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Estradizione, giudice italiano può ordinare di scontare la pena in Italia? (Cass. 6635/22)

23 febbraio 2022, Cassazione penale

La Convenzione europea di estradizione del 1957 non prevede che l'autorità giudiziaria dello Stato richiesto, a fronte di una domanda di estradizione esecutiva riguardante un cittadino (dello stato richiesto), possa disporre che l'esecuzione della pena detentiva avvenga sul suo territorio.

 Lo Stato richiesto ha soltanto facoltà di rifiutare l'estradizione, facoltà che compete in ogni caso al Ministro della giustizia) e, "su domanda dello Stato richiedente sottoporre la questione per consentire alle autorità competenti onde consentire l'instaurazione, se del caso, di procedimenti giudiziari".

Quanto invece ai rapporti regolati dalla decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, lo Stato di esecuzione ha la facoltà di rifiutare la consegna di tipo esecutivo del cittadino o del residente al fine di consentire l'esecuzione della pena detentiva nello Stato di esecuzione.

E in tale disciplina si innestano le disposizioni della decisione quadro 2008/909/GAI, applicabili, nella misura in cui siano compatibili con le disposizioni della decisione quadro  2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, «all'esecuzione delle pene nel caso in cui uno Stato membro s'impegni ad eseguire la pena nei casi rientranti nell'articolo 4, paragrafo 6, della detta decisione quadro, o qualora, in virtù dell'articolo 5, paragrafo 3, della stessa decisione quadro, abbia posto la condizione che la persona sia rinviata per scontare la pena nello Stato membro interessato, in modo da evitare l'impunità della persona in questione».

Corte di Cassazione  

Sez. VI penale Num. 6635 Anno 2022
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: CALVANESE ERSILIA
Data Udienza: 03/02/2022
 
SENTENZA


sul ricorso proposto da
VS, nato a ** il **/1967
avverso la sentenza del 22/11/2021 della Corte di appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro Angelillis, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. PG, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino dichiarava la sussistenza delle condizioni per l'estradizione del cittadino italiano VS al Governo della Polonia ai fini dell'esecuzione della pena di anni due di reclusione
(della quale una parte già scontata), inflittagli con la sentenza definitiva della Corte di **  del 25 marzo 2014 per reati di omicidio e lesioni colposi.

La Corte di appello dava atto che, trattandosi di reati commessi nell'ottobre 2001, era applicabile la procedura estradizionale, segnatamente regolata dalla Convenzione europea di estradizione del 1957, e riteneva non accoglibile la richiesta della difesa volta a consentire l'esecuzione della pena nello Stato italiano in ragione della cittadinanza dell'estradando cittadino italiano e dei suoi solidi legami familiari e lavorativi in Italia.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Inammissibilità della richiesta di estradizione e/o insussistenza delle condizioni per l'accoglimento della relativa domanda. Erroneamente la Corte di appello non ha considerato quanto esposto dalla difesa con una memoria, ovvero che non poteva essere richiesta né disposta l'estradizione dei ricorrente perché andava applicata al caso in esame la decisione quadro 2008/909/GAI e il relativo decreto legislativo attuativo, che mirano a favorire, con la esecuzione delle sentenze straniere, la risocializzazione del condannato nel luogo di residenza.
Nel caso in esame erano stati forniti tutti gli elementi per farsi luogo all'esecuzione (la sentenza di condanna e le informazioni necessarie).

3. La difesa ha depositato in Cancelleria una memoria, con la quale ha ribadito la sussistenza di tutte le condizioni per farsi luogo all'applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI e del decreto legislativo n. 161 del 2010, richiamando la
pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2011.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte e precisate.

2. Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto non applicabile nel procedimento di cui all'art. 704 cod. proc. pen., preposto alla verifica da parte della Corte di appello dell'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione, il meccanismo di cooperazione giudiziaria disciplinato dalla decisione quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione
europea.

La Corte di appello è infatti chiamata nella fase cosiddetta giurisdizionale della procedura estradizionale ad esercitare il controllo di legalità e di garanzia sulla domanda estradizionale, restando pur sempre al Ministro della Giustizia la
decisione "in merito all'estrazione", una volta che la fase giurisdizionale si sia conclusa con una decisione favorevole all'estradizione (Sez. 6, n. 6237 del 15/01/2020, Rv. 278344).

L'oggetto del controllo attribuito alla Corte di appello in questa fase va rinvenuto nella disciplina pattizia e, via suppletiva o integrativa, nelle norme del codice di rito (art. 696 cod. proc. pen.).

2.1. Ebbene, la Convenzione europea di estradizione del 1957 che regola i rapporti tra l'Italia e la Polonia, non rientranti ratione temporis nel meccanismo del mandato di arresto europeo (art. 34 della decisione quadro 2002/584/GAI art. 40 I. n. 69 del 2005), non prevede che lo Stato richiesto, a fronte di una domanda di estradizione esecutiva riguardante un suo cittadino, possa disporre che l'esecuzione della pena detentiva avvenga sul suo territorio.

