La divulgazione dell’immagine altrui è abusiva non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona, ma anche senza il concorso delle circostanze legalmente idonee ad escludere la tutela del diritto alla riservatezza, quali notorietà, necessità di giustizia o polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, collegamento a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico: la finalità esclusivamente commerciale della pubblicazione richiede il consenso della persona ritratta quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona ritrattata.
Corte di Cassazione
Sezione I Civile Num. 36754 Anno 2021
Presidente: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO Relatore: VELLA PAOLA
Ud. 10/09/2021 Data pubblicazione: 25/11/2021
CC Cron. R.G.N. 9192/2017 sul ricorso 9192/2017
ORDINANZA
Oggetto
diritto all’immagine – ritratto – mancato consenso - riservatezza
Sony Music Entertainment Italy S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza dell'Ara Coeli n. 1, presso lo studio dell'avvocato (..)
- ricorrente -
contro
LM, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato AP, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
G & G Productions S.r.l.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 3546/2016 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal cons. Paola VELLA;
lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto CARDINO, che chiede l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione del 6 giugno 2005, ML chiese al Tribunale di Benevento la condanna di BMG Ricordi s.p.a. – che ha assunto poi la denominazione di Sony BMG Music Entertainment (Italy) S.p.a. e infine di Sony Music Entertainment Itali S.p.A. (di seguito Sony) – al risarcimento del danno patrimoniale, da liquidare in separata sede, per la mancata possibilità di trarre un utile economico dal consenso alla propagazione della propria immagine personale e per la lesione del proprio diritto alla riservatezza, reputazione e immagine, a seguito dell’ampia diffusione (anche in abbinamento ad un numero del settimanale TV Sorrisi e Canzoni) di un DVD – realizzato dalla G&G Production s.r.l. ed utilizzato da Sony (cui la prima, con contratto del 23/10/2003, aveva garantito il pacifico utilizzo, manlevandola da qualsiasi pretesa di terzi, assicurando «di aver richiesto ed ottenuto da tutti i soggetti ritrattati l’autorizzazione all’utilizzazione della loro immagine» (v. pag. 5 del ricorso) – contenente il video girato di notte in una via di Napoli relativo ad una canzone (“Oi nenna né”) di Gigi D’Alessio, alle cui spalle la signora compariva in compagnia, mano nella mano, di un uomo che non era suo marito e con il quale aveva una relazione sentimentale clandestina, senza che nessuno le avesse chiesto il previo consenso a divulgare la propria immagine.
1.1. Il Tribunale di Benevento, respinta l’eccezione di incompetenza funzionale in favore della Sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale ex art. 3, d.lgs. 168/2003 del Tribunale di Napoli, e autorizzata la chiamata in causa a titolo di manleva di G&G Production s.r.l. - di seguito G&G (che rimaneva contumace), rigettò la domanda, sia perché doveva presumersi il consenso tacito dell’attrice all’uso della propria immagine, sia perché il consenso non occorreva ai sensi dell’art. 97 della legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n. 633 – di seguito l.d.a.), trattandosi di registrazione «in occasione di eventi svoltisi in pubblico».
1.2. Avverso la decisione di primo grado la L propose appello principale e la Sony appello incidentale, avuto riguardo alle eccezioni non accolte di incompetenza per materia e territorio e di mancanza di prova che la donna ritratta nel video fosse proprio l’attrice. La G&G restava contumace anche in appello.
2. Per quanto rileva in questa sede, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la competenza del Tribunale di Benevento, quale luogo di residenza dell’attrice ex art. 20 c.p.c. in quella che è stata ritenuta «un’ordinaria causa di risarcimento per lesione del diritto all’immagine», affermando in particolare: i) che gli artt. 96 e 97 l.d.a. hanno solo lo scopo «di risolvere gli eventuali conflitti tra il diritto della persona sulla propria immagine fisica ed il diritto d’autore sull’opera che riproduca l’altrui immagine fisica»; ii) che la competenza delle sezioni specializzate sussiste solo sulle domande fondate su un diritto di proprietà intellettuale, o aventi ad oggetto l’accertamento, anche negativo, di un diritto di proprietà intellettuale ovvero l’accertamento incidentale di tale diritto, «non anche quelle la cui decisione richiede, come nel caso di specie, solo il pregiudiziale accertamento dell’esistenza, del contenuto e dei limiti di un diritto di proprietà intellettuale» (cfr. Cass. Sez. U, 21661/2009 sulla lesione di diritti della personalità per mezzo di trasmissione televisiva).
