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DNA scarso, analisi errate, pregiudizio: smentito teorema accusatorio (Tr. Trieste, 693/19)

21 giugno 2019, Cassazione penale

Un elemento di prova derivante da un test genetico su un quantitativo di materiale genetico tanto scarso in base agli standard utilizzati nelle tipizzazioni genetiche potrebbe aver un valore indiziario decisivo ai fini della decisione nel merito in presenza di altri elementi a carico dell’imputato con esso concordanti nel provare la sua colpevolezza, ma difficilmente può da solo reggere l’urto del ragionevole dubbio in dibattimento.

Nesuna valore, nemmeno indiziario, della prova del DNA se ci sono errori nel repertamento delle tracce ematiche, con analisi senza attendibilità scientifica, su campioni repertati anni dal repertamento, senza possibilità di ricostruire la catena di custodia.

Si parla di LT-DNA o di LCN-DNA, quando il campione risulta numericamente più scarso del nanogrammo di materiale genetico, pari a circa 167 miliardi cellule richiesto per un test ordinario: questa metodologia di analisi è scientificamente attendibile ma non le viene generalmente attribuito valore di prova piena in dibattimento, potendo casomai orientare le ricerche in sede di indagini preliminari.

L'analisi del DNA è un cd. cold hit quando non esistono altri elementi di prova che riducano la persona dell’imputato al luogo dove è stato commesso il reato: in presenza di un solo elemento a carico dell’imputato, tale dato debba essere robusto sia per quanto concerne le probabilità di colpevolezza, sia sotto il profilo logico.

L’aver messo aprioristicamente il profilo genetico del sospettato, già conosciuto dai Carabinieri del R.I.S., a  confronto col dato genetico misto non deconvoluto nei singoli profili genetici dei contributori, in assenza di ulteriori riscontri operati con l’ausilio dei database, costituisce una pre-giudizio sul soggetto sospettato, ribaltando il corretto paradigma di indagine e finendo così per giungere a dei calcoli probabilistici che poggiano su premesse errate.

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE

SENTENZA 

n. 693/19 udienza 24 aprile 2019 deposito 21 giugno 2019

(artt. 544 e segg. c.p.p.)

REPPUBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il giudice XXX alla pubblica udienza del 24 aprile 2019, ha pronunciato la seguente,

SENTENZA

Nel procedimento a carico di:

XXX

Difeso di fiducia dall’avv. CANESTRINI Nicola del Foro di Rovereto.

IMPUTATO

Del delitto p. e p. dall’art. 624 bis e 625n.2 c.p. perché, al fine di profitto, dopo aver infranto una porta finestra del soggiorno ed una finestra del bagno, si impossessava di 2 orologi, 2 collane, 2 anelli e della somma di euro 1800,00 che sottraeva dall’abitazione di XXX;

con recidiva reiterata specifica nei 5 anni

in Trieste 22-12-2012

in cui è persona offesa del reato: XXX

CONCLUSIONI DELLE PARTI:

Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato alla pena finale di 4 anni, mesi 6 di reclusione ed € 450 di multa.

Il difensore chiede l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Chiede la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per l’accertamento di eventuali reati commessi dagli operanti di PG.

FATTO e DIRITTO

Con decreto di citazione diretta a giudizio ritualmente notificato, XXX veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui in epigrafe.

L’istruttoria veniva svolta mediante l’esame dei testi del Pubblico Ministero, del consulente tecnico della difesa, del perito prof. Paolo FATTORINI e l’acquisizione di documenti.

All’esito dell’istruttoria, il giudice, dichiarata l’utilizzabilità delle dichiarazioni e dei documenti contenuti nel fascicolo del dibattimento, invitava le parti alla discussione; queste concludevano come da verbale.

Ritiene questo giudice che le risultanze istruttorie non consentano di ritenere provata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato in contestazione, alla luce della ricostruzione dei fatti che seguono.

