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Aggravante della violenza assistita, necessario effetto su minori (Cass. 74/21)

4 gennaio 2021, Cassazione penale

Per la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti della prole, sub specie di violenza assistita, è necessario, da un lato, che vi siano condotte di violenza reiterate nel tempo, in linea con la natura abituale del reato e con la specifica tutela accordata dalla norma che è finalizzata a proteggere i membri della famiglia da un sistema di vita vessatorio e non dal singolo episodio di violenza, e, dall’altro, che la percezione ripetuta da parte del minore del clima di oppressione di cui è vittima uno dei genitori sia foriera di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata oggettivamente verificabili.

Corte di Cassazione

sez. V Penale

20 novembre 2020 – 4 gennaio 2021, n. 74
Presidente Miccoli – Relatore Riccardi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa il 11/02/2020 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Varese del 07/02/2019, che aveva condannato G.J. alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni per i reati di atti persecutori e lesioni personali ai danni della ex convivente P.E. e della madre di costei, Gu.Gi. .

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della parte civile P.E. , nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sui minori G.S. e G.A. , Avv. IV deducendo un unico motivo di ricorso con cui lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), , in relazione alla mancata condanna dell’imputato al risarcimento dei danni subiti dai figli minori in quanto vittime di violenza assistita.

Sostiene la ricorrente che i figli minori abbiano assistito a tre episodi violenti, e che la violenza assistita sia stata definita anche dall’OMS una grave forma di maltrattamento, riconosciuta anche come aggravante dalla L. n. 119 del 2013, che ha introdotto l’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies; anche la L. n. 69 del 2019 ha qualificato il minore vittima di violenza assistita quale persona offesa del reato di cui all’art. 572 c.p.; infine, deduce che il Tribunale per i minorenni di Milano aveva evidenziato le conseguenze pregiudizievoli della violenza assistita sui minori.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
2. La Corte territoriale ha rigettato l’appello proposto dalla parte civile, nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, sostenendo, in motivazione, che "i figli della coppia pur avendo assistito a tre degli episodi ascritti al padre (quelli del (omissis) ), non sono stati vittime dirette dei reati di stalking e di lesioni e il riconoscimento di un nesso eziologico tra il disagio agli stessi derivato e la condotta dell’imputato non è avvalorata neppure dal decreto definitivo di affidamento del Tribunale per i Minorenni di Milano del (omissis) nel quale si dà atto che gli stessi hanno fortemente risentito della conflittualità genitoriale e familiare cui sono stati esposti".
3. La motivazione merita censura sotto il profilo logico e sotto il profilo interpretativo.
Sotto il primo profilo, invero, appare contraddittoria l’affermazione dell’assenza di un nesso eziologico tra il disagio dei minori e la condotta dell’imputato, da un lato, e, dall’altro, il richiamo al decreto di affidamento del Tribunale per i minorenni, che pure aveva attestato che i minori avevano "fortemente risentito della conflittualità genitoriale e familiare cui sono stati esposti".
4. Sotto il profilo interpretativo la sentenza impugnata va invece censurata poiché fonda il diniego della condanna al risarcimento dei danni sull’assunto che i figli minori non siano stati "vittime dirette dei reati di stalking e di lesioni".
4.1. L’ordinamento penale ha ormai riconosciuto rilievo anche ai minori c.d. "vittime indirette", nei casi di "violenza assistita".
Al riguardo, pur prescindendo dalle modifiche introdotte dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. "codice Rosso"), non applicabili ratione temporis alla fattispecie in esame, in virtù del divieto di irretroattività delle norme penali più sfavorevoli, va rilevato che, già in relazione alla normativa precedentemente vigente, la giurisprudenza di questa Corte si era mostrata concorde nel distinguere l’ambito operativo della "violenza assistita" (tra le sentenze che adoperano questa espressione, Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985: "Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi") o della "violenza percepita" (per l’utilizzo di questa espressione, Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, T.E., Rv. 262057), qualificabile come maltrattamenti ex art. 572 c.p., dalle ipotesi, invece, rientranti nell’aggravante del fatto commesso "in presenza" di un minore di anni diciotto di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies.
In proposito non appaia ridondante ricordare che l’elaborazione della figura della "violenza assistita" o "indiretta" (per l’utilizzo di questa ulteriore locuzione, Sez. 6, n. 58833 del 18/10/2017, V.) è stata il punto d’approdo di una evoluzione giurisprudenziale il cui incipit è costituito dalla decisione con cui la giurisprudenza di legittimità, dopo aver ribadito che l’oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall’art. 572 c.p. non è - o non è solo - l’interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori o violenti, ma anche la difesa della incolumità fisica o psichica dei suoi membri e la salvaguardia dello sviluppo della loro personalità nella comunità familiare (ex plurimis, Sez. 6 del 24/11/2011, n. 24575, Rv. 252906), ha affermato che la condotta incriminata dall’art. 572 c.p. ricomprende non solo la violenza fisica, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962), anche se consistenti in atti che, di per sé soli, non costituiscono reato (Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270), aggiungendo che la stessa può essere posta in essere tramite condotte omissive di deliberi. indifferenza verso elementari bisogni assistenziali e affettivi di una persona, sempre che siano sorrette dal dolo e che da tali omissioni derivi, indubitabilmente, uno stato di sofferenza per la vittima.

