L’elemento oggettivo del reato di violenza privata, è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza.
Ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo: sono invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà.
Corte di Cassazione
sez. V Penale, sentenza 4 febbraio – 8 marzo 2019, n. 10360
Presidente Sabeone - Relatore Tudino
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza del 1 marzo 2018, la Corte d’appello di Bologna ha, in riforma della decisione del tribunale in sede del 6 febbraio 2012, con la quale è stata affermata - per quanto ancora rileva in questa sede - la responsabilità penale di O.G. in ordine ai reati di violenza privata, usurpazione di pubblica funzione e detenzione di munizioni, dichiarato l’estinzione dei reati per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
I fatti riguardano l’intervento degli imputati nelle fila delle forze di polizia impegnate nel corso di una manifestazione di protesta e le azioni contenitive eseguite nel contesto.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato O.G. , per il tramite del difensore, Avv. GB, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio della motivazione sub specie di travisamento della prova in riferimento alla sussistenza del reato sub a), in presenza di un gesto, riferibile all’imputato, durato solo quattro secondi e dell’intervento costrittivo di un operante.
3. Con memoria in data 18 gennaio 2019, il difensore dell’imputato ha ulteriormente ribadito le proprie argomentazioni.
4. Con memoria depositata in cancelleria il 18 gennaio 2019, il difensore della parte civile F.F. , Avv. RGA, ha argomentato riguardo l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Alla disamina dei motivi d’impugnazione va premesso come nel giudizio di cassazione, l’obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ove risulti l’esistenza della causa estintiva della prescrizione, opera nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione, la quale, a norma dell’art. 606 c.p.p., deve risultare dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G., Fontana e altri, Rv. 258169, N. 9944 del 2000 Rv. 217255, N. 10216 del 2003 Rv. 223575, N. 27944 del 2008 Rv. 240955, N. 35627 del 2012 Rv. 253458).
3. Nella delineata prospettiva ed alla stregua dei parametri declinati dall’art. 129 c.p.p., s’appalesa evidente l’erronea valutazione della rilevanza penale del fatto sub a) ascritto all’imputato.
3.1. Risulta, invero, dal testo del provvedimento impugnato che l’imputato abbia posto in essere un’azione costrittiva in danno di S.A. , separandolo dal fratello, della durata di non più di tre o quattro secondi.
E tale condotta, per la limitatissima durata temporale della costrizione e per la indeterminatezza dell’effetto, non raggiunge quel requisito minimo di apprezzabilità che consente di ritenere penalmente rilevante il fatto.
3.2. Invero, l’elemento oggettivo del delitto di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata; in assenza di tale determinatezza, possono integrarsi i singoli reati di minaccia, molestia, ingiuria, percosse, ma non quello di violenza privata; ne deriva che il delitto di cui all’art. 610 c.p. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta. (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè e altri, Rv. 268405; Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014 - dep. 2015, Calignano e altro, Rv. 261743; Sez. 5, n. 2480 del 18/04/2000, P.M. in proc. Ciardo, Rv. 216545).
L’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 610 c.p., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l’effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza, sicché la coincidenza tra violenza e l’evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all’art. 610 c.p. (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione).
Di guisa che il delitto di cui all’art. 610 c.p. non è configurabile qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l’evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l’evento del reato, nell’ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all’integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all’aggressione fisica subita (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018, Ippolito, Rv. 272796).
3.3. Per altro verso, va rilevato come, ai fini dell’integrazione del delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà (Sez. 5, n. 1786 del 20/09/2016 - dep.2017, Panico, Rv. 268751, N. 3562 del 2015 Rv. 262848).
3.4. Nel caso in esame, il distacco solo istantaneo dei fratelli S. non ha influenzato in modo apprezzabile il determinismo volontaristico della persona offesa, nè ha prodotto un significativo evento che si pone oltre la fulminea azione costrittiva, con conseguente esclusione della materialità del fatto.
4. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello non sono, dunque, condivisibili in riferimento al delitto sub a) poiché il fatto non sussiste.
5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio con la relativa formula, con conseguente revoca delle statuizioni civili in essa contenute.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il fatto non sussiste e revoca le statuizioni civili.