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Bendaggio di un arrestato è reato (Tr. Roma, 2832/23)

22 maggio 2023, Tribunale di Roma

Il bendaggio di un fermato non è una misura di rigore consentita dalla legge italiana e , in ogni caso, non è richiesto uno specifico animus nocendi nei riguardi del fermato ma solo la consapevolezza di adottare una misura restrittiva anomala.

Con l'art. 608 c.p., che necessariamente va oggi letto alla luce del principio fondamentale di cui all'art. 13 della Costituzione, il legislatore ha ritenuto, in situazioni delicatissime come quelle conseguenti alla privazione della libertà di un individuo, di legittimare solo ed esclusivamente quelle "misure di rigore" che siano espressamente "consentite dalla legge" e non già quelle che dalla stessa non sono espressamente escluse o vietate (come sembra sostenere la Difesa).

Lo scopo di proteggere l'incolumità del fermato mediante l'apposizione di quella benda è dato già in sé scarsamente verosimile, ma avrebbe potuto ottenersi agevolmente allontanando i suoi aggressori.

Il Tribunale non riesce a comprendere bene la relazione tra il bendaggio di un individuo in un contesto quale quello chiaramente emerso in dibattimento e la necessità di tranquillizzarlo, ritenendo che, a differenza di quanto avviene per gli uccelli rapaci quando vengono privati degli stimoli visivi, un essere umano appena aggredito con quelle modalità dovrebbe, all'esatto contrario, agitarsi molto di più non potendo nemmeno vedere se qualcuno si appresta a colpirlo e da che punto arriva la minaccia e comunque non potendo nemmeno comprendere, muovendo il capo, se rischiava di colpire qualche oggetto che si trovava nelle sue immediate vicinanze.

Ancorché sia spiacevole affermarlo trattandosi di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, risulta alquanto probabile che i primi testi escussi, prima di conoscere la linea difensiva, tendessero a minimizzare i gravi fatti accaduti all'interno della caserma al momento dell'arrivo dei due cittadini statunitensi ritenuti responsabili della morte del loro collega e abbiano provato a ricostruire una situazione di quasi normalità escludendo aggressioni, minacce, sputi posti in essere in pregiudizio dei due fermati e provando a giustificare l'inconsueta presenza di quel consistente numero di soggetti presente in quella caserma con la mera curiosità di vedere in faccia i responsabili dell'omicidio del loro collega ovvero di assistere al loro fermo.

Il gesto di bendare l'odierna persona offesa può trovare una sola giustificazione individuabile nella necessità di impedire al fermato di memorizzare i volti di coloro che potevano aggredirlo in quel frangente e dunque la condotta per cui si procede, lungi dall'essere volta a tutelare, era stata posta in essere allo scopo di proteggere qualche carabiniere da conseguenze pregiudizievoli per lui laddove fosse stato successivamente riconosciuto come uno di coloro che lo avevano picchiato o avevano infierito gratuitamente.

(sentenza di primo grado, non definitiva)

TRIBUNALE DI ROMA

SEZIONE I PENALE

Sentenza 2832/2023 - 24 febbraio 2023 (dep. 22 maggio 2023)

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica nella persona del dott. Alfonso Sabella nell'udienza del 24 febbraio 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

nel processo a carico di:

M , nato a ** il **

Difeso di fiducia dall' Avv. RDVe dall' Avv. VG

Libero, presente

IMPUTATO (in ordine al delitto p. e p. dall'art. 608 c.p., perché, quale pubblico ufficiale cui era temporaneamente affidato  CH lo sottoponeva a misura di rigore non consentita dalla legge (in particolare apponeva sul volto una fascia a copertura degli occhi). Commesso in Roma, il 26.07.2019.)

Nel presente procedimento risulta, inoltre, costituita

1)        PERSONA OFFESA nato a ** Difeso dall'Avv. FP

CONCLUSIONI:

PM: condanna a tre mesi di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche.

Difensore di parte civile: condanna alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno e al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile. Deposita conclusioni scritte e nota spese. Difensore dell'imputato: assoluzione perché il fatto non sussiste ovvero perché non costituisce reato.            

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto di citazione del 6 settembre 2021 l'odierno imputato veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale di Roma in composizione monocratica per rispondere del delitto di cui all'art. 608 c.p. commesso in danno di PERSONA OFFESA.

Dopo un rinvio preliminare (udienza dell' 11 gennaio 2022) determinato da un legittimo impedimento dell'imputato, all'udienza dell'8 febbraio 2022, presente l'imputato e con la costituita Parte civile, veniva aperto il dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali richieste dalle Parti come da ordinanza in atti..

L'istruttoria dibattimentale cominciava alla successiva udienza del 5 aprile 2022 con l'escussione dei testi del P.M. ***  proseguiva alla successiva udienza del 25 maggio 2022 con l'escussione di altri due testi del P.M. e precisamente, della persona offesa PERSONA OFFESA, detenuto e all'uopo tradotto in udienza, e ***.

Dopo un rinvio determinato dall'assenza per malattia del giudice titolare (22 giugno 2022), all'udienza del 7 settembre 2022 veniva escusso, come persona sottoposta a indagini per reato connesso o collegato, ** e veniva esaminato il C.T. del P.M. ** che aveva esaminato i supporti informatici acquisiti nel corso delle indagini.

L'assenza di **, teste della Parte Civile, determinava il rinvio dell'udienza del 4 novembre 2022 e a quella successiva dell' 11 novembre 2022 veniva escusso quest'ultimo e si procedeva all'esame dell'imputato; la Difesa depositava documentazione

All'udienza del 30 novembre 2022 venivano quindi escussi i testi addotti dalla Difesa ***, .. e, durante la loro escussione veniva acquisita documentazione fotografica prodotta dalla Parte civile.

L'istruttoria dibattimentale veniva completata all'udienza del 20 gennaio 2023 con l'escussione degli ultimi due testi addotti dalla Difesa, ** e***, e all'odierna udienza, dichiarata formalmente chiusa l'istruttoria dibattimentale le Parti concludevano come da epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I fatti di cui al presente procedimento scaturiscono dalle indagini avviate a seguito dell'omicidio, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019, del Vice Brigadiere dei Carabinieri CARABINIERE  in servizio presso la Stazione di Piazza Farnese, e, in particolare, dall'avvenuta individuazione, quali possibili autori del delitto, dei cittadini statunitensi *** e PERSONA OFFESA, rintracciati nella mattinata seguente presso l'Hotel Le Méridien e, quindi, condotti negli uffici di via In Selci del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma.

 
È bene segnalare subito come siano del tutto estranee al presente procedimento le vicende che hanno condotto all'omicidio del sottufficiale dei carabinieri e all'individuazione dei due sospettati così come gli elementi isolati nelle investigazioni successive a carico di questi ultimi, in caserma dei Carabinieri allorquando uno dei due cittadini statunitensi ivi condotti, l'odierna persona offesa PERSONA OFFESA, era stato bendato dall'odierno imputato nel corso delle procedure di fermo del medesimo.

Nonostante il numero di prove testimoniali acquisite e la non certo breve durata dell'istruzione dibattimentale, la ricostruzione dei fatti posti a base dell'impostazione accusatoria risulta oltremodo agevole poiché quasi tutti i testi escussi, fatta eccezione per qualche sbavatura di cui si dirà e per alcune superfetazioni e omissioni, hanno riferito quanto a loro conoscenza in relazione ai fatti che qui maggiormente interessano (il bendaggio di  PERSONA OFFESA e la situazione ambientale della caserma) in maniera praticamente sovrapponibile tra loro e conforme alle prove oggettive acquisite, ragion per cui appare obiettivamente superfluo e inutilmente defatigante ripercorrere nei minimi dettagli le varie deposizioni potendosi, al contrario, farsi riferimento alle stesse dichiarazioni dell'imputato le quali, allo stesso modo e fatta eccezione per qualche elemento secondario, quanto alla ricostruzione dei fatti, risultano compatibili con quasi tutte le altre prove orali acquisite (e in un solo punto, concernente la durata del bendaggio, appaiono difformi rispetto a quelle oggettive - cfr. infra).

FM, nel corso del suo esame, ha riferito che, nella notte tra il 25 e 26 luglio 2019, mentre riposava, era stato contattato da un suo superiore, il Capitano FS, il quale lo informava dell'omicidio del Brigadiere CARABINIERE , in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Roma Piazza Farnese, e lo invitava a prendere immediatamente servizio unitamente agli altri militari componenti la sua squadra investigativa e a recarsi presso la caserma di via In Selci per avviare le investigazioni sul caso.

