Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Veterinario risponde dei danni per morte del cane? (Tr Rieti, 347/19)

4 maggio 2019, Tribunale di Rieti

 Il veterinario è prestatore d'opera intellettuale e risponde degli errori diagnostici e/o operatori, salva la prova dell'adeguatezza della prestazione effettuata, ovvero che l'imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore.

Il proprietario di un animale che non adempia agli obblighi informativi concorre causalmente alla mancata tempestiva diagnosi.

Non spetta al proprietario di un animale di affezione morto il danno cd. non patrimoniale, non ricorrendo alcuna lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti.

A livello sovranazionale, i sentimenti verso gli animali di affezione vengono tutelai dalla la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13.11.1987; dall Trattato di Lisbona che, all’art. 13, impone all’Europa e agli Stati membri di tenere in piena considerazione le esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti; dalla Dichiarazione Universale dei diritti degli animali firmata a Parigi il 15.10.1978.

A livello interno, sono espressione di una maggiore sensibilità verso gli animali di affezione la L. 20 luglio 2004, n. 189 ha inserito all’interno del libro II del codice penale il titolo IX bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali”; la L. 14 agosto 1991, n. 281, “legge quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione al randagismo”; l’“Accordo tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy” del 6.2.2003, che, all’art. 9, comma 3, stabilisce che «le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possono disciplinare la realizzazione di cimiteri per animali da compagnia, destinati a mantenerne viva la memoria» o, ancora, l’art. 16, lett. b), l. 11.11.2012, n. 220, che, in materia di condominio, ha aggiunto un ultimo comma all’art. 1138 c.c., prevedendo che «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici».

 

 

Tribunale di Rieti – Sezione civile

Sentenza 4 maggio 2019 n. 347

 

Il Giudice, in persona del dott. Raffaello Scarpato, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile iscritto al n. 1680/2012 del Ruolo Generale degli Affari Civili, e promosso da:

(...), con il patrocinio dell'avv. Fi.Ci., che lo rappresenta e difende come da mandato in atti ATTORE
contro
(...) s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Lu.Ch., come da mandato in atti CONVENUTO

(...), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ro., che la rappresenta e difende come da mandato in atti

CONVENUTA
(...), rappresentato e difeso dall'avv. Lu.Ch., come da mandato in atti CONVENUTO

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato (...), in qualità di proprietario del cane di razza Do. di nome Di., conveniva in giudizio i sopra generalizzati convenuti, esponendo di aver affidato in cura il proprio animale all'(...) in data 30.01.2012. L'attore precisava che in quella occasione la cagna, dal pedigree molto pregiato e gravida di sei cuccioli, aveva avuto problemi di salute per aver ingerito materiali non commestibili e pertanto prontamente trasportata presso l'(...) convenuto, dove l'animale era stato visitato dalla dottoressa (...); quest'ultima aveva effettuato gli esami del sangue ed altre analisi, oltre all'ecografia, riscontrando che l'esofago del cane era libero da ostruzioni, così come l'intestino, ed aveva sconsigliato di effettuare radiografie, in ragione dello stato di gravidanza dell'animale, che veniva pertanto dimesso.

Tuttavia, l'attore rappresentava che nel pomeriggio della stessa giornata, lo stato di salute della cagna non migliorava e ciò lo induceva a portarla nuovamente presso il medesimo (...), dove tramite una seconda ecografia venivano riscontrati liquidi nello stomaco e solo a seguito delle insistenze del proprietario veniva effettuata una radiografia, con diagnosi di "volvolo intestinale" e successivo intervento di laparotomia intestinale, eseguito dal dott. (...), il quale estraeva dall'intestino dell'animale una noce, senza tuttavia rimuovere la zona di necrosi a monte del taglio chirurgico. Per tale intervento l'attore corrispondeva successivamente all'(...) la somma di Euro 1.350,00. Nemmeno dopo tale operazione chirurgica, tuttavia, le condizioni dell'animale miglioravano e l'attore esponeva di essere stato costretto a trasportare il cane presso una clinica veterinaria in Roma, su indicazione dello stesso (...), in quanto l'(...) non era attrezzato per le degenze canine, contrariamente a quanto pubblicizzato. A seguito del ricovero del cane presso lo (...) di Roma, infine, lo stesso moriva nel giro di qualche ora.