In data 22 dicembre 2012 XXX era vittima di un furto in abitazione. Rincasando con moglie e figli trovata una porta spaccata e una finestra forzata, l’arredamento era soqquadro e risultavano rubati due orologi, due anelli, due collane e la somma liquida di € 1.800 (come risultante dalla testimonianza del XXX agli atti). La persona offesa chiamava i Carabinieri, che mandavano una pattuglia dalla stazione di Basovizza per effettuare un primo sopralluogo, non rinvenendo nulla di rilevante oltre a quanto già riferito dal teste XXX. Il giorno seguente un accertamento tecnico vero e proprio veniva effettuato a cura del Maresciallo Capo XXX, in servizio presso il NORM di Aurisina, assieme a un collega. Venivano rinvenute due tracce ematiche, la prima vicino alla finestra forzata, la seconda vicino al letto matrimoniale. Gli agenti provvedevano a repertare le tracce utilizzando due metodi differenti, così come descritto in testimonianza agli atti. Il reperto 1 veniva collezionato inumidendo la traccia di sangue con dell’acqua distillata e raccogliendola con della carta assorbente; quanto repertato veniva riposto all’interno di una busta di plastica. Il reperto 2 veniva invece prelevato mediante l’uso di una spatola che staccava l’intonaco in corrispondenza della macchia ematica, e in seguito riposto in una provetta di plastica. Non è ben chiara la catena di custodia che ne è seguita. La teste XXX dichiara di non sapere quali colleghi, se i suoi o quelli della stazione di Basovizza, abbiano spedito il campione che al Reparto Investigazioni Scientifiche di Parma, e per quanto tempo nell’attesa sia rimasto depositato in uno dei loro uffici (come da testimonianza agli atti). Soltanto in data primo ottobre 2014, a quasi due anni di distanza dalla raccolta, i campioni giungevano presso la sede dei R.I.S e venivano analizzati fino al 7 ottobre (si veda la relazione tecnica e firma del Maggiore MARINO Alberto agli atti). Delle tracce ematiche spedite ai R.S.I soltanto una veniva analizzata, il campione prelevato a secco dall’intonaco e riposto nella busta di carta. Il materiale genetico estrapolato dalla traccia risultava essere esiguo (circa 600 picogrammi di DNA nucleare, dato che verrà considerato meglio in seguito). Dal campione venivano ricavate due amplificazioni in vitro mediante tecnica di PCR (Polimerase Chain Reaction) che successivamente erano inserite nel sequenziatore che produceva gli elettroferogrammi. Si tratta di tipizzazione di cd. Low Template DNA (o Low Copy Number DNA), caratterizzato da un campione genetico davvero scarso, e che richiede cautele maggiori dell’analisi del DNA effettuata su un campione più consistente. Il risultato della tipizzazione era un profilo misto dato dalla somma degli alleli rilevati dall’analisi delle due amplificazioni.

Ponendo a confronto il profilo genetico misto con il profilo genetico dell’imputato, risultava che l’ipotesi accusatoria (profilo genetico misto frutto del contributo dell’imputato e di un ignoto), messa a confronto mediante l’elaborazione del software LR Mix fosse 10 miliardi di volte più probabile dell’ipotesi difensiva (contributori due ignoti, XXX estraneo al profilo genetico ipotizzato). Si chiudeva la relazione tecnica classificando come superiore all’“estremamente forte” l’ipotesi accusatoria chiamante in causa l’odierno imputato. Come si vedrà in seguito, la fase delle indagini risulta viziata in molti dei passaggi effettuati per giungere a tale conclusione.

In primo luogo criticità presenta la prima fase di analisi, quella dal repertamento delle tracce ematiche rinvenute nella camera da letto al primo piano.

Due diverse metodologie sono state utilizzate per la raccolta dei due campioni di sangue lasciati dall’autore del furto. La prima, consistita nell’inumidire la traccia ematica con dell’acqua distillata anziché con una soluzione salina isotonica alla concentrazione del corpo umano, comporta (si veda a tal proposito l’analisi critica del consulente tecnico della difesa BOSCOLO agli atti) il rischio di rigonfiamento della cellula a causa della diversa concentrazione salina dentro e fuori dalla membrana cellulare, con conseguente rottura della cellula ed esposizione del materiale genetico in essa contenuto a muffe e batteri.

