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Email, quale valore probatorio? (Cass. 3540/19)

6 febbraio 2019, Cassazione civile

L'eventuale disconoscimento delle email non firmate non è idoneo ad inficiare del tutto la portata probatoria di tali riproduzioni, ma le degrada a livello di presunzioni semplici.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Ord., (ud. 27/09/2018) 06-02-2019, n. 3540

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele - Presidente -

Dott. CIGNA Mario - Consigliere -

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -

Dott. RUBINO Lina - rel. Consigliere -

Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22257-2017 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in .. presso lo studio dell'avvocato TF, rappresentato e difeso dall'avvocato MB;

- ricorrente -

contro

I.S., C.B.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 355/2017 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 03/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

Svolgimento del processo

che:

1. L.F. ha proposto ricorso per cassazione contro I.S. e C.B., avverso la sentenza n. 355 del 2017, depositata dalla Corte d'Appello di Catanzaro il 3.3.2017.

2. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso.

4. Il decreto di fissazione dell'adunanza camerale e la proposta sono stati comunicati all'avvocato della ricorrente.

4. Non sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

(..)

1. Il Collegio condivide le conclusioni cui è pervenuto il relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.

2. La domanda di risarcimento danni per diffamazione a mezzo mail, proposta da I.S. e C.B. nei confronti dell'odierno ricorrente, veniva accolta in primo grado, con pronuncia confermata in appello, risultando accertato che le mail diffamatorie fossero state inviate dall'indirizzo di posta elettronica del L.

3. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. nonchè l'omessa valutazione su un fatto decisivo della controversia perchè il giudice d'appello ha ritenuto non tempestivamente formulata l'eccezione di disconoscimento delle fotocopie avversariamente prodotte, come riproduttive delle mail da lui inviate.

Il L. afferma di aver contestato da subito paternità e contenuto delle mail e che sia illogica l'affermazione della corte d'appello secondo la quale, avendo egli contestato l'alterabilità dei testi word, avrebbe dovuto portare i testi delle mail effettivamente partite dal suo computer.

Anche con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dei medesimi articoli di legge, riproponendo la questione relativa alla ritenuta necessità di un disconoscimento formale delle fotocopie per poterle espungere dal processo, ed in più denuncia l'omessa valutazione sul punto del ricevimento delle mail da parte di una pluralità di destinatari.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, e devono essere rigettati in quanto infondati.

La giurisprudenza di legittimità, al fine del disconoscimento della conformità agli originali delle fotocopie prodotte in giudizio, richiede la tempestività del disconoscimento e che lo stesso, sebbene non debba essere espresso in formule sacramentali, debba essere chiaro, circostanziato ed esplicito (v. Cass. n. 2374 del 2014: "l'art. 2719 c.c., che esige l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche, è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e, nel silenzio normativo sui modi e termini in cui deve procedersi, entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se non venga disconosciuta in modo formale e inequivoco alla prima udienza, o nella prima risposta successiva alla sua produzione".)

La decisione impugnata ha ritenuto che mancasse un formale e tempestivo disconoscimento delle mail inviate, e comunque ha affermato che l'eventuale disconoscimento delle riproduzioni informatiche non sarebbe idoneo ad inficiare del tutto la portata probatoria di tali riproduzioni, ma le avrebbe degradate a livello di presunzioni semplici.

Così facendo, la sentenza di merito non si è distaccata dalla interpretazione di legittimità in ordine alla circoscritta valenza probatoria del messaggio di posta elettronica privo di certificazione volta ad attestarne la provenienza dall'autore, che come tale è liberamente valutabile dal giudice (v. Cass. n. 5523 del 2018, secondo la quale in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) privo di firma elettronica non ha l'efficacia della scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. quanto alla riferibilità al suo autore apparente, attribuita dal D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 21, solo al documento informatico sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, sicchè esso è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi del medesimo decreto, art. 20, in ordine all'idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità).

La decisione della corte d'appello ha affermato la responsabilità del ricorrente attraverso una valutazione non solo del testo delle mail ma di tutto il materiale probatorio: ha tenuto in conto la facile alterabilità del testo dei documenti estratti da computer, ma ha ritenuto provato, anche a mezzo delle prove testimoniali, che le comunicazioni diffamatorie effettivamente provenissero dal computer del L., in quanto effettivamente spedite dal ricorrente, o comunque riconducibili alla sua sfera di controllo.

Risultano pertanto inconferenti le censure del ricorrente, laddove denuncia che la corte d'appello non abbia tenuto in alcun conto la manipolabilità dei testi delle mail e la loro alterabilità, e che essa abbia mal valutato le prove: si tratta di considerazioni tutte inammissibili in questa sede, perchè relative al giudizio in fatto formulato dalla Corte d'appello.

Anche le contestazioni relative alla prova dell'attingimento di più destinatari con le mail denigratorie cozzano contro l'accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata.

Quanto alla idoneità delle comunicazioni diffamatorie inviate a più di un destinatario a mezzo mail ad integrare l'ipotesi della diffamazione, a ciò non osta la non contestualità della comunicazione, atteso che l'idoneità a gettare discredito sulle persone menzionate è insita nella idoneità del mezzo prescelto ad una ampia diffusività e prescinde dalla contestualità della ricezione del messaggio denigratorio: v. Cass. n. 18919 del 2016 "la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l'offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa. (Fattispecie, in cui la missiva offensiva era indirizzata impersonalmente anche "all'amministratore del condominio" nella quale la S.C. ha escluso la configurabilità del reato di ingiuria in quanto l'imputato non poteva essere certo che il legale rappresentante del condominio si identificasse ancora con la persona che stava offendendo). In particolare, sulla idoneità delle comunicazioni a mezzo mail ad integrare l'ipotesi di diffamazione aggravata si è espressa la giurisprudenza penale di legittimità: v. Cass. n. 44980 del 2012 "L'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.

Complessivamente, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte degli intimati.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2019