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Estradizione concessa ma condizioni non rispettate: pena illegale (Cass. 1776/18)

16 gennaio 2018, Cassazione penale

 L'irrogazione dell'ergastolo, rispetto ad imputato estradato sotto la condizione - recepita dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 720 c.p.p., comma 4, - che gli fosse applicata pena detentiva solo temporanea, configuri un'ipotesi di pena illegale.L'illegalità tanto originaria quanto sopravvenuta della pena va emendata per il tramite dell'incidente di esecuzione.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Sent., (ud. 30/11/2017) 16-01-2018, n. 1776

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONITO Francesco M. S. - Presidente -

Dott. SARACENO Rosa Anna - Consigliere -

Dott. BINENTI Roberto - Consigliere -

Dott. CENTOFANTI Francesco - rel. Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.D., nato il (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 01/03/2017 della CORTE ASSISE di TRAPANI;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCO CENTOFANTI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Mazzotta Gabriele, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.

Svolgimento del processo
1. Con sentenza pronunciata il 6 marzo 2006, irrevocabile il 19 aprile 2010, la Corte di assise di Trapani condannava B.D. alla pena dell'ergastolo per omicidio plurimo pluriaggravato.

B. era stato già estradato dalla Spagna per altri fatti ed il giudizio di cui sopra, essendo le imputazioni di omicidio anteriori alla consegna, aveva avuto corso a seguito di concessione, da parte dello Stato estradante, di apposita estradizione suppletiva a norma dell'art. 721 c.p.p..

2. Il condannato proponeva incidente di esecuzione, a norma dell'art. 670 c.p.p., nei confronti della sentenza di condanna, chiedendo la commutazione dell'ergastolo in pena detentiva temporanea, da determinarsi in misura non superiore a 21 anni e comunque entro la cornice edittale compresa tra 21 e 25 anni.

Faceva presente che l'estradizione suppletiva era stata concessa dalla Spagna sul presupposto, ed alla condizione, che la pena comminata rispettasse quel range edittale, costituendo il suo limite superiore la pena massima prevista dall'ordinamento spagnolo, ripudiante l'ergastolo. Ciò dopo che lo Stato italiano, tramite il suo Ministero della Giustizia, aveva espressamente richiamato la predetta forbice edittale nel foglio d'informazione complementare trasmesso all'autorità spagnola, in risposta alla chiesta assicurazione che la pena da scontare non fosse l'ergastolo.

La pena perpetua inflitta si sarebbe posta allora in contrasto con la condizione cui lo Stato estero aveva subordinato l'estradizione e, mediatamente, con l'art. 720 c.p.p., comma 4; onde la necessità di ricondurla a legalità.

3. Con l'ordinanza indicata in epigrafe la Corte di assise di Trapani, giudice dell'esecuzione, disattendeva tale prospettazione, sulla base di due considerazioni.

Osservava anzitutto il giudice di merito che non vi era prova che la Spagna avesse apposto limitazioni all'estradizione suppletiva.

L'istante non aveva prodotto alcuna documentazione sul punto e non vi era spazio per un'istruttoria officiosa.

La Corte di assise escludeva in ogni caso, ampiamente richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la questione sollevata potesse essere scrutinata in sede d'incidente di esecuzione. Il principio di specialità, ex art. 721 c.p.p., si traduceva in un vincolo il cui mancato rispetto determinava l'improcedibilità in parte qua dell'azione penale, che tuttavia non poteva essere fatta valere oltre la formazione del giudicato; quest'ultimo precludeva altresì il riesame delle questioni inerenti la pena, quantunque connesse con l'osservanza delle condizioni apposte in sede di estradizione suppletiva.

4. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia del condannato, articolando cinque motivi.