Il perito FATTORINI precisa che l’acqua distillata sarebbe ammessa quale solvente, qualora il campione venisse immediatamente conservato a una temperatura molto balla (“-20.-80, non a temperatura ambiente”, come in verbale stenotipico del 24/04/2019), ma va tenuta a mente la testimonianza de Maresciallo XXX che, nel contesto di una catena di custodia mai chiarita, afferma che i reperti sono stati tenuti fermi in un normale magazzino in uso alla compagnia, mediante riscaldato.

Va precisato che questo primo campione non è stato sottoposto ad analisi del DNA, per ragioni non chiare, pertanto il rilievo può dirsi più metodologico che sostanziale nel caso concreto. Il secondo campione è stato raccolto con una spatola e riposto in una provetta di materiale plastico, metodo che non ha subito contestazioni di sorta da parte del consulente di parte avversa. Tuttavia il fatto che, come chiaramente desumibile dalle fotografie riportate dalla CTP nella propria relazione, gli accertamenti tecnici siano stati svolti a mani nude lascia suppore che anche la seconda traccia ematica possa aver subito una qualche forma di contaminazione genetica (il FATTORINI condivide le critiche del BOSCOLO, testimonianza del 24/04/2019).

Problema preliminare e comune ai due repertamenti è costituito dal dato che un primo sopralluogo nell’abitazione ha avuto lungo la sera stessa del furto. Il trascorrere di quasi un giorno in un contesto di passaggio di agenti di PG privi di accortezza verso la corretta conservazione di tracce ematiche non depone certo a favore della correttezza formale e sostanziale della tipizzazione genetica che ne è seguita.

Salta all’occhio il dato che tra la raccolta del campione e la tipizzazione operata dal Reparto investigazioni Scientifiche di Parma siano trascorsi quasi due anni.

Questo dato cronologico, che emerge da un contesto nel quale già non è chiara quale sia stata la catena di custodia dei campioni, rende ancor più difficoltoso attribuire alle analisi genetiche una forte valenza probatoria.

Si parla di LT-DNA o di LCN-DNA, dal momento che il campione risulta numericamente più scarso del nanogrammo di materiale genetico, pari a circa 167 miliardi cellule richiesto per un test ordinario (si veda sul punto la relazione del CTP della difesa). Questa metodologia di analisi è scientificamente attendibile ma non le viene generalmente attribuito valore di prova piena in dibattimento, potendo casomai orientare le ricerche in sede di indagini preliminari (cfr. il summenzionato elaborato del BOSCOLO). È bene far presente che l’indagine a carico del XXX è un cd. cold hit, giacché non esistono altri elementi di prova che riducano la persona dell’imputato al luogo dove è stato commesso il furto. Va da sé che in presenza di un solo elemento a carico dell’imputato, tale dato debba essere robusto sia per quanto concerne le probabilità di colpevolezza, sia sotto il profilo logico.

Un elemento di prova derivante da un test genetico su un quantitativo tanto scarso in base agli standard utilizzati nelle tipizzazioni genetiche, se ben potrebbe aver un valore indiziario decisivo ai fini della decisione nel merito in presenza di altri elementi a carico dell’imputato con esso concordanti nel provare la sua colpevolezza, difficilmente potrebbe da solo reggere l’urto del ragionevole dubbio in dibattimento. Se a tutte queste osservazioni di ordine generale sommiamo tutte le criticità emerse esaminando le analisi effettuate sul DNA, risulta arduo ritenere provata la colpevolezza dell’odierno imputato.

Guardando al concreto esplicarsi del LCN-DNA nel caso di specie, si legge nella relazione tecnica del Maggiore MARINO che al R.I.S. sono stati prese in esame due amplificazioni soltanto del campione esaminato.

