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Ai figli ci pensa il coniuge? E' comunque reato non dare assistenza (Cass. 27175/18)

13 giugno 2018, Cassazione penale

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno di un minore è un dato di fatto incontrovertibile per cui entrambi i genitori sono tenuti a provvedere per ovviarvi.

Sussiste il reato anche quando l'altro genitore provveda, direttamente o indirettamente, in via sussidiaria ai bisogni della prole.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sentenza 13 giugno 2018, n. 27175

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente -

Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

N.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano il 30/03/2017;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro;

udito il Sostituto Procuratore Generale, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza, limitatamente alla determinazione della pena;

rigetto nel resto;

udito il difensore, avv. Pasquale Pontoriero, in sostituzione dell'avv. Gian Paolo Cimolino, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo


1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui N.A. è stato condannato per il reato previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, alla pena di tre mesi di reclusione ed Euro 400 di multa.

A N. è stato contestato di essersi sottratto all'obbligo di corrispondere in favore della figlia minore l'assegno mensile di mantenimento di Euro 450 e la somma corrispondente al 50% delle spese mediche straordinarie documentate, così come disposto dalla sentenza di scioglimento del matrimonio, emessa il 7/01/2004 dal Tribunale di Milano.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore articolando tre motivi.

2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge in relazione all'art. 570 c.p., e vizio di motivazione; la sentenza sarebbe viziata per non avere motivato la Corte di merito sull'effettivo stato di bisogno della minore, avendo desunto tale requisito strutturale di fattispecie dalla circostanza che il genitore della madre della bambina avesse assicurato, nel corso del tempo, un contributo economico.

Si sarebbe valorizzato solo un presunto stato di bisogno, in realtà insussistente, attese le agiate condizioni economiche della madre della minore.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 187 e 192 c.p.p., non essendo stata raggiunta la prova della effettiva sussistenza della capacità economica dell'obbligato.

2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in ordine alla determinazione della pena; si lamenta che nella specie sarebbe stata illegittimamente inflitta la pena congiunta della reclusione e della multa, laddove invece il richiamo degli artt. 12 sexies e 570 c.p., sarebbe da intendersi limitato al comma 1 e, quindi, alla pena alternativa.

2.4. Il 19/12/2017 è stata depositata una memoria nell'interesse dell'imputato con cui si ribadiscono e si approfondiscono le questioni già affrontate.

Motivi della decisione


1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo.

2. Il primo motivo è infondato, ai limiti della inammissibilità.

3. In via preliminare va evidenziato che con il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 22 marzo 2018, si è data attuazione ad una delle deleghe contenute nella L. 23 giugno 2017, n. 103, (c.d. "Legge Orlando"), e, in particolare, a quella - prevista dalla suddetta Legge, art. 1, comma 85, lett. q), - relativa all'introduzione del principio della "riserva di codice" nel nostro ordinamento penale.

Il decreto è in vigore dal 6 aprile 2018.

La nuova normativa modifica la parte generale e speciale del codice penale e realizza abrogazioni strutturali all'interno della legislazione complementare.

Il decreto interviene sulla parte speciale del sistema penale, collocando all'interno del codice penale numerose figure di reato già esistenti nell'ordinamento, con contestuale abrogazione (operata dall'art. 7, del decreto in parola) delle corrispondenti disposizioni finora contenute nella normativa complementare.

Secondo la Relazione illustrativa al decreto, tale operazione di riassetto della materia penale non dovrebbe comportare alcuna modifica sostanziale delle fattispecie criminose vigenti, essendo stata compiuta una mera traslazione all'interno del codice penale (pena l'eccesso dalla delega legislativa).

In tale contesto si colloca l'art. 570 bis c.p., rubricato "Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio", che sanziona, con le pene previste dall'art. 570 c.p., la condotta del coniuge che "si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli".

La norma ripropone, seppur non in modo letterale, le previgenti disposizioni penali contenute alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, ed alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, norme che, conseguentemente, sono state espressamente abrogate dal D.Lgs. n. 21 del 2018, art. 7, lett. b) e d).