Sulla base delle informazioni acquisite nelle prime battute da due persone che avevano assistito al fatto, il Carabiniere VA, collega di CARABINIERE , e tal SB, e che si già trovavano negli uffici di via In Selci, Fabio Manganare, unitamente al Maresciallo FM, aveva ritenuto di contattare una sua fonte da cui aveva appreso che, contrariamente a quanto si riteneva fino a quel momento, gli aggressori del sottufficiale di Piazza Farnese non erano di origine nordafricana.

Rientrato in ufficio, M era ancora uscito per recarsi presso l'abitazione della sorella di B ma nelle more, si erano già fatte le 11:30 circa, veniva contattato da qualcuno e invitato a recarsi immediatamente presso l'hotel Le Méridien laddove giungeva di lì a poco con l'auto civetta su cui si trovava in compagnia di M.

Davanti l'albergo veniva invitato dal Maresciallo L che si trovava sul posto a recarsi nel garage sito al piano sotterraneo laddove si attendeva che venissero condotti i due soggetti sospettati di aver eseguito l'omicidio di CARABINIERE .

Secondo le ricostruzioni del Mar. M, confermate da tutti i testi che hanno assistito o comunque preso parte a tale fase della vicenda, di lì a poco, accompagnati da altri militari, giungevano E, che prendeva posto su un veicolo che si era posizionato davanti a quello condotto dall'imputato, e quindi l'odierna persona offesa PERSONA OFFESA che veniva fatto salire sull'auto civetta condotta dal'imputato.

Sull'autovettura di M, oltre a   PERSONA OFFESA che era posizionato al centro del sedile posteriore, si trovavano M, seduto al lato passeggero anteriore, e ai lati dell'odierna persona offesa, si erano posizionati il Maresciallo SD e l'Appuntato SDV.

  PERSONA OFFESA, a differenza di E, sarebbe stato molto "agitato" tanto che, come, tra gli altri, ha anche riferito il Col. LDA, Comandante pro tempore del Nucleo investigativo, il dispositivo stabilito dall'ufficiale per accompagnarlo in caserma prevedeva quattro uomini e non tre come era avvenuto per E.

Su disposizione di M, PERSONA OFFESA era stato ammanettato con le mani davanti (cfr. sul punto anche le conformi dichiarazioni del Mar. D - pag. 25), e non dietro come normalmente si faceva, in quanto il sottufficiale temeva che il fermato facesse movimenti inconsulti durante il viaggio e finisse per ferirsi.

Invero tutti i testi escussi sul punto hanno confermato che   PERSONA OFFESA, al contrario di E che appariva in uno stato quasi soporifero, dava chiari segni di nervosismo si produceva in movimenti repentini e scatti improvvisi.

Sulla base dei ricordi dell'imputato, intorno alle ore 12;30 (invero sugli orari esatti i vari protagonisti della vicenda hanno fornito indicazioni molto approssimative, evenienza agevolmente spiegabile con la indubbia concitazione di quei momenti ma è indubbio - cfr. consulenza dell'Ing. C in relazione all'orario effettivo di alcune foto rinvenute nei telefoni esaminati e di cui si dirà

- che i tempi indicati da M vadano anticipati di una quindicina di minuti almeno) erano partiti dall'hotel utilizzando i dispositivi acustici e visivi (sirena e lampeggiante) di cui il veicolo era dotato ed erano giunti in caserma, secondo M, intorno alle 12:45, preferendo accedere alla stessa da un'entrata posteriore, quella di via delle Sette Sale, onde eludere giornalisti e curiosi che si erano già recati davanti l'ingresso principale di via In Selci.

Una volta entrati nel piazzale cui si accede dalla porta carraia di via delle Sette Sale, preceduti dall'autovettura su cui si trovava E, M parcheggiava il veicolo e, dopo che i militari che avevano in custodia E si erano avviati per condurre in ufficio quest'ultimo, anche egli e gli uomini dell'equipaggio si apprestavano a fare lo stesso con  PERSONA OFFESA.

È bene a questo punto fornire una descrizione dei luoghi che, molto opportunamente, il P.M. ha fatto riprodurre con positive fotografiche, progressive rispetto al percorso operato da M e allegate all'annotazione di servizio del 19 luglio 2019 acquisita agli atti nel corso dell'udienza del 5 aprile 2022.

Dalle chiarissime immagini presenti m atti e da quanto riferito in dibattimento dal Maresciallo CG, si ricava che il piazzale cui si accede dalla porta carraia di via delle Sette Sale (foto 1) è sopraelevato rispetto al livello in cui si trovano gli uffici del Nucleo investigativo e cui si giunge tramite una rampa di scale esterna (foto da 6 a 11) che finisce di fronte a un barbecue in muratura (foto 12).

Arrivati al livello inferiore, laddove si trova un ampio spazio, sempre esterno, caratterizzato da una sorta di aiuola con statue e palmizi (foto I!), sulla sinistra per chi scende le scale, si trova un vialetto pedonale (foto 13 e 14) che conduce a una porta caratterizzata da due stipiti in doghe di legno (foto 15) e quindi da una controporta con vetri nella parte superiore per circa 2/3 dell'altezza su cui sono installate delle veneziane (foto 16), porta da cui si accede alla stanza della Prima Sezione del Nucleo investigativo (foto 18 e 19) dove si sono verificati i fatti che qui interessano, stanza che ha un'altra uscita su un corridoio interno alla struttura (cfr. tra l'altro, le dichiarazioni del Mar. G).

Secondo le dichiarazioni di M, ma anche di D, DV e M, i quattro militari, parcheggiata l'autovettura, avevano fatto scendere PERSONA OFFESA e lo avevano condotto (M e D) giù per le scale e, quindi, percorso il vialetto pedonale, nell'ufficio della Prima Sezione.

Nello spazio aperto al livello inferiore erano presenti numerose persone sia in divisa sia in borghese e da una delle porte degli uffici cui si accede da quell'atrio, usciva il carabiniere AV che, avendo evidentemente riconosciuto il fermato in uno dei due soggetti che aveva preso parte all'omicidio di CARABINIERE, si scagliava contro   PERSONA OFFESA, in quel momento stretto tra M e D che lo tenevano per le braccia, gridando "é lui" e cercando di colpirlo con un calcio.

M intimava a V di allontanarsi ma questo desisteva solo dopo un ulteriore vano tentativo di colpire PERSONA OFFESA e quindi i due carabinieri, accompagnavano il ragazzo statunitense all'interno dell'ufficio della Prima sezione (quello, appunto di M) laddove però c'era un nutrito gruppo di persone, sempre costituito da soggetti in divisa e in abiti civili, e laddove quattro di queste, che poi si sarebbe appreso essere militari della Stazione di piazza Famese e quindi particolarmente legati al Brigadiere ucciso, si scagliavano contro  PERSONA OFFESA che M provava a proteggere frapponendosi tra gli aggressori e il fermato. A seguito del parapiglia determinatosi, M e   PERSONA OFFESA finivano per terra mentre altri soggetti presenti nella stanza provavano a bloccare i carabinieri di piazza Farnese che cercavano di colpire con calci il fermato, calci, che, a dire dell'imputato, finivano per attingere invece lui che si era steso sul cittadino statunitense a protezione dello stesso.

Intervenivano ancora il Luogotenente CC e il Maresciallo SI che riportavano un minimo di calma allontanando dall'ufficio i più esagitati. Prima di far rialzare   PERSONA OFFESA, M, con l'ausilio del maresciallo CS, gli toglieva le manette che ancora aveva avanti e gliele rimetteva dietro incrociando le mani alle spalle del fermato e quindi lo faceva sedere su una sedia.

PERSONA OFFESA era molto agitato e si muoveva repentinamente in avanti e indietro cercando anche di divincolarsi e, a questo punto, M, notando che in un attaccapanni era appeso un foulard, se l'era fatto passare da un collega e aveva bendato gli occhi del fermato cui si era rivolto con tono pacato dicendogli che se non si agitava più e stava tranquillo gli avrebbe tolto la benda sugli occhi e pure le manette.

A dire di M, la sua manovra di apporre una benda sugli occhi di PERSONA OFFESA aveva avuto un esito positivo in quanto il fermato si sarebbe tranquillizzato un po'.

