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Doveri del medico di pronto soccorso (Cass. 45602/21)

13 dicembre 2021, Cassazione penale

Colpevole di omicidio colposo il medico di pronto soccorso che ha cagionato la morte di un paziente per non aver disposto indagini diagnostiche atte ad effettuare la diagnosi differenziale e limitandosi a un esame superficiale.

L'ambito dell'obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d'emergenza o d'urgenza. In tale ambito rientrano l'esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l'individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie. Correlata a tali doveri può ritenersi la decisione inerente al ricovero del paziente e alla scelta del reparto a ciò idoneo, mentre l'attribuzione della priorità d'intervento, detta triage ospedaliero, è procedura infermieristica.

Non è esigibile dal medico di PS una competenza diagnostica di livello pari a quella di tutte le altre specializzazioni medico-chirurgiche delle quali si deve occupare trasversalmente nell'intervenire su casi acuti.

A fronte della possibilità di una diagnosi differenziale non ancora risolta, costituisce obbligo del medico al quale sia stato sottoposto il caso compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare quale sia l'effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime possibilità. Fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia alcuna incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell'arte medica da lui esigibili (anche nel senso di chiedere pareri specialistici), di escludere patologie alternative, proseguendo gli accertamenti diagnostici e i trattamenti medico-chirurgici necessari.

 

Cassazione penale

sez. IV, ud. 18 novembre 2021 (dep. 13 dicembre 2021), n. 45602
Presidente Di Salvo – Relatore Serrao

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato in senso assolutorio la pronuncia di condanna emessa il 20/02/2017 dal Tribunale di Napoli nei confronti di P.R., imputato del delitto previsto dall'art. 589 c.p. perché, quale sanitario che ebbe in cura D.P.A. nel corso dell'accesso presso il presidio ospedaliero San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, con le condotte omissive di seguito meglio specificate, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, ne aveva cagionato la morte, verificatasi a causa dell'insorgenza di un arresto cardio-circolo-respiratorio secondario ad una peritonite da perforazione del tratto digestivo. In particolare, in qualità di medico addetto all'unità di pronto soccorso, in data (OMISSIS) per non avere correttamente valutato lo stato patologico in atto, omettendo una completa e analitica anamnesi del paziente, non effettuando un idoneo percorso diagnostico del disturbo lombare che aveva dettato l'accesso del paziente in ospedale, limitandosi ad un esame obiettivo superficiale, disponendo le dimissioni del paziente senza procedere né ad esami di laboratorio né ad indagini diagnostico-strumentali che avrebbero consentito di far luce sul fenomeno ulceroso in atto, così impedendo un pronto e corretto inquadramento diagnostico, aggravando la prognosi del paziente e ritardandone il necessario intervento chirurgico.

