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Uso della PEC per il difensore a suo rischio (Cass. 26362/18)

8 giugno 2018, Cassazione penale

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La legge non consente che le notificazioni richieste dalla parti private possano avvenire tramite  PEC (ad es. per depositare memorie o richieste o comunque effettuare notifiche).

La giurisprudenza ha riconosciuto alla parte privata la possibilità di avvalersi di modalità diverse da quella prevista dall’art. 121 cod. proc. pen. in considerazione dell’evoluzione del sistema di comunicazioni e di notifiche:  l’invio a mezzo fax o  a mezzo PEC delle istanze, memorie, richieste non è inammissibile o irricevibile, ma la sua mancata delibazione - quando il giudice non ne sia venuto a conoscenza - non comporta alcuna violazione del diritto di difesa e quindi alcuna nullità, in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore al rischio dell’intempestività con cui l’atto stesso può pervenire a conoscenza del destinatario, ed in ogni caso la parte che si avvale di tale mezzo di trasmissione ha l’onere di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente.

 

Corte di Cassazione

sez. II Penale, sentenza 23 maggio – 8 giugno 2018, n. 26362
Presidente Davigo – Relatore Rago

Ritenuto in fatto

1. In data 22/12/2016, D.S.d.V.M. proponeva denuncia per usura contro i vertici della Banca Carige.
In data 09/05/2017, veniva notificata al denunciante la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero.
In data 16/05/2017, il denunciante, a mezzo del proprio difensore, proponeva atto di opposizione trasmesso presso la Segreteria del Pubblico Ministero a mezzo PEC.
In data 25/05/2017 il giudice delle indagini preliminari ordinava l’archiviazione.
Con richiesta datata 31/01/2018 (pervenuta al giudice delle indagini preliminari in data 01/02/2018) il difensore del denunciante, dopo avere premesso di aver presentato opposizione alla richiesta di archiviazione, sollecitava il giudice delle indagini preliminari a fissare l’udienza ex art. 409/2 cod. proc. pen..
In data 16/02/2018, il difensore, dopo avere appreso casualmente dell’archiviazione, "depositava incidente di esecuzione a mezzo del quale chiedeva dichiararsi la non esecutività del decreto di archiviazione con i provvedimenti conseguenti per quanto concerneva la rimessione in termini, ovvero la fissazione della camera di consiglio per la trattazione dell’opposizione a suo tempo debitamente depositata" (pag. 2 ricorso).
Con provvedimento del 19/02/2018 - scritto in calce alla richiesta datata 31/01/2018 - il giudice delle indagini preliminari così provvedeva: "v^ non luogo a provvedere, atteso che questo giudice ha già provveduto con decreto di archiviazione in data 25/05/2017 quando era ormai decorso il termine per formulare opposizione, di dieci giorni previsto dall’art. 408/3 cod. proc. pen. (il termine è stato aumentato a 20 gg a decorrere dal 04/08/2017) decorrente dalla notifica della richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero che risulta essere stata effettuata in data 10/05/2017 ed in quanto non era pervenuto a questo ufficio alcun atto di opposizione; questo ufficio, infatti, ne è venuto a conoscenza solo in data 01/02/2018 con la richiesta in esame. L’atto risulta peraltro inviato via pec, modalità non corretta".
2. Con atto depositato il 28/02/2018, il denunciante, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione contro il provvedimento del giudice delle indagini preliminari del 19/02/2018 deducendone l’abnormità con il seguente testuale motivo: "La opposizione alla richiesta di archiviazione veniva depositata a mezzo pec perché tanto era stato peraltro significato dalla segreteria del Pubblico Ministero dove peraltro l’atto non è stato neanche letto nonostante la corretta spedizione avvenuta a mezzo pec, metodo che il giudice delle indagini preliminari ha ritenuto non corretto solo che non si comprende la ragione per cui il mezzo è corretto quando la Cancelleria comunica e notifica atti e provvedimenti agli avvocati, regola che non dovrebbe valere quando vengono depositati gli atti secondo il solerte giudice delle indagini preliminari. Il giudice delle indagini preliminari ha omesso di considerare quanto prevede, ad esempio, l’art. 583, Cpp, ai sensi e per gli effetti del quale l’atto di impugnazione si può spedire anche con raccomandata ar, sicché se si considera che la PEC altro non è che una raccomandata digitale non si comprende la ragione per cui l’opposizione dovrebbe essere stata trasmessa in maniera non corretta. Il giudice delle indagini preliminari, peraltro, avrebbe dovuto pronunciarsi in ossequio all’incidente di esecuzione e non in seguito al sollecito, superato dal primo perché così operando ha reso una motivazione che rispetto all’ultima istanza della difesa si manifesta come irrazionale, con carattere di provvedimento avverso il quale la Difesa dovrebbe proporre ulteriore incidente di esecuzione, richiamando il primo, per essere stata la opposizione alla richiesta di archiviazione presentata nei termini, senza discettare circa la natura di termine perentorio o meno per proporre opposizione, essendo decorsi al più sette giorni dalla data di emissione del provvedimento del Pubblico Ministero".