M quindi lasciava il suo ufficio poiché richiamato in un'altra stanza, affidando   PERSONA OFFESA all’Appuntato B e raccomandando a quest'ultimo di non far avvicinare nessuno al fermato. L'imputato rimaneva fuori dalla stanza per circa 4 o 5 minuti e quando vi rientrava trovava il Carabiniere AV che poneva delle domande a PERSONA OFFESA, ragion per cui si lamentava con B per aver trasgredito le sue disposizioni (I' App. B ha confermato in dibattimento la medesima ricostruzione di tali fatti).

A dire di M, V stava chiedendo al fermato notizie di carattere generale ma allorquando questi entrava nello specifico chiedendo al cittadino statunitense di una felpa di colore rosa o rosso lo interrompeva e lo invitava a uscire dalla stanza.

b chiariva a M che aveva fatto avvicinare v al fermato in quanto qualcuno aveva disposto che venisse registrata la voce di quest'ultimo allo scopo di operare una comparazione con altri dati di fonia acquisiti (cfr. sul punto anche le dichiarazioni di N) tanto che un ufficiale, forse il maggiore A, aveva detto subito dopo all'imputato di accompagnare V negli uffici della 7' Sezione per riversare una registrazione.

Ritornato in ufficio, a quel punto, M toglieva a   PERSONA OFFESA manette e benda e gli faceva anche portare una bottiglietta d'acqua (cfr. anche la deposizione di *** sul punto).

V aveva in effetti provveduto a registrare un breve video del fermato con la benda (circostanza assolutamente pacifica e confermata in dibattimento dal Mar. G che ha acquisito il cellulare del carabiniere che era con CARABINIERE la sera dell'omicidio nonché dai Mar. N e LR di Piazza Farnese e il primo ha riconosciuto anche la voce di V dall'audio ascoltato in dibattimento), video che sarebbe successivamente divenuto di dominio pubblico.

Già nella serata dell'indomani, sabato 27 luglio 2019, però emergeva che in varie chat di appartenenti all'Arma circolava una fotografia riproducente PERSONA OFFESA bendato (foto che avrebbe scattato un altro militare, tal P - cfr. deposizione del Col. DA) e, intorno alle 20:30 di quel 27 luglio, M veniva così contattato per telefono dal Capitano FS che gli chiedeva se sapesse qualcosa della vicenda.

M confermava al suo superiore di essere stato proprio lui ad apporre la benda sugli occhi di   PERSONA OFFESA e subito dopo veniva chiamato per telefono dal Colonnello DA, Comandante del Nucleo investigativo, cui ribadiva di essere stato lui a bendare il fermato illustrandogli le ragioni per cui aveva ritenuto di adottare quella obiettivamente inconsueta misura.

M si dimostrava subito disponibile a redigere una relazione di servizio sull'accaduto ma su richiesta dell'Ufficiale che gli rappresentava l'assenza di una speciale urgenza decideva di rimandarne la stesura al lunedì successivo; sennonché l'indomani, domenica 28 luglio 2019, la vicenda era divenuta ormai di pubblico dominio, ragion per cui M, che si trovava fuori Roma, su richiesta del Capitano S, rientrava immediatamente nella Capitale e depositava quel giorno stesso la sua relazione di servizio al Colonnello DA.

Quella suesposta è la ricostruzione dei fatti (ovviamente di quelli direttamente rilevanti ai fini che qui interessano) che l'imputato ha fornito nel corso del suo interrogatorio, ricostruzione che, come si è anticipato, è sostanzialmente conforme a numerose altre prove dichiarative acquisite nel dibattimento.

Invero quasi tutti i testi escussi sulle condizioni di   PERSONA OFFESA hanno confermato che al momento del fermo presso l'hotel Le Méridien (Dv e D) questi, a differenza di E, "era agitato e faceva avanti e indietro nella camera, quindi abbiamo cercato di calmarlo per poi .. ritornava indietro" (** e **, il quale ultimo ha precisato di aver disposto che lo accompagnassero in quattro, evenienza confermata anche da D e implicitamente da S, pag. 7, e da B), che continuava ad agitarsi anche in macchina" (**), ed era sempre agitato una volta condotto negli uffici (**, pur dopo una specifica contestazione, **).

Allo stesso modo tutti i testi escussi hanno confermato la presenza di numerosissime persone sul piazzale posto al livello inferiore nel momento in cui M e D stavano accompagnando   PERSONA OFFESA nell'ufficio dove si sono svolti i fatti (**) e anche all'interno dell'ufficio (**, che parla addirittura di un trentina di persone, **).

Se i suesposti dati appaiono obiettivamente pacifici lo stesso non può invero dirsi per alcune delle evenienze riferite da M in quanto, singolarmente, nessuno dei testi escussi prima del suo esame - e in particolare, per quanto specificamente rileva, i due componenti dell'equipaggio che aveva condotto   PERSONA OFFESA in Caserma, **, e due dei militari di Piazza Farnese presenti in via In Selci, ** - aveva trattato dell'aggressione di V a  PERSONA OFFESA mentre M e D lo stavano conducendo giù per le scale esterne e addirittura DV sembra decisamente escluderla ancorché doveva essere avvenuta sotto i suoi occhi (cfr. pag. 30 della relativa trascrizione).

Allo stesso modo DV non tratta affatto del parapiglia che si sarebbe verificato all'interno dell'ufficio e che aveva determinato la caduta a terra di M e  PERSONA OFFESA e il conseguente cambio di posizione delle manette e sostiene che M avesse immediatamente bendato la persona offesa al momento dell'ingresso negli uffici ancorché il teste, secondo le sue dichiarazioni, seguiva i due marescialli che conducevano il fermato ed aveva assistito all'intera scena fino al bendaggio di quest'ultimo (neanche Mz   descrive quell'accadimento, ma questi, si era recato a parcheggiare la macchina e sarebbe entrato nella stanza quando   PERSONA OFFESA era già seduto ed era già bendato o, comunque - cfr. contestazioni del P.M. in sede di escussione - mentre M lo stava bendando).

Invero nemmeno i due militari di Piazza Farnese escussi prima dell'esame dell'imputato, N e LR i quali si trovavano in loco al momento dell'arrivo di   PERSONA OFFESA sul piazzale inferiore in compagnia di V e quindi all'ingresso del fermato nella stanza, hanno trattato dell'aggressione di V, dell'alterco in ufficio (di cui dovevano essere anche stati diretti protagonisti) e del cambio di posizione delle manette ma è bene segnalare come le loro dichiarazioni si caratterizzino per significative imprecisioni.

Invero non solo N tratta di una trentina di persone presenti nell'ufficio, dato oggettivamente incompatibile con le limitate dimensioni della stanza quali emergono dalle fotografie in atti e con la presenza di varie scrivanie e suppellettili, ma asserisce, pur avendo visto arrivare   PERSONA OFFESA ammanettato (cfr. pag. 14 e contestazione operata dal P.M.) e avendo assistito al momento in cui V realizzava il video di non aver notato M bendare PERSONA OFFESA.

Al contrario LR, che asseriva di essere in compagnia di V e N, sostiene - e solo a seguito di reiterate contestazioni operate dal P.M. - di aver visto   PERSONA OFFESA a pancia a terra senza manette che si agitava e di tre o quattro carabinieri che provavano a mettergli le manette, afferma che il foulard con cui M aveva poi bendato   PERSONA OFFESA l'imputato lo aveva estratto da una tasca, di aver quindi assistito al bendaggio (N che era con lui invece afferma di non aver visto quella scena) e soprattutto, al pari di N, afferma un'evenienza smentita da tutte le altre dichiarazioni e ovvero che E e   PERSONA OFFESA erano entrati pressoché contemporaneamente dal corridoio interno agli uffici e non dalla porta a vetri che dà nell'atrio esterno inferiore.