La letteratura citata nell’elaborato del CTP difensivo e ad essa allegata richiederebbe perlomeno una terza ripetizione del test, se non addirittura una quarta per aversi una maggiore certezza probabilistica dell’attendibilità degli stessi. Ciò che emerge leggendo gli atti del dibattimento è che una simile tipologia di analisi, dovendo scontare una notevole sensibilità richiede un’attenta ponderazione dei dati che produce.

Il Perito è molto critico nei confronti delle analisi effettuate dal R.I.S. utilizzando il kit ESI 17.

Scrive infatti FATTORINI nell’elaborato peritale che le specifiche del macchinario raccomandano l’uso di 500 picogrammi di DNA per ciascun test. Eppure gli operanti dei PG hanno eseguito due reazioni di PCR con due quantitativi di circa 105 picogrammi (due aliquote di 8075 microlitri di reperto ematico, con una concentrazione rilevata di 12 picogrammi di DNA nucleare per microlitro), ossia poco più di un quinto del quantitativo raccomandato. In aggiunta a queste osservazioni, viene rilevato dal Perito come le analisi delle amplificazioni R1 edR2 ricavate dalla seconda traccia ematica repertata mostrino una “scarsissima ripetibilità dei risultanti”.

R2 ha contato 51 ampliconi contri i 41 frutto di R1, e la regione della discrasia risultante è attribuita dal Perito alla cd. variabilità stocastica, in genere associato ad analisi condotte su campioni scarsi e/o degradati (cfr. Pag. 6 dell’elaborato peritale). Tutti i segnali della seconda replica di analisi palesano un’intensità molto maggiore dei segnali della prima replica, e una tendenza analoga si può osservare dallo studio dei campioni di controllo, quelli cioè effettuati solo sui reagenti al fine di rilevare l’intensità dei fenomeni di drop-in.

Ciò, secondo il consulente tecnico a discarico, implica necessariamente l’aver svolto le analisi in condizioni analitiche diverse, fatto che precipita a zero l’attendibilità scientifica delle analisi, assai diverse negli esiti non soltanto per prevedibili effetti stocastici fisiologici in un esame svolto in presenza di LCD-DNA, ma anche e soprattutto per non aver rispettato le medesime condizioni di base.

Già detto della necessità di almeno tre diverse analisi del campione, quando non anche quattro, per avere maggiore attendibilità dei dati su cui si fonda il teorema accusatorio, non si può non notare come i risultati delle due amplificazioni in vitro analizzate, di numero già di per sé insufficiente in base agli standard del settore, siano stati uniti anziché intersecati, in senso matematico. Il risultato è un profilo genetico descritto dagli operanti come “misto”, poiché si sono buttati tutti gli alleli trovati in un unico calderone.

Prova ne è che osservando nella relazione tecnica gli elenchi tabellari dei loci presi in esame, se ne trovano uno, il D18s51, con 5 alleli e uno, l’FGA, con ben 6 alleli. Dal momento che una singola persona è portatrice per ciascun locus di due alleli uguali (locus omozigote), oppure di due alleli diversi (locus eterozigote), ciò implica, escludendo contaminazioni o effetti dovuti alla complessità del tipo di indagine effettuata, che se il test effettuato fosse nella sostanza corretto (e nella forma non si può affermare che lo sia, date le molteplici criticità osservate e ulteriori imprecisioni che si segnaleranno in seguito), avremmo il patrimonio genetico di tre diverse persone in una singola striscia di sangue prodotta sulla parte di un luogo interessato dalla commissione di crimine che appare pacifico non essere stato violento, inteso quale colluttazione tra due o più persone.

Il Perito leggendo i tracciati elettroforetici giunge alla conclusione che i contributori sarebbero uno solo o al massimo due, sebbene non possa affermarlo con certezza assoluta (si vedano l’elaborato peritale e verbale stenografico del 24/04/2019 agli atti), e anche da un punto di vista meramente logico appare fantasioso ipotizzare che tre contributori diversi abbiano lasciato del materiale genetico in una sola macchia di sangue e che questi soggetti siano effettivamente coloro che hanno compartecipato alla commissione del delitto per il quale si sta producendo.