Tanto premesso in punto di fatto, l'attore conveniva in giudizio i convenuti per ottenere il risarcimento del danno, sia di carattere patrimoniale che non patrimoniale, connesso alla perdita del proprio animale. In particolare, l'attore invocava il risarcimento del danno patrimoniale, in ragione dell'elevato valore economico della cagna, animale dal pedigree molto pregiato, con all'attivo numerosi titoli conseguiti grazie all'esborso della cifra di Euro 20.000,00 da parte del padrone, oltre alla somma di Euro 10.200,00 per corsi di addestramento.

Peraltro, il (...) precisava che la cagna era ancora giovane, gravida di 6 cuccioli del valore i Euro 2.000,00 ciascuno e che, inoltre, data la giovane età, la stessa avrebbe potuto avere ancora tre cucciolate da 8/10 cani ciascuna. A tali mancati guadagni il (...) aggiungeva il danno costituito dalle spese sostenute per il trasporto del cane al zoospedale, per l'autopsia e per la perizia di stima, per un totale di 1.000 Euro.

In considerazione di tali premesse, allegando perizia distima, il valore dell'animale veniva stimato in Euro 40.000,00. A tali importi dovevano poi sommarsi i danni relativi alle spese mediche sostenute, pari ad Euro 1.350,00.

In aggiunta, il (...) chiedeva il risarcimento da perdita di chances per Euro 10.000,00, in ragione della probabilità che la cagna avrebbe potuto raggiungere traguardi ancora più prestigiosi.

Infine, l'attore chiedeva il risarcimento del danno non patrimoniale, in ragione della depressione subita a seguito della perdita dell'animale. In particolare, l'attore deduceva che il fatto illecito avrebbe integrato il reato di cui all'art. 544 bis c.p., incidendo gravemente i diritti della persona, in quanto il (...), attraverso la cura dell'animale, realizzava la propria esistenza e la propria personalità. Per tale voce di danno l'attore chiedeva il risarcimento di Euro 10.000,00.

Ciò posto, la parte attrice, ritenuta sussistente la responsabilità in solido di tutti e tre i convenuti, in ragione dell'imprudenza, negligenza ed imperizia dimostrata nell'effettuazione delle diagnosi e dell'intervento chirurgico, oltre che nel post-operatorio, procedeva a specificare i singoli titoli di responsabilità. In particolare, quanto alla responsabilità della (...), l'attore deduceva che questa aveva errato nell'effettuare una ecografia e non una radiografia, la quale soltanto avrebbe potuto far emergere la presenza di una noce nello stomaco dell'animale in tempo utile per salvargli la vita; ancora, la stessa aveva mal interpretato gli
esiti sia della prima ecografia che della successiva radiografia, senza individuare la presenza della noce nell'intestino, oltre a mal interpretare i risultati delle analisi; infine, aveva errato nel disporre le dimissioni dell'animale.

Quanto al (...), l'attore stigmatizzava l'errata effettuazione dell'intervento chirurgico, eseguito senza asportare la parte di intestino già in necrosi, l'errata interpretazione delle analisi del cane e l'errata terapia a seguito dell'intervento.

Infine l'attore riteneva sussistente la responsabilità di tutti e tre i convenuti per aver ingenerato il falso convincimento, mediante propaganda pubblicitaria, che la struttura veterinaria fosse attrezzata per la lunga degenza dei cani, salvo poi non essere in grado di fornire tale servizio e costringere l'attore a trasportare il proprio cane, appena operato, a Roma.

Tanto premesso, l'attore rassegnava le seguenti conclusioni:

"- ACCERTARE che il decesso di Diva è stato causato dalla condotta imprudente, negligente ed imperita dei Dott.ri (...) e (...);

- DICHIARARE i medesimi responsabili in solido, unitamente all'(...), presso il quale operano i menzionati Dottori e del quale sono soci, di tutti i danni patrimoniali e non subiti dal Sig. (...) a causa del decesso di Diva;

- DICHIARARE i convenuti inadempienti al contratto concluso con il Sig. (...) e pertanto tenuti alla refusione in favore di quest'ultimo delle spese mediche da lui sostenute, ammontanti ad Euro.1.370,00 e per l'effetto

- CONDANNARE i medesimi, in solido, a risarcire tutti i danni patrimoniali e non subiti e subendi da esso attore per effetto della condotta dei sanitari intervenuti, quantificati in complessivi Euro100.000,00 oltre rivalutazione ed interessi, come per legge, nonché al risarcimento del danno da ritardo ed alla refusione delle spese di mediazione. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio.

