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Atti sessuali con atteggiamento passivo della donna: non c'è consenso (Cass. 42821/24)

22 novembre 2024, Cassazione penale

Donna viene descritta in "stato di tanatosi", totalmente passiva e, nonostante ciò, costretta a subire gli atti sessuali: è reato, perchè è sempre necessaria una inequivoca manifestazione di consenso. 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

 (data ud. 14/10/2024) 22/11/2024, n. 42821

A.A. nato a C il (Omissis)

avverso la sentenza del 14/11/2023 della Corte Appello di Cagliari

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Valeria Bove;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ettore Pedicini che si riporta alla requisitoria depositata in atti e chiede l'inammissibilità del ricorso.

udito il difensore avvocato TF, in difesa della parte civile B.B., che si rimette alla memoria depositata in atti e conclude per l'inammissibilità del ricorso di Cassazione o per il suo rigetto con condanna alle spese del procedimento a debito dello Stato dal momento che la parte civile è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Udito l'avvocato DF, in difesa di A.A., che chiede l'annullamento senza rinvio o con rinvio della sentenza e insiste sui motivi del ricorso.

Svolgimento del processo

1. È impugnata la sentenza emessa il 14 novembre 2023 con la quale la Corte di appello di Cagliari ha confermato la pronuncia del 26 ottobre 2021 del Tribunale di Cagliari che ha ritenuto A.A. responsabile dei delitti di cui agli artt. 609-bis, commi primo e secondo, n. 1, cod. pen. (capo A) per aver costretto B.B. subire atti sessuali consistiti in un rapporto anale, quindi vaginale e infine orale, abusando delle condizioni di invalidità e di inferiorità psichica della vittima; del delitto di cui agli artt. 624 , 61 , n. 5 cod. pen. (capo B), per aver sottratto il portafoglio alla vittima, profittando delle condizioni della donna che, dopo la consumazione del rapporto a sessuale di cui al capo A, perdeva i sensi e veniva soccorsa con ambulanza; del delitto di cui agli artt. 81 , cpv, cod. pen., 55, comma 9, D.Lgs. n. 231 del 2007  (ora art. 493-ter cod. pen.) per aver utilizzato indebitamente la carta di credito, nello specifico la tessera bancomat, custodita nel portafoglio oggetto del furto contestato al capo B, effettuando due prelievi di 210,00 e 250,00 euro, tutti delitti commessi il 5 febbraio 2018, ed è stato condannato, all'esito del giudizio abbreviato, riconosciuta l'attenuante della seminfermità prevalente sulla recidiva ex art. 99, comma quarto, cod. pen. ritenuta la continuazione, alla pena di anni cinque di reclusione, oltre spese processuali, pene interdittive e risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile. 

2. Avverso la sentenza il difensore dell'imputato propone ricorso per cassazione affidandosi ad un unico composito motivo.

2.1 Con tale motivo il ricorrente lamenta vizio di violazione di legge in relazione all'art. 609-bis cod. pen., travisamento delle risultanze dell'incidente probatorio espletato dalla persona offesa, nonché carenza di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo. 

Si deduce che l'imputato è affetto da un disturbo psichiatrico di grado medio ed è altresì disabile con una gamba recisa fino alla coscia, che lo costringe a fare uso delle stampelle per sorreggersi. Proprio la condizione fisica descritta esclude che abbia potuto compiere gli atti sessuali per i quali è stato condannato, all'interno di un bagno chimico (ove si era fatto accompagnare dalla persona offesa, da lui conosciuta poco prima), senza la cooperazione della donna.

Si riporta la motivazione della sentenza impugnata in cui la donna viene descritta in "stato di tanatosi", totalmente passiva e, nonostante ciò, attivamente costretta a subire gli atti sessuali e si deduce la contraddizione della pronuncia nella parte in cui riporta la condotta assunta della vittima, descrivendo due atteggiamenti tra loro antitetici ed inconciliabili.

A ciò si aggiunge il disturbo psichico "di grado moderato" di cui soffre l'imputato, che in altri procedimenti penali ha portato alla sua assoluzione per vizio totale di mente, ritenuto parziale nel procedimento in esame dal consulente del pubblico ministero, e si evidenzia che esso ha inciso sul dolo della violenza sessuale, posto che l'imputato, proprio a causa del ritardo mentale da cui è affetto, non è in grado di rendersi conto del disturbo di cui soffriva la persona offesa, affetta, a sua volta, da ritardo mentale di grado lieve, o di approfittare del suo stato, ed anzi lo stesso è tale da fargli obiettivamente rappresentare il consenso della donna, anche alla luce del fatto che gli atti sessuali non potevano che avvenire con la collaborazione della vittima, come emerge, a dire della difesa, anche dal contenuto dell'incidente probatorio, laddove la donna ha raccontato che l'imputato non l'ha trattenuta, né spinta.

Diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado e dalla Corte di appello, la dinamica dei fatti - i due si incontrano, e non si conoscevano prima; si siedono a parlare in una panchina; decidono di pranzare insieme; la donna accompagna l'uomo in un bagno chimico; dopo i fatti, insieme si dirigono a prendere l'autobus e lì la donna sviene e viene soccorsa dall'autoambulanza, in cui l'uomo chiede di entrare - in uno al disturbo mentale di cui sono affetti i protagonisti (più grave quello dell'imputato) portano quindi ad escludere il dolo e lasciavano fondatamente presumere il consenso, espresso anche in comportamenti concludenti, posto che, per l'handicap fisico, l'imputato non avrebbe potuto costringere la donna a subire gli atti sessuali, che sono stati realizzati, e non potrebbe essere altrimenti, con la collaborazione della stessa.

Alla luce di questi elementi si conclude chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

3. Il pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

4. Con conclusioni scritte il difensore della parte civile ha chiesto dichiarare inammissibile o comunque pronunciare sentenza di rigetto del ricorso proposto dall'imputato, con tutti i conseguenti effetti, anche in ordine alla condanna delle spese di parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esplicitate.

1.1. La parte ha proposto un unico, composito, motivo di gravame, con il quale deduce sia violazione di legge in relazione all'art. 609-bis
cod. pen., sia travisamento delle risultanze probatorie, nonché carenza di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo, riproponendo una serie di circostanze di fatto che, diversamente da quanto affermato, è stata adeguatamente vagliata dai giudici di merito, i quali, con motivazione immune da censure, sono pervenuti a dichiarare la penale responsabilità dell'imputato, riconoscendogli il vizio parziale di mente.

2. Quanto, in particolare, al vizio di violazione di legge in relazione all'art. 609-bis cod. pen. e al travisamento delle risultanze dell'incidente probatorio, che vanno analizzati congiuntamente poiché strettamente correlati tra di loro, la parte deduce che l'imputato ha un grave handicap fisico (gamba recisa fino all'anca) che esclude che possa aver realizzato i fatti (rapporto anale, orale e vaginale) in un bagno chimico, con violenza e senza la collaborazione della persona offesa e ciò sarebbe dimostrato anche dall'incidente probatorio, che si assume essere stato travisato nella parte in cui i giudici di merito affermano che dal contenuto delle dichiarazioni della donna emergerebbe la violenza. 

2.1 II vizio denunciato, che si sostanzia nel dedurre, da un lato, l'omessa valutazione degli elementi di prova, quali le condizioni fisiche dell'imputato e le modalità violente e costrittive dei rapporti sessuali, e, dall'altro, il travisamento degli stessi è inammissibile, risolvendosi nel reiterare i motivi di doglianza proposti innanzi al giudice di appello (e nello specifico il secondo motivo di appello, che aveva, tra gli altri, ad oggetto la configurabilità del delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen. e l'assenza di condotte violente, oltre, come si vedrà, alla mancanza del dolo), sui quali la Corte di appello ha risposto con argomentazione sintetica ma adeguata, con la quale la parte non si confronta. 

È opportuno infatti ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).

2.2 Nessuna censura può essere mossa ai giudici di merito che, dopo avere descritto la dinamica dei fatti - l'imputato e la persona offesa, che non si conoscevano, si incontrano il giorno dei fatti; si siedono a parlare in una panchina; decidono di pranzare insieme e prima di incamminarsi l'imputato chiede alla persona offesa di accompagnarlo in un bagno chimico, ove la donna lo accompagna (l'imputato si muove sulle stampelle, essendogli stata recisa una gamba); lì la donna subisce un rapporto anale, orale e vaginale; dopo i fatti, insieme si dirigono a prendere l'autobus e lì la persona offesa sviene e viene soccorsa dall'autoambulanza, in cui l'uomo chiede di entrare, richiesta, questa che gli viene rifiutata dal personale sanitario non essendo un parente della vittima; successivamente la madre della vittima si accorge che erano stati effettuati due prelievi di denaro con la carta bancomat della figlia, che a sua volta realizza di non avere più con sé nella borsa la carta di credito, alla quale era allegato un foglietto con il PIN, fatti questi che integrano i delitti di cui ai capi B e C, rispetto ai quali la parte non ha mosso rilievi) - si soffermano sulle dichiarazioni della persona offesa, raccolte prima in sede di denuncia e poi in sede di incidente probatorio, e con valutazioni adeguatamente e logicamente motivate hanno ritenuto integrato il reato contestato al capo A e sussistente la violenza nella realizzazione della condotta.

