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Vietata la detenzione di animali pericolosi (Cass. 50137/18)

7 novembre 2018, Cassazione penale

E'  vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia, trattandosi di reato di pericolo presunto.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 12/09/2018) 07-11-2018, n. 50137

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -

Dott. CERRONI Claudio - rel. Consigliere -

Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -

Dott. DI STASI Antonella - Consigliere -

Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti;

nel procedimento nei confronti di:

V.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 04/12/2017 del Tribunale di Asti;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 4 dicembre 2017 il Tribunale di Asti ha assolto V.A. dal reato di cui alla L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 6, comma 1, perchè il fatto non costituiva reato stante la mancata dimostrazione della pericolosità della renna, detenuta dall'imputato per un allestimento natalizio senza che l'animale, nato in cattività, avesse mai palesato alcuna problematica.

2. Avverso la predetta decisione il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Asti, ha proposto ricorso immediato per cassazione articolato su un motivo di impugnazione.

In particolare, è stato osservato che doveva considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia, trattandosi di reato di pericolo presunto.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è fondato.

4.1. Non è in contestazione, stante l'espressa affermazione operata in sentenza, che la renna rientri nell'elenco degli animali potenzialmente pericolosi per la salute e per l'incolumità pubblica. In detta categoria sono invero compresi (art. 1 decreto del Ministro dell'Ambiente 19 aprile 1996) "tutti gli esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzioni in cattività che in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali possono arrecare con la loro azione diretta effetti mortali o invalidanti per l'uomo o che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione possono trasmettere malattie infettive all'uomo".

4.1.1. Ciò posto, e tenuto conto che, a norma della L. n. 150 del 1992, art. 6, comma 1, cit., è in genere vietato a chiunque detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che costituiscano pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica, il ricorrente ha correttamente ricordato che deve considerarsi vietata la detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute o la pubblica incolumità, a prescindere da ogni valutazione sulla loro concreta nocività e sulle specifiche modalità della loro custodia (in specie si trattava di canguri, appunto inclusi dal D.M. 19 aprile 1996, nell'elenco di quelli da ritenere pericolosi)(Sez. 3, n. 26127 del 19/05/2005, Allegri, Rv. 231999).

Tutto ciò a meno che non si sia in possesso di una autorizzazione all'allevamento di fauna selvatica a scopo alimentare, di ripopolamento, ornamentale ed amatoriale rilasciata dalla regione ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 17, (in specie cinghiali, Sez. 3, n. 16674 del 20/02/2003, D'Andrea, Rv. 224071).

4.2. Al contrario, il provvedimento impugnato ha inteso valorizzare la sola circostanza, di per sè ininfluente, che l'animale, nato in cattività, non fosse concretamente pericoloso.

In definitiva, quindi, gli elementi evidenziati non sono tali da superare il divieto di legge, sanzionato in via contravvenzionale.

5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, quindi, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Torino a norma dell'art. 569 c.p.p., comma 4.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2018