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Strage di Bologna, la sentenza di primo grado (Corte Ass. Bologna, 4/88)

11 luglio 1988, Corte di Assise di Bologna

Sala d’aspetto della stazione di Bologna, 2 agosto 1980. Sabato, stazione affollata di turisti che si spostano per le ferie estive. Alle 10:25 esplode una bomba, che uccide 85 persone e ne ferisce 200.

Per la strage sono stati condannati Francesca Mambro, il marito Giuseppe Valerio («Giusva») Fioravanti e Luigi Ciavardini, tutti appartenenti, come Cavallini, ai Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, un’organizzazione di ispirazione fascista nata nella capitale e attiva fra gli anni Settanta e Ottanta. La sentenza è diventata definitiva nel 1995.

 

Corte d'Assise di Bologna

sezione II

sentenza n. 4/88 emessa in data 11/7/1988

Nel  procedimento penale n. 12/86 R.G.C.A. al quale sono riuniti i procedimenti penali nn.l3/86 R.G.C.A. e 2/87 R.G.C.A. contro;

1) BALLAN Marco
2) BELMONTE Giuseppe
3) CAVALLINI Gilberto
4) DE FELICE Fabio
5) DELLE CHIAIE Stefano
6) FACHINI Massimiliano
7) FIORAVANTI Valerio
8) GELLI Licio
9) GIORGI Maurizio
10) GIULIANI Egidio
11) HUBEL Klaus Friedrik
12) IANNILLI Marcello
13) MAMBRO Francesca
14) MELIOLI Giovanni
15) MUSUMECI Pietro
16) PICCIAFUOCO Sergio
17) RAHO Roberto
18) RINANI Roberto
19) SIGNQRELLI Paolo
20) TILGHER Adriano
21) PAZIENZA Francesco

Bologna - 2 Agosto 1980 - Associazioni Familiari vittime della strage alla stazione


PARTE PRIMA: I FATTI ED I PROCEDIMENTI


1.1)L'esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna,
l'istruzione preliminare e l'istruzione sommaria

1.1.1.) L'esplosione e le sue conseguenze


02/08/80Alle ore 10,25 di sabato 2 agosto 1980, un violentissimo scoppio nei locali della sala d'aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria di Bologna provocava il crollo delle strutture sovrastanti la sala (adibite ad uffici `C.I.G.A.R'), di strutture sovrastanti la sala d'aspetto di prima classe, nonché della pensilina per circa 30 metri di lunghezza.


L'esplosione investiva anche due vetture del treno straordinario Ancona-Chiasso, che nella circostanza si trovava in sosta al primo binario, immediatamente antistante i locali della sala d'attesa (1).


Le conseguenze dell'esplosione erano di terrificante gravità, anche in ragione dell'affollamento della stazione, in un giorno prefestivo del mese di agosto: 85 persone perdevano la vita (2) ed i feriti si contavano nell'ordine

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(1) - Cfr. RA, V1, C1, p1.
(2) - Cfr. DF, C1, contenitore non numerato con l'intitolazione "Persone decedute in seguito allo scoppio verificatosi il 2.8.1980 nella Stazione F.S. di Bologna".


delle centinaia (3); i danni materiali alle strutture ed ai mezzi si appalesavano -com'è intuibile- di imponente entità.


1.1.2) L'avvio delle indagini


1.1.2.1) Il conferimento dell'incarico ai periti chimico- esplosivistici.


Il primo problema che si poneva agli inquirenti riguardava l'accertamento della natura dell'esplosione : si trattava cioè di verificarne la dolosità o l'accidentalità.


Lo stesso 2 agosto, mentre fervevano i soccorsi ad opera delle forze dell'ordine e di numerosissimi volontari, i Sostituti Procuratori della Repubblica investiti della inchiesta affidavano ai periti SPAMPINATO e MARINO un'indagine (4) volta ad acclarare: le cause, le modalità del fatto, i mezzi che lo produssero e la capacità lesiva sulle persone singole ed indeterminate; in particolare, se risultasse che lo scoppio era stato determinato dolosamente da collocazione di ordigno, o se risultasse invece, dalle tracce rinvenute, che lo scoppio fosse da attribuirsi a cause accidentali, con specifico riguardo a guasti ed

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(3) - Cfr. DF, C1, p1, ove si riferisce di 167 persone che hanno fatto ricorso a cure ospedaliere; l'imputazione, prudentemente, fa riferimento ad "oltre 150 persone".
(4) - cfr. PA, V1, C1, p1.


imprevisti nelle condotte di distribuzione del gas od all'esistenza di eventuali depositi di sostanze atte a conflagrazione .


1.1.2.2) Ulteriori attività d'indagine: in particolare, la perquisizione nell'abitazione di Mario Guido NALDI


Nell'immediatezza dei fatti si provvedeva, altresì, a compiere una serie di ulteriori attività investigative (5): in particolare, la Polizia Giudiziaria raccoglieva a verbale le dichiarazioni dei feriti e dei conducenti di taxi in servizio da o per la stazione ferroviaria; avviava gli accertamenti relativi alle numerose segnalazioni anonime pervenute; raccoglieva le rivendicazioni dell'attentato giunte in vari capoluoghi; controllava gli esercizi ricettivi bolognesi, con riguardo alle presenze nel periodo immediatamente precedente il 2 agosto; sensibilizzava le fonti informative; e provvedeva ad eseguire perquisizioni domiciliari, di cui varie ai sensi dell'art. 41 T.U.L.P.S., e numerosissime altre per ordine della Procura della Repubblica.




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(5) - cfr. RA, V1, C1, p5.


04/08/80 In particolare, il 4/8/1980 veniva perquisita, fra le altre, l'abitazione di Mario Guido NALDI, noto come estremista di destra: in casa di costui venivano rinvenute, oltre ad una rubrica alfabetica e tre numeri dell'opuscolo `QUEX', due lettere scritte ad un giovane bolognese, Luca DE ORAZI, da un cittadino francese, tale Paul DURAND, dirigente dell'organizzazione di estrema destra FANE (Fédération d'Action Nationale et Européenne); le lettere concernevano la rivista `QUEX' e la rivista `Notre Europe', e in esse figuravano anche i nomi di TUTI e MURELLI, nonché di Jeanne COGOLLI, di Rodolfo POLI, e del neofascista lucchese Marco AFFATIGATO, accusato, sulle pagine di `QUEX', di essere un delatore (6).


Le indagini, a seguito della perquisizione a carico del NALDI, si rivolgevano verso due obiettivi: la ricerca (di cui si darà conto più avanti) del NALDI stesso, che in quei giorni non era presente in città, e gli accertamenti sul conto del DE ORAZI. Di quest'ultimo si riferisce qui di seguito succintamente, a soli fini di chiarezza e



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(6) - cfr. RA, V1, C3, pp. 1 ss.


completezza, essendo stata la sua posizione definita prima del giudizio.


1.1.2.3) Luca DE ORAZI


Il 4 agosto veniva perquisita anche l'abitazione del DE ORAZI. Il giovane, sentito dal Procuratore della Repubblica nel corso della perquisizione, veniva rilasciato, mentre sul suo conto, nei giorni successivi, venivano compiuti ulteriori accertamenti. Il 16 agosto egli, già posto in istato di fermo sin dal 14, veniva tratto in arresto in esecuzione dell'ordine di cattura n. 76/80 R.G.O.C., spiccato in relazione ad alcuni fatti criminosi che il giovane aveva ammesso d'aver compiuto a Roma. Nel corso dei
numerosi interrogatori succedutisi fra il 13 agosto e l'11 settembre (7), il DE ORAZI, cui, nel corso della perquisizione, era stato sequestrato il materiale indicato dai Carabinieri di Bologna nel rapporto 25/8/1980 (8), riferiva quanto dagli Istruttori in sintesi riportato nella sentenza-ordinanza: vale a dire, d'aver lasciato Bologna per



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(7) - Cfr. IA, V9/a-1, C1.
(8) - Cfr. RA, V2, C49, pp 2-3.


Roma nel 1979; d'esser colà stato ospite della famiglia di Donatella BIANCHI, `leader' del movimento di estrema destra `Terza Posizione', alla ricerca di una collocazione esistenziale e politica acconcia alle sue aspirazioni "rivoluzionarie"; di essersi avvicinato agli ambienti di `Terza Posizione' tramite la BIANCHI; d'aver compiuto una rapina in Roma nel febbraio precedente; d'essersi trovato a Riccione, a far tempo dal 27-28/7/1980 e fino alla settimana successiva, in compagnia di Walter SORDI e Luca PERUCCI; di non aver avuto contatti e di non aver mai conosciuto la maggior parte delle persone, che -come si vedrà in prosieguo- vennero poi raggiunte dall'ordine di cattura del 26/8/1980; di conoscere NALDI Mario Guido, con il quale aveva collaborato alla diffusione della rivista `QUEX', diretta fondamentalmente ai detenuti `politici' di destra.


1.1.3) Gli sviluppi dell'inchiesta


1.1.3.1) Le rivelazioni di Luigi VETTORE PRESILIO


06/08/80 Con nota del 6/8/1980 (9), il Giudice diSorveglianza di Padova riferiva al Procuratore della Repubblica di Bologna




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(9) - RA, V2, C16, p1.


che in data 10/7/1980 un detenuto della Casa Circondariale di Padova, VETTORE Presilio (`sic'), gli aveva informalmente dichiarato d'esser stato contattato da esponenti di un'organizzazione di estrema destra, che gli avevano proposto di partecipare ad un attentato ai danni del Giudice STIZ di Treviso. L'attentato in questione, da compiersi nell'immediato futuro con un'`Alfetta' truccata da autovettura dei Carabinieri (il gruppo disponeva anche di divise dell'Arma), sarebbe stato preceduto -secondo quanto il VETTORE aveva appreso- da altro attentato ad opera della medesima organizzazione, di eccezionale gravità, tanto che avrebbe "riempito le pagine dei giornali". A conferma della propria attendibilità, il VETTORE aveva indicato un appuntato o brigadiere dei Carabinieri (tale SIBILIA o SCIBILIA Giacomo) con il quale si trovava da lungo tempo in rapporto confidenziale.


Nella serata dello stesso 6 agosto il VETTORE confermava tali dichiarazioni al Procuratore della Repubblica di Bologna (10), aggiungendo d'aver ricevuto le proposte di cui



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(10) - Cfr. EA, V10/a-1, C30, pp. 2-4.


sopra da un compagno di detenzione .


A distanza di cinque giorni, l'11 agosto, il VETTORE si decideva a rivelare che il compagno di detenzione autore delle riferite proposte era stato tale RINANI (11).


Il 3/9/1980, nel corso di una ricognizione personale (12) cui venne sottoposto RINANI Roberto, detenuto nel carcere di Padova nel periodo (inizio estate) cui il VETTORE faceva risalire i contatti e le rivelazioni in ordine agli attentati, il VETTORE riconobbe nel RINANI la persona da cui tali rivelazioni avrebbe ricevuto.


Nel corso delle sue dichiarazioni istruttorie, il VETTORE riferiva altresì di aver appreso dal RINANI dei contatti che costui aveva sempre intrattenuto con la cellula veneta già facente capo a FREDA e VENTURA, di cui all'epoca era principaleesponenteFACHINIMassimiliano(13).


1.1.3.2) Le rivelazioni di Giorgio FARINA


8-9/8/80La notte fra l'8 ed il 9 agosto, la direzione dell'UCIGOS riferiva (14) alla Procura della


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(11) - Cfr. la trascrizione delle deposizione registrata del VETTORE, inEA, V10/a-1, C30, p14.
(12) - EA, V10/a-1, C30, p62.
(13) - EA, V10/a-1, C30, p65.
(14) - Se ne dà atto in SO, p42, righi 3-7.


Repubblica di Bologna di aver ricevuto notizie inerenti all'esplosione avvenuta alla stazione ferroviaria da una "fonte" della quale veniva taciuto il nome.


14/08/80 A distanza di cinque giorni, l'UCIGOS trasmetteva un'ulteriore nota (15), accompagnata da due documenti:


a) un "appunto" privo di data;


b) la trascrizione della registrazione di un colloquio avvenuto l'11/8/1980 nel carcere romano di Rebibbia tra la "fonte" ed un non meglio identificato interlocutore, che poi si apprenderà essere il dott. Elio CIOPPA, funzionario del SISDE (16)-
Era accaduto che il detenuto in questione aveva contattato il dott. Silvano RUSSOMANNO (all'epoca a sua volta ristretto in relazione alla nota vicenda della divulgazione dei verbali di Patrizio PECI), confidandogli notizie relative ai fatti di Bologna; il RUSSOMANNO, tramite persona di fiducia, aveva riferito della vicenda al Servizio di appartenenza, che aveva provveduto a far contattare il FARINA dal CIOPPA, il quale aveva raccolto, l'8 e l'11/8/1980, le dichiarazioni


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(15) - RA, V1, C1, p1.
(16) - Cfr. deposizione CIOPPA, in Cal., V5, C15,p2.


rispettivamente riassunte nell'appunto e riportate nella trascrizione della registrazione.


Il contenuto dell'appunto era, in estrema sintesi, il seguente: la "fonte" aveva riferito di una convergenza, delineatasi sin dagli anni '70, fra estremismo di destra e di sinistra; la "fonte" aveva altresì riferito d'aver ricevuto, nel gennaio precedente, da parte di tale PEDRETTI Dario, compagno di detenzione, la richiesta di un rilevante quantitativo di esplosivo, da utilizzare per attentati terroristici; dopo qualche tempo il PEDRETTI, in compagnia di tale Sergio CALORE, aveva insistito per ottenere esplosivo "sofisticato"; i due avevano precisato che, in caso di loro indisponibilità, per il protrarsi della detenzione, ad eseguire il progettato attentato volto a "celebrare degnamente", nel successivo mese di agosto, la strage dell' `Italicus', all'attentato avrebbe potuto provvedere tale Francesco FURLOTTI detto `Chicco', cui la "fonte" attribuiva la responsabilità degli omicidi dello studente romano Walter ROSSI e del giudice Mario AMATO.


Nel colloquio registrato -secondo quanto emerge dalla trascrizione- la "fonte" aveva dettagliato e precisato le proprie prime dichiarazioni: la richiesta di esplosivo risaliva non al gennaio, ma al maggio; la richiesta, volta ad ottenere un quantitativo di esplosivo aggirantesi sui 150 chilogrammi, veniva posta in collegamento con un attentato, da compiersi alla stazione ferroviaria di Bologna, con un anticipo di due giorni rispetto all'anniversario della strage dell'`Italicus' (che ricorreva il 4 agosto), in quanto, cadendo il giorno 2 di sabato, vi sarebbe stato particolare affollamento; intenzione degli attentatori era di utilizzare della nitroglicerina, al cui trasporto avrebbe provveduto `Chicco' FURLOTTI; il CALORE, sopraggiunto nel corso dell'abboccamento fra la "fonte" ed il PEDRETTI, era parso alla "fonte" essere a conoscenza dei progetti del PEDRETTI.


18/08/80 Con nota in data 18/8/1980, l'UCIGOS, informatone dal SISDE, riferiva al Procuratore della Repubblica che la "fonte" anzidetta rispondeva al nome di Giorgio FARINA (17).




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(17) - RA, V1, C5, pp. 23-24.



1.1.3.3) Le dichiarazioni di Mario Guido NALDI


In occasione della pequisizione nell'abitazione di Mario Guido NALDI, il fratello di costui, Elio NALDI, riferiva che Mario Guido, all'alba del 2 agosto, a mezzo di autostop, era partito da Bologna, verosimilmente diretto verso la Corsica, assieme all'amico Claudio MANCINI e a tale Giovanna COGOLLI (18), la quale ultima risulterà poi essere sentimentalmente legata al noto estremista di destra Fabrizio ZANI.


19/08/80 Il 19/08/80 Mario Guido NALDI veniva rintracciato in Santa Teresa di Gallura (SS) da un funzionario del SISMI indicato come "CALIPATTI" (19).


Nell'occasione, sentito informalmente su quanto a sua conoscenza circa i fatti del 2/8/1980 e, più in generale, sulle organizzazioni di estrema destra, il NALDI, nel corso
di un colloquio registrato, riferiva ciò che, in estrema sintesi, qui di seguito si riporta: era partito da Bologna, in compagnia di tale Claudio MANCINI e di due ragazze bolognesi, fra le 7,30 e le 8 del 2 agosto, dopo aver


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(18) - EA, V10/a-1, C17, p1.
(19) - RA, V13, C435, pp. 35-53.


trascorso la notte nell'abitazione delle due ragazze -indicate come Sofia BENATTI e Fiorenza IORI- in via Dell'Oro; il gruppo aveva raggiunto La Spezia, da dove, il giorno 3, era partito alla volta della Corsica; il NALDI aveva conosciuto il DE ORAZI nel 1978, nell'ambiente del `Fronte della Gioventù' di Bologna, ed aveva cercato di interessarlo alla rivista 'QUEX', che esso NALDI dirigeva; non era in grado di riferire in quale gruppo avesse militato il DE ORAZI durante il periodo in cui aveva dimorato in Roma; era "convintissimo" che l'esplosione di Bologna fosse una provocazione contro 'QUEX', e riteneva che la matrice dell'attentato fosse "senza dubbio di destra"e rientrasse "nella faida interna dei movimenti di estrema destra"; soggiungeva che gli attentatori venivano da fuori Bologna, quasi certamente da Roma, e cioè dalle organizzazioni di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale (20); alcuni mesi prima era stato contattato da un esponente dei `NAR' di Roma, che gli aveva proposto di diventare l'animatore di una sezione `NAR' in Bologna: aveva rifiutato per motivi


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(20) - RA, V13, C435, p45.


"politici" (21); Paolo SIGNORELLI era il capo indiscusso in Italia di `Ordine Nuovo', movimento che usava anche le sigle `Movimento Popolare Rivoluzionario', `Costruiamo l'Azione' e `Gruppi Popolari di Base'; un gruppo molto attivo di `Ordine Nuovo' si trovava a Padova (22).


21/08/80 Due giorni dopo il colloquio con il funzionario del SISMI, il NALDI si presentava spontaneamente al Procuratore della Repubblica di Bologna, al quale rendeva dichiarazioni (23), "per fornire chiarimenti in ordine al materiale sequestrato presso la" sua "abitazione e per dare contezza dei" suoi "rapporti con Luca DE ORAZI"; in particolare, riferiva appunto dei suoi contatti col DE ORAZI, e spiegava le ragioni della presenza nella sua abitazione, fra i documenti sequestratigli, di due polizze di pegno appartenenti alla COGOLLI, sua amica, che tali polizze gli aveva dato in custodia; faceva cenno, in chiusura di deposizione, di un suo recente contatto con un "asserito agente segreto", precisando di non avergli detto nulla di

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(21) - RA, V13, C435, p47.
(22) - RA, V13, C435, p52. (23) - EA, V10/a-1, C48, pp. 1-6.


diverso o di ulteriore rispetto a quanto, in quella sede, veniva riferendo al magistrato inquirente.

1.1.3.4) Il rapporto DIGOS a firma del Vice Questore Aggiunto dott. Alfredo LAZZERINI


22/08/80 Il 22/8/1980 la DIGOS di Roma trasmetteva alla Procura della Repubblica di Bologna un rapporto di denuncia (24) a carico di Sergio CALORE e Dario PEDRETTI "per concorso ispirativo nel delitto di strage, banda armata, associazione sovversiva ed altro"; col medesimo rapporto si denunciavano per "banda armata, associazione sovversiva ed altro" anche le seguenti 24 persone: Paolo SIGNORELLI, Aldo SEMERARI, Francesco FURLOTTI, Gianluigi NAPOLI, Pierluigi SCARANO, Ulderico SICA, Marcello IANNILLI, Roberto FIORE, Gabriele ADINOLFI, Claudio MUTTI, Fabio DE FELICE, Maurizio NERI, Guido ZAPPAVIGNA, Mario CORSI, Francesco BIANCO, Francesca MAMBRO, Alessandro PUCCI, Massimo MORSELLO, Francesco CORRADO, Elio GIALLOMBARDO, Paolo PIZZONIA, Saverio MACRINA, Roberto FEMIA e Amedeo DE FRANCISCI.


Il contenuto di detto rapporto è puntualmente sintetizzato nel brano (25) della sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio


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(24) - RA, V1, C7, pp. 1-24.
(25) - SO, da p65 rigo 16, a p67 rigo 13.


che di seguito testualmente si riporta:


"Il rapporto, in sintesi, riferiva che:


- dal 1977, dopo lo scioglimento ufficiale delle organizzazioni di estrema destra, Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, i resti di queste due formazioni avevano dato vita a una serie di organismi, tra i quali il Movimento Rivoluzionario Popolare, Terza Posizione, i N.A.R., che operando in clandestinità, avevano compiuto una lunga serie di attentati a cose e persone di estrema gravità, (cfr. pagg. 4, 5 e 6 del citato rapporto).


- che, a dirigere le formazioni terroristiche succitate, e in particolare i N.A.R. e il Movimento Rivoluzionario Popolare, era il centro organizzativo e politico facente capo a Ordine Nuovo, come era dimostrato in modo evidente dalla lettura dei Fogli d'Ordine sequestrati il 21.12.78 nell'abitazione di tale Napoli Gianluigi.


Il documento teorizzava non solo la lotta alle 'Multinazionali' e la pace armata con l'Autonomia Operaia, ma la strategia di puntare alla spaccatura orizzontale del paese reale, accelerando un processo di disgregazione già in atto, con partecipazione alle iniziative eversive con sigle differenziate.


Il rapporto riferiva che nel corso della perquisizione a Napoli Gianluigi erano state rinvenute copie di `Costruiamo l'Azione' e di `Terza Posizione', dove molte delle teorizzazioni dei `Fogli d'Ordine' trovavano conferma.


Inoltre il rapporto di denuncia si soffermava sui movimenti politici collegati alle pubblicazioni sopra ricordate, e sulle Comunità Organiche di Popolo, individuando i dirigenti e gli attivisti di maggior rilievo di queste ultime, del Movimento Rivoluzionario Popolare, di Terza Posizione e dell'organizzazione universitaria collegata al Movimento Sociale Italiano F.U.A.N., la cui organizzazione romana era diventata un centro importante di attivismo terroristico, e che agiva spesso in collegamento, a livello di rapporti personali,con elementi dei N.A.R. e appartenenti ad altre organizzazioni terroristiche (v. sul punto i riferimenti di fatto descritti nel rapporto pag. 16 e ss.)."


Dopo aver ribadito la centralità di Ordine Nuovo nell'area eversiva di destra in Italia, l'estensore faceva riferimento alla "fonte" -che indicava esser nota alla Procura di Bologna per precedente corrispondenza intercorsa con l'UCIGOS (si tratta della fonte FARINA)- secondo la quale il PEDRETTI, nel maggio precedente, aveva richiesto alla "fonte" stessa una grande quantità di esplosivo. Riassumeva poi quanto dalla "fonte" più compiutamente riferito (26), affermando che tali notizie si inquadravano validamente nel contesto precedentemente descritto dal rapporto. Illustrava infine la personalità ed i precedenti penali e giudiziari di coloro che veniva denunciando.


1.1.4) L'intervista di Amos SPIAZZI al settimanale `L'Espresso'


24/08/80 Sul numero 34/1980 del settimanale `L'Espresso', recante la data del 24 agosto (e quindi -come avviene per i settimanali- a quella data in edicola già da diversi giorni), compariva un'intervista (27) rilasciata dal Colonnello Amos SPIAZZI (all'epoca noto per le sue vicissitudini giudiziarie nel procedimento relativo alla



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(26) - Cfr. supra, sub 1.1.3.2).
(27) - Il testo trovasi in RA, V7, C331, p10 ed in EA, V10/a-5, C232 bis/1, p50. `Rosa dei Venti') al giornalista Giuseppe NICOTRI.

Alle domande rivoltegli, lo SPIAZZI aveva fornito, fra le altre, le seguenti risposte:


"A Roma i N.A.R. sono divisi in quattro gruppi distinti ed in gran disaccordo tra di loro. C'è un certo `Ciccio' che cerca di metterli d'accordo. Anche il famoso Delle Chiaie è venuto più volte in Italia per tentare l'unione. Un superlatitante come lui deve essere ben protetto anche da certi apparati statali se può permettersi di girare a piacimentoper l'Italia dove è ricercato per strage...


...i N.A.R. ... hanno in comune fra di loro solo la volontà di fare `qualcosa a qualunque costo'...


...nell'arcipelago di destra non manca neppure il Movimento rivoluzionario popolare, che copia la sua sigla Mrp da un altro `spezzone' armato di sinistra, quel Mpro, Movimento proletario rivoluzionario offensivo. Insomma, un'altra conferma della volontà di `giocare alle brigate rosse'...


...è interessante notare che tutti questi gruppi stanno cercando di confluire in Terza posizione, che ha già pubblicato due o tre numeri dell'omonimo giornale...


Più che di rifioritura dei gruppi di estrema destra, parlerei di un loro riciclaggio, di un loro rinascere, adeguati ai tempi nuovi."


L'intervista era stata rilasciata nell'immediatezza della strage, in data 4 o 5 agosto 1980, ed il testo era stato registrato dall'intervistatore (28).


1.1.5) Gli ordini di cattura nn. 77/80 e 78/80


1.1.5.1) L'ordine di cattura n. 77/80


25/08/80Dopo aver proceduto, in data 25/8/1980, all'esame testimoniale (29) di Giorgio FARINA, il Procuratore della 26/08/80Repubblica, il giorno successivo, provvedeva ad emettere un ordine di cattura (30), sostanzialmente fondantesi sulle risultanze del rapporto `LAZZERINI' e sulla deposizione `FARINA', a carico di tutte le persone denunciate col detto rapporto, nonché di Luca DE ORAZI. A tutti i catturandi venivano contestati i delitti di associazione sovversiva aggravata, banda armata e detenzione e porto di armi da guerra ed esplosivi; ai soli PEDRETTI, CALORE e FURLOTTI, anche il delitto di strage ed i reati connessi.


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(28) - cfr. il teste NICOTRI, in EA, V10/a-6, C273.
(29) - Il cui contenuto è sintetizzato in SO, pp. 48-49.
(30) - OC, V1, C1, pp. 10-19.


1.1.5.2) L'ordine di cattura n. 78/80


27/08/80 Il 27/8/1980, il Procuratore della Repubblica, sulla scorta del `rapporto LAZZERINI' e della `testimonianzaVETTORE PRESILIO', provvedeva ad emettere ordine di cattura anche nei confronti di Roberto RINANI, al quale veniva contestato il delitto di associazione sovversiva aggravata (31).


La sussistenza dell'associazione -in termini di valutazione indiziaria- veniva fatta discendere dai fatti, documenti ed elementi d'indagine evidenziati nel rapporto, e la partecipazione del RINANI dalla sua previa conoscenza -desunta dalla`testimonianza VETTORE'- di programmi criminosi poi realizzati da altri membri dell'associazione stessa (cioè della strage alla stazione ferroviaria di Bologna, che veniva attribuita a PEDRETTI, CALORE e FURLOTTI, sulla scorta della `testimonianza FARINA').


1.1.6) La lettera anonima spedita da Alberto VOLO


30/08/80 Reca il timbro postale del 30/8/1980 (32) la busta contenente una lettera anonima (33) indirizzata al "Dottor FRANCHINI della Squadra Politica della Questura Centrale" di

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(31) - OC, V2, C28, pp. 1-3. (32) - RA, V3, C82, p140.
(33) - RA, V3, C82, p139. Palermo, del seguente testuale tenore:
"Caro dottore, noi ci conosciamo. Sono un estremista di destra e non sopporto i `travestiti'. E' per questo che mi sono deciso a fare il delatore anche se odio le spie. Se le interessa saperlo a Palermo vi è una tra le più importanti cellule di Terza Posizione o N.A.R. Il loro covo è in una scuola privata di via Giusti. Ne fanno parte fra gli altri Balistreri, Volo, Mangiameli ed Incardona. Si fingono professori e fanno finta di dare lezione. Il giorno della strage nessuno di loro era a Palermo. Faccia una perquisizione e ne scoprirà delle belle!!! Scusi se resto anonimo ma sono abbastanza potenti e organizzati e me la farebbero pagare perché mi conoscono anche troppo bene."


E' risultato in corso di istruttoria -perché, fra l'altro, ammesso dall'autore (34)- che la lettera era stata scritta da Alberto VOLO, personaggio su cui si dovrà ripetutamente tornare in prosieguo di trattazione.


1.1.7) Ildocumento rinvenuto in una cabina telefonica di Via Irnerio, in Bologna


31/08/80 Il 31/8/1980, in una cabina telefonica di Via Irnerio, in

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(34) - Cfr. l'interrogatorio 5/1/84 reso dal VOLO al G.I., in EA, V10/a-3, C134,pp.18-19.


Bologna, venivano rinvenuti casualmente, da un ufficiale dei Carabinieri (35), vari documenti -abbandonati da ignoti- tra cui un manoscritto formato da 26 fogli (36), recante, sul secondo foglio, l'annotazione "Da Tuti a Mario Guido Naldi".


Il documento,proveniente da Mario TUTI (37),che lo ebbe a redigerecon la collaborazione del compagno di detenzione Giorgio INVERNIZZI (38), costituisce una sorta di risoluzione strategica della destra eversiva e propone alcune fondamentali considerazioni (in parte riecheggianti il contenuto dei `Fogli d'Ordine di Ordine Nuovo'), che, nel brano della sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio che di seguito testualmente si riporta (39), sono così individuate:


"a) la necessità di approfondire, grazie a ben dirette azioni, la frattura e le tensioni tra settori politici, economici e sociali presenti nel paese;




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(35) - Cfr. RA, V2, C71, p1. (36) - RA, V2, C71, pp. 10-35; la trascrizione dattiloscritta trovasi in RA, V2, C71, pp. 48-66.
(37) - Cfr. Angelo IZZO, interrogatorio reso in altro
procedimento al G.I. di Bologna, in AA, V7, C41, p316, ove il TUTI è indicato come coautore dello scritto. Cfr. anche RE, pp. 84-89.
(38) -Cfr. rapp. DIGOS 16/5/84, in AA, V7, C41, pp. 66-68. (39) -SO, da p82 rigo 12, a p83 rigo4.


b) la necessità di evitare, al momento, lo scontro con la sinistra (i `rossi'), per non dover combattere su due fronti;


c)la necessità di ricorrere ad azioni illegali per ottenere i mezzi finanziari e gli strumenti militari da utilizzare per la lotta rivoluzionaria;


d) l'opportunità di iniziare la lotta, fondandosi su piccoli nuclei di operativi che poi potranno, e dovranno, collegarsi tra loro."