Forte è il sospetto che il materiale genetico sia stato contaminato dagli operanti di PG o da altre persone nel corso di una catena di custodia non chiarita, o che molti degli alleli estratti siano frutto di fenomeni di cd. drop-in, che non sembrano stati scongiurati dal ricordo ad una metodologia di creazione di un profilo cd. consensus che ha preso tutto ciò che ha trovato al di sopra di una soglia analitica che si dirà essere stata troppo bassa.

Nulla viene detto sul DNA delle persone che sono entrate in contatto col campione, anch’esso prescritto in queste procedure così delicate, e che aiuterebbe a leggere più chiaramente gli alleli risultanti dalle analisi.

Le due amplificazioni sono state effettuate con un sequenziatore automatico 3130XL, utilizzando una soglia analitica di 30 rfu anziché di 60 rfu come prescritto con le procedure validate dai R.I.S stessi (si veda pag. 34 della validazione ISO 17025 del 20/07/2014 del R.I.S di cui all’Allegato 4/4 all’elaborato peritale).

Ferma restando la difficile comprensione delle modalità di creazione del profilo misto ad opera degli operanti di PG, un’ulteriore critica mossa dal Perito alla metodologia di analisi attiene alla cd. soglia stocastica (si legga l’editoriale di cui agli Allegati 9/8-9/9) da applicarsi per considerare i marcatori utili ai fini della creazione del cd. profilo composito, che in questo caso deve essere di 460 rfu.

Il sovrabbondante numero di alleli per ciascun locus è cagionato dalla soglia eccessivamente bassa e del tutto priva di accorgimenti prudenziali applicata per la determinazione degli alleli da inserire nel profilo composito, che risulta pertanto una mera sommatoria di tutti gli elementi tipizzati dalle due repliche del campione genetico.

In aggiunta, la soglia applicata per ciascuna replica risulta la metà di quella che si sarebbe dovuto applicare in ottemperanza ai protocolli allegati, ragion per cui a monte e a valle il quantitativo di alleli risulta sovrabbondante. Applicando la soglia di 460 rfu, gli alleli che sopravvivono al taglio risultano numericamente molto scarsi, tant’è che moltissimi loci sono lasciati vuoti in tabella. Su può soltanto affermare che il soggetto sia di sesso maschile, per il resto il profilo genetico risulta del tutto inutilizzabile per qualsivoglia confronto con quello di altri soggetti.

Gli operanti di PG procedono quindi a calcolare la cd. likelihood ratio, l’indice LR che determina di quante volte l’ipotesi degli inquirenti sia più probabile di quella del difensore, considerando due persone come i contributori del profilo genetico. Eppure il software LRMix utilizzato consente il calcolo della probabilità anche in presenza di tre contributori genetici, dunque non si comprende perché questa semplificazione che gli stessi operanti nella relazione tecnica dicono essere “per finalità di calcolo”. Il consulente BOSCOLO critica l’affermazione contenuta nella relazione tecnica 404-2013 per cui si ritiene che alcuni alleli estranei al profilo genetico dell’imputato potrebbero essere meri artefatti di reazione. Non è chiara la ragione per cui si dovrebbe ammettere la possibilità che alcuni alleli rilevati siano frutto di artefatti di reazione (quando non siano causati da effetti stocastici o fenomeni di drop-in) soltanto qualora siano alleli estranei al patrimonio genetico del XXX. Non si comprende quale differenza di ordine qualitativo entri in gioco, in un contesto i analisi effettuate in aperta contraddizione con gli standard richiesti e dati allelici buttati in un unico maxiprofilo di consenso, a far sì gli alleli coincidenti con l’identità genetica del sospettato abbiano una forza probatoria intrinsecamente maggiore degli alleli ad essa estranei, che ben potrebbero essere frutto di errori nella tipizzazione che gli stessi operanti paiono implicitamente ammettere con una simile conclusione.

