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Condizioni ostative all'estradizione e valutazione politica (Cass. 386/17)

10 gennaio 2017, Cassazione penale

In tema di estradizione processuale convenzionale con il Brasile, il trattato non contempla la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, dovendo comunque verificare l’autorità giudiziaria italiana che nella documentazione trasmessa a sostegno della domanda estradizionale risultino evocate le ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto della domanda.

Sussiste la condizione ostativa della pendenza di un procedimento penale prevista nel Trattato con il Brasile quando nei confronti dell’estradando, per lo stesso fatto, è stata esercitata l’azione penale ovvero è stata emessa un’ordinanza applicativa della custodia cautelare; la mera iscrizione nel registro degi indagati costituisce motivo di rifiuto facoltativo dell’estradizione rimesso alla valutazione del Ministro della Giustizia.

Corte di Cassazione

sez. VI Penale, sentenza 28 dicembre 2016 – 4 gennaio 2017, n. 386


Presidente Conti – Relatore Calvanese

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. N.L.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza del 21 marzo 2016 con la quale la Corte di appello di Venezia dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione presentata dal Governo della Repubblica federale del Brasile al fine del suo perseguimento per i reati di aggressioni fisiche, minacce e maltrattamenti commessi tra il (omissis) .
N.L.R. era ricercata dalle autorità giudiziarie brasiliane, che ne avevano ordinato l’arresto con mandato emesso il 27 luglio 2013, perché in concorso con il marito, M.A. , avrebbe sottoposto la domestica C.A.L. , assunta in (omissis) , ad un crescendo di vessazioni fisiche e morali, anche a scopo sessuale, durate otto mesi, sino a quando, in data 18 giugno 2010, quest’ultima era riuscita a far rientro in patria.

La Corte di appello dava atto che, oltre alla testimonianza della persona offesa, erano state acquisite in (…) le testimonianze dei parenti della donna e di altri testi, a conoscenza dei fatti, oltre ai referti medici in ordine alle lesioni subite; e che per i fatti oggetto della domanda estradizionale erano in corso indagini penali in Italia.

Alla luce della documentazione trasmessa a corredo della domanda, la Corte territoriale riteneva soddisfatto il requisito della gravità indiziaria richiesto dal codice di rito, in quanto erano stati chiariti i motivi e indicate le fonti di prova per i quali le condotte delittuose erano attribuibili all’estradanda.

La medesima Corte non assegnava rilevanza ostativa alla circostanza che il reato fosse stato commesso nello Stato, trattandosi di motivo facoltativo di rifiuto di competenza del Ministro della Giustizia, al pari di quello della "sospensione della custodia cautelare a soddisfatta giustizia".

La ricorrente chiede l’annullamento della suddetta sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione sotto vari profili e segnatamente in ordine: al requisito della gravità indiziaria di cui all’art. 705 cod. proc. pen. (essendosi basata la Corte di appello solo su provvedimenti giudiziari dell’autorità giudiziaria brasiliana, senza valutare direttamente gli atti istruttori, mai pervenuti; mentre dal procedimento pendente in Italia emergerebbe l’assoluta estraneità dell’estradanda ai fatti contestatile); alla condizione ostativa prevista dal combinato disposto dell’art. 705 cod. proc. pen. e dell’art. 3 del Trattato di estradizione tra Italia e Brasile, essendo l’estradanda indagata in Italia per gli stessi fatti, oggetto della domanda estradizionale; e all’art. 6 cod. pen., in quanto l’estradanda è cittadina italiana (essendo sposata con cittadino italiano) e lo Stato richiedente difetterebbe di giurisdizione, trattandosi di reati commessi in Italia.

2. Il ricorso è infondato.

In ordine al primo motivo, va rilevato che, in base all’art. 11, comma 2, del Trattato di estradizione tra l’Italia e il Brasile del 17 ottobre 1989, entrato in vigore il 1 agosto 1993 (L. 23 aprile 1991, n. 144), a sostegno della domanda di estradizione processuale, deve essere trasmesso soltanto il provvedimento restrittivo della libertà personale e la documentazione deve contenere esclusivamente la descrizione del fatto, la data ed il luogo in cui sia stato commesso, la sua qualificazione giuridica, nonché gli elementi necessari alla identificazione della persona richiesta e la copia delle disposizioni di legge applicabili.