1.1.8)Le conversazioni captate nel carcere di Ferrara ed i relativi sviluppi istruttori


Con rapporto riservato (40) in data 31/10/1980, il Maresciallo degli Agenti di Custodia del carcere di Ferrara riferiva al Direttore, il quale, a sua volta, ne rendeva edotto il Procuratore della Repubblica di Bologna, che il giorno precedente l'Agente Luciano FERRELI aveva captato un brano di conversazione intercorsa tra i detenuti Roberto FEMIA e Stefano NICOLETTI, ristretti nel reparto isolamento.


Si legge nel rapporto:


"...il FEMIA chiedeva al NICOLETTI ...di leggergli il

* * * * *

(40) - EA, V10/a-2, C64, p3.


giornale con i nominativi degli arrestati inerenti al loro processo. La conversazione fra i due continuava e l'Agente di servizio FERRELI Luciano sentiva chiaramente le seguenti frasi: il NICOLETTI: `Ma come mai avete combinato un tale disastro?' il FEMIA: `non avevamo previsto né volevamo una cosa così grande, ecco cosa succede a mandare dei ragazzini a fare certe cose'...".


A distanza di pochi giorni, il 5 settembre, il Procuratore della Repubblica di Bologna provvedeva ad escutere il FERRELI (41), il quale, nel confermare puntualmente il contenuto del rapporto, spiegava che era stato un altro detenuto dello stesso braccio, certo AURORA, ad invitarlo a porsi in ascolto presso le porte delle celle vicine; e precisava che lo stesso AURORA doveva aver percepito il contenuto della conversazione. Dalla testimonianza emergeva altresì che il FEMIA aveva cercato di comunicare anche con lo IANNILLI, detenuto per gli stessi fatti.


Sentito a sua volta (42) il giorno stesso, Mario AURORA riferiva d'essersi inserito nella conversazione tra il FEMIA

* * * * *


(41) - EA, V10/a-2, C64, p9.
(42) - EA, V10/a-2, C64, pp. 10-11.


e lo IANNILLI, che si servivano del NICOLETTI come tramite. Tra le altre cose aveva -a suo dire- captato le seguenti espressioni, che sarebbero state pronunciate dallo IANNELLI (sic): "...portarsi dietro i ragazzini...ad ogni modo io l'avevo detto, a portarsi dietro i ragazzini succede sempre così, ad ogni modo la pagherà..."


Il giorno 9/9/1980 deponeva il NICOLETTI (43), il quale confermava d'aver fatto da tramite fra lo IANNILLI ed il FEMIA, che tentavano di comunicare fra loro; asseriva inoltre d'aver udito l'AURORA chiedere: "Perché avete fatto un casino così grande?"; e di non aver percepito la risposta del FEMIA, ma d'aver viceversa sentito il commento dello IANNILLI : "Questo succede a fidarsi dei ragazzini". Aggiungeva che lo IANNILLI "era arrabbiatissimo con gli amici di FEMIA perché si erano fidati del DE ORAZI"; che "il FEMIA era preoccupatissimo di quello che poteva dire SIGNORELLI", e che gli aveva chiesto varie volte "se il giornale radio o la televisione avevano riferito del contenuto dell'interrogatorio di SIGNORELLI".



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(43) - EA, V10/a-2, C64, pp. 15-16.


1.1.9) L'ordine di cattura n. 80/80


04/09/80Il 4/9/1980, Il Procuratore della Repubblica ordinava la cattura di Massimiliano FACHINI, contestandogli il delitto di associazione sovversiva aggravata (44).


Va chiarito che il VETTORE, oltre a ciò di cui si è già dato atto (45), aveva anche riferito agli inquirenti quanto segue:


a)che il FACHINI, per il passato, aveva svolto attività dinamitarda, all'interno di un gruppo di cui facevano parte anche tali BRANCATO e TELVE; che provvedeva al confezionamento degli ordigni esplosivi, secondo una precisa tecnica (minutamente illustrata dal teste); che per gli attentati incendiari si serviva di alcuni tipi di candelotti che sapeva preparare solo lui (46);


b)che il FACHINI, inoltre, alcuni anni prima, aveva partecipato ad una riunione al `Pino Verde' di Camposampiero, alla quale erano intervenuti, fra gli

altri anche SIGNORELLI e SEMERARO (sic) : nell'occasione, il VETTORE, addetto alla sorveglianza, aveva captato

* * * * *


(44) - OC, V2, C29, pp. 1-3. (45) - Cfr. supra, sub 1.1.3.1).
(46) - EA, V10/a-1, C30, pp. 9-10.


frammenti di conversazione dai quali aveva capito che la riunione era stata indetta allo scopo di incentivare le attività violente, in quanto la linea morbida della segreteria non era accettata; e dopo due o tre mesi erano iniziati gli attentati al Campidoglio, al Consiglio Superiore della Magistratura ed alla Farnesina (47);


c)che le personeche -comeil RINANI- appartengono all'organizzazione del FACHINI sono indotte a giurare su una bandiera tricolore con sopra posta una croce uncinata ed avvertite che, in caso di infedeltà, saranno uccisi i loro familiari (48).


Inoltre, un brano della deposizione resa l'11/8/1980 dal VETTORE si era svolto nei termini che qui di seguito testualmente si riportano (49):


d) P.M.N."Senta in riferimento a quell'episodio a quell'attentato che vi sarebbero stati lui" (RINANI) "parlava di sua partecipazione diretta se non a quello dei primi di agosto agli altri due?


* * * * *


(47) - EA, V10/a-1, C30, p61. (48) - EA, V10/a-1, C30, p62. (49) - Si cita dalla trascrizione dattiloscritta della registrazione magnetofonica della deposizione, in EA,
V10/a-1, C30, p22. La sigla "P.M.N." sta per Pubblico
Ministero Nunziata e la sigla "V." per VETTORE.


No."


V. "Solo quello che le ho detto."


P.M.N. "Certo"


V. "Nella prima settimana di agosto"


P.M.N. "Le offerse un ruolo a lei di far parte..."


V. "Se lui facesse..."


P.M.N. "Se a lei VETTORE, RINALDI o RINALDINI, RINANI eccetera offerse di partecipare."


V. "No"


P.M.N. "No?"


V. "Non mi ha offerto niente perché per me era già tutto organizzato si sono già...è tutto a posto"


P.M.N. "Ma disse chi vi avrebbe partecipato, chi era lo
staff che avrebbe partecipato"


V. "Non ha detto niente. Comunque io ho solo voluto chiedere, ho chiesto solo per curiosità, per vedere se sono ancora collegati insieme con queste persone."


P.M.N. "E lui come rispose?"


V. "Siamo in contatto. E basta."


P.M.N. "Voleva dire che era organizzato da questo
gruppo?"


V. "E' sempre organizzato da questo gruppo perché sono loro, se io dovevo subentrare con loro vuol dire che sono...ho voluto sa...io l'ho anticipato."


P.M.N. "Io dovevo subentrare con loro, che significa?"


V. "Io l'ho anticipato su due parole. Se lui era ancora in contatto con FACCHINI, FRANCHI, BRANCATO quella gente lì, che volevano tirarmi dentro."


1.1.10) L'incontro fra Licio GELLI ed Elio CIOPPA


I decade Verso la prima decade del settembre 1980, nella `hall' dello
di set-
tembre
del 1980 `hotel Excelsior' di Roma, vi fu un abboccamento fra Licio GELLI ed il funzionario del SISDE Elio CIOPPA (50), nel corso del quale il primo, riferendosi all'inchiesta in corso per i fatti di Bologna, avrebbe detto al secondo, pressoché testualmente: "Le indagini esperite dagli organi competenti sono errate, in quanto -secondo me- bisogna battere una pista internazionale" (51).


* * * * *


(50) - Cfr. supra, sub 1.1.3.2).
(51) - Esame testimoniale CIOPPA al P.M. di Roma 3/11/1984, in Cal., V2, C1, p99. Nell'esame testimoniale (segue) 1.1.11) I rapporti tra il Gen. SANTOVITO, Francesco PAZIENZA ed il giornalista Andrea BARBERI

I setti-La sentenza n. 45/85 della V Corte d'Assise di Roma,
mana di
settem-
bre delpronunciata all'udienza del 29/7/1985, ha accertato e 1980

minutamente ricostruito nei seguenti termini un episodio sul quale dovrà soffermarsi anche questa Corte (52):


"Reato di cui al capo A. Rivelazione del contenuto di due `relazioni del SISMI':


Un giorno della prima settimana del settembre 1980 il gen. SANTOVITO" (all'epoca direttore del SISMI) "e il dott. PAZIENZA misero a disposizione del giornalista Andrea BARBERI i due documenti, destinati alla conoscenza esclusiva del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri della Difesa, degli Interni e degli Esteri, concernenti notizie qualificate come `segrete'. BARBERI compulsò il materiale, prese appunti e sulla scorta di essi pubblicò sul settimanale `Panorama' del 15/9/1980 l'articolo dal titolo
`La Grande Ragnatela'. Le dichiarazioni del BARBERI


* * * * *

(segue) reso al P.M. di Bologna l'8/2/85, in Cal., V5, C15, p3, la ricostruzione dell'episodio da parte del CIOPPA è pressoché identica: "GELLI mi disse più o meno testualmente che le indagini della Polizia giudiziaria sugli autori della strage erano sbagliate. Riferendosi a me disse: `ma voi avete sbagliato tutto; senz'altro la pista è internazionale'."
(52) - AA, V11, C63, da p62 a p64; si riporta il testo, omettendo le note a pie' di pagina.


forniscono uno spaccato della vita del SISMI, del rigore professionale del direttore e del suo stretto collaboratore e delle preoccupazioni che li turbavano. La magistratura bolognese aveva avuto parole di elogio per il SISDE. `E' una vergogna!' -commentò PAZIENZA- `Noi del SISMI abbiamo fatto di più e sono in grado di provarlo'. Detto e fatto, accompagnò BARBERI a Palazzo Baracchini e lo presentò al gen. SANTOVITO. Il direttore manifestò al giornalista la sua irritazione per gli elogi al SISDE, esclamando che anche Michael LEDEEN era nei libri-paga del servizio segreto militare. All'imbarazzato giornalista che si era dichiarato disposto a scrivere bene del SISMI ma senza accettare una lira (PAZIENZA si era inserito nel discorso dicendo che di soldi ce ne erano quanti se ne volevano), SANTOVITO replicò che proprio perché sapeva che non era `stipendiabile' lo aveva voluto conoscere, ed aggiunse che il Servizio aveva espletato un importante lavoro riguardante il terrorismo. Al rilievo del suo `collaboratore esterno' -il quale si aggirava da padrone per l'ufficio dando l'impressione di esserne il vero titolare- che, per scrivere qualcosa, BARBERI avrebbe dovuto sapere pure qualcosa, il generale prese due fascicoli, uno di 50 fogli intestato alla Libia, e l'altro di circa 150/200 fogli concernente altri paesi, e li consegnò al giornalista che si accomodò nell'attiguo salottino per esaminare la documentazione. Pubblicato l'articolo, BARBERI (il quale ha affermato che soltanto a seguito delle reazioni delle Autorità destinatarie delle `informative' si rese conto che le notizie utilizzate avrebbero dovuto rimanere segrete) ricevette una telefonata di convocazione da parte di SANTOVITO. Costui lo invitò a dichiarare per iscritto di aver ricevuto i documenti da fonte anonima ovvero di aver collazionato le notizie da più parti; in tal modo l'inchiesta si sarebbe potuta chiudere senza rischi per nessuno. Il giornalista -al quale il direttore del SISMI aveva posto anche la sorprendente domanda da chi fosse riuscito ad avere quelle notizie- rifiutò."


Lo stesso giorno, o il giorno successivo a quello del secondo incontro con il Gen. SANTOVITO, previo appuntamento telefonico,il BARBERI incontrò nuovamente il PAZIENZA, che, in taleoccasione, era in compagnia del Col. GIOVANNONE. In merito all'episodio, il BARBERI, in istruttoria (53), riferì: "La conversazione ebbe inizio quando io riproposi la mia impressione che SANTOVITO fosse impazzito. PAZIENZA mi disse di non preoccuparmi; intervenne GIOVANNONE dicendomi che quel documento che mi aveva dato in lettura SANTOVITO e che avevo pubblicato non era poi così importante, che era stato messo in piedi in pochi giorni dal SISMI (mi disse anche che sapeva il nome del suo autore, che però non mi indicò), in pratica al solo fine di dimostrare che il SISMI si interessava attivamente alle indagini sul terrorismo; aggiunse di aver notato anche vari errori e che lui personalmente sarebbe stato in grado, anche in breve periodo, di confezionare un documento dalle basi più solide. Si parlò solo di terrorismo in generale, senza mai specificare se rosso o nero e senza mai indicare nomi né specifiche indagini. PAZIENZA sosteneva costantemente che era sua convinzione che le radici del terrorismo fossero esclusivamente a sinistra, che occorresse lavorare sui

* * * * *


(53) - Cfr. la deposizione resa il 4/4/1985 al P.M. di Bologna, inEA, V10/a-6, C298, pp. 3-4. legami internazionali dei terroristi con i Paesi Socialisti ed affermava anche che era in Italia per raccogliere tutti gli elementi utili a dimostrare che quella sua convinzione rispondesse alla realtà."


1.1.12) Gli ordini di cattura nn. 82/80 e 83/80

1.1.12.1) L'ordine di cattura n. 82/80


13/09/80 Il 13/9/1980 il Procuratore della Repubblica ordinava la cattura (54) di Emanuele MACCHI, Marcello IANNILLI e Antonella MONOPOLI, contestando loro la detenzione senza autorizzazione di un'arma di fabbricazione israeliana. Era accaduto che, in occasione della cattura dello IANNILLI, in esecuzione dell'ordine di cattura n. 77/80, nel corso di una perquisizione dell'abitazione del nonno paterno del catturando, era stata sequestrata, tra l'altro, una lettera inviata dal MACCHI, nella quale, laddove si parlava di una "moto" di marca "ebrea" che lo IANNILLI ed il MACCHI erano soliti "guardare e pulire" in casa della MONOPOLI, si sarebbe inteso alludere ad un'arma da fuoco che era stata detenuta in concorso dai tre giovani (55).



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(54) - Cfr. OC, V1, C10, p14.
(55) -Cfr. rapporto 3/9/1980, in RA, V1, C7 bis, pp. 1-10.


Interrogati sul punto, lo IANNILLI e la MONOPOLI avevano reso dichiarazioni che il provvedimento coercitivo definisce contraddittorie.


1.1.12.2) L'ordine di cattura n.83/80


19/09/80 Due giorni prima di formalizzare l'inchiesta, il Procuratore della Repubblica emetteva un ultimo ordine di cattura, contestando i delitti di associazione sovversiva aggravata e banda armata anche a Valerio FIORAVANTI, Giorgio VALE, Piergiorgio DILUVIO, Alessandro ALIBRANDI, Stefano PROCOPIO, Giuseppe BRANCATO e Giovanni MELIOLI.


La motivazione del provvedimento si fondava su "documentazione sequestrata in Roma", "specifiche testimonianze" non indicate nominativamente per ragioni di cautela istruttoria, e sull' "accertamento di nessi pregressi e tuttora perduranti di associazione con i compartecipi" di cui all'ordine di cattura 77/80 (56).


1.1.13) L'intervista di ABU AYAD a Rita PORENA


Lo stesso giorno in cui veniva emesso l'ultimo provvedimento

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(56) - Cfr. OC, V2, C32, pp. 1-3. Per orientamento, circa gli atti su cui la motivazione poggiava, può farsi riferimento a: RA, V1, C7, p16; RA, V1, C7 bis, pp. 3 e 55-68; RA, V2, C52 e C68 (trasmesse a Roma per competenza); EA, V10/a-1, C 30, C41 e C42; IA, V9/a-1, C4bis, pp. 1-3.


coercitivo, del quale si è testé detto, compariva, sul Corriere del Ticino, un'intervista rilasciata da ABU AYAD, esponente dell'O.L.P., alla giornalista Rita PORENA (57).


Sul quotidiano venivano riportate le seguentirisposte, che sarebbero state, tra le altre, testualmente fornite dall'intervistato alle domande della PORENA:


"Un anno fa siamo stati informati dell'esistenza di campi di addestramento per stranieri tenuti dai `Kataeb' nei pressi di Aqura, nella zona Est (da Beirut Nord-Est sino a 20 km. da Tripoli), controllati dalle destre maronite. Abbiamo fatto un'indagine per appurare la nazionalità degli ospiti dei campi e siamo riusciti a entrare in contatto con due Tedeschi Occidentali che avevano preso parte all'addestramento e che in questo momento si trovano a Beyrut presso di noi. Da loro abbiamo appreso che nel campo di Aqura sono stati addestrati vari gruppi, per un totale di circa 30-35 persone, tra cui Italiani, Spagnoli e Tedeschi Occidentali. Il responsabile del gruppo tedesco si chiama

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(57) - Il testo trovasi riportato in RD, V1, C5, pp. 6-9.
Già il giorno 17 era comparso sul quotidiano Repubblica un trafiletto riportante una dichiarazione di SALAH KALAF di questo tenore: "Abbiamo documenti che provano il coinvolgimento falangista nell'esplosione di Bologna" (RD, V1, C5, p2).


HOFFMANN è da lui che abbiamo saputo che era in arrivo un altro gruppo di Tedeschi. Allora abbiamo deciso di tendere un agguato ed abbiamo catturato nove persone che in questo momento si trovano presso di noi, ma che non sono nostri prigionieri."...


"Dai Tedeschi abbiamo appreso che circa 11 mesi fa nel campo di Aqura il loro gruppo aveva discusso con gli Italiani la strategia per restaurare il nazifascismo nei loro paesi ed erano arrivati alla conclusione che l'unica via sarebbe stato l'attacco contro le istituzioni più importanti. I fascisti italiani hanno affermato che il maggior nemico è rappresentato dalpartito comunista e dalla sinistra in generale e che perciò avrebberoincominciato le loro operazioni con un grosso attentato nella città di Bologna, amministrata dalla sinistra. Quando è avvenuta la strage abbiamo subito messo in relazione l'attentato con quanto avevamo appreso sui progetti degli Italiani nel campo di Aqura. Al momento opportuno faremo in modo che i Tedeschi rendano pubblico tutto quello che hanno visto e udito nei campi di addestramento, compresi i nomi ed il numero degli Italiani che erano con loro. Da parte nostra abbiamo provveduto a tener al corrente le autorità italiane, alle quali abbiamo dato i nomi degli Italiani di Aqura. I nomi, probabilmente, non sono precisi perché i Tedeschi li hanno citati basandosi solamente sulla loro memoria ma credo che per le autorità italiane non sia difficile riuscire a identificare le persone. E' certo che si tratta di fascisti che appartengono a organizzazioni conosciute. Se le autorità italiane avessero messo in relazione le informazioni avute da noi con le altre in loro possesso avrebbero avuto un quadro chiaro della situazione."...


"...si tratta piuttosto di un accordo di base su una linea politica armata, che viene poi attuata dai fascisti ai quali i 'Kataeb' forniscono l'addestramento. Il progetto finale è la restaurazione del nazifascismo in Italia, Spagna e Germania Occidentale."...


"Il campo è ancora in funzione ma non sappiamo se in questo momento vi si trovino anche Italiani.Sappiamo che ci sono Tedeschi e Spagnoli ed elementi di altri paesi. Contiamo di riuscire ad avere presto altre informazioni."...


"So con certezza che circa un anno fa" (di Italiani) "ve ne sono state alcune decine che dopo l'addestramento hanno lasciato il Libano. Non so se il gruppo italiano avesse un capo."


20/09/80 Il giorno immediatamente successivo, il Procuratore Capo della Repubblica in persona, dott. Ugo SISTI, chiedeva urgentemente, a mezzo corriere (58) alle direzioni del SISDE e del SISMI, ed alla presidenza del CESIS, la trasmissione dei documenti in possesso dei Servizi, dai quali risultassero la ricezione delle notizie cui accennava la stampa in ordine a progetti criminosi di cittadini italiani all'estero (particolarmente in Libano), gli accertamenti compiuti e le iniziative adottate.


1.1.14)L'esecuzione degli ordini di cattura e gli interrogatori degli imputati


Complessivamente, nella fase sommaria dell'istruzione, erano state imputate 38 persone. Tra esse, 11 riuscivano a sottrarsi alla cattura; si trattava, per la precisione,
quanto all'ordine di cattura n. 77/80, di FIORE, ADINOLFI,
MAMBRO, MORSELLO, GIALLOMBARDO e DE FRANCISCI; e, quanto all'ordine di cattura n. 83/80, di FIORAVANTI, VALE,

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(58) - Cfr. RD, V1, C5, p3.


DILUVIO, ALIBRANDI e PROCOPIO.


Nei primi venti giorni del mese di settembre (i soli RINANI e DE ORAZI (59) erano già stati interrogati, la prima volta, sin dal 30 agosto), il Procuratore della Repubblica aveva provveduto ad interrogare gli imputati catturati o già precedentemente detenuti, con l'esclusione dei soli MELIOLI e BRANCATO, catturati il giorno 20, alla vigilia della formalizzazione.


Per quanto attiene al contenuto di detti interrogatori, (nel corso dei quali tutti gli imputati si arroccavano comunque su posizioni di negativa degli addebiti), occorre fare rinvio alla sintesi che se ne fa nella sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio (60), eccezion fatta per i verbali di coloro che sono tuttora imputati avanti a questa


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(59) - Quest'ultimo imputato in relazione all'ordine di cattura n. 77/80; occorre qui ricordare che l'ordine di cattura n. 76/80 afferiva a diverso procedimento (n. 2061/A/80 R.G.P.M.).
(60) - Cfr. SO: da p50 rigo 5 a p53 rigo 5 per gli imputati
di strage (i rispettivi verbali trovansi in IA: V9/a-1, C9 FURLOTTI; V9/a-1, C17 PEDRETTI e V9/a-1bis CALORE); da p71 rigo 15 a p79 rigo 5 per gli altri,
ad eccezione del DE ORAZI (i rispettivi verbali trovansi in IA, V1: C2 RINANI; C4 SIGNORELLI; C4 bis IANNILLI; C5 SEMERARI; C6 FEMIA; C7 NAPOLI; C8 MONOPOLI; C10 MACCHI; C11 CORRADO; C12 FACHINI; C14 SICA; C15 SCARANO; C16 PUCCI; C18 ZAPPAVIGNA; C18bis DE FELICE; C19 PIZZONIA; C20 NERI; C21 MUTTI; C22 MACRINA; C23 CORSI; C24 BIANCO). Per quanto attiene al DE ORAZI, dei suoi interrogatori già s'è dato conto: cfr. supra, sub 1.1.2.3).


Corte, dei quali si deve dare brevemente contezza.


Roberto RINANI, interrogato il 30/8/1980 (61), affermava la sua totale estraneità agli addebiti contestatigli, aggiungendo che dal '77 non svolgeva più attività politica. Negava d'aver conosciuto il FACHINI, persona della quale spesso gli aveva parlato il suo amico CONTIN, che era solito frequentarla.


Nuovamente interrogato il 3/9/1980 (62), asseriva di non conoscere nè il VETTORE, né il MELIOLI, né il NAPOLI. Ammetteva d'aver incontrato, in occasione di una manifestazione in onore dei caduti della Repubblica Sociale Italiana, il Colonnello Amos SPIAZZI.


Nel successivo interrogatorio del 18/9/1980 (63), dopo che il VETTORE l'aveva riconosciuto nel corso di una ricognizione formale (64), insisteva nel negare qualunque fondatezza delle accuse del VETTORE, che sosteneva di non conoscere.


Paolo SIGNORELLI, il 5/9/1980 (65), respingeva ogni

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(61) - IA, V9/a-1, C2, pp. 1-3.
(62) - IA, V9/a-1, C2, pp. 4-5.
(63) - IA, V9/a-1, C2, p6.
(64) - Cfr. supra, sub 1.1.3.1).
(65) - IA, V9/a-1, C4, pp. 4-6.


addebito, ammettendo soltanto di aver collaborato a `Costruiamo l'Azione' e di aver concluso la sua esperienza politica, iniziata nelle file del M.S.I., con la fondazione delle Comunità Organiche di Popolo (esperienza risoltasi però in un insuccesso).


Il SIGNORELLI riconosceva inoltre di aver avuto in passato rapporti con alcuni dei coimputati (ad esempio, col FURLOTTI, presso la sezione del M.S.I. della Balduina di Roma, dove -a suo dire- avevano entrambi preso a calci il FARINA, cacciandolo dalla sezione stessa), ma asseriva d'aver sempre svolto attività politica in modi del tutto leciti.


Marcello IANNILLI, il 9/9/1980 (66), respingeva tutti gli addebiti contestati, precisando di conoscere solo pochi dei coimputati. Ammetteva peraltro d'aver tentato, nel carcere di Ferrara, ove era detenuto, di mettersi in contatto con FEMIA attraverso un altro compagno di detenzione, al fine di avere informazioni sugli arrestati e sui loro nominativi.


Massimiliano FACHINI, il 19/9/1980 (67), respingeva tutte le



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(66) - IA, V9/a-1, C4bis, pp. 1-3.
(67) - IA, V9/a-1, C12, pp. 4-7.


accuse, precisando che il sodalizio con il SIGNORELLI era di carattere puramente personale. Negava d'aver conosciuto il RINANI, che però ammetteva d'aver sentito nominare in carcere, nel 1977, dal CONTIN (68).


Assumeva di conoscere il coimputato MELIOLI, già con lui giudicato nel procedimento romano contro Ordine Nuovo. Asseriva ancora d'esser stato ospite del SIGNORELLI, dall'11 al 16 agosto 1980, nella villa del SIGNORELLI stesso sul lago di Bolsena.


Fabio DE FELICE, il 20/9/1980 (69), respingeva gli addebiti contestatigli, precisando di aver cessato l'attività politica già dal 1958, e di aver mantenuto rapporti solo personali col SIGNORELLI e col SEMERARI. Asseriva di esser totalmente estraneo alla pretesa ricostituzione di Ordine Nuovo.


1.1.15) Le ulteriori attività, acquisizioni e vicende di rilievo risalenti allafase dell'istruzione sommaria


Prima di chiudere il capitolo relativo alla fase dell'istruzione sommaria occorre dar conto di quanto segue:


a) Sin da 7/8/1980, a seguito delle rivelazioni del VETTORE

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(68) - Cfr. supra, p64, rigo6.
(69) - IA, V9/a-1, C18bis, pp. 1-12.


PRESILIO, la Procura della Repubblica aveva avviato gli opportuni accertamenti, investendo delle indagini la DIGOS di Padova (70).


L'ufficio interpellato aveva risposto con rapporto in data 12/8/1980 (71), che dava conto dei precedenti, in materia di eversione politica, tanto del VETTORE quanto del RINANI, entrambi militanti, per il passato, del M.S.I. padovano, ed entrambi già denunciati per gravissimi episodi di intolleranza politica. In particolare, si riferiva che il RINANI, soprannominato l''Ammiraglio', era il punto di riferimento di un gruppo di estremisti di destra padovani, fra i quali erano menzionati Maurizio CONTIN, Massimo BERTOCCO, Antonio BENELLE, Maurizio FASOLATO ed altri, tutti dediti ad attività politica violenta. Il RINANI era stato denunciato per tentato omicidio in danno di un aderente alla sinistra extraparlamentare padovana: l'episodio risaliva al 13 aprile del 1979, e l'imputato, costituitosi il 13/5/1980 dopo oltre un anno di

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(70) - RA, V2, C25, p1.
(71) - RA, V2, C25, pp. 2-13. latitanza, era rimasto incarcerato sino al 18luglio dello
stesso anno. Aggiungeva ancora il rapporto che il VETTORE, sul finire degli anni sessanta, era stato vicesegretario della Sezione Arcella del M.S.I. padovano, notissima per essere un punto di raccolta dell'estremismo di destra della città.


b) Il 4/9/1980 il Procuratore della Repubblica procedeva ad estrarre copia, per l'unione al presente procedimento, degli atti rilevanti dei procedimenti pendenti a Roma, riguardanti la destra eversiva e già affidati al Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Mario AMATO, assassinato il 23 giugno precedente (72).


c) Il 16/9/1980 il collegio dei periti chimico- esplosivistici veniva allargato al dott. Eugenio PELIZZA ed al dott. Omero VETTORI ed il quesito già precedentemente formulato (73) veniva ampliato, richiedendosialtresì di procedere ad ogni possibile tipo di analisi chimica, fisico-chimica, strumentale, comparativa, di saggio, per determinare "...la natura e la struttura degli esplosivi impiegati per la costruzione

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(72) - AA, V2, C2, pp. 1-10.
(73) - Cfr. supra, sub 1.1.2.1).


dell'ordigno e consentire di descrivere globalmente l'ordigno ed i suoi componenti, precisarne la potenzialità, per le materie esplodenti la provenienza e tipo e forza ed ogni altra caratteristica utile" (74).


d) Sin dal 2 agosto il Procuratore della Repubblica, con provvedimento verbale (data l'urgenza) confermato per iscritto due giorni più tardi (75), aveva affidato a dieci periti le indagini necroscopiche ed autoptiche sulle salme delle vittime.


Il 16 settembre a cinque dei periti veniva affidato un nuovo incarico, da svolgere collegialmente, nei seguenti termini: "dando corso ad esame riepilogativo-comparativo-statistico delle descrizionitanatologiche sui defunti della strage del 2 agosto 80 (e per quanto necessario od utile a tutti o parte dei referti dei feriti) stabiliscano quali furono le cause dei decessi, i mezzi che le produssero, evidenziando la frequenza ed incidenza statistica delle cause terminali di decesso, il meccanismo letifero, i dati che evidenziano i mezzi

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(74) - Cfr. PA, V1, C1, p6 verso.
(75) - PA, V2, C1, p1.


letiferi, o produttivi di lesioni sui feriti, non mancando di confrontare gli elementi documentali già raccolti con quanto accertato dal collegio tecnico balistico-chimico..." (76).


e) Il 4 agosto, in separato procedimento, la Procura della Repubblica aveva ordinato la cattura dell'estremista di destra Marco AFFATIGATO, contestandogli i delitti di furto di documenti e di falsificazione di uno diessi.


L'AFFATIGATO si trovava all'epoca in Francia, a Nizza: nondimeno, già il 6 agosto veniva tratto in arresto dalla polizia francese (77).