Le dichiarazioni dei testi addotti dalla Difesa ed escussi successivamente all'esame dell'imputato appaiono invece decisamente conformi, se non addirittura sovrapponibili, alle dichiarazioni di M, in quanto:

S  e D trattano dell'aggressione di V a   PERSONA OFFESA m mamera perfettamente identica a quanto riferito da M;

S  riporta l'intera vicenda esattamente come l'ha descritta M (aggressioni dei militari di Piazza Farnese, caduta per terra, spostamento delle manette, bendaggio, etc.);

I, che si trovava a lavorare in un'altra stanza e che era intervenuto a seguito del vociare proveniente da quella dove si sono verificati i fatti, conferma di aver visto sia M sia   PERSONA OFFESA per terra e di essere intervenuto per riportare la calma facendo uscire le numerose persone presenti in quella stanza, prima di allontanarsi senza aver assistito al bendaggio;

C, pur escusso frettolosamente e che pur non riferisce della caduta a terra, tratta dei tentativi di aggressione a   PERSONA OFFESA posti in essere dai militari di Piazza Farnese;

- B, che componeva l'equipaggio che aveva portato E in via In Selci e che ha trattato di un sputo indirizzato da V a quest'ultimo, era entrato negli uffici della Prima Sezione dopo aver udito il vociare che aveva poco prima determinato anche I a intervenire e aveva visto   PERSONA OFFESA già seduto, ammanettato e bendato; in relazione agli eventi successivi, ha pedissequamente confermato quanto aveva sostenuto l'imputato (affidamento momentaneo di   PERSONA OFFESA alla sua custodia, rientro di V nella stanza per fare la presunta comparazione fonica, ritorno di M e intervento dello stesso per allontanare ancora V, etc.).

Prima di esaminare la ricostruzione dei fatti fornita dalla persona offesa che, com'era prevedibile, presenta qualche divergenza con le ricostruzioni fin qui operate, è bene svolgere una breve riflessione in ordine alla corretta chiave di lettura da individuare per superare le suesposte discrasie tra le varie testimonianze, chiave che, troppo frettolosamente, potrebbe essere individuata nel fatto che i testi che confermano appieno le dichiarazioni di M solo proprio quelli - e solo quelli - addotti dalla Difesa e sentiti dopo che l'imputato, loro collega e verosimilmente loro amico, aveva fornito la sua versione dei fatti in dibattimento.

Il Tribunale non ritiene di aderire a una semplificazione siffatta in quanto, ancorché sia spiacevole affermarlo trattandosi di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, risulta alquanto probabile che i primi testi escussi, prima di conoscere la linea difensiva di M, tendessero a minimizzare i gravi fatti accaduti all'interno della caserma al momento dell'arrivo dei due cittadini statunitensi ritenuti responsabili della morte del loro collega e abbiano provato a ricostruire una situazione di quasi normalità escludendo aggressioni, minacce, sputi posti in essere in pregiudizio dei due fermati e provando a giustificare l'inconsueta presenza di quel consistente numero di soggetti presente in quella caserma (la Parte civile ha correttamente fatto emergere, con le sue reiterate domande, la superficialità con cui era stato consentito a tutte quelle persone, moltissime delle quali estranee al Nucleo Investigativo e in parte anche all'Arma dei Carabinieri, di accedere, senza reali motivi di servizio, a quella caserma) con la mera curiosità di vedere in faccia i responsabili dell'omicidio del loro collega ovvero di assistere al loro fermo.

Invero dai messaggi scambiati all'interno di una chat composta da vari appartenenti all’Arma dei Carabinieri, emerge palesemente come, in quelle ore, la rabbia dei colleghi del militare ucciso nei confronti dei presunti responsabili fosse montata in maniera esponenziale, tanto che in quei messaggi, estrapolati dall'ing. C dal telefono cellulare in uso a ** e acquisiti al fascicolo del dibattimento, si leggono espressioni che non fanno certo onore a chi, non solo, sarebbe chiamato a svolgere le proprie pubbliche funzioni con assoluta imparzialità e nel rispetto dei dettami costituzionali di cui all'art. 54, comma 2, c.p., ma a chi è preposto, in relazione al ruolo istituzionale ricoperto, proprio alla tutela dei diritti fondamentali dell'individuo da indebite aggressioni da parte di terzi.

Basta scorrere rapidamente quella chat per trovarvi indegne espressioni quali: "ammazzateli di botte", "speriamo che gli fanno fare la fine di Cucchi", "ammazzateli più che potete", "qualche mazzata ai coglioni se la prenderà", "e bene gli deve andare se ne prende solo qualcuna, sto pezzo di merda", "non mi venite a dire di arrestarli e basta. Devono prendere la mazzate, Bisogna chiuderli in una stanza e ammazzar/,"', etc.

Allo stesso modo risultano chiarissime le altre chat di ** il quale, nonostante, come si è visto, in dibattimento non abbia riferito di aggressioni o violenze commesse in danno di   PERSONA OFFESA, a tale Nicola, nel pomeriggio di quel 26 luglio, confida di aver "buttato uno schiaffo" quando "lo hanno portato al reparto operativo" e di essere stato bloccato da altri colleghi i quali, però, "nel frattempo buttavano le ginocchiate sul petto", anche se a giudizio di LR "non gli hanno alzato così tanto le mani", concordando infine con il suo interlocutore che la "miglior vendetta" sarebbe stata quella di "squagliarli nell'acido".

Non è il caso di procedere oltre con le espressioni presenti nelle ulteriori chat di LR che reiteratamente conferma ai suoi colleghi di aver dato almeno uno schiaffo a  PERSONA OFFESA, ("pena di morte", "voglia di uccidere", "tagliategli i coglioni”) e in quelle di altri tre militari della Stazione di Piazza Farnese e in particolare di CS ("lat sfunnat e mazza/ .. sti bastardi?" "io sì ... e i colleghi pure ... c ho parlato .. a modo mio ... poi mi hanno cacciato"; "stamattina lo avrei ammazzato"; "l'avrei ucciso a mani nude ... fino a deformargli la/accia ... me lo hanno levato ... io lo dovevo ammazzare") emerge chiaramente il clima di tensione e aggressività presente nella caserma di via In Selci al momento dei fatti per cui si procede e lo specialissimo livore nutrito nei riguardi dei fermati dai colleghi del sottufficiale ucciso, livore forse umanamente comprensibile ma non certo giustificabile - e men che meno nei termini suddetti - in appartenenti all’Arma dei Carabinieri, soprattutto allorquando costoro non fanno nulla per celarlo e lo manifestano apertamente ad altri militari che erano comunque in contatto fisico con i fermati in quel momento (nelle chat si trovano foto di   PERSONA OFFESA e di E all'interno della stanza dell'hotel seduti sul letto per cui risulta oltremodo evidente la relazione dei partecipanti alla chat con soggetti che, oltre a LR, avevano in custodia i fermati ovvero stavano partecipando alle operazioni di fermo).

Invero   PERSONA OFFESA ha descritto, ovviamente dal suo punto di vista, varie gratuite violenze che asseriva di aver subito in quel contesto, rappresentando come, fin da prima di essere collocato nel veicolo di servizio all'hotel Le Méridien, qualcuno, nonostante egli fosse sostanzialmente tranquillo e non aveva assunto stupefacenti o alcool, gli aveva messo una tovaglia in testa e che, durante il tragitto in auto, in cui egli si muoveva provando ad alzare la testa, aveva ricevuto, in macchina, qualche gomitata dai due militari che stavano accanto a lui e pure da quello seduto sul sedile anteriore lato passeggero (cfr. pag. 42)

Giunto in caserma, dopo aver sceso delle scale, era stato portato nell'ufficio (che ha riconosciuto nelle foto esibitegli) e, in quel momento, gli era stata tolta la tovaglia dalla testa ed era stato pressoché immediatamente buttato a terra, preso a ginocchiate e quindi ammanettato, segnalando che durante il percorso dall'hotel alla caserma egli aveva invece le mani libere e non gli erano state applicate le manette.

Quindi lo avevano fatto sedere su una sedia e lo avevano bendato ed era rimasto in quella posizione per "almeno mezz'ora, anche 45 minuti, un'ora" (e come si vedrà dall'esame di alcuni dati oggettivi, il dato temporale fornito da   PERSONA OFFESA sulla durata del bendaggio è quello più verosimile) fino a quando qualcuno non aveva disposto che gli venisse tolta la benda.

PERSONA OFFESA tratta di persone in divisa e in borghese presenti nella stanza al momento del suo arrivo e quando, successivamente, gli sarebbe stata tolta la benda e riferiva che, mentre era bendato, era stato interrogato da qualcuno in relazione a una felpa rossa e sosteneva di essere stato oggetto di minacce, allorquando gli si rappresentava anche che aveva i minuti contati; quindi affermava che, quando gli era stata poi tolta la benda, tra i soggetti presenti nella stanza aveva individuato anche V il quale gli si rivolgeva ripetutamente chiedendogli se lo conoscesse.

