Comportamento imprudente della vittima in un incidente stradale mortale, costitusice concausa, e dunque non interruttivo del nesso di causalità.
Corte di CAssazione
sez. IV penale
ud. 11 dicembre 2024 (dep. 4 aprile 2025), n. 13140
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Roma il 15 marzo 2024 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con cui il Tribunale di Latina il 21 novembre 2022, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto L.R.P. responsabile della violazione degli artt. 113 e 589 cod. pen. e della disciplina sulla circolazione stradale, in conseguenza condannandolo, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena, stimata di giustizia, di un anno e sei mesi di reclusione, condizionalmente sospesa.
2. I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti concordemente dai giudici di merito.
2.1. M.C., guidando la sera del (OMISSIS), alle ore 22.40, la propria auto alla velocità di circa 80 km/h su una strada extraurbana ove vigeva il limite massimo di 50 km/h, priva di illuminazione, in zona di campagna, procedendo nella stessa direzione di marcia di un trattore che trascinava un rimorchio privo di luci di posizione di segnalazione condotto da L.R.P. e fermo in procinto di effettuare una svolta a sinistra, mentre era coadiuvato da due persone a terra, Z. e M., munite di giacca catarifrangente e di torce elettriche, tamponava violentemente il rimorchio finendo sotto lo stesso e, per effetto delle gravissime lesioni conseguenti, decedeva.
2.2. Hanno ritenuto i giudici di merito l'imputato L.R.P. responsabile dell'omicidio colposo, per avere violato l'art. 153 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 295, che disciplina l'uso dei dispositivi di segnalazione visiva e di illuminazione dei veicoli a motore e dei rimorchi, ed inoltre le regole generali di prudenza, diligenza e perizia, percorrendo, di notte, al buio, una strada pubblica con un ingombrante mezzo (trattore che trascinava un rimorchio) privo di illuminazione.
Si è escluso che il comportamento imprudente della vittima, M. C., che viaggiava, di notte, su un tratto extraurbano, ad 80 km/h su strada ove vigeva il limite massimo di 50 km/h e che ha tentato di frenare soltanto giunto a sette metri dal rimorchio, finendovi contro, abbia interrotto il nesso di causalità rispetto all'agire dell'imputato, costituendo piuttosto una concausa.
3. Ciò premesso ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a sei motivi.
3.1. Con il primo motivo lamenta carenza di motivazione in relazione ai punti nn. 2 e 3 della sentenza impugnata, che si sarebbe limitata a richiamare la decisione di primo grado, parafrasandone brevemente il contenuto, e a riprodurre il testo dell'art. 153 del codice della strada, per poi affermare, ma solo apoditticamente, che la mancanza di luci posteriori di segnalazione del rimorchio condotto dall'imputato ha costituito fattore causale del sinistro senza, tuttavia, ad avviso della Difesa, analizzare le doglianze contenute nell'atto di appello.
In particolare, la Corte di appello avrebbe totalmente omesso di prendere in considerazione il rilevo critico in tema di efficacia causale che si era mosso nell'impugnazione di merito (alle pp. 3 e 5, che si richiamano) circa la emersa mancata accensione da parte della vittima M. C. dei fari abbaglianti, che avrebbero consentito allo stesso di vedere il rimorchio da lunga distanza e, in conseguenza, di evitare l'impatto, pur procedendo a velocità (80 km/h) superiore a quella consentita (max 50 km/h). A riprova, si sottolinea, come il precedente di legittimità citato dalla Corte di merito (alla p. 7, punto n. 2.3) appaia inconferente poiché relativo ad una fattispecie del tutto diversa.