Benché il provvedimento coercitivo fosse stato emesso soltanto in relazione ai delitti di cui si è detto, nei giorni successivi il nome dell'AFFATIGATO comparve sulla stampa come quello di persona in qualche modo implicata nella strage (78).


f) L'11/9/1980, alla periferia di Roma, sulle acque di un laghetto artificiale, benché fosse stato zavorrato con 15

chilogrammi di piombi da subacquei. era affiorato il

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(76) - PA, V2, C1, p17 verso.
(77) - AA, V8, C49, p22.
(78) - RS, V1 e V2, saltim. cadavere di un uomo. Già il giorno successivo il cadavere veniva identificato per quello di Francesco MANGIAMELI, 'leader' siciliano di 'Terza Posizione' (79). Sul personaggio, sul suo ruolo, sui suoi legami, sull'identità degli assassini e sul loro movente si dovrà tornare ripetutamente in prosieguo di trattazione.


g) Sin dal 3 agosto, giorno successivo all'esplosione, l'UCIGOS di Roma aveva trasmesso (80) all'UCIGOS di Bologna due 'appunti' relativi ad un viaggio in Italia effettuato nel mese di luglio da Paul DURAND (81), emissario dell'organizzazione neonazista francese F.A.N.E. (Fédération d'Action Nationale et Européenne), venuto ad incontrare, in varie città della penisola, i suoi "corrispondenti" italiani, nominativamente indicati: scopo del DURAND -secondo gli appunti- sarebbe stato di smascherare i provocatori; egli avrebbe cercato di avere un quadro quanto più possibile preciso dei vari gruppi dell'estrema destra italiana; e, nel tentativo di rompere l'isolamento in cui si trovava la sua organizzazione di

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(79) - cfr. AA, V4, C21, pp. 8-9.
(80) - RA, V4, C133, p2.
(81) - Cfr. supra, sub 1.1.2.2).


appartenenza, avrebbe inutilmente cercato ed avrebbe avuto intenzione di continuare a cercare contatti con
'Terza Posizione'e con il Partito Nazionale del Lavoro, nonché di ottenere notizie sui N.A.R., unico movimento eversivo di destra che godesse le simpatie della F.A.N.E.; avrebbe altresì tentato di accertare la possibilità reale "di passare a concrete azioni eversive concordate contemporaneamente in Italia ed in Francia".


h)Nella seconda decade di agosto era uscito in edicola un numero del settimanale 'Panorama', contenente un articolo dal titolo "Un uomo di nome DURAND" (82). L'allusivo sottotitolo faceva riferimento allo "strano viaggio tra Roma e Bologna compiuto nei giorni che hanno preceduto la strage dal capo del più pericoloso gruppo terroristico neonazista". Dopodiché, nel corpo di un brano interamente dedicato alla tragedia di Bologna ed alle indagini in corso, si menzionava una nota informativa, all'esame di un alto funzionario del Ministero dell'Interno, in cui si parlava di Louis (sic) DURAND, neonazista della F.A.N.E.,


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(82) - Cfr. RA, V4, C133, pp. 11-15.


che, ai primi di luglio, aveva compiuto un viaggio in Italia, facendo tappa a Roma, Bologna e Firenze.



1.1.16) La formalizzazione dell'inchiesta


21/09/80 Il 21/9/1980 la Procura della Repubblica trasmetteva gli atti all'Uffico Istruzione del Tribunale, perché l'inchiesta proseguisse col rito formale (83).


La formalizzazione, già precedentemente richiesta dalle difese del SEMERARI e del MACRINA, e rifiutata sull'assunto dell'evidenza della prova (84), veniva ora indicata come necessaria: ai fini della ricostruzione tecnica dell'attentato, essendo emerso che il FURLOTTI, in data significativa, aveva acquistato contenitori metallici in ipotesi idonei come contenitori per la sostanza esplosiva (il che rendeva necessaria una perizia metallografica ed altre indagini tecniche); ai fini del completamento dell'indagine diretta a ricostruire l'intera struttura
sovversiva costituita in banda armata;e aifini

dell'approfondimento dei singoli fatti addebitabili al programma delittuoso della banda armata.


* * * * *


(83) - RI, C2, p1.
(84) - RI, C1, p9 verso.


Nella missiva di formalizzazione è dato riscontrare una

duplice omissione materiale, laddove il Procuratore della Repubblica, che veniva evidentemente esercitando l'azione penale contro tutti gli imputati del procedimento n. 2117/A/80 R.G.P.M. (già 1733/C/80), indicava viceversa soltanto gli ordini di cattura nn. 77, 82 ed 83/80, e non anche gli ordini di cattura nn. 78 ed 80/80.


Alla data del 21/9/1980 l'incarto processuale transitava dunque verso l'Ufficio Istruzione -ove assumerà il numero di ruolo 344/A/80- proprio nel momento in cui, fervendo le indagini attorno agli spunti offerti dal rapporto 'LAZZERINI' e dalle testimonianze 'VETTORE' e 'FARINA', veniva schiudendosi quella che, fra gli addetti ai lavori, sarebbe poi stata ufficiosamente indicata come 'pista libanese'.


V'è da segnalare che, in calce alla missiva di

formalizzazione, sottoscritta dal Sostituto Procuratore dott. Riccardo ROSSI (uno dei quattro Sostituti incaricati dell'inchiesta), il Procuratore della Repubblica dott. SISTI, nell'apporre il visto, aggiungeva una postilla richiamante una precedente missiva in data 5/8/1980, diretta al Consigliere Istruttore dott. Angelo VELLA (85), con la quale il dott. SISTI aveva colto "a pretesto un' incauta dichiarazione alla stampa del Consigliere Istruttore" (86), per preannunciargli che l'avrebbe escusso come testimone. Si trattava del primo atto di un rapporto fra Procura ed Ufficio Istruzione che fu poi segnato da pesanti polemiche: rapporto le cui vicende sono notorie per essere state lungamente oggetto delle cronache giornalistiche locali e nazionali.
























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(85) - Trovasi in RI, C1, p88.
(86) - La notizia è fornita in questi termini dal Giudice Istruttore (cfr. SO, p901 righi 6-7), il quale osserva appunto che fu -guarda caso- il SISTI ad innescare, con tale iniziativa, le pesanti polemiche che seguirono.


1.2) 22 settembre 1980 - 30 aprile 1981
Dalla formalizzazione dell'inchiesta alla sentenza del Giudice Istruttore dichiarativa dell'incompetenza per territorio


1.2.1) La comunicazione giudiziaria per il delitto di strage emessa nei confronti di Roberto FEMIA e Marcello IANNILLI


06/10/80 Sulla scorta delle testimonianze raccolte dalle persone che, nel carcere di Ferrara, avevano captato le conversazioni di cui si è detto precedentemente (1), il 6/10/1980, il Procuratore della Repubblica chiedeva (2) al Giudice Istruttore di emettere comunicazione giudiziaria per il delitto di strage -così come già contestato con l'ordine di cattura n. 77/80- nei confronti di Roberto FEMIA e Marcello IANNILLI. Lo stesso giorno della richiesta il Giudice Istruttore provvedeva in conformità (3).


1.2.2)Le dichiarazioni di Stefano NICOLETTI al Giudice Istruttore


07/10/80 Il giorno successivo, il Giudice Istruttore sentiva come testimone Stefano NICOLETTI, che dichiarava (4), tra l'altro: "...Trasferito alcarcere di Rimini e cioè alcuni giorni dopo la deposizione resa a Ferrara...mi incontrai con



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(1) - Cfr. supra, sub 1.1.8).
(2) - RI, C2, p58.
(3) - OC, rispettivamente V2, C26, p12 e V1, C10, p16.
(4) - EA, V10/a-2, C64, pp. 41-46 e C64 bis, pp41-48.


il BONAZZI...Io conoscevo bene il BONAZZI e questi, dal


canto suo, fece la conoscenza del RINANI. Preciso che il Bonazzi, detenuto in Sardegna, prese a pretesto la celebrazione di un processo a suo carico per poter venire a Bologna a carpire informazioni dai detenuti imputati della strage. Avvenne così che il Bonazzi il quale in precedenza, e cioè circa tre anni fa, era stato in cella con il Freda a Trani, e successivamente in Sardegna in cella con il Tuti e il Franci, aveva finito giovandosi degli spostamenti- che otteneva con la scusa dei processi- col fungere da collegamento tra i soprannominati ed altri elementi neofascisti più rappresentativi." Soggiungeva che il BONAZZI si era accattivato la confidenza del RINANI, riferendo poi al teste quanto il RINANI andava dicendo. E ancora, testualmente: "Ho avuto così modo di apprendere alcune circostanze, ma ciò che più interessa è il contenuto delle rivelazioni che a me personalmente ha partecipato il BONAZZI, rivelazioni che costituiscono, da quanto ho potuto capire, il compendio dei rapporti e dei contatti fino a questo momento intessuti con i personaggi con i quali era venuto in contatto durante la detenzione." Riferiva, in particolare, d'aver appreso dal BONAZZI che per l'inverno '79 o la primavera '80 era stata programmata un'azione dimostrativa che doveva colpire le città di Bologna, Milano e Genova: progetto che era stato rinviato per ragioni non note. E continuava: "a questo punto, ha aggiunto Bonazzi, qualcuno, invece di desistere, ha ritenuto di dare comunque corso ad un'azione dimostrativa ed ha provocato effetti più disastrosi di quelli programmati. Il divario fra gli obiettivi prefissati e il risultato era dovuto all'inesperienza dei `ragazzini' in quanto, secondo precise spiegazioni del Bonazzi, il Tuti era in possesso di un manuale di esplosivi...Il Bonazzi ha aggiunto anche che il Signorelli e Fachini dovevano pagare ...per essersi affidati a persone inesperte..."


Nel corso della deposizione, il NICOLETTI faceva altresì riferimentoad un articolo -a lui noto col titolo "Il Cacciatore"- di cui il BONAZZI gli aveva dato lettura.
Il testo dell'articolo (5), pubblicato su `QUEX' a firma del

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(5)- Trovasi in copia in allegato alla deposizione del NICOLETTI.


TUTI e del BONAZZI col titolo "apologo", indugia sulla figura del militante nazional-rivoluzionario; e contiene affermazioni che lasciano palesemente intendere l'adesione degli autori alla lotta terroristica condotta con tutti i mezzi possibili.


Riferiva ancora il NICOLETTI di quanto avrebbe appreso dal BONAZZI sul conto di Franco FREDA; in particolare: sull'obiettivo, perseguito da costui fin dal '77, di riunire i fuoriusciti di Ordine Nuovo, costituendo i N.A.R.; sulle direttive che aveva impartito per la fondazione, a tal fine, della rivista `QUEX'; sulla provenienza anche dal FREDA dell'articolo `Il Cacciatore'; e sulle direttive strategiche impartite dal FREDA dopo la strage.


Il 15 ottobre il Giudice Istruttore provvedeva ad emettere comunicazione giudiziaria nei confronti di Mario TUTI e Franco FREDA per i delitti di strage, associazione sovversiva e banda armata (6).


1.2.3) Sviluppi della `pista libanese'


09/10/80 Il 9/10/1980 perveniva alla Procura della Repubblica una




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(6) - Cfr. OC, V2, rispettivamente C40, p1 e C39, p1.


nota (7) classificata 'riservatissima', a firma del
Direttore del SISDE, Gen. GRASSINI, nella quale si riferiva che, attraverso un contatto stabilito da fonte di elevato livello, molto bene introdotta nell'ambiente della resistenza palestinese, era sembrata emergere la conferma delle dichiarazioni attribuite al Sig. SALAH KHALAF, alias


ABU AYAD, braccio destro di YASSER ARAFAT,"con la precisazione che i nominativi italiani sarebbero stati camuffati in lingua straniera." Non era stato possibile ottenere la lista dei nominativi in questione.


13/10/80Sul numero del settimanale `Panorama' recante la data del 13/10/1980 compariva un articolo (8) a firma di Corrado INCERTI, nel quale si affermava esservi un collegamento preciso tra la strage di Monaco di Baviera e quella di Bologna, in virtù delle ampie diramazioni internazionali, dei finanziamenti e della disponibilità di campi di addestramento di cui godeva il terrorismo nero.


31/10/80 Solo in data 31/10/1980 il CESIS rispondeva (9) alla




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(7) - RD, V1, C5, pp. 13-14.
(8) - Trovasi in RD, V1, C5, p3. (9) - RD, V1, C5, p17. richiesta del Procuratore della Repubblica di cui si è detto precedentemente (10).


La nota era del seguente testuale tenore:


- il SISMI non è mai stato informato del contenuto delle dichiarazioni rese da ABU AYAD nell'intervista rilasciata per il `Corriere del Ticino' (allegato 1);


- la dichiarazione `abbiamo provveduto a tenere al corrente...', fatta dal leader palestinese, è dovuta ad un errore di traduzione dalla lingua araba a quella italiana, consistente nell'uso di un tempo passato al postodi un tempo futuro, come, peraltro, si evince dalle precisazioni in merito fornite dall'Agenzia Reuter in data 20 settembre


(allegato 2), dall' ANSA in data 22 settembre (allegato 3), dal 'Corriere del Ticino' del 23 settembre (allegato 4)


e dallo stesso ABU AYAD su richiesta del SISMI (allegato 5 -testi in lingua araba ed inglese-);


- da parte dello stesso Servizio sono in corso iniziative, estese anche nell'area cristiano-libanese, tendenti ad ottenere concreti elementi di informazione, con




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(10) - cfr. supra, sub 1.1.13). particolare riferimento alle affermazioni contenute nell'intervista;


- nulla risulta, infine, agli atti del SISDE, per quanto riguarda la documentazione specificata ai punti 1 e 2 della richiesta."


04/11/80 Quattro giorni più tardi, il Sostituto Procuratore della Repubblica dott. NUNZIATA, sull'assunto che si veniva documentando "una asserita smentita sostanziale alle dichiarazioni riportate a suo tempo sul periodico elvetico 'Corriere del Ticino' dalla giornalista Rita Porena", e ritenendo essenziale "una verifica sull'esatta cronologia e natura dei fatti", richiedeva (11) l'esame testimoniale della PORENA e del Sottosegretario delegato al CESIS On. MAZZOLA.


Occorre rilevare sin da ora che già dall'ottobre la Procura aveva acquisito 'aliunde' notizie sulla presenza in Libano di vari neofascisti, nominativamente identificati, che avevano colà trovato rifugio essendo ricercati in Italia, o che, comunque, soggiornavano nei campi falangisti a scopo di

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(11) - RI, C2, pp. 70-71.


addestramento (12).


30/01/81 Eppure, ancora alla data del 30/1/1981, il CESIS trasmetteva alla Procura della Repubblica di Bologna un appunto (13) del seguente testuale tenore:


"1. ABU AYAD, nell'intervista apparsa sul CORRIERE DEL TICINO, ha in strettissima sintesi affermato che:


- L'OLP aveva saputo, l'anno precedente, dell'esistenza di campi di adestramento per stranieri nei pressi di AQOURA, nel LIBANO Cristiano;


- due tedeschi occidentali che erano ad AQOURA avevano asserito che, circa undici mesi prima, italiani presenti nello stesso campo avevano espresso la volontà di colpire il PCI cominciando con azioni violente a BOLOGNA.


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(12) - La Procura aveva acquisito i propri elementi di
conoscenza grazie ad intercettazioni disposte sulle utenze telefoniche di Carlo PUCCI,Paolo MIGLIORELLI, Alessandro ALIBRANDI e Simona RIDOLFI (sentimentalmente legata all'ultimo dei tre), nonché a rapporti provenienti dalla polizia giudiziaria di Trieste e Roma (cfr., per orientamento: RI, C2, p60 recto e verso; IT, V1, CC. 8-11; RD, C8, pp. 33-37; RA, V5, C212). Nei primi mesi del 1981 le indagini condotte per tale via condurranno a disegnare una mappa discretamente precisa della situazione (cfr. sul punto, SO, p797, righi 2-10), ma già nella prima decade del novembre 1980 agli inquirenti bolognesi constava che si trovassero in Libano, nei campi di addestramento, vari estremisti romani (tra cui Stefano PROCOPIO, Alessandro ALIBRANDI, Walter SORDI e Fabrizio DI IORIO) e triestini (tra cui Amerigo GRILZ, Gilberto LIPPI PARIS, Antonio AZZANO, Fausto BILOSLAVO, Livio LAI, Ciro LAI, Roberto CETTINI e Gianfranco SUTTICH).
(13) -Cfr. RD, V1, C5, pp. 96-98.


2. Dai due tedeschi citati nell'intervista si è appreso quanto segue:


- nel mese di luglio 1980 essi erano in addestramento nel campo di MAIROUBA (AQOURA), situato nella zona cristiana del LIBANO, insieme con francesi, spagnoli, fiamminghi e italiani, per un totale di 35 elementi. Gli italiani erano 6-8, provenienti probabilmente da PALERMO (almeno uno che parlava un cattivo inglese) BOLOGNA (due) e MILANO. Gli istruttori erano falangisti libanesi, salvo uno, belga, di nome FREDERICK.


- Un italiano si comportava da capo gruppo (degli italiani) e veniva chiamato `ALFREDO'. Probabilmente bolognese, alto 1,75-1,80 m., snello, curato, ben rasato,baffi neri piuttosto folti, parlava inglese.


Fu loro impartito addestramento sull'uso di armi di tipo occidentale e su esplosivi; fra questi sono stati citati TNT, PLASTICO e, con molti dubbi, EXOGEN.


Durante l'istruzione politica si parlò del pericolo comunista e della penetrazione sovietica, nel cui quadro l'ITALIA e il LIBANO sarebbero i paesi maggiormente destabilizzati.


Non si parlò mai di piani preordinati né di particolari azioni da svolgere in città italiane.


Al termine del corso, `Alfredo' fece un discorso di ringraziamento e, in tale contesto, espresse il proposito di tradurre presto in pratica l'istruzione ricevuta; citò, altresì, BOLOGNA quale esempio di città in mano ai comunisti e, quindi, di situazione da combattere.


3. La discrepanza fra intervista e dichiarazioni rese dai tedeschi per quanto attiene alla data cui i fatti si riferiscono (circa undici mesi prima secondo ABU AYAD, nel luglio 80 secondo i tedeschi) è stata attribuita, negli ambienti dell'OLP, ad involontaria confusione fatta da ABU AYAD all'epoca dell'intervista.


Lo stesso ABU AYAD si è, d'altra parte, corretto in una successiva intervista apparsa sul RESTO DEL CARLINO del 27 dicembre 80 (allegato), nella quale afferma `alcune settimane prima del fatto' (di BOLOGNA)."


1.2.4) Le `informative' provenienti dal SISMI


14/10/80 Porta la data del 14 ottobre (ma pervenne alla Procura della

Repubblica soltanto il 27 ottobre) il rapporto SISMI a firma del Gen. SANTOVITO (14), recante in allegato 22 "riepiloghi delle notizie acquisite" dal servizio "nel contesto della sua attività di ricerca informativa in ordine" all'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna. In tali riepiloghi sono indicati gli organi di polizia giudiziaria e/o di sicurezza informati e gli estremi delle relative comunicazioni.


Occorre qui fare menzione di quelli il cui contenuto sarà ripreso dal capo d'imputazione del proc. pen. n. 2/87 R.G.C.A.:


- riepilogo n. 1: vi compaiono i nomi di MACCA Antonio, MARLETTA Edoardo e SANTI Carla, indicati come presunti partecipi di un furto di 8 quintali di esplosivo in Ispagna, furto perpetrato da militanti dell'ETA il 26/7/1980 (notizia già riferita all'UCIGOS, al Comando Generale dei Carabinieri, al Comando generale della Finanza, al CESIS ed al SISDE sin dal 6/8/1980 (15);


- riepilogo n. 4: vi compaiono, fra gli altri, i nomi di

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(14) - RA, V5, C211, pp. 1-25.
(15)- Sul riepilogo compare la data del 6/6/1980, ma si tratta, con tutta evidenza, di errore materiale. ERICSON, indicato come esponente del gruppo di estrema destra V.M.O. (Vlande Movimente Ordre) e di Henry BATAUSNA, idicato come militante dell'ETA; e vi si riferisce di voci raccolte nell'ambito della V.M.O. circa il "presunto coinvolgimento di una qualche organizzazione terroristica internazionale nella strage di Bologna";


- riepilogo n. 6: vi compare il nome del Prof. Giovanni ROSSI di Arezzo, del quale si riferisce che "viene indicato come possibile ideatore della strage";


- riepilogo n. 7: vi compare il nome di Mark FREDERIKSON "(indicato come capo della F.A.N.E)"; e vi si riferisce di


un incontro, che sarebbe avvenuto a Bologna il 14/7/1980, fra lo stesso FREDERIKSON, "il noto francese Paul DURAND, il noto AFFATIGATO ed altri imprecisati italiani"; si aggiunge che "due giorni prima della strage di Bologna, il citato FREDERIKSON e AFFATIGATO" (16)"sisarebbero incontrati nuovamente a Nizza".


02/11/80 Il 2 novembre il Nucleo Operativo della Legione Carabinieri di Bologna, trasmetteva (17) un appunto ad esso Nucleo


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(16) - Il nome di Marco AFFATIGATO compare altresì nei
riepiloghi nn. 4, 5, 16 e 19.
(17) - RA, V8, C355, p8.


rimesso da "servizio collegato" (cioè, dal SISMI).


In sintesi, l'appunto riferiva che: tale Jacques, identificantesi in Paul DURAND, ispettore della polizia francese e militante di prestigio della F.A.N.E., alla fine del giugno 1980 si era incontrato in Roma con Maurizio BRAGAGLIA, Ugo GAUDENZI, Walter SPEDICATO e Massimo TORTI, per mettere in atto due grossi attentati in Europa; del piano eversivo facevano parte i cittadini francesi Jean Luc DACHAUD, i fratelli Jean TRAN LONG e Minh TRANLONG, Philippe POTIGNJ, Marc FREDRIKSEN e Philippe DAVI (capo della F.A.N.E.); nel corso dell'incontro, Maurizio BRAGAGLIA, che è "fermo sulle sue ideologie ed è il più violento, disse che per l'Italia ci avrebbe pensato lui, mentre per l'altro doveva pensare 'Jacques'"; quest'ultimo disse che avrebbe preso contatti con Peter VILLORIN, abitante in Isvizzera, a sua volta in contatto con "il capo che dirige gli attentati e che li studia nei particolari", tale William APIKIAN, nato in Iraq e naturalizzato canadese, che "mette a disposizione la sua organizzazione solo per denaro"..."ha diretto molti attentati in Europa contro la Turchia ed ha stretto un patto di amicizia con Jacques"; in quel periodo Jacques "si incontrò anche con un tale professore ROSSI da Arezzo il quale è molto considerato nella destra eversiva tanto che molte operazioni (attentati)" le aveva dirette di persona a tavolino; le armi e l'esplosivo venivano custoditi da tali MACCA Antonio e MERLETTA Edoardo, i quali nel luglio avevano partecipato ad un grosso furto di esplosivi in Ispagna assieme ad elementi dell'ETA, due dei quali si identificavano in MUNIOZ GUREN e TARNA SORANO; l'attentato di Bologna -a dire della "fonte"- era l'inizio di molti attentati in Europa, in quanto gli "eversividi destra italiani, che al momento non hanno una sigla convenuta", erano "uniti con la FANE e l'ETA, nonché con molti eversivi di destra tedeschi".


1.2.5)La deposizione di Luigi VETTORE PRESILIO del 13/11/1980


13/11/80 Deponendo per la prima volta davanti al Giudice Istruttore, il VETTORE PRESILIO dichiarava, tra l'altro, testualmente, quanto segue (18):


"...In effetti agli inizi dell'estate, giugno-luglio 1980 si


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(18) - cfr. EA, V10/a-1, C30, p65 recto e verso.


costituì in carcere certo RINANI da me conosciuto come estremista di dx.


Poiché anch'io ho fatto parte della sezione del M.S.I. dell'Arcella e sono stato un attivista politico, avendo possibilità di muovermi agevolmente all'interno del carcere in quanto lavorante in lavanderia ebbi modo di parlare con il suddetto RINANI il quale pure da tempo mi conosceva.


Si parlò così del più e del meno e lui mi accennò di essersi costituito perché contava di avere al più presto la libertà provvisoria.


Colpassare dei giorni RINANI appariva sempre più scosso e nervoso poiché quanto gli era stato promesso dall'avvocato, cioè una pronta liberazione non si verificava.


Ad un certo punto mi pare che RINANI fosse proprio `scoppiato', parola che in gergo carcerario sta a significare un cedimento psicologico completo che si verifica soprattutto nel periodo iniziale della detenzione.


Ciò spiega perché il RINANI, forse in un momento di crisi, si sia lasciato andare ad affermazioni e confidenze nei miei confronti riguardanti cose così compromettenti che io non ne avrei parlato nemmeno ad un mio familiare.


Ripeto alla S.V. quello che appresi dal RINANI.


Egli mi disse che era rimasto sempre in contatto con l'ambiente dell'estrema dx padovana ed in particolare con la cellula veneta già facente capo a FREDA e VENTURA e di cui è attualmente principale esponente a Padova FACHINI Massimiliano.


Commentando poi il fatto che era stato fissato il processo d'appello per la strage di Catanzaro mi disse che tutttavia STIZ non avrebbe avuto il piacere di conoscere l'esito del processo, ed alla mia domanda di spiegarmi perché, disse che stavano preparando un attentato nei confronti del suddetto Magistrato.


Alle mie obiezioni in ordine alla difficoltà di realizzare un'azione del genere, posto che ritenevo che anche STIZ aveva una scorta armata, RINANI mi precisò che in realtà l'attentato sarebbe stato fatto da persone travisate da `Carabinieri' a bordo di una macchina camuffata che era già in corso di preparazione presso una carrozzeria.


Alcuni giorni dopo questa confidenza, mi pare una settimana

dopo incontrai nuovamente RINANI nel cortile del reparto femminile.


Lo avvicinai con mia sorpresa di trovarlo ancora lì perché ero convinto che fosse già uscito. Espressi infatti al RINANI la mia meraviglia di trovarlo ancora in carcere. Egli che era completamente sconvolto, disse che in effetti non capiva la ragione per cui non gli veniva concessa la libertà provvisoria che aspettava di ricevere già dalla settimana precedente.


RINANI aggiungeva che secondo lui non vi era motivo perché la libertà provvisoria non gli fosse concessa per il modo di come si erano messe le cose per il suo processo e, furente per la situazione in cui si trovava, mi disse che pensava che la colpa poteva essere di PALOMBARINI o di FABIANI, cioè del Giudice che aveva il suo processo. E dopo aver pronunciato diverse bestemmie disse più o meno testualmente la seguente frase: `POTRANNO PURE TRATTENERMI IN GALERA MA VEDRAI CHE NELLA PRIMA SETTIMANA DI AGOSTO SUCCEDERA' QUALCHE COSA DI GROSSO DI CUI PARLERA' L'OPINIONE PUBBLICA NAZIONALE E MONDIALE ED ALLORA NE RIDEREMO INSIEME'. Ricordo benissimo la frase `ne rideremo insieme' perché mi è rimasta impressa.


In quel momento dovetti allontanarmi perché era sopraggiunta una Guardia che mi fece cenno di andar via. Nel pomeriggio tuttavia ebbi modo di avvicinare nuovamente il RINANI il quale a mia richiesta di spiegarmi cosa fosse di grosso che doveva accadere, mi disse in dialetto: 'SI VEDRA''..."


1.2.6) Le dichiarazioni di Sergio TONIN


22/11/80 Deponendo come teste davanti al procuratore della Republica di Padova, Sergio TONIN, già segretario del M.S.I. di quella città,il 22/11/1980 rendeva, fra le altre, varie dichiarazioni (19) che venivano trasmesse al Giudice
Istruttore di Bologna ai sensi dell'art. 165 bis C.P.P.


Il TONIN aveva riferito quanto, in estrema sintesi, di seguito si riporta:


- fra la fine del '74 e gli inizi del '75 si era costituito in Padova un gruppo capeggiato da Roberto RINANI, che aveva assunto carattere paramilitare, professava idee eversive ed operava con metodi di violenza armata;




* * * * *


(19) - RA, V5, C193, pp. 1-5.


- il gruppo si ispirava all'ideologia nazista e il TONIN aveva spesso sentito alcuni degli aderenti, tra cui il RINANI, accennare alla necessità di procurarsi armi ed esplosivo;


- il gruppo adottava altresì la simbologia nazista,e vari simboli il TONIN aveva visto di persona, negli anni '76-'77, nei locali della Sezione Arcella del M.S.I. di Padova, di cui il RINANI era segretario;


- il TONIN, che aveva avuto più volte occasione di vedere il RINANI armato di pistola fra il '77 ed il '78, aveva inoltre appreso direttamente da costui e da altri membri del gruppo di una serie di gravi episodi di violenza politica di cui il RINANI era stato protagonista (episodi analiticamente indicati e dettagliatamente descritti: si tratta di pestaggi, di scontri a mano armata con gruppi della sinistra, di danneggiamenti di negozi, di incendi di vetture);


- a seguito dell'ultimo di tali episodi -culminato nel ferimento di un giovane di estrema sinistra cui il RINANI "aveva sparato"- il RINANI stesso si era dato alla latitanza.


1.2.7) Il rapporto dell' UIGOS di Rovigo del 24/11/1980


24/11/80 Perveniva negli stessi giorni al Giudice Istruttore un rapporto (20) dell' UIGOS di Rovigo, dal quale, tra l'altro, emergeva che:


- si erano verificati, nella provincia di Rovigo, vari attentati dinamitardi, attribuibili ad elementi dell'estremismo di destra; in particolare: il 12/2/1978, in danno della sede del 'Gruppo Sociale di Rovigo', formazione politica dell'ultrasinistra, di estrazione autonoma; il 22/1/1979, in danno della locale Questura e della sede del Circolo Sportivo 'Libertas'; il 4/5/1979, in danno della "costuenda villetta" di proprietà del Maresciallo dei Carabinieri MUSCATELLO; il 6/2/1980, in danno della Camera del Lavoro di Rovigo; il 15/2/1980, in danno dell'abitazione di MOTTARAN Alessandro, simpatizzante dell'estrema sinistra;


- sia gli attentati del 22/1 che quello del 4/5/1979 erano stati rivendicati, il giorno 5/5/1979, dal `Movimento




* * * * *


(20) - RA, V5, C189, pp. 1-16.


Popolare Rivoluzionario'.


Il rapporto forniva inoltre una serie di informazioni sul conto di vari "giovani collegati agli ambienti di destra ed evidenziatisi in circostanze varie per il loro attivismo politico". Fra gli altri venivano presi in considerazione, ed indicati come collegati tra loro, Franco GIOMO, Gianluigi NAPOLI, Roberto FRIGATO, Gabriele DELLA GATTA, Nicola FERRARESE; sul conto del MELIOLI, in particolare, si riferiva che egli, avendo svolto sino a qualche anno prima "attiva propaganda in favore di formazioni e gruppi di estrema destra, evidenziandosi per fanatismo e faziosità", aveva "successivamente condotto vita riservata, evitando di ostentare pubblicamente il suo credo politico", ma mantenendo ed intensificando "rapporti e collegamenti con qualificati elementi dell'estrema destra tra cui Franco FREDA, Francesco INGRAVALLE, Massimiliano FACHINI..."