La questione che si pone è se, sul piano della successione di leggi penali nel tempo, il nuovo art. 570 bis c.p., si sia effettivamente limitato ad un diverso collocamento ordinamentale di norme incriminatrici il cui contenuto non è stato oggetto di modifica, ovvero se vi siano profili di non perfetta sovrapponibilità tra l'attuale art. 570 bis c.p., ed i previgenti L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies e L. n. 54 del 2006, art. 3, e, posto che vi siano, come tali modifiche incidano in relazione ai fatti compiuti prima della entrata in vigore della nuova disposizione.

Per quanto rileva nel presente processo, la nuova norma, quanto alla violazione dell'obbligo di corresponsione dell'assegno stabilito in sede giudiziale in favore dell'altro coniuge e/o dei figli a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio, si pone in chiara continuità normativa, essendo rimasta immutata la struttura del reato.

E' possibile quindi fare riferimento alla elaborazione giurisprudenziale che sul tema si era registrata.

4. Con l'art. 12 sexies cit., fu introdotto un reato formale, nel senso che la condotta in esso prevista consisteva nel mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno: si sanzionava penalmente un inadempimento civile. (da ultimo, Sez. 6, n. 23794 del 27/04/2017, B, Rv. 270223).

Prima dell'introduzione della L. n. 54 del 2006, art. 3, la tutela penale (per gli aspetti economici) in tema di separazione, per i figli e per il coniuge, rimaneva invece affidata all'art. 570 c.p..

Proprio dalla circostanza che con l'art. 12 sexies cit., si sanzionava penalmente il mero inadempimento di un obbligo, aveva fatto sorgere la questione della possibile disparità di trattamento rispetto ai figli di genitori separati, essendo sufficiente, solo ai fini della configurabilità del reato previsto dall''art. 12 sexies cit., accertare il fatto del doloso inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno determinato dal tribunale e non occorrendo che dall'inadempimento conseguisse anche la mancanza dei mezzi di sussistenza (elemento invece necessario ai fini dell'art. 570 c.p.), dovendosi altresì prescindere (ai fini dell'art. 12 sexies cit., contrariamente dall'art. 570 c.p.), anche dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto.

La diversità di tutela fra previgente normativa applicabile alla separazione (art. 570 c.p.), e quella applicabile al divorzio (art. 12 sexies cit.), era stata oggetto di una sentenza della Corte costituzionale, la quale aveva evidenziato come la differenza di trattamento, conseguente all'introduzione dell'art. 12 sexies cit., consistesse nel fatto che, in virtù del suo richiamo alla L. n. 898 del 1970, art. 6, veniva sanzionato (a tutela dei figli minori di genitori divorziati) il sottrarsi all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto in seguito ad un provvedimento del giudice civile, mentre invece, in ragione dell'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, (il solo dei due articoli applicabile anche a tutela dei figli minori di genitori separati), continuava a rimanere sanzionato il far mancare i c.d. mezzi di sussistenza.

Invero, la Corte Costituzionale (Corte cost., n. 472 del 1989,) aveva affermato la non arbitrarietà della differenza di trattamento cui erano sottoposti coniugi e figli, a seconda che fosse intervenuta o meno la sentenza di divorzio.

E' noto come il legislatore sia intervenuto introducendo il reato previsto dalla L. n. 54 del 2006, art. 3, che ha svolto la funzione di colmare la possibile disparità di trattamento fra figli di genitori separati e figli di genitori divorziati.

5. Nel caso di specie, rispetto alla fattispecie di reato contestata, non rileva dunque, per le ragioni indicate, il tema, peraltro affrontato con il primo motivo di ricorso in maniera generica ed aspecifica rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, relativo al se, per effetto dell'inadempimento, la minore si sia trovata priva dei mezzi di sussistenza e, più in generale, se essa versasse in uno stato di bisogno.