2. La sentenza impugnata ha ripercorso il succedersi degli eventi, a partire dal fatto che D.P.A. accusava dolori lombari curati con fans, Dicloreum e Toradol, da circa una settimana, giungendo alle ore 22,05 del (omissis) al pronto soccorso dell'ospedale di Frattamaggiore, dove era stato visitato e presentava, secondo il referto stilato dal Dott. P., addome meteorico ma trattabile, palpazione del punto colecistico e percussione delle logge renali non doloranti, alveo aperto sia alle feci che ai gas, tale condizione determinando il Dott. P. a praticare una soluzione fisiologica di Spasmex e di Toradol accompagnati da un farmaco gastroprotettore e a dimettere il paziente, con prescrizione di sottoporsi a visita ortopedica e a controllo clinico. Nella sentenza si legge anche, che, nella cartella clinica stilata in occasione del secondo accesso, il paziente risultava aver riferito un dolore addominale che si protraeva da tre giorni con chiusura dell'alvo alle feci e ai gas, da ritenere chiaro segno di peritonite. I consulenti tecnici avevano assunto come pacifica l'omessa diagnosi differenziale, laddove il dolore lombare che si accentua in orario notturno e non si riduce con l'assunzione di farmaci analgesici può rivelare patologie biliari gastro-pancreatiche, dunque indipendentemente dalla sintomatologia addominale riferita dal paziente e tanto più in presenza di rilevato addome meteorico. Pacifica era, altresì, la circostanza che, eseguita ecografia addominale nel primo pomeriggio del 5 maggio, fosse emersa la presenza di liquido corpuscolato nei recessi peritoneali e aria libera in sede sottodiaframmatica, con immediato ricovero e predisposizione di intervento chirurgico, resosi impossibile a causa del decesso del paziente alle ore 19:30. Altresì pacifico era, secondo la testimonianza della moglie del paziente, che il D.P., la sera di sabato 4 maggio, presentasse persistenti dolori addominali, pur non essendo certo che il Dott. P. fosse stato informato della terapia farmacologica seguita nella settimana antecedente. E' stato accertato il percorso causale che ha condotto al decesso di D.P.A., affetto da tempo da una ulcera duodenale, alla cui perforazione era seguita una peritonite causata dalla perdita di liquido gastrico, poi rinvenuto in gran copia nel corso dell'autopsia; l'assorbimento da parte del peritoneo di liquidi che avevano cagionato lo stato settico aveva, quindi, determinato la sindrome chiamata insufficienza multiorganica (M.O.F., Multi Organ Failure). Si era accertato che, al primo accesso in pronto soccorso, non era stato eseguito l'esame emocromocitometrico, che avrebbe potuto evidenziare una leucocitosi neutrofila, dunque l'esistenza della peritonite. I consulenti concordavano circa il dato tecnico che la peritonite, causa del decesso del paziente, si fosse sviluppata in 12, 18 o forse 24 ore e che la somministrazione di Dicloreum ovvero di Toradol senza l'assunzione di gastroprotettore potesse aver contribuito all'aggravamento delle condizioni del paziente. I consulenti hanno affermato che la contaminazione batterica del materiale riversato nel peritoneo avviene in 12-24 ore, che, al momento della visita al primo accesso, il filtraggio di liquido enterico era già cominciato e che il Dott. P., pur avendo rilevato l'addome meteorico, che poteva essere sintomo di rallentamento della peristalsi dovuto al filtraggio di liquido in addome, non vi diede rilievo. I consulenti hanno altresì affermato che la mancata effettuazione dell'ecografia aveva inciso sul percorso diagnostico, rallentandolo, e che la datazione dell'ulcera, unita all'assunzione di fans, farmaci altamente gastrolesivi, potesse aver accelerato il processo perforativo.

3. Le parti civili D.P.M., D.P.A. e C.A. propongono ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 589 c.p. e per carenza e vizio logico della motivazione. La difesa deduce che la sentenza è del tutto priva di riferimenti allo specifico addebito descritto nel capo di imputazione, relativo all'omessa diagnosi differenziale. In particolare, la difesa evidenzia come, nonostante i consulenti tecnici avessero reiteratamente riferito della possibilità di una diagnosi differenziale, nella sentenza è stato affermato, a pag.9, che non vi fosse alcuna certezza circa tale possibilità. La sentenza, si assume, neppure si è confrontata sul punto con la sentenza di primo grado. I giudici non hanno esposto le ragioni di dissenso rispetto alle motivazioni del giudice di primo grado.