Circa l’attendibilità del software utilizzato, significativa è l’opinione a riguardo dei due creatori dello stesso: Hinda Hanet e Peter Gill hanno scritto ( si veda la nota a margine numero 3 delle osservazioni critiche all’elaborato peritale) che se l’LR Mix fornisce valori probabilistici solidi per l’analisi standard del materiale genetico, in presenza di campione scarso ha valore di “strumento di indagine esplorativa”, il che significa che il dati raccolti devono essere interpretati dall’esperto forense al variare nel caso concreto dell’incidenza dei fenomeni di drop-in e drop-out.

Non sorprende che il consulente tecnico della difesa sia riuscito a raggiungere indici di LR persino più alti rispetto a due soggetti estranei al procedimento in esame e oggetto di indagine presso il Tribunale di Latina.

Un numero di alleli sovrabbondante come quello che si ritrova nei loci formanti il profilo “misto” riportato nella relazione tecnica dell’accusa è certamente compatibile con un vastissimo numero di soggetti presi a caso, specialmente all’interno di una popolazione genetica quale quella sinti dotata di una frequenza allelica diversa rispetto a quella della totalità dei consociati, dato che non si è operata una selezione accurata degli alleli tipizzati in sede di creazione di un vero e proprio profilo cd. consensus come prescritto dai protocolli in materia allegati, che richiedono di tenere conto soltanto delle migliori coincidenze tra le amplificazioni (che devono essere almeno tre se non quattro, anziché due soltanto) al fine di ridimensionare entro livelli statisticamente accettabili effetti stocastici.

Nelle osservazioni critiche all’elaborato peritale, il CTP BOSCOLO prende un soggetto appartenente alla medesima sottopopolazione del XXX ed effettua gli stessi calcoli svolti dal Perito mantenendo tutte le possibili combinazioni di input inserite da quest’ultimo. Il risultato è una probabilità di corrispondenza mediamente 100 volte maggiore di quella trovata dal FATTORINI riguardo l’odierno imputato.

Il fatto che uno sconosciuto preso a caso all’interno della stessa sottopopolazione genetica del XXX presenti, a parità di condizioni di partenza, un grado di colpevolezza di gran lunga maggiore dell’imputato significa che la tipizzazione effettuata dagli operanti non è sufficientemente discriminante rispetto ai diversi componenti dell’etnia sinti.

L’aver messo aprioristicamente il profilo genetico del XXX, già conosciuto dai Carabinieri del R.I.S., a  confronto col dato genetico misto non deconvoluto nei singoli profili genetici dei contributori, in assenza di ulteriori riscontri operati con l’ausilio dei database, ha fatto si che ci si concentrasse pregiudizialmente sul soggetto sospettato, ribaltando il corretto paradigma di indagine e finendo così, come dimostrato dagli esempi allegati agli atti, per giungere a dei calcoli probabilistici che poggiano su premesse errate.

Se guardiamo agli alleli riportati in forma tabellare nella relazione tecnica, notiamo che i loci descritti sono solo 16 anziché 17, presupposto necessario della tipologia di sequenziazione utilizzata, la PPX ESI 17. Oltre al locus AMEL rappresentativo del sesso XY, solo leggibili soltanto altri 15 loci in luogo dei 16 previsti: il locus SE33 manca nella tabella (e non ha prodotto risultati nel grafico degli elettroferogrammi, si vedano le dichiarazioni del Maggiore MARINO a verbale stenotipico de 29/11/2017). Alle difficoltà già viste deve pertanto aggiungersi la carenza di un locus decisivo ai fini di indagine, poiché la corrispondenza si deve calcolare su 16 loci più uno anziché sui qui 15 presenti più uno. Non si comprende quindi come si potesse procedere a un confronto diretto tra il profilo genetico estrapolato dalla traccia repertata sul luogo di commissione del reato e i profili genetici presenti nel database in uso ai R.I.S. di Parma, mancando uno dei loci necessari per operare un confronto tra 17 loci anziché 16 e considerato anche il fatto che il profilo cd. misto ottenuto dalla somma dalle amplificazioni in numero insufficiente sul campione repertato presentava un sovrannumero palese di alleli rispetto a quelli presenti in un solo profilo genetico.