4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all'art. 720 c.p.p., comma 4 e art. 721 c.p.p. e art. 95, comma 2, "Accordi di Schengen", nonchè la mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente ricorda che l'estradizione suppletiva era stata coicessa con procedura semplificata, dietro consenso dell'interessato, dopo che all'autorità spagnola era pervenuto il foglio d'informazione complementare, previsto anche dalla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, nel quale, nella sezione relativa alla "pena massima comminabile", era scritto "anni 21 di reclusione". Tale assicurazione - essenziale per il consenso della Stato estradante, essendo la cadena perpetua contraria ai principi fondamentali dell'ordinamento spagnolo - era stata calpestata mediante l'irrogazione dell'ergastolo.

La pena così inflitta violava dunque la clausola di specialità di cui all'art. 721 c.p.p., nonchè l'art. 66 della Convenzione di Schengen, giacchè l'autorizzazione della Spagna (e lo stesso consenso dell'interessato) presupponevano che non si desse corso all'applicazione dell'ergastolo.

L'ordinanza impugnata era viziata, perchè, in violazione delle norme citate e con motivazione palesemente illogica, si era rifiutata di procedere alla rimodulazione della pena.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 3 Cost., comma 1, art. 670 c.p.p. e artt. 6 e 7 CEDU. L'ordinanza impugnata, eludendo il tema di cui sopra, ha escluso che alla commessa illegalità si potesse porre rimedio in sede di esecuzione della pena, con ciò violando la pertinente normativa codicistica, così come interpretata - in casi esattamente sovrapponibili, onde anche la violazione del principio costituzionale di uguaglianza - dalla giurisprudenza di legittimità.

4.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 665 c.p.p., comma 5.

La Corte di merito, nonostante l'iniziativa originariamente intrapresa in tal senso, aveva infine, contraddittoriamente ed in violazione di legge, omesso di acquisire il foglio d'informazione complementare già trasmesso dal Ministero della giustizia all'autorità spagnola, onde era pervenuta in modo illogico ad escludere la fondatezza della prospettazione difensiva.

4.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

L'ordinanza impugnata ha proclamato una sorta di "incompetenza a decidere" del giudice dell'esecuzione, senza dare compiuta risposta alle chiare e specifiche censure mosse dal condannato, riferite in termini riduttivi ed apodittici.

4.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3.

L'ordinanza impugnata si è limitata a dibattere sulle condizioni di procedibilità dell'azione penale, tema affatto estraneo al tema devoluto dalla difesa, rendendo così a proposito di esso una motivazione solo apparente.

Motivi della decisione
1. I motivi primo, secondo, quarto e quinto del ricorso, da esaminare congiuntamente per la connessione dei temi proposti, sono fondati nei limiti che seguono.

2. Occorre muovere dall'esatto presupposto, che trova già puntuale riscontro nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 24066 del 10/03/2009, Noschese, Rv. 244009), secondo cui la cadena perpetua è ripudiata dall'ordinamento spagnolo, perchè ritenuta in contrasto con l'art. 25 Cost. di quel Paese e con i principi affermati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo in relazione all'art. 3 della Convenzione EDU, direttamente applicabili in virtù dell'art. 15 Costituzione spagnola (cfr., tra molte, la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo n. 91 del 2000, che cita Corte EDU 25 aprile 1978, Tyrer v. Regno Unito, e 16 dicembre 1999, T. e V. v. Regno Unito).

Questa è la ragione che spiega le richieste consuete, formulate dallo Stato spagnolo in sede di estradizione passiva, di assicurazione che la pena da scontare nello Stato di esecuzione non sia l'ergastolo.

Va detto subito - ma l'argomento sarà ripreso in sede di disamina del terzo motivo - che nella specie, non essendo stati acquisiti in sede d'incidente di esecuzione tutti gli atti riguardanti la procedura di estradizione, non risulta in modo certo che una tale assicurazione sia stata nel caso di specie domandata;

nè risulta se essa, nelle forme stabilite dall'art. 13 della Convenzione Europea di estradizione 13 dicembre 1957, sia stata dall'Italia fornita. Non è pertanto possibile stabilire, allo stato, se l'estradizione, per i delitti di cui alla sentenza oggetto dell'incidente, di natura suppletiva (art. 721 c.p.p.), fosse come tale assoggettata alla condizione - riconducibile alle previsioni di cui all'art. 720 c.p.p., comma 4 - dell'irrogazione di pena detentiva solo temporanea (e, in caso affermativo, quale fosse il "tetto" massimo di pena applicabile dalla giustizia italiana).

