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Esecuzione del giudicato penale straniero (Cass. 43959/10)

14 dicembre 2010, Cassazione penale

Non può darsi esecuzione ad un giudicato penale straniero applicando contestualmente due discipline diverse, provenienti da ordinamenti nazionali diversi, giustapponendo discipline di favore dell'uno e dell'altro Stato.

 

 

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

 (data ud. 17/11/2010) 14/12/2010, n. 43959

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Umberto - Presidente

Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere

Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere

Dott. TARDIO Angela - Consigliere

Dott. BONITO Francesco Maria S.- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) L.T. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 2239/2009 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA, del 30/09/2009;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO;

lette le conclusioni del PG Dott. Tindari Baglione che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.

La Corte osserva:
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. L.T. veniva arrestato l'(OMISSIS) all'aereoporto di Sidney mentre trasportava un ingente quantitativo di sostanza stupefacente e condannato da un tribunale australiano, il successivo 24 settembre 2004, alla pena di anni dieci di reclusione a decorrere dall'arresto; lo stesso tribunale concedeva al detenuto il beneficio penitenziario della liberazione condizionale per la durata di anni tre e mesi otto alla scadenza di anni sei e mesi quattro di detenzione.

Il L. chiedeva ed otteneva, dopo aver trascorso un primo periodo detentivo in Australia, di poter espiare la pena nel suo Paese, previo riconoscimento della sentenza di condanna australiana da parte dell'autorità giudiziaria italiana a mente della Convenzione di Strasburgo. In Italia il L. usufruiva del beneficio della liberazione anticipata ai sensi dell'art. 54 O.P. per tutti i semestri, pari a dieci, scontati in regime detentivo.

Il L. chiedeva quindi di poter fruire del beneficio della liberazione anticipata, nelle forme stabilite dal giudice straniero, e cioè dallo Stato di condanna, ovvero a mente dell'art. 176 c.p. ed il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza del 30.9.2009, rigettava tale richiesta sul rilievo: a) che il detenuto non aveva ancora espiato la parte di pena fissata dal giudice australiano, giacchè non può a tal fine conteggiarsi la parte in realtà non espiata ed oggetto di liberazione anticipata e b) che, ai sensi dell'art. 176 c.p., non ricorrevano i requisiti di legge per la sua concessione in quanto non maturato un compiuto percorso di recupero e non adempiute le obbligazioni civili rinvenienti dal reato.

2. Si duole di tale motivazione il ricorrente, con ricorso per cassazione redatto dal suo difensore di fiducia, illustrando un unico ed articolato motivo di doglianza.

Denuncia in particolare la difesa ricorrente difetto di motivazione e violazione del L. n. 334 del 1988, artt. 10 ed 11, di ratifica della convenzione di Strasburgo e dell'art. 738 c.p.p., sul rilievo che erroneamente il Tribunale non tiene conto, ai fini della determinazione della pena espiata, del periodo di liberazione anticipata, in tal modo rendendo più grave la sanzione imposta dallo Stato di condanna, e violando nel contempo sia le prescrizioni della Convenzione di Strasburgo, la quale ciò vieta esplicitamente all'artt. 10 ed 11, sia l'art. 738 c.p.p., secondo il quale alla detenzione espiata in Italia per una condanna pronunciata da autorità giudiziaria di altro Stato viene applicata la legge dello Stato di esecuzione.

2.1 Il P.G. in sede, con motivata requisitoria scritta, chiedeva dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

3. Il ricorso non è fondato.

11 ricorrente ha proposto al Tribunale di Sorveglianza due richieste distinte, la prima relativa alla esecuzione del giudicato straniero che ebbe a condannarlo alla pena da anni dieci, da scontare per 2/3 in regime detentivo e per un terzo in regime di liberazione condizionale e la seconda al fine di ottenere i benefici di cui all'art. 176 c.p..

Orbene, quanto alla prima richiesta correttamente ha il giudice territoriale considerato non maturato il periodo di detenzione in carcere fissato dal giudice australiano, dappoichè non può darsi esecuzione a quel giudicato applicando contestualmente due discipline diverse, provenienti da ordinamenti nazionali diversi, giustapponendo discipline di favore dell'uno e dell'altro Stato.

Con riferimento alla seconda richiesta v'è adeguata motivazione a sostegno dell'impugnato rigetto, avendo il tribunale osservato che nella fattispecie non risultano maturati i requisiti del pieno ravvedimento del detenuto, condizione necessaria per la positiva valutazione della sua domanda, dell'adempimento delle obbligazioni civili.

A ciò oppone la difesa ricorrente la pretesa violazione dell'art. 738 c.p.p., in applicazione del quale, viceversa, il tribunale si è correttamente pronunciato.

Detta norma infatti, che la difesa ricorrente erroneamente pretende di poter applicare all'esecuzione del giudicato straniero su di esso riconoscendo l'effetto di istituti processuali propri del nostro rito, deve essere applicato all'esecuzione della pena nel nostro Paese ed a quegli istituti, come la liberazione condizionale, disciplinanti espressamente nel nostro Ordinamento.

A parte ciò osserva la Corte che l'impugnazione censura una soltanto delle ragioni illustrate dal tribunale a sostegno del rigetto della domanda proposta dal ricorrente, mentre nulla osserva in ordine alla motivazione articolata dal tribunale per sostenere la mancanza dei presupposti del ravvedimento e del pagamento delle spese di giustizia necessari per l'utile delibazione della sua istanza.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per genericità alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000,00.


P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2010