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Contatto sessuale con partner che dorme è reato? (Cass. 48335/17)

20 ottobre 2017, Cassazione penale

Nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l'intero corso del compimento dell'atto sessuale: la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità del compimento dell'atto sessuale.

Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario nè l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, e nè la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest'ultima al compimento di atti sessuali.

Infatti, oltre alla costrizione fisica, l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima nei reati di violenza sessuale va esaminata non secondo criteri astratti aprioristici, ma tenendo conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva. Anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, può esser sufficiente ad integrare, senza neppure necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Sent., (ud. 06/07/2017) 20-10-2017, n. 48335

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni - Presidente -

Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - Consigliere -

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere -

Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.D., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/09/2016 della Corte d'appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Emanuela Gai;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Filippi Paola, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;

udito per l'imputato l'avv. M in sost. Avv. P che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Forlì, con sentenza in data 26/09/2011, ha condannato S.D. per il reato di violenza sessuale continuata di cui all'art. 81 c.p., comma 2, art. 609-bis c.p., commi 1 e 3 (capo A), maltrattamenti in famiglia, ingiuria e minaccia, di cui agli artt. 572, 612 e 594 c.p. (capo B), commessi in danno della moglie C.M., con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni quattro di reclusione, pene accessorie. Il Tribunale ha altresì condannato il ricorrente al risarcimento dei danni in favore della parte civile con liquidazione di una provvisionale di Euro 10.000,00.

1.1. In particolare, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa C.M., ritenute attendibili per coerenza, linearità del racconto, e in presenza di elementi idonei ad avvalorare l'attendibilità, costituiti dalle dichiarazioni della sorella, di un'amica, nonchè di una dipendente della gelateria ove svolgeva attività lavorativa, il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato per il reato di violenza sessuale continuata, consistita nell'aver avuto un rapporto sessuale non consenziente con la moglie mentre dormiva, avvenuto il (OMISSIS), e nel compimento di altri atti sessuali contro la sua volontà mentre dormiva, consistiti in toccamenti nelle parti intime, in data (OMISSIS), nonchè per il reato di maltrattamenti in famiglia, consistiti nel proferire frasi offensive, denigratorie, nel porre in essere condotte umilianti (sputi), violente (spintoni) e minacce, comportamenti vessatori anche in presenza dei figli minori, fino al (OMISSIS), nonchè dei reati di ingiuria e minaccia.

2. Investita dell'impugnazione da parte dell'imputato, la Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 14 settembre 2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Forlì, ha assolto S.D. dal reato di ingiuria perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, ex D.Lgs. n. 7 del 2016, e assorbito il reato di minaccia in quello di maltrattamenti e riconosciuta l'ipotesi di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3 per il reato commesso il (OMISSIS), ha rideterminato la pena inflitta all'imputato in anni due e mesi sette di reclusione, con revoca della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e conferma nel resto della sentenza.

2.1. Alla conferma della sentenza di primo grado, in punto affermazione di responsabilità, il giudice dell'impugnazione è pervenuto condividendo la ricostruzione dei fatti e il positivo giudizio di attendibilità della persona offesa, la cui linearità, coerenza e precisione delle dichiarazioni non era scalfita dalla dedotta illogicità della motivazione; queste erano, poi, riscontrate dalle dichiarazioni rese dalla sorella R. e dell'amica G.. Respinta la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione della testimonianza del fratello dell'imputato, in quanto non decisiva, e le censure in punto attendibilità della persona offesa per non aver raccontato subito, in occasione della querela, l'episodio di violenza sessuale del (OMISSIS), e il prospettato errore di fatto sul consenso, e la censura di improcedibilità ex art. 609-septies c.p. dei reati di violenza sessuale in assenza di querela, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio (vedi supra par. 1.1).

3. Avverso la sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia di S.D., e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

3.1. Con un primo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) in relazione all'omessa assunzione di una prova decisiva, richiesta ex art. 495 c.p.p. e l'illogicità della motivazione.

La Corte d'appello avrebbe equivocato la censura svolta nei motivi di appello nei quali si censurava la legittimità dell'ordinanza con cui il giudice di primo grado aveva revocato l'esame del teste S.F., indicato nella lista dei testimoni della difesa, ed avrebbe illogicamente argomentato il rigetto della censura devoluta nei motivi d'appello richiamando il disposto di cui all'art. 603 c.p.p.. Il vizio di motivazione avrebbe, così, impedito l'assunzione di una prova decisiva da cui il dedotto vizio di cui all'art. 606 c.p.p. comma 1, lett. d).