3. La Corte di merito dà atto di tale contingente impossibilità, ponendo peraltro a carico del condannato la sua sfavorevole ricaduta.

Indipendentemente da ciò (la tenuta di quest'ulteriore profilo argomentativo sarà, come detto, appresso scrutinata), la stessa Corte reputa che l'eventuale inosservanza della condizione (escludente l'ergastolo) non possa essere in executivis più eccepita o rilevata. Vi osterebbe la ricostruzione della specialità in materia estradizionale, ex art. 721 c.p.p., in termini di una condizione di procedibilità, la cui mancanza sarebbe denunciabile in ogni stato e grado del processo ma non deducibile dopo la sopravvenuta irrevocabilità della condanna. Principi analoghi varrebbero in tema di specialità "condizionata", ai sensi dell'art. 720 c.p.p., comma 4, sicchè il mancato rispetto della condizione non sarebbe rimediabile nelle forme dell'incidente di esecuzione.

4. Tale ragionamento non può essere condiviso.

Il giudice di merito richiama copiosa giurisprudenza di legittimità, che riconduce la specialità estradizionale (ed il rispetto dei relativi principi) alla materia della procedibilità dell'azione penale, senza avvedersi che nel caso di specie non viene in considerazione tale aspetto.

L'art. 721 c.p.p. (intitolato principio di specialità) - nel testo vigente all'epoca della decisione, ed il cui contenuto precettivo fondamentale non è peraltro mutato per effetto della riscrittura operata dal D.Lgs. 3 ottobre 2017 n. 149, art. 5, comma 1, lett. b), - vieta di assoggettare la persona già estradata a pena detentiva, e quindi di sottoporla a previo processo, per fatti anteriori alla consegna, diversi da quelli per cui l'estradizione originaria era stata concessa, senza il consenso dello Stato interessato (salva l'ipotesi, che qui non rileva, del mancato allontanamento volontario, o del rientro, dell'imputato, e salvo ora il suo consenso).

In realtà, è pacifico che la Spagna abbia dato il suddetto consenso, e quindi concesso l'estradizione c.d. suppletiva, richiesta dalla citata disposizione codicistica (sia pure, previa adesione dell'interessato, nella forma semplificata prevista dall'art. 65, comma 1, della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985).

Le imputazioni di omicidio sono state giudicate in Italia in presenza della corrispondente condizione di procedibilità ed il richiamo alle sentenze di cassazione, che circoscrivono la rilevabilità della sua mancanza al processo di cognizione, appare non pertinente.

Quel che si assume in concreto violata, da parte del condannato, al di là delle imprecisioni terminologiche contenute nell'istanza originaria e nello stesso presente ricorso, non è allora la specialità ex art. 721 c.p.p., ma la condizione (di non infliggere l'ergastolo) che sarebbe stata apposta dalla Spagna - così come autorizzato dagli strumenti internazionali, cui si conforma l'art. 720 c.p.p., comma 4, - in sede di concessione dell'estradizione; e, ai fini dell'applicazione della citata ultima disposizione, non fa differenza alcuna che si versi in ipotesi di estradizionale "suppletiva" anzichè "principale".

L'art. 720 c.p.p., comma 4, attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di accettare la condizione, e la dichiara "vincolante" per l'Autorità giudiziaria.

La sentenza (di condanna), che non la rispetti, è conseguentemente viziata.

5. La questione che si pone è allora di stabilire se si tratti di vizio rilevabile anche dopo la formazione del giudicato.

