?uso strumantale ai fini persecutori del sistema delle Red Notices dell?INTERPOL sia consentito rinviare a Canestrini, ?INTERPOL: a weapon against human rights defenders??, https://www.linkedin.com/today/post/article/interpol-weapon-against-human-rights-defenders-nicola-canestrini  , agosto 2016.

[45] Come noto, la disposizione in parola consente una deroga agli obblighi previsti dalla Convenzione per lo stato di urgenza; non sono peraltro derogabili per nessun motivo gli obblighi previsti all?art. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura), 4/1 (divieto di schiavitù) e 7 (nulla poena sine lege).

[46] La Corte europea ha costantemente ribadito che l'espulsione verso un Paese in cui il soggetto può essere esposto al rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti, fa sorgere una responsabilità dello Stato espellente (conclusione che merita considerazione anche quando affermata in ipotesi in cui l'espulsione, piuttosto che una sanzione penale, rappresenta la conseguenza del rigetto della procedura di asilo). In particolare, si segnalano le sent. 5 settembre 2013, I. c. Svezia e K.A.B. c. Svezia (con dispositivi opposti, vista la diversa probabilità in concreto di sottoposizione a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu per i ricorrenti), nonché la sent. 19 settembre 2013, R.J. c. Francia, in cui si afferma come, anche in caso di dubbio circa la possibilità di trattamenti inumani e degradanti, le autorità nazionali non possano procedere ad espellere il richiedente asilo. La Corte europea relativamente alla questione relativa alla violazione dell'art. 3 CEDU, richiama sempre i generali e ormai consolidati principi applicabili in tema di estradizione, risalenti alla sent. 7.7.1989, Soering c. Regno Unito: cfr., tra gli altri, M. CHIAVARIO, Garanzie ed efficienza della giustizia penale, Torino 1998, 106 s. e, per una definizione del quadro generale del rapporto tra il divieto assoluto della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti e il tema dell'estradizione, A. ESPOSITO, sub art. 3 CEDU, in AA.VV., Commentario alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a cura di S. Bartole, B, Conforti, G. Raimondi, Padova 2001, 64 s..  Sulla possibilità di azionare le misure previste dall?art. 39 del regolamento della Corte EDU, cfr. supra. L?art. 39 recita : ??1.   The  Chamber  or,  where  appropriate,  the  President  of  the  Section  or  a  duty  judge appointed pursuant to paragraph 4 of this Rule may, at the request of a party or of any other  person  concerned,  or  of  their  own  motion,  indicate  to  the  parties  any  interim measure which they considers should be adopted in the interests of the parties or of the proper conduct of the proceedings. 2.   Where  it  is  considered  appropriate,  immediate  notice  of  the  measure  adopted  in  a  particular case may be given to the [Council of Europe] Committee of Ministers.  3.  The  Chamber  or,  where  appropriate,  the  President  of  the  Section  or  a  duty  judge  appointed pursuant to paragraph 4 of this Rule may request information from the parties on any matter connected with the implementation of any interim measure indicated. 4.     The President of the Court may appoint Vice-Presidents of Sections as duty judges to decide n requests for interim measures.?

[47] L'entrata  in  vigore  del  Trattato  di  Lisbona ha  riformato definitivamente  il sistema  comunitario  e dell?Unione europea, segnando l?avvio di una nuova fase del rapporto tra quest?ultima e gli ordinamenti nazionali. Il settore della cooperazione  giudiziaria  penale,  disciplinato  al  capitolo  IV del titolo V dedicato all?area di libertà, sicurezza e giustizia (artt. 82-86), è quello che presenta i tratti di maggiore innovazione, risultando definitivamente superato il metodo da cd. III pilastro, cioè della cooperazione intergovernativa; la  cooperazione  giudiziaria,  inoltre,  diventa  solo  una  delle  componenti,  sia  la  più significativa, per la creazione di uno spazio comune di sicurezza, giustizia e di libertà. Il testo del nuovo Trattato, entrato in vigore il 1.12.2009, è stato pubblicato in GUCE,17-12-2007, n. 306. La sua versione consolidata è stata pubblicata in GUCE,9-5-2008, n. C-115. Il Trattato è entrato a far parte dell?ordinamento giuridico italiano a seguito della l. 2-8-2008,n. 130 recante ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull?Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea ed alcuni atti connessi, con atto finale e dichiarazioni fatto a Lisbona il 13-12-2007, pubblicata in G.U., 8-8-2008, serie generale n. 185, suppl. ordinario n. 188/L.