Con un secondo motivo, i ricorrenti deducono carenza di motivazione nella parte in cui i giudici di appello hanno escluso il nesso di causalità non operando alcun accenno al dato statistico offerto dal consulente del Pubblico ministero e dagli stessi consulenti dell'imputato, che avevano indicato una bassa percentuale di mortalità, ed è contraddittoria nella parte in cui ha escluso il nesso di causalità ritenendo la patologia non ancora eclatante e tuttavia ritenendo non risolutivo l'intervento chirurgico nonostante il basso tasso di mortalità. I consulenti della Procura avevano riportato nella consulenza le leggi statistiche in base alle quali il trattamento chirurgico non riesce ad azzerare un tasso di mortalità che si attesta intorno al 10% e la casistica di rischio di mortalità in relazione agli interventi in urgenza per perforazione gastro-duodenale correlata alla presenza di shock all'ingresso, all'età, a comorbilità mediche importanti, a cirrosi, a insufficienza renale. Nella sentenza impugnata è stato del tutto pretermesso un dato decisivo indicato dei consulenti, ossia che è proprio il ritardo nell'intervento ad aumentare in maniera esponenziale il rischio di morte. Su tali dati erano concordi anche i consulenti dell'imputato. In un caso in cui l'omessa corretta diagnosi aveva impedito un intervento chirurgico che solo nel 35% dei casi consentiva la sopravvivenza del paziente nel lungo periodo, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione emessa in entrambi i gradi di merito ritenendo che risponde penalmente il medico laddove nel giudizio controfattuale vi sia l'alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici o all'intervento chirurgico avrebbe determinato un allungamento della vita. Secondo la difesa, la lacuna presente nella sentenza impugnata in merito all'accertamento del nesso causale si configura come violazione di legge ma si traduce anche in una carenza motivazionale in quanto, pur citando i principi giuridici che orientano il giudizio controfattuale, la Corte territoriale finisce poi con il negarli, considerato che la certezza nel giudizio controfattuale è un'ipotesi rarissima. Manifestamente illogico è che, pur ritenendo i giudici che la patologia non fosse ancora eclatante, nella sentenza abbiano affermato che l'intervento non sarebbe stato risolutivo; ove la malattia non avesse raggiunto uno stato di pericolosità tale da potersi dire eclatante, non è logica la conclusione per la quale l'intervento si sarebbe palesato come inutile, anche e soprattutto alla luce del basso tasso di mortalità evidenziato.

4. Con memoria del 2 novembre 2021 il difensore di P.R. ha concluso per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono fondatamente proposti.

1.1. Occorre premettere, in linea di principio, che per l'esistenza del nesso causale, in base al disposto degli artt. 40 e 41 c.p., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell'evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell'intervento di fattori eccezionali. In particolare, quando si tratta di condotte omissive colpose, il primo elemento si rivela nella regola cautelare violata, se l'evento rappresenta la concretizzazione del rischio creato con un non facere da colui che riveste la posizione di garanzia. Il nesso causale viene, dunque, negato qualora l'evento non concretizzi il rischio che la regola cautelare violata mirava a prevenire oppure quando sia intervenuto un fattore eccezionale che, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, costituisce causa certa o altamente probabile dell'evento. Per converso, l'evento è causalmente riconducibile all'omissione qualora, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, l'evento sia conseguenza certa o altamente probabile del mancato rispetto della regola cautelare violata. Il ricorso alle cognizioni scientifiche, nello studio degli eventi che si verificano in ambito sanitario, soddisfa i principi di tassatività e di certezza giuridica lo quanto consente di imputare all'uomo un evento che può essere scientificamente considerato conseguenza della sua azione od omissione. Guardando alla condotta omissiva sotto il preciso angolo visuale del rischio del quale il sanitario è garante, ossia della regola cautelare appropriata, l'interprete è tenuto a delimitare l'ambito della posizione di garanzia in modo da imputare al garante i soli eventi che egli sia in grado di dominare. Giova aggiungere che, ai fini dell'operatività della clausola di equivalenza di cui all'art. 40 c.p., comma 2, l'accertamento dell'obbligo impeditivo è il primo passaggio necessario per individuare il soggetto responsabile del reato omissivo improprio. In relazione a tale norma, la giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni novanta del secolo scorso, ha infatti elaborato la "teoria del garante", muovendo dall'osservazione e dalla valorizzazione - del significato profondo che deve riconoscersi agli "obblighi di garanzia", discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante, rispetto ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente (Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990, dep. 1991, Bonetti, in motivazione). I titolari della posizione di garanzia devono, poi, essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi. Si discorre di un problema particolarmente complesso perché, secondo un orientamento dottrinale, non potrebbe essere considerata posizione di garanzia quella nella quale esiste soltanto un obbligo di attivarsi o un obbligo di sorveglianza senza che questi obblighi siano accompagnati da poteri impeditivi di natura tale da consentire all'agente di evitare il verificarsi dell'evento. Ma la Corte di Cassazione ha già avuto occasione di chiarire che non è condivisibile l'affermazione che il garante, perché risponda dell'evento, debba essere dotato di tutti i poteri impeditivi, essendo richiesto all'agente di porre in essere solo quelli da lui esigibili; la posizione di garanzia richiede l'esistenza dei poteri impeditivi che, peraltro, possono anche concretizzarsi in obblighi diversi (per es. di natura sollecitatoria), e di minore efficacia, rispetto a quelli direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell'evento. Del resto, nella gran parte dei casi, i garanti non dispongono sempre e in ogni situazione di tutti i poteri impeditivi che invece, di volta in volta, si modulano sulle situazioni concrete. Saranno proprio le situazioni concrete a determinare l'ambito dei poteri impeditivi esigibili da parte del garante e questi poteri possono essere limitati ad un mero obbligo di attivarsi. Insomma, all'obbligo giuridico di impedire l'evento deve accompagnarsi l'esistenza di poteri fattuali che consentano all'agente di porre in essere, almeno in parte, meccanismi idonei ad evitare il verificarsi dell'evento. In conclusione: l'agente non può rispondere del verificarsi dell'evento se, pur titolare di una posizione di garanzia, non disponga della possibilità di influenzare il corso degli eventi. Per converso, chi ha questa possibilità non risponde se non ha un obbligo giuridico di intervenire per operare la modifica del decorso degli avvenimenti (Sez. 4, n. 16761 del 11/03/2010, Catalano, in motivazione).