Il tema d'indagine deve essere circoscritto al caso, qui rilevante, in cui la condizione apposta attenga alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sub specie d'individuazione di un "tetto" edittale diverso (e più contenuto) di quello normalmente applicabile secondo la nostra legge interna.

In argomento si registra un'evoluzione in seno alla giurisprudenza di legittimità.

L'orientamento inizialmente manifestato (Sez. 1, n. 26202 del 17/06/2009, Licciardi, Rv. 244186, richiamata anche dal giudice del merito) era nel senso che non potesse ottenersi, in sede d'incidente di esecuzione, la commutazione della pena dell'ergastolo, sul presupposto della violazione della condizione apposta, in sede d'estradizione dall'estero, del divieto di condanna a pena perpetua.

La decisione era fondata sul recepimento della nozione tradizionale di giudicato e sui limiti del controllo demandato al giudice dell'esecuzione, che non poteva spingersi oltre il riscontro della esistenza e validità del titolo esecutivo.

Successivamente però, da parte di Sez. 1, n. 6278 del 16/07/2014, dep. 2015, Esposito, Rv. 262646 (pure non ignorata dalla Corte d'assise), il rimedio dell'incidente ex art. 670 c.p.p., in fattispecie del tutto sovrapponibile, era stato concesso.

Questo secondo orientamento teneva conto del principio costituzionale che prescrive la conformità del nostro ordinamento alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali vi è l'obbligo di rispettare i patti e gli accordi con altri Stati; del generale riconoscimento, da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, che in sede esecutiva può essere corretta la pena illegale, dovendosi ritenere che anche nel caso in esame sia stata inflitta una pena che, in base al nostro ordinamento giuridico, non poteva essere irrogata; della recente tendenza, anche a seguito della decisione in data 17.9.2009 della Grande Camera della Corte EDU nel caso Scoppola, di utilizzare lo strumento dell'incidente di esecuzione per effettuare correzioni dell'entità della pena inflitta nel processo di cognizione.

Si registra invero anche altra decisione (Sez. 1, n. 24066 del 11/06/2009, Noschese, Rv. 244009), che parimenti aveva ammesso (in identico caso di estradizione "condizionata" dalla Spagna) la commutazione della pena in sede d'incidente, pur senza specifica motivazione sul punto.

6. Reputa il Collegio che l'orientamento favorevole, di più recente argomentazione, meriti condivisione.

Quello opposto, che si intende definitivamente superare, è infatti legato ad una prospettiva - quella d'intangibilità del giudicato penale fuori dei casi espressamente regolati dalla legge (art. 2 c.p., art. 673 c.p.p. e L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30) - che la Corte di cassazione ha, nella giurisprudenza più recente, decisamente abbandonato.

7. Occorre prendere le mosse dalla basilare recente sentenza (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Esposito, Rv. 258651), in cui si afferma in modo inequivoco che - se è vero che "il titolo per l'esecuzione della pena è integrato dalla sentenza irrevocabile di condanna, che si atteggia, come sostiene autorevole dottrina, quale "norma del caso concreto" e rende "doverosa l'attuazione del comando sanzionatorio penale" - non può neppure "ignorarsi la "base giuridica" su cui riposano la sentenza di condanna e, assieme ad essa, la specie e l'entità della pena da eseguire".

"Se la norma generale e astratta, sulla quale il giudice della cognizione ha fatto leva per giustificare la pronuncia di condanna, si riveli ex post incompatibile con il principio di legalità convenzionale e quindi illegittima ex art. 117 Cost., comma 1" - ammoniscono le Sezioni Unite - "dovrà necessariamente porsi fine (...) a tale situazione di flagrante illegalità".