- CONDANNARE i convenuti alla refusione delle spese mediche sostenute dal (...) pari ad Euro. 1.350,00 con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio".

Si costituiva (...), la quale si opponeva alle richieste attoree deducendo che nessuna responsabilità poteva esserle addebitata, in quanto dagli esami ecografici effettuati non era possibile evidenziare la noce ingerita dall'animale e che la radiografia era stata effettuata solo in un secondo momento poiché tale tipologia di esame diagnostico avrebbe potuto arrecare danni gravissimi ai feti. La convenuta eccepiva peraltro la sussistenza, in capo all'attore- padrone, della responsabilità esclusiva o concorsual-prevalente, ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., per il decesso dell'animale, che ebbe ad ingerire la noce, senza che il padrone vigilasse adeguatamente.

La convenuta contestava inoltre la quantificazione dei danni effettuata da parte attrice e comunque, in subordine, dichiarava di voler agire in regresso nei confronti dei condebitori solidali (...) s.r.l. e Dott. (...) e chiedeva che il Tribunale effettuasse una ripartizione interna delle responsabilità. Concludeva pertanto chiedendo il rigetto della domanda attorea ed in subordine di accertare la quota di responsabilità a carico di ciascun coobbligato.

Si costituivano anche l'(...) ed il (...), i quali deducevano che l'intervento chirurgico era stato effettuato a regola d'arte e senza che fossero presenti nell'intestino zone di necrosi, così come corretta, tempestiva ed adeguata era stata la diagnosi e la successiva terapia farmacologica. Esponevano inoltre i convenuti che il decesso era stato causato dall'ingestione della noce da parte dell'animale e che tale circostanza era stata rappresentata con grave ritardo da parte del padrone, impedendo ai sanitari di effettuare un tempestivo intervento salvifico. Infine, rappresentavano che era stato il padrone a decidere di portare l'animale a Roma, risultando l'(...) disponibile e ben attrezzato per l'assistenza notturna dell'animale. Contestavano inoltre il quantum richiesto a titolo di risarcimento del danno e chiedevano, in subordine, al Tribunale di voler effettuare una ripartizione interna delle responsabilità individuali, onde esercitare l'azione di regresso.

Ciò posto, i convenuti rassegnavano le seguenti conclusioni:

""Voglia l'Ill.mo Tribunale di Rieti ogni contraria istanza disattesa per le ragioni tutte descritte in premessa respingere le domanda di risarcimento danni avanzata dal Sig. (...) nei confronti della Soc. "Soc. "(...)" S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., nonché, nei confronti del Dr. (...) siccome manifestamente infondata e comunque in quanto il diritto prescritto; - in linea subordinata nella denegata e non creduta ipotesi di accertamento anche parziale della domanda circoscrivere l'eventuale risarcimento danni in proporzione al grado di responsabilità che verrà eventualmente accertato a carico di ciascun obbligato procedendo quindi alla ripartizione interna tra i condebitori chiamati a rispondere; In ogni caso con condanna alla rifusione delle spese di lite".

La causa veniva istruita con l'assunzione delle prove orali ammesse e veniva disposta CTU con il seguente quesito: "Dica il ctu se le cure e gli interventi praticati al cane di proprietà dell'attore siano stati conformi ai principi della clinica veterinaria ovvero se l'adozione di misure terapeutiche diverse avrebbe potuto evitare il decesso dell'animale; quantifichi il danno patrimoniale del cane al momento del decesso". L'ausiliario del Giudice depositava la propria perizia e la causa veniva successivamente trattenuta per la decisone.

La domanda è fondata e va accolta entro i seguenti limiti.

La responsabilità del prestatore d'opera intellettuale, qual è il veterinario, disciplinata dall'art. 2236 c.c., concerne un'attività di prevalente carattere intellettuale, i cui tratti peculiari si delineano, secondo la migliore dottrina, in un lavoro che, per quanto svolto in maniera continuativa, viene pur sempre compiuto in piena autonomia e discrezionalità.