1.2. L'ambito dell'obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d'emergenza o d'urgenza. In tale ambito rientrano l'esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l'individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie. Correlata a tali doveri può ritenersi la decisione inerente al ricovero del paziente e alla scelta del reparto a ciò idoneo, mentre l'attribuzione della priorità d'intervento, detta triage ospedaliero, è procedura infermieristica. Delineata entro tale ambito la posizione di garanzia del medico di pronto soccorso, è agevole riscontrare nella giurisprudenza di legittimità casi nei quali il medico di pronto soccorso è stato ritenuto responsabile del decesso del paziente per non aver disposto gli idonei accertamenti clinici (Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 256338) o per non aver posto una corretta diagnosi in modo da indirizzare il paziente in reparto o luogo di cura specialistico (Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073).

Accanto a queste ipotesi, si rinvengono pronunce nelle quali la responsabilità è stata esclusa in ragione della singolarità dei sintomi, dunque della difficoltà di porre una diagnosi corretta (Sez. 4, n. 35659 del 09/07/2009, Morana, Rv.245316); ciò si spiega in quanto non è esigibile da tale sanitario una competenza diagnostica di livello pari a quella di tutte le altre specializzazioni medico-chirurgiche delle quali si deve occupare trasversalmente nell'intervenire su casi acuti.

1.3. Ulteriore premessa concerne la considerazione per cui, a fronte della possibilità di una diagnosi differenziale non ancora risolta, costituisce obbligo del medico al quale sia stato sottoposto il caso compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare quale sia l'effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime possibilità. L'esclusione di ulteriori accertamenti può, infatti, essere giustificata esclusivamente dalla raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa ovvero, nel caso in cui i trattamenti terapeutici siano incompatibili, che possa essere sospeso quello riferito alla patologia che, in base all'apprezzamento di tutti gli elementi conosciuti o conoscibili, se condotto secondo le regole dell'arte medica, possa essere ritenuto meno probabile, sempre che la patologia meno probabile non abbia caratteristiche di maggiore gravità e possa quindi essere ragionevolmente adottata la scelta di correre il rischio di non curarne una che, se esistente, potrebbe però provocare danni minori rispetto alla mancata cura di quella più grave. Ma, fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia alcuna incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell'arte medica da lui esigibili (anche nel senso di chiedere pareri specialistici), di escludere patologie alternative, proseguendo gli accertamenti diagnostici e i trattamenti medico-chirurgici necessari.

