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Sempre reato indurre minore di 14 anni a mandare foto di nudo (Cass. 41577/23)

13 ottobre 2023, Cassazione penale

E' reato indurre un soggetto infraquattordicenne a mandare foto di  nudo: irrilevante il consenso, dato che sotto i 14 anni sussiste la presunzione per la quale il minore non è in grado di prestare un valido consenso sessuale.

Al fine della definizione di atti sessuali ex art. 609-bis c.p., non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, bensì è sufficiente che l'atto coinvolga la corporeità sessuale della persona offesa e risulti idoneo a compromettere, quale bene primario, la libertà dell'individuo a fronte del soddisfacimento o eccitamento sessuale.

L'attenuante speciale prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo.

Corte di Cassazione

sez III penale , n. 41577
ud. 6 giugno 2023 (dep. 13 ottobre 2023)

Ritenuto in fatto

1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Brescia all'esito del giudizio abbreviato e appellata dall'imputato, la Corte di appello di Brescia, previa riqualificazione del fatto di cui al capo 2) - originariamente contestato come violazione dell'art. 609-quater c.p. - ai sensi dell'art. 609-bis c.p., comma 2, art. 609-ter c.p., riduceva a due anni e dieci mesi di reclusione la pena inflitta a carico di C.A., nel resto confermando la decisione impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato per i delitti di pornografia minorile (capo 1) e di detenzione di materiale pornografico (capo 3). Va precisato che la riduzione di pena non deriva dall'indicata riqualificazione del fatto di cui al capo 2), bensì, come emerge dalla motivazione (p. 21) - ma non anche dal dispositivo -, dal fatto che la Corte d'appello ha ritenuto la sussistenza del delitto di cui al capo 3) unicamente in relazione alla ragazzina certamente minorenne raffigurata a foglio 197 e al bambino che mostra i genitali a foglio 188, con esclusione delle altre foto effigianti ragazze, in relazione alle quali, secondo la Corte d'appello, non vi è certezza che siano minorenni.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

2.1. Con il primo, articolato, motivo si deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e). Cominciando dal delitto di cui all'art. 600-ter c.p., comma 1, n. 1 contestato al capo 1), espone il difensore che la sentenza impugnata, laddove afferma che l'autoproduzione di materiale pedopornografico da parte della minore sia ascrivibile all'opera di induzione da parte dell'imputato, è viziata sotto vari profili.

In primo luogo, rappresenta il difensore che il messaggio sms in cui l'imputato aveva rivelato alla minore che, dopo un allenamento, nel vederla si era eccitato e a casa si era masturbato - messaggio che, secondo la Corte di merito, spiegherebbe la metamorfosi del rapporto tra l'imputato e la minore da superficiale a una vera a propria relazione - non è presente nella copia forense estrapolata dalla polizia postale; di conseguenza, ad avviso del difensore, si sarebbe in presenza di un travisamento della prova, sotto il profilo dell'utilizzo di una prova inesistente.

In secondo luogo, la Corte d'appello ha ravvisato una condotta induttiva sulla base di taluni messaggi intercorsi nel periodo tra (omissis), ma senza considerarne altri che, per contro, sconfessano l'induzione, come quelli del (omissis) e dei mesi di marzo-aprile 2000 ampiamente riportati nel ricorso (p. 16-23), il che integra il vizio sia di omessa motivazione, sia di violazione di legge. Sotto altro profilo, la Corte di merito ha accolto una nozione di "induzione" che è stata riferita dalla giurisprudenza di legittimità all'art. 600-bis c.p. e che, quindi, secondo il difensore, non sarebbe pertinente in relazione al delitto in esame.

Dopo aver riportato ampi brani della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 16207 del 2019, espone il difensore che non si possa estendere il concetto di induzione, elaborato in tale sentenza in relazione alla prostituzione minorile, alla produzione di materiale pedopornografico, pena una vietata estensione analogica dell'art. 600-bis c.p.

In relazione al capo 2), nel riprendere argomentazioni illustrate in relazione al delitto di cui al capo precedente, evidenzia il difensore che la Corte di merito è incorsa in un vizio di motivazione e di travisamento della prova, in quanto attribuisce valore determinante a un sms tra l'imputato e la minore che non è presente agli atti e, inoltre, non considera lo sticker del (omissis), marcatamente di natura erotica, inviato dalla ragazza. Aggiunge il difensore che, in ogni caso, non vi è alcuna prova della simultaneità tra gli eventuali atti di autoerotismo e la realizzazione delle fotografie costituenti la produzione di materiale pornografico che si assume essere stato inviato all'imputato, requisito, quello della simultaneità, richiesto da Sez. 3 n. 41591 del 2020; ad avviso del difensore, non avrebbe senso ravvisare il delitto in esame se, oltre a non esservi il contatto fisico, non vi sia neppure un contatto video, che consenta al soggetto inducente di fruire, nella comunicazione telematica, delle immagini della vittima nel compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della stessa, aventi lo scopo di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale. In ogni caso, la Corte di merito, nel riqualificare il fatto, originariamente contestato ai sensi dell'art. 609-quater c.p., nella più grave ipotesi di cui all'art. 609-bis ha violato sia il principio di correlazione tra accusa e sentenza, sia l'art. 6 CEDU.