L'obbligazione principale del prestatore d'opera intellettuale consiste nel dovere di compiere quanto necessario in vista del risultato che il cliente spera di perseguire. Tuttavia, diversamente da ogni altro rapporto proiettato verso il pieno soddisfacimento dell'interesse creditorio, l'opera del professionista potrà risultare esattamente adempiuta anche se ciò non dovesse verificarsi.

La diligenza esigibile dal professionista nell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'esercizio dell'attività è una diligenza speciale e rafforzata, di contenuto tanto maggiore quanto più sia specialistica e professionale la prestazione richiesta.

In tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale, poiché l'art. 1176 c.c. fa obbligo al professionista di usare, nell'adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, il medesimo risponde normalmente per colpa lieve; nella sola ipotesi che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, l'art. 2236 c.c. prevede un'attenuazione di responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave. Pertanto, la prova dell'esistenza di tale presupposto, derogando alle norme generali sulla responsabilità per colpa, incombe al professionista.

Alla luce di tali premesse di ordine sistematico si comprende perché, nella controversia concernente l'inadempimento contrattuale del professionista, questi, per andare esente da responsabilità, ha l'onere di provare che l'insuccesso è dipeso da causa a lui non imputabile anche quando la prestazione richiestagli richiedeva la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, posto che problemi speciali esigono dal professionista una competenza speciale. Né a tale conclusione osta l'art. 2236 c.c., il quale non esonera affatto il professionista-debitore da responsabilità nel caso di insuccesso di prestazioni complesse, ma si limita a dettare un mero criterio per la valutazione della sua diligenza (Cass. n. 16254/2012).

Pertanto, qualora il professionista abbia eseguito la propria prestazione, il riparto dell'onere della prova tra professionista e cliente risulta ripartito nei seguenti termini: grava sul committente l'onere di provare l'erroneità o l'inadeguatezza della prestazione professionale ricevuta, il danno e il nesso di causalità tra la prima e il secondo, incombendo al professionista l'onere di provare l'adeguatezza, ovvero che l'imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore (Cassazione civile sez. II, 24/11/2003, n.17871).

Venendo al caso di specie, dalla documentazione in atti e dall'approfondita istruttoria è emerso che la cagna è deceduta per arresto cardio circolatorio, conseguente un grave shock settico determinato dalle lesioni riportate dall'organismo a seguito dell'ingestione di noci, che avevano determinato un volvolo intestinale, operato chirurgicamente. Su tale aspetto, risultante dalla documentazione medica in atti, non sussiste contestazione, mentre risulta controverso tra le parti l'incidenza causale della condotta dei convenuti rispetto all'evento morte. Secondo la prospettazione dell'attore, gli unici responsabili dell'evento morte sarebbero i tre convenuti, mentre questi ultimi hanno evidenziato che la morte del cane risulta riferibile causalmente alle complicanze derivanti dall'ingestione della noce e non può essere loro ascritta, in quanto la prestazione sanitaria effettuate era stata esente da errori.

Va premesso, in diritto, che in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), ovvero ad altre cause, il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227, primo comma, cod. civ.), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario (per tutte Cass. 21.7.2011 n. 15991).

Tornando al caso di specie, l'attore ha provato l'erroneità e l'inadeguatezza dell'attività professionale dei convenuti, il danno subito (sebbene entro i limiti di seguito indicati) ed il nesso di causalità concorrente tra la condotta dei sanitari ed il danno, mentre i convenuti non hanno provato di avere eseguito la prestazione con la diligenza impostagli dall'art. 1176, comma 2, c.c..

Va, di conseguenza, affermata la responsabilità concorrente dei convenuti (...) e (...), nella misura del 50% ciascuno, in solido con l'(...), per la morte dell'animale di proprietà dell'attore.

L'errore medico, sia diagnostico che operatorio, è emerso chiaramente dalla consulenza tecnica d'ufficio redatta e depositata in corso di causa, che il Giudice ritiene pienamente condivisibile in quanto logica, coerente e priva di elementi di contraddizione, come si procede ad esporre.

