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Esperienza pedofila raccontata sui social: è istigazione (Cass. 23943/21)

18 giugno 2021, Cassazione penale

Una descrizione di un atto sessuale, nei minimi dettagli, dai preliminari alla fellatio, al sesso orale praticato  su un minore con penetrazione e eiaculazione del genitore sulla pancia della bambina, il tutto unito alla rappresentazione, reiterata, della condizione estatica della minore, dimostra con chiarezza la potenzialità emulativa del dichiarato con consegente integrazione del reato (di pericolo concreto).

L'accertamento del reato di istigazione deve essere particolarmente profondo e concreto, in relazione alla norma di cui all'art. 21 Cost.; infatti, l'apologia punibile non è la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri un comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti.

 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Sentenza 18 giugno 2021, n. 23943

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENTILI Andrea - Presidente -Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere -Dott. SOCCI Angelo Matteo - rel. Consigliere -Dott. MENGONI Enrico - Consigliere -Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere -ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:C.F., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 29/10/2020 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FILIPPI Paola che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Il difensore, Avv. LZ, chiede l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Firenze con sentenza del 29 ottobre 2020, in parziale riforma della decisione del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Firenze del 25 febbraio 2016 - giudizio abbreviato -, ha rideterminato la pena nei confronti di C.F. in anni 1 di reclusione, relativamente al rato di cui all'art. 414 bis c.p. (perchè mediante pubblicazione sul dominio pubblicamente accessibile (...) sotto il nickname di (OMISSIS) associato all'account (...) del racconto a contenuto erotico e pedofilo dal titolo "(OMISSIS)", pur avendo premesso l'avvertenza testuale "l'autore non condona in alcun modo le molestie su minori e crede fermamente che esse vadano punite dalla legge nella maniera più severa", ciò nonostante pubblicamente istigava a commettere atti di abuso sessuale in danno di minori, dando luogo nel corpo del racconto a minuziose descrizione di rapporti sessuali incestuosi tra un adulto - padre - e una minore di 9 anni - figlia-accuratamente accompagnata da un suggestivo resoconto emozionale espressivo di piacere, eccitazione ed esaltazione. Accertato il 18 novembre 2013).

2. L'imputato ha proposto ricorso, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2. 1. Violazione di legge (art. 414 bis c.p.) in relazione all'applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza per l'art. 414 c.p., non ritenuti applicabili dalla sentenza impugnata anche al reato in contestazione. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto (secondo motivo del ricorso, che qui si tratta unitariamente al primo).Con l'appello l'imputato aveva sostenuto che l'affermazione della sua responsabilità non poteva prescindere dall'accertamento in concreto dell'idoneità della sua condotta a far sorgere o rafforzare nei destinatari il proposito di commettere uno o più fatti di reato indicati dall'art. 414 bis c.p..Questa analisi non è stata compiuta dal giudice di primo grado e dalla sentenza d'appello.

La Corte di appello ha ritenuto che la giurisprudenza richiamata nell'impugnazione relativa all'art. 414 c.p. non dovesse trovare applicazione nel caso in giudizio, in considerazione della diversa e ben più specifica oggettività giuridica che denota la fattispecie dell'art. 414 bis c.p..

La norma dell'art. 414 bis c.p. integra un'ipotesi speciale di istigazione a delinquere, qualificata dalla natura dei reati oggetto della condotta (norma inserita non a caso immediatamente dopo l'art. 414 c.p.); entrambe le norme puniscono la stessa condotta (chiunque pubblicamente istiga o pubblicamente fa apologia); la pena per l'art. 414 bis c.p. risulta più grave di quella dell'art. 414 c.p. (da un anno e sei mesi a cinque anni di reclusione per il 414 bis, c.p. - a fronte di una pena da un anno a cinque anni di reclusione per l'art. 414 c.p.).

La materialità della condotta, quindi, non può essere diversa per le due fattispecie.

