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Diritto di difesa richiede contraddittorio informato (Corte Costituzionale, 16/94)

3 febbraio 1994, Corte Costituzionale

La garanzia del contraddittorio rispetto alle prove dedotte da ciascuna delle parti e' certamente un cardine del vigente sistema processuale, e vale anche nell'udienza preliminare.

Ove le indagini suppletive del pubblico ministero sopravvengano in tempi tali da non consentire un'adeguata difesa, spetti al giudice di regolare le modalità di svolgimento dell'udienza preliminare anche attraverso differimenti congrui alle singole, concrete fatti specie, sì da contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio.

 

Corte Costituzionale

SENTENZA N. 16

ANNO 1994

 

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 419, terzo comma e 421, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1993 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di D'Avossa Gianalfonso, iscritta al n.331 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti l'atto di costituzione di D'AG, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 novembre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

l.- In un procedimento nel quale il pubblico ministero aveva compiuto vari atti di indagine dopo la richiesta di rinvio a giudizio ed aveva depositato la relativa documentazione solo il giorno prima dell'udienza preliminare, il Tribunale militare di Padova ha sollevato, con ordinanza del 16 marzo 1993, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., una questione di legittimità costituzionale dell'art. 419, terzo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un termine per l'adempimento dell'obbligo di trasmissione al giudice per le indagini preliminari di detta documentazione e, più specificamente, che tale trasmissione avvenga "immediatamente" dopo la ricezione del relativo invito.

Premesso che la previsione di detto termine servirebbe a tutelare, mediante una tempestiva discovery, il diritto dell'imputato ad un effettivo contraddittorio - e che pertanto la questione e' rilevante anche in fase dibattimentale in quanto verte su un'ipotesi di nullità ex art. 178, lettera c) in relazione all'art. 180 del codice di procedura penale - il Tribunale rileva che nella specie il deposito degli atti d'indagine "susseguenti" - compiuti sia prima che dopo l'avviso ex art. 419, terzo comma - avvenne in modo da consentirne a malapena alla difesa una mera lettura; e osserva che, al contrario, il deposito, nella stesura finale del codice, fu trasformato da facoltà in obbligo proprio per consentire all'imputato di vagliare adeguatamente la linea difensiva alla stregua di tutti gli elementi gravanti a suo carico, e che nella stessa prospettiva di salvaguardia del contraddittorio si colloca la previsione (art. 419, quarto comma) di un intervallo di dieci giorni tra l'udienza preliminare e la notifica del relativo decreto di fissazione.

L'invocato termine - osserva ancora il remittente - non e' espressamente previsto, ne' e' ricavabile aliunde, dato che, secondo i lavori preparatori, la documentazione d'indagine "susseguente" può essere trasmessa anche all'udienza preliminare; ne' sarebbe consentito - data l'esigenza di speditezza di detta fase - ritenere che possa al riguardo concedersi un termine per la difesa.

Dagli atti in questione, per di più, potrebbe risultare uno stravolgimento del quadro probatorio - con conseguente effetto "a sorpresa" per l'imputato - dato che la norma impugnata non circoscrive in alcun modo quelli assumibili, diversamente da quanto fa l'art. 430 del codice di procedura penale per la fase susseguente al decreto che dispone il giudizio. Anzi, tali atti potrebbero addirittura essere quelli su cui effettivamente si fonda il rinvio a giudizio, dato che non e' consentita una previa valutazione degli elementi posti a fondamento della relativa richiesta ai fini della fissazione dell'udienza preliminare.

Ad avviso del Tribunale rimettente, poi, alla mancanza di un termine per il deposito degli atti "susseguenti" non potrebbe supplirsi - come ritenuto da una decisione di merito - ritenendo che dalla norma impugnata discenda l'inutilizzabilità nell'udienza preliminare di quelli compiuti dal pubblico ministero dopo la ricezione dell'invito a trasmetterli (salvo a far uso di essi ai fini delle ulteriori informazioni richieste in tale sede ex art. 422, primo comma, del codice di procedura penale ovvero per chiedere la revoca, ex art. 435 del codice di procedura penale, dell'eventuale sentenza di non luogo a procedere). Ne' una parziale menomazione del diritto di difesa potrebbe giustificarsi in base alla natura e funzione dell'udienza preliminare, dato che una completa conoscenza degli elementi a suo carico e' essenziale all'imputato per valutare se gli convenga ricercare prove a discarico per ottenere già in essa il "non luogo a procedere", ovvero optare per la richiesta di un rito speciale (applicazione di pena, rito abbreviato o immediato) o per la via dibattimentale.

Di qui la necessità di contemperare l'esigenza di prosecuzione delle indagini (ex art. 112 Cost.) con il diritto dell'imputato di difendersi rispetto ad ogni elemento raccolto a suo carico, mediante la fissazione di un termine per il deposito degli atti d'indagine susseguenti alla richiesta di rinvio a giudizio, decorso il quale dovrebbe venir meno il potere del pubblico ministero di procedere ad ulteriori indagini utilizzabili per l'udienza preliminare: deposito che - a precisazione del petitum - dovrebbe avvenire "immediatamente" dopo la ricezione del relativo invito di cui art. 419, terzo comma, del codice di procedura penale sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 430 del codice di procedura penale per l'attività integrativa di indagine successiva all'emissione del decreto che dispone il giudizio.