In particolare, l'ausiliario del Giudice ha rilevato che errata si è dimostrata la scelta di non sottoporre, fin dalla prima visita, la cagna ad un esame radiografico. Tale scelta diagnostica è stata giustificata dalla (...) in ragione dello stato di gravidanza dell'animale e, dunque, al fine di salvaguardare i cuccioli. In realtà, il consulente d'ufficio ha chiarito che la scelta di non effettuare la radiografia può risultare corretta solo quando non sussiste pericolo di vita del cane - nel caso di specie esistente - e che, in ogni caso, l'avanzato stato di gravidanza non avrebbe potuto ragionevolmente pregiudicare i feti.

Tanto premesso, deve concludersi che la scelta diagnostica della convenuta è risultata errata, in quanto imprudente e che la stessa deve senz'altro porsi come uno degli antecedenti causali del decesso, in quanto una corretta diagnosi avrebbe potuto impedire il decorso esiziale della patologia, come rilevabile dalla ctu in atti. Peraltro, la consulenza tecnica d'ufficio ha evidenziato che, dai sintomi (vomito e dolori addominali) presentati dal cane e riportati dal padrone e dell'accompagnatore, ben avrebbe dovuto/potuto la convenuta comprendere la natura del problema e conseguentemente disporre immediatamente la radiografia.

Pertanto, l'errore diagnostico della convenuta (...) risulta dimostrato, né quest'ultima ha fornito la prova dell'adeguatezza della prestazione, ovvero che l'imperfetta esecuzione fu determinata da caso fortuito o forza maggiore, avendo la stessa ammesso che in occasione del primo controllo non era stato riscontrato nulla di allarmante (cfr. la comparsa di costituzione e risposta) e che quindi la cagna era stata dimessa. In buona sostanza, l'errore del veterinario è consistito proprio nel non aver compreso la gravità della situazione e nel non aver effettuato ulteriori accertamenti sulla base delle informazioni in proprio possesso (il proprietario aveva dichiarato che l'animale aveva defecato pezzi di coperta), dimettendo l'animale.

Venendo alla posizione del Dott. (...), l'errore medico colposo a questi ascrivibile si sostanzia nel non aver ispezionato e conseguentemente asportato la porzione di intestino necrotizzata. Sul punto, appare utile richiamare integralmente le valutazioni effettuate dal consulente d'ufficio, il quale ha avuto modo di rilevare che: "nel caso di presenza di corpo estraneo solido è presumibile che eventuali lesioni provocate dallo stesso siano a monte e pertanto in via precauzionale ne va ispezionata attentamente ogni singola porzione". Né il convenuto ha dedotto alcunché in merito all'omessa ispezione dell'intero tratto di intestino che avrebbe potuto risentire dell'ingestione della noce, limitandosi ad eccepire la correttezza e diligenza dell'intervento chirurgico, ma senza fornire alcuna giustificazione dell'omissione, che, come si evince dalla ctu in atti e dalla documentazione medica allegata dall'attore, ha sicuramente spiegato una incidenza causale sulla morte dell'animale.

Ciò posto, deve concludersi che entrambi i convenuti, medici veterinari, risultano responsabili in egual misura degli errori e delle omissioni, diagnostiche e terapeutiche, che hanno spiegato una paritaria incidenza causale sulla produzione del danno, del quale dovranno rispondere in solido con l'(...) convenuto, in qualità di soggetto che ha concluso con il proprietario il contatto di ricovero veterinario del cane.

Ciò posto, devono a questo punto scrutinarsi i profili di responsabilità del proprietario dell'animale, che incidono sulla sussistenza e sulla quantificazione del danno ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1227 c.c..

Ebbene, entrambi i convenuti hanno insistito sull'incidenza causale esclusiva, ovvero meramente concorsuale concorrente, del comportamento del (...), che non aveva prontamente segnalato ai veterinari l'ingestione di noci da parte della cagna, salvo poi, solo in un secondo momento, comunicare la circostanza ai medici.

Sul punto, la consulenza d'ufficio ha evidenziato che le informazioni fornite ai medici da chi ebbe a condurre l'animale presso l'(...) veterinario furono frammentarie ed incomplete circa le abitudini del cane ad ingerire corpi estranei e che la notizia inerente all'ingestione delle noci fu comunicata con gravissimo ritardo dal proprietario.