Si tratta di reati di pericolo concreto e, ai fini dell'affermazione della rilevanza penale delle condotte indicate, risulta necessario accertare l'idoneità di esse a provocare l'effettiva commissione dei delitti che per l'art. 414 bis c.p., sono in tale norma specificamente elencati. La soglia di rilevanza penale non può, infatti, arretrare fino a ricomprendere condotte non pericolose, in concreto (Cassazione n. 48247/2019 e n. 25833/2012).

Per l'elemento soggettivo deve sussistere l'intenzione di istigare alla commissione concreta dei reati.

Per la Corte di appello il dolo sarebbe generico, per la specialità delle previsioni dell'art. 414 bis c.p.. Invece al pari del reato previsto dall'art. 414 anche quello previsto dall'art. 414 bis c.p. richiede un dolo specifico (l'intenzione di istigare).

Il dolo specifico mal si concilia, ad avviso del ricorrente, con l'avvertenza inserita da lui nella parte iniziale del suo racconto ("l'autore non condona in alcun modo le molestie su minori e crede fermamente che esse vadano punite dalla legge nella maniera più severa"), circostanza questa che, se certamente non rende meno moralmente deprecabile la condotta, risulta tuttavia incompatibile con il dolo specifico.

La motivazione risulta manifestamente illogica laddove la sentenza deduce dai commenti dei lettori l'avvenuta concreta istigazione degli stessi a commettere uno dei delitti indicati dalla norma incriminatrice.

Non può logicamente ritenersi che dalla lettura dello scritto i lettori siano stati indotti a replicare l'osceno comportamento descritto nella narrazione.

I commenti citati puntualmente nella sentenza impugnata si limitano a richiedere un seguito alla narrazione ma non già manifestano l'intenzione dei loro autori di realizzare condotte simili a quelle raccontate.

2. 2. Manifesta illogicità della motivazione dell'ordinanza del 29 ottobre 2020, di rigetto di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante acquisizione della relazione psicologica del Dott. Co.Da..Il Dott. Co. aveva avuto in cura il ricorrente per circa un biennio per la sua dipendenza da cybersesso; la stessa sentenza di appello riferisce delle dichiarazioni del ricorrente in merito al fatto di aver subito nell'infanzia traumi di natura sessuale (abusi sessuali), tanto da far ritenere il racconto pubblicato una sorta di immedesimazione catartica. L'imputato ha seguito con successo un percorso terapeutico, rappresentato nella relazione del Dott. Co. (psicologo e psicoterapeuta cognitivo) del 20 settembre 2019. L'acquisizione del documento non è incompatibile con il rito abbreviato (come invece erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata), e lo stesso, acquisibile anche d'ufficio ex art. 603 c.p.p., risultava determinante per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, escluse proprio sulla considerazione dell'assenza di segni di resipiscenza e consapevolezza del disvalore del fatto.

2. 3. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuati generiche e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Violazione di legge (art. 164 c.p.).Per la Corte di appello l'imputato non ha manifestato segni di resipiscenza o consapevolezza del disvalore del fatto. Il giudizio è conseguenza della mancata ammissione della prova documentale, la relazione del Dott. Co., che aveva avuto in cura il ricorrente. Nella relazione si evidenziava anche l'origine traumatica del comportamento del ricorrente (abusi subiti dal padre), e la collaborazione di C. al percorso terapeutico, con la presa di coscienza del proprio vissuto e dei suoi comportamenti.La relazione del Dott. Co. doveva essere valutata anche per la sospensione condizionale della pena, ed in relazione alla prognosi di recidiva della condotta; la Corte di appello si è limitata a considerare una precedente condanna, peraltro risalente nel tempo (del 2005) per escludere la sospensione condizionale della pena. La precedente condanna (del 2005 a mesi 5 e giorni 10 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa) è stata considerata ostativa alla sospensione condizionale della pena, in violazione di legge. La sospensione può concedersi anche se la pena da infliggere, cumulata con quella già irrogata con la precedente condanna, non superi i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p. (anche per la sentenza della Corte Costituzionale n. 95 del 1976). La precedente condanna, pertanto, non risulta ostativa alla concessione della sospensione condizionale della pena.Il ricorrente ha chiesto, quindi, l'annullamento della decisione impugnata.