È chiaro che gli elementi presenti nel fascicolo del dibattimento, a cominciare dagli esiti della visita sanitaria operata al momento dell'ingresso in carcere dei due fermati che escludono ecchimosi, lesioni e segni di percosse (cfr. relativa documentazione prodotta dal P.M.) non consentono di ritenere effettivamente provate oltre ogni ragionevole dubbio le ulteriori condotte attribuite da   PERSONA OFFESA a, più o meno identificabili, appartenenti all'Arma dei Carabinieri (con particolare riferimento a quelle commesse all' interno dell'autovettura e alla tovaglia che gli sarebbe stata posta sul capo, dato di cui nessuno, diverso da lui, ha trattato), ma certamente le sue dichiarazioni danno la misura, unitamente ai dati emergenti dalle asserzioni di M e dei testi a difesa e al tenore dei messaggi di cui si è detto, quantomeno dell'atteggiamento decisamente ostile e aggressivo tenuto nei suoi confronti da parte di diversi soggetti presenti in via In Selci (e soprattutto dai militari della Stazione di Piazza Farnese, colleghi e amici del sottufficiale ucciso).

I suesposti elementi consentono dunque di aderire sostanzialmente alla ricostruzione dei fatti complessivamente fornita dall'imputato il quale, in estrema sintesi, ha rappresentato, al momento del suo arrivo in via In Selci, un contesto ambientale reso particolarmente complesso dalla incontrollata e del tutto inopportuna e irragionevole presenza, nel piazzale e all'interno degli uffici, di numerosi soggetti alcuni dei quali animati da spirito vendicativo nei confronti del fermato che aveva in custodia e che, come hanno effettivamente confermato quasi tutti i testi a difesa, aveva in qualche modo provato a proteggere dalle ire di alcuni suoi colleghi.

Ciò premesso occorre dunque, entrando finalmente nel merito del presente procedimento, passare a verificare se le motivazioni fornite da M in ordine alle ragioni per cui aveva ritenuto di bendare  PERSONA OFFESA siano quelle realmente sussistenti e se, comunque, possano ritenersi tali da giustificare una così anomala iniziativa adottata nei confronti di un fermato.

Sull'assoluta anomalia della misura adottata dal sottufficiale oggi imputato non possono, in concreto, nutrirsi dubbi di sorta in quanto non solo la stessa non è espressamente prevista (e il dato non è solo meramente formale) da alcuna disposizione di legge, ma la totalità dei testi cui la relativa domanda è stata posta nel presente procedimento ha escluso, nonostante trattasi di soggetti con diversi anni di esperienza in attività di polizia giudiziaria, di aver mai proceduto o assistito al bendaggio di un fermato, procedura infatti che non rientra certo nelle prassi operative delle Forze di polizia italiane.

È subito bene precisare che l'art. 608 c.p. espressamente punisce "il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia", ragion per cui il relativo fatto di reato può essere escluso solo allorquando le misure di rigore imposte al soggetto privato della libertà personale siano invece "consentite dalla legge".

Occorre, in altri termini che le misure restrittive adottate, tra le quali inevitabilmente va inclusa quella volta a impedire a un soggetto di utilizzare le sue capacità visive, siano· espressamente consentite da una disposizione avente forza di legge o comunque, tenuto conto dell'epoca in cui la norma incriminatrice venne introdotta nel nostro ordinamento penale e a tutto voler concedere in via ermeneutica (e ignorando, per il momento e per il favor rei, l'art. 13 della Costituzione e i suoi corollari) da una disposizione secondaria legittimamente emanata a seguito di un provvedimento legislativo.

La Difesa ha prodotto un vademecum intitolato "Procedimenti d'azione per i militari dell'Arma dei carabinieri nei servizi d'istituto" che, tra l'altro, fornisce indicazioni, suggerimenti, anche di buon senso, e disposizioni sulle procedure da adottare in caso di arresto o fermo e - al di là del rilievo giuridico che tale manuale o vademecum che dir si voglia finisce per assumere - in alcun passaggio dello stesso si ricava la possibilità di privare, anche solo per brevi momenti, il fermato o arrestato del suo visus nemmeno nei casi "di arresto di persona particolarmente pericolosa o che evidenzia segnali di resistenza all'azione dei militari", ragion per cui è fin troppo agevole concludere come il bendaggio di PERSONA OFFESA a opera dell'imputato debba essere considerata misura di rigore non consentita dalla legge (e nemmeno da disposizioni secondarie, ammesso e non concesso, che queste siano eventualmente sufficienti a legittimarla).

Nonostante la disposizione incriminatrice non richieda il dolo specifico di infliggere gratuite vessazioni al soggetto passivo ma la semplice coscienza e volontà di adottare quelle misure non consentite dalla legge, coscienza e volontà quest'ultima chiaramente isolabile in capo a M, da ciò non discende certamente, sic et simpliciter, la penale responsabilità di quest'ultimo il quale potrebbe aver comunque agito in presenza di una causa di giustificazione (e in tal senso di fatto conclude la Difesa invocando lo stato di necessità), ma prima di affrontare la relativa questione occorre, anche per completezza, segnalare come la disposizione incriminatrice in questione abbia un contenuto, al contempo, più ampio e più ristretto rispetto all' art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il quale stabilisce che "nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamento inumani o degradanti".

Infatti, mentre da un lato, anche una misura di rigore (per utilizzare i datati termini del codice) regolarmente prevista dalla legge potrebbe violare l'art. 3 suddetto qualora quel trattamento, ancorché consentito da uno Stato firmatario, finisca per essere ritenuto comunque inumano o degradante (si pensi alle problematiche attualmente esistenti in relazione ad alcune limitazioni stabilite dall'art. 41 bis, comma 2, O.P. e alla relative decisioni della C.E.D.U.), d'altro canto nulla impedisce a quest'ultimo, con la sua legislazione interna, per così dire di attenuare la soglia di tollerabilità di comportamenti comunque vessatori nei confronti di soggetti fermati o arrestati e, dunque, vietare a coloro che li hanno in custodia, condotte restrittive che, ancorché non possano ritenersi, secondo la C.E.D.U., in sé inumane o degradanti, non vengano, dallo Stato, ritenute funzionalmente necessarie allo scopo perseguito.

"il pubblico ufficiale, che sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge una persona arrestata o detenuta di cui egli abbia la custodia", ragion per cui il relativo fatto di reato può essere escluso solo allorquando le misure di rigore imposte al soggetto privato della libertà personale siano invece "consentite dalla legge".

In tal senso con l'art. 608 c.p., che necessariamente va oggi letto alla luce del principio fondamentale di cui all'art. 13 della Costituzione, il legislatore ha ritenuto, in situazioni delicatissime come quelle conseguenti alla privazione della libertà di un individuo, di legittimare solo ed esclusivamente quelle "misure di rigore" che siano espressamente "consentite dalla legge" e non già quelle che dalla stessa non sono espressamente escluse o vietate (come sembra sostenere la Difesa).

Una precisazione siffatta è resa necessaria alla luce dell'allegazione difensiva secondo cui altri Paesi legittimerebbero il bendaggio di soggetti arrestati e, addirittura, la stessa Corte Europea dei Diritti dell'uomo avrebbe considerato pienamente legittima un'operazione siffatta peraltro in un caso di grande clamore internazionale.

La Difesa, infatti, sia con la sua discussione sia con la sua memoria, ha citato, pur senza allegarla, la sentenza emessa dalla C.E.D.U. il 12 marzo 2003 nel caso Ùcalan c. Turchia, con la quale, effettivamente, la Corte escludeva la violazione dell'art. 3 della Convenzione in relazione alle operazioni di trasferimento del noto leader separatista curdo Abdullah Ùcalan che, arrestato in Kenia, era stato tradotto in aereo in Turchia rimanendo a lungo bendato durante il viaggio.

Nel caso di specie invero, anche al di là delle citate considerazioni sul fatto che una condotta del genere in Italia rimane pur sempre proibita o, perlomeno, non consentita dalla legge, nella sentenza reperibile sul sito della Corte ma non prodotta dalla Difesa, si rileva che Ùcalan "ebbe gli occhi bendati tutte le volte che gli agenti turchi non portavano il passamontagna. La benda gli veniva levata ogni volta che gli agenti mettevano il loro passamontagna ... la benda gli fu tolta una volta che l'aereo entrò nella zona aerea turca".