Con riguardo, infine, al delitto di cui al capo 3), lamenta il difensore che la Corte di merito si è limitata alla verifica dell'elemento oggettivo del reato, senza accertare anche la sussistenza del dolo.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'ipotesi della minore gravità in relazione a tutti i reati in esame. In particolare, quanto ai delitti di cui ai capi 1) e 2), la Corte di merito non avrebbe considerato una serie di elementi, quali la sussistenza di un legame sentimentale, la condotta provocatoria della minore, la mancanza di contatto fisico, l'assenza di una tendenza predatorio; quanto, invece, al delitto di cui al capo 3), evidenzia il difensore che si tratta di due sole immagini.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. In primo luogo deve essere rigettata l'istanza di rinvio dell'odierna udienza.

2.1. Va premesso che, con ordinanza del 25 maggio 2023, la Corte di appello di Brescia ha rigettato l'istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. n. 150 del 2002, artt. 44 ss. in relazione all'art. 129-bis c.p.p. e art. 45-ter disp. att. c.p.p., presentata dal difensore dell'imputato, sul presupposto che le norme sulla giustizia ripartiva entreranno in vigore il 30 giugno 2023, sicché, sino a tale data, non è possibile accedere a detti programmi, non essendo neppure operative le relative strutture, e che, essendo pendente il ricorso per cassazione, non è nemmeno possibile, in assenza di una norma che lo preveda espressamente, la sospensione o il differimento del processo, come pure richiesto dal difensore in via subordinata.

2.2. Ciò posto, non può essere accolta l'odierna istanza di rinvio, in quanto, come già correttamente rilevato dalla Corte di appello, le norme in esame entreranno in vigore il 30 giugno 2023.

Non è nemmeno ipotizzabile, come prospettato dal difensore, pena una ventilata questione di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento, una lesione dei diritti di difesa, i quali sono adeguatamente tutelati dalla disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 94, comma 2-bis, come introdotto dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, a tenore del quale le disposizioni in materia di giustizia ripartiva "si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto". Il che significa che, entro sei mesi dal 30 giugno 2023, possono avanzare istanza di accesso ai programmi di giustizia ripartiva ex D.Lgs. n. 150 del 2002, art. 44 ss. anche i condannati, posto che, come emerge dalla disposizione appena indicata, essa si applica anche alla "fase dell'esecuzione della pena": locuzione che evidentemente evoca i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, il che fuga ogni sospetto di illegittimità costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., della disposizione transitoria.

3. Venendo al merito della vicenda, la materialità dei fatti non è messa in discussione.

Secondo quanto concordemente accertato dai giudici di merito, è pacifico che la minore, all'epoca tredicenne, nel periodo febbraio-agosto 2020 abbia inviato all'imputato, aiutante istruttore del corso di pallavolo frequentato dalla ragazzina, varie fotografie e diversi video che la ritraevano nuda, in varie pose e con modalità indicate dall'imputato medesimo, materiale poi rinvenuto, archiviato, all'interno dell'applicazione whatsapp scaricata sul telefono cellulare del C.

4. Con il primo motivo, quanto al delitto di cui al capo 1), la difesa contesta, sotto più profili, la sussistenza di una condotta induttiva, posto che la Corte di appello non solo avrebbe dato un peso decisivo a un messaggio che non sarebbe presente agli atti, ma avrebbe omesso di valutare una serie di messaggi intercorsi tra i due, ampiamente riportati nel ricorso, che, per contro, smentirebbero la ritenuta induzione e che accrediterebbero, invece, la tesi del consenso, da parte della minore, degli atti sessuali e del successivo invio all'imputato delle foto che la ritraevano in pose erotiche, anche in considerazione della relazione amorosa che, a dire della difesa, era insorta tra i due.

4.1. Si tratta di una prospettiva errata, in ciò sviata dalla motivazione laddove, dopo aver fatto ampio richiamo alla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 4616 del 28/10/2021, argomenta la sussistenza di una condotta induttiva quale elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 600-ter c.p., comma 1, n. 1, e ciò sul presupposto che, per effetto di quella condotta, il consenso della minore sia viziato e, quindi, non sia stato validamente prestato.

I giudici di merito, invero, non si sono avveduti che, all'epoca dei fatti (febbraio-agosto 2000), la persona offesa, nata il 2 luglio 2007, al momento dei fatti era certamente minore di anni quattordici, con la conseguenza che nemmeno era in grado di esprime alcun valido consenso sessuale.