1.4. Vale la pena, inoltre, di rammentare che la giurisprudenza della Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che, in punto di nesso di causa, occorre distinguere il ragionamento esplicativo dal ragionamento controfattuale. Il ragionamento esplicativo tenta di spiegare le cause di un accadimento e di individuare i fattori che lo hanno generato sulla base di giudizi causali retti da leggi scientifiche che esprimano una certa correlazione causale tra una categoria di condizioni e una categoria di eventi realmente verificatisi; nell'ambito del ragionamento esplicativo, il sapere scientifico può fornire con ragionevole approssimazione la spiegazione di un determinato evento effettivamente verificatosi quale effetto di un determinato fattore eziologico. Il giudice, con riguardo al ragionamento esplicativo, valuta con rigore le prove per stabilire se esse corroborino l'ipotesi accusatoria circa la relazione tra una determinata condotta umana e l'evento verificatosi alla luce di una legge naturale, ove disponibile, o alla luce di regolarità statistiche o di generalizzazioni probabilistiche, secondo un significato frequentista, fornite dagli studi del settore di riferimento. Il giudizio controfattuale (giudizio implicativo) trova il suo terreno di elezione nel ragionamento causale in tema di reato omissivo, ma non si tratta di un ambito esclusivo in quanto tale iter logico viene seguito anche in caso di reati commissivi ancorché non si renda necessario esprimerlo nella motivazione. Si tratta di un ragionamento che implica un ulteriore tipo di indagine, avente ad oggetto la prognosi postuma di cosa sarebbe accaduto ove la condotta omessa fosse stata posta in essere. La valutazione processuale del ruolo salvifico della condotta omessa non può che culminare in un giudizio ipotetico, con l'avvertenza che si tratta di un giudizio ipotetico che si svolge alla luce del "paradigma indiziario" disponibile (Sez.4, n. 43786 del 17/09/2010, Cozzini, in motiv.). In tal caso, al giudice si impone una puntuale analisi delle particolarità del caso concreto, che potrà condurre ad un giudizio di elevata credibilità logica, indipendente da rigide quantificazioni statistiche, strettamente correlato alle caratteristiche del caso concreto sulla base di un ragionamento probatorio non incerto. In sostanza, ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l'elevata credibilità logica dell'efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l'obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell'elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili (Sez. 4, n. 16843 del 24/02/2021, Suarez, Rv. 281074; Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073; Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 256338).

2. Alla luce dei principi esposti, il percorso logico-giuridico che si richiedeva al giudice di merito concerneva, in primo luogo, la necessità di stabilire quali fossero gli obblighi di attivarsi del medico di pronto soccorso che, per la natura della sua specializzazione, può non essere dotato di tutti i poteri impeditivi dell'evento, essendo spesso deputato all'effettuazione dei primi controlli e all'indirizzamento del paziente verso altri specialisti, altri reparti specificamente deputati alla cura. Occorreva, in particolare, chiedersi se, in base ai dati tecnici a disposizione, il medico di pronto soccorso avesse la possibilità di influenzare il corso degli eventi. Il secondo passaggio logico che si sarebbe dovuto affrontare, sulla base delle risultanze dei dati tecnico-scientifici forniti ai giudici, riguardava la diagnosi differenziale che, date le condizioni del paziente e tenuto conto delle competenze dello specialista di medicina d'urgenza, il sanitario avrebbe dovuto porre, considerato che costituisce obbligo del medico valutare tutte le possibili ipotesi diagnostiche connesse ad una determinata sintomatologia, soprattutto nel caso in cui i sintomi possano essere indicativi di diagnosi di maggiore gravità rispetto a quella più evidente. Ulteriore passaggio logico riguardava il giudizio esplicativo in merito al rapporto tra condizione patologica del paziente ed evento morte secondo le valutazioni tecnico-scientifiche fornite dagli esperti in merito al reale accadimento dei fatti; a seguire, nell'ambito del giudizio inerente alla causalità omissiva, i giudici avrebbero dovuto sviluppare un giudizio ipotetico volto a stabilire se un comportamento alternativo corretto avrebbe salvato, esaminando le caratteristiche proprie del caso concreto alla luce di eventuali falsificazioni, con elevata credibilità logica la vita del paziente.