Il riferimento del caso concreto era il sistema convenzionale EDU (ed i principi dettati dalla Corte di Strasburgo con la sentenza 17/09/2009, Scoppola c. Italia, in tema di retroattività della lex mitior), per assicurare il cui primato - anche, a determinate condizioni, nei confronti di condannato diverso da quello personalmente attinto da decisione a lui favorevole della Corte di Strasburgo - la pronuncia non esita, "anche a costo di porre in crisi il "dogma" del giudicato", ad additare la via dell'incidente di esecuzione, posto che i margini di manovra che l'ordinamento processuale riconosce alla giurisdizione esecutiva sono in realtà ampi, non dovendosi essa ritenere circoscritta alla sola verifica della validità e dell'efficacia del titolo esecutivo e potendo viceversa essa incidere, in vario modo, anche sul contenuto di esso, allorquando imprescindibili esigenze di giustizia lo esigano.

Sulla stessa scia si è poi collocata la sentenza Sez. U., n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697, che ha affermato il principio secondo cui il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato, nel caso di sopravvenuta dichiarazione d'illegittimità costituzionale di norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente però sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio (che non sia stato interamente eseguito: nella specie, si trattava del divieto di prevalenza di un'attenuante speciale prevista dal T.U. stup. sulla recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 4); e ciò pur se il provvedimento "correttivo" da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione (fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l'applicazione di norme più favorevoli eventualmente medio tempore approvate dal legislatore).

Di seguito, Sez. U., 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205, ha chiarito che, intervenuta la declaratoria d'illegittimità costituzionale della disposizione che fissava la cornice edittale di pena (in materia di disciplina penale degli stupefacenti), alla rideterminazione si deve procedere anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta (ancorchè applicata su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.) sia ricompresa entro i limiti edittali previsti dalla sua originaria formulazione del medesimo articolo, rivissuto per effetto della sentenza costituzionale.

La coeva Sez. U, Sentenza n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264858, nel ribadire l'assunto, ha stabilito che il giudice della esecuzione, nel rideterminare la pena "patteggiata", deve seguire il procedimento previsto dall'art. 188 disp. att. c.p.p. e, solo in caso di mancato accodo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, deve provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132 e 133 c.p..

8. La giurisprudenza successiva delle sezioni semplici si è attestata sugli indirizzi testè formulati, facendone ulteriore applicazione in casi identici o analoghi (cfr., senza pretesa di esaustività, Sez. 1, n. 49935 del 28/10/2015, Martoccia, Rv. 265697, nonchè Sez. 1, n. 5199 del 24/11/2015, dep. 2016, Vitali, Rv. 266137, conseguenti alla declaratoria d'illegittimità costituzionale n. 32 del 2014; Sez. 5, Sentenza n. 15362 del 12/01/2016, Gaccione, Rv. 266564, nonchè Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, Crivello, Rv. 267365, che precisano ulteriormente l'ambito in cui sussista l'interesse del condannato ad ottenere dal giudice dell'esecuzione la rimodulazione della pena; Sez. 1, n. 26557 del 10/02/2016, Lo Sasso, Rv. 267254, sul tema dei poteri d'intervento dello stesso giudice in ordine alle sanzioni amministrative accessorie previste dal codice della strada; Sez. 1, n. 18546 del 13/07/2016, dep. 13/04/2017, Mansi, Rv. 269817, a seguito della dichiarata incostituzionalità dell'aumento obbligatorio di pena per la recidiva reiterata, che chiama il giudice dell'esecuzione a verificare se l'applicazione della recidiva fu sorretta, indipendentemente dalla previgente obbligatorietà, dal concorrente apprezzamento di merito della valenza dei precedenti penali).

La latitudine dei poteri di cui è stato dotato il giudice dell'esecuzione è stata recentemente affermata anche dalla Corte costituzionale, che nella sentenza n. 210 del 2013 ha sottolineato come quell'organo non si limiti a conoscere delle questioni sulla validità e sull'efficacia del titolo esecutivo, ma sia anche abilitato, in vari casi, ad incidere su di esso (art. 669 c.p.p., art. 670 c.p.p., comma 3, artt. 671, 672 e 673 c.p.p.); essendo peraltro dotato - nel caso dì cui all'art. 671 c.p.p. - di incisivi strumenti d'intervento (più complessi di quelli richiesti da una commutazione della pena "a rime obbligate").