Motivi della decisione

3. Il ricorso risulta infondato e deve respingersi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte di appello, con accertamenti di fatto insindacabili in sede di legittimità, e con motivazione adeguata ed immune da contraddizioni e da manifeste illogicità (unitamente alla decisione di primo grado, in doppia conforme), ha ritenuto la responsabilità dell'imputato per il reato contestatogli.

La sentenza, infatti, risulta corretta per gli accertamenti di fatto (neanche contestati dal ricorrente) e in punto di diritto conclude per la responsabilità del prevenuto in quanto "anche a ritenere che si tratti, al pari della norma generale di istigazione a delinquere, di un reato di pericolo concreto che richiede, per la sua configurazione, un comportamento concretamente idoneo, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di delitti, il fatto in contestazione non pone alcun profilo di criticità in tal senso".

La questione posta con il ricorso, non si confronta con la suddetta specifica motivazione (che accerta la sussistenza del reato anche in relazione al pericolo concreto), ma reitera le motivazioni dell'appello.

3. 1. E' indubitabile che la giurisprudenza relativa alla previsione generale, di cui all'art. 414 c.p. sia applicabile (con ragionevolezza) anche al reato previsto dall'art. 414 bis c.p. Infatti, le due norme contengono una descrizione della condotta identica (art. 414 c.p.: "Chiunque pubblicamente istiga" - "chi pubblicamente fa l'apologia". Art. 414 bis c.p.: "Chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere" - "chi pubblicamente fa l'apologia", differenziandosi solo per la specificità dei reati previsti nell'art. 414 bis c.p. e per il diverso trattamento sanzionatorio, più grave per l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia; tanto che si è anche discusso se il fatto previsto dalla norma specifica potesse, o no, considerarsi solo aggravante della previsione generale.

La differenza sostanziale che caratterizza l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia è contenuta nel comma 3, dell'art. 414 bis c.p., laddove si chiarisce che: "Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume".Si tratta di una previsione molto delicata, che caratterizza la norma, e potrebbe risultare in contrasto con l'art. 21 Cost. (vedi sul punto la sentenza della Corte costituzionale n. 65 del 23 aprile 1970, che esclude il contrasto dell'art. 414 c.p. con l'art. 21 Cost. solo in base ad una "corretta interpretazione" della norma oggetto del giudizio di costituzionalità).

L'art. 441 bis c.p., comma 3, non viene in rilievo nel presente caso, ma comunque la sua incidenza è essenziale per la ricostruzione della condotta punibile, che non deve essere indeterminata e anticipata nella soglia di punibilità, in modo irrazionale, tale da confliggere con la disposizione costituzionale che tutela la libera manifestazione del pensiero.

3. 2. Per il ricorrente il reato sarebbe a dolo specifico e non generico. Tale ricostruzione non risulta corretta sia in relazione all'art. 414 e sia all'art. 414 bis c.p.. Le due norme non richiedono un dolo specifico, ma solo un pericolo concreto di indurre altri alla commissione di reati analoghi a quelli istigati o di cui si è fatta apologia.Il dolo istigatorio, consistente nella coscienza e volontà di turbare l'ordine pubblico, deve essere analizzato in relazione alla condotta, che deve ritenersi dotata di una forza suggestiva e persuasiva tale da poter stimolare nell'animo dei destinatari la commissione dei fatti criminosi propalati o esaltati. La disposizione dell'art. 414 e quella dell'art. 414 bis c.p. (come del 415 c.p.) costituiscono un'eccezione, giustificata in funzione dell'esigenza di tutela anticipata del bene, alla regola generale dell'irrilevanza penale dell'istigazione non accolta o, comunque, accolta ma non seguita dalla commissione del reato istigato (art. 115 c.p.). Per gli artt. 414 e 414 bis c.p. non è significativa la non commissione del reato istigato, che può anche essere realizzato (c.d. indifferenza rispetto agli esiti della manifestazione istigativa); l'istigazione deve, quindi, essere accertata ex ante e non ex post come nella previsione generale dell'art. 115 c.p..L'imputazione soggettiva, conseguentemente, è a titolo di dolo generico per le due fattispecie (artt. 414 e 414 bis c.p.) e devono sussistere la coscienza e la volontà dell'agente di istigare pubblicamente fatti previsti come reati, oppure di fare apologia di delitti, con la consapevolezza e la volontà degli effetti di tale condotta. Nella struttura della fattispecie, è stato rilevato l'intento dell'agente di provocare la commissione del reato oggetto di istigazione o di apologia.