3.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'illogicità, carenza della motivazione in punto giudizio di attendibilità della persona offesa.

La Corte d'appello avrebbe confermato il giudizio di attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni fondano la responsabilità penale per il reato di violenza sessuale, con motivazione illogica, non avendo offerto logica spiegazioni della tardiva rivelazione dell'episodio di violenza sessuale, consistito nella penetrazione della donna mentre dormiva, episodio raccontato solo in epoca successiva alla presentazione della querela; non avendo offerto logica spiegazione circa il fatto che la persona offesa non aveva raccontato all'amica, a cui aveva confidato delle condotte di maltrattamento del marito, l'episodio del (OMISSIS), al pari delle illogiche ragioni con cui la corte territoriale avrebbe disatteso le ulteriori censure sull'attendibilità e sulla coerenza delle dichiarazioni della persona offesa.

3.3. Con il terzo motivo deduce la violazione delle legge penale in relazione alla corretta applicazione dell'art. 609-bis c.p. e il vizio di motivazione in relazione alla illogicità, contraddittorietà e mancanza di motivazione sull'affermazione della responsabilità penale dell'imputato.

Argomenta il ricorrente che la corte territoriale sarebbe pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado con motivazione illogica, sotto il profilo della configurabilità del reato di violenza sessuale, in presenza di un errore di fatto sul consenso della donna.

Sostiene il ricorrente che, in presenza di rapporti sessuali tra maggiorenni, il consenso si presume e rileva unicamente il dissenso manifestato. La Corte d'appello avrebbe erroneamente interpretato la norma e pretermesso ogni valutazione sulla sussistenza di un dissenso tenuto conto dell'assenza di violenza e costrizione.

Con riguardo all'episodio del (OMISSIS), la corte bolognese avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il compimento di atti sessuali poichè le gambe non sono comunemente identificate come zone erogene. Il ricorrente avrebbe così agito in presenza di un errore di fatto, ex art. 47 c.p., situazione che comporterebbe la non punibilità dell'agente per assenza del dolo.

3.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 572 c.p., fondata unicamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa in un contesto nel quale le dichiarazioni degli altri testimoni apparirebbero del tutto generiche e inidonee a costituire riscontro.

3.5. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio per avere la Corte d'appello, pur riconoscendo l'ipotesi di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, non riconosciuto l'applicazione della attenuante nella sua massima estensione.

4. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Motivi della decisione

5. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi manifestamente infondati e, anche, ripetitivi di quelli già proposti.

6. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Con esso il ricorrente, dietro la prospettata violazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. d) e e), muove censure non correttamente dedotte.

Ed invero, il ricorrente avrebbe dovuto impugnare l'ordinanza dibattimentale di revoca dell'assunzione della testimonianza del teste.

A fronte della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'assunzione della testimonianza del fratello, ex art. 603 c.p.p., comma 1, la Corte ha correttamente risposto escludendo la decisività della prova, sicchè la censura mossa appare manifestamente infondata alla luce della motivazione della corte territoriale. Alcuna violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) è parimenti prospettabile per la stessa ragione dell'assenza di carattere di decisività, che neppure il ricorrente allega, della prova testimoniale.

7. Il secondo motivo di ricorso volto formalmente a contestare la motivazione con cui la sentenza impugnata ha confermato il positivo giudizio di attendibilità della persona offesa, è manifestamente infondato perchè diretto a richiedere una non consentita rivalutazione del materiale probatorio.

Va anzitutto chiarito che devono restare estranee all'orizzonte cognitivo di questa Corte la censure con cui, deducendosi apparentemente una carenza logica od argomentativa della decisione impugnata, si pretenda, in realtà, di rivisitare il giudizio valutativo sul materiale probatorio e in particolare delle dichiarazioni della persona offesa, rivestendo un tale aspetto natura prettamente fattuale insindacabile in questa sede.

Peraltro, la censura ripropone la medesima questione dell'attendibilità della persona offesa sollevate davanti alla Corte d'appello e dalla stessa vagliata e disattesa con motivazione congrua e corretta.