Non mancano recenti pronunce di legittimità ancora fedeli al principio, secondo cui il mezzo dell'incidente di esecuzione sarebbe utilizzabile solo quando l'intervento di rimozione o modifica del giudicato sia privo di contenuto discrezionale (Sez. 5, n. 552 del 07/07/2016, dep. 05/01/2017, Jomle, Rv. 268593; Sez. 1, n. 44193 del 11/10/2016, Dell'Utri, Rv. 267861), ma esse riflettono fattispecie in cui erano a disposizione strumenti diversi (la c.d. revisione Europea" ex sentenza Corte Cost. n. 113 del 2011, o lo stesso ricorso per cassazione in sede di cognizione) per la più penetrante "manipolazione" del decisum. In ogni caso, esse stesse muovono dal presupposto, ormai indiscusso, che l'istanza di legalità della pena sia un tema che, in fase esecutiva, debba ritenersi costantemente sub iudice, non ostacolato dal dato formale dell'avvenuto esaurimento delle ordinarie impugnazioni.

9. I casi esaminati afferiscono, testualmente, ad ipotesi d'illegalità sopravvenuta della pena, ma è agevole rilevare che, nei medesimi, ad essere sopravvenuto fosse piuttosto l'accertamento di una tale illegalità, i cui effetti erano al contrario destinati a retroagire, vuoi per l'obbligo di conformazione imposto dall'art. 46 CEDU (che, in caso di violazioni "strutturali", impone interventi che sopravanzano il caso deciso), vuoi per la natura demolitivo-costitutiva delle pronunce della Corte Costituzionale ex art. 136 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 30.

Sicchè è probabilmente più corretto affermare che l'illegalità preesistesse, ancorchè non ancora disvelata.

Esigenze ineludibili di coerenza sistematica, in materia in cui è peraltro in gioco il valore costituzionale della libertà personale, impongono di considerare alla stessa stregua, ai fini dell'attivazione del rimedio dell'incidente di esecuzione, i casi d'illegalità originaria, derivante da palese errore giuridico da parte del giudice della cognizione.

Ed è questo proprio il principio affermato da Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265108.

Del resto, la giurisprudenza di legittimità ammette da tempo la possibilità che il giudice dell'esecuzione intervenga per rimuovere la pena principale ove la stessa sia stata inflitta in violazione dei parametri normativamente fissati (Sez. 1, n. 1436 del 25/06/1982, Carbone, Rv 156173; Sez. 5, n. 809 del 29/04/1985, Lattanzio, Rv 169333; Sez. 1, n. 4869 del 06/07/2000, Colucci, Rv 216746; Sez. 1, n. 12453 del 03/03/2009, Alfieri, Rv 243742; Sez. 4, n. 26117 del 16/05/2012, Torna, Rv 253562; Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv 256879;; Sez. 1, n. 14677 del 20/01/2014, Medulla, Rv 259733).

In particolare, si è stabilito che in sede esecutiva l'illegittimità della pena può essere rilevata quando la sanzione inflitta non sia prevista dall'ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale (non anche quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata, salvo che sia frutto di errore macroscopico).

Il principio si estende alle pene accessorie, la cui intervenuta applicazione extra o contra legem da parte del giudice della cognizione deve essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione (purchè la pena sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione: Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262327).

Ancor più recentemente la Corte di legittimità ha precisato che rientra nella nozione di pena (principale) illegale ab origine quella che si risolve in una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti edittali (Sez. 5, n. 8639 del 20/01/2016, De Paola, Rv. 266080).

Di tale pena illegale si impone la rettifica o la correzione da parte del giudice dell'esecuzione, adito ai sensi dell'art. 666 c.p.p., nel rispetto dei principi contenuti nell'art. 25 Cost., comma 2, e nell'art. 7 CEDU, i quali escludono la possibilità d'infliggere una pena superiore a quella normativamente stabilita.