Ebbene, deve sicuramente attribuirsi al mancato adempimento degli obblighi informativi da parte dell'attore un'incidenza causale concorrente sulla mancata tempestiva diagnosi della problematica ed un ruolo nella precipitazione degli eventi, fino all'esito esiziale. E' vero che il proprietario, fin dall'inizio ebbe a comunicare che nelle feci dell'animale erano state rinvenute tracce di coperte, che probabilmente il cane aveva ingerito e che tale informazione avrebbe dovuto indurre i sanitari a focalizzare l'attenzione in fase diagnostica sull'ingestione di corpi
estranei; tuttavia, è altrettanto chiaro che un conto è l'ingestione di brandelli di coperta, poi espulsi, ed altro e diverso conto è l'ingestione di una noce, la quale soltanto, infatti, risulta aver provocato l'occlusione intestinale che ha condotto alla morte del cane.

A ciò si deve aggiungere un ulteriore profilo di responsabilità del proprietario, che ha somministrato acqua all'animale, anziché condurlo immediatamente presso le cure del caso.

Ebbene, dalla ctu in atti è emerso chiaramente che nei casi di blocco intestinale dei cani le prime ore sono preziose e che qualsiasi intervento non professionale (come la somministrazione di acqua) è dannoso per l'animale.

A ciò deve ulteriormente aggiungersi che l'innesco causale della serie di eventi che hanno condotto alla morte del cane è risultato essere proprio l'ingestione della noce, da considerarsi alla stregua di patologia preesistente rispetto al ricovero, la cui responsabilità non può che ricadere in capo al proprietario del cane.

Tutti i fattori alternativi, causalmente efficienti rispetto alla produzione dell'evento, precedenti e concomitanti rispetto alla produzione dell'evento medesimo, non ascrivibili alla condotta dei sanitari, determinano una riduzione della responsabilità dei convenuti sul piano del danno conseguenza ex art. 1227 c.c. pari al 50%.

Nessuna responsabilità va infine ascritta all'(...) veterinario convenuto in merito alle inadeguatezze strutturali lamentate dall'attore, riferibili alla non veritiera capacità di consentire la lunga degenza dei cani. Ed infatti, dall'escussione testimoniale non è stato possibile chiarire se l'iniziativa di condurre il cane presso la clinica romana, dopo l'intervento, fu unilateralmente presa dal (...), ovvero fu in qualche misura suggerita dai veterinari, ovvero ancora imposta dalla impossibilità dell'(...) di provvedere alla lunga degenza dell'animale. Ed infatti, le risultanze delle deposizioni testimoniali e degli interrogatori formali espletati in corso di causa non hanno permesso di ritenere fondata la tesi dell'attore, ovvero quella dei convenuti, in quanto i testimoni e le stesse parti si sono limitate a confermare ora una tesi, ora l'altra, senza apportare elementi di cognizione ulteriori. Tuttavia, deve rilevarsi che dalla consulenza d'ufficio sono emersi elementi che contraddicono la tesi attorea, avendo l'ausiliario del giudice rilevato che l'(...) convenuto era dotato dei requisiti minimi strutturali, impiantistici, tecnologici, strumentali ed organizzativi; di talché, appare più credibile la versione di fatti sostenuta dai convenuti. Inoltre, non risulta provato dall'attore l'incidenza causale della mancata o inappropriata presenza di un locale destinato alla lunga degenza rispetto al danno subito. Pertanto, su tale ultimo punto, la domanda risarcitoria è sfornita di idonea prova.

Venendo all'aspetto dei danni risarcibili e del relativo quantum valgono le seguenti considerazioni.

Spetta all'attore, in primo luogo, il risarcimento del danno pari al valore patrimoniale dell'animale perduto.

Il valore della cagna deve essere stimato aderendo alla valutazione effettuata dal consulente del giudice, che risulta logica, credibile e coerente, in quanto ben motivata e convincente,
soprattutto per quel che concerne il metodo di stima utilizzato. In particolare, l'ausiliario del Giudice ha preso in considerazione l'alta genealogia, il rilevante pregio, la giovane età e la piena salute dell'animale, per poi quantificare la media del valore di cani dalle medesime caratteristiche ed in possesso dei medesimi titoli ed attestazioni; tale media ha portato ad individuare il valore di Euro 2.200,00, che, in ragione delle dimostrate ed ulteriori peculiari caratteristiche fisico - genealogiche della cagna, è stato implementato fino al valore di Euro 6.000,00, ritenuto equo da questo Giudice.