Il Trattato suddetto non contempla dunque la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza. Tuttavia, secondo un principio oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’autorità giudiziaria italiana non può limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve accertare che in essa risultino evocate le ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto della domanda (tra tante, Sez. 6, n. 43170 del 17/07/2014, Malatto, Rv. 260042; Sez. 6, n. 26290 del 28/05/2013, Parades Morales, Rv. 256566). Tale necessaria verifica non comporta quindi che l’autorità giudiziaria italiana valuti nel merito il "concreto" valore probatorio degli elementi indicati a sostegno della domanda (da ultimo proprio con riferimento al Trattato in esame, Sez. 6, n. 945 del 12/01/2015, P.C.M., non mass.).

Nella specie, la Corte di appello si è attenuta correttamente a tali principi, dando puntuale conto degli elementi di prova rappresentati dalla domanda di estradizione a fondamento della attribuzione all’estradanda delle ipotesi delittuose ivi indicate.

Anche il secondo motivo è infondato.

L’art. 3 del Trattato citato prevede il rifiuto dell’estradizione "se per lo stesso fatto la persona richiesta è sottoposta a procedimento penale (...) dalle autorità giudiziarie della Parte richiesta". Tale motivo di rifiuto, ricorrente in tutti i trattati di estradizione vigenti in Italia (cfr., negli stessi termini, il Trattato con il Perù del 2004), si correla tra l’altro alla condizione ostativa all’estradizione, contenuta nell’art. 705, comma 1, cod. proc. pen., della circostanza che sia "in corso procedimento penale" nello Stato per lo stesso fatto nei confronti dell’estradando.

Secondo una esegesi ampiamente condivisa da questa Corte, dalla quale non vi è motivo di discostarsi nel caso in esame, la condizione ostativa della pendenza di un procedimento penale sussiste quando nei confronti dell’estradando, per lo stesso fatto, è stata esercitata l’azione penale ovvero è stata emessa un’ordinanza applicativa della custodia cautelare (Sez. 6, n. 38850 del 18/09/2008, Rukaj, Rv. 241262; Sez. 6, n. 21351 del 17/05/2002, Stankovic P., Rv. 222030; in senso conforme, con riferimento ad una estradizione richiesta dalla Repubblica del Perù, ai sensi del Trattato bilaterale del 2004, Sez. 6, n. 26290 del 28/05/2013, Paredes Morales, Rv. 256565).

Nel caso in esame, tale condizione non sussiste, avendo questa Corte proceduto alla diretta verifica, con il disposto rinvio dell’udienza, dello status del procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica di Venezia nei confronti di N.L.R. per i fatti oggetto della domanda estradizionale: risulta che il P.M., che ha proceduto all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen. a seguito della notitia criminis contenuta nella domanda estradizionale, ha al momento soltanto promosso una rogatoria (allo stato ancora priva di risposta) per acquisire dalle autorità giudiziarie del Brasile la documentazione probatoria per verificare se ci siano le condizioni per procedere contro la stessa in Italia.

I restanti motivi sono infondati, non configurando ipotesi ostative (Sez. 6, n. 46444 del 26/11/2009, Benevides, Rv. 245487), ma soltanto casi di rifiuto facoltativo dell’estradizione rimessi alla valutazione del Ministro della Giustizia (cfr. art. 6 del Trattato: cittadinanza della persona richiesta; giurisdizione dello Stato richiesto; luogo di commissione del reato) (tra tante, Sez. 6, n. 9119 del 25/01/2012, Topi, Rv. 252040).
Spetterà quindi al Ministro della Giustizia stabilire se le suddette circostanze, che legittimano, in base al Trattato bilaterale, il rifiuto facoltativo da parte del Governo italiano della domanda di estradizione, giustifichino nel caso in esame l’esercizio delle prerogative previste dal citato art. 6, tenuto conto anche della dimensione politica della clausola della reciprocità applicabile nella cooperazione tra Stati (segnatamente per la questione della cittadinanza e la mancata risposta alla rogatoria).

Con particolare riferimento al motivo di rifiuto facoltativo di cui all’art. 6, par. 2, lett. a) del Trattato bilaterale ("se il fatto per il quale è domandata è stato commesso, in tutto o in parte, sul territorio della Parte richiesta o in un luogo considerato tale dalla legge della Parte stessa"), costituisce circostanza da valutare con particolare attenzione in sede politica l’inoltro da parte dell’autorità giudiziaria italiana di una rogatoria alle autorità giudiziarie dello Stato richiedente: la consegna in questa fase del procedimento penale potrebbe pregiudicare infatti l’esercizio della sovranità territoriale sui reati oggetto della domanda estradizionale.

Ciò premesso, salva ogni opportuna valutazione politica sui punti critici sopra evidenziati, le doglianze della ricorrente non possono trovare accoglimento, stanti i circoscritti poteri di controllo affidati all’autorità giudiziaria nella procedura estradizionale, sicché il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge relativamente alle spese processuali.

La cancelleria procederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen..