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Estradizione nonostante overturning in appello senza risentire testimoni (Cass. 11490/23)

17 marzo 2023, Cassazione penale

La mancata rinnovazione della prova dichiarativa per overturning in appello mutuata dal parametro convenzionale di cui all'art. 6, par. 3, lett. d, Conv. EDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo non costitusice violazione di uno dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, rilevante a fini estradizionali ai sensi dell'art. 705, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. 


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Sentenza n. 11490 del 2023
del 27 gennaio 2023 (deposito 17 marzo)

composta da Angelo Costanzo Orlando Villoni Ersilia Calvanese Ercole Aprile Fabrizio D'Arcangelo - Presidente - Relatore ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: SR alias **, n. in Albania **/1975 avverso la sentenza n. 26/22 della Corte di appello di Napoli del 04/10/2022

letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;

udita la relazione del consigliere Orlando Villoni;

letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha concluso per l'inammissibilità.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli ha ritenuto sussistenti le condizioni per disporre l'estradizione di SR verso l'Albania in forza di richiesta avanzata dalle autorità di quel Paese sulla base di sentenza di condanna divenuta esecutiva per i reati di partecipazione ad un gruppo strutturato criminale e a due episodi di favoreggiamento dell'ingresso illegale di cittadini albanesi verso paesi dell'Unione europea e in particolare l'Italia (artt. 333 a/2, 28/5, 298/3 e 334/1 del Codice penale albanese).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'estradando, che deduce un unico articolato motivo di censura. Violazione di legge in relazione agli artt. 706, 705, comma 2, lett. a), b) c) e 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. e 6, par. 1 e 2 Conv. CEDU e motivazione apparente in relazione alla denunciata violazione di diritti fondamentali dello imputato nell'ambito del procedimento celebrato a suo carico in Albania ed all'esito del quale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna.

Espone il ricorrente che, in sede di appello, la sentenza di primo grado è stata riformata in senso peggiorativo non solo quanto all'assoluzione dal reato di natura associativa ma anche in riferimento alla riqualificazione in forma aggravata dell'ipotesi di concorso nel reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in assenza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.

A differenza di quanto statuito dalla Corte di appello, infatti, la reformatio in peius si è basata su di una diversa valutazione non solo di prove di natura documentale (esiti di intercettazioni telefoniche) ma anche della testimonianza delle persone favorite nell'attraversamento illegale dei confini. Né la celebrazione del giudizio di primo grado con rito abbreviato poteva esimere il giudice di appello dalla rinnovazione della prova dichiarativa, non essendo questi tenuto a procedervi solo ove la testimonianza assunta in primo grado non fosse stata determinante ai fini della decisione sulla responsabilità. Nel caso di specie, infatti, la Corte di appello albanese ha evidenziato "che il reato risulta provato non solo dalle trascrizioni delle conversazioni telefoniche intercettate ma anche dalle testimonianze/dichiarazioni delle persone reclutate (...) che hanno affermato di aver pagato varie somme in cambio dell'aiuto per il passaggio delle frontiere con destinazione verso i paesi dell'Unione europea" (pag. 28 sent. appello n. 37/2016).

Nel corso del giudizio di secondo grado, inoltre, l'imputato dichiarato contumace, è stato assistito da un difensore d'ufficio, solo in seguito alla definizione del grado di giudizio avendo rilasciato procura speciale ad uno di fiducia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con riferimento al nucleo principale del motivo di censura svolto dal ricorrente, va preliminarmente osservato che dalla sentenza di appello resa in Albania, trasmessa in traduzione italiana in allegato alla richiesta di estradizione, si ricava che la pronuncia di primo grado era stata emessa a seguito di richiesta dell'imputato di essere giudicato con rito abbreviato (pag. 8, sent. Corte Assise di appello n. 75 del 6 dicembre 2012). I giudici di appello albanesi non ritenevano, pertanto, di dover procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, esponendo programmaticamente all'inizio della motivazione che il collegio basava la propria decisione sulle prove acquisite in primo grado (pag. 9 sent. cit.).

Tanto premesso, la denunciata violazione di uno dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, rilevante a fini estradizionali ai sensi dell'art. 705, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. e rappresentato dalla regola - mutuata dal parametro convenzionale di cui all'art. 6, par. 3, lett. d, Conv. EDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo - dettata dall'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., nel caso in esame non sussiste.

È vero, infatti, che la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, prima della novella legislativa del 2017 (legge n. 103 del 23 giugno) di fatto recettiva della elaborazione interpretativa, aveva affermato il principio secondo cui è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785).

L'arresto è stato, tuttavia, notoriamente superato dalla stessa giurisprudenza convenzionale che con la sentenza CEDU del 25 marzo 2021, Di Martino e 3 Molinari c. Italia (ric. riun. n. 15931/15 e 16459/15) ha stabilito che nel caso portato alla sua attenzione il giudice d'appello non fosse tenuto alla rinnovazione della testimonianza di tre collaboratori di giustizia, che erano stati sentiti in qualità di persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini, evidenziando che, attraverso la richiesta di instaurazione del rito, i ricorrenti, assistiti dai loro difensori, avevano accettato di difendersi sulla base degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, di cui avevano avuto conoscenza, rinunciando senza equivoci al diritto di ottenere l'audizione dei testimoni, compresi quelli di cui avevano poi lamentato il mancato esame nel giudizio d'appello.

Oltremodo significativa è del resto la circostanza che l'attuale versione dell'art. 603, comma 3-bis, come modificato dall'art. 34, comma 1, lett. i), n. 1 d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150 abbia specificato che il principio della generalizzata necessità di rinnovare l'istruttoria dibattimentale in caso di riforma in peius di una sentenza di proscioglimento 'per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa' trova applicazione nei casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado ed all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5 e 541, comma 3, cod. proc. pen. e non dunque nel caso di giudizio abbreviato cd. secco, come quello svoltosi nel primo grado del giudizio celebratosi in Albania.

È ovvio che la modifica ora indicata trova applicazione solo a partire dal 30 dicembre 2022, come stabilito dall'art. 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022 n. 162 convertito nella legge la legge di conversione 30 dicembre 2022, n. 199, laddove al momento di presentazione della domanda di estradizione (luglio 2022), termine temporale al quale vanno rapportati eventuali mutamenti intervenuti nel quadro normativo nazionale (per il principio per cui in tema di estradizione, le condizioni in presenza delle quali procedere alla consegna devono essere valutate al momento della presentazione della domanda v. Sez. 6, n. 5497 del 02/02/2021, Q., Rv. 280630) era l'evoluzione giurisprudenziale nazionale e convenzionale a fungere da parametro interpretativo di riferimento; ma del pari non v'è dubbio che la citata modifica costituisca la traduzione normativa di un orientamento ermeneutico già affermatosi in precedenza.

Parimenti destituita di fondamento è la deduzione difensiva secondo cui la celebrazione del giudizio di primo grado con rito abbreviato non esimeva comunque il giudice di appello dalla rinnovazione della prova dichiarativa, non essendo tenuto a procedervi solo qualora la testimonianza assunta in primo grado non fosse stata determinante ai fini della decisione sulla responsabilità.

A parte la genericità della deduzione, effettivamente la ricordata sentenza Corte EDU del 25 marzo 2021, Di Martino e Molinari c. Italia pone come ulteriore condizione per la legittimità di una pronuncia peggiorativa della sentenza di proscioglimento l'obbligo di rinnovazione istruttoria quando la testimonianza assunta in primo grado sia stata decisiva ai fini della pronuncia. L'obbligo, tuttavia, vale soltanto quando il testimone o i testimoni non riascoltati in sede di appello siano stati escussi in primo grado dal giudice dell’udienza preliminare in virtù dei suoi poteri istruttori e quindi solo in caso di giudizio abbreviato con integrazione probatoria officiosa, mentre nel caso in esame non risulta, né il ricorrente lo allega, che questa sia stata la modalità di celebrazione del giudizio di primo grado, come anzidetto svoltosi esclusivamente sulla base degli elementi istruttori raccolti dalla pubblica accusa.

Irrilevante, infine, appare il profilo relativo alle modalità con cui si è svolta l'assistenza tecnica del ricorrente nel secondo grado del procedimento albanese, assorbito dalla questione della corretta applicazione di una regola processuale rifluente sull'utilizzabilità degli elementi probatori utilizzati e valutati ai fini della decisione.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. cod. proc. pen. Così deciso, 27 gennaio 2023, deposito 17 marzo 2023