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Detenuto malato e dignità della persona (Cass. 6300/22)

22 febbraio 2022, Cassazione penale

Al fine di verificare l'eventuale incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del detenuto ai fini dlla eventuale detenzione domiciliare, è necessario compiere un giudizio articolato in più fasi:

- in primo luogo, è necessario verificare la compatibilità in astratto, tenendo conto dell'inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità;

- in seconda battuta, occorre accertare se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell'istituto in cui egli è ristretto (tenendo conto delle esigenze diagnostiche e delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita) e alle, eventuali, ulteriori strutture carcerarie dove poterlo trasferire;

- infine, è necessario verificare se, in ogni caso, sia possibile assicurare i suddetti interventi diagnostico e terapeutici attraverso il ricorso allo strumento del ricovero in luogo esterno di cura.

E ove si ritenga, all'esito di tale composita valutazione, che non ricorra alcuna delle condizioni predette, è comunque necessario verificare l'incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l'eventuale disumanità della pena.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 28/01/2022) 22-02-2022, n. 6300

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe - Presidente -

Dott. ALIFFI Francesco - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.G.S., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 12/05/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FRANCESCO ALIFFI;

lette le conclusioni del S. Procuratore generale Dr. LIGNOLA Ferdinando, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità.

Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha rigettato l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena per ragioni di salute, anche nella forma della detenzione domiciliare, formulata, ai sensi dell'art. 147 c.p. e L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, comma 1-ter, (Ord. pen.), nell'interesse di D.G.S., detenuto nella Casa reclusione di (OMISSIS) in espiazione della pena di 25 anni di reclusione inflitta con sentenza in data 7 aprile 2017 della Corte di assise di Catania, che lo ha condannato per omicidio e soppressione di cadavere, con fine pena al 30 ottobre 2042.

Il Tribunale, dopo aver dato atto che le patologie da cui è il detenuto affetto, come descritte nell'ultima relazione dei sanitari dell'istituto penitenziario, sono gestibili all'interno della struttura penitenziaria o mediante saltuari ricoveri in luoghi esterni di cura, è pervenuto alla conclusione della compatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario, anche con riferimento al denunziato pericolo di contagio da Covid 19. A quest'ultimo proposito, ha evidenziato che l'attuale situazione sanitaria della Casa di reclusione non era tale da esporre il D.G. ad un più grave rischio epidemiologico.

2. Ricorre, per il tramite del difensore di fiducia, il D.G., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 147 c.p. e art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. nonchè la mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alla riconosciuta sussistenza dei presupposti per il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena.

Lamenta che la decisione del Tribunale non abbia preso in alcuna considerazione le condizioni psichiche nonostante la loro evidente vulnerabilità. Come risulta dalla consulenza in atti, il D.G., in costanza di detenzione, ha posto in essere ripetuti atti anticonservativi e, più di recente subito dopo il pronunciamento negativo del magistrato di sorveglianza ha tentato il suicidio.

Aggiunge che sono state travisate o comunque ingiustificatamente minimizzate le conclusioni della relazione sanitaria posta a fondamento della decisione. In tale elaborato è esplicitamente affermato che la protrazione della detenzione poteva essere pregiudizievole per le condizioni di salute del detenuto alla luce del quadro nosologico e della età avanzata.

In definitiva, il Collegio, nel bilanciamento tra l'interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività, ha dato prevalenza a queste ultime argomentazioni apodittiche e superficiali, senza valutare il tipo e la gravità delle patologie, nemmeno indicate. Così operando si è discostato dai principi elaborati dalla giurisprudenza, convenzionale, costituzionale e di legittimità, ampiamente richiamati.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

1. Il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena può essere disposto qualora, secondo la previsione contenuta nell'art. 147 c.p., comma 1, n. 2, il condannato risulti affetto da "una grave infermità fisica"; e, nella stessa ipotesi, l'art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen. stabilisce che il tribunale di sorveglianza può applicare la detenzione domiciliare (definita, in tal caso, come "umanitaria"), nel caso in cui vi siano esigenze di contenimento della pericolosità sociale del soggetto e tale misura risulti in concreto adeguata, con le restrizioni e le limitazioni possibili, a fronteggiare il rischio residuo.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il differimento facoltativo della pena è applicabile, in ossequio ai principi affermati dall'art. 27 Cost., comma 3 e art. 32 Cost., quando ricorra almeno una delle seguenti condizioni: 1) lo stato patologico del detenuto consenta di configurare una prognosi infausta quoad vitam ravvicinata; 2) vi sia una affezione che determini la probabilità di rilevanti conseguenze dannose per il soggetto, eliminabili o procrastinabili con cure o trattamenti non praticabili in regime inframurario, neppure mediante ricovero in luoghi esterni di cura ai sensi dell'art. 11, Ord. pen. (così Sez. 1, n. 37216 del 5/3/2014, Carfora, Rv. 260780; Sez. 1, n. 30945 del 5/7/2011, Vardaro, Rv. 251478; Sez. 1, n. 8936 del 22/11/2000, dep. 2001, Rv. 218229); 3) ricorrano condizioni di salute talmente gravi da porre la espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità o comunque da non consentire al condannato di partecipare consapevolmente al processo rieducativo (Sez. 1, n. 16681 del 24/1/2011, Buonanno, Rv. 249966; Sez. 1, n. 22373 del 8/5/2009, Aquino, Rv. 244132), tenuto conto della durata della pena e dell'età del condannato comparativamente con la sua pericolosità sociale (Sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018, Cinà, Rv. 274879).