Ci pensa la stessa relazione tecnica del Maggiore MARINO a fugare i dubbi nl merito spiegando che si è proceduto a un confronto tra il profilo genetico de XXX e i profili genetici repertati sulle scene del presente e di analoghi delitti.

Tale modalità è radicalmente contestata da consulente tecnico di parte avversa, che afferma essere in netto contrasto con le metodologie prescritte dai protocolli internazionali in materia, che richiedono un confronto diretto tra i profili genetici (deconvoluti nei singoli profili dei contributori genetici qualora si tratti di profili cd. misti come nel caso di specie) tipizzati e i profili iscritti nei database in uso presso i corpi di PG ad alta specializzazione scientifica.

Aggiunge BOSCOLO (come da verbale stenotipico del 09/07/2017) che non si possa confrontare il DNA di un sospettato con il database dei casi irrisolti, poiché non c’è un modello matematico-statistico per fare poi il calcolo della forza di questa evidenza probatoria.

Un’ulteriore problematica insita in questa modalità di confronto viene evidenziata dal CTP difensivo nelle osservazioni critiche all’elaborato peritale, laddove, citando la fonte cui attinge (indicata nella nota a margine numero 1), riporta che lo stesso inventore dell’attuale metodica di analisi del DNA, Prof. K. Mullis, ha esplicitamente raccomandato di svolgere il test mantenendo una netta cesura tra gli operanti svolgenti le attività di indagine che vengono a conoscenza della tipizzazione dei sospettati e chi maneggia i database con i profili genetici da porre a confronto con i primi. Come ampiamente verificato, questo presidio importante sotto il profilo di un’analisi scevra da pregiudizi di sorta, non è stato messo in atto nell’indagine della quale si devono trarre le conclusioni in questa sede.

Circa l’utilizzazione del software LRMix, nella relazione tecnica del Maggiore MARINO non vengono precisati i dati di input inseriti ai fini di calcolo.

Vi è molta variabilità dell’indice LR al variare dei dati di input diversi che possono essere inseriti in base ai parametri specifici da prendere in considerazione nel caso concreto. Non sembra essersi tenuto conto, nell’inserimento dei dati di input, del fatto che la tipizzazione è stata effettuata in condizioni di LCN-DNA, e che pertanto l’indice di drop-out andrebbe alzato.

Non si è altrettanto tenuto conto del fatto che l’imputato è un sinti.

Il professor FATTORINI, nel suo elaborato, afferma di poter comunque calcolare l’indice LR confrontando i dati ottenuti dalle due amplificazioni de materiale genetico estrapolato da una delle tracce ematiche repertate, applicando una soglia analitica di 60 rfu (invece della soglia più bassa di 30 rfu applicata dal consulente tecnico del Pubblico Ministero).

Il ventaglio dei calcoli dell’indice LR è stato rimodulato dal Perito tenendo conto delle ipotesi accusatorie e difensive in presenza di più contributori genetici e di una maggiore o minore frequenza allelica dipendente dal grado di consanguineità del gruppo etnico di riferimento.

Stante il fatto che i sinti costituiscono una popolazione chiusa, che conserva l’usanza di celebrare matrimoni e avere figli all’interno della stessa famiglia/comunità, FATTORINI suggerisce, accogliendo le istanze del CTP della difesa, di alzare la correzione theta nei calcoli a un valore di0.05, accanto a quello generalmente utilizzato di 0.01. i valori di LR che ne risultano spaziano dall’estremamente forte, con esponenti di potenze a due decimali di 10, a un valore di 11, ovvero debole-moderato, il che comporta un giudizio di inconclusività circa l’identità tra il profilo genetico misto repertato nello scenario de furto e il profilo genetico dell’attuale imputato. Agli atti sono allegati estratti di altri procedimenti penali che coinvolgono i figli del XXX, che potrebbero astrattamente essere stati gli autori del furto in luogo del padre.