Lo Stato richiesto ha soltanto facoltà di rifiutare l'estradizione (facoltà che compete in ogni caso al Ministro della giustizia) e, "su domanda dello Stato richiedente sottoporre la questione per consentire alle autorità competenti onde consentire l'instaurazione, se del caso, di procedimenti giudiziari" (art. 6 della Convenzione europea di estradizione).

Il meccanismo estradizionale evidenzia pertanto come lo Stato richiedente debba necessariamente essere consenziente all'assunzione di iniziative da parte dello Stato richiesto sull'esecuzione di propri giudicati penali.

2.2. Diverso è invece il quadro della cooperazione giudiziaria che emerge dall'applicazione degli strumenti del mutuo riconoscimento.

La decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo riconosce allo Stato di esecuzione la facoltà di rifiutare la consegna di tipo esecutivo del cittadino o del residente al fine di consentire l'esecuzione della pena detentiva nello Stato di esecuzione.

E in tale disciplina si innestano le disposizioni della decisione quadro 2008/909/GAI, applicabili, nella misura in cui siano compatibili con le disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo,
«all'esecuzione delle pene nel caso in cui uno Stato membro s'impegni ad eseguire la pena nei casi rientranti nell'articolo 4, paragrafo 6, della detta decisione quadro,
o qualora, in virtù dell'articolo 5, paragrafo 3, della stessa decisione quadro, abbia posto la condizione che la persona sia rinviata per scontare la pena nello Stato membro interessato, in modo da evitare l'impunità della persona in questione»
(art. 25).


E' bene evidenziare che, al di fuori della suddetta ipotesi, la decisione quadro 2008/909/GAI richiede pur sempre il consenso dello Stato che ha emesso la sentenza da porre in esecuzione, non potendo lo Stato di esecuzione autonomamente "appropriarsi" del titolo straniero (cfr. art. 4, par. 5).


2.3. Conclusivamente, la questione della eventuale esecuzione nello Stato della pena, oggetto della domanda estradizionale, non riguarda la fase giurisdizionale della procedura estradizionale, ma può essere sollecitata, sulla base degli strumenti di cooperazione giudiziaria applicabili, dallo stesso estradando
nella fase amministrativa di competenza ministeriale.

Tale soluzione viene a coniugarsi con quanto osservato dalla Corte costituzionale nella pronuncia richiamata anche dallo stesso ricorrente, con la quale ha affrontato la questione di costituzionalità dell'art. 705 cod. proc. pen., nella parte in cui non contempla tra i casi ostativi all'estradizione anche quello
previsto dalla disciplina del mandato di arresto europeo (all'epoca l'art. 18, primo comma, lett. r, I. n. 69 del 2005), ritenendola inammissibile con la sentenza n.274 del 2011.

Come ha osservato la Corte costituzionale, il procedimento di estradizione è costituito da due fasi, in cui alla prima, giurisdizionale di garanzia dei diritti, segue una fase amministrativa, di competenza del Ministro della giustizia, fase questa a sua volta assoggettabile a controllo del giudice amministrativo, trattandosi di determinazione che coinvolge in modo diretto e immediato interessi essenzialmente individuali.

Quindi in tale fase, nella quale il Ministro è tenuto, in base all'art. 697 cod. proc. pen., a valutare significativamente, ai fini del rifiuto della domanda, anche "le condizioni personali" del cittadino, richiesto in estradizione, possono trovare
applicazione gli strumenti vigenti per consentire che la pena detentiva sia scontata nello Stato italiano.

Quanto in particolare alla evocata decisione quadro 2008/909/GAI, è appena il caso di evidenziare che l'art. 12 del d.lgs. n. 161 del 2010, nel disciplinare la procedura per farsi luogo al riconoscimento della sentenza di uno Stato U.E. ai fini
dell'esecuzione in Italia, stabilisce che la richiesta della trasmissione della sentenza da eseguire possa essere rivolta allo Stato di condanna dal Ministero della giustizia o dalla stessa persona interessata.

Non fa velo a tale possibilità nel caso in esame la dichiarazione fatta dalla Polonia ai sensi dell'art. 28 della decisione quadro 2008/909/GAI, secondo cui continuerà ad applicare gli strumenti giuridici vigenti sul trasferimento delle persone condannate applicabili prima del 5 dicembre 2011 (data di entrata in
vigore della suddetta decisione quadro) con riferimento a sentenze emesse nei tre anni successivi a tale data. Sulla validità di tale dichiarazione si è pronunciata la Grande Sezione della Corte U.E., con sentenza del 24 giugno 2019, causa
C-573/17, ritenendola priva di effetti giuridici in quanto resa, ai sensi di tale disposizione, dalla Polonia successivamente alla data di adozione della decisione quadro.

3. Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 03/02/2022.