3. Passando all'esame del caso concreto, il giudice di primo grado aveva individuato nell'omessa diagnosi differenziale la condotta che aveva attivato una condizione di rischio per l'integrità fisica del paziente. Il paziente aveva descritto un sintomo ma il medico lo aveva, erroneamente, interpretato omettendo la doverosa accurata anamnesi e il doveroso esame obiettivo al rachide dorso-lombare: un dolore lombare continuo e severo che peggiora di notte e non è alleviato dai comuni analgesici, si legge nella sentenza sulla scorta di quanto riferito dai consulenti tecnici, impone la diagnosi differenziale di metastasi vertebrale, di mieloma multiplo, di linfoma o di patologia addominale. L'esame obiettivo del rachide lombare avrebbe consentito di dirimere la diagnosi tra dolore muscolo-scheletrico e dolore extra-vertebrale irradiato al tratto lombare; la doverosa diagnosi differenziale avrebbe portato ad un approfondito esame dell'addome, che già si presentava meteorico e avrebbe richiesto ulteriori approfondimenti diagnostici; il paziente, anziché essere dimesso con diagnosi di lombalgia e invito a visita ortopedica, avrebbe dovuto essere tenuto in osservazione e sottoposto ad indagini di laboratorio; il fattore tempo, nel caso concreto, data l'età non avanzata del paziente (48 anni), era l'unico fattore in grado di condizionare in maniera favorevole la prognosi dell'intervento; una corretta diagnosi avrebbe accelerato il trattamento chirurgico ed evitato l'exitus.

3.1. Ora, il giudizio controfattuale mediante il quale si riconduce all'evento una condotta omissiva, seguendo il ragionamento logico per cui il nesso causale sussiste solo nel caso in cui il comportamento alternativo corretto avrebbe avuto efficacia salvifica, è un giudizio ipotetico che si muove su un piano diverso da quello della stretta e reale successione cronologica degli eventi. Quest'ultima deve essere conosciuta nel suo divenire all'esito dell'istruttoria (come detto, si tratta del giudizio esplicativo), mentre il primo è un giudizio che è per sua natura induttivo e che si serve di categorie logiche, scientifiche, esperienziali.

3.2. Nella sentenza impugnata si è ribaltato il giudizio di primo grado, evidenziando che i dati tecnico-scientifici a disposizione dei giudici, pur avendo consentito di conoscere la successione cronologica degli eventi (giudizio esplicativo), non avevano consegnato la certezza che la condotta doverosa sarebbe stata salvifica (giudizio controfattuale).