Il Perito è molto chiaro nelle sue sintetiche conclusioni finali: se è vero che effettuando il calcolo (utilizzando i dati estrapolati da procedure contrarie ai protocolli in materia) in maniera più esaustiva e precisa rispetto a quanto fatto dai R.I.S. nella relazione tecnica 404-2013 l’ipotesi accusatoria è pure sempre preponderante rispetto a quella difensiva, le procedure vigenti all’epoca nella sede parmense non avrebbero potuto che condurre a un giudizio di inconclusività.

La giurisprudenza della Corte di legittimità riconosce all’indagine genetica piena valenza di prova, e non di mero elemento indiziario ex art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. ma prosegue statuendo che nei casi in cui l’indagine non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita valenza indiziaria (se. II, n.8434 del 05/02/2013, Mariller; sez. I, n. 48349 del 30/06/2004).

Il test del DNA in condizioni di Low Copy Number è considerato dalla letteratura scientifica alla stregua di mero indizio, capace soltanto di orientare il giudizio, non di determinarlo.

Come scritto più sopra, i creatori del software LR Mix attribuiscono valore di mero “strumento di indagine esplorativa” ai risultati dei calcoli operati in condizioni di scarsità di campione.

Alla luce della giurisprudenza esposta va pertanto ritenuto che la tipizzazione del DNA, mero indizio in un caso di cold-hit, non costituisca prova sufficiente a sancire la penale responsabilità dell’imputato in assenza di ulteriori indizi concordanti.

All’unico indizio presente mancano anche i connotati della gravità e della precisione richiesti dal comma secondo dell’art. 192 c.p.p., attese le imprecisioni che hanno segnato la fase delle indagini. Sul punto si cita la sent. Sez. V, n. 36080 del 27 marzo 2015, che chiude il caso Kercher, laddove rileva che tali connotati (gravità, precisione e concordanza di cui l’art. 192 comma secondo c.p.p.) si compendiano della cd. “certezza” dell’indizio, pur se tale requisito non è espressamente enunciato dall’art. 192 comma 2 cod. proc. pen.

Si tratta, per vero, di ulteriore connotazione ritenuta indefettibile dalla consolidata giurisprudenza ed intrinsecamente legata alla stessa sistematica della prova indiziaria, attraverso cui, con procedimento di logica formale, si perviene alla dimostrazione del tema di prova – fatto ignoto – partendo da un fatto noto e, dunque, accertato come vero.

Ben s’intende, infatti, che una simile procedura sarebbe, in nuce, fallace e inaffidabile, ove muovesse da premesse fattuali non precise e gravi e dunque certe. Restando, ovviamente, inteso che la certezza, di cui si discute, non deve essere assunta in termini di assolutezza o di verità in senso ontologico; la certezza del dato indiziante è, infatti, pur sempre una categoria di natura processuale, partecipando di quella species di certezza che si forma nel procedimento attraverso il procedimento probatorio.

Alla stregua di tali considerazioni non si vede, proprio, come il dato di analisi genetica – che sia svolta in violazione dei protocolli in materia di repertazione e conservazione – possa dirsi dotato di collaudate conoscenze, misurate in esito a ripetute sperimentazioni e significativi riscontri statistici di dati esperienziali, quelle regole compendiano gli standards di affidabilità delle risultanze dell’analisi, sia in ipotesi di identità, che in mera compatibilità con un determinato profilo genetico.

Diversamente, al dato acquisito non potrebbe riconnettersi rilevanza alcuna, neppure di mero indizio.

Gli elementi sopra indicati non sono quindi sufficienti per affermare la penale responsabilità del XXX in ordine al reato in contestazione.

Necessitano gg. 60 per il deposito delle motivazioni.

P.Q.M

Visto l’artt. 530 c.p.p.

ASSOLVE

XXX dal reato ascritto per non aver commesso il fatto.

Fissa in gg. 60 il termine per il deposito della motivazione.

 Trieste, 24 aprile 2019

Il giudice CP

Motivazione redatta in collaborazione con il tirocinante dott. FT