La violazione denunciata - osserva infine il Tribunale rimettente - non viene meno per il fatto che l'art. 421, terzo comma, del codice di procedura penale consente all'imputato di produrre atti e documenti nell'udienza preliminare, fino all'inizio della discussione, e quindi gli attribuisce anche un potere di controprova rispetto alla documentazione trasmessa ex art. 419, terzo comma, del codice di procedura penale o presentata dal pubblico ministero nella stessa udienza. Tale potere non sarebbe infatti effettivo rispetto agli atti d'indagine allegabili "a sorpresa" fino a tale momento; e da ciò dovrebbe, anzi, dedursi l'illegittimità costituzionale conseguenziale - ex art. 27 legge n. 87 del 1953 - del medesimo art. 421, terzo comma, nella parte in cui consente che atti d'indagine susseguenti alla richiesta di rinvio a giudizio e non trasmessi "immediatamente" ex art.419, terzo comma, siano presentati direttamente all'udienza preliminare.

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, pur premettendo che l'esigenza di accertamento della verità potrebbe teoricamente legittimare una limitata compressione del diritto di difesa, osserva che questa può essere evitata ritenendo, in via interpretativa, che la comunicazione al pubblico ministero dell'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini successive alla richiesta di rinvio a giudizio segni, implicitamente, il limite temporale alle indagini utilizzabili nell'udienza preliminare, e l'ambito degli elementi di prova in essa rilevanti: salva, peraltro, l'utilizzazione di quelli posteriori nel dibattimento, o ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, ovvero nella stessa udienza preliminare nell'ipotesi di cui all'art. 422, primo comma, del codice di procedura penale.

Ad avviso dell'Avvocatura, tale interpretazione e' confortata non solo dalla struttura logica della norma impugnata ma anche dalla complessiva disciplina dell'udienza preliminare. Poiche' infatti l'obbligo di trasmettere, con la richiesta di rinvio a giudizio, l'intera documentazione relativa alle acquisizioni probatorie conseguite (art. 416, secondo comma, del codice di procedura penale) e' finalizzato - secondo la Relazione al progetto preliminare del codice - a consentire all'imputato "di compiere le scelte nell'ambito delle diverse alternative poste dai riti differenziati", sarebbe contraddittorio che per gli atti d'indagine successivi sia consentita una discovery ritardata fino all'inizio della discussione nell'udienza preliminare (la richiesta di giudizio immediato, tra l'altro, va effettuata tre giorni prima di tale udienza).

Quanto al termine entro cui gli atti dovrebbero essere trasmessi, dovrebbe ritenersi che, in assenza di una previsione esplicita, la spedizione non possa che essere effettuata immediatamente dopo la ricezione dell'avviso.

3.- La difesa della parte privata si e' costituita (fuori termine) depositando una memoria adesiva alle argomentazioni e conclusioni dell'ordinanza di rimessione.

 

Considerato in diritto

 

l.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale militare di Padova dubita che l'art. 419, terzo comma, del codice di procedura penale contrasti con il diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost. in quanto, non prevedendo un termine per la trasmissione ed il deposito da parte del pubblico ministero della documentazione degli atti d'indagine successivi alla richiesta di rinvio a giudizio - e più specificamente, in analogia con quanto disposto dall'art. 430 del codice di procedura penale, che a tale obbligo si ottemperi "immediatamente" dopo la ricezione del relativo invito - consente per tali atti una "discovery" ritardata fino all'udienza preliminare - con conseguente effetto "a sorpresa" - e perciò impedisce all'imputato di vagliare la propria linea difensiva alla stregua di tutti gli elementi a suo carico, di apprestare eventuali controprove e di effettuare scelte consapevoli in ordine ai riti differenziati richiedibili all'udienza preliminare.

Dall'accoglimento di tale questione, secondo il giudice rimettente, dovrebbe inoltre derivare - in riferimento allo stesso parametro - la declaratoria d'illegittimità costituzionale conseguenziale (ex art.27 della legge n. 87 del 1953) dell'art. 421, terzo comma, del medesimo codice, nella parte in cui consente di presentare direttamente all'udienza preliminare gli atti d'indagine compiuti successivamente al termine come sopra precisato.

2.- La questione non e' fondata, nel senso di cui si dirà in appresso.

Non pare dubbio, innanzitutto, che la prospettiva additata dal giudice a quo si ponga in contraddizione con l'impianto sistematico desumibile dalle norme positive.