6. Pur volendo tuttavia prescindere da tale profilo, nondimeno le censure del ricorrente sono inammissibili in quanto attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica.

I giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla sostanziale conferma della sentenza di primo grado attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica.

In particolare, si è sottolineato come sia stato dimostrato l'inadempimento del ricorrente almeno sino alla data del 07/04/2013 e come lo stato di bisogno della minore fosse indirettamente confermato dalla necessità di intervenire in suo aiuto da parte del di lei nonno materno.

Si tratta di argomentazioni che, oltre ad essere del tutto logiche e pienamente rispondenti alle risultanze processuali, costituiscono applicazione di consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità in materia.

Questa Corte ha, infatti, chiarito che in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di bisogno di un minore il quale, appunto perchè tale, non è in grado di procacciarsi un reddito proprio, è un dato di fatto incontrovertibile per cui entrambi i genitori sono tenuti a provvedere per ovviarvi; il reato sussiste anche quando l'altro genitore provveda, direttamente o indirettamente, in via sussidiaria ai bisogni della prole (Sez. 6., n. 8912 del 04/02/2011, K., Rv. 249639; Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, S., Rv. 249639; Sez. 6, n. 5525 del 21/03/1996, Pulga, Rv. 204875; Sez. 6, n. 10216 del 23/04/1998, Perri, Rv. 211573).

7. Non diversamente, è infondato anche il secondo motivo di ricorso.

La Corte di merito ha spiegato, con motivazione congrua, le ragioni per cui le dichiarazioni della persona offesa debbano considerarsi attendibili, di come questa avesse verificato che il di lei padre prestasse lavoro presso la impresa di cui era titolare la nuova compagna, di come fosse elevato il tenore di vita del genitore.

Correttamente la Corte di merito da tali elementi ha fatto discendere l'inferenza secondo cui l'imputato avesse certamente la capacità di adempiere l'obbligazione assunta.

A fronte di tale trama argomentativa, il motivo di ricorso si articola su censure che attengono alla valutazione, alla attendibilità delle dichiarazioni, alla portata del singolo elemento probatorio.

L'odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Nel caso di specie, i giudici di appello hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell'impugnazione di appello, di talchè la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.

La soluzione legale della controversia è il risultato della somma dei compiti propri del giudicante di merito, cui spetta l'accertamento del fatto, e di quello di legittimità, cui è precluso l'accesso al merito, che deve verificare la stabilità argomentativa della motivazione e del ragionamento probatorio sotteso.

La Corte di cassazione ha chiarito che sono censure di merito, inammissibili nel giudizio di legittimità, tutte quelle che attengono a "vizi" diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua "manifesta illogicità", dalla sua contraddittorietà su aspetti essenziali perchè idonei a condurre ad una diversa conclusione del processo. Inammissibili, in particolare, sono le doglianze che "sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (così, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., rv. 262965).

8. E' invece fondato il terzo motivo di ricorso.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito come nel reato di omessa corresponsione dell'assegno divorzile previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12 sexies, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21, il generico rinvio, "quoad poenam", all'art. 570 c.p., debba intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest'ultima disposizione. (Sez. U., n. 23866 del 30/01/2013, S., Rv.255269).

Ne deriva che all'odierno imputato non poteva essere inflitta cumulativamente la pena detentiva e quella pecuniaria.

La sentenza deve essere annullata sul punto senza rinvio.

Le Sezioni unite della Corte hanno affermato che la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (Sez. U., n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831) In applicazione del principio indicato ed in ragione delle circostanze oggettive evidenziate nelle sentenze di merito, e, quindi, della lunga durata dell'inadempimento, protrattosi per cinque anni, del grave disagio derivatone alla minore e della intensità del dolo, la pena, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l), può essere determinata eliminando quella pecuniaria della multa e confermando i mesi tre di reclusione.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena della multa, che elimina. Rigetta il ricorso nel resto.


Così deciso in Roma, il 4 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2018