A tale proposito deve rilevarsi, quanto all'episodio di violenza sessuale consumata in data (OMISSIS), che la sentenza impugnata ha rilevato, contrariamente all'assunto difensivo, che l'episodio era stato riferito specificatamente nella denuncia querela e che nello stesso atto aveva riferito delle pressanti richieste sessuali del marito che era "passato alla vie di fatto" toccandola nelle parti intime (cfr. pag. 9) e che aveva riferito gli stessi al legale della causa civile di separazione, sicchè la rinnovata censura appare connotata da apsecificità che comporta alla inammissibilità del motivo di ricorso.

E' ormai pacifico, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo non mass.; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, Palma, Rv. 221693).

8. Il terzo motivo di ricorso è, parimenti, manifestamente infondato.

A tale proposito deve rilevarsi che il ricorrente, nel censurare la congruità della motivazione in punto dissenso della donna al compimento dei rapporti sessuali con il coniuge, nel ritenere che tra persone maggiorenni il consenso sia presunto in assenza di atti di costrizione e violenza, sostiene una tesi difensiva contraria al dettato normativo e ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l'intero corso del compimento dell'atto sessuale (Sez. 3, n. 25727 del 24/02/2004. Guzzardi, Rv. 228687), sicchè la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà e può intervenire in itinere, esclude la liceità del compimento dell'atto sessuale.

Peraltro, questa Corte ha in più occasioni affermato che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario nè l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, e nè la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest'ultima al compimento di atti sessuali (Sez. 3, n. 39865 del 17/02/2015, Rv. 264788).

Infatti, oltre alla costrizione fisica, l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima nei reati di violenza sessuale va esaminata non secondo criteri astratti aprioristici, ma tenendo conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva. Anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, può esser sufficiente ad integrare, senza neppure necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza (Sez. 3, n. 14085 del 24/01/2013, R., Rv. 255022; Sez. 3, n. 1911 del 22/12/1999, Gubbi, Rv. 215695).

Nella specie, in coerenza con il principio appena ricordato, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi in materia e con logica motivazione ha positivamente argomentato la sussistenza di un esplicito dissenso al rapporto sessuale del (OMISSIS), manifestato dalla persona offesa in modo incontestabile ("chiese di smettere e di andare via.. avendo continuato a piangere" cfr. pag. 12) e, quanto all'episodio del (OMISSIS), mette in assoluto rilievo il perdurare della situazione famigliare nella quale la donna non era intenzionata ad avere contatti sessuali con il coniuge attestata dalle lettere inviate dal legale di costei, motivazione congrua, immune da censure e corretta in diritto.

Tanto basta, dunque, per ritenere adeguatamente motivato e coretto sul piano del diritto, nella specie, il profilo coercitivo del reato senza potersi pervenire a conclusioni contrarie argomentando, come fa il ricorrente della mancanza di percezione del dissenso/errore sul consenso.

Quanto alla natura sessuale dell'atto compiuto il (OMISSIS), la censura, anche in parte fattuale in quanto diretta e mettere in discussione la ricostruzione del fatto, per come accertato nelle conformi sentenze di primo e secondo grado ("ponendo le mani in mezzo alle gambe mentre dormiva" cfr. pag. 12-13) con motivazione immune da vizi sindacabili in questa sede, è manifestamente infondata posto che l'atto compiuto ha una indubbia valenza sessuale investendo la condotta una zona erogena del corpo.

9. Il quarto motivo di ricorso con cui si censura la contraddittorietà della motivazione sulla determinazione della diminuzione della riduzione della pena per effetto dell'attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3 è manifestamente infondato. La corte territoriale ha argomentato l'esclusione dell'applicazione nella massima estensione in ragione del danno psichico derivato alla persona offesa dalla complessiva situazione famigliare vissuta, e ciò ha fatto con motivazione adeguata e incensurabile in questa sede.

In ogni caso, ai fini dell'osservanza dell'obbligo della motivazione, deve, in ogni caso, ritenersi sufficiente anche la sola enunciazione della eseguita valutazione delle circostanze concorrenti per escludere la sussistenza del vizio denunciato (Sez. 1, n. 2668 del 09/12/2010, Falaschi, Rv. 249549).

Quanto alla doglianza sul trattamento sanzionatorio, essa si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile.

10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2017