Il legislatore, infatti, non solo non ha frapposto limitazioni temporali all'attività d'indagine suppletiva consentita al pubblico ministero dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, terzo comma), ma ha consentito alle parti la produzione di (ulteriori) atti e documenti nel corso dell'udienza preliminare (art. 421, terzo comma) ed al pubblico ministero di compiere indagini integrative - pur se in certi limiti oggettivi - successive al decreto che dispone il giudizio (art.430), anche qui, senza specifiche limitazioni temporali. La continuità che si e' in tal modo voluta assicurare alle indagini utili, prima alla decisione sul rinvio a giudizio e poi alla formazione della prova in dibattimento, sarebbe evidentemente frustrata dallo spazio vuoto che l'ordinanza vorrebbe interporre.

L'introduzione di questo, tra l'altro, potrebbe avere il paradossale risultato di indurre il giudice dell'udienza preliminare a richiedere, con lo strumento di cui all'art. 422 del codice di procedura penale, ulteriori indagini che sono state già svolte nel periodo in questione ma che - nella prospettiva qui esaminata - non sarebbero utilizzabili in detta udienza. E sarebbe del pari irrazionale un congegno che - come il giudice a quo propone - contemplasse indagini non utilizzabili ai fini della decisione sul rinvio a giudizio e utilizzabili, invece, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere.

Del resto, il limite temporale che questi vorrebbe frapporre alle indagini del pubblico ministero sarebbe in contraddizione con l'assenza di norme che circoscrivano la facoltà del difensore di raccogliere nella fase in questione elementi utilizzabili all'udienza preliminare.

3.- A ben vedere, poi, il richiamo, come paradigma, alla disposizione (art. 430) che impone al pubblico ministero di depositare "immediatamente" gli atti di indagine successivi al decreto che dispone il giudizio e' inidoneo a risolvere il problema posto dall'ordinanza.

Invero, che anche gli atti di indagine successivi alla richiesta di rinvio a giudizio debbano essere, pur in mancanza di un'analoga previsione espressa, depositati "immediatamente", man mano che vengono formati, nella cancelleria del giudice si desume già, implicitamente, dal fatto che, dopo gli adempimenti che a tale richiesta conseguono (art. 416, secondo comma, del codice di procedura penale), non esiste più presso il pubblico ministero alcun "fascicolo" nel quale versarli; ed a porre rimedio ad eventuali ritardi provvede l'art. 131 disp. att. cod. proc. pen. disponendo che le parti private possono prendere visione dei risultati delle indagini "nel luogo dove si trovano".

Ma altro e' riconoscere ciò, altro e' affermare l'inutilizzabilità, nell'udienza preliminare, delle indagini successive all'"invito" di cui all'art. 419, terzo comma. Ad un simile risultato il giudice a quo perviene in quanto assume che l'esigenza di speditezza dell'udienza preliminare precluderebbe al giudice di disporre il differimento per consentire alla difesa di controdedurre rispetto ad atti d'indagine compiuti nell'imminenza di essa.

Tale presupposizione non può, però, essere condivisa.

Nel dettare le regole di svolgimento dell'udienza preliminare il legislatore ha già previsto espressamente - agli artt. 420, comma 4 e 422, comma 4 del codice di procedura penale - due ipotesi di differimento di essa funzionali alla salvaguardia del contraddittorio.

Nulla autorizza a ritenere che si tratti di ipotesi tassative, dato che la disciplina di detta udienza si caratterizza per la sua essenziale scheletricità (basti pensare all'assenza di esplicite previsioni al riguardo nell'ipotesi di nuove contestazioni ex art. 423 del codice di procedura penale);

e ciò vale tanto più se si ha riguardo all'ampliamento della materia oggetto del contraddittorio che consegue alla soppressione della regola dell'"evidenza" contenuta nell'art. 425 del codice di procedura penale (cfr. art. 1 legge 8 aprile 1993, n. 105).

D'altra parte, la considerazione dell'esigenza di concentrazione del dibattimento non ha impedito a questa Corte (sentenza n.203 del 1992) di dedurre dal sistema processuale che si debbono ritenere consentite sospensioni di breve durata di esso per motivi non esplicitamente indicati, qualora ciò si appalesi assolutamente necessario alla salvaguardia del contraddittorio (nella specie, rispetto alle prove introdotte tardivamente ex art. 493, terzo comma, del codice di procedura penale). E poiche' la garanzia del contraddittorio rispetto alle prove dedotte da ciascuna delle parti e' certamente un cardine del vigente sistema processuale, essa deve valere anche nell'udienza preliminare (ovviamente, nei limiti posti dall'oggetto del giudizio che vi si svolge).

Di conseguenza, e' da ritenere che, ove le indagini suppletive del pubblico ministero sopravvengano in tempi tali da non consentire un'adeguata difesa, spetti al giudice di regolare le modalità di svolgimento dell'udienza preliminare anche attraverso differimenti congrui alle singole, concrete fatti specie, sì da contemperare l'esigenza di celerità con la garanzia dell'effettività del contraddittorio.

In questi termini, la questione va dichiarata infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 419, terzo comma, del codice di procedura penale, in riferimento all'art.24, secondo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/01/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/02/94.