1.2.8) Il deposito della perizia chimico-esplosivistica


23/12/80 Il 23/12/1980 veniva depositata (21) la relazione diperizia

chimico-esplosivistica, che dava risposta ai quesiti




* * * * *


(21) - Cfr. verbale di deposito in PA, V1, C1, p21. formulati il 2 agosto ed il 16 settembre precedenti.


Così avevano concluso i periti (22):


"L'esplosione, avvenuta il 2 agosto 1980 presso la Stazione C.le di Bologna, fu causata da una carica esplodente, collocata nella Sala d'aspetto di 2^ classe (appena entrati dal marciapiedi del 1^ binario, nell'angolo destro, sul tavolinetto portabagagli, a circa 50 centimetri dal suolo) e probabilmente all'interno di una borsa-valigia, del tipo con cerniera e piedini metallici. L'innesco della carica, composta da Kg. 20-25 di esplosivo gelatinato di tipo commerciale (costituenti principali: nitroglicerina, nitroglicol, nitrato ammonico, solfato di bario, Tritolo e T4 e, verosimilmente, nitrato sodico) era molto probabilmente costituito da un temporizzatore artigianale-terroristico di natura chimica...I citati componenti e le modalità di esecuzione consentono di escludere la mancanza di dolo, ovvero la accidentalità del fatto.


La capacità lesiva della carica esplodente risulta dalla
seguente sintesi...:



* * * * *


(22) - Cfr. relazione, pp. 122-124, in RA, V1.


- Distanza entro cui si ebbe la morte diretta: metri 4-5;


- Distanza entro cui si ebbero danni molto gravi: metri 10- 12;


- Distanza entro cui si ebbero danni seri: metri 18;


- Distanza entro cui si ebbero danni lievi: oltre i metri 20."


1.2.9) Il cosiddetto `appunto MUSUMECI'

Inizi Nei primi giorni del 1981 il Gen. Pietro MUSUMECI, capo del 1981
dell'Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI, consegnava 'brevi manu' al Giudice Istruttore titolare dell'inchiesta, Consigliere Istruttore Aggiunto dott. Aldo GENTILE, un appunto (23) in cui si riferiva, tra l'altro, quanto, in sintesi, qui di seguito si espone:


- alla fine del giugno '80 aveva avuto luogo un incontro tra Paul DURAND, "esponente di spicco della F.A.N.E.", e Maurizio BRAGAGLIA, "capo del NUCLEO COMBATTENTI RIVOLUZIONARI operanti nel centro-sud d'Italia" (a differenza delle "SQUADRE POPOLARI RIVOLUZIONARIE", operanti nel Nord);



* * * * *



(23) - Trovasi in RA, V8, C355, pp. 1-3.


- le due organizzazioni (le ultime due nominate) erano composte per la maggior parte da elementi clandestini;


- i "direttivi" -DELLE CHIAIE, POMAR, MASSAGRNDE, AFFATIGATO, FUMAGALLI- si trovavano all'estero (pochi, come FREDA e VENTURA, erano ancora in Italia);


- l'incontro era stato promosso da DELLE CHIAIE; nel corso dello stesso il DURAND aveva comunicato al BRAGAGLIA che erano stati progettati due attentati, rispettivamente a Bologna ed a Monaco; che, per quanto riguardava il primo, il BRAGAGLIA avrebbe dovuto mettersi in contatto con RAUTI, il quale gli avrebbe impartito le direttive; che i capi avevano stretto alleanza col gruppo HOFFMANN;


- nel corso di successivi incontri, il BRAGAGLIA, giustificandosi con i controlli cui era sottoposto da parte della Polizia, aveva rifiutato di compiere "un'operazione da attuarsi alla stazione ferroviaria di Bologna" e consistente nel depositare al bagagliaio della stazione stessa una valigia carica di esplosivo (operazione inquadrantesi in una vasta strategia dinamitarda, volta a portare "lo scompiglio nelle masse" ed una conseguente richiesta d'ordine che solo la destra di RAUTI, FREDA e VENTURA avrebbe potuto garantire);


- a seguito del rifiuto del BRAGAGLIA, erano stati presi contatti con DELLE CHIAIE, ed il 24 luglio era stata fornita assicurazione al BRAGAGLIA stesso che "all'operazione avrebbe concorso il gruppo HOFFMANN" costituito da: RUDOLF KLINGER, STEPHAN FABER, BEHLE ALTER VERICH, MICHELE RUTTOR, ROLICH HORST e ROBERT FUNK;


- il gruppo HOFFMANN sarebbe giunto (a partire da questa notizia l'appunto usa il modo condizionale) a Rimini il 30 luglio a bordo di due Camper bianchi uno dei quali sembra fosse targato CD 2...;


- al gruppo si sarebbe unito un giovane francese, aderente alla F.A.N.E., di nome Philippe, che poi perdette la vita, essendo rimasto coinvolto nell'esplosione;


- a Cesenatico, da emissari italiani, erano state consegnate al gruppo straniero due lattine per olio, contenenti ciascuna 5 chilogrammi di esplosivo gommoso alla nitroglicerina del tipo 'A', ed il confezionamento dello


ordigno sarebbe stato affidato a Horst.


1.2.10) La valigia rinvenuta sul treno Taranto-Milano


09/01/81 Il 9/1/1981 rientrava dalla Francia, in compagnia di Francesco PAZIENZA, il Direttore del SISMI Gen. SANTOVITO: nella saletta vip dell'aeroporto di Fiumicino erano ad attenderlo, tra gli altri, il Gen. MUSUMECI ed il Capo della


I Divisione del Servizio, Gen. Pasquale NOTARNICOLA (24).


Alla presenza del Direttore del Servizio e del suo accompagnatore, il MUSUMECI consegnò al NOTARNICOLA un appunto (25). Esso conteneva la notizia dell'imminente attuazione di un piano eversivo, con attentati dinamitardi sui più importanti tronchi ferroviari, progettato da una "direzionestrategica" costituita da FREDA e VENTURA e portato avanti dall'organizzazione di Stefano DELLE CHIAIE, che si sarebbe avvalsa di "aderenti alla F.A.N.E. (anche tedeschi)". Sembrava che gli ordigni fossero già pronti in Italia e avrebbero dovuto "essere dati in consegna a un
nucleo di terroristi (da quattro a sei elementi) tra cui un parigino a nome PHILIPPE e un tedesco, tale HORST nato a


* * * * *


(24) - L'episodio è ricostruito alle pp. 116-117 della sentenza 29/7/1985 n. 45 della V Corte d'Assise di Roma, in AA, V11, C63.
(25) - Trovasi in AA, V7, C43, pp. 37-38.


Heidelberg, di 40-45 anni." La consegna degli ordigni sarebbe avvenuta a bordo di un treno. "Sul piano della concretezza" si riteneva di poter comunicare la data ed il treno sul quale l'esplosivo avrebbe viaggiato.


10/01/81 L'indomani, le notizie riguardanti il trasporto degli ordigni furono trasmesse (26) al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e all'Ucigos, con l'avvertenza che la fonte, "sollecitata a fornire elementi concreti", aveva "lasciato intendere di poter indicare, con breve margine di tempo, località e mezzi per la consegna e distribuzione dell'esplosivo."


11/01/81 Il giorno successivo gli stessi Uffici vennero allertati dal SISMI (27): "secondo ulteriori notizie fornite dalla fonte" l'esplosivo sarebbe stato consegnato a due cittadini francesi -uno dei quali a nome Philippe- a bordo di un treno in transito in una delle seguenti località: Bologna, Forlì, Ancona. La stessa fonte si era riservata di fornire precisazioni, con margine di tempo di una o due ore, sul treno e sulla posizione del vagone, che sarebbe stato

* * * * *

(26) - Cfr. AA, V7, C43, p51.
(27) - Cfr. AA, V7, C43, p52.


indicato a partire dalla testa del convoglio ferroviario. Era presumibile che a bordo dei vagoni precedente e seguente si trovassero "nuclei composti da una o due persone con incarico di vigilanza o di redistribuzione dell'esplosivo".


12/01/81 Il giorno dopo, con marconigramma (28) trasmesso al Comando Generale dell'Arma alle ore 20,35 ed all'UCIGOS alle ore 20,45, il SISMI riferiva che la consegna degli esplosivi -secondola fonte di cui alle precedenti comunicazioni- sarebbe avvenuta nel corso della notte "sul 13" in Ancona a bordo di un treno. Avrebbero trasportato il materiale "tali LEGRAND Raphael, altezza 1,75-1,80, corporatura molto prestante, capelli castani, colorito roseo e DIMITRIS Martin, con leggera calvizie frontale". I corrieri, dopo la consegna, sarebbero rientrati in Francia in aereo, da scalo non noto.


13/01/81Alle ore 2,55 del 13 gennaio perveniva al SISMI una telefonata, riassunta dall'addetto alla ricezione nel modo seguente (29): "Telefona Sig....dicendo che consegna avverrà

* * * * *


(28) - Cfr. AA, V7, C43, p55.
(29) - Cfr. AA, V7, C43, p57.


in Ancona sul treno N. 514 verso ore 5,30. Avrebbero una valigia scura con delle fibbie nuove. Salirebbero sul vagone di 2^ classe che sta subito dopo quelli di 1^ classe. Il soggetto ha soggiunto che si trovava per strada ed era diretto a Roma."


Anche di questa segnalazione furono resi edotti il Comando dei Carabinieri e l'UCIGOS (30).


Veniva predisposta, alla stazione di Ancona, un'operazione di polizia per il controllo del treno espresso n. 514 Taranto-Milano: operazione che dava esito negativo, tanto che il treno veniva fatto proseguire per il nord (31).


Dopo ulteriori vani controlli effettuati in Rimini, finalmente, nello scalo bolognese, dove il convoglio era giunto alle ore 9,26, veniva scoperta su una vettura di 2^ classe, la terza a partire dalla testa del treno, una valigia contenente, tra l'altro: un mitra `MAB', un fucile
automatico da caccia, 8 lattine per generi alimentari,


* * * * *

(30) - Lo si rileva dalle annotazioni in calce al documento
citato alla nota che precede. Il Ministero dell'Interno-UCIGOS, frattanto, già dal giorno 10 provvedeva ad inoltrare a tutte le Questure ed agli Uffici Polfer le notizie che via via riceveva (cfr. p2 sent. G.I. Bologna 30/4/1985, in AA, V14, C75).
(31) - Cfr. rapporto DIGOS Ancona 13/1/1981, in AAD, V6, C1, pp. 25-26.


riempite ciascuna con 6/7 ettogrammi di sostanze esplosive, e due biglietti aerei delle linee Alitalia, intestati rispettivamente a DIMITRIEF Martin per il volo Milano-Monaco delle ore 20 del 13 gennaio e a LEGRAND Raphael per il volo Milano-Parigi delle ore 18,15 delllo stesso giorno (32).


Nessuna traccia, peraltro, venne rinvenuta di colui o coloro che avevano organizzato il trasporto delle armi, degli esplosivi, dei biglietti e degli ulteriori reperti.


15/01/81Due giorni più tardi, il Procuratore della Repubblica di Bologna invitava i Direttori del SISMI e del SISDE a "disporre per la trasmissione" all'ufficio richiedente "di ogni utile notizia, sia sul fatto, sia su segnalazioni di organi stranieri eventuali in merito alla presenza di terroristi, nel periodo e sito che interessa, sia sull'esito dei controlli effettuati in ambienti coinvolti nell'attività terroristica." (33)


1.2.11) Gli appunti PAZIENZA-POMPO'


26/01/81 In data 26/1/1981, il Questore di Roma trasmetteva


* * * * *


(32) - Cfr. rapporto DIGOS Bologna 7/2/1981,in AAD, V6, C1,
pp. 47-48.
(33) - Cfr. AAD, V6, C1, p19.


all'UCIGOS due "segnalazioni", comunicando che le stesse gli erano "pervenute da fonte qualificata ed attendibile".


Si trattava dell'atto conclusivo di una vicenda che l'autorità giudiziaria romana ha ricostruito nei seguenti termini (34): "Nel medesimo lasso di tempo" (cui si riferiscono i fatti esposti sub 1.2.10) "su indicazioni fornite da PAZIENZA che agiva d'accordo con SANTOVITO, il dott. POMPO', dirigente del I Distretto di Polizia della Questura di Roma, redasse, facendosi aiutare dal `collaboratore esterno' del SISMI, due appunti.


Il primo riguardava un traffico di droga e di armi in Italia ad opera di un'organizzazione con centrale a Berlino Ovest. Il capo assoluto era tale SANZON, cittadino ebraico. Vi facevano parte libanesi e siriani. Le armi -russe, ceche e belghe-, importate dalla Bulgaria, erano destinate a terroristi italiani, francesi e spagnoli.


Colui che dirigeva l'esportazione delle armi era `addirittura un ufficiale superiore dell'esercito bulgaro (sembra un generale) molto noto, di nome STIMILOFF'.



* * * * *


(34) - Cfr. sentenza citata alla nota (24), pp. 117-118.


Il secondo appunto trattava di un'organizzazione, con sede
a Monaco di Baviera, `composta da italo-tedeschi e con

collegamenti con le Brigate Rosse', la quale aveva
eliminato, `durante le decorse feste natalizie' un certo Renato. L'esecutore materiale dell'omicidio era tale `Eros', padovano, brigatista rosso, che faceva la spola tra Monaco e Padova."


Il Questore di Roma, cui il POMPO' aveva consegnato le segnalazioni 'fuori protocollo', provvedeva poi -come si è anticipato- a trasmetterle all'UCIGOS.


Va qui rilevato che un esemplare dell'appunto sulla centrale di trafficanti di droga ed armi, recante la data del 18/1/1981 (cioè una data di otto giorni anteriore rispetto a quella di trasmissione dalla Questura all'UCIGOS) fu in seguito rinvenuto tra gli atti del soppresso Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI (35).


1.2.12) Il `rapporto SANTOVITO' ed i suoi sviluppi


24/02/81 Porta la data del 24/2/1981 il rapporto a firma del Gen.


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(35) - Cfr. p117, nota (2) della sentenza citata alla nota (24). In detta nota (2) si trovano altresì gli estremi della collocazione, nell'incarto di quel procedimento, dei due appunti PAZIENZA-POMPO' e dell'esemplare di uno di essi rinvenuto nell'Ufficio Controllo e Sicurezza.


SANTOVITO, con il quale il SISMI rispondeva alla richiesta 15/1/1981 della Procura della Repubblica di cui si è detto sub 1.2.10). In esso (36) il Direttore del Servizio, dopo aver riassunto le notizie già comunicate all'UCIGOS sin dal 10 gennaio, soggiungeva essersi poi riusciti ad apprendere che: "l'esplosivo avrebbe dovuto essere consegnato sul treno 514 in transito per Ancona a due cittadini francesi (tra cui il citato PHILIPPE) ad opera di tali LEGRAND Raphael e DIMITRIS Martin"; costoro, "a consegna avvenuta, sarebbero rientrati in Francia in aereo da scalo non noto"; e "detti corrieri avrebbero fatto uso di una valigia color scuro con fibie" (sic) "nuove e sarebbero saliti sul primo vagone di 2^ classe".


Il SANTOVITO riferiva ancora, tra l'altro, essere emerso, da ampia attività di ricerca svolta dal SISMI all'interno ed all'estero, quanto segue: i biglietti aerei sarebbero stati acquistati a Bari da VALE Giorgio, "indicato come la persona" avente il compito di mantenere i contatti fraTERZA POSIZIONE, F.A.N.E. ed il gruppo tedesco HOFFMANN; il VALE



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(36) - Cfr.AAD, V6, C1, pp. 10-12.


avrebbe dovuto dare esecuzione al piano di ricatto nei confronti delle autorità dello Stato; lo stesso avrebbe mantenuto contatti con terroristi altoatesini e, per l'operazione `TERRORE SUI TRENI' avrebbe appositamente affittato un appartamento ad Imperia , in via RISSO (o RIZZO) n. 11, da utilizzare come base; del gruppo di 4-6 persone utilizzato per il trasporto e per la consegna dell'esplosivo, i due stranieri DIMITRIS e LEGRAND avrebbero dovuto, in Ancona, ritirare i biglietti aerei e due armi automatiche, e recarsi poi a Milano, mentre gli altri avrebbero proseguito il viaggio alla volta di Bologna.


Aggiungeva il rapporto non esser stato possibile pervenire all'identificazione degli stranieri via via segnalati.


28/02/81 Il giorno successivo alla ricezione del `rapporto SANTOVITO', il Sostituto Procuratore investito delle indagini sul ritrovamento della valigia incaricava (37) i Carabinieri di trasmettere ogni possibile informazione su Giorgio VALE e di compiere indagini sull'appartamento di via Rizzo o Risso n. 11 di Imperia.




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(37) - Cfr. AAD, V6, C1, p100.


05/03/81 Di lì a cinque giorni, i Carabinieri di Imperia, interessati dal Nucleo Operativo del Gruppo di Bologna, riferivano con rapporto (38) che il 31/10/1980, presso l'agenzia Trieste di quella città, un giovane dell'apparente età di 30 anni aveva preso in locazione per un mese un appartamento sito in via Rizzo n. 11. Nell'occasione il giovane aveva esibito un documento che, alla verifica, era risultato falso, ma le cui generalità corrispondevano a quelle di persona realmente esistente: tale BIGANO Mario Vittorio, residente in Torino. Verso il 20 novembre, il sedicente BIGANO aveva lasciato l'appartamento, portando con sé alcuni arredi. A causa di tale appropriazione, la titolare dell'agenzia aveva telefonato al vero BIGANO, sentendosi rispondere che egli non aveva mai preso in locazione alcun appartamento in Imperia. Il sedicente BIGANO, alla data del rapporto, non era stato identificato, benché le ricerche fossero state "a suo tempo" diramate in tutta la penisola. Non erano emersi elementi che inducessero ad identificare nel noto estremista Giorgio VALE l'appartamento in questione, e la fotografia

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(38) - Cfr.AAD, V1, C1, pp. 118-120. del VALE non era stata riconosciuta dagli occupanti dello stabile di via Rizzo 11 nè dalla titolare dell'agenzia `Trieste'.


1.2.13) Ulteriori sviluppi della `pista libanese'


07/03/81 Il 7/3/1981 perveniva all'Ufficio Istruzione, nell'ambito del procedimento per la strage -tale oramai definibile alla stregua delle risultanze peritali in ordine alla dolosità dell'evento- (39) un rapporto del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Bologna (40), nel quale si riferiva, tra l'altro, aver dato esito negativo gli accertamenti svolti per addivenire all'identificazione degli Italiani frequentatori del campo di Aqoura; in particolare, erano state vane le ricerche volte all'identificazione dell'Alfredo bolognese: i sospetti si erano in un primo tempo appuntati sulla persona di tale MOLINARI RAIMONDI Alfredo, già inquisito per ricostituzione del disciolto partito fascista, ma una perquisizione domiciliare a suo carico, in data 18/2/1981, aveva dato esito negativo.



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(39) - Vale la pena di ricordare, per chiarezza, chele indagini relative al rinvenimento della valigia si
svolgevano in separato procedimento, rubricato, all'epoca, contro ignoti (n. 1349/B/81 R.G.P.M.).
(40) - RD, V1, C5, pp. 99-104.


Era frattanto accaduto che una delegazione di parlamentari italiani si fosse recata in Libano ed avesse ricevuto da Abu Ayad,alias Salah Khalaf,dichiarazioni in ordine alle responsabilità che neofascisti italiani addestrati in quel paese potevano avere per la strage di Bologna.


Vari organi di stampa, il giorno 6, avevano pubblicato una notizia del seguente tenore: "L'OLP ha fornito alla magistratura italiana indizi sulla responsabilità di fascisti addestrati in Libano nella strage di Bologna, e ha messo gli investigatori del vostro Paese in condizioni di interrogare alcuni testimoni ...lo ha detto ...Abu Ayad a una delegazione di parlamentari italiani ...due settimane dopo la strage -ha rivelato Abu Ayad- abbiamo arrestato un gruppo di terroristi tedeschi...li abbiamo interrogati e hanno raccontato che si erano addestrati con altri terroristi italiani...avevano sentito progettare attentati in Italia... gli Italiani erano da 3 a 5 e venivano da Bologna. Parlavano di un 'colpo grosso' da fare nella loro città...abbiamo presentato questi tedeschi ai servizi di sicurezza italiani che hanno ascoltato la loro versione. Queste cose le abbiamo riferite poi allamagistratura." (41) Il giorno successivo alla pubblicazione di siffatta notizia, il Giudice Istruttore, facendo ad essa riferimento, richiedeva (42) al Direttore del SISDE di riferire se il suo Servizio era stato in alcun modo contattato dall'organizzazione palestinese così come riferito dalla stampa, nonché di interpellare Abu Ayad circa la sua disponibilità ad un incontro con gli istruttori.


1.2.14) Il sequestro di Castiglion Fibocchi


17/03/81 Nello stesso volger di tempo, nell'ambito di altro procedimento, pendente avanti all'autorità giudiziaria milanese per l' `affare SINDONA', i Giudici Istruttori TURONE e COLOMBO disponevano un sequestro nell'abitazione e negli uffici di pertinenza del capo della loggia massonica P2, Licio GELLI. In Castiglion Fibocchi, la Guardiadi Finanza sequestrava, tra l'altro, "oltre ad una lista degli
iscritti alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia

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(41) - Gli articoli in questione (che riportano un `flash' d'agenzia) trovansi in RD, V1, C5, pp. 106-108; della notizia s'era avuta un'anticipazione nel `TG1 notte' del 5 marzo: cfr. RD, V1, C5, p106.
(42) - RD, V1, C5, p126.


era implicata." (43)


Sugli sviluppi della vicenda si dovrà tornare più e più volte in prosieguo di trattazione; occorre tuttavia rilevare sin da ora che risultarono iscritti nelle liste sequestrate, fra gli altri, i seguenti nominativi: Prefetto Walter PELOSI, Capo del CESIS; Gen. Giuseppe SANTOVITO, Direttore del SISMI; Gen. Giulio GRASSINI, Direttore del SISDE; Gen. Pietro MUSUMECI, Capo dell' Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI (44).


1.2.15) Ancora della `pista libanese'


23/03/81 Porta la data del 23/3/1981 un articolo, comparso sul settimanale 'Panorama', a firma di Pino BUONGIORNO (45), nel quale si indicavano i nomi di alcuni neofascisti italiani che avevano trovato rifugio in Libano : GRILZ, Ciro LAI, ALIBRANDI, PROCOPIO, SORDI, Carlo PUCCI, Riccardo IORIO (sic) e Roberto FIORE. Si indicavano altresì i nomi dei

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(43) - Sono parole della relazione conclusiva di maggioranza della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla P2: trovansi alla p35 del documento, in AA, V5, C29. (44) - Cfr. documento citato alla nota che precede, pp. 80-81, nonché Cal., V6, C1, rispettivamente p22 (GRASSINI: tessera n. 1620, codice E 18.77), p35 (MUSUMECI: tessera n. 1604, codice E 18.77), p38 (PELOSI: codice E 19.79) e 42 (SANTOVITO: tessera n. 1630, codice E 18.77).
(45) - Trovasi in RD, V1, C5, p143. Il settimanale era in edicola sin dal giorno 16: tant'è che fu trasmesso al G.I.dalla DIGOS il 17:cfr. RD,V1,C5, p142. neonazisti tedeschi catturati dall'OLP: DUPPNER, HEPP, BERGMAN e HAMBERGER. Si faceva riferimento ad una comune militanza fra i neofascisti italiani ed i neonazisti dell'organizzazione giovanile di Karl Heinz HOFFMAN, "ritenuta anche responsabile della strage di Monaco". E si faceva cenno del Vlaamso Militantenorde (Vmo), gruppo paramilitare di Anversa, guidato da Bert ERICKSON.


24/03/81 In data 24 marzo, il Giudice Istruttore si rivolgeva (46) al `Bundeskriminalamt' di Bonn, chiedendo a quell'autorità di volerinterrogare l'HAMBERGER,l'HEPP,il DUPPNER ed il BERGMAN, onde verificare la fondatezza delle notizie precedentemente pubblicate dalla stampa.


25/03/81 Il giorno successivo, il SISDE, con nota a firma del Gen. GRASSINI, trasmetteva la risposta (47) alla richiesta rivolta al Servizio dal Giudice Istruttore il 7 marzo (48).


Riferiva il SISDE di non esser stato in alcun modo contattato dall' O.L.P., "né in forma diretta né indiretta, in ordine a responsabilità di elementi stranieri in merito alla strage di Bologna". Non era stato possibile saggiare la

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(46) - RD, V1, C5, p149. (47) - RD, V1, C5, p128.
(48) - Cfr. supra, sub 1.2.13).


disponibilità di Abu Ayad per un incontro con gli inquirenti, non disponendo il Servizio di propri uffici all'estero.


1.2.16) Il quadro degli imputati e degli indiziati


Nei primi mesi del 1981 il Giudice Istruttore aveva provveduto ad emettere una serie di mandati e comunicazioni giudiziarie di cui è necessario dare brevemente conto:


a) mandato di comparizione 6/1/81 nei confronti di CILLI Gino (49), ritenuto responsabile del delitto di favoreggiamento personale aggravato, per essere risultato che egli, nella sua qualità di funzionario del Banco di Roma, aveva consentito l'accredito della somma di £ 1.025.000 a favore del latitante Stefano PROCOPIO, aiutandolo così ad eludere le investigazioni dell'autorità che avrebbe dovuto provvedere allacattura.


b) Mandato di cattura 10/2/81 nei confronti di Franco GIOMO e Roberto FRIGATO (50), che venivano imputati dei delitti di associazione sovversiva e banda armata già contestati

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(49) - Cfr. OC, V2, C42, p1. Gli elementi a carico del CILLI sono indicati dal P.M. in RI, C2, p75.
(50) -Cfr. OC, V2, rispettivamente C44, pp. 1-4, e C43, pp.
1-4. Gli elementi raccolti a carico di ciascuno sono compiutamente indicati nelle parti motive dei provvedimenti, cui occorre fare rinvio. con l'ordine di cattura n. 77/80.


c) Comunicazione giudiziaria 26/3/81 nei confronti di SAMA' Ennio Salvatore e RAPIZZA Michele (51), per i delitti di associazione sovversiva e banda armata, essendo stati costoro arrestati al valico del Brennero in possesso di £ 69.500.000 e di una rivoltella "provento di una rapina consumata a Roma il 5/8/1980 ai danni dell' Armeria Fabbrini...attribuita al gruppo di estremisti di 'destra' di cui facevano parte MAMBRO Francesca, FIORAVANTI Valerio, VALE Giorgio, BELSITO Pasquale ...CAVALLINI Gilberto e SODERINI Stefano". (52)


d) Mandato di cattura 31/3/81 nei confronti di TIRABOSCHI Stefano e SORDI Walter (53), imputati dei delitti di associazione sovversiva e banda armata già contestati con l'ordine di cattura n. 77/80.


e) Mandati di comparizione 1/4/81 e 2/4/81 rispettivamente nei confronti di PUCCI Carlo e MIGLIORELLI (54), ancora

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(51) - Cfr. OC, V2, rispettivamente C45, p3, e C46, p2.
(52) - Cfr. rapporto Questura Trieste 2/3/81, in RA, V5, C202, p55. (53) - Cfr. OC, V2, rispettivamente C47, pp. 1-4, e C48, pp. 1-4. Per l'analitica indicazione degli indizi si fa rinvio alla rispettive motivazioni. (54) - Cfr.OC,V2,rispettivamente C49,pp. 1-4, e C50, pp. 2-5. Per gli elementi a carico di costoro, per i quali il P.M. aveva richiesto la cattura (RI, C3, p13), cfr. RI, C2, pp. 60 e 66-68.


per i delitti di associazione sovversiva e banda armata di cui all'ordine di cattura n. 77/80.

In esecuzione dei mandati di cattura di cui sopra, il GIOMO veniva tratto in arresto già l'11 febbraio. Il FRIGATO, il TIRABOSCHI ed il SORDI riuscivano invece a sottrarsi alle ricerche.


1.2.17) Gli interrogatori degli imputati


Subito dopo la formalizzazione dell'inchiesta e nei mesi successivi, il Giudice Istruttore aveva intanto provveduto ad interrogare gli imputati che venivano via via catturati o a reinterrogare imputati già esaminati durante la fase sommaria. Per quanto attiene al contenuto di detti interrogatori (nel corso dei quali gli imputati si attestavano comunque su posizioni di negativa degli addebiti), occorre fare rinvio alla sintesi che se ne fa nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria (55), eccezion fatta per i verbali di coloro che sono tuttora imputati




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(55) - Cfr. SO, da p100 rigo 6, a p103 rigo 8. Per quanto
riguarda i verbali di MONOPOLI, CORRADO, FEMIA, FURLOTTI, SEMERARI e ZAPPAVIGNA, la rispettiva collocazione è già stata indicata sub 1.1.14), nota (59). I verbali di BRANCATO, GIOMO, Carlo PUCCI e MIGLIORELLI trovansi in IA, rispettivamente V9/a-1, C26; V9/a-1, C3; V9/a-2, C32 e V9/a-2, C31.


avanti a questa Corte, dei quali si deve dare brevemente

contezza.


Giovanni MELIOLI, il 22/9/1980 (56), pur ammettendo la conoscenza del SIGNORELLI ed un rapporto di frequentazione ed amicizia col NAPOLI ed il FACHINI, escludeva d'aver fatto parte dell'associazione sovversiva e della banda armata di cui all'ordine di cattura 83/80.


Paolo SIGNORELLI, il 9/10/1980 (57), precipuamente in relazione alle vicende del periodico `Costruiamo l'Azione', ammetteva un suo ruolo eminentemente culturale nell'ambito dell'estrema destra, ma, pur non disconoscendo una serie di legami interpersonali, negava d'aver in qualche modo partecipato a strutture clandestine.


Roberto RINANI, il 9/12/1980 (58), nel respingere ogni addebito, affermava di non aver mai conosciuto VETTORE PRESILIO e di non aver comunque mai rivelato a chicchessia notizie (che -a suo dire- non conosceva) in ordine ad un attentato al Giudice STIZ o ad altro attentato da compiersi precedentemente.


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(56) - Cfr. IA, V9/a-1, C25, pp. 3-6.
(57) - Cfr. IA, V9/a-1, C4, pp. 9-12.
(58) - Cfr. IA, V9/a-1, C2, pp. 19-21.


Massimiliano FACHINI, il 3/1/1981 (59), nel ribadire le dichiarazioni precedentemente rese, precisava di non aver svolto attività politica di sorta almeno dal 1975, di non avere conoscenze nell'ambiente dei giovani dell'estrema destra e di non avere rapporti col VETTORE PRESILIO da diversi anni.


Valerio FIORAVANTI, catturato a Padova il 5/2/1981 (60), veniva interrogato prima il 24/2 e poi il 4/3/1981 (61).