Conseguentemente la Corte dopo aver segnalato che, "affinché un arresto o una detenzione di una persona in ambito di un procedimento giudiziario siano degradanti ai sensi dell'articolo 3, l'umiliazione o l'avvilimento di cui esse si accompagnano devono situarsi ad un livello particolare e distanziarsi in ogni caso dal livello abituale d'umiliazione inerente a qualunque arrestoo detenzione (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Raninen c. Finlande del 16 dicembre 1997, Recueil 1997-VIII, p. 2821-2822, § 55)", quanto alla benda, osservava che "i membri delle forze dell'ordine gliela avevano messa allo scopo di evitare di essere riconosciuti dall'accusato, pensavano altresì di poter evitare che il ricorrente tentasse di evadere o di ferirsi o di ferire terzi" e rilevavano che Ùcalan "non fu interrogato dai membri delle forze dell'ordine mentre aveva la benda sugli occhi", per cui finiva per accedere all'impostazione del Governo turco secondo il quale "i membri delle forze dell'ordine, prendendo questa precauzione, non intendevano umiliare o colpire il ricorrente, ma avevano la missione di assicurare un buon svolgimento del suo trasferimento, il quale, bisogna ammettere, richiedeva molta prudenza e precauzioni, vista la personalità del ricorrente e le reazioni che aveva suscitato il suo arresto".

In conclusione la Corte, aveva in qualche modo legittimato quel trattamento imposto a Ùcalan solo perché, a fronte dell'obiettivo aggravamento delle sue condizioni di detenzione durante il viaggio e in quel contesto spazio-temporale, d'altro canto, sussistevano pressanti esigenze di sicurezza volte a impedire il riconoscimento, da parte di colui che era al vertice di quello che era ritenuto dalle Autorità turche (a torto o a ragione) un pericoloso sodalizio criminale (il PKK), degli appartenenti alle forze di polizia che lo stavano riportando in Turchia e allo scopo, proprio per la sua notorietà e personalità, di inibire più efficacemente possibili tentativi di sfuggire al controllo di questi a bordo di un aereo o di arrecare a costoro danni fisici.

È evidente come - e sempre al netto delle citate considerazioni sulla non piena corrispondenza tra l'eventuale violazione dell'art. 3 C.E.D.U. e la fattispecie di cui all'art. 608 c.p.

- il caso che ci occupa presenti significative differenze con quello che ha interessato il leader del PKK, in quanto nella fattispecie in esame non sussistevano certo - né alcuno le ha allegate - ragioni di sicurezza o anonimato degli operanti che avevano fermato   PERSONA OFFESA né, tantomeno, era realistico ipotizzare presunte condotte aggressive del medesimo (o di terzi sodali) in danno degli operanti all'interno di quella caserma e tali da imporre, oltre alle manette sulla schiena, il bendaggio del cittadino statunitense.

La questione va ovviamente affrontata, sulla base delle precedenti considerazioni, allo scopo di verificare se nella condotta, certamente illecita di M che aveva sottoposto   PERSONA OFFESA a misure di rigore (il bendaggio) non previste dalla legge, sia rinvenibile la causa di giustificazione dello stato di necessità (ovviamente per le citate ragioni è da escludere, in nuce, quella della legittima difesa non potendo l'ammanettato alla schiena   PERSONA OFFESA, agitato o meno che fosse, costituire un pericolo, anche ipotetico, per l'incolumità dell'imputato o dei suoi altri colleghi presenti nella stanza).

In siffatta analisi occorre partire ovviamente dalle ragioni addotte da M per giustificare l'adozione di quella misura ed è bene subito segnalare come, a differenza di quanto sostiene la Difesa, l'imputato non le ha esposte sempre allo stesso modo e le varie versioni che ha fornito non appaiono sempre conciliabili tra loro.

Come si è detto, in dibattimento M ha spiegato la sua scelta di bendare PERSONA OFFESA asserendo che era, a suo giudizio, necessaria per calmarlo in quanto, già dal momento in cui lo aveva prelevato presso l'hotel, questo era agitato e rischiava anche di farsi del male: "la mia preoccupazione era che potesse autolesionarsi ... lì stavamo in un contesto stretto, c'erano scrivanie e quant'altro", nonché aveva la preoccupazione "di non far vedere   con i testimoni dell’accaduto" che il sottufficiale sapeva trovarsi in quegli uffici, aggiungendo infine che si trattava di un gesto istintivo in quanto gli era "venuto di coprirgli gli occhi per - si badi bene - disorientarlo".

Prima di procedere oltre è il caso di operare un paio di considerazioni partendo dal presupposto che il delitto per cui si procede è un reato istantaneo (cfr. Cass. Pen., Sez. 6", 21 maggio 2012 n. 30780) per cui l'asserita istintività del gesto posto in essere da M sarebbe, a norma di legge, sostanzialmente irrilevante tanto più che allo stesso non è seguita l'immediata rimozione della benda apposta sugli occhi del fermato, che, a tutto voler concedere, è stata mantenuta per almeno mezz'ora (cfr. infra).

Il Tribunale, in realtà, non riesce a comprendere bene la relazione tra il bendaggio di un individuo in un contesto quale quello chiaramente emerso in dibattimento e la necessità di tranquillizzarlo, ritenendo che, a differenza di quanto avviene per gli uccelli rapaci quando vengono privati degli stimoli visivi, un essere umano appena aggredito con quelle modalità dovrebbe, all'esatto contrario, agitarsi molto di più non potendo nemmeno vedere se qualcuno si appresta a colpirlo e da che punto arriva la minaccia (e del resto lo stesso M ha dichiarato anche di avergli coperto gli occhi ... per disorientarlo - pag. 52) e comunque non potendo nemmeno comprendere, muovendo il capo, se rischiava di colpire qualche oggetto che si trovava nelle sue immediate vicinanze.

Ovviamente questo giudice non è un esperto in materia e non può escludere che quella comunque inconsueta azione possa aver esplicato su  PERSONA OFFESA gli effetti positivi allegati da M ma non può non rilevare come l'imputato in quella relazione di servizio del 28 luglio 2019 prodotta dalla Difesa e trasmessa al Colonnello DA non avesse fatto nemmeno un larvato cenno alla necessità di bendare il fermato al fine di tranquillizzarlo e di impedirgli gesti autolesionistici.

Infatti (cfr. ali. I della produzione difensiva all'udienza dell'11 novembre 2022) M asserisce, senza trattare di precedenti aggressioni subite dal fermato, ma solo della "presenza di molteplici persone (almeno 15)" nell'ufficio "con evidente confusione e tensione collettiva" e del fatto che era aperta la porta "che permette l'accesso al corridoio con ulteriore via vai di soggetti", "considerata la necessità di condurre il soggetto in ambiente isolato e sicuro ma considerata l'impossibilità nel tragitto di prevenire contatti con altri soggetti anche di potenziale interesse investigativo" provvedeva "ad apporre temporaneamente una copertura sugli occhi del fermato", copertura che, "trascorsi pochi minuti, avendo liberato la stanza", procedeva quindi a rimuovere.

Con quella relazione espressamente M comunicava al suo Comandante che "la necessità della copertura visiva del  PERSONA OFFESA” si era resa necessaria perché questi era stato, in attesa di una "collocazione isolata", posizionato in una stanza in cui c'erano moltissime persone, che l'altro ufficio era già occupato, che era impossibile raggiungere un'altra stanza a causa del corridoio affollato e che "era dunque necessario impedire qualsiasi tipo di potenziale pregiudizio alle successive individuazioni fotografiche e/o personali e a qualsiasi potenziale comunicazione gestuale e/o visiva con i soggetti di interesse investigativo", ma nulla riferiva in relazione all'agitazione di   PERSONA OFFESA e alla necessità di applicargli la benda per calmarlo.

M, come emerge dalla produzione difensiva, veniva invitato a comparire dal P.M., quale persona sottoposta a indagini, prima per il 2 agosto 2019 (invito notificato l'1 agosto precedente) e quindi per il 9 agosto successivo ma in entrambe le occasioni non si presentava allegando, a mezzo del suo Difensore, questioni di termini e processuali e in ogni caso comunicando alla Procura di avere "espresso la volontà di non rendere l'interrogatorio".