2.1. Nel merito, dopo aver dato atto della conferma testimoniale che la persona ritratta nel video era proprio la signora ML, la Corte d’appello ha ritenuto che erroneamente il giudice di primo grado aveva escluso «una lesione ai diritti di riservatezza e alla reputazione lamentati dall’attrice» in ragione della configurabilità di un suo consenso tacito e della «riconducibilità della fattispecie all’art. 97 legge 633/41», poiché per il combinato degli artt. 10 c.c. e 97 l.d.a. «la divulgazione dell’immagine altrui è abusiva (non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona, ma anche) senza il concorso delle circostanze» legalmente idonee ad escludere la tutela del diritto alla riservatezza – notorietà, necessità di giustizia o polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, collegamento a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico – circostanze tutte da escludersi, compresa l’ultima, «posta la finalità esclusivamente commerciale della pubblicazione e comunque permanendo il divieto di esposizione dell’altrui immagine, in difetto di consenso», quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona ritrattata.
2.2. La Corte partenopea ha specificamente escluso la configurabilità di un consenso tacito, desumibile dalle modalità del fatto, non trovando conferma in nessuna prova (ed essendo quindi un mero postulato del tribunale) la presenza di una «preparazione scenografica» e della «allocazione di mezzi di ripresa che lasciavano chiaramente individuare il campo delle riprese e la finalità del video»; inoltre, pur apparendo verosimile «che l’attrice si fosse accorta di essere stata inquadrata, per avere soffermato lo sguardo verso lo strumento di ripresa per alcuni istanti», ha ritenuto che «da tale fugace sguardo» non potesse «desumersi il suo tacito consenso alla ripresa, né, soprattutto, alla divulgazione della sua immagine», a tal fine occorrendo una piena consapevolezza (laddove quello sguardo denotava «la mera curiosità verso la telecamera»).
2.3. Dall’illegittima pubblicazione dell’immagine i giudici di secondo grado hanno fatto derivare innanzitutto l’obbligo al risarcimento del danno non patrimoniale, provato in via presuntiva, potendo «legittimamente presumersi che la pubblicazione dell’immagine della Lamparelli» – considerata la notorietà della rivista e del cantante nonché il contesto sociale del luogo di residenza della Lamparelli, ove «la semplice notizia della relazione extraconiugale di una donna, ed ancor più dell’esistenza di tracce materiali visibili di tale relazione, suscita ampia curiosità» – «ha inciso sui suoi diritti inviolabili, protetti dall’art. 2 della Costituzione, il che, di per sé, integra un’ipotesi legale (al suo massimo livello di espressione) di lesione e risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2059 c.c.».
2.4. Inoltre i giudici d’appello, muovendo dal presupposto che «con la pubblicazione non autorizzata l’autore dell’illecito si appropria indebitamente di vantaggi economici che sarebbero spettati alla vittima», hanno ritenuto esistente un danno patrimoniale risarcibile mediante il “ritrasferimento” di «quei vantaggi dall’autore dell’illecito al titolare del diritto», con la precisazione che nel caso di specie il soggetto leso non è persona nota, sicché non emergono specifiche voci di danno e può farsi riferimento, in via equitativa, alla «somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione» (c.d. prezzo del consenso alla pubblicazione). Di qui la condanna di Sony a «risarcire alla L i danni conseguenti all’illecita utilizzazione della sua immagine, da liquidarsi in separata sede» (come da richiesta dell’attrice) e la condanna di G&G a manlevare Sony di quanto pagherà.
2.5. Avverso tale decisione Sony ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi e corredato da memoria, cui la Lamparelli ha resistito con controricorso, parimenti corredato da memoria. Il pubblico ministero ha chiesto rigettarsi il primo e l’ultimo motivo, dichiararsi inammissibili il secondo ed il terzo ed accogliersi il quarto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 3 del d. lgs. n. 168 del 2003 e l’incompetenza del Tribunale di Benevento (in favore di quella della sezione specializzata in materia di proprietà̀ industriale e intellettuale di Napoli), contestandosi la distinzione operata dalla corte d’appello tra domande aventi quale loro oggetto principale (o anche incidentale) l’accertamento di un diritto di proprietà̀ intellettuale, di competenza delle sezioni specializzate, e domande di natura solo pregiudiziale, che la escluderebbero; al contrario si assume che l’art. 3 cit. attribuisca chiaramente alle sezioni specializzate in materia di proprietà̀ industriale e intellettuale (ora sezioni specializzate in materia di impresa), tra le altre, le controversie in materia di diritto d’autore, senza nulla specificare in merito alla natura (principale, incidentale o solo pregiudiziale) della domanda oggetto di tali controversie.