Tale importo deve essere ulteriormente incrementato, in via equitativa, del 30% in ragione dello stato di gravidanza della cagna, in attesa di nr. 6 cuccioli, per un totale di Euro 1.800,00. Non può condividersi, infatti, la valutazione effettuata dall'attore e pari ad Euro 2.000,00 per ciascun cucciolo, né il calcolo del ctu, che ha stimato la somma di Euro 1.500,00 per cucciolo, effettuando peraltro un calcolo statistico/probabilistico delle ed eventuali cucciolate che la cagna avrebbe potuto produrre in futuro. Infatti, quanto alla gravidanza in atto al momento della morte del cane, può solo ritenersi più probabile che l'animale avrebbe dato alla luce i piccoli che il contrario, in ragione del buono stato di salute della cagna fino al momento dell'ingestione della noce e dell'avanzato stato della gravidanza; tuttavia nulla può inferirsi in merito alla effettiva nascita ed all'effettivo stato di salute dei cuccioli una volta nati, così come alla possibilità che gli stessi sarebbero stati utilmente collocati sul mercato. Quanto alle eventuali e solo ipotetiche gravidanze future della cagna, non può attribuirsi a tale mera eventualità alcuna ragionevole probabilità di esistenza e, pertanto, alcun risarcimento spetta all'attore relativamente a tale posta.

Nessun importo ulteriore spetta all'attore in ragione dei costi sostenuti per l'addestramento e le spese di accoppiamento del cane, in quanto queste sono già state considerate nel valore patrimoniale dell'animale.

Non costituisce, peraltro, un danno risarcibile la spesa sostenuta per l'onorario pagato all'(...). Il risarcimento del danno, infatti, è retto dal c.d. "principio di indifferenza", in virtù del quale a risarcimento avvenuto il danneggiato dovrebbe trovarsi nella medesima posizione economica in cui si sarebbe trovato se il danno non si fosse mai prodotto.

Orbene, qualora il convenuto avesse diligentemente eseguito la prestazione a lui richiesta, l'attore avrebbe pur sempre dovuto pagare il corrispettivo dovuto al professionista. Se, pertanto, in questa sede si cumulasse il valore dell'animale con quello pagato, per effetto del risarcimento l'attore si troverebbe in una posizione economicamente più vantaggiosa rispetto a quella in cui si sarebbe trovato qualora i convenuti non avessero commesso errori.

Allo stesso modo non sono dovute le spese per il trasporto del cane presso la struttura romana, dove poi l'animale è deceduto, in quanto, come chiarito in precedenza, non è stata raggiunta la prova in giudizio che il trasporto e ricovero dell'animale presso la seconda clinica sia stato necessitato e non il frutto di libera scelta del padrone.

Quanto alle spese per la redazione della perizia di stima del cane e per l'autopsia, il danno non è stato provato, nemmeno in via presuntiva, non essendo versata in atti alcuna fattura o documentazione da cui desumere l'importo corrisposto per tali servizi dall'attore.
Venendo all'invocato danno da perdita di chances, l'attore ha chiesto la liquidazione del danno pari ad Euro 10.000,00 derivante dalla probabilità che la cagna avrebbe potuto raggiungere traguardi ancora più prestigiosi. Non sussistono in relazione a tale richiesta i presupposti per l'invocato risarcimento, in quanto la "chance" di cui l'attore invoca il risarcimento si riduce nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, non ragionevolmente apprezzabile in termini economici. Infatti, anche se è ragionevole presumente il cane, in ragione del pedigree posseduto e dei titoli già conseguiti, in assenza dell'evento lesivo avrebbe potuto partecipare ad altre competizioni, non può certo ritenersi probabile che lo stesso sarebbe risultato vittorioso. E' infatti necessario distinguere fra probabilità di riuscita, che deve essere considerata quale chance risarcibile e la semplice possibilità di conseguire l'utilità sperata, la quale non può invece essere risarcita; occorre dunque accertare con certezza, per il risarcimento del danno da perdita di chance, i presupposti dello stesso danno, mentre deve escludersi tale risarcimento qualora il comportamento illegittimo abbia comportato solo la perdita di una ipotetica eventualità di conseguimento del bene della vita, come nel caso che ci occupa. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo si veda Cassazione civile sez. III, 14/03/2017, n.6488) chi invoca il risarcimento da perdita di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene e cioè come entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, benché solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. Nel caso di specie, l'attore non ha adempiuto al proprio onere probatorio, limitandosi a dedurre che, visti i titoli conquistati nei primi due anni di vita dal cane, con ogni probabilità lo stesso avrebbe potuto raggiungere risultati ben più ambiziosi negli anni a seguire, senza allegare la realizzazione in concreto anche solo di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato (come ad esempio la già avvenuta iscrizione ad un torneo o ad una manifestazione).