La sua successiva versione dei fatti veniva quindi resa il 20 febbraio 2020 in sede di procedimento disciplinare (ali. 8 della produzione difensiva dell' 11 novembre 2022), conclusosi con sospensione disciplinare dall'impiego per sei mesi (ali. 9 della citata produzione difensiva), e in quell'occasione trattava dell'aggressione di V a PERSONA OFFESA mentre egli e D si apprestavano a condurlo all'interno dell'ufficio, segnalando che a seguito di tale evento,   PERSONA OFFESA si era innervosito e iniziava a divincolarsi, ma non può farsi a meno di notare come, fino a quel momento M non avesse fatto cenno a una particolare precedente agitazione del fermato come avrebbe poi fatto in dibattimento e anzi dichiarava che lo stato di agitazione di quest'ultimo, a suo avviso, "è stato causato sia dalla presenza di numerose persone, sia dal tentativo di altri quattro militari in evidente stato di agitazione (... tutti effettivi al Comando Stazione Carabinieri di Piazza Famese) manifestato anche con delle grida".

Per tali motivi M - "stante l'agitazione del   e la pericolosità dei suoi movimenti con le manette ai polsi" - decideva di spostare le manette dietro la schiena del fermato e di farlo sedere su una sedia, dove lo stesso "continuava ad agitarsi e a compiere movimenti repentini", ragion per cui decideva di bendarlo e di parlargli pacatamente per calmarlo. Anche in tale occasione M riferiva che il bendaggio di   PERSONA OFFESA era anche determinato dalla necessità di non farlo venire in contatto con altre persone di interesse investigativo che sapeva trovarsi all'interno degli uffici e in particolare faceva i nomi di **. i, V, E e un soggetto egiziano di cui non ricordava o conosceva il nome.

Dopo circa un minuto dal bendaggio M, secondo quanto dichiarato in sede disciplinare, si allontanava dalla stanza perché era venuto a conoscenza della pubblicazione on-line di due foto ritraenti i fermati nella stanza dell'Hotel Le Méridien, affidando   PERSONA OFFESA all’App. B e raccomandando allo stesso di non far avvicinare nessuno. M, dopo aver interloquito con il Mar. I che stava interrogando Pompei, rientrava nel suo ufficio e notava V che stava effettuando una registrazione con il suo telefonino, per cui interrompeva quella registrazione e, dopo essere uscito dalla stanza e aver parlato con il Magg.A, accompagnava V nella stanza della 7• Sezione e tornava in ufficio dove disponeva che venisse tolta a benda a   PERSONA OFFESA.

Si è inteso riportare tali ultime dichiarazioni (sostanzialmente conformi a quanto poi M avrebbe dichiarato in dibattimento e a quelle rese da B) in quanto dalle stesse è agevole ricavare come   PERSONA OFFESA sia rimasto bendato per un consistente lasso di tempo tenuto conto di tutte le attività svolte da M in quel frangente temporale, tempo che è isolabile in almeno mezz'ora e non in quella decina di minuti indicata dall'imputato, come, in ogni caso, si ricava da alcuni dati oggettivi emergenti dalla consulenza dell'ing. C.

Infatti nel telefono di LR si rinviene una foto scattata dalla camera posteriore di un 1- Phone 8, che ritrae   PERSONA OFFESA, da solo, seduto, ammanettato alla schiena, che risulta realizzata alle ore 12:56:09; inoltre, il C.T., ha isolato altre quattro fotografie scattate tra le 12:30 e, appunto, le 12:56:09 (i file riportano, nelle relative proprietà come orario di creazione le ore 10:56, 10:39, 10.32 e 10:30 ma, come ha specificato il consulente, in questo caso il riferimento è al fuso orario di Greenwich - GMT - per cui, tenuto conto che all’epoca era già in vigore l'ora solare, gli stessi vanno spostati di due ore in avanti per avere l'ora italiana esatta) e mentre nella prima in ordine cronologico (fig. 6 di pag. 19) si nota  PERSONA OFFESA per terra, in quella successiva delle 12:32 (fig. 5) si vede la persona offesa già seduta anche se non si vede il suo volto che è coperto dai corpi di altri soggetti e in quella ancora successiva delle I 0:39 (fig. 4) si nota chiaramente   PERSONA OFFESA bendato.

Conseguentemente è fin troppo agevole affermare che il bendaggio del fermato sia intervenuto intorno alle 12:32 (imputato e testi sostengono che non c'è stata praticamente soluzione di continuità tra il momento in cui   PERSONA OFFESA era stato fatto sedere e il bendaggio del medesimo) e comunque entro le 12:39 e come il medesimo sia rimasto in quelle condizioni per almeno una mezz'ora se si tiene conto della foto delle 12:56, scattata quando la stanza risulta quasi vuota (non si vede nessuno), e del fatto che, in quel frangente, M non doveva essere ancora rientrato.

Se dunque appare conforme al vero quanto sostenuto dalla persona offesa quando parla di "mezz'ora, 45 minuti, un'ora", d'altro canto risulta comunque evidente come quella benda non sia stata apposta per ragioni di tutela della genuinità della prova (cosa che potrebbe risultare rilevante ai fini dell'esimente dell'adempimento di un dovere) in quanto in quell'arco di tempo c'erano svariate possibilità alternative per fare in modo che il fermato non entrasse in contatto con persone di interesse investigativo e del resto già dalla foto delle 10:39 non si apprezzano affollamenti nella stanza ma si nota la presenza di un solo soggetto oltre a  PERSONA OFFESA.

In realtà se, come si è detto, la giustificazione addotta da ultimo da M e concernente la stessa tutela dell'incolumità fisica di PERSONA OFFESA appare, già in sé considerata, poco convincente, allo stesso modo deve concludersi in ordine a quella, invero allegata già nella relazione di servizio del 28 luglio 2019 e ribadita anche in dibattimento, volta a impedire contatti visivi tra l'odierna persona offesa e altri soggetti.

A tal riguardo - ammesso e, con ogni probabilità, non concesso che l'imputato, il quale, di fatto, era rimasto ai margini delle investigazioni che avevano consentito di individuare E e   PERSONA OFFESA quali presunti responsabili dell'omicidio di CARABINIERE  (tanto che era stato convocato solo per trasportare uno di questi in caserma e non era nemmeno salito nella stanza d'albergo dove alloggiavano), sapesse effettivamente che in via In Selci si trovavano oltre a B e V, anche P e il cittadino egiziano, e, ancora, ammesso e, con ogni probabilità, sempre non concesso, che potessero ipotizzarsi ragioni investigative per impedire a PERSONA OFFESA di vedere in volto taluno di questi (e ovviamente non viceversa visto che la benda l'aveva apposta al cittadino statunitense)- non si riesce proprio a comprendere come, pur tra quella moltitudine di persone che si trovava negli uffici o nel corridoio in attesa dei fermati, l'imputato potesse ipotizzare che vi fossero, oltre al carabiniere V, anche i "civili" B, P e l'egiziano, i quali, in quel momento, tutt'al più, dovevano essere all'interno di qualche altro ufficio laddove venivano interrogati dai suoi colleghi ed è troppo facile argomentare, quanto a V, che già un contatto visivo e addirittura fisico tra questi e     PERSONA OFFESA si era verificato, per sua stessa ammissione, nell'area esterna per cui quella presunta cautela riguardo al carabiniere in questione, unico soggetto che poteva trovarsi presente in quell'ufficio, era, a quel punto, del tutto superflua.

In ogni caso, ancora un volta ammesso e non concesso, che quella fosse la motivazione posta a monte del bendaggio di  PERSONA OFFESA, sfuggirebbero le ragion per cui - una volta allontanati i più facinorosi dall'ufficio dopo l'intervento di I (cfr. pag. 49 della trascrizione delle dichiarazioni di M) e dunque appurato che quelli che erano rimasti nella stanza avessero un minimo titolo per farlo - non sia stata rimossa la benda e si sia mantenuta quella condizione inutilmente mortificante e gravosa per il fermato per alcune decine di minuti.

È ancora opportuno ribadire che, nel caso di specie, una volta acclarata - e il dato non è revocabile in dubbio - che il bendaggio di un fermato non è una misura di rigore consentita dalla legge italiana e che, in ogni caso, non è richiesto uno specifico animus nocendi nei riguardi del fermato ma solo la consapevolezza di adottare una misura restrittiva anomala, l'unica possibilità di impunità per il pubblico ufficiale che ha posto in essere quella condotta è quella di allegare l'esistenza di una causa di giustificazione ed, esclusa per le suesposte e fin troppo chiare ragioni, quella dell'adempimento di un dovere che in ogni caso non "coprirebbe" i momenti successivi in cui quella misura di rigore è stata mantenuta - rimane solo quella dello stato di necessità cui ha fatto riferimento la Difesa, ma pure la ricorrenza di siffatta esimente deve essere esclusa nel caso di specie anche perché la stessa presuppone che il pericolo per l'incolumità fisica di una persona, presunto o reale che sia, non fosse in ogni caso altrimenti evitabile .