Né può ritenersi che lo "stato di tanatosi" in cui versava la vittima al momento del rapporto sessuale - così come indicato dal giudice di appello facendo ricorso ad una terminologia propria degli animali (che per un riflesso caratteristico e autoconservativo si fingono morti per non attirare l'attenzione dei predatori) ed utilizzato, nel contesto, per descrivere una condizione di assoluta passività della donna - si ponga in contrasto con la costrizione esercitata dall'imputato, trattandosi di due atteggiamenti riferiti rispettivamente alla vittima e all'imputato, il primo dei quali, lungi dall'essere manifestazione di un comportamento collaborativo (come anche si è sostenuto nel ricorso, laddove si è rimarcato che l'imputato, in ragione del deficit fisico, non potesse avere alcun rapporto sessuale senza la collaborazione attiva dell'altra parte) è esso stesso conseguenza evidente di una condotta violenta subita contro la propria volontà.

3. Egualmente inammissibile è la dedotta carenza di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo.

3.1. Si assume nel ricorso che la dinamica dei fatti in uno al disturbo mentale da cui sono affetti i protagonisti (più grave quello dell'imputato) escludono il dolo e lasciavano fondatamente presumere il consenso della persona offesa, posto che l'imputato, in ragione del ritardo mentale e del disturbo psichiatrico di cui soffre, non era in grado di rendersi conto del dissenso della vittima.

3.2 Sul punto va premesso che nel caso in esame ricorre la c.d. "doppia conforme" e che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda perfettamente con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale. (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; in termini conformi, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01).

Deve altresì aggiungersi che "in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente essertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 Santapaola e altri).

3.3 Nella fattispecie in esame le doglianze erano state tutte già rappresentate nel corso del giudizio di primo grado, e sono state adeguatamente e molto logicamente analizzate già in quella sede, salvo poi essere nuovamente reiterate nei motivi di appello (in particolare nell'ultima parte del secondo motivo di appello) e valutate dal giudice di secondo grado.

Con argomentazione immune da censure il giudice di prime cure, cui si richiama il giudice di appello, ha chiarito che la condotta per la quale l'imputato è stato dichiarato responsabile si caratterizza per l'uso della violenza e per l'abuso delle condizioni di inferiorità psichica della persona offesa e, dopo aver descritto i rapporti sessuali, nel fare riferimento all'elemento psicologico del dolo, ha evidenziato che gli atti sessuali sono stati posti in essere in assenza di manifestazione di consenso, elemento questo richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, in quanto la ragazza non sono non aveva mai manifestato il proprio consenso, ma era stata "sopraffatta dall'irruenza e prepotenza" dell'imputato, che, senza darle modo e tempo per reagire, l'ha sottomessa fisicamente, costringendola a subire gli atti sessuali.

In relazione alla incapacità dell'imputato di valutare e comprendere l'adesione della vittima ai rapporti sessuali, i giudici di merito hanno evidenziato come, oltre alla necessità di una inequivoca manifestazione di consenso, tutta l'intera condotta realizzata dall'imputato dimostrasse che questi avesse ben compreso di interagire con una ragazza con disagi mentali, estremamente vulnerabile, nei confronti della quale è stato posto in essere un "approccio subdolo e studiato nel dettaglio", così da manipolarla, nella consapevolezza che la ragazza non si sarebbe volontariamente appartata con lui.

3.4 La motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo fa corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte che, con indirizzo costante ed uniforme, ha affermato che integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona (tra le tante, Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, dep. 2017, S, Rv. 270500-01; in termini conformi anche Sez. 3, n. 2400 del 05/10/2017, dep. 2018, S. Rv. 272074-01); che il dissenso della vittima costituisce un requisito implicito della fattispecie e, pertanto, il dubbio sulla sua sussistenza investe la configurabilità del fatto - reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, P, Rv. 274417-01); che, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa. (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, S, Rv. 268186-01) e che la stessa esimente putativa del consenso dell'avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Sez. 3, n. 2400 del 05/10/2017, dep 2018, S., Rv. 272074-01).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento e, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186 , e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. 

Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall'art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all' art. 616
cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate

Va inoltre disposta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente grado, da devolversi a favore dell'Erario in quanto la parte beneficiaria è ammessa al patrocinio statuale, spese la cui liquidazione compete alla Corte di appello di Cagliari.

A norma dell' art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196
, si dispone, in caso di diffusione del presente provvedimento, che vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, in quanto imposto dalla legge 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, B.B., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli 

artt. 82
e 83
 D.P.R. n. 115 del 2002
, disponendo il pagamento in favore dello Stato 
Conclusione
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2024.