1.1. Al fine di verificare l'eventuale incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del detenuto, è necessario compiere un giudizio articolato in più fasi (v. Sez. 1, n. 50998 del 17/10/2018, Martinelli, non massimata).

In primo luogo, è necessario verificare la compatibilità in astratto, tenendo conto dell'inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità. In seconda battuta, occorre accertare se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle concrete caratteristiche dell'istituto in cui egli è ristretto (tenendo conto delle esigenze diagnostiche e delle modalità di somministrazione delle terapie di cui il soggetto necessita) e alle, eventuali, ulteriori strutture carcerarie dove poterlo trasferire. Indi, è necessario verificare se, in ogni caso, sia possibile assicurare i suddetti interventi diagnostico e terapeutici attraverso il ricorso allo strumento del ricovero in luogo esterno di cura. E ove si ritenga, all'esito di tale composita valutazione, che non ricorra alcuna delle condizioni predette, è comunque necessario verificare l'incidenza della condizione detentiva sulla dignità della persona, al fine di accertare l'eventuale disumanità della pena.

Una volta esaurita la ricognizione sul versante delle condizioni di salute in rapporto allo specifico contesto detentivo (anche in rapporto al divieto di trattamenti disumani o degradanti), occorre ulteriormente verificare se l'eventuale differimento dell'esecuzione possa consentire al condannato di commettere nuovi reati. L'art. 147 c.p., comma 4, infatti, contempla il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena a condizione che l'interessato non sia socialmente pericoloso, ovvero quando non "sussista il concreto pericolo della commissione di delitti". Una valutazione, questa, che non può esaurirsi nella astratta considerazione dei precedenti penali o degli eventuali carichi pendenti, ma deve essere contestualizzata e riferita alle condizioni di salute del soggetto, le quali potrebbero essere talmente scadute da incidere in maniera determinante sulla sua pericolosità. Un apprezzamento, quello sul rischio di recidiva, che deve essere a sua volta realizzato tenendo conto di un ulteriore fattore, ovvero della possibilità, contemplata dall'art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., di far luogo, ricorrendo le condizioni per il differimento, all'applicazione della detenzione domiciliare speciale. E ciò nel caso in cui l'applicazione di tale misura contenitiva sia necessaria, e sufficiente, a contenere una residua pericolosità sociale.

2. Tanto premesso in termini generali, occorre sottolineare, quanto al primo tipo di accertamento, che l'ordinanza impugnata si è limitata a prendere atto di alcune valutazioni espresse nella relazione sanitaria redatta in data 8 maggio 2021, senza confrontarsi, pur sollecitata da specifici rilevi espressi dall'interessato, con l'intero elaborato che evidenzia, in sede di conclusioni, criticità legate ad un elemento, l'età avanzata del detenuto, di particolare pregnanza perchè considerato dall'ordinamento da solo sufficiente per l'applicazione, in favore del detenuto, di norme derogatorie in tema di detenzione carceraria: l'art. 275 c.p.p., comma 4, che esclude per gli ultrasettantenni la custodia cautelare in carcere, salvo la esistenza di esigenze eccezionalmente rilevanti; l'art. 163 c.p., comma 3, che amplia per i rei ultrasettantenni la concedibilità della sospensione condizionale dell'esecuzione della pena; l'art. 47-ter, comma 1, lett. d), Ord. pen., che estende la possibilità di scontare una pena, non superiore ai quattro anni e non superiore ai quattro, in regime di detenzione domiciliare al soggetto di età superiore a sessanta anni anche solo parzialmente inabili, intendendosi per tali gli ultrasessantenni "in condizioni psico - fisiche di decadimento, non temporaneo tale da incidere sulla sua concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana, limitandone apprezzabilmente la vita sociale e di relazione" (Sez. 1, 33339 del 7/7/2021, Marino, Rv. 281789).

Parimenti, sono state ignorate le condizioni psichiche del detenuto nonostante, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019, siano da sole rilevanti, ove assumano le caratteristiche di "grave infermità psichica", per disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen..

Risulta, infine, solo apparentemente valutata la eventuale incidenza della epidemia da covid-19 nel contesto penitenziario, la cui rilevanza, rispetto alla situazione specifica, è stata apprezzata solo ricorrendo alla massima di esperienza, secondo cui gli effetti della pandemia sarebbero sostanzialmente gli stessi sia in carcere sia all'esterno; impostazione che il legislatore ha chiaramente ritenuto insufficiente quando ha introdotto una disciplina speciale volta a fronteggiare l'emergenza covid-19 in carcere, in particolare con il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, ma anche con il D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla L. 25 giugno 2020, n. 70. Sono, quindi, necessari accertamenti sull'incidenza del rischio di contagio nel caso specifico, che, dal tenore del provvedimento, non è dato comprendere se siano stati compiuti.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicchè l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Catania affinchè provveda al nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, nel rispetto, però, dei principi di diritto testè puntualizzati e colmando le evidenziate lacune motivazionali.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022