4.2. Come osservato dalla Sezioni Unite nell'indicata sentenza n. 4116 (par. 4.2.1.), la disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale è rappresentata dall'art. 609-quater c.p., norma che assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile (art. 600-ter c.p., comma 5, art. 602-ter c.p., comma 6, art. 609-undecies c.p.).

In particolare, il comma 1, recita così: "Soggiace alla pena stabilita dall'art. 609-bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici".

Orbene, il dato di partenza è che il consenso sessuale può essere espresso da un soggetto che abbia compiuto i quattordici anni; se così è, occorrerà poi accertare se quel consenso è viziato; se, invece, il minore è soggetto infraquattordicenne, egli non è in grado di prestare alcun valido consenso sessuale sicché è ultronea l'indagine diretta a verificare eventuali vizi di formazione di un consenso che, per legge, non è validamente prestato.

4.3. Ne segue che, poiché, pacificamente, la minore, al momento dei fatti per cui è processo, era soggetto infraquattordicenne e che la richiesta di materiale pornografico proveniva altrettanto pacificamente dall'imputato, non era affatto necessario accertare la sussistenza, da parte dell'imputato medesimo, di una condotta induttiva, tale da viziare il consenso della minore, per l'assorbente ragione che la medesima non aveva ancora raggiunto l'età per prestare un valido consenso sessuale.

5. Infondate sono le censure relative al capo 2).

5.1. Va premesso che la Corte di merito, immutato il fatto, lo ha solo diversamente qualificato nella fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p., comma 2, aggravata ai sensi dell'art. 609-ter c.p., per essere la violenza stata commessa in danno di persona infradiciottenne, senza che ciò abbia comportato alcuna conseguenza sul terreno sanzionatorio.

5.2. Orbene, la decisione della Corte di appello è conforme all'univoco indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non sussiste la violazione del divieto di reformatio in peius qualora, ancorché sia proposta impugnazione da parte del solo imputato, il giudice di appello, senza aggravare la pena inflitta, attribuisca al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica a condizione, tuttavia, che si tratti di un punto della decisione al quale si riferiscano i motivi di gravame (cfr., da ultimo, sez. IV, 3 16/03/2023, n. 17192; Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025).

Si rammenta, inoltre, che per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell'art. 521 c.p.p., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (per tutti, cfr. S.U., 17 maggio 2010 n. 36551, Carelli, Rv.248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Cass. Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946; Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 271607).

La nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p. va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, 18 giugno 2013 n. 35574, Rv. 257015; Sez. 4, 15 gennaio 2007 n. 10103, Rv. 236099), il che non è dato riscontrare nel caso in esame.

5.3. La questione, invero, involge anche quella della prevedibilità di un simile sviluppo per l'imputato. Secondo l'orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il giudice di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall'art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale o parziale dell'istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell'accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius" del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 11235 del 27/02/2019, Rv. 276125; Sez. 2, n. 39961, del 19/07/2018, Rv. 273922; Cass. Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014 Rv. 260585).

Nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente spiegato che "il fatto di avere posto in essere un'attività di induzione allo scopo di intrecciare una relazione amoroso sessuale con la minore, anche mediante invio di fotografie e video, non è diverso da quello contestato e sulle circostanze fattuali non vi è dubbio che l'imputato ha avuto modo di difendersi ed argomentare le proprie ragioni" (p. 20 della sentenza impugnata).

5.4. Nel merito, la Corte di appello, con motivazione ampia e priva da aporie logiche, ha spiegato le ragioni della qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 609-bis c.p., comma 2, e art. 609-ter c.p.

La Corte di merito, infatti, ha evidenziato che la vittima era una ragazzina "di neanche 13 anni", mentre l'imputato "era un uomo di quasi trent'anni, in una posizione di evidente superiorità, sia per età, che per il ruolo di allenatore di pallavolo di R., sia per l'esperienza assai diversa da quella della ragazzina, che era davvero poco più di una bambina". La Corte d'appello non ha mancato di evidenziare, all'esito di un giudizio di merito che non pare sindacabile nella sede di legittimità, come nella ragazzina fosse "costante la preoccupazione di assecondare i desiderata dell'imputato forse per non deluderlo e certamente anche per il trasporto che nutriva per lui".

Questa premessa, accertata nel corso del giudizio di merito, ha costituito la corretta chiave di lettura dei numerosissimi messaggi intervenuti tra l'imputato e la vittima e ha permesso al collegio di merito di ravvisare l'esistenza di una condotta "di vera e propria induzione, di persuasione insistente, fatta anche di blandizie, di paroline amorevoli allo scopo di determinare la minore alla decisione di fotografarsi nuda" e di compiere su di sé atti sessuali, assecondando le richieste dell'imputato.