Peraltro, il punto n. 3 della sentenza sarebbe proteso a confutare - si ritiene, senza riuscirvi - in sole 16 righe il secondo ed il terzo motivo di appello limitandosi però ad affermazioni apodittiche ed elusive del contenuto dell'impugnazione, ove si era evidenziato che i due testi Z. e M., che quella sera coadiuvavano l'imputato, avevano reso dichiarazioni favorevoli alla tesi difensiva circa le misure di sicurezza adottate: infatti i due «hanno nel corso del giudizio di primo grado dichiarato chiaramente che con le loro torce illuminavano la strada ed il rimorchio. Non solo: si evidenziava come a specifica domanda del PM entrambi i testi chiarivano che con le torce illuminavano uno spazio di oltre 3 metri (la larghezza della carreggiata) [...] se l'imputato avesse reso chiaramente visibile rimorchio e carreggiata, il malfunzionamento delle luci posteriori sarebbe stato del tutto ininfluente» (così alla p. 4 del ricorso).
Si tratterebbe di rilievi critici svolti in appello, pretermessi nella sentenza.
3.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione, che sarebbe, in relazione ai punti nn. 2.1 e 3 (pp. 4-8), illogica e contraddittoria.
Nelle parti in cui la sentenza afferma che le torce impugnate da Z. e da M. non avevano capacità di illuminare il rimorchio, perché entrambi i collaboratori a terra dell'imputato erano posizionati ai lati del rimorchio e puntavano i fasci luminosi verso il basso, e che le luci di segnalazione posteriori del rimorchio erano insostituibili sarebbe illogica sia perché le due luci posteriori non illuminano il rimorchio ma sono solo due punti rossi sia perché, se i due uomini puntavano le torce ai lati del veicolo ed a terra, se ne dovrebbe dedurre l'assoluta equivalenza rispetto alle luci posteriori, proprio perché nella stessa posizione e svolgenti la stessa funzione delle luci posteriori: in altri termini, «se si incolpa l'imputato per assenza delle semplici luci di posizione, in considerazione del comportamento dal medesimo tenuto - che aveva sostituito le luci di serie con due torce - bisognerebbe assolverlo perché la mancanza delle luci di posizione era stata neutralizzata e ciò proprio considerando le affermazioni della Corte di appello sul posizionamento delle luci di serie e delle torce (posteriormente, ai lati del veicolo) e la direzione dei coni di luce delle torce in basso (in basso, proprio come le luci di posizione)» (così alla p. 6 del ricorso).
3.3. Tramite il terzo motivo censura violazione di legge, sotto il profilo della erronea applicazione dell'art. 153 del codice della strada.
Rammentato che nel capo di imputazione si contesta a L.R.P. di non avere equipaggiato il rimorchio trainato dal trattore con le luci di posizione e di ingombro e precisato che le luci di posizione altro non sono che due punti luce rossi posti sui lati e le luci di ingombro ulteriori punti di colore arancione ai lati, si evidenzia che tali congegni non hanno alcuna potenza in termini di lumen e che non servono per illuminare ma per essere visti da parte di chi sopraggiunge.
Ebbene, la pronuncia impugnata fonda - ma, si stima, erroneamente - la responsabilità dell'imputato proprio sulla ritenuta scarsa capacità delle torce tenute in mani da Z. e da M. di illuminare il rimorchio e la strada, invece di porsi la domanda sulla visibilità dei punti luce in mano ai due.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole di ulteriore violazione di legge (art. 533 cod. proc. pen.), in quanto, non essendo mai state sequestrate e periziate le torce impugnate dai collaboratori a terra, non è dato sapere quale fosse la luminosità delle stesse e da quale distanza esse fossero visibili.
3.5. Il quinto motivo ha ad oggetto il travisamento delle risultanze istruttorie, poiché, come si si era già sottolineato nell'atto di appello, i due testimoni Z. e M., sentiti in primo grado, hanno dichiarato che il fascio di luce delle torce illuminava a distanza maggiore di tre metri: ne consegue che le affermazioni della Corte territoriale circa la non visibilità del rimorchio e del tratto di strada retrostante il trattore (p. 5 della sentenza impugnata) sarebbero in netto contrasto con le effettive emergenze istruttorie.