10. Non vi è dubbio che l'irrogazione dell'ergastolo, rispetto ad imputato estradato sotto la condizione - recepita dallo Stato italiano ai sensi dell'art. 720 c.p.p., comma 4, - che gli fosse applicata pena detentiva solo temporanea, configuri un'ipotesi di pena illegale.

Da un lato, l'anzidetta disposizione integra, per il caso sottoposte a giudizio, il parametro normativo legale che fonda l'esercizio della potestà punitiva statuale. Tale disposizione concorre, insieme alla norma incriminatrice interna, a delimitare, nella specie, la cornice edittale astratta del reato, che risulterà dalla combinazione della previsione di pena originariamente stabilita con gli adattamenti e le limitazioni che formano oggetto della condizione internazionalmente stabilita. E' chiaro che quest'ultima, dovendo rispettare i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, tra cui l'art. 25 Cost., comma 2, non potrà importare aggravamenti del trattamento sanzionatorio; mentre ne sarà possibile la mitigazione, se accettata dall'Italia al fine di assicurare comunque la "giustiziabilità" interna della vicenda e nel quadro della reciproca cooperazione tra Stati in materia estradizionale.

Quest'ultimo rilievo sottende l'ulteriore considerazione per cui, nell'ipotesi di estradizione concessa sotto condizione, l'inosservanza di quest'ultima costituisce inadempimento ad obblighi internazionali convenzionali, la cui tutela poggia oggi direttamente (non diversamente da quanto accada per gli obblighi derivanti dalla CEDU) sull'art. 117 Cost., comma 1, onde la conclusione che l'illegalità della pena assume qui una dimensione sovranazionale di portata realmente non dissimile da quella oggetto della citata sentenza Sez. U., n. 18821/14, Esposito.

11. L'approdo, cui è pervenuto l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità più recente, deve dunque ricevere continuità, dovendosi affermare conclusivamente:

- che, nei confronti di imputato estradato sotto condizione dell'inflizione (in caso di condanna) di pena non eccedente un prestabilito limite, è illegale la pena eventualmente determinata, in violazione della condizione, in misura superiore;

- che, all'illegalità eventualmente intervenuta in sede di cognizione, deve porre rimedio il giudice dell'esecuzione, investito dal condannato nelle forme di cui agli artt. 666 e 670 c.p.p., riconducendo la pena nei limiti consentiti ed esercitando a tali fini i necessari poteri di accertamento e valutazione.

12. Tale ultima notazione introduce l'esame del terzo, ed ultimo, motivo di ricorso, che è fondato e deve essere accolto.

E' principio assolutamente pacifico, in seno alla giurisprudenza di legittimità, che in tema di esecuzione non sussista un onere probatorio a carico del soggetto che invochi un provvedimento giurisdizionale favorevole, ma solo un onere di allegazione, ossia il dovere di prospettare e indicare al giudice i fatti sui quali la sua richiesta si basa, incombendo poi all'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti (da ultimo, Sez. 3, n. 31031 del 20/05/2016, Giordano, Rv. 267413; Sez. 1, n. 34987 del 22/09/2010, Di Sabatino, Rv. 248276; Sez. 1, n. 46649 del 11/11/2009, Nazar, Rv. 245512).

La Corte d'assise ha pertanto errato nell'omettere l'acquisizione del fascicolo di estradizione, onde verificare la fondatezza dell'assunto che in esso fosse contenuta la richiesta spagnola di assicurazione in ordine alla mancata irrogazione della pena perpetua, nonchè il corrispondente riscontro da parte italiana, idonei ad integrare la condizione stabilita dall'art. 720 c.p.p., comma 4.

13. Si impone pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al giudice che l'ha pronunciata, il quale, in diversa composizione, provvederà ad integrare opportunamente l'istruttoria e, se del caso, a rideterminare la pena in linea con i principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di assise di Trapani.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2018