Egli esordiva negando d'aver in qualsiasi modo partecipato alla strage del 2 agosto. Escludeva altresì d'aver fatto parte dell'associazione sovversiva cui veniva attribuita l'organizzazione dell'attentato, al quale affermava essere estranei anche il PEDRETTI ed il CALORE. Interpellato in


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(59) - Cfr. IA, V9/a-1, C12, pp. 17-22.
(60) - La sera del 5/2/1981, mentre, in Padova, città dove aveva trovato rifugio ed ospitalità dal novembre '80, il FIORAVANTI, in compagnia del fratello CRISTIANO e di Francesca MAMBRO, stava recuperando armi sommerse nel canale `Scaricatore', sopraggiungeva una pattuglia di Carabinieri: ne nasceva un conflitto a fuoco che costava la vita all'Appuntato Andrea CODOTTO ed al Carabiniere Luigi MARONESE. Valerio, ferito, era stato accompagnato dai complici in un appartamento nella disponibilità del gruppo: di là era stato chiamato soccorso; ricoverato presso l'Ospedale Civile di Padova, il FIORAVANTI aveva declinato false generalità, ma era stato rapidamente identificato (cfr. requisitorie del P.M. e sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio, nel procedimento conseguentemente aperto dall'autorità giudiziaria padovana: in AA, V11, C66).
(61) - Cfr. IA, V9/a-1, C29, rispettivamente pp. 3-10, e pp. 14-19.


ordine agli `attentati M.R.P.' (62), affermava che essi si inquadravano in una logica completamente diversa da quella dello spontaneismo armato, "portata avanti con la denominazione NAR" (nella quale, invece, egli si riconosceva). Aveva appreso dal CALORE che l'ordigno piazzato davanti al C.S.M. (63) "non aveva funzionato per motivi tecnici". Dichiarava ancora di sapere che il RINANI era il capo degli `Arcellini' di Padova,ma che non aveva mai avuto contatti con lo stesso. Quanto alla rapina all' Armeria FABRINI del 5/8/1980 (64), riferiva testualmente: "Il senso di questa impresa è il seguente:

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(62) -Si tratta della sigla del Movimento Rivoluzionario Popolare: cfr. supra, sub 1.1.3.4).
(63) - Alle 19,30 del 20/5/1979, uno sconosciuto aveva telefonato alla redazione del quotidiano 'Il Tempo', a nome del Movimento Rivoluzionario Popolare, rivendicando il fallito attentato che sarebbe dovuto avvenire alle ore 14 di quel pomeriggio davanti allo
edificio ove ha sede il Consiglio Superiore della Magistratura. Il personale di Polizia recatosi sul posto rinveniva una FIAT 128 blu, dal cui portabagagli un artificiere estraeva una borsa sportiva contenente 94 candelotti di esplosivo innescato da due capsule detonanti elettriche collegate ad un congegno a tempo funzionante: cfr. rapporto DIGOS Roma 22/5/79, in RA, V6, C58, pp. 58.
(64) - Alle ore 16 di martedì 5/8/1980 FIORAVANTI, la MAMBRO e CAVALLINI (confessi in ordine a tale episodio), assieme ad altri complici indicati dallo stesso FIORAVANTI, avevano rapinato un ingente quantitativo di armi, munizioni e manette all'Armeria Stefano FABRINI di Piazza Menenio Agrippa n. 8, in Roma. Il gruppo rivendicò la rapina con una telefonata alla redazione delquotidiano `Vita Sera', a nome del "Nucleo Zeppelin": rivendicazione inusitata (cfr. rapporto DIGOS Roma 18/8/80, in RA, V10, C407, pp. 1-29).


poiché la strage di Bologna era stata rivendicata, o meglio


attribuita a legger sui giornali, ai NAR (65), almeno così riportavano i giornali, e devo pensare che delle telefonate di rivendicazione a nome NAR saranno pur state, pensammo io e CAVALLINI e Francesca pensammo fosse necessario dimostrare a tutti che la strage era un'azione che esulava per caratteristiche complessive dal tipo di attività attribuibile ai NAR. Pensammo che i NAR, non avendo un marchio di fabbrica né un sistema preventivo di attribuzione di paternità sicura dei vari fatti criminosi, era inutile fare un volantino di smentita. Molto più efficace, anzi indispensabile, era compiere un'azione che rientrasse nella linea classicadei NAR (cioè la quarta armeria da farsi). Così organizzammo la rapina, sia pure in soli due giorni e quindi non in termini spettacolari, anche perché oramai eravamo rimasti in pochi, e non potevamo più contare su


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(65) -In effetti le rivendicazioni a nome NAR, nel periodo immediatamente seguente la strage, furono numerose: cfr., in proposito, rapporto DIGOS Bologna, in RA, V2, C13, pp. 9-11. La prima di esse risale al giorno stesso dell'attentato: tant'è che domenica tre agosto la stampa recava la notizia della rivendicazione (cfr. sottotitoli del quotidiano `Il Mattino', in RA, V2, C13, p21). Non meno numerose, peraltro, furono le smentite a nome degli stessi NAR: ugualmente risalenti già al giorno 2 ed ugualmente segnalate dalla stampa fin dal giorno successivo.


decine di militanti come un anno prima. Rivendicammo..."


Precisava ancora il FIORAVANTI che alla rapina avevano partecipato anche Giorgio VALE, Stefano SODERINI e Pasquale BELSITO, in funzione di supporto.


Aggiungeva che effettivamente una sera, prima del Natale del 1979, era stato con Marco Mario MASSIMI a cena da Paolo SIGNORELLI (66), specificando peraltro che alla cena non aveva partecipato SEMERARI; si era trattato comunque di una riunione conviviale e non di carattere politico.


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(66) - L'interrogato rispondeva in tal modo ad una domanda del G.I. a proposito di una cena, svoltasi a casa del SIGNORELLI, di cui aveva riferito all'autorità giudiziaria tale Marco Mario MASSIMI. Il tormentato `iter' delle rivelazioni di costui prima al Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma dott. Mario AMATO, poi al funzionario di Pubblica Sicurezza dott. Giorgio MINOZZI, e quindi alle varie autorità giudiziarie che indagavano sull'omicidio del dott. AMATO e su altri delitti, è dettagliatamente ricostruito nella sentenza della Corte d'Assise di Bologna 5/4/1984 (pronunciata, appunto, nel procedimento per l'omicidio AMATO), alle pagine 223 e ss. (cfr. AA, V11, C68). Ai fini che qui interessano, giova ricordare che il MASSIMI, nell'aprile del 1980, prima al dott. AMATO, poi al dott. MINOZZI, aveva rilasciato una serie di dichiarazioni, che si era però assolutamente rifiutato di mettere a verbale. Fra l'altro, aveva riferito di una cena a casa del SIGNORELLI, del 9/12/1979, cui avevano partecipato, oltre al padrone di casa ed al di lui figlio Luca, anche Aldo SEMERARI, Sergio CALORE, lo stesso MASSIMI, Valerio FIORAVANTI e certo Gianni di Parma. Nel corso della cena -secondo le dichiarazioni del MASSIMI- era stata decisa a tavolino l' `eliminazione' dell'Avv. ARCANGELI, ritenuto responsabile dell'arresto di Pierluigi CONCUTELLI. Nella circostanza, il FIORAVANTI ed il MASSIMI si sarebbero dissociati dall'azione perché dissenzienti sull'obiettivo e le modalità dell'operazione (cfr. relazione di servizio del dott. MINOZZI, allegata al `rapporto LAZZERINI': RA, V1, C7, pp. 25-28). Nel secondo interrogatorio, il FIORAVANTI descriveva la

situazione della destra politica romana negli anni 70/80, negando peraltro che egli ed il suo gruppo fossero in qualche modo diretti da persone od organizzazioni di livello superiore.


1.2.18) Le dichiarazioni di Massimo SPARTI


26/04/81 Il 26/4/1981, la Procura della Repubblica di Roma trasmetteva al Giudice Istruttore copia di estratto del verbale d'interrogatorio reso, in un procedimento colà pendente per associazione sovversiva e banda armata, da tale Massimo SPARTI. Costui, dopo aver chiarito com'era nato il suo rapporto di frequentazione con i fratelli FIORAVANTI, Alessandro ALIBRANDI, Stefano TIRABOSCHI, Massimo RODOLFO e Francesco BIANCO, riferiva testualmente, a proposito di Valerio FIORAVANTI (67): "Questi peraltro dopo qualche tempo manifestò un carattere particolarmente violento e deciso e ha finito con il coinvolgermi contro la mia volontà in azioni che non avrei voluto fare. Ciò anche per mezzo di minaccia. Più volte mi ha minacciato di uccidere mio figlio:

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(67) - EA, V10/a-4, C163/3, pp. 2-4. precisamente due volte, la prima quando rifiutai di tenergli delle borse con armi, la seconda nello scorso agosto quando mi chiese dei documenti per la MAMBRO. Il primo fatto si è verificato quando il FIORAVANTI rubò delle bombe a mano a Pordenone: si presentò a casa mia con due borse contenenti armi, pistole e bombe a mano e mi chiese di tenergliele; ciò accadeva alle cinque di mattina. Cercai di fargli capire che non potevo accontentarlo perché avevo dei bambini in casa, ma lui prese molto male la cosa. A seguito delle minacce che in quell'occasione mi rivolse (mi disse precisamente `sai quanto mi frega di ammazzare tuo figlio') circa 10 giorni dopo non ebbi il coraggio di rifiutare di custodirgli una borsa piena di bombe a mano incartate una per una, borsa che ritirò dopo una 20 di giorni dicendomi che aveva trovato una grotta sulla Salaria dove custodirla. Il secondo episodio avvenne esattamente due giorni dopo la strage di Bologna. Subito dopo pranzo Valerio si presentò a casa mia con la MAMBRO che io non conoscevo, e mi parlò di questa in termini elogiativi dicendo che aveva trovato la donna della sua vita e che si trattava di una ragazza decisa e coraggiosa. Mi disse pure che era stata fidanzata con un `coglione' e che adesso stava con lui. Riferendosi alla strage mi disse testualmente: `hai visto che botto' e aggiunse che a Bologna si era vestito in modo da sembrare un turista tedesco, mentre la MAMBRO poteva esser stata notata per cui aveva bisogno urgentissimo di documenti falsi e le aveva anche fatto tingere i capelli. Pretendeva che in giornata gli facessi avere una patente ed una carta d'identità di cui mi fornì le generalità ma non i numeri, per cui presumo che si trattasse di generalità inventate. Feci presente l'impossibilità di procurare documenti in giornata e Valerio si infuriò dicendomi che dovevo spezzarmi ma darglieli in fretta. In questa occasione io, spaventato dalla enormità della cosa, lo pregai di non parlarmi neppure di queste cose, lui replicò che io dovevo comunque stare zitto in quanto se a lui fosse successo qualcosa ci sarebbe stato qualcuno che me l'avrebbe fatta pagare e aggiunse precisamente `te lo faccio piangere io Stefanino tuo' alludendo a mio figlio. Riuscii a procurargli, tramite Mario, i documenti per il giorno dopo e lui venne a

ritirarli verso le 10 di mattina a casa mia, dicendomi che doveva andare in Sicilia con la MAMBRO."


1.2.19) La nota CESIS 29/4/1981


Il 13 marzo il Giudice Istruttore, con riferimento alle note in data 31/10/1980 e 31/1/1981 di cui si è detto sub 1.2.3), ed in particolare all'appunto allegato alla seconda nota, aveva richiesto al CESIS (68), tra le altre, le seguenti informazioni: la data dell'acquisizione da parte del SISMI delle notizie di cui al predetto appunto; nonché se i due 'tedeschi' di cui si parla nell'appunto fossero stati contattati dal SISMI direttamente o per via indiretta, e, in ogni caso, se fossero note le generalità dei due ed il loro recapito.


29/04/81 La risposta (69) del CESIS porta la data del 29/4/1981: le notizie di cui all'appunto allegato alla nota del 30 gennaio erano state acquisite dal SISMI in data 1/11/1980; elementi del SISMI avevano avuto un colloquio diretto con i due tedeschi, ma il contatto era stato stabilito tramite intermediari e non erano noti né le generalità né l'attuale


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(68) - RD, V1, C5, p153.
(69) - RD, V1, C5, p154.


recapito dei due.


1.2.20) La scarcerazione di Francesco FURLOTTI


Nei mesi seguiti alla formalizzazione dell'inchiesta, il Giudice Istruttore aveva compiuto una serie di accertamenti volti a saggiare la fondatezza delle accuse del FARINA nei confronti del PEDRETTI, del CALORE e del FURLOTTI.


L'attività all'uopo compiuta è dettagliatamente descritta nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria, cui occorre fare rinvio (70). Qui converrà ricordare soltanto quanto segue:


- le indagini si erano mosse sostanzialmente lungo due direttrici: il riscontro dell'alibi fornito dal FURLOTTI per le giornate dal 31/7 al 2/8/80 e la verifica dell'ipotesi che tra il FARINA ed il PEDRETTI si fosse svolto, nel carcere di Rebibbia, con le modalità e gli orari indicati, il colloquio di cui si è detto sub 1.1.3.2);


-da un rapporto di polizia era risultato che il FURLOTTI, nei giorni in questione, si trovava a Fasano di Puglia e

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(70) - Cfr. SO, da p53 rigo 6, a p64 rigo 15.


la stessa mattina del 2 agosto, alle ore 10, era stato visto nella Via del Calvario di tale località;


- il 3/12/1980 al Giudice Istruttore si era presentato spontaneamente Mario AURORA (71), riferendo d'aver appreso dal FURLOTTI, nell'ottobre, nel carcere di Rimini, che lo stesso era convinto d'aver ingannato gli inquirenti: infatti -a detta dell'AURORA- aveva dichiarato d'essersi trovato a Latina qualche giorno prima della strage, e d'aver colà consegnato l'esplosivo ad un ragazzino di Roma, che l'aveva poi collocato alla stazione di Bologna; sempre secondo l'AURORA, il FURLOTTI aveva dichiarato che, a procurare l'esplosivo era stato un detenuto in semilibertà, tale FARINA;


- il 3/4/1981 l'AURORA si era poi ripresentato al Giudice Istruttore, confessandogli che il precedente racconto non era che un 'collage' di fatti e circostanze effettivamente appresi dal FURLOTTI, infarciti di illazioni personali e soggettivamente interpretati;


-già nel settembre, tale NICASTRO aveva riferito

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(71) - Si tratta della stessa persona di cui si è riferito
sub 1.1.8).


all'autorità giudiziaria romana che il titolare di un `bar' da lui frequentato , avendo saputo dell'arresto del FURLOTTI per i fatti di Bologna, gli aveva confidato che lo stesso FURLOTTI, nel luglio, aveva acquistato nel suo `bar' 4 o 5 lattine (72) di birra di marca tedesca, della capacità di 5 litri ciascuna; la notizia era stata riferita all'autorità giudiziaria, che l'aveva contestata al FURLOTTI: e costui, pur ammettendo d'aver comperato le lattine in un 'bar' di Roma, aveva precisato d'averle regalate al gestore del `bar'-ristorante `La Taverna'di FASANO, il quale aveva confermato la circostanza, ulteriormente riscontrata poi dalla Polizia in sede di sopralluogo presso il suddetto locale;


- le indagini condotte presso il carcere di Rebibbia avevano evidenziato la possibilità che il FARINA avesse incontrato o parlato con detenuti 'politici' di estrema destra nei giorni 15, 16 e 17 maggio del 1980;


- ne era nata quindi la necessità istruttoria di sentire coloro che, all'epoca dei fatti riferiti dal FARINA, si

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(72) - La circostanza, come riferito sub 1.1.16, aveva dato ingresso ad una richiesta del P.M. di perizia metallografica.


trovavano ristretti presso la Sezione B del 1^ piano del braccio G9 del carcere, ove appunto -a dire del FARINA- egli aveva ricevuto le richieste del PEDRETTI.


30/04/81 Sulla scorta della verifica dell'alibi del FURLOTTI, costui veniva scarcerato per sopravvenuta mancanza di indizi con ordinanza (73) in data 30/4/1981.


1.2.21) La sentenza d'incompetenza per territorio


Sin dall'inizio dell'anno, il Giudice Istruttore aveva interpellato (74) il PUBBLICO MINISTERO circa la questione della competenza per territorio in ordine ai reati di natura associativa contestati agli imputati. Nella richiesta stessa, il Giudice Istruttore aveva preso posizione nei termini seguenti: "...Dalle considerazioni precedentemente esposte emerge la necessità di ritenere di competenza dell'autorità giudiziaria di Roma i reati di organizzazione e direzione di associazione sovversiva e di costituzione di banda armata di cui ai capi A) e B) dell'imputazione, esclusa la connessione con fatti specifici." Aveva soggiunto l'ufficio interpellante: "Per i reati di partecipazione ad

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(73) - AR, V4, C35, fascicolo atti gravame, pp. 43-52.
(74) - RI, C3, pp. 1-3.


associazione sovversiva e banda armata che dovessero risultare di competenza di questa Autorità Giudiziaria si invita la S.V. a volere esercitare la relativa azione penale."


La Procura della Repubblica si era espressa (75) in proposito il 24/1/1981, concludendo nel senso che, allo stato, non doveva dichiararsi alcuna incompetenza: pendente l'istruttoria, che si trovava ancora nella fase dell'iniziale ricerca del quadro ricostruttivo dell'associazione e della banda, il criterio della prevenzione legittimava -a giudizio dell'ufficio requirente- la cognizione della sede di Bologna, anche in virtù della connessione con il più grave delitto di strage politica.


Il giorno stesso in cui scarcerava il FURLOTTI, il Giudice Istruttore si spogliava (76), in favore dell'autorità giudiziaria romana, della competenza in ordine ad ogni reato


contestato sino a quel momento, ad eccezione del delitto di strage e dei delitti strumentali. Il novero degli imputati si restringeva pertanto al CALORE, al PEDRETTI ed al

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(75) - RI, C3, p14. (76) - RI, C3, pp. 29-41. FURLOTTI (i primi due in istato di detenzione, il terzo a piede libero). Rimanevano inoltre sottoposti alla giurisdizione del Giudice Istruttore, in quanto -come si è riferito- raggiunti da comunicazione giudiziaria per il delitto di strage, Mario TUTI, Franco FREDA, Roberto FEMIA e Marcello IANNILLI.


1.2.22) Le ulteriori attività, acquisizioni e vicende di
rilievo risalenti al periodo in esame


Prima di chiudere il capitolo relativo alla fase dell'istruzione formale conclusasi con la sentenza d'incompetenza per territorio, occorre ancora, a fini di chiarezza e completezza, dar conto di quanto segue:


a) il 22/10/1980, il Brigadiere Eugenio MIGLIANO e lo


Agente Pio RAMINI,della Questura di Bologna, riferivano agli inquirenti (77) che "fonte confidenziale degna di fede" aveva, tra l'altro, fatto notare loro che "l'omicidio AMATO era avvenuto in concomitanza con il ritorno, non si sa bene se a Roma o in Italia, del noto Fabio DE FELICE". La fonte aveva altresì comunicato che, "per saperne di più sul Golpe Borghese il DE FELICE



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(77) - Cfr. RA, V6, C287, p1. potrebbe chiarire molte cose".


Si chiarirà, in prosieguo di trattazione, come la `fonte' altri non fosse che Aldo SEMERARI.


b)Il 25/11/1980, Luigi VETTORE PRESILIO veniva accoltellato nel carcere di Padova (78).


Esaminato due giorni più tardi dal Giudice Istruttore, tra l'altro dichiarava (79): "...Sono stato accoltellato certamente per punizione in relazione alla pubblicazione sull'Espresso di notizie riguardanti la deposizione che ho reso a voi magistrati di Bologna. Infatti le stesse persone che mi hanno colpito mi hanno informato che la ragione della loro azione era quella di punirmi per aver parlato. Sono certo che volessero uccidermi. Non ci sono riusciti perché io mi rotolavo e mi sono difeso disperatamente gridando ed infine sono riuscito ad infilarmi sotto la branda. A questo punto è chiaro che non intendo rendere ulteriori dichiarazioni poiché sono convinto che la mia sorte sia segnata. Le comunico anzi che renderò pubblica una lettera che mi riprometto di

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(78) - Cfr. EA, V1, C30, pp. 72-74.
(79) - EA, V1, C30, pp. 69-71.


inviare ai giornali nella quale intendo smentire di aver mai reso alcuna dichiarazione e che mi riprometto di ritrattare quanto ho già detto."


c) Sono acquisiti agli atti due documenti (80): l'uno, recante la data del 21/1/1981, contiene taluni quesiti che il SISMI avrebbe posto alla 'fonte'; l'altro, recante l'indicazione 7/2/1981, riporta le correlative risposte. E da esso si apprendono varie notizie che poi il SANTOVITO trasfonderà nel rapporto del 24 febbraio. Qui occorre rilevare che, alla domanda se fosse possibile che l'ordigno fatto esplodere a Bologna il 2/8/1980 fosse stato confezionato dalle stesse persone, la risposta sarebbe stata: "Non si sono potute avere notizie nel senso richiesto. L'opinione della fonte è comunque affermativa, anche se del tutto personale."


d)In corso d'istruttoria, sulla scorta dell'acquisizione -di cui si è detto (81)- di atti dei procedimenti giàin carico al dott. Mario AMATO, e del 'rapporto LAZZERINI',


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(80) - Trovansi in AA, V7,C43, rispettivamente pp. 113 e 114-115.
(81) -Cfr. supra, sub 1.1.15), lettera b).


si provvedeva ad acquisire altresì, ai sensi dell'art. 165 bis C.P.P., copie di atti e/o provvedimenti da vari procedimenti penali, in corso di istruzione presso l'autorità giudiziaria romana, concernenti i principali fatti di terrorismo verificatisi nell'ambiente della capitale fra la seconda metà degli anni '70 ed i primi anni'80; in particolare dai seguenti:


- procedimento n. 1364/81 R.G.G.I.contro ADDIS Mauro + 140, concernente, tra l'altro, gli attentati contro la Prefettura di Roma, il Campidoglio, 'Regina Coeli', il Ministero degli Affari Esteri, il Consiglio Superiore della Magistratura, rivendicati dall' M.R.P. (82);


- procedimento n. 63/79 R.G.G.I., contro NERI Maurizio + altri, istruito dal dottor DESTRO (83);


- procedimento n. 2788/80 R.G.G.I. contro VOLO Alberto ed altri, concernente l'omicidio di Francesco MANGIAMELI e i reati connessi (84);


- procedimento n. 1011/81 R.G.G.I., contro ALES + 81 (cosiddetto processo N.A.R.1), concernente, tra

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(82) - AA, V1, C1. (83) - AA, V1 bis, C1 bis.
(84) - AA, V4, C21.


l'altro, i maggiori episodi criminosi compiuti ad opera dei N.A.R. e di aderenti al F.U.A.N. di Roma (85);


- procedimento n. 382/83 R.G.G.I.( cosiddetto processo di `Avanguardia Nazionale bis' (86);


- procedimento n. 3735/82 R.G.G.I., contro FREGA Nicola ed altri, concernente varie attività criminose, perseguite a seguito delle dichiarazioni di Walter SORDI (87);


- procedimento n. 3017/82 R.G.G.I., contro BELSITO Pasquale ed altri, concernente attività di Terza Posizione (88);


- procedimento n. 2151/80 R.G.G.I., concernente l'omicidio dell'Appuntato di Polizia EVANGELISTA, in servizio presso il Liceo romano `Giulio Cesare' (89);


In seguito, per vari di detti procedimenti, si procederà ad acquisire taluni degli atti dibattimentali e le relative sentenze di primo grado; e, parallelamente, si acquisiranno atti e provvedimenti da altri procedimenti,

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(85) - AA, V4, C22.
(86) - AA, V9, C58.
(87) - AA, V10, C62.
(88) - AA, V12, C71.
(89) - AS, C16.


in corso d'istruzione o di giudizio, o già definiti, sia dall'autorità giudiziaria romana che da altre autorità giudiziarie della penisola.


e) Nel corso delle prime indagini, si era proceduto, tra l'altro, all'esame delle persone ferite nell'esplosione. La locale autorità di polizia aveva delegato la Questura di Roma per l'assunzione a verbale di tale VAILATI Enrico, nato a Roma l'11/11/1945 e colà residente, in via Gregorio VII n. 39, che risultava aver fatto ricorso a cure mediche presso l'Ospedale Maggiore di Bologna alle ore 11,39 del 2 agosto 1980. Senonché era emerso che il VAILATI non figurava tra i nati a Roma ed era sconosciuto al detto indirizzo (90). Evidentemente la persona che si era fatta curare aveva declinato false generalità. Le indagini all'uopo avviate avevano condotto ad identificare in Sergio PICCIAFUOCO, un pregiudicato latitante, l'individuo che usava, tra gli altri, il falso nominativo in questione (91).




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(90)- Cfr. RA, V9 bis, C383, pp. 1-8.
(91) -Cfr. RA, V9 bis, C383, pp. 65, 66 e 76.


Il 1° aprile 1981 Sergio PICCIAFUOCO veniva identificato ed arrestato al valico di frontiera di Tarvisio, dove esibiva un passaporto falso recante le generalità PIERANTONI Enrico (92).




































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(92)- Il PICCIAFUOCO usava alternativamente siffatte generalità, oltre a quelle di VAILATI Eraclio (cfr. riferimenti di cui alla nota che precede).
Nel rapporto della Polizia di confine (cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 151 ss.) si legge: "...veniva quindi identificato, senza alcun dubbio per PICCIAFUOCO Sergio da un tatuaggio a forma di rosa dei venti con sotto due lettere C.C. che ha sul braccio e da una cicatrice sul naso, segni particolari comunicati, ai fini dell'identificazione del predetto, dalla Questura di Sondrio con telegrammacat.E/21981/Digosdel6/2/1981..."



1.3) 1° maggio 1981 - 27 novembre 1981
Il periodo compreso fra la sentenza dichiarativa d'incompetenza per territorio e l'avvio della
`pista CIOLINI'


1.3.1)Le dichiarazioni rese da Mario Guido NALDI al PUBBLICO MINISTERO di Bologna


05/05/81Il 5/5/1981 Mario Guido NALDI, interrogato in un diverso procedimento penale, aveva, tra l'altro, riferito (1) che: nella primavera del 1980 erano venuti a cercarlo a Bologna Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, i quali gli avevano chiesto se a Bologna vi fossero le condizioni per "togliere fuori dall'ambiente di destra dei giovani e fondare un gruppo locale di Terza Posizione e se ci fossero elementi tali, da passare poi gradualmente ad episodi di lotta del tipo di quelli di Roma"; i due si erano riferiti "come tipo di azioni, ad attentati come quello di Roma dentro una sezione del Partito Comunista, con lancio di bombe a mano";


egli si era dichiarato indisponibile ed i suoi interlocutori, nel congedarsi, lo avevano minacciato.


Sei giorni più tardi,il NALDI era stato nuovamente interrogato (2) e, con riferimento alla trascrizione, frattanto pervenuta alla Procura, del colloquio da lui avuto

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(1) - EA, V10/a-1, C48, pp. 9-14. (2) - EA, V10/a-1, C48, pp. 15-20. con l'agente `CALIPATTI' (3), nella parte in cui si leggono indicazioni sulla matrice dell'attentato di Bologna, sulla sua spiegazione e sulla provenienza, geografica e politica, degli attentatori, aveva dichiarato: "Mi sembra che la trascrizione rappresenti una forzatura del mio discorso, nel senso che io avrò perlato senza dubbio in tono più ipotetico." Il 20/5/1981, il PUBBLICO MINISTERO provvedeva a trasmettere entrambi i verbali dei suddetti interrogatori al Giudice Istruttore investito dell'inchiesta sulla strage (4), che, una settimana più tardi, procedeva ad escutere direttamente il NALDI (5). Costui, nel confermare gli interrogatori precedentemente resi, precisava ulteriormente che il FIORE e l'ADINOLFI gli avevano riferito d'aver tentato anche in altre città di dar corso ad iniziative del tipo di quella in cui avrebbero preteso di coinvolgerlo.


1.3.2)Gli sviluppi del procedimento relativo al ritrovamento della valigia sul treno Taranto-Milano


Nel procedimento sorto dal ritrovamento della valigia carica

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(3) - Cfr. supra, sub 1.1.3.3).
(4) - RI, C3, p55.
(5) - EA, V10/a-1, C48, pp. 22-23.


d'armi ed esplosivi sul treno Taranto-Milano, la Procura della Repubblica aveva effettuato "in Imperia molteplici accertamenti al fine di chiarire l'identità della persona o delle persone che avevano alloggiato in via Rizzo, 11, sul presupposto chesi trattasse di complici di Giorgio VALE, coinvolto nel febbraio 1981 nell'omicidio dei Carabinieri di Padova"(6)."La teste Anna Maria POMARELLO figlia del titolare dell'agenzia immobiliare Trieste, esaminata il 27 aprile '81 credeva di riconoscere in una foto segnaletica mostratale il dirigente di `Terza Posizione' Gabriele ADINOLFI; anche la titolare della agenzia, VIANO Jole, effettuava lo stesso riconoscimento. Entrambe le testi, sia pure con qualche titubanza, indicavano nell'ADINOLFI, che insieme al noto FIORE Roberto rappresentava il vertice politico di III Posizione, la persona che aveva affittato l'appartamento sopra indicato. Il giorno 28 aprile 1981 la Procura della Repubblica di Bologna effettuava una richiesta di indagini all' UIGOS di Imperia, e per conoscenza all'UCIGOS ...ed altra al Direttore del SISMI. La prima


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(6) - Si tratta dell'episodio di cui si è riferito sub 1.2.17), nota (60).


richiesta, al punto 6 consisteva nel `...poter conoscere dall'UCIGOS la fonte o il documento in base al quale la citata abitazione di via Rizzo o Risso, 11 di Imperia fu segnalata come ritenuta base di persona coinvolta in attività eversive...'" (7). Al riguardo si richiedeva la urgentissima trasmissione di copia autentica della segnalazione o telegramma proveniente da qualsivoglia Organo Statale. "La seconda richiesta era finalizzata a `...poter conoscere il documento originario nel quale si comunicava un nesso tra l'episodio in oggetto (rinvenimento della valigia con gli ordigni) e l'attività delle persone occupanti il noto appartamento sito nella via privata Rizzo, 11 di Imperia'" (8). Si aggiungeva come necessitasse in modo particolare conoscere espressamente la fonte della notizia che stabiliva il citato nesso con la città di Imperia, e conoscere altresì gli accertamenti che in proposito furono condotti, per conoscerne la fondatezza.