3.6. Infine, con l'ultimo motivo si lamenta la violazione dell'art. 597 cod. proc. pen., in quanto la sentenza di appello, pur in difetto di impugnazione del Pubblico Ministero, prende atto dell'errore del Tribunale consistito nel non avere tenuto conto che il comma 2 dell'art. 589 cod. pen., nella versione allora vigente (ante 2016), è una circostanza aggravante e che dunque, avendo riconosciuto le attenuanti generiche, era necessario operare il giudizio di bilanciamento, omesso in primo grado, ma non ne trae le necessarie conseguenze confermando - si stima, erroneamente ed illegittimamente - la pena di un anno e sei mesi di reclusione: «E' infatti evidente che la presa d'atto dell'errore del Giudice di primo grado (l'aver adottato un minimo edittale diverso da quello prescritto dalla norma penale) avrebbe dovuto portare ad un semplice ricalcolo della pena (come chiarito dalla richiamata sentenza delle SS.UU [Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Pittala]) visto che il PM non aveva proposto appello; non vi era spazio per una nuova e discrezionale valutazione del grado della colpa che portasse all'adozione di una pena base diversa e sensibilmente più alta del minimo edittale» (così alla p. 10 del ricorso) pari a sei mesi di reclusione, nella forbice tra sei mesi e cinque anni, ai sensi del comma 1 dell'art. 589 cod. pen., nella versione vigente al momento del fatto, per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. della S.C. nella requisitoria scritta del 23 novembre 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso.
5. Il 4 dicembre 2024 è pervenuta memoria del Difensore con cui si insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti e per le ragioni di cui appresso.
2. I primi cinque motivi possono essere affrontati congiuntamente.
2.1. Con il primo, come si è visto, si lamenta la omessa considerazione dei rilievi critici, già mossi in appello, circa il mancato uso da parte della vittima, che proveniva da tergo rispetto al mezzo contro il quale si è schiantata, delle luci abbaglianti e circa la sufficienza della illuminazione da parte delle torce elettriche maneggiate dai testimoni Z. e M..
2.2. Con il secondo motivo, in buona sostanza, si assume che la presenza dei due uomini a terra con in mano le torce, siccome visibili, sarebbe, nella realtà dei fatti, sostitutiva della presenza delle luci posteriori sul mezzo.
2.3. Tramite il terzo motivo si afferma che le luci di posizione e di ingombro non hanno alcuna potenza in termini di lumen e servono soltanto ad essere visti da chi sopraggiunge da dietro e che la sentenza impugnata non si porrebbe la domanda sulla concreta visibilità del trattore.
2.4. Con l'ulteriore motivo si sottolinea che, non essendo mai state sequestrate e periziate le torce, non può dirsi quale efficienza esse avessero né la concreta visibilità.
2.5. Infine, si sostiene essere stato travisato il contenuto delle dichiarazioni dei due testi Z. e M.
2.6. Appare opportuno rammentare che alle pp. 3 e 6-7 dell'atto di appello, ampiamente richiamato nel ricorso, si era posto in luce come M. C. guidasse senza avere acceso le luci abbaglianti e si riferisce che, ad avviso del consulente del P.M., l'ing. M. S., se la vittima avesse viaggiato nel rispetto dei limiti di velocità e con le luci alte accese, avrebbe avvistato l'ostacolo ed avrebbe potuto arrestare la corsa; inoltre, sempre nell'appello, alle pp. 7 e ss., si era censurata la valutazione del Tribunale, stimata apodittica, circa la ritenuta insufficienza della luce proveniente dalle torce, siccome tascabili, mentre il teste di p.g. B. all'udienza del 10 gennaio 2024 ha parlato, testualmente, di torce "normali con non tanto ampia luminosità", trattandosi, ad avviso dell'appellante, di una «valutazione del tutto soggettiva e, francamente, abbastanza sgangherata [...e tuttavia] ritenuta sufficiente per pronunciare una condanna per omicidio. Il tutto, si badi bene, senza minimamente considerare quanto invece avevano dichiarato i sigg.ri Z. e M. che avevano entrambi specificato, più volte, sempre nella stessa udienza [del 10 gennaio 2024], che