[48]Scrive la CGUE, Grande Sezione, con sentenza 6 settembre 2016, C?182/15: ?La decisione di uno Stato membro di estradare un cittadino dell?Unione,  (..) rientra nell?ambito di applicazione degli articoli 18 e 21 TFUE e quindi del diritto dell?Unione ai sensi dell?articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v. in tal senso, per analogia, sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C?617/10, EU:C:2013:105, punti da 25 a 27). Ne consegue che le disposizioni della Carta e in particolare del suo articolo 19 sono idonee a essere applicate a tale decisione. Ai sensi dell?articolo 19, nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. A tale proposito occorre fare riferimento all?articolo 4 della Carta che proibisce le pene o i trattamenti inumani o degradanti e rammentare che tale proibizione ha carattere assoluto in quanto è strettamente connessa al rispetto della dignità umana, di cui all?articolo 1 della Carta (v. sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Calderaru, C?404/15 e C?659/15 PPU, EU:C:2016:198, punto 85)? (par. 52 ss.).

[49] A favore, Cassazione penale,  Sez. VI, 8.7.2010, P.G. e altri, in Mass. Uff., 248002, e Cass. pen.VI. 29.4.2014, n. 25267. Contra, Cass. pen., VI, 11.7.2014, n. 30864; VI, 20.12.2013, n. 2657; VI, 6.12.2013, n. 49881; VI, 5.2.2008, n. 15626.

[50] CGUE, Grande Sezione, sentenza 6 settembre 2016, C?182/15: ?l?autorità competente dello Stato membro richiesto deve fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati. Tali elementi possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, quali le sentenze della Corte EDU, da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d?Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite? (par. 59).

[51] Ricorso Saadi c. Italia, sentenza 28 febbraio 2008 della Grand Chambre della Corte EDU.

[52] Contra, sentenza della Corte EDU del 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia, CE:ECHR:2008:0228JUD003720106, § 147 e CGUE, sentenza 6 settembre 2016, C?182/15, par. 57 e CGUE, Grande Sezione, sentenza 6 settembre 2016, C?182/15.

[53] Cass. pen. Sez. VI, 27-09-1995, n. 3281 (rv. 203308), Celik.

[54] L?utilissimo ed intuitivo motore di ricerca della giurisprudenza di Strasburgo è consultabile sub http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/ .

[55] C., Sez. VI, 12.7.2004, Sumanschi, in Mass. Uff., 229964, in riferimento alla condizioni di salute

[56] La sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo Torreggiani e altri c. Italia, emessa in data 8.1.2013, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha affermato che ?l'articolo 3 della Convenzione pone a carico delle autorità un obbligo positivo che consiste nell'assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d'intensità che ecceda l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente?. In particolare, la Corte Europea ha espressamente chiarito che, quando il sovraffollamento carcerario raggiunge un certo livello, la mancanza di spazio, in un istituto penitenziario, può costituire l'elemento centrale da prendere in considerazione nella valutazione della conformità di una data situazione all'articolo 3 della Convenzione.

[57] Cass. Pen., Sez. VI, 31.3.2015, n. 13823.

[58] Cfr., C., Sez. VI, 5.2.2010, K., in Mass. Uff., 246285; C., Sez. VI, 24.5.2006, Radnef, in Mass. Uff., 234767; C., Sez. VI, 26.4.2004, Martinez, in Mass. Uff., 229172. La Cassazione, Sez.VI, sent.  n. 3702/1999 ha chiarito che ciò che non rileva sono i possibili atti di violenza ad opera di persone estranee agli apparati istituzionali, che agiscano di propria iniziativa per motivi di privata vendetta o di altro genere. E la ragione della ritenuta irrilevanza di tale peculiare tipo di rischio o pericolo, rispetto alla previsione dell'art. 705 c.p.p. , comma 2, è stata indicata proprio nella possibilità che in un regime democratico quelle evenienze siano ben prevenibili con le opportune cautele e che contro di esse sia sempre praticabile la tutela legale.

[59] Corte di Giustizia, CGE, C?109/04.

[60] "Lawyers, in protecting the rights of their clients and in promoting the cause of justice, shall seek to uphold human rights and fundamental freedoms recognized by national and international law(..)", United Nations Basic Principles on the Role of Lawyers adopted by the Eighth United Nations Congress on the Prevention of Crime and  the  Treatment  of  Offenders,  Havana,  Cuba , 1990. Principle 14.