06/05/81 Il 6/5/1981 il dott. DE FRANCISCI, Direttore dell'UCIGOS,

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(7) - I fatti sono così ricostruiti nella sentenza citata sub 1.2.10), nota (30), alla pp. 9 e ss., dalle quali sono tratti i brani riportati tra virgolette. (8) - Cfr. nota che precede. rispondeva (9) semplicemente trasmettendo un appunto del SISMI contenente, fra l'altro, l'asserzione che Giorgio VALE avrebbe preso in locazione l'appartamento di via Rizzo in Imperia, appositamente per utilizzarlo come base per l'operazione "Terrore sui treni". Soggiungeva che il SISMI, interpellato in proposito, aveva fatto conoscere che le notizie di cui al detto appunto erano state comunicate all'autorità giudiziaria, in un più ampio contesto, in data 24/2/1981.


La risposta del SISMI giungeva il 15/6/1981: il Gen. Abelardo MEI, Vicedirettore del Servizio, che sostituiva temporaneamente il Gen. SANTOVITO, travolto dallo scandalo seguito al sequestro di Castiglion Fibocchi, affermava, tra l'altro (10): "...Come già riferito per le v.b. in data 29.5.u.s. da funzionari del SISMI, la fonte originatrice dell'informativa non è stata identificata in quanto la stessa, peraltro occasionale, prestò la sua collaborazione a condizione di rimanere anonima."




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(9) - Cfr.AAD, V6, C2, p60. (10) - Cfr.AAD,V6,C2, p103. 1.3.3) Le ulteriori comunicazioni giudiziarie per il delitto di strage


Nel concludere la parte motiva della sentenza dichiarativa d'incompetenza per territorio, il Giudice Istruttore aveva affermato che a tutti gli imputati e gli indiziati del delitto di strage andavano altresì attribuiti i delitti di partecipazione ad associazione sovversiva e a banda armata.


08/05/81 Coerentemente con tale impostazione, otto giorni più tardi aveva richiesto (11) al PUBBLICO MINISTERO di valutare ad ogni possibile effetto la posizione di Franco FREDA, Mario TUTI, Edgardo BONAZZI, Paolo SIGNORELLI (12), Roberto FEMIA, Marcello IANNILLI, Sergio CALORE e Dario PEDRETTI.


20/05/81 La Procura rispondeva (13) in data 20 maggio, trasmettendo i verbali d'interrogatorio del NALDI di cui s'è detto sub 1.3.1), richiedendo l'emissione di comunicazione giudiziaria per strage e delitti connessi nei confronti di Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, nonché dichiarando di tener ferme le originarie rubriche associative nei confronti delle persone indicate nella richiesta.



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(11) - RI, C3, p49.
(12) - Costui, peraltro, non era all'epoca ancoraraggiunto da comunicazione giudiziaria per strage.
(13) - RI, C3, pp. 51-55.


21/05/81 Il giorno successivo il Giudice Istruttoreemetteva comunicazione giudiziaria per il delitto di strage ed altro nei confronti del FIORE e dell'ADINOLFI (14).


22/05/81 A distanza di 24 ore erano raggiunti da analoga comunicazione Paolo SIGNORELLI e Massimiliano FACHINI (15).


1.3.4)Le dichiarazioni di Cristiano FIORAVANTI ed il covo di Taranto


14/05/81 Il 14/5/1981 era stato esaminato (16) dal Giudice Istruttore Cristiano FIORAVANTI, catturato l' 8 aprile a seguito di un'operazione di polizia della DIGOS di Roma (17), dovendo eglirispondere di numerosi gravissimi reati.

IlFIORAVANTI sarà poi di nuovo esaminato il 9/12/1981 (18).


Tra le dichiarazioni da lui rese e rilevanti per il presente procedimento, va segnalato quanto segue: il suo gruppo, cioè i N.A.R., aveva compiuto vari attentati, utilizzando alternativamente balistite granulare, tritolo ed altri esplosivi, in danno di Sezioni del Partito Socialista, del Partito Comunista, dell'A.C.E.A. e della Centrale del Latte di Roma; nel settembre del 1980, nella disponibilità


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(14) -Cfr. OC, V1, rispettivamente C11, p18 e C12, p14.
(15) -Cfr. OC, rispettivamente V1, C5, p14 e V2, C29, p11.
(16) -EA, V10/a-3, C140 bis, pp. 1-6.
(17) - Cfr. AA, V11, C66, p189.
(18) - EA, V10/a-3, C140 bis, pp. 7-14.


del gruppo vi erano due divise da Carabiniere, un tesserino ed una divisa da finanziere, e si parlava di preparare, presso la carrozzeria ove fu in seguito ucciso il Brigadiere LUCARELLI (19), "delle auto militari"; il FACHINI era stato indicato al FIORAVANTI come uno dei capi dell' "organizzazione del Nord"; e Roberto RAHO gli era stato indicato dal CAVALLINI come depositario, per conto del gruppo, di armi murate, definite "nostre" dal CAVALLINI stesso; Egidio GIULIANI gli era noto come fornitore di documenti falsi, che procurava tramite il CAVALLINI, con il quale era in rapporti di grande amicizia, anche a Valerio FIORAVANTI; aveva appreso dalla MAMBRO che costei "aveva un alibi che non valeva niente per il 2/8/1980, perché era nel Veneto insieme a Valerio e CAVALLINI".


Riferiva ancora che: ai primi di settembre del 1980, assieme al fratello e alla MAMBRO, si era recato a Taranto, ove aveva, in compagnia dei suddetti, di Giorgio VALE e Pasquale BELSITO, alloggiato in un appartamento che descriveva con

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(19) - Cfr. AA, V2, C9. Le circostanze dell'omicidio sono descritte nel rapporto dei CC. 28/11/80. Dalla missiva di trasmissione dello stesso risulta che del delitto furono poi imputati Gilberto CAVALLINI e Stefano SODERINI.


precisione, anche quanto all'ubicazione. Sul punto, il


FIORAVANTI, testualmente riferiva: "Il fratello di CONCUTELLI, che lavora in un ospedale, al quale il CAVALLINI telefonava spesso in quel periodo, ci teneva informati sulle date previste per il trasferimento di Gigi CONCUTELLI al carcere di Taranto. Ricordo che in un primo momento si parlò di settembre, poi rinviavano sempre. CAVALLINI poi ci informòche CONCUTELLI aveva avuto un processo per minacce, ma non era transitato per il carcere di Taranto, sicché noi partimmo verso ottobre-novembre. Preciso che restai a Taranto in periodi saltuari e partii l'ultima volta da solo col treno e andai a Roma. Qundi non so cosa abbiano poi fatto gli altri...Sino a quando vi stetti io, il progetto prevedeva l'eliminazione di una prima sentinella e la sua sostituzione con uno di noi, che successivamente avremmo dovuto attendere il cambio di guardia; immobilizzare gli agenti e penetrare all'interno, con uso solo di armi. Tutto sarebbe stato fatto in silenzio. Le armi che vi erano a Taranto erano due M12, delle pistole 92 in numero di quattro, ed altro (erano molte armi) ma nulla di esplosivo. Vi erano inoltre i silenziatori che aveva costruito mio fratello."


1.3.5)L'attentato a Palazzo Marino di Milano e le
dichiarazioni di Laura LAURICELLA


L'attenzione degli inquirenti si è appuntata, tra l'altro, sull'attentato a Palazzo Marino, sede del Consiglio Comunale di Milano (20).


Dal rapporto dei Carabinieri di Milano in data 30/10/1980, acquisito agli atti (21), risulta che, alle ore 1,55 del 30 luglio precedente, ignoti avevano fatto esplodere, nella Piazza San Fedele di quella città, un ordigno collocato nell'abitacolo di un'autovettura, parcheggiata nelle immediatevicinanze dell'ingresso secondario di Palazzo Marino. Altri ordigni, posti nei pressi della vettura (una 'FIAT 128 rubata ad Anzio nella notte fra il 23 ed il 24 luglio), erano rimasti inesplosi per difetto di innesco. L'attentato era stato rivendicato verso le ore 2,10 dello stesso giorno 30, mediante una telefonata anonima alla redazione del Corriere della Sera, del seguente tenore:


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(20) - Cfr. RA, V9, C372 e AA, V8, C46.
(21) - In AA, V8, C46, pp. 8-12.


"Siamo i Combattenti Rivoluzionari per il Contropotere - Siamo noi che abbiamo fatto l'attentato di stanotte." Il giorno stesso era poi stato rinvenuto un volantino con la rivendicazione di paternità a nome dei "Gruppi Armati per il


Contropotere Territoriale". L'esplosione era avvenuta soltanto pochi minuti dopo che i Consiglieri Comunali avevano lasciato il palazzo, al termine di una seduta del Consiglio.


20/05/81 Nel corso di un procedimento penale pendente avanti all'autorità giudiziaria romana (che, per ragioni di connessione, si è occupata anche dell'attentato in questione),il 20/5/1981 Laura LAURICELLA, sentimentalmente legata (22) ad Egidio GIULIANI, tra l'altro dichiarava (23): "Discutendo della strage di Bologna Egidio espresse con me un apprezzamento negativo. Espresse con me l'opinione che una cosa del genere potesse esser stata fatta solo da quel `folle' di Valerio FIORAVANTI. Peraltro mi riferì di voler chiedere spiegazioni a Benito ALLATTA e Silvio POMPEI, ai quali poco tempo prima, nel luglio '80 (potrebbe anche

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(22) - Cfr. dichiarazioni LAURICELLA al G.I. del 2/6/82, in
EA, V10/a-4, C163/1, p55.
(23) - EA, V10/a-5, C231 bis/1, p7.


trattarsi dei primi di giugno, ma sono quasi sicura che fosse a luglio), aveva dato su loro richiesta un notevole quantitativo di esplosivo che doveva essere usato a Milano per un `grosso botto'. Benito e Silvio lo tranquillizzarono dicendogli che l'esplosivo era servito per un attentato al Comune di Milano. Non so di che esplosivo si trattasse: ritengo Egidio lo avesse prelevato dal deposito di lungotevere Sangallo."


1.3.6) Ulteriori sviluppi della `pista libanese'


Sin dal 7 maggio, il Giudice Istruttore, con riferimento alla nota CESIS di cui si è detto sub 1.2.19), aveva richiesto (24) a tale Comitato di interessare il SISMI al fine di raccogliere "ulteriori elementi utili per l'identificazione dei due tedeschi, dei loro intermediari e dei cittadini italiani" che avevano frequentato nel corso del 1980 il campo di Aqoura. Si raccomandava l'urgenza, sottolineando che notizie già in possesso del Servizio sin dal 1/11/1980 erano state trasmesse soltanto il 29/4/1981.


09/06/81La risposta (25) del CESIS giungeva il 9/6/1981. Essa recava


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(24) - RD, V1, C4, p107.
(25) - RD, V1, C4, p108.


in allegato un appunto contenente vaghi elementi di identificazione dei due Tedeschi che sarebbero stati interrogati a Beirut da funzionari italiani: e si trattava di una descrizione esteriore, con l'aggiunta di qualche superficialenotazione psicologica.

25/06/81 La vicenda, dai contorni tutt'altro che chiari, si ingarbugliava ulteriormente, a far tempo dal 25 giugno. In tale data, la Questura di Bologna trasmetteva un comunicato diffuso in Italia dall'agenzia `ANSA' (26) quello stesso giorno: erano state raccolte le dichiarazioni di NAUM FARAH, esponente falangista, il quale assumeva di aver la prove del coinvolgimento palestinese nelle stragi di Monaco di Baviera e di Bologna; costui -secondo il comunicato- aveva affermato: "Accusiamo ABU AYAD di aver organizzato le stragi di Bologna e di Monaco. Karl Heinz HOFFMANN, che agiva in collaborazione con lui, ha incontrato nel luglio 1980 alcuni estremisti italiani per preparare l'attacco alla stazione, ed è implicato anche nell'attacco all' `Oktoberfest'." Soggiungeva il comunicato che i Cristiano-maroniti avevano mostrato alla stampa due giovani Tedeschi da loro catturati,

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(26) - Cfr. RD, V1, C3, pp. 26-31. Walter Ulrich BEHLE e Johannes MAINKA, appartenenti al gruppo HOFFMANN, il primo dei quali aveva rivelato che essi si erano addestrati all'uso delle armi presso il campo palestinese di Bir Hassan.


1.3.7)Sviluppi (paralleli) del procedimento per strage e
del procedimento cosiddetto `della valigia'


03/07/81 Il 3/7/1981, il Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Luigi PERSICO, che, oltre ad essere uno dei quattro magistrati del PUBBLICO MINISTERO investiti delle indagini sulla strage del 2 agosto, conduceva anche l'inchiesta relativa al ritrovamento della valigia sul treno Taranto-Milano, citava (27) come testimone in tale ultimo procedimento il Gen. Abelardo MEI, Vicedirettore Vicario del SISMI, in sostituzione del del Gen. SANTOVITO, posto in `ferie forzate' dall'inizio del giugno. Nel citarlo, il dott. PERSICO lo invitava a "recare al seguito gli atti necessari per un completo riferimento dell'intera vicenda, essendo ormai improcrastinabile trarre le conclusioni dai molti accertamenti svolti direttamente o delegati alla p.g. ed apparendo, infine, altrettanto indifferibile verificare


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(27) - Cfr. AAD, V6, C3, p91


gli eventuali nessi probatori con la indagine relativa alla stazione di Bologna, commessa in data 2 agosto 1980, per la quale altra Autorità procede a sensi dell'art. 285 C.P.".


11/07/81 Esaminato 8 giorni più tardi, il Gen. MEI, tra l'altro, riferiva (28): "...Posso confermare che, per quanto mi risulta, l'origine della segnalazione della valigia partì dall'Ufficio Controllo e Sicurezza a seguito di un'informazione occasionale, almeno così sono stato ragguagliato dal Ten. Col. BELMONTE" (29) "...Personalmente ignoro ogni e qualunque connotato e dato personale di tale fonte, né so se fosse cittadino italiano ovvero straniero..."


luglio Va rilevato che nello stesso periodo di tempo il BELMONTE 1981 si recava a Vieste dal M/llo dei Carabinieri Francesco SANAPO. Sull'episodio, che emergerà a distanza di anni, si dovrà tornare in prosieguo per chiarirne il significato. Qui vale soltanto la pena di accennarvi, per sottolinearne la coincidenza temporale con i fatti che si stanno illustrando: "secondo ledichiarazioni del primo," (cioé il SANAPO)

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(28) - Cfr. AAD,V6, C3, pp. 92-93.
(29) - Il quale, appunto, avrebbe `gestito' la fonte.


"l'ufficiale, dopo alcuni mesi di silenzio, raggiunse SANAPO a Vieste proprio nel luglio 1981, parlandogli della rischiosa situazione in cui si trovava con MUSUMECI e della necessità di parare il pericolo con predisposte bugie." (30) Veniva pubblicato nello stesso periodo un numero della rivista Critica Sociale (31), che, sempre sotto il titolo "Il Grande Labirinto", descriveva in termini sostanzialmente elogiativi il Giudice Istruttore dott. GENTILE (32), definito "schivo e silenzioso...deciso a non farsi incastrare da nessuno...un uomo che non ama le conferenze stampa, che medita prima di parlare...l'unico che abbia voluto guardare dietro e cercare di battere altre piste oltre quelle indicate, risultate poi spesso fallaci...ora...impegnato a vagliare le storie rimbalzanti fra palestinesi e falangisti libanesi, anche in questo caso però con scarsa collaborazione..."; chi invece aveva considerato "come pure e semplici invenzioni di fantapolitica da strapazzo" -affermava ancora la rivista-

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(30)- Cfr.p164 sentenza citata sub 1.2.10),nota (24). (31)- Due copie della rivista (numero del giugno-luglio 1981) trovansi in SB, V12, C23.
(32) - Conducevaalloral'indagine ilConsigliere Istruttore Aggiunto dott. Aldo GENTILE, affiancato dal dott. Giorgio FLORIDIA. "le piste internazionali, i collegamenti sospetti e ad


esempio, la nostra inchiesta", era stato il Sostituto

Procuratore della Repubblica dott. Luigi PERSICO.

Questi -si legge nel brano di stampa- aveva fatto capire cosa pensasse dell'inchiesta di Critica Sociale: "fantapolitica, divertimento letterario senza costrutto. I riferimenti alla P2? Solita dietrologia."
Nell'articolo in questione si legge ancora che tutte le persone arrestate all'inizio dell'inchiesta erano uscite dal carcere. Dalla pista inizialmente battuta era uscita "una valigia di documenti su associazioni sovversive varie. Per la strage però, quasi nulla." Eppure PERSICO aveva accreditato e pubblicamente elogiato i servizi segreti e gli organismi internazionali. Ed aveva affermato -scriveva ancora l'estensore dell'articolo- "...che questa volta la collaborazione dei servizi di sicurezza si" era "manifestata concretamente". E si giungeva alle conclusioni, sia pure soltanto insinuate: "Un esponente democristiano bolognese...ha chiesto qualche giorno fa al dottor Luigi PERSICO cosa pensava delle nuove interpretazioni sulla strage. Risposta di Luigi PERSICO: tutte balle. I servizi segreti collaborano pienamente, sono stati gli altri a far crollare tutto il castello. Un funzionario degli stessi servizi,leggendo un articolo su Panorama in cui l'onorevole Falco ACCAME afferma che molte sono le persone nel libro paga dei servizi dice: è vero, e purtroppo anche molti giudici."

Ha scritto la Corte d'Assise di Roma (33), avendo come riferimento cronologico i fatti del periodo giugno-luglio: "Ma nello stesso lasso di tempo si sviluppava una complessa azione ispirata al criterio `del bastone e della carota': si tennero a Bologna alcune riunioni, con la partecipazione del sedicente `capitano MANFREDI' dei servizi segreti, nel corso delle quali si discusse `sulla richiesta e la correlativa promessa di procurare le prove che il P.M. dott. PERSICO era sul libro-paga del SISMI' (34). Poco dopo, il dott. PERSICO e il Procuratore della Repubblica dott. Guido MARINO furono fatti bersaglio di attacchi giornalistici, con l'accusa per

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(33) - Cfr. pp. 164-165 della sentenza citata sub 1.2.10), nota (24). (34) - La fonte di tale notizia era, per la Corte romana, lo stesso dott. PERSICO, autore d'un esposto-denuncia citato nella richiamata sentenza (p. 164, nota 1). il primo di essere stipendiato dal servizio segreto e per il


secondo di essere piduista (35); il dott. MARINO fu invitato a visitare Forte Braschi, ove ricevette `una splendida accoglienza, per cui ritornò magnificando l'efficienza, l'organizzazione ' del SISMI etc." (36).


Occorre qui ricordare che il numero di dicembre di Critica Sociale conterrà un articolo dal titolo `Appunti su due stragi' (37), in cui, dopo aver fatto cenno, nel sottotitolo, "dei contrasti fra Ufficio istruzione e Procura di Bologna" e di "una guerra senza esclusione di colpi" in corso tra i due uffici giudiziari, si prenderanno di mira il dott. PERSICO ed il Procuratore MARINO. Si citerà una fonte "che scrive con sicurezza che sono molti quelli che asseriscono, intuiscono e fanno capire che questo giudice MARINO è anche lui del gruppo: insomma sarebbe un P2"; più avanti, nel corpo dell'articolo, a proposito dell'avvicendamento fra SISTI e MARINO alla guida della

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(35) -Fontedi tale notizia la deposizione dibattimentale del dott. PERSICO avanti alla Corte romana: cfr. sentenza ult. cit., p164, nota 2. (36) -La Corte di Roma cita in proposito l'esposto-denuncia cui si è detto alla nota (34): cfr. sentenza ult. cit., p164, nota 3. (37) - Trovasi in RA, V7, 341, pp. 2-3.


Procura, si affermerà: "...Il capo della Procura bolognese,


Ugo SISTI, sta per andarsene. Basta mettere al suo posto una persona fidata, che controlli le mosse dell'avversario ed intervenga al momento opportuno...". E poi ancora: "...uno dei due giudici istruttori è convinto che la pista dei mandanti di quest'ultima strage porti in santuari in odore di loggia...il Pubblico Ministero Luigi PERSICO a questa strada non crede affatto, e il nuovo capo della Procura ascolta volentieri Luigi PERSICO. Dinanzi ai colleghi convocati per una presentazione ufficiale Guido MARINO esclama con foga:'Sono voluto venire a Bologna, implacabilmente'...Sono molti, a Palazzo di Giustizia, quelli che dicono che MARINO è uno strumento di Luigi PERSICO..."


14/07/81 Tornando, dopo questa necessaria anticipazione, ai fatti di quella tormentata estate del 1981, si deve segnalare che, in data 14 luglio, nell'ambito del procedimento `della valigia', la Questura di Taranto trasmetteva alla Procura della Repubblica di Bologna un rapporto (38), nel quale si

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(38) - Cfr.AAD, V6, C3, pp. 94-97.


riferivano notizie inordine alle ricerche compiute per


localizzare il `covo di Taranto'. Va qui rilevato che -come risulta dal rapporto- la polizia giudiziaria non era ancora pervenuta all'individuazione del covo, ma che le ricerche venivano condotte anche sulla base delle indicazioni fornite dalla vedova di Francesco MANGIAMELI, essendo risultato dalle dichiarazioni di costei che, nel luglio del 1980, il marito, mentre ospitava Valerio FIORAVANTI in Palermo, si era recato a Taranto, per conto dello stesso FIORAVANTI, onde reperirgli un rifugio (39).


27/07/81 Il 27 luglio, la Procura della Repubblica chiedeva (40) al Giudice Istruttore di voler emettere, nel procedimento n. 344/A/80, comunicazione giudiziaria nei confronti di Giorgio VALE, per il delitto di strage: il provvedimento veniva indicato come necessario ai fini della futura opponibilità della disponenda perizia comparativa fra i reperti dell'esplosione alla stazione ferroviaria di Bologna e l'esplosivo rinvenuto sul treno Taranto-Milano, alla luce

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(39) - Cfr. dichiarazioni di AMICO Rosaria vedova MANGIAMELI rese all'autorità giudiziaria romana il 17 ed il 24/9/80 nel procedimento apertosi per l'omicidio del MANGIAMELI: cfr. EA, V10/a-3, C134, rispettivamente p17 e pp. 24-25. (40) - RI, C3, p79. delle segnalazioni pervenute a carico di taluni nominativi


nel procedimento 'della valigia' (per il FIORE e l'ADINOLFI il problema non si poneva, essendo costoro già stati raggiunti da comunicazione giudiziaria per il delitto di strage). 29/07/81 Due giorni più tardi il dott. PERSICO provvedeva a formalizzare il procedimento `della valigia' (41). Oltre all'emissione di mandato di cattura nei confronti del VALE , del FIORE e dell'ADINOLFI per il trasporto delle armi e dell'eplosivo, chiedeva la riunione al procedimento della strage, stante l' "essenziale connessione probatoria".


30/07/81 Il giorno successivo veniva emessa, nei confronti del VALE, la comunicazione giudiziaria richiesta il 27 luglio (42).


luglio Nello stesso mese conclusosi con l'atto di cui si è testé 1981 detto, il Giudice Istruttore dott. GENTILE partì alla volta del Libano, "nella speranza di risolvere, in modo chiaro e definitivo, il caso di Alfredo e dei suoi complici, già segnalato dal SISMI." (43)



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(41) - Cfr. AAD, V7, C11, p1.
(42) - OC, V2, C37, p3.
(43)- Si tratta dell'intendimento indicato dallo stesso dott. GENTILE, nel `pro-memoria' del primo viaggio in Libano, in RD, V2, C16, p1.


Il viaggio, durato dal 22 al 26 luglio, si risolse in un nulla di fatto: sotto la regia del Col. Stefano GIOVANNONE, la spedizione non sortì che alcuni infruttosi contatti tra il Giudice Istruttore ed un ufficiale del SISMI, il Col. DELFINO, da un lato, ed alcuni esponenti del quartier generale della Falange, dall'altro (44).


07/08/81 Il 7 agosto il Gen. SANTOVITO, rientrato " dalle ferie per mettere a posto le pratiche" (45), trasmise al dott. GENTILE una nota (46) con la quale rispondeva ad una serie di quesiti postigli dal Giudice e per iscritto e per le `vie brevi'. Con specifico riferimento ad uno di questi ultimi, il Direttore del SISMI scriveva: "in merito alle perplessità sorte da parte della S.V. sull'attendibilità della fonte che

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(44) - Cfr. il 'pro-memoria' citato alla nota che precede.
(45) - Così si esprime la Corte d'Assise di Roma, alla pagina 163 della sentenza citata sub 1.2.10), nota (24). Il SANTOVITO rientrò in servizio, dopo 60 giorni di ferie, ai primi di agosto, e il giorno 12 gli subentrò il Gen. Ninetto LUGARESI: cfr. deposizione LUGARESI al P.M. Bologna, in Cal., V5, C38, p4. Era dunque il SANTOVITO al suo ultimo giorno di servizio quando, l'11 agosto, facendo "riserva di ulteriori notizie se di interesse", trasmetteva al Procuratore della Repubblica di Bologna la missiva che si trova in AAD, V6, C2, p106: missiva con la quale, tra l'altro, si riferiva che i giovani che avevano preso in locazione l'appartamento di via Rizzo in Imperia (il sedicente BIGANO ed un suo accompagnatore) si sarebbero espressi -a detta del titolare dell'Agenzia Trieste- con spiccato accento piemontese.
(46) - RA, V8, C359, pp.3-23.


ha originato le due informative" (47) "si riferisce:

- nonsi è in grado di fornire le richieste notizie anche in relazione al fatto che la fonte è riparata all'estero e, quindi, non è stato possibile approfondire gli eventuali contatti della stessa con altri organi dello Stato;


- il manipolatore della fonte, peraltro, ha ribadito quanto già riferito per le v.b. a Magistrati di codesto ufficio, che le note informative consegnate `brevi manu' erano da considerare come ipotesi di lavoro da confortare sulla scorta di concreti elementi eventualmente risultanti nel quadro generale delle indagini o ulteriormente acquisibili; ..."


1.3.8) La `pista spagnola'


luglio Nel mese di luglio aveva preso il via anche una `pista 1981 spagnola'. All'inizio del mese, l'UCIGOS aveva trasmesso al Giudice Istruttore copia di un articolo (48) comparso sul quotidiano bolognese `Il Resto del Carlino', dal titolo "E'

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(47) - Non sono specificamente indicate; e, manca, per l'eventuale riscontro, una richiesta scritta: si trattò, per l'appunto, di richiesta rivolta per le "vie brevi". Il riferimento è tuttavia perspicuo, avendo il SANTOVITO evidentemente inteso alludere al filone informativo relativo alla strage da un lato, ed a quello relativo all' `operazione Terrore sui treni' dall'altro. (48) - RC, p3. in Spagna il cervello della strage di Bologna?".


Nell'articolo, pubblicato il 30 giugno, compariva la notizia secondo cui l'attentato del 3 ottobre 1980 alla sinagoga parigina di Rue Copernic "sarebbe stato preparato ed eseguito da un gruppo di estremisti di destra spagnoli". La notizia era tratta da `Le quotidien de Paris', che aveva indicato come esecutori materiali dell'attentato tali Ernesto MILA e Rafael TORMO ACOSTA. Sempre secondo il giornale parigino -riferiva l'articolo trasmesso dall'UCIGOS- all'attentato avrebbe partecipato anche un altro estremista, Santiago SANCHEZ BERNAT ed il `cervello' dell'operazione sarebbe stato un certo GOMEZ BENET detto `il Padrino', estremista di destra sospettato di avere legami con i servizi segreti spagnoli e anche quelli francesi, e che, all'epoca, si sarebbe trovato in Ispagna. Soggiungeva l'articolo comparso sul quotidiano bolognese che le rivelazioni di cui sopra potevano rilanciare le indagini in direzione delle "trame nere", riportando alla ribalta il problema delle ramificazioni internazionali del terrorismo di estrema destra, e "di eventuali collegamenti tra la strage della Rue Copernic e quelle di Bologna e di Monaco di
Baviera." Dopodiché,testualmente proseguiva: "Il quotidiano parigino infatti presenta Ernesto MILA come un `ammiratore incondizionato' del fascista italiano Stefano DELLE CHIAIE; e afferma anche che egli era molto legato con Francois DUPRAT, uno dei teorici del neofascismo francese, morto in un misterioso attentato in Normandia, nel 1978, quando la sua automobile era saltata in aria. MILA, che sarebbe l'autore di numerosi attentati commessi in Francia e in Spagna, e che attualmente si sarebbe rifugiato in Cile, era anche lui legato ad un altro estremista di destra spagnolo, Luis GARCIA RODRIGUEZ, grande amico del neofascista italiano Salvatore FRANCIA, espulso dalla Spagna l'11 giugno scorso..." Riferiva ancora il brano di stampa che Rafael TORMO ACOSTA era collaboratore della rivista neofascista spagnola `Confidencial' e che il MILA avrebbe fatto parte
del CEDADE (centro di studi degli amici dell'Europa), organizzazione neonazista con sede a Barcellona e con stretti legami con i principali gruppi estremistici di destra europei e americani. 27/07/81 Il 27 luglio il SISDE trasmetteva al Giudice Istruttore la
"sintesi di un appunto" (49), concernente i presunti collegamenti tra estremisti di destra europei, compilata sulla scorta di notizie fornite "dall'organo parallelo spagnolo". Vi si affermava non essere emersi, al momento, dati oggettivi in grado di avvalorare le informazioni riportate dai vari quotidiani e periodici; ma si aggiungeva:


"...secondo quanto riferito dallo stesso Servizio spagnolo, esisterebbero prove di contatti tra diversi gruppi della estrema destra europea. In particolare, le autorità investigative spagnole hanno accertato che Ernesto MILA RODRIGUEZ, Rafael TORMO ACOSTA, Alfredo ALEMANY e Vicente Ernesto GONZALES ASENZIO, arrestati nel decorso anno, avrebbero avuto contatti, nel secondo semestre del 1978, con Stefano DELLE CHIAIE a Parigi. In tali incontri il latitante italiano affermò di far parte della `Internazionale Fascista' e propose la creazione di certi `gruppi rivoluzionari d'azione' in grado di agire su scala internazionale con fini destabilizzanti nei confronti dei regimi democratici." Riferiva infine la sintesi che nel 1976

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(49) - RC, pp. 7-9. GOMEZ BENET aveva organizzato un `corso' cui avevano partecipato, oltre al DELLE CHIAIE, anche alcuni personaggi conosciuti come `ALFREDO', `EL CURA',`EL MIMO' e Giuseppe CALORE; e sottolineva come il nominativo `Alfredo' fosse già apparso in un intervista rilasciata "dal noto ABU AYAD". 1.3.9) Le dichiarazioni di Paolo ALEANDRI


07/08/81 Porta la data del 7/8/1981 il primo (in ordine cronologico) degli interrogatori resi da Paolo ALEANDRI all'autorità giudiziaria romana, nei quali egli, nell'ambito di una lunga e circostanziata narrazione della sua vicenda politica, veniva riferendo fatti e circostanze concernenti la formazione del gruppo gravitante attorno a `Costruiamo l'Azione',ilMovimentoPopolare Rivoluzionario e le sue attività, nonché le singole responsabilità degli aderenti a quest'ultima formazione. Nel corso dell'interrogatorio (50), l'ALEANDRI dichiarava: di essere stato avviato all'attività politica dal professore romano Fabio DE FELICE; di avere successivamente frequentato Aldo SEMERARI, Sergio CALORE e PaoloSIGNORELLI e vari gruppi di attivisti politici,

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(50) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 3-16.


indicati come il "GruppodiTivoli",il "GruppodiOstia" ed il "Gruppo del Nord", del quale ultimo facevano parte, fra gli altri, Marino GRANCONATO, Roberto RAHO, e Massimiliano FACHINI. Riferiva ancora che in tale ambiente era maturata l'esperienza di `Costruiamo l'Azione', e, successivamente, la decisione di passare a forme di lotta armata che superassero il discorso teorico propugnato dal giornale; che la decisione di divenire operativi era stata anche frutto di incontri dell'ALEANDRI con Bruno MARIANI e Marcello IANNILLI, e di contatti diretti con Massimiliano FACHINI e Roberto RAHO; che i contatti con il gruppo veneto capeggiato dal FACHINI avevano garantito l'approvvigionamento di armi ed esplosivo; che, sempre in collaborazione con il gruppo di Padova, era stato formulato un progetto di autofinanziamento, da realizzarsi mediante una serie di rapine (alcune delle quali, effettivamente commesse, venivano dettagliatamente indicate).