Ricapitolando, spetta all'attore l'importo complessivo di Euro 3.900,00, pari all'importo complessivo del danno patrimoniale subito (Euro 7.800,00) dimezzato del 50% in ragione del concorso colposo del creditore nella determinazione del danno ex art. 1227 c.c.

Sugli importi, trattandosi di risarcimento del danno e, dunque, di debito di valore, sono riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.

In particolare, sulla somma dovuta a titolo di danno patrimoniale, liquidata in sostanza con riferimento all'epoca del fatto, spettano gli interessi legali e la rivalutazione dal giorno dell'illecito, vale a dire dal 30.01.2012, con gli interessi calcolati sulla stessa somma via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza.

Venendo, infine, al profilo del risarcimento del danno non patrimoniale, lo stesso non può essere riconosciuto, in quanto la condotta dei convenuti non integra gli estremi di alcun reato (art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.). Ed infatti non può ritenersi che il comportamento dei convenuti
possa integrare, sul piano oggettivo e soggettivo, il reato di cui all'art. 544 bis c.p., che è reato doloso, dove la locuzione "per crudeltà o senza necessità" rappresenta una clausola di illiceità speciale.

Né può soccorrere la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., affermata da Cass. 31.5.2003 n. 8827 e Cass. 31.5.2003 n. 8828, nonché da Corte cost., 11.7.2003 n. 233, in quanto la morte di un animale non costituisce lesione di alcun valore della persona costituzionalmente protetto.

Non è infatti riconducibile ad alcuna categoria di danno non patrimoniale risarcibile la perdita, a seguito di un fatto illecito, di un animale di affezione, in quanto essa non è qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non potendo essere sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della "qualità della vita" (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 14846 del 27/06/2007; Cassazione civile sez. VI, 23/10/2018, n.26770). Infatti, gli interessi della persona di rango costituzionale sono solo i diritti fondamentali dell'individuo, quelli cioè rientranti nel nucleo primigenio della tutela della persona, inalienabili e incoercibili e tra questi non rientra l'affezione, pur intensa, che si possa provare per un animale.

Nel caso di specie, pertanto, non ricorrendo alcuna lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti, né sussistendo le condizioni di legge per il ristoro del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., non spetta all'attore il risarcimento di alcun tipo di danno non patrimoniale.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Vanno altresì poste definitivamente a carico delle parti convenute in solido le spese di C.T.U.

P.Q.M.

il Tribunale di Rieti, definitivamente pronunziando sulla domanda in epigrafe, così provvede:

- dichiara che il decesso del cane di razza dobermann di nome Diva, di proprietà di (...), avvenuto in data 30.01.2012 è causalmente riferibile alla condotta dei convenuti;

- condanna (...), (...) e l'(...) S.r.l., in persona del l.r.p.t., in solido, al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 3.900,00 oltre interessi legali e rivalutazione dal 30.01.2012, con gli interessi calcolati sulla somma di Euro 3.900,00 via via rivalutata anno per anno secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza;

- condanna (...), (...) e l'(...) in persona del l.r.p.t., in solido, a rifondere all'attore le spese di questo giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese generali e accessori come per legge, ed in Euro 800,00 per esborsi;

- pone definitivamente a carico della parti convenute in solido le spese di C.T.U. Così deciso in Rieti il 26 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2019