3.1. Il ricorrente contesta altresì la tesi della procura generale, che esclude la competenza delle sezioni specializzate in quanto la controversia riguarda il diritto all’immagine di una persona fisica, la cui violazione non avrebbe nulla a che vedere con il diritto d’autore; osserva al riguardo (invocando precedenti giurisprudenziali di merito e tesi dottrinarie) che la competenza delle sezioni specializzate sussiste non solo in materia di diritto d’autore in senso stretto, ma anche sui diritti ad esso connessi – come, appunto, il diritto all’immagine – e sul potere di sfruttamento economico esclusivo che ne costituisce una componente essenziale, in modo del tutto analogo agli altri diritti di proprietà̀ intellettuale, poiché anche il diritto all’immagine attribuisce al titolare uno ius excludendi alios dall’utilizzazione del bene corrispondente al ritratto della persona.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. La Corte non ignora le tesi dottrinarie invocate dal ricorrente, nel senso che la competenza per materia delle sezioni specializzate si estende a tutte le controversie sulla proprietà̀ intellettuale, e quindi anche sul diritto d’autore, ivi compresi i diritti connessi di cui agli articoli 96 e ss. l.d.a.; tuttavia ritiene che, nel caso concreto, i giudici di merito abbiano correttamente statuito sulla competenza, poiché il diritto leso non è, a ben vedere, l’immagine in sé, bensì la riservatezza dell’odierna controricorrente. Invero, al di là della formulazione letterale delle difese dell’attrice – laddove si fa riferimento alla astratta possibilità di trarre un utile economico da un ipotetico consenso, il cui rilascio si porrebbe però in frontale e perciò illogico contrasto con il pregiudizio effettivamente lamentato – oggetto del presente giudizio non è lo sfruttamento economico della sua immagine (criterio utilizzato dalla Corte territoriale ai fini della quantificazione, peraltro non dovuta, del danno patrimoniale), né tantomeno la contestazione dell’altrui diritto di autore, ma il risarcimento del danno derivatole dalla diffusione non autorizzata della propria immagine, sia pure all’interno di un’opera dell’ingegno, quale è indubbiamente il DVD per cui è causa (cfr. Cass. Sez. U, 21661/2009; Cass. 4186/2010, 10594/2012, 21424/2014).
3.4. Si tratta in fin dei conti di una situazione analoga a quella intercettata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che, in relazione all’art. 3 del d.lgs. n. 168 del 2003, come modificato dall’art. 2 del d.l. n. 1 del 2012 (convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2012), esclude la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, in favore di quella della sezione ordinaria, nel caso di richiesta risarcitoria riconducibile alla concorrenza sleale cd. pura, nella quale cioè non possa ravvisarsi un’interferenza – neppure indiretta – con l’esercizio di diritti di proprietà industriale o del diritto d’autore, in quanto la prospettazione della parte è rivolta a contestare non già la pacifica appartenenza dell’opera (o a conseguire una valutazione incidentale circa la violazione dei diritti di privativa), ma esclusivamente il suo utilizzo (Cass. 14171/2019, 11309/2017, 5656/2017, 21776/2016).
4. Il secondo mezzo lamenta la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 96 l.d.a., per avere la corte d’appello escluso il tacito consenso della L alla ripresa e divulgazione della sua immagine, affermando che l’allestimento del set cinematografico «non troverebbe conferma in nessuna prova» (senza che Sony si fosse lamentata della mancata ammissione della relativa prova testimoniale articolata nella memoria istruttoria del 29/03/2007), laddove si tratterebbe di «circostanze pacifiche» e non contestate.
4.1. La censura è inammissibile, poiché attinge a valutazioni di merito del materiale probatorio: il punto è se dalle circostanze di fatto potesse desumersi un consenso implicito, e tale valutazione non è censurabile in questa sede, fermo restando che l’accertamento del consenso non richiede forme particolari (Cass. 10957/2010, 11491/2006).
4.2. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte hanno più volte osservato che per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che il giudice abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre prove proposte dalle parti, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016).
4.3. In tema di attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie occorre altresì distinguere l’errore di percezione – che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c. per violazione, appunto, degli artt. 115 e 116 c.p.c. (che in sintesi vietano al giudice, rispettivamente, di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, nonché di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) – dall’errore di valutazione, che invece, investendo l'apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass. 1229/2019, 27033/2018, 9356/2017).