A proposito degli attentati compiuti nell'anno 1979, a Roma, contro il Campidoglio, il Carcere di `Regina Coeli', la sede del Ministero degli Esteri ed il Consiglio Superiore della Magistratura,rivendicati con la sigla M.R.P., riferiva che, su sua indicazione, Bruno MARIANI e Marcello IANNILLI avevano ottenuto un ingente quantità di esplosivo dal gruppo di Villalba di Guidonia (i cui componenti l'ALEANDRI indicava); che tale esplosivo era stato integralmente impiegato per gli attentati sopra elencati, ad eccezione dell'attentato al Campidoglio, per cui era stato utilizzato esplosivo proveniente dal RAHO e dal FACHINI; che autori materiali di detto attentato al Campidoglio (51) erano stati lo stesso ALEANDRI, lo IANNILLI ed il MARIANI, così come era avvenuto per `Regina Coeli' (52) e per la Farnesina (53); che, invece, dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura, benché l'ALEANDRI fosse consapevole dell'obiettivo da colpire, si erano occupati materialmente il MARIANI e lo IANNILLI; che costoro, poi, gli avevano detto d'aver regolato il `timer' per un'ora diurna, contrariamente ai precedenti accordi.




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(51) - L'episodio è del 20/4/1979: cfr. atti contenuti in RA, V6, C297, pp. 3-10.
(52) - Episodio del 14/5/1979:cfr. RA, V6, C297, pp. 22-33, e fascicolo relativo, in PA, V1.
(53) - Episodio del 24/5/1979:cfr. RA, V6, C297, pp. 17-21, e fascicolo relativo, in PA, V1.


10/08/81 Tre giorni più tardi l'ALEANDRI rendeva ulteriori dichiarazioni (54), riferendo,tra l'altro, che egli ed il CALORE (presentatogli dal SIGNORELLI) avevano teso a coinvolgere nel progetto politico sotteso a `Costruiamo l'Azione' determinate forze interessate al "superamento delle classiche posizioni di destra e di sinistra, per collocarsi in un'area squisitamente sociale": forze che costituivano "il più valido elemento destabilizzante per la ricostruzione di un apparato statuale" i cui tratti salienti l'ALEANDRI si riservava di esporre analiticamente; che del `gruppo del Nord' faceva parte anche Gianni MELIOLI; che il FACHINI gli aveva presentato Gilberto CAVALLINI, partecipe dei vari progetti di azioninell'ambito dell'attività di autofinanziamento.


11/08/81 Interrogato anche il giorno successivo, l'ALEANDRI riferiva(55) del progetto, poi attuato, di far evadere Franco FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro: progetto cui avrebbero collaborato, oltre a lui stesso, il FACHINI, il RAHO, Pancrazio SCORZA, Ulderico SICA ed il CALORE.



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(54) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 18-23.
(55) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 24-35.


E ancora d'aver conosciuto Egidio GIULIANI come capo di un gruppo in contatto con ambienti eversivi, avente a disposizione un grosso quantitativo di armi, con possibilità di reperire documenti e targhe false (sin dal giorno 8 aveva parlato della partecipazione di membri del gruppo GIULIANI, assieme a membri del suo gruppo, ad una rapina di autofinanziamento: la rapina alla Banca del Mattatoio, cui avevano preso parte, tra gli altri, Marco GUERRA, Armando COLANTONI e Bruno HASSEMER).


Nell'interrogatorio del 18/9/1981 (56), poi, testualmente dichiarerà: "...per quanto concerne gli attentati di cui ho parlato e rivendicati con la sigla M.R.P. desidero far presente quanto segue. Nelle riunioni che periodicamente venivano tenute a casa di SIGNORELLI ed alle quali partecipavano diverse persone anche provenienti dal gruppo veneto, argomenti come attentati e fatti di sangue erano per così dire pane quotidiano. Il SIGNORELLI quasi si gratificava di mostrarsi agli altri come una belva assetata di sangue. Il CALORE si poneva sulla stessa linea del * * ** *
(56) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 36-60.


SIGNORELLI,sebbene fosse più un politico che un operativo. Debbo però dire che tutto l'ambiente di `Costruiamo l'Azione' era permeato di discorsi sulla violenza e sugli attentati ed è quindi evidente che tutti i componenti di detto ambiente erano a conoscenza che gli attentati MRP provenivano da noi, come d'altra parte ho già detto."


In altro passo dello stesso interrogatorio affermerà: "Fausto LATTINO" (sic) e "Benito ALLATTA frequentavano le riunioni di Ostia di cui ho parlato nei precedenti interrogatori e manifestavano la loro disponibilità anzi che avevano la disponibilità o che comunque potevano reperire esplosivo."

Il 21/10/1981, sempre all'autorità giudiziaria romana, riferirà (57) che il gruppo veneto gli aveva richiesto due divise dell'Arma (una da carabiniere ed una da ufficiale), per una non meglio precisata operazione.


Esaminato per la prima volta dal Giudice Istruttore del presenteprocedimento, il 5/11/1981,dirà (58), tral'altro d'aver sentito i componenti del gruppo veneto parlare di

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(57) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 61-78.
(58) - EA, V10/a-4, C190/3/2, pp. 1-2.


RINANI come appartenente al loro gruppo.


Il 2/3/1982, nell'interrogatorio (59) reso al Giudice Istruttore di Roma: "...discorsi circa l'attività illegale avvenivano spesso e ritengo che il gruppo del Nord, come mi venne riferito da FACHINI e da RAHO, praticasse l'autofinanziamento: infatti FACHINI e RAHO mi avevano parlato di rapine commesse ai danni di uffici postali nella zona di Padova e dintorni. In proposito rammento bene che all'inizio dell'attività del giornale il FACHINI diede dei soldi per le esigenze della testata dicendo che provenivano per l'appunto da dette rapine...in genere tutto il gruppo del Nord propugnava una linea militarista manifestando propensione per una rigida organizzazione da dare al movimento..."


Il 2/8/1982, di nuovo al Giudice Istruttore del presente procedimento (60), sviluppando un tema già trattato il 5/11/1981: "...il GELLI mi fu presentato da DE FELICE Alfredo ed ebbi modo di frequentarlo...in particolare curavo i rapporti col GELLI di DE IORIO Filippo..."



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(59) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 89-98.
(60) - EA, V10/a-4, C190/3/2, p47 recto e verso.


Il tema sarà nuovamente ripreso nella deposizione (61) resa, sempre al Giudice Istruttore del presente procedimento, il 9/5/1983. Da tale atto emerge che, in prosieguo di tempo, il ruolo di tramite l'ALEANDRI avrebbe continuato a svolgerlo tra il GELLI ed il fratello di Alfredo DE FELICE, Fabio; l'ALEANDRI afferma poi: "Debbo dire che la mia rottura è iniziata quando ho capito che non era il rapporto con GELLI ad essere strumentale rispetto ai fini della nostra organizzazione, ma che la nostra organizzazione era strumentale rispetto ai fini di GELLI e DE FELICE". Nel verbale della medesima deposizione si legge: "...io fino al settembre del 1979 ho fatto parte di una organizzazione di carattere eversivo che faceva capo a DE FELICE, SIGNORELLI, CALORE, DANTINI, FACHINI. Naturalmente questi personaggi nel tempo hanno acquistato nell'organizzazione un'importanza ed un rilievo diversi. Il DE FELICE però è sempre stato il maggior punto di riferimento dell'organizzazione alla quale ho appartenuto e nella quale io godevo della massima fiducia da parte del DE

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(61) - EA, V10/a-4, C190/3/2, pp. 59-64.


FELICE. Questa organizzazione iniziò ad operare in modo concreto, perlomeno a quanto mi risulta, nel periodo di tempo successivo all'arresto di CONCUTELLI che è del '76." Nel 1978, da parte degli operativi, era stata compiuta una serie di attentati non rivendicati; dopodiché era stato varato il programma degli attentati rivendicati con la sigla M.R.P. Sul problema della rivendicazione -sotto il profilo della valenza `politica' e delle implicazioni- vi era stata una divaricazione tra coloro che -come lo stesso ALEANDRI ed il CALORE- erano contrari ad azioni non puramente dimostrative da chiarire di volta in volta, e coloro che -come Enzo Maria DANTINI e Fabio DE FELICE- erano contrari alla rivendicazione, sia pure per motivi tra loro diversi.


Il 2/10/1982, al Giudice Istruttore di Roma, aveva intanto descritto (62) il gruppo che si coagulerà intorno a `Costruiamo l'Azione' come un momento di riaggregazione, su altre basi, di Ordine Nuovo. Nel corso di varie riunioni, cui parteciparono l'ALEANDRI, il DE FELICE, il SIGNORELLI, il CALORE, il FACHINI, il DANTINI e forse anche Roberto

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(62) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 104-108.


INCARDONA, si manifestò l'esigenza di adattamento ad una nuova realtà politica, tenendo conto dei fermenti degli ambienti giovanili. Sviluppano siffatto concetto le dichiarazioni del 26/10/82, ancora al Giudice Istruttore di Roma (63): "...L'esigenza di unificare alla progettualità di Costruiamo l'Azione il movimento T.P." (Terza Posizione) "nasceva dal fatto che si tentava di costruire un'area di consensi il più estesa possibile al fine di evitare inutili doppioni e di coordinare l'attività di singoli gruppi da un punto di vista esclusivamente politico lasciando mano libera per le singole azioni. Prova della riuscita di tale progettualità, che era comune a tutti, compreso il DANTINI, è costituita dall'attentato alla Honeiwell realizzato, come mi riferì Bruno MARIANI, dal gruppo di Egidio GIULIANI, il quale ultimo, malgrado avesse, in quel momento, totale autonomia operativa, utilizzò, per rivendicare il gesto, un simbolo grafico apparso su Costruiamo l'Azione, e cioè una mano che impugnava un mitra." Il 24/2/1983, ancora una volta al Giudice Istruttore di

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(63) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 109-110.


Roma, aveva, tra l'altro, dichiarato (64) d'aver interpellato il MARIANI e lo IANNILLI, dopo l'attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura, su due circostanze: perché l'attentato non fosse stato realizzato secondo i piani, cioè perché l'esplosione non fosse stata programmata per un'ora notturna; e, ancora, perché la bomba


non fosse esplosa. Al primo quesito gli interlocutori dell'ALEANDRI avrebbero risposto in maniera vaga e minacciosa, al secondo non avrebbero risposto affatto. Aveva poi appreso da Rossano MONNI che costui ed il MARIANI erano tornati presso la sede del C.S.M. per recuperare l'esplosivo: iniziativa da cui avevano poi desistito. Nel medesimo interrogatorio l'ALEANDRI indicava anche i nomi degli autori dei `fogli d'ordini' (65), testualmente affermando: "Prendo visione dei 'fogli d'ordine'...e circa gli autori degli stessi posso dire che essi vennero redatti in comune tra il gruppo del Nord, me, CALORE, SIGNORELLI e DE FELICE, con contributi di diverso peso."




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(64) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 117-123.
(65) - Cfr. supra, sub 1.1.3.4): i `fogli d'ordini' erano stati sequestrati il 21/12/1978 nell'abitazione di Gianluigi NAPOLI.


1.3.10)La perizia chimico-esplosivistica comparativa


24/08/81 Il 24/8/1981 il Giudice Istruttore del presente procedimento convocava i medesimi periti che avevano proceduto alla prima indagine chimico-esplosivistica, ed affidava loro un ulteriore incarico, nei seguenti termini (66): "Eseguano i periti ogni utile accertamento di natura chimica atto a verificare ove possibile direttamente, ovvero sulla scorta delle risultanze di indagini peritali disposte da altra autorità giudiziaria o dai rilievi di organi di P.G. la composizione delle seguenti materie esplodenti:


1) esplosivo rinvenuto a Bologna il 13/1/1981 nel convoglio ferroviario Taranto-Milano;


2) esplosivo rinvenuto e sequestrato a Roma il 20/5/1979, destinato ad attentato al Consiglio Superiore della Magistratura;


3) esplosivo utilizzato a Roma il 14/5/1979 per l'attentato al Carcere di Regina Coeli;


4) esplosivo utilizzato a Roma il 20/5/1979 nell'attentato al Ministero degli Esteri;




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(66) - PA, V1, C2, p30 verso.


ed effettuino successivamente l'esame comparativo fra le materie esplodenti di cui ai nn. 1-4 fra loro e con l'esplosivo da ritenere impiegato per consumare la strage del 2/8/80 quale risulta dalla relazione peritale già depositata; ed evidenzino gli elementi di identità strutturale o di funzionamento o comunque leaffinità di carattere singolare che dovessero emergere da tale raffronto. Vogliano altresì esplicitare la motivazione per cui, nella relazione peritale già depositata, è stata ritenuta maggiormente verosimile l'ipotesi dell'innesco chimico dell'ordigno e riferire anche se un contenitore costituito da lattine per bevande quale risultarinvenuto" (67) "e sequestrato (contenitore da 5 litri di birra Becker) avrebbe potuto produrre frammenti o schegge metalliche di dimensioni apprezzabili, aumentare la capacità dirompente dell'ordigno ovvero essere necessario, utile o opportuno per contenere l'esplosivo."

1.3.11) La richiesta di emissione di mandato di cattura per strage nei confronti di Roberto FIORE


Nel frattempo veniva arrestato a Londra Robero FIORE. In

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(67)- Presso il Bar-ristorante `La Taverna' di Fasano di Puglia: cfr. supra, sub 1.2.20). 14/09/81 data 14/9/1981 la Procura richiedeva (68) al Giudice
Istruttore di voler, tra l'altro, emettere mandato di cattura per concorso organizzativo nel delitto di strage e di inoltrare quindi richiesta di arresto provvisorio a fini estradizionali per tale delitto. Scriveva il PUBBLICO MINISTERO:"gli indizi risultano dalla complessa attività criminosa del FIORE, e dagli elementi emergenti dal proc. Quex circa la presenza del FIORE in Bologna nel marzo 1980, unitamente all'ADINOLFI, per organizzare attentati."


1.3.12) Il secondo viaggio in Libano del Giudice Istruttore


novembre Nei giorni 18, 19 e 20 del mesi di novembre, il Giudice 1981 Istruttore, dott. GENTILE, recatosi di nuovo in Libano, non ebbe miglior fortuna di quanta ne avesse avuta nel luglio; si legge nel `pro-memoria' del 2° viaggio (69): "Nei giorni 18-19 e 20 novembre, il GIOVANNONE tiene colloqui, in francese, in mia presenza, con il vice-capo della polizia libanese, e con due membri dell'OLP. Sulla base di tali colloqui e di suoi ricordi personali, non scaturenti da incarichi di servizio, ho redatto gli appunti allegati in


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(68) - RI, C3, p88.
(69) - RD, V2, C16, p3.


copia, mentre ho trasmesso gli originali al SISDE." Dal contenuto di detti appunti (70) traspare che l'Istruttore potè raccogliere soltanto notizie destinate a rivelarsi del tutto inconcludenti.


1.3.13)La richiesta del novembre 1981 di emissione di mandati di cattura per strage e delitti connessi


25/11/81 Il 25/11/1981 il PUBBLICO MINISTERO chiedeva (71) al Giudice Istruttore di emettere mandato di cattura per strage e per i delitti connessi (72) a carico di Paolo SIGNORELLI, Massimiliano FACHINI, Roberto RINANI, Mario TUTI, Edgardo BONAZZI, Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO. Gli elementi diprova posti dall'ufficio requirente e a fondamento della propria richiesta sono così puntualmente sintetizzati nella parte del provvedimento conclusivo dell'istruttoria che qui di seguito testualmente si trascrive (73):


" a)deposizione di PRESILIO VETTORE della quale si è già riferito;


b) deposizione di Paolo BIANCHI, Aldo Stefano TISEI e

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(70) - Trovansi in RD, V2, C16, pp. 4-9.
(71) - Cfr. RI, C3, pp. 144-149.
(72) - Nella richiesta, per evidente omissione materiale, si menzionano i soli delitti connessi: il P.M. chiarirà poi comunque le sue intenzioni nel formulare l'imputazione il 7/12/81:cfr.RI, C3, pp. 150-151. (73) - SO, da p129 rigo 19 a p129 rigo14. LATINI sullo stesso argomento;


c) deposizione di NICOLETTI e documentazione tratta dalla rivista 'Quex' per argomentare la sussistenza di sufficienti indizi nei confronti del TUTI e del BONAZZI;


d) deposizione di Massimo SPARTI della quale si è già riferito concernente la posizione di Valerio FIORAVANTI e di Francesca MAMBRO;


e) documento ideologico programmatico rinvenuto nella cabina telefonica, del quale si è detto;


f) le dichiarazioni di Paolo ALEANDRI al G.I. di Roma del 7/8/81, del 10/8/81, dell'11/8/81, del 18/9/81, del 21/10/81..."

Con la stessa missiva, il PUBBLICO MINISTERO dichiarava di ribadire inoltre la richiesta di cattura nei confronti di Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, facendo riferimento alla propria missiva del 14 settembre (74). E così motivava: "...la loro presenza a Bologna nei mesi precedenti alla




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(74) - Per la verità -come si è visto (cfr. supra, sub 1.3.11)- la richiesta del 14 settembre riguardava il solo FIORE. strage, così come viene riferita dal NALDI, costituisce l'indubbio prologo della strage ed è assolutamente ininfluente la circostanza che in quell'incontro fosse stata richiesta al NALDI la collaborazione per un attentato diverso da quello alla stazione, in quanto i collegamenti esistenti tra costoro, ZANI, TUTI e con tutto l'ambiente romano dimostrano che l'attentato di cui ADINOLFI e FIORE parlarono con NALDI altro non era che il primo abbozzo di quello che poi doveva essere l'attentato alla sala d'aspetto della stazione di Bologna."
































1.4) 28 novembre 1981 - 22 aprile 1982
Dall'avvio della `pista CIOLINI' all'ordinanza
della Sezione Istruttoria pronunciata in sede
di gravame avverso le ordinanze del Giudice
Istruttore in data 5, 12 e 16/1/1982


1.4.1)Il rapporto dei Carabinieri di Bologna in data 28/11/1981


28/11/81 Verso la fine di novembre, il Capitano Paolo PANDOLFI, comandantela 1ª Sezione del Nucleo Operativo del Gruppo Carabinieri di Bologna,trasmetteva al Giudice Istruttore un rapporto (1), il cui contenuto è così illustrato nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria (2): "...tale CIOLINI Elio, detenuto nel carcere ginevrino di Champ Dollon aveva chiesto al Console italiano di quella città di poter parlare con un Ufficiale dei carabinieri. Successivamente aveva scritto al console Ferdinando MOR in data 10 novembre '81 una missiva contenente un memorandum nel quale illustrava le attività di un'organizzazione terroristica, la O.T., presente nel nostro paese ed operante attraverso una ramificata struttura di `società commerciali', `agenzia di stampa', `uomini (dirigenti) in società Industriali' nel settore pubblico e privato ...Nel memorandum inviato al MOR

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(1) - RB, V1, C3.
(2) - SO, da p189 rigo 3, a p192 rigo 13.


si riferiva in modo sintetico che la O.T. finanziava le sue attività con il `Kidnapping' eil traffico della droga in connessione con la Mafia. Che il riciclaggio del denaro proveniente da tale multiforme attività avveniva in Svizzera. La O.T. -che si affermava collegata con le Brigate Rosse in Italia e con una frazione dell'O.L.P. guidata da Nayef Hawetmeh, responsabile della `disparizione' di due giornalisti italiani (TONI e DI PALO)- era, secondo il citato memorandum, implicata negli affari DE MAURO (connessione Mafia), SINDONA, GELLI...L'O.T. veniva quindi indicata come responsabile -per l'Italia- dei massacri di Piazza Fontana, dell'Italicus, di Bologna, del `Golpe Borghese', dei fatti di Reggio Calabria, nonché di illeciti traffici valutari e di narcotici. CIOLINI concludeva asserendo che vi erano possibilità di infiltrazione nei `quadri dirigenti' della O.T., della Mafia e delle B.R. perché egli era in possesso della lista completa dei principali responsabili della O.T. ed aveva i `contatti necessari' con personalità di rilievo in Italia e altri paesi. Il 26/11/1981 il Capitano Paolo PANDOLFI, comandante la Prima Sezione del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Bologna, si incontrava nel carcere di Ginevra con il CIOLINI, che confermava quanto già scritto, nello zoppicante italiano infarcito di gallicismi che ne contraddistingue lo stile, in un memorandum (al quale aggiungeva, consegnandolo all'Ufficiale dei Carabinieri venuto a colloquio con lui `un supplemento parziale di informazione'), ed inoltre dichiarava di essere un agente dei servizi segreti francesi, operante da una decina d'anni in America Latina, e infiltrato nella O.T. Di essere iscritto a una loggia massonica, la `Montecarlo', organizzata da Licio GELLI e di aver partecipato, a Nizza e a Montecarlo, a numerose riunioni insieme con cittadini italiani che si riservava di nominare. Di conoscere i nomi dei due italiani, esecutori materiali della strage del 2 agosto '80 alla stazione di Bologna, indicandoli come collaboratori di Stefano DELLE CHIAIE, con il quale asseriva di aver `dormito' e `operato' in Bolivia per molti mesi. Aggiungeva CIOLINI che dietro la strage di Bologna erano sicuramente presenti la O.T. e Licio GELLI e che Stefano DELLE CHIAIE aveva stretti legami con ambienti finanziari e politici europei ed italiani. Asseriva CIOLINI che se le sue richieste fossero state accolte (rimpatrio in Italia e assunzione ufficiale o ufficiosa da parte del Ministero degli Interni o della Difesa), avrebbe rivelato particolari più precisi sugli argomenti trattati, documentando tutte le sue affermazioni con un `dossier'da lui compilato e custodito in un luogo sicuro. Il rapporto concludeva informando il Giudice Istruttore che CIOLINI era detenuto per `reati comuni' commessi in Svizzera in complicità con un altro, e che, per timore di DELLE CHIAIE e delle possibili ritorsioni nei suoi confronti, si era spontaneamente costituito alla polizia svizzera (fatto quest'ultimo asserito dal CIOLINI stesso)."


1.4.2)Il deposito della perizia chimico-esplosivistica comparativa


07/12/81 Il 7 dicembre i periti officiati nell'agosto depositavano l'elaborato (3). Avevano così risposto ai quesiti del Giudice Istruttore (4):


"L'esplosivo rinvenuto a Bologna il 13 gennaio 1981 sul



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(3) - Cfr. verbale di deposito, in PA, V1, C2, p32.
(4) - Cfr. pp. 66 e ss. dell'eleborato peritale, raccolto in separato fascicolo, in PA, V1. convoglio ferroviario Taranto-Milano è di due tipi distinti
nettamente diversi l'uno dall'altro e confezionati in separati contenitori (un tipo era contenuto in due degli otto barattoli di conserva alimentare repertati e l'altro nei rimanenti sei).


Il primo, costituito da una massa untuosa e stuccosa, relativamente omogenea e di colore fondamentale ambrato, è risultato essere un esplosivo per impieghi civili gelatinato del tipo stabilizzato con solfato di bario.


Il secondo, costituito da frammenti irregolari di materiale consistente di colore giallognolo ed, in qualche caso, brunastro, frammisti a polverino giallognolo, è risultato essere un esplosivo di impiego militare, denominato `COMPOUND B' di corrente utilizzazione nel munizionamento terrestre ed aereo. La presenza in esso di frammenti con parte della superficie colorata in bruno consente di formulare l'ipotesi molto attendibile che l'esplosivo analizzato fosse costituito da materiale di recupero dallo scaricamento di munizioni.


L'esplosivo rinvenuto e sequestrato a Roma il 20 maggio 1979 e destinato ad un attentato al Consiglio Superiore della Magistratura, costituito da 94 candelotti di esplosivo per impieghi civili, è risultato appartenere alla classe dei gelatinati...


L'esplosivo utilizzato a Roma il 14 maggio 1979 nell'attentato al carcere di Regina Coeli è andato completamente distrutto nello scoppio. L'assoluta indisponibilità dei reperti non consente di formulare nemmeno un'ipotesi sulla natura della carica esplosa nella particolare circostanza.


L'esplosivo utilizzato a Roma il 24 maggio 1979 nell'attentato al Ministero degli Affari Esteri è andato completamente distrutto nello scoppio. L'indisponibilità dei pochi reperti relativi all'episodio anzidetto da parte del collegio ha impedito di operare accertamenti utili al fine della individuazione della carica esplosiva usata.


L'esame comparativo delle materie esplodenti di cui ai nn. 1-4 dell'incarico peritale effettuato fra loro e con l'esplosivo da ritenersi utilizzato a Bologna per consumare la strage del 2 agosto 1980 permette di formulare le seguenti considerazioni:


- L'esplosivo GELB" (5) "rinvenuto e sequestrato a Romail 20 maggio 1979 in occasione dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura è del tutto diverso, per composizione, sia da quelli rinvenuti alla stazione ferroviaria Centrale di Bologna il 13 gennaio 1981 che da quello che si presume impiegato per la strage del 2 agosto 1980;


- l'esplosivo gelatinato, stabilizzato con solfato di bario, rinvenuto alla Stazione ferroviaria Centrale di Bologna il 13 gennaio 1981, possiede molti punti di contatto, per caratteristiche di composizione qualitativa, con quello da ritenersi utilizzato a Bologna il 2 agosto 1980;


- di natura completamente differente è invece il COMPOUND B (miscela di tritolo e T4) che costituisce l'altro esplosivo rinvenuto il 13 gennaio 1981 a Bologna, una cui piccola quantità potrebbe però essere entrata nella


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(5) - L'indicazione proveniva dlla perizia disposta dall'A.G. romana sull'esplosivo in questione: cfr. conclusioni del perito VACCHIANO (cui i periti bolognesi facevano in proposito rinvio) alla pagina 34 dell'elaborato peritale del medesimo, che trovasi in PA,V1.


composizione della carica esplosiva impiegata per la strage del 2 agosto 1980 (come dettagliatamente precisato nella presente relazione a proposito dell'ipotesi giustificativa della presenza di T4 nei prodotti residui dell'esplosione anzidetta).


Dagli esami comparativi sono stati, ovviamente, esclusi i materiali esplodenti impiegati a Roma il 14 e 24 maggio rispettivamente negli attentati al carcere di Regina Coeli e al Ministero degli Affari Esteri. Il collegio peritale non ha potuto infatti acquisire alcun serio elemento di giudizio circa la natura delle cariche esplosive impiegate.


Nessuna identità di funzionamento si è evidenziata tra gli ordigni esplosivi rinvenuti nella Stazione ferroviaria di Bologna Centrale il giorno 13 gennaio 1981 e quello presumibilmente impiegato per la strage del 2 agosto 1980, essendosi escluso in modo assoluto che l'attivazione di quest'ultima carica esplosiva possa esser stata realizzata convenzionalmente, a mezzo di miccia a lenta combustione. Non può escludersi, invece, una teorica identità di funzionamento dell'ordigno esplosivo, collegato ad un congegno temporizzante, rinvenuto a Roma il 29 maggio 1979 presso il Consiglio Superiore della Magistratura e quello dell'ordigno esplosivo presumibilmente impiegato nella strage del 2 agosto 1980.


L'assoluta mancanza di reperti significativi, pur accuratamente ricercati, e la certezza che la catena incendiva doveva essere collegata ad un congegno temporizzante, sono i motivi che giustificano, tra le altre ipotesi possibili, quella dell'innesco chimico come mezzo più probabilmente usato per innescare la carica esplosa a Bologna il 2 agosto 1980.


Una carica esplosiva racchiusa in un contenitore (lattina di birra da 5 litri) quale quella marca 'Becker' rinvenuta e sequestrata non avrebbe potuto produrre frammenti e schegge metalliche di dimensioni apprezzabili; un tale contenitore di lamierino sottile avrebbe aumentata la capacità distruttiva della carica non per effetto di una partecipazione dell'involucro esterno al processo di detonazione ma,bensì, per il conseguimento di una più elevata densità di caricamento rispetto ad una `carica nuda'; il contenitore tipo lattina di birra non era necessario per assicurare un più sicuro funzionamento della carica esplosiva; sul piano strettamente pratico e psicologico, sia per facilitare le operazioni di trasporto che per favorirne l'occultamento, l'uso di un contenitore del tipo anzidetto può ritenersi senz'altro utile ed opportuno per contenere l'esplosivo."
1.4.3) Le dichiarazioni di Fausto DE VECCHI


Massimo SPARTI, deponendo come teste davanti al Giudice Istruttore del presente procedimento, aveva confermato, il 13 maggio (6) prima, ed il 23 luglio (7) poi, le dichiarazioni giàrese all'autorità giudiziaria di Roma in ordine alla visite di Valerio FIORAVANTI ed alla richiesta di documenti che costui gli aveva rivolto due giorni dopo la strage. Lo SPARTI era venuto anche meglio precisando il racconto; in particolare, nella deposizione del luglio, aveva riferito: "...gli ho subito chiarito che era impossibile soddisfare la sua richiesta entro la giornata,


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(6) - EA, V10/a-4, C163/1, pp. 1-2.
(7) - EA, V10/a-4, C163/1, pp. 19-20.


di modo che ci siamo accordati nell'incontrarci nuovamente a casa mia l'indomani mattina. Subito dopo sono andato da Fausto DE VECCHI, nel suo negozio di Torre degli Schiavi, e gli ho formulato la richiesta. Anch'egli ha convenuto che i documenti non potevano essere approntati prima dell'indomani e ci siamo lasciati con tale intesa. Nelle prime ore del mattino sono andato da lui ed egli mi ha detto, nel consegnarmeli, che era stato fortunato nell'incontrare Mario a Roma, giacché in quei giorni si trovava solitamente al mare. Non sono certo, a questo punto, se i due documenti erano in bianco ovvero recavano il nome di un falso intestatario. Al DE VECCHI ho dato il corrispettivo di 300 mila lire. Non ricordo se il FIORAVANTI mi ha poi rimborsato." Poi, rispondendo ad una domanda dell'Istruttore, aveva così continuato: "DE VECCHI mi ha sempre detto di essersi rivolto per le falsificazioni al GINESI e, come ho già detto, non ho mai dubitato della verità di tutto ciò per avere visto spesso il GINESI dal DE VECCHI, e il primo falsificare targhe di autoveicoli nel suo garage. E' innegabile però il fatto che io ho sempre pagato nelle mani del DE VECCHI e che in nessuna occasione ho ricevuto documenti falsi dal GINESI...Valerio mi disse anche di essersi recato a Milano per reperire i documenti e di essere venuto a Roma in quanto colà non aveva potuto procurarseli: per me non c'è dubbio che dopo esser stato il due a Bologna ed il 3 a Milano, è venuto a casa mia nel pomeriggio del 4 agosto 1980."