3.3. In particolare, la Corte di appello, pur riconoscendo che i sintomi iniziali della peritonite da perforazione sono costituiti da meteorismo addominale, arresto della peristalsi e alvo chiuso a feci e gas, ha ritenuto di assolvere l'imputato aderendo acriticamente alle conclusioni del consulente tecnico G., il quale aveva affermato che, anche se il Dott. P. si fosse posto nelle condizioni di prescrivere l'immediato intervento chirurgico, non vi era la certezza che l'operazione avrebbe scongiurato il decesso, sia in considerazione della progressione della patologia sia in considerazione della intrinseca pericolosità dell'intervento sul duodeno. Sulla base di tale dato tecnico-scientifico, i giudici di appello hanno ritenuto che, non avendo i consulenti affermato che la peritonite al momento della visita del Dott. P. fosse conclamata, diagnosticandosi al più un "momento flogistico peritoneale", e non avendo i consulenti sostenuto che l'intervento chirurgico, se effettuato a seguito della visita del Dott. P., avrebbe con certezza neutralizzato gli effetti della peritonite, ne ha desunto il ragionevole dubbio circa la sussistenza del nesso causale "non essendovi alcuna certezza circa la possibilità di una diagnosi differenziale atteso che l'ulcera duodenale, benché di non recente origine, non era conclamata e può essere andata incontro a perforazione nello spazio temporale tra le dimissioni e il successivo ricovero", pervenendo ad assoluzione per insussistenza del fatto.

4. Il Collegio ritiene che nella sentenza impugnata non sia stata fatta corretta applicazione della regola espressa nell'art. 40 c.p., la cui interpretazione secondo il "diritto vivente" in relazione alla causalità omissiva è stata già richiamata, avendo i giudici di appello escluso il nesso di causalità sulla base di un giudizio controfattuale privo di riferimenti alle condizioni del paziente nel caso concreto. Inoltre il giudice, che secondo un noto brocardo si definiva peritus peritorum ma che in una moderna concezione del suo ruolo in relazione alla prova scientifica è più corretto definire iudex peritorum, non può rimanere acriticamente ancorato al dato tecnico-scientifico e deve, piuttosto, tradurne l'enunciato in termini logico-giuridici. La Corte territoriale ha, invece, supinamente riportato nell'argomentazione della decisione il dato fornito dai consulenti, secondo il quale non vi era certezza assoluta dell'efficacia salvifica della condotta alternativa corretta, in definitiva omettendo di svolgere il giudizio controfattuale, che impone al giudice di elaborare il dato tecnico-scientifico, che raramente nelle scienze bio-mediche fornisce informazioni in termini di assoluta certezza, alla luce dei criteri logico-giuridici più volte indicati dalla giurisprudenza di legittimità.

Ma la motivazione risulta anche intrinsecamente contraddittoria. Pur avendo richiamato, senza smentirne la validità, le conclusioni dei consulenti tecnici del Pubblico ministero in merito alla sussistenza di tutte le condizioni per una diagnosi differenziale previo esame emocromocitometrico o ultrasonografia ed esame ecografico, i giudici di appello hanno immotivatamente tratto la conclusione che neppure vi fosse certezza circa la possibilità di una diagnosi differenziale.

5. Conclusivamente, i ricorsi vanno accolti con riferimento ai rilevati vizi di violazione di legge e di motivazione alla luce dei principi propri del processo penale, non essendovi spazio per l'applicazione dei criteri interpretativi recentemente indicati dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 182 del 7 luglio 2021 nel giudizio concernente la legittimità dell'art. 578 c.p.p.. La sentenza di appello deve, conseguentemente, essere annullata, sia pure ai soli effetti civili in ragione del fatto che il ricorso per cassazione è stato proposto dalle sole parti civili. Ove, come nel caso in esame in cui la sentenza assolutoria non è stata impugnata dal Pubblico ministero, non vi sia più spazio alcuno per il giudice penale, altra soluzione non può essere adottata, ai fini delle determinazioni sulle statuizioni civili, se non quella del rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p.. Sarà, in conclusione, il giudice civile competente per valore in grado di appello a celebrare il giudizio di rinvio nei confronti di P.R., oltre a provvedere alla regolazione delle spese tra le parti private (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, in motivazione; Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 25608701; Sez. 5, n. 1970 del 27/11/2020, dep. 2021, Arcadia, n. m.; Sez.5, n. 28848 del 21/09/2020, D'Alessandro, Rv.27959901; Sez.5, n. 26217 del 13/07/2020, G., Rv. 27959802; Sez.4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 27876101; Sez. 1, n. 14822 del 20/02/2020 Milanesi, Rv. 27894301).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la liquidazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.