4.4. Va dunque ribadito (v. Cass. 23153/2018, 11892/2016) che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile né nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. né in quello del successivo n. 5, non solo perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il relativo (novellato) parametro, ma anche perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, contrapponendovi le proprie, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016); ammettere in questa sede la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe infatti consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018).
5. Con il quarto motivo ci si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. per essersi la corte d’appello pronunciata sul danno non patrimoniale senza che l’attrice avesse mai allegato di aver subito un pregiudizio non patrimoniale dalla riproduzione della sua immagine, nemmeno nei passaggi espressamente richiamati nella sentenza impugnata (segnatamente pag. 2, secondo capoverso della citazione) ove parte attrice aveva fatto riferimento alla «violazione del diritto alla riservatezza, all’immagine ed alla reputazione» senza dire quali pregiudizi avesse in concreto patito.
5.1. Il motivo è infondato, poiché lo stesso ricorrente dà atto come in citazione la L avesse allegato che «il DVD aveva reso di dominio pubblico una relazione sentimentale che doveva rimanere segreta», trattandosi di una specifica allegazione in ordine alla quale la corte territoriale ha fatto ricorso alla prova presuntiva del turbamento d’animo e del dolore intimo sofferto, tenuto conto dell’ampia diffusione del DVD e del «contesto sociale di residenza e provenienza della L (laddove la semplice notizia della relazione extraconiugale di una donna, ed ancor più dell’esistenza di tracce materiali visibili di tale relazione, suscitano ampia curiosità)».
6. Il quarto mezzo deduce contestualmente la violazione degli artt. 10, 2043, 2059, 2697 c.c. e l'omesso esame di fatto decisivo, per avere i giudici di secondo grado ritenuto che la Lamparelli avesse provato la concreta esistenza del danno non patrimoniale, ritenendolo insito nella stessa lesione del diritto all’immagine, senza che fosse stata mai fornita la benché minima prova del concreto pregiudizio subito; inoltre essi non avrebbero considerato che a luglio 2002 l’attrice aveva depositato ricorso per separazione consensuale dal marito, omologata il 17/09/2002, mentre la divulgazione del DVD era avvenuta il 27/11/2003, essendo perciò «irrilevante l’asserita relazione sentimentale con un uomo diverso dall’ex coniuge» (in realtà non è ex con la separazione, colo con il divorzio!)
6.1. La censura è inammissibile poiché, al di là dell’erroneo riferimento alla perdita dello status di coniuge (che interviene solo con il divorzio), non risulta colta la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale la corte territoriale non afferma che il danno sia in re ipsa (v. Cass. 4366/2003), ma come visto spiega a pag. 13 che, trattandosi di bene immateriale, può farsi ricorso alla prova presuntiva del turbamento dell’animo, indicando gli elementi indiziari dai quali la prova è stata tratta (ampia diffusione del DVD di un artista noto in Campania e, soprattutto, contesto sociale in cui viveva l’attrice). Si tratta dunque di valutazioni di merito non sindacabili, che non rilevano nemmeno sotto il profilo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., poiché difetta quantomeno la decisività (la relazione extraconiugale potendo in tesi anche pregiudicare l’iter di una separazione avviata consensualmente o comunque influire sulla successiva fase del divorzio).
7. Il quinto ed ultimo motivo denunzia la violazione degli artt. 10, 2043 e 2697 c.c. nonché dell’art. 158 l.d.a. in uno all’omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto che anche il danno patrimoniale fosse in re ipsa omettendo di considerare che il diritto all’immagine di una persona che non sia un personaggio noto è «privo di qualsivoglia valore di mercato» e così applicando impropriamente la teoria del cd. prezzo del consenso, tanto più che l’immagine della L compariva nel video per poco più di dieci secondi, non aveva alcun ruolo o significato ed era del tutto fungibile, come una qualsiasi comparsa, senza che l’attrice avesse provato di sfruttare commercialmente la propria immagine.
7.1. Anche questa censura è inammissibile, perché come già rilevato non viene compresa la ratio decidendi: i giudici di secondo grado non affermano che il danno è in re ipsa e, pur richiamando a pag. 14 la teoria del cd. prezzo del consenso alla pubblicazione, precisano subito dopo che, non trattandosi di persona nota (con conseguente impossibilità di dimostrare specifiche voci di danno patrimoniale), la vittima può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il suo consenso alla pubblicazione, somma da determinarsi in via equitativa.
8. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente, liquidate in dispositivo.
9. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10/09/2021 Il Presidente