le torce illuminavano chiaramente il rimorchio e il tratto di strada dietro lo stesso» (così alle pp. 7-89 dell'atto di appello) per un tratto di circa tre metri. E si era inoltre sottolineato nell'impugnazione di merito che le luci di posizione «non sono luci profondità. Come rilevato anche in precedenza, sono fari (quelli posteriori) rossi che non devono assolutamente illuminare in profondità ma, da codice della strada, è unicamente richiesto che siano visibili ad una distanza di 20 metri. Quindi, i fari di posizione non devono proprio illuminare nulla. Del resto, se fossero luci profondità, sarebbero pericolosissime visto che andrebbero ad accecare chi si trova dietro la vettura. Qualsiasi torcia, quindi, sicuramente illumina più di una luce di posizione ed è visibile (nel buio) ad una distanza superiore di 20 metri quindi risulta più visibile di una luce di posizione tanto più se "agitata" proprio per richiamare l'attenzione. Nel valutare l'efficienza causale del fattore "illuminazione" sul sinistro che ha portato al decesso del C., va necessariamente valutato l'aspetto concreto della visibilità del rimorchio. Valutazione in concreto che non è stata operata dal Giudice il quale ha valorizzato in chiave accusatoria la sola mancanza delle luci di posizione sull'erroneo presupposto che le stesse abbiano una funzione di luci di profondità. Presupposto del tutto errato la cui considerazione ha portato al ragionamento e a una valutazione delle prove completamente distorta» (così alle pp. 8-9 dell'impugnazione di merito). Si riferisce anche (nell'atto di appello, alle pp. 9-10) che Z. e M. hanno dichiarato, sempre all'udienza del 10 gennaio 2024, di trovarsi, al momento dell'incidente, dietro il rimorchio, a circa 5 metri su di un lato, l'uno, e a circa 10-15 metri, sul lato opposto, l'altro, e proprio per illuminare il mezzo e la strada.
2.7. L'impugnazione, come si vede, sottintende l'assunto che la presenza di luci posteriori - almeno - sufficientemente visibili si porrebbe in termini di radicale esclusione del nesso di causalità tra la condotta del conducente il trattore, L.R.P., da un lato, e l'evento-tamponamento, dall'altro, circostanza che, però, entrambi i giudici di merito con motivata valutazione conforme escludono, ragionando invece, in maniera non incongrua né illogica, in termini di un caso di concorso di colpa tra imputato (che ha violato l'art. 153 del d.lgs. n. 295 del 1992, che disciplina l'uso dei dispositivi di segnalazione visiva e di illuminazione dei veicoli a motore e dei rimorchi, ed inoltre le regole generali di prudenza, diligenza e perizia, percorrendo, di notte, al buio, una strada pubblica con un ingombrante mezzo privo di idonea illuminazione) e vittima (che ha concotto l'auto di notte e fuori città senza accendere i fari abbaglianti ed a forte velocità.
Non ha pregio, in tale contesto, appunto, di accertata concausalità (cfr. p. 5 della sentenza impugnata), adeguatamente illustrata dai giudici di merito e non sufficientemente aggredita nel ricorso, il riferimento alla mancata perizia sulla capacità di illuminazione delle torce, indicata dai testi, il cui racconto comunque non risulta travisato, come tale da raggiungere una distanza di tre metri.
3. A diverse conclusioni deve giungersi quanto all'ultimo motivo, con il quale si è denunziato la illegittimità del calcolo della pena con riforma sostanzialmente in peius, non avendo il P.M. impugnato la sentenza.
Il motivo è fondato. Infatti, la Corte di appello ha confermato la stessa sanzione di un anno e sei mesi di reclusione, pur essendosi mosso all'interno di una forbice edittale diversa e meno grave (da sei mesi a cinque anni di reclusione), trascurando, in difetto di impugnazione da parte del Pubblico Ministero, la circostanza che il Tribunale avesse claris litteris (alla p. 7) dichiarato di volersi attenere al minimo edittale.
4. Consegue l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, che dovrà essere rideterminato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Roma; rigetto nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta il ricorso nel resto.