Tale condotta non esprime un dolo specifico, ma concorre alla descrizione della fattispecie oggettiva e ne connota la tipicità, con sfumature certamente di natura soggettiva.Infatti, deve confermarsi la costante giurisprudenza sul punto di questa Cassazione che ha indicato, per l'art. 414 c.p. un dolo generico: "Il dolo richiesto per la configurabilità del reato di istigazione a delinquere è generico e consiste nella cosciente volontà di commettere il fatto in sè, con l'intenzione di istigare alla commissione concreta di uno o più delitti, essendo del tutto irrilevanti il fine particolare perseguito ed i motivi dell'agire" (Sez. 1, Sentenza n. 40684 del 16/10/2008 Cc. - dep. 31/10/2008 - Rv. 241564 - 01; vedi anche Sez. 1, Sentenza n. 10641 del 03/11/1997 Ud. -dep. 22/11/1997 - Rv. 209166 - 0).4.

Accertata la natura del dolo (generico, con le caratteristiche sopra specificate) deve rilevarsi che risulta essenziale/sia per il reato di istigazione a delinquere di cui all'art. 414 c.p. e sia per quello di cui all'art. 414 bis c.p., accertare la natura della condotta posta in essere, ovvero la sua capacità di determinare un rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli istigati. Il comportamento dell'agente deve essere tale (per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica) da determinare il rischio, non teorico, ma effettivo (concreto) della consumazione di altri reati (vedi: Sez. 6, Sentenza n. 31562 del 18/04/2019 Ud. -dep. 17/07/2019 - Rv. 276468 - 0; Sez. 1, Sentenza n. 8779 del 05/05/1999 Ud. - dep. 08/07/1999 - Rv. 214645 - 0).

Per la fattispecie dell'art. 414 bis c.p. in considerazione del comma 3 ("Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume"), l'accertamento deve risultare particolarmente profondo e concreto, in relazione alla norma di cui all'art. 21 Cost..

Infatti, la stessa Corte costituzionale, nella decisione citata (n. 65 del 1970) ha rilevato come "L'apologia punibile ai sensi dell'art. 414 c.p. non è, dunque, la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti. Si vuole ricordare, a chiarimento, che la libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 Cost., comma 1, trova i suoi limiti (...) nella necessità di proteggere altri beni di rilievo costituzionale e nell'esigenza di prevenire e far cessare turbamenti della sicurezza pubblica (sentenze n. 19 dell'8 marzo 1962, n. 87 del 6 luglio 1966 e n. 84 del 2 aprile 1969)".5. In tal modo ricostruito il perimetro della norma si deve osservare che le decisioni di merito hanno ritenuto la responsabilità dell'imputato con l'applicazione corretta dei suddetti principi.

La Corte di appello (e la decisione di primo grado, in doppia conforme) ha evidenziato come "La descrizione dell'atto sessuale, nei minimi dettagli, dai preliminari alla fellatio, al sesso orale praticato sulla figlia, alla sua penetrazione e alla successiva eiaculazione del genitore sulla pancia della bambina, il tutto unito alla rappresentazione, reiterata, della condizione estatica della minore (...) con un grado di partecipazione e adesione dell'autore che anche una fugace lettura rende palese, costituisce un elemento che, letto in uno agli altri valutati dal primo giudice, dimostrano con chiarezza la potenzialità emulativa del narrato".