Si è infatti già detto come lo scopo di proteggere l'incolumità del fermato mediante l'apposizione di quella benda - dato già in sé scarsamente verosimile e di cui il Tribunale non riesce comunque a cogliere il relativo nesso teleologico - non sia stato affatto allegato in quella prima relazione di servizio redatta nell'immediatezza dei fatti e come, anche nella seconda occasione in cui M ha ripercorso la vicenda, quel presunto stato di agitazione di   PERSONA OFFESA, che in dibattimento è stato fatto retroagire fino al momento della presa in consegna presso l'hotel, si sarebbe manifestato solo a seguito dell'indegna aggressione che il ragazzo aveva subito in caserma da parte di V e di altri militari appartenenti alla Stazione di Piazza Farnese, ragion per cui, in alcun caso, ricorreva quella necessaria "inevitabilità altrimenti" posta a fondamento dell'esimente dei cui all'art. 54 c.p., potendo ottenersi agevolmente il risultato di proteggere l'incolumità fisica di   PERSONA OFFESA allontanando i suoi aggressori, riportando l'ordine in quella stanza cosa che peraltro - e ancor prima che   PERSONA OFFESA venisse bendato - avevano già fato il Maresciallo I e il Luogotenente C.

Infatti il video girato da V e che ritrae   PERSONA OFFESA ancora bendato e che sarebbe stato realizzato in un momento in cui M, affidato il fermato a B, si era allontanato dalla stanza, dà la misura di presenze oltremodo ridotte in quegli uffici (ci sono al massimo 5 o 6 persone) e della relativa tranquillità in cui è stato realizzato poiché non si odono rumori di fondo (segno che le porte erano chiuse come, con un po' di attenzione, può cogliersi anche da uno degli ultimi velocissimi fotogrammi del video in atti che mostra la parte inferiore della porta che dà sul corridoio e che si presenta chiusa) e dunque è molto agevole rilevare come M, almeno al suo rientro, una volta cessato il presunto pericolo, aveva il preciso dovere di disporre che quel bendaggio venisse rimosso.

Il video purtroppo, come ha notato il Difensore di Parte civile, presenta però un particolare decisamente più inquietante poiché, come può facilmente apprezzarsi a partire dal minuto 00:27, il riflesso di un monitor posto di fronte all'operatore restituisce una chiarissima immagine del soggetto che è posto alle spalle del cittadino americano bendato (e che peraltro appare tutt'altro che agitato) che tiene saldamente con una mano la testa di quest'ultimo e che, con ogni probabilità (cfr. minuti 00:19 e 00:20), gliela rialza nel momento in cui  PERSONA OFFESA la mantiene abbassata rispondendo svogliatamente alle domande di V.

È dunque evidente come quella misura di rigore posta in essere dall'odierno imputato, lungi dal trovare giustificazioni o esimenti di sorta in ragioni di servizio ovvero in necessità, non altrimenti evitabili, di elidere il rischio di danni fisici per lo stesso soggetto cui era stata imposta, poggi su tutt'altre motivazioni, motivazioni che, ovviamente, non è necessario isolare al fine di accertare la penale responsabilità dell'imputato ma che il Tribunale ritiene indispensabile provare comunque a individuare per la rilevanza che possono assumere, ex art. 133 c.p., nel trattamento sanzionatorio.

Invero nessuna perplessità, alla luce delle dichiarazioni rese dai testi a difesa, può residuare sul fatto che, in ogni caso, M abbia effettivamente provato a tutelare l'incolumità fisica del fermato che era stato affidato alla sua custodia e in una situazione ambientale resa particolarmente complicata dalla, obiettivamente scellerata, scelta, non certo a lui riconducibile, di far accedere in quegli uffici un numero esagerato di soggetti che nulla avevano a che fare con le indagini in corso o con specifiche esigenze di servizio che ne imponessero la presenza in caserma in quelle delicatissime ore.

Peraltro, per quanto è emerso in dibattimento, l'odierno imputato è un sottufficiale dell’Arma particolarmente stimato e apprezzato, e con ogni probabilità a ragione, dai suoi superiori e da tutti coloro che hanno avuto modo di lavorare con lui per cui, almeno a giudizio del Tribunale il gesto, certamente d'impeto, di M di bendare l'odierna persona offesa può trovare una sola giustificazione individuabile nella necessità di impedire al fermato di memorizzare i volti di coloro che potevano aggredirlo in quel frangente e dunque la condotta per cui si procede, lungi dall'essere volta a tutelare   PERSONA OFFESA, era stata posta in essere allo scopo di proteggere qualche carabiniere da conseguenze pregiudizievoli per lui laddove fosse stato successivamente riconosciuto da   PERSONA OFFESA come uno di coloro che lo avevano picchiato o avevano infierito gratuitamente su di lui.

Non può invero nemmeno escludersi - ferma comunque restando la c.d. evitabilità altrimenti di pericoli per   PERSONA OFFESA determinati, non certo da suoi gesti autolesionistici, ma dall'aggressività manifestata nei suoi riguardi da alcune persone presenti in caserma - che bendando la persona offesa, M volesse anche, in qualche modo, soddisfare la sete di vendetta palesata da alcuni militari presenti (le chat in atti ne danno una riprova inequivocabile), infliggendo al cittadino statunitense una misura, certamente umiliante, ma scarsamente lesiva e idonea a non lasciare tracce, in maniera da calmare gli animi dei più facinorosi e far loro comprendere che, comunque, il presunto assassino del loro collega e amico, non veniva certo "trattato con i guanti …" dal Nucleo Investigativo.

Alla luce di queste ultime considerazioni, per quanto possa apparire quasi paradossale, ritiene il Tribunale che M abbia posto in essere quel comportamento - comunque penalmente rilevante e per il quale non può non essere condannato - al principale, se non addirittura esclusivo, scopo di tutelare i suoi colleghi, sia elidendo, già ab origine, la possibilità di pervenire successivamente a una loro identificazione (in una delle chat dei carabinieri coinvolti nelle indagini si legge infatti che   PERSONA OFFESA "è stato bendato per non vedere" - cfr. pag. 25 della C.T. dell'Ing. C), sia provando a togliere ai medesimi ulteriori possibilità di porre in essere altre condotte aggressive nei confronti del fermato; proprio per questi motivi, se non possono non riconoscersi all'imputato, militare ampiamente stimato e ovviamente privo di pregiudizi penali, le circostanze attenuanti generiche, si impone l'individuazione di una sanzione prossima ai limiti edittali e individuata in quella di cui al dispositivo cui si perviene partendo da una base di mesi tre di reclusione ridotta di un terzo per le generiche.

Tenuto conto dell'assoluta occasionalità della condotta e delle suddette verosimili ragioni della stessa, può positivamente effettuarsi relativamente all'imputato il giudizio prognostico di cui all'art. 164 c.p. e, dunque, è possibile concedere al medesimo, oltre al beneficio della non menzione, quello della sospensione condizionale della pena.

Alla condanna consegue comunque l'obbligo del pagamento delle spese processuali e di quelle di costituzione e difesa della Parte civile che vanno liquidate sulla base dei parametri medi, in€ 3.933,00 di cui 513,00 per spese generali, oltre IVA e CPA, nonché l'obbligo del risarcimento dei danni alla Parte civile costituita, danni che, in via equitativa e definitiva, si ritiene di quantificare in € 5.000,00 (cinquemila) tenuto conto del comunque non eccessivo pregiudizio arrecato alla persona offesa e del fatto che, ovviamente, la successiva diffusione mediatica di foto e video riproducenti   PERSONA OFFESA bendato non può essere certamente attribuita all'imputato.

P.Q.M.

visti gli art. 533 e 535 c.p.p.;

 

DICHIARA

M colpevole del reato a lui ascritto e, con le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di reclusione nonché al pagamento delle spese processuali;

visti gli artt. 163 e 175 c.p. ordina la sospensione della pena per i termini e alle condizioni di Legge e la non menzione della sentenza nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati non per ragione di diritto elettorale;

visti gli artt. 538 e segg. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni cagionati alla Parte civile costituita che, in via equitativa e definitiva, liquida in euro 5.000, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa Parte civile, liquidate in € 3.933,00 di cui 513,00 per spese generali, oltre IVA e CPA;

 indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. Roma, 24 febbraio 2023