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
Innanzitutto va delimitato l’oggetto dell’impugnativa.
Il ricorrente ha espressamente ed esclusivamente impugnato il provvedimento pronunciato dal giudice delle indagini preliminari in data 19/02/2018.
Il suddetto provvedimento - scritto in calce alla richiesta datata 31/01/2018 e alla quale fa espresso riferimento - deve ritenersi di semplice risposta e chiarimenti al decreto di archiviazione del 25/05/2017.
Già questo basterebbe a dichiarare l’inammissibilità del ricorso in quanto non è prevista (per il principio di tassatività) alcuna impugnazione contro atti del giudice che siano privi di alcuna decisività.
2. Questo Collegio, peraltro, ritiene opportuno precisare quanto segue.
Il ricorrente censura la decisione del giudice delle indagini preliminari in quanto aveva archiviato de plano senza prendere in considerazione l’atto di opposizione che esso ricorrente aveva provveduto a depositare presso la Segreteria del Pubblico Ministero a mezzo PEC.
Sul punto, va osservato che l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero avrebbe dovuto essere depositato con le modalità previste dall’art. 121 cod. proc. pen. e non, come erroneamente ritiene il ricorrente, a norma dell’art. 583 cod. proc. pen. in quanto l’opposizione non rientra nel genus delle impugnazioni essendo un atto diretto contro la richiesta del Pubblico Ministero e non contro un provvedimento del giudice.
In punto di diritto, va, quindi, rammentato che l’art. 121 cod. proc. pen. individua nel deposito in cancelleria l’unica modalità per le parti di presentazione delle memorie e delle richieste rivolte al giudice, mentre il ricorso a "mezzi tecnici che garantiscano la conoscenza dell’atto" è riservato ai funzionari di cancelleria ai sensi dell’art. 150 cod. proc. pen..
In particolare, quanto alla PEC, va rilevato che, a norma dell’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla I. 17 novembre 2012 n.221, le notificazioni penali a persona diversa dall’imputato, a norma degli articoli 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale, si effettuano dal 15 dicembre 2014 per via telematica, in concreto attraverso la Pec.
La suddetta normativa è prevista, quindi, solo a favore degli Uffici Giudiziari e nei confronti di persona diversa dall’imputato: correttamente, quindi, la richiesta di archiviazione fu comunicata al difensore del denunciante a mezzo PEC.
Al contrario, poiché l’art. 16 d.l. cit. non richiama né l’art. 121 né l’art. 152 cod. proc. pen. ("notificazioni richieste dalla parti private"), deve ritenersi che le parti private (nella specie il denunciante) non possano avvalersi della PEC per depositare memorie o richieste o comunque effettuare notifiche: in terminis, quanto all’inammissibilità dell’utilizzo della PEC per inoltrare richieste (Cass.47427/2014 riv 260963) o memorie (Cass. 31314/2017 riv 270702; Cass. 31336/2017 riv 270858).
Va, peraltro, osservato che questa Corte, in relazione agli atti ex art. 121 cod. proc. pen., ha adottato una linea interpretativa estensiva.
Infatti, le SSUU, con la sentenza n. 40187/2014 rv 259928, hanno riconosciuto alla parte privata la possibilità di avvalersi di modalità diverse da quella prevista dall’art. 121 cod. proc. pen. in considerazione dell’evoluzione del sistema di comunicazioni e di notifiche (in terminis Cass. 535/2017 riv 268942).
Successivamente, questa Corte, ha, però, precisato che l’invio a mezzo fax (o con altre modalità diverse da quella disciplinata dall’art. 121 cod. proc. pen., come, appunto, l’invio a mezzo PEC) delle istanze, memorie, richieste non è inammissibile o irricevibile, ma la sua mancata delibazione - quando il giudice non ne sia venuto a conoscenza - non comporta alcuna violazione del diritto di difesa e quindi alcuna nullità, in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore al rischio dell’intempestività con cui l’atto stesso può pervenire a conoscenza del destinatario, ed in ogni caso la parte che si avvale di tale mezzo di trasmissione ha l’onere di accertarsi del regolare arrivo del fax e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente: ex plurimis Cass. 1904/2018 riv 272049.
Quindi, alla stregua di quanto appena si è detto, di nulla può dolersi il ricorrente sia perché aveva proposto l’opposizione con un mezzo non consentito, sia perché, successivamente, non si era accertato se la suddetta opposizione fosse o meno stata tempestivamente trasmessa al giudice delle indagini preliminari.
Infine, questo Collegio non ritiene di dovere interloquire sull’ulteriore censura relativa alla mancata risposta del giudice delle indagini preliminari all’incidente di esecuzione proposto dal ricorrente proprio perché, in assenza di alcun provvedimento, la censura deve ritenersi non scrutinabile.
2. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.