Per la Corte di appello, quindi, sussiste il concreto pericolo "non seriamente contestabile" di emulazione e riproduzione di quanto rappresentato. A riprova della concretezza del pericolo (con giudizio ex ante e, comunque, scollegato dalla effettiva commissione dei reati da parte dei lettori) la sentenza richiama, puntualmente riportandone i contenuti, i commenti alla storia, in sè significativi della forza e dell'efficacia concreta e non solo teorica dello scritto.Su questi aspetti il ricorso non si confronta affatto.6. Del tutto generico, e comunque infondato è il motivo della mancata assunzione di una prova decisiva (la relazione del Dott. Co., che aveva avuto in cura il ricorrente).

A tal proposito si osserva che anche a voler trascurare il tema relativo alla compatibilità per tale richiesta istruttoria e la scelta operata dal ricorrente per il rito abbreviato, si deve, comunque, rilevare che nel ricorso non si prospetta la decisività della prova, laddove, invece, la Giurisprudenza della Corte è univoca nell'affermazione che: "In tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mentre nelle ipotesi di cui ai commi 1 (richiesta di riassunzione di prove già acquisite e di assunzione di nuove prove) e 3 (rinnovazione "ex officio") dell'art. 603 c.p.p. è necessaria la dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta nel caso del comma 3) del mezzo di prova da assumere, onde superare la presunzione di completezza del compendio probatorio, nell'ipotesi di cui al comma 2 del citato art. 603, al contrario, è richiesta la prova, negativa, della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado" (Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017 - dep. 22/03/2017, D e altro, Rv. 26933401).

Nessuna dimostrazione, in positivo, della necessità (assoluta) dell'acquisizione della relazione in appello, è stata fornita.In sostanza il ricorrente ha formulato la richiesta di una rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello esplorativa, non ammessa ai sensi dell'art. 603 c.p.p.: "Nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicchè non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attività esplorativa di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente" (Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016 - dep. 10/10/2016, H, Rv. 26797401).

Inoltre, la perizia (e, quindi, la relazione del medico curante) non è mai prova decisiva, e - come sopra visto - nel ricorso proposto dal C. non si rappresenta la decisività della prova in questione, quale accertamento idoneo a scardinare l'intero impianto probatorio. Va al proposito ribadito che: "La perizia non rientra nella categoria della prova decisiva ed il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in Cassazione" (Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 - dep. 09/11/2012, Ritorto e altri, Rv. 25370701; nello stesso senso Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013 - dep. 14/02/2013, Sciarra, Rv. 25515201).

Del tutto irrilevante nell'economia della decisione impugnata risulta poi la prospettazione della rilevanza (certamente non determinante) della relazione, di cui sopra, per la valutazione della concessione delle circostanze attenuanti generiche e per la sospensione condizionale della pena.

7. I motivi di ricorso sulle circostanze attenuanti generiche e sulla sospensione condizionale della pena sono estremamente generici, in quanto si limitano a riproporre gli stessi motivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimità alla decisione.

Per quanto attiene al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la decisione rileva l'assenza di elementi positivi per il loro riconoscimento, in relazione anche alla mancanza di segnali di resipiscenza e di consapevolezza del disvalore sociale della condotta, pur nell'ammissione, da parte dell'imputato, di essere l'autore dello scritto (Sez. 5, Sentenza n. 32422 del 24/09/2020 Ud. -dep. 18/11/2020- Rv. 279778 e Sez. 1, Sentenza n. 11302 del 14/10/1993 Ud. -dep. 09/12/1993 - Rv. 195606).

Per la sospensione condizionale della pena la Corte di Firenze ha, sulla base delle circostanze di fatto accertate e sulla considerazione di un precedente specifico, plausibilmente formulato una prognosi sfavorevole sulla futura commissione di reati, costituente condizione ostativa al suo riconoscimento.La Corte di appello non ha, pertanto, ritenuto impossibile perchè vietato dalla legge la sospensione condizionale della pena inflitta a C., ma ha in concreto escluso il beneficio, avendo formulato un giudizio prognostico non favorevole desunto dalle modalità dei fatti e dalla precedente condanna a suo carico (valutabile per la sospensione condizionale, anche se per essa sia intervenuta riabilitazione).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.Così deciso in Roma, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2021