Sulla base di tali presupposti e sul rilievo dei consolidati esiti degli studi scientifici concernenti gli effetti negativi sullo sviluppo psichico del minore costretto a vivere in una famiglia in cui si consumino dinamiche di maltrattamento, si è affermato dunque che la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo (Sez. 5, n. 41142 del 22/10/2010, Rv. 248904, che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell’imputato, in ordine al delitto di cui all’art. 572 c.p., anche nei confronti dei figli minori, pur riconoscendo che gli atti di violenza fisica erano stati indirizzati solo alla convivente, avendo evidenziato con congrua valutazione di merito, incensurabile in sede di legittimità, le ricadute del comportamento del genitore sui minori, i quali avevano timore persino di andare a scuola per non poter difendere adeguatamente la propria madre e, quindi, assistevano agli atti vessatori del padre, ivi comprese minacce di morte indirizzate alla madre).

Proseguendo nella medesima prospettiva interpretativa, è stato affermato che i fatti commissivi abitualmente lesivi della personalità del coniuge maltrattato possono integrare il delitto di cui all’art. 572 c.p. anche nei confronti dei soggetti minori se, al contempo, nei loro confronti, si traducano in una "indifferenza omissiva", frutto di una deliberata e consapevole trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali dei figli, quando, cioè, i maltrattamenti siano realizzati anche in violazione dell’art. 147 c.c. in punto di educazione ed istruzione e rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare regolata dall’art. 30 della Carta Costituzionale (Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, cit.).

È stato altresì chiarito che, per la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti della prole, sub specie di violenza assistita, è necessario, da un lato, che vi siano condotte di violenza reiterate nel tempo, in linea con la natura abituale del reato e con la specifica tutela accordata dalla norma che è finalizzata a proteggere i membri della famiglia da un sistema di vita vessatorio e non dal singolo episodio di violenza, e, dall’altro, che la percezione ripetuta da parte del minore del clima di oppressione di cui è vittima uno dei genitori sia foriera di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata oggettivamente verificabili (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, Rv. 272985; Sez. 6, n. 16583 del 28/03/2019, Rv. 275725 - 03).

4.2. La giurisprudenza di legittimità sembra, dunque, avere distinto l’ipotesi della "violenza assistita" - in cui il minore è vittima del reato ai sensi dell’art. 572 c.p. perché, sebbene non direttamente oggetto delle condotte di maltrattamento, ha comunque subito nella crescita l’effetto negativo causato dall’avere appunto assistito a condotte concretanti una situazione abituale di sopraffazione all’interno del proprio nucleo familiare - dalla differente ipotesi in cui il minore, senza subire un tale effetto, sia stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p. o altri delitti contro la libertà personale, affermando l’applicabilità, in tale seconda ipotesi, dell’aggravante disciplinata dall’art. 61 c.p., n. 11 quinquies.

In particolare, mentre per il ricorrere della prima autonoma ipotesi sarebbe necessario che il minore percepisse le condotte vessatorie reiterate nel tempo e ne ricavasse uno stato di sofferenza psico-fisica, per ritenere integrata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 quinquies, sarebbe sufficiente che il fatto fosse commesso in un luogo ove si trovasse contestualmente anche un minore, anche qualora quest’ultimo non fosse in grado, per età o per altre ragioni, di percepire e di avere consapevolezza del carattere offensivo della condotta in danno di terzi avvenuta in sua presenza (Sez. 6, n. 55833 del 18/10/2017, Rv. 271670; Sez. 6, n. 27901 del 22/09/2020, S, Rv. 279620, che, con riferimento ad una fattispecie di genitori che avevano fatto assistere reiteratamente una bambina dell’età di un anno agli atti di violenza e minaccia posti in essere nei confronti dei fratelli, ha affermato: "È configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull’equilibrio psicofisico dello stesso"); nè, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’essere stato il delitto commesso alla presenza del minore, prevista dall’art. 61 c.p., n. 11-quinquies, è necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell’abitualità, essendo sufficiente che egli assista ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato (Sez. 6, n. 2003 del 25/10/2018, dep. 2019, Z, Rv. 274924".

5. Ciò posto, pacifico che, ai fini della contestazione dell’accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv. 216430), nella fattispecie l’imputazione, pur non richiamando nella rubrica l’art. 61 c.p., n. 11-quinquies, contiene una univoca contestazione in fatto dell’aggravante della commissione degli atti persecutori, minacciosi e violenti, "alla presenza dei figli minori", descrivendone la sussistenza con riferimento a ben tre episodi, pure accertati nei giudizi di merito.

Nell’evidenziare che l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-quinquies è senz’altro applicabile anche al reato di atti persecutori, quale "delitto contro la libertà personale" (contenuto nella Sezione II del Capo III sui "delitti contro la libertà individuale") menzionato nella norma, e che il reato c.d. di stalking può determinare, in concreto, effetti pregiudizievoli anche nei confronti dei minori che assistano agli episodi di persecuzione minacciosa e/o violenta, va altresì rammentato il principio, affermato a proposito dei reati di violenza sessuale aggravati ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11- quinquies, secondo cui il minore che ha assistito al fatto delittuoso riveste la qualifica di persona offesa e, come tale, è legittimato alla costituzione di parte civile ed all’impugnazione (Sez. 3, n. 45403 del 17/05/2016, S, Rv. 267835).

6. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alle statuizioni civili in favore dei figli minori, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame sul punto, affinché venga accertato, ai soli effetti civili: se ricorra una fattispecie di c.d. "violenza assistita" che abbia determinato ripercussioni negative sullo sviluppo psicofisico dei figli minori, o se ricorra l’aggravante dell’aver commesso il fatto "alla presenza" dei minori (art. 61 c.p., n. 11-quinquies), senza che ne sia derivato uno stato di sofferenza psico-fisica; se, nell’uno o nell’altro caso, sussistano i presupposti per la condanna risarcitoria anche nei confronti dei figli minori, in quanto ritenuti vittime "secondarie" della violenza assistita o percepita.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili in favore dei figli minori, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.