La ricostruzione operata dalla Corte di merito appare pienamente conforme all'indirizzo giurisprudenziale secondo cui integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, mediante comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, induca la stessa al compimento di atti che comunque ne coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità (Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, Rv. 277053; nello stesso senso, Sez. 3, n. 25822 del 09/05/2013, T., Rv. 257139, relativa a fattispecie di condotta perfezionatasi mediante una comunicazione telematica, attraverso la quale il reo aveva indotto le vittime minorenni a compiere su sé stesse atti sessuali di autoerotismo).

Si è, infatti, affermato (Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010 - dep. 2011, C., Rv. 249746) che ai fini della definizione di atti sessuali di cui all'art. 609-bis c.p. non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l'atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato e idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell'individuo nella prospettiva dell'agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale. Di conseguenza, sono state ritenute punibili quelle condotte in cui, anche a distanza, il reo aveva costretto o indotto la vittima a compiere su sé stessa atti sessuali di autoerotismo o giochi erotici (Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010 -dep. 2011, C., Rv. 24974601; Sez. 3, n. 41951 del 05/07/2019, P, Rv. 277053-01, relative a condotte poste in essere ai danni di un minore).

5.5. Al proposito, non coglie nel segno l'argomentazione secondo cui, per la sussistenza del reato, occorre che soggetto richiedente assista, anche mediante comunicazione telematica, al compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale della persona offesa.

Tale impostazione, la quale, a ben vedere, sottende la concezione secondo cui, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del delitto in esame, sia necessario che l'agente sia mosso da concupiscenza - la quale verrebbe, appunto. soddisfatta solo se l'agente medesimo assiste al compimento degli atti sessuali -, appare errata alla luce sia della natura del bene tutelato, ossia la libertà sessuale della persona offesa - la cui protezione, anche in forza di vincoli derivanti dal recepimento di direttive internazionali, è tanto più intensa nel caso di soggetti minori - sia della corretta descrizione dell'elemento soggettivo del reato, che non esige anche il dolo specifico.

Coerentemente alla natura del bene tutelato e alla centralità della persona offesa, unica titolare del diritto, nè il dolo specifico ("al fine di"), nè alcun movente esclusivo ("al solo scopo di") contribuiscono alla tipizzazione dell'offesa, la quale è soggettivamente ascrivibile all'agente a titolo di dolo generico. La valorizzazione di atteggiamenti interiori sposterebbe, infatti, il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola.

Ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale non è perciò necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere volontariamente, a prescindere dallo scopo perseguito (Sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, P.G. in c. C., Rv. 263738).

Di conseguenza, per la consumazione del reato, non è affatto necessario che l'agente sia presente o assista, anche mediante l'utilizzo di strumenti di videochiamata, nel momento in cui il minore, in ciò indotta dalla richiesta dell'agente medesimo, compie su di sé atti sessuali.

6. Con riguardo, infine, al delitto di cui al capo 3), la lamentata violazione di legge non era stata dedotta con l'atto di appello, in cui, relativamente a tale capo, si era unicamente invocata l'assoluzione non essendo prova che i soggetti ritratti nei video fossero minorenni, motivo che, come si è detto, la Corte di merito ha, per larga parte, accolto.

7. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

7.1. Premesso che l'attenuante della "minore gravità" era stato richiesta per i soli delitti di cui ai capi A) e B) - ed entro in questi limiti il motivo può essere scrutinato - si rammenta che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di violenza sessuale, l'attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., u.c., può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell'azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L, Rv. 277615; Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S, Rv. 260501 ed altre prec. conf.).

Si è precisato, inoltre, che l'attenuante speciale prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo (Sez. 3, n. 21458 del 29/01/2015 - dep. 22/05/2015, T., Rv. 263749; Sez. 3, n. 24250 del 13/05/2010 - dep. 24/06/2010, D. e altri, Rv. 247286; Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007 -dep. 15/01/2008, R., Rv. 238847), perché la tale reiterazione approfondisce il tipo di illecito e compromette maggiormente l'interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, sicché non è compatibile con la "minore gravità" del fatto (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D, Rv. 266272), a meno che detta condotta, in ragione della occasionalità o, comunque, delle non significativa reiterazione nei riguardi del medesimo soggetto passivo, non sia tale da compromettere maggiormente in danno del medesimo l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 13729 del 22/11/2018 - dep. 29/03/2019, C, Rv. 275188).

7.2. Nel caso in esame, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi appena ricordati, negando i presupposti per la qualificazione dei fatti di cui ai capi 1) e 2) in termini di "minore gravità" in considerazione della protrazione della condotta illecita, che non è stata certo occasionale ma si è dipanata, con intensità crescente, per diversi mesi e con contatti pressoché quotidiani.

8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.