08/12/81 L'8 dicembre veniva esaminato Fausto DE VECCHI (8). Questi, nel confermare d'aver fornito i documenti allo SPARTI in una data che poteva coincidere con i primi giorni d'agosto, affermava -come già aveva fatto lo SPARTI il 23 maggio, in tal senso correggendo l'originaria versione- che i documenti erano in bianco, cioè privi di ogni dato anagrafico, e che dovevano essere due. Affermava ancora di ritenere di escludere che le fotografie consegnategli dallo SPARTI perchè fossero apposte sui documenti falsi riproducessero sembianze di persona di sesso femminile.


A distanza di qualche mese, il 6/5/1982, lo SPARTI ed il DE VECCHI saranno posti a confronto (9): il primo insisterà nel



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(8) - EA, V10/a-4, C163/1, p26.
(9) - EA, V10/a-4, C163/1, p43. dire d'aver consegnato due fotografie uguali della ragazza,


scattate "dagli apparecchi automatici"; ed il secondo testualmente dirà: "Prendo atto di quanto afferma lo SPARTI e dichiaro che non posso essere certo nell'affermare che le due foto si riferissero ad un uomo. Non posso né confermarlo né escluderlo...in sostanza non posso escludere che le foto consegnatemi da SPARTI ed i relativi documenti fossero per una donna..."


Va detto che, sulla base delle prime dichiarazioni dello SPARTI, si era risaliti a Mario GINESI quale possibile falsificatore e costui, esaminato sul punto, aveva escluso la propria responsabilità (10). LO SPARTI, in sede di confronto col GINESI (11) e nell'esame testimoniale del 23 luglio -come s'è visto- aveva chiarito l'equivoco e le sue cause. E in effetti, il DE VECCHI, nuovamente esaminato il 17/6/1983 (12), dichiarerà che a fornirgli i documenti in questione era stato non il GINESI, ma tale `Zibibbo' (13),


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(10) - Interrogatorio reso il 13/4/1981 al P.M. di Roma, in EA, V10/a-5, C200, p2.
(11) - EA, V10/a-4, C163/1, p17.
(12) - EA, V10/a-4, C163/1, pp. 112-113.
(13) - Successivamente identificato in CARLOSTELLA Giuseppe, il quale, il 30/6/1983 (cfr. verbale in EA, V10/a-5, C238, p1) dichiarerà al G.I.di aver svolto attività
di falsificatore e di non poter escludere d'aver fornito due documenti al DE VECCHI.


dal GINESI presentatogli in precedenza.


1.4.4) Sviluppi della `pista CIOLINI'


Nel dicembre del 1981 si registrano i primi sviluppi di quella che può ormai esser definita `pista CIOLINI'. Essi sono così sintetizzati nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria (14):


11/12/81 "Con rapporto dell'11/12/1981," (15) "i Carabinieri di Bologna informavano il G.I. che il citato capitano PANDOLFI -il giorno 4/12/81- si era nuovamente recato a Champ-Dollon dove, autorizzato dal G.I., aveva avuto un altro colloquio con CIOLINI. Costui gli aveva riferito che `negli anni settanta si era verificata una magmatica ricomposizione di interessi economico-politici, che utilizzano l'estremismo armato in loro funzione'. In tale quadro gli interessi di GELLI e di SINDONA portarono al contatto degli stessi con Stefano DELLE CHIAIE. Aggiungeva CIOLINI che i succitati personaggi avevano per tale ragione riorganizzato `Ordine Nuovo' e dato alla struttura così creata una dimensione internazionale. Che Ordine Nuovo disponeva in Italia di


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(14) - SO, da p192 rigo 14, a p198 rigo 15.
(15) - RB, V1, C4, pp. 1-24.


società di copertura `che si occupano di Import-Export' con


sede a Roma e Milano; che uno degli autori della strage del 2 agosto '80 era impiegato presso la società con sede a Milano, mentre l'altro, al momento residente in Argentina, era redattore della rivista `Confidential', venuto in Italia dall'Argentina con 'passaporto italiano falsificato in Argentina'. Asseriva ancora CIOLINI che DELLE CHIAIE viveva stabilmente in Bolivia, dove occupava un importante incarico nel S.E.S. (Servicio Especial Seguridad), e che, di tanto in tanto, veniva in Italia ospite della sua amante, una maestra elementare romana. CIOLINI aggiungeva che nel dicembre '79 o nel gennaio '80 si era incontrato a Punta dell'Est, Montevideo, con Licio GELLI, e che nel corso di tale incontro avevano discusso di finanziamenti alle attività terroristiche e di organizzare campi di addestramento per terroristi. Che la sede della loggia P2 era ineffettia Montecarloe che lalista completa degli aderenti era in mano ad un avvocato fiorentino che si riservava di indicare. Che della Loggia P2 faceva parte un ex ufficiale della Marina Militare Italiana, attualmente impiegato presso la 'OTO MELARA', occultamente impegnato in
un traffico clandestino di armi in favore della Libia. Che i giornalisti italiani DE PALO e TONI erano nelle mani della `Ala Intransigente' dell' O.L.P. in quanto avevano scoperto un traffico d'armi organizzato da DELLE CHIAIE a favore di detta organizzazione. In allegato al rapporto i Carabinieri trasmettevano un plico sigillato fatto pervenire 'attraverso il Consolato Generale d'Italia in Ginevra' da CIOLINI al Giudice Istruttore contenente una nota sulla struttura della O.T. e l'elenco dei `Fratelli inscritti (sic) al 30/12/79 alla Loggia Riservata', contenente una serie di nominativi del mondo politico, economico e sindacale italiano (tra questi LAMA, AGNELLI, ALMIRANTE, ANDREOTTI, ecc.). Nel plico era anche contenuta una 'informativa Loggia Riservata'- Trilaterale et O.T., nella quale si riferisce:


Che il 5 marzo 1980 una Finanziaria svizzera aveva emesso un `Ordre de Bonification' di oltre cinque miliardi di lire a favore di un gruppo industriale italiano spiccandolo sulla Banque Bruxelles Lambert di Losanna; che tale danaro doveva servire a rastrellare sul mercato azioni dell'E.N.I. e, per una parte, 575 milioni di lire, era stato utilizzato per
pagare il rappresentante di un partito politico italiano con lo scopo di non aver ostacoli da parte dei deputati del Parlamento all'operazione che si intendeva svolgere. Che allo scopo di `rafforzare il Governo dell'epoca e stabilizzarlo vis a vis dell'opinione pubblica necessita una pressione'. Si pensa, allora,ad un'azione di clamore. `La loggia riservata, membro operativo della trilaterale, suggerisce in sede di consiglio che la direzione per certa azione sia affidata alle O.T. Si conoscono i noti eventi di Bologna in agosto. L'azione serve in verità a manipolare il potere. E' previsto che il Governo non farà obiezione alla vendita del gruppo E.N.I. I deputati non opporranno il `veto' a qualunque proposizione governativa, visti i problemi di ordine interno, ai quali il Governo sarà sottoposto in quei giorni...'


Nel documento era riferito, inoltre, che il giorno 11 aprile '80, nella sede di Montecarlo della LoggiaRiservata, era stato redatto un processo verbale delle decisioni prese alla riunione dei `Fratelli Fondatori' dove si era deciso l'acquisto delle azioni del Gruppo E.N.I., l'intervento

della O.T. in Italia, `l'accettazione' (sic) dei fondi versati. Che la copia del processo verbale e dei versamenti ricevuti si trovavano presso la sede della Loggia a Montecarlo. Il documento ancora riferiva che nel mese di maggio 1980, da Parigi erano andati a Buenos Aires in Argentina alcuni `Fratelli' per contattare Stefano DELLE CHIAIE,responsabile della O.T.. DELLE CHIAIE, il 24 luglio '80, era arrivato a Parigi con un volo Rio-Parigi dell'Air France, per tornare nel settembre '80 nuovamente in Argentina. Il documento (redatto in modo discontinuo e criptico) riferiva ancora a proposito della strage di Bologna... `Mandanti: Loggia Riservata, Esecutori O.T.; Motivi: Manipolazione Governo e azione finanziaria...' `...Il 26giugno '80 partono per l'Italia da B.A. con missione di contattare alcuni dirigenti di sedi locali dell'O.T., a Roma e Milano, ai fini di preparare l'azione prevista, il Sign. Mario BONOMI e il Sign. Maurizio GIORGI. (Non si può affermare che abbiano viaggiato su (sic) l'identità descritte, ma sono conosciuti a Buenos Aires come tali). Le società citate a margine appartengono all'O.T. ma
non si ha conoscenza se sono queste ultime che hanno coordinato i tragici eventi di Bologna.


- Società Promicon, via Udine 5 Bergamo tel. 250247
- Odal (sic) Prima, via Satrico 7, Roma tel. 7577064
Responsabili A. BELLINI ? alias Carmelo'.


12/12/81 Il G.I., con nota del 12/12/81" (16)..."incaricava il reparto operativo dei CC. di Bologna di compiere accertamenti sulle dichiarazioni rese da CIOLINI nel corso dei colloqui con il Capitano PANDOLFI e sui documenti 21/12/81trasmessial Magistrato.Con rapporto del 21/12/81," (17) ...i Carabinieri di Bologna riferivano di avere identificato compiutamente quasi tutti gli appartenenti alla Loggia Riservata, di avere individuato i titolari delle due società indicate dal CIOLINI e i loro soci: GRANITI Alfredo, quale titolare della ditta Promicon di Bergamo, agente di commercio per la A.V.I.S. S.p.A. di Torino e PALLADINO Carmine, PALLADINO Roberto, CITTI Piero, socio accomandante il primo, e accomandatari i secondi della ODAL S.a.S. con oggetto sociale: servizi di amministrazione e consulenza aziendale. Inoltre, l'avvocato fiorentino indicato dal

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(16) - RB, V1, C5, pp. 1-2. (17) - RB, V1, C5, pp. 3-20. CIOLINI veniva identificato nel legale FEDERICI Federico..."


1.4.5) Le ordinanze del gennaio 1982 e l'appello del PUBBLICO MINISTERO avverso le stesse


05/01/82 Il primo atto del nuovo anno era l'ordinanza di scarcerazione di Dario PEDRETTI e Sergio CALORE per sopravvenuta mancanza d'indizi (18). Nella motivazione del provvedimento si legge, in sostanza, che la testimonianza FARINA, già dubbia per la qualità della persona da cui proveniva e le incongruenze e le contraddizioni di cui era intrisa (e sulla base della quale, nondimeno, sino a quel momento, si era tenuta ferma la misura di rigore nei confronti dei due prevenuti, in ragione della ricchezza e della tenacia dell'asserto, anche in sede di confronto), era crollata, sul piano della credibilità, dopo l'escussione delle persone detenute nello stesso braccio del carcere di Rebibbia all'epoca del colloquio nel corso del quale avrebbe avuto luogo la richiesta di esplosivo. Che i fatti potessero essersi svolti nel modo descritto dal FARINA era escluso -adavviso del Giudice Istruttore- dalle numerose testimonianze: e se su alcune (MARCHI, FIORE, MARIANI, DI

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(18) - Trovasi in AR, V4, C37, pp. 10-15.


MITRI) poteva incombere il sospetto della compiacenza, altre (BIANCHI e Cristiano FIORAVANTI) avevano "una caratura di verità assolutamente immune da qualsiasi incrinatura e difetto".


12/01/82 Una settimana più tardi, l'Istruttore rigettava (19) la richiesta di emissione di mandato di cattura per il SIGNORELLI, il FACHINI, il RINANI, il TUTI, il BONAZZI, il FIORAVANTI e la MAMBRO. Affermava che gli elementi acquisiti, pur rilevantiin relazione all'individuazione dell'ambiente nel quale la strage del 2 agosto era stata deliberata od eseguita, non apparivano tuttavia tali da giustificare la misura richiesta, poiché evidenziavano soltanto la trama dei rapporti reciproci fra gli imputati, e non già specifici ruoli ovvero condotte attinenti alla perpetrazione del delitto di strage ed a quelli connessi; e soggiungeva che l'emissione del provvedimento restrittivo appariva prematura "ed in certa misura controproducente rispetto alla difficile e necessariamente cauta attività di approfondimento di fatti e collegamenti concernenti gli

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(19) - AR, V4, C37, p20.


imputati citati, nel cui preminente interesse ogni altra esigenza" andava sacrificata.


16/01/82A distanza di quattro giorni le medesime ragioni venivano richiamate per motivare il diniego (20) di emissione di mandato di cattura anche nei confronti del VALE e dell'ADINOLFI.


25/01/82 Avverso le tre ordinanze insorgeva il PUBBLICO MINISTERO, i cui motivi di gravame in data 25 gennaio (21) costituiscono, al tempo stesso, una lunga, articolata e puntualissima analisi sullo stato dell'istruttoria sino ad allora compiuta. L'ufficio requirente concludeva per il ripristino della custodia cautelare nei confronti del PEDRETTI e del CALORE, e per la cattura degli imputati di cui alle ordinanze 12 e 16 gennaio. 1.4.6) Klaus Friedrich HUBEL


La notte fra il 18 ed il 19 gennaio erano stati fermati dalla Polizia, in Avezzano, due cittadini tedeschi: Franz Joachim BOJARSKY e Klaus Fiedrich HUBEL. Quest'ultimo, tenuto conto delle dichiarazioni rese dalle persone che


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(20) - Cfr. AR, V2, C13, p5.
(21) - Trovansi, rilegati in volume, in AR, V4, C37, pp. 21- 22 e sottoaffogliazioni seguenti. avevano ospitato i due stranieri, nonché della documentazione sequestratagli, era stato esaminato come 20/01/82teste nel presente procedimento il 20 gennaio (22).

Dopo aver risposto alle domande rivoltegli in ordine ai visti d'ingresso in Libano apposti sul suo passaporto, aveva poi rifiutato di fornire notizie in ordine all'attività svolta in quel paese. Ammonito dal Giudice Istruttore, aveva insistito nel non volere rispondere. Trattenuto in arresto 21/01/82provvisorio, era stato riesaminato (23) il giorno successivo.


Pur ammettendo di aver fatto parte del gruppo HOFFMANN e di essere stato in Libano, aveva dichiarato di non voler rispondere ad alcuna domanda che riguardasse le località libanesi in cui aveva soggiornato, la sua attività in Libano, le organizzazioni dell'O.L.P. e della Falange, le attività del gruppo HOFFMANN, gli eventuali contatti dell'HOFFMANN stesso con cittadini italiani e l'identità della persona che egli aveva incaricato di procurargli il visto per il Libano presso l'ambasciata libanese di Roma.



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(22) - RA, V8, C343, pp. 35-36.
(23) - RA, V8, C343, pp. 37-38.


Aveva altresì dichiarato di non voler fornire informazioni sulle persone che lo avevano accolto e che aveva frequentato in Libano: affermava peraltro di non aver visto nessun cittadino italiano, anche se non era in grado di escludere che, nello stesso periodo in cui vi aveva soggiornato, fossero presenti in Libano cittadini italiani.


Scattava per l'HUBEL il mandato di arresto (24) e, a 25/01/82distanza di quattro giorni, il mandato di cattura per testimonianza reticente (25).


L'8/2/1982 l'HUBEL verrà interrogato (26) in ordine al delitto contestatogli e si avvarrà della facoltà di non rispondere.


Il 19 febbraio verrà poi scarcerato per avvenuto decorso dei termini di custodia cautelare (27).


1.4.7) Ulteriori sviluppi della `pista CIOLINI'


Nel frattempo proseguivano i colloqui tra Elio CIOLINI ed il Capitano PANDOLFI.


Gli sviluppi della pista sono così sintetizzati nella parte

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(24) - OC, V2, C54, p1.
(25) - OC, V2, C54, p2.
(26) - IA, V9/a-2, C37, p6.
(27) - OC, V2, C54, p6.


dell'ordinanza di rinvio a giudizio che di seguito si trascrive (28):


05/02/82 "I Carabinieri di Bologna, in data 5/2/82," (29)


"...trasmettevano al G.I. un ulteriore rapporto nel quale si informava il Magistrato che in data 20/1/82 il Capitano PANDOLFI aveva avuto un altro colloquio con il detenuto Elio CIOLINI. Nel corso di tale colloquio CIOLINI consegnava un foglio dattiloscritto denominato `complemento informativo relativo all'O.T.: relazione Bologna'. A chiarimento dello scritto CIOLINI dichiarava che nel luglio 1980 era venuto a Roma proveniente dalla Bolivia ed inviato da Stefano DELLE CHIAIE il cittadino tedesco Joachim FIEBELKORN, incaricato dell'esecuzione dell'azione terroristica di Bologna; che FIEBELKORN, a Roma, si era appoggiato alla Odalprima ed al suo responsabile `Carmelo'; a Roma, nel frattempo, erano sopraggiunti il BONOMI e Maurizio GIORGI per pianificare l'attentato. Che successivamente erano giunti, sempre a Roma, altri due stranieri: Karl Heinz HOFFMANN, tedesco, e Olivier DANET, francese, con il compito di `istruire' il

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(28) - Cfr. SO, da p198 rigo 16, a p203 rigo 15.
(29) - RB, V1, C6 bis, pp. 19-41. FIEBELKORN, elemento `non affidabile' dal punto di vista intellettivo. In ordine allo spostamento a Bologna, CIOLINI dichiarava di non sapere se i tre stranieri avessero raggiunto tale città, ma aggiungeva di conoscere i due indirizzi ai quali il FIEBELKORN avrebbe potuto `appoggiarsi'. In un primo momento CIOLINI si rifiutava di comunicare questi indirizzi, poi ne dava uno solo: S. Giovanni in Persiceto, via Carlo Marx - Fabbrica di chiusure lampo con 35 operai. In merito al secondo indirizzo, si riservava di comunicarlo il giorno seguente, `essendo esso contenuto in appunti conservati presso il suo avvocato di Ginevra: signor BARILLON'. Infatti il giorno 21/1/81 CIOLINI, tramite il Consolato italiano, faceva pervenire un altro scritto denominato `Complemento informativo fatti di Bologna'. In tale dattiloscritto era confermato il secondo indirizzo: Taverna - Ristorante `La Pegna' Bologna.


Dopo il colloquio con CIOLINI, i Carabinieri compivano delle indagini che permettevano di identificare gli stranieri indicati - tra l'altro personaggi molto noti alle cronache dei loro paesi. Risultava infine che a S. Giovanni in Persiceto esisteva una via Carlo Marx dove abitava tale
Nicola DONZELLI, direttore commerciale di un maglificio sito in quel centro, spesso visto incontrarsi con cittadini tedeschi e `probabilmente' interessato ad una fabbrica di chiusure lampo in provincia di Ferrara. Le indagini...accertavano che effettivamente a Bologna esisteva un circolo di fuorusciti cileni denominato `La Pegna' frequentato da certo Juan Ciro AVILES SEGOVIA, le cui caratteristiche corrispondevano -a detta degli inquirenti- con il personaggio cileno descritto da CIOLINInell'allegato 2 al rapporto in esame.


Altri accertamenti condotti dall'UCIGOS permettevano di accertare che effettivamente GIORGI Maurizio viveva a Buenos Aires in Argentina e che, con buone probabilità, il BONOMI si identificava in Pier Luigi PAGLIAI" (30)...


"L'UCIGOS, infine, escludeva che nel maggio 1980, e precisamente dal 18 al 23, allo Sheraton di Buenos Aires, con CIOLINI vi fossero stati Licio GELLI, Andrea VON BERGER

e FedericoFEDERICI"(31) "...Insieme aCIOLINI,invece, si

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(30) - Cfr. RB, V1, C7 bis.
(31) - Cfr. cartella citata alla nota che precede.


trovava tale `Gerard BURRI', un arabo (che poi si accerterà esser stato complice del CIOLINI nella truffa ai danni di una vedova svizzera, tale BOLL)"(32), "di nazionalità algerina. Quanto al DANET menzionato dal CIOLINI nei suoi colloqui `informali' con il Capitano PANDOLFI, i CC. di Torino riferivano che si trattava di un trafficante di armi legato alla destra francese del quale i giornali francesi avevano parlato con amplissimo risalto, nell'ottobre del 1981" (33) "...Si accertava, peraltro, che DANET, il giorno 1^ agosto1980 ...era a Libreville, dove lavoravaalle dipendenze della compagnia Air Gabon Congo ...Altre indagini venivanosvolte"(34) "su GRANITI e su K.H. HOFFMANN ...Si procedeva poi, in corso di istruzione, ad una rogatoria internazionale per ottenere la perquisizione dei locali dove, a Montecarlo, a detta del CIOLINI, poteva trovarsi documentazione afferente la `Loggia riservata' (35), che peraltro, dava esito negativo. I locali in questione
** * * *
(32) - Il nome del BURRI risulta annotato subito dopo quello del CIOLINI nella pagina del registro dello Sheraton allegata al rapporto UCIGOS 3/2/82: cfr. p20 della cartella citata alla nota (30). Le ulteriori notizie sul BURRI sono desunte da RIB, V1, C3, p43. Il nome della vittima era Renata BALL (e non BOLL).
(33) - Cfr. RB, V1, C12.
(34) - Cfr. RB, V1, C13 e C15.
(35) - Cfr. RB, V2, C16 e RIB, V2, C10.


risultavano essere sede del'agenzia `LOCADI', ed all'interno di questi, si svolgeva attività di intermediazione immobiliare. Altra rogatoria"(36)"era effettuata per controllare le affermazioni del CIOLINI in merito all'operazione finanziaria concernente l'acquisto di azioni E.N.I. da parte di gruppi privati ed al bonifico di 575 milioni di lire a favore di un gruppo politico. Il Giudice rogato trasmetteva la richiesta all'autorità di Polizia di Losanna che svolgeva indagini presso la Banque Bruxelles Lambert. Le indagini, nonostante ulteriori precisazioni fornite, a seguito della prima richiesta, da parte del GiudiceIstruttoreitaliano, davano esito totalmente negativo...


Dopo queste prime indagini...il Giudice Istruttore chiedeva all'Autorità della Confederazione Elvetica di poter ottenere la disponibilità di CIOLINI per il tempo necessario al suo esame in qualità di teste." (37)


1.4.8) Federico FEDERICI


22/02/82 Il 22 febbraio il Giudice Istruttore esaminava l'Avv.

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(36) - Cfr. RB, V1, C17 e RIB, V2, C9.
(37) - Cfr. RIB, V1, C1.


Federico FEDERICI nella veste di testimone (38): e lo arrestava provvisoriamente per reticenza. L'arresto veniva 23/02/82 confermato il giorno successivo, a seguito di un'ulteriore escussione (39).


12/03/82 Il 12 marzo scattava a carico del FEDERICI il mandato di cattura per testimonianza falsa e reticente (40).


13/03/82 Il giorno dopo egli veniva interrogato (41).


Il 19 marzo sarà posto in libertà provvisoria, con imposizione di obblighi; avendo egli proposto appello avverso tale decisione, il 3 maggio la Sezione Istruttoria dichiarerà che la scarcerazione doveva intendersi avvenuta per mancanza d'indizi e revocherà gli obblighi imposti dal Giudice Istruttore (42). Il 16 giugno, il FEDERICI, interrogato a piede libero, renderà dichiarazioni fondamentalmente incentrate sulla `Loggia Riservata di Montecarlo' (43). Il 16/2/1984, infine, sarà prosciolto con ampia formula dal delitto di falsa testimonianza (44).




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(38) - Cfr. IB, C1/b, pp. 1-4.
(39) - Cfr. IB, C1/b, pp. 6-14.
(40) - OC, V2, C55, p3.
(41) - IB, V1, C1/a, pp. 1-21.
(42) - OC, V2, C55, pp. 6-10.
(43) - IB, C1/b, pp. 24-30.
(44) - OC, V2, C55, pp. 40-42.


1.4.9) Le dichiarazioni di Elio CIOLINI


16/03/82 Il 16 marzo veniva esaminato (45) come teste Elio CIOLINI, frattanto provvisoriamente estradato dalla Svizzera a tale scopo.


Il contenuto delle sue dichiarazioni è così sintetizzato nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria (46):


"...dopo avere dato conto delle vicende che l'avevano portato a conoscere, tramite l'avvocato di Firenze, Licio GELLI, Andrea VON BERGER, Giorgio BALESTRIERI ed Umberto ORTOLANI, iniziava a riferire della `Loggia Riservata' di Montecarlo e dei locali (ne redigeva una piantina) ove questa aveva sede. In particolare, dichiarava il teste che la Loggia era un potentato economico dominato dalle personalità di ANDREOTTI, AGNELLI, CALVI, MONTI, ORTOLANI, GELLI e dal capo del Gruppo Editoriale Rizzoli e vari altri distinti Fratelli Fondatori, Esecutivi e Attivi, e che una fotocopia dell'elenco degli aderenti era da lui stata rubata, nei locali della `LOCADI', approfittando della temporanea assenza degli impiegati.



* * * * *


(45) - EB, V1, C2, pp. 2-31.
(46) - SO, da p203 rigo 17, a p208 rigo 11.


Aggiungeva" (47) "... che nel luglio 1980 la 'Trilaterale'
aveva deciso di `effettuare un'operazione finanziaria consistente nel trasferimento di proprietà del pacchetto di azioni sufficiente per potere avere il controllo di una società del gruppo chimico controllato dall'E.N.I.' Che tale operazione, effettuata attraverso l'intervento di due società, la `Brasil Invest' e la `Soditic', si era avvalsa della `Banque Lambert Bruxelles' di Losanna. In particolare, afferma il teste: `...il bonifico fu di 50 miliardi e 425 milioni di lire e non di cinque miliardi e 425 milioni. Il bonifico alla Banca Lambert & Bruxelles di Losanna venne attuato in quote e così il giorno 6 marzo 1980 fu versata la prima quota di 10 miliardi, mentre il giorno 13 marzo fu effettuato il prelevamento di 575 milioni in favore del vice-segretario del P.S.I. Claudio MARTELLI al fine di comprare il favore di detto partito...Le cifre elevate, dianzi precisate, sono state da me rilevate in occasione della riunione della Loggia Montecarlo il giorno 11 aprile 1980. In detta riunione, infatti, cui parteciparono GELLI,


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(47) - Cfr. p6 della Cartella citata alla nota (45).


CALVI, MONTI, ORTOLANI, BATTELLI, FEDERICI ed io stesso, fu deciso infatti:


a) di portare avanti l'operazione E.N.I. in quanto sorretta dal finanziamento dianzi accennato;


b) di affidare all'organizzazione di DELLE CHIAIE un'azione diversiva, consistente in un fatto clamoroso, capace di distrarre l'opinione pubblica e gli organi di governo parlamentare che avrebbero potuto opporsi, o, comunque, creare difficoltà alla realizzazione dell'operazione E.N.I.


La decisione non fu collegiale, ma il frutto di una iniziativa di GELLI, di cui, in sostanza, gli altri partecipanti presero atto ed aderirono. In particolare GELLI disse testualmente che l'operazione sarebbe stata affidata a Stefano'.


Aggiungeva CIOLINI che il verbale della riunione era stato manoscritto da FEDERICI e che almeno una copia era rimasta in un armadio sito nella sede della Loggia riservata. Successivamente, presso l'Hotel Sheraton di Buenos Aires, vi era stato un incontro tra Licio GELLI e Stefano DELLE CHIAIE, al fine di dare concreta esecuzione a quanto deliberato l'11 aprile 1980 a Montecarlo. Che nei giorni dell'incontro, anch'egli, con FEDERICI, VON BERGER e `Gerard BURRI', si trovava allo Sheraton di Buenos Aires.


Che in quell'occasione DELLE CHIAIE gli aveva proposto di andare con lui in Bolivia per porsi alle dipendenze del `Settimo Dipartimento' delle Forze Armate boliviane, incaricato di esercitare il controllo sulla stampa.


Proseguiva CIOLINI, dicendo che, tra la fine dell'80 e gli inizi dell'81, si era effettivamente recato in Bolivia e si era messo a lavorare con DELLE CHIAIE per l'esercito boliviano.


A causa della familiarità con DELLE CHIAIE e dell'incarico da questi ricevuto di mettere in ordine il suo carteggio, era venuto a conoscenza, anche mediante i racconti che il latitante gli faceva, delle sue vicende; e che, per quanto si riferiva alla strage di Bologna, era potuto venire a conoscenza del ruolo svolto da `Mario BONOMI', (poi identificato dal teste, al quale era stata mostrata una foto segnaletica, in Pier Luigi PAGLIAI) e Maurizio GIORGI, i quali eranovenuti in Italia per prendere contatto con la `Promicon' e con la `Odal Prima' (contrassegnate, rispettivamente, negli appunti di DELLE CHIAIE, con i nomi A. BELLINI e `Carmelo').


Il compito di GIORGI e PAGLIAI era quello di preannunciare ai titolari delle società sopra indicate l'arrivo di FIEBELKORN, al quale doveva essere affidata l'esecuzione materiale dell'attentato.


Che DELLE CHIAIE, a sua volta, era venuto in Europa il 24 luglio 1980, e precisamente a Parigi; aggiungeva CIOLINI di non sapere, però, se dalla Francia DELLE CHIAIE fosse poi venuto in Italia.


Che sempre nel mese di luglio dell'80 erano poi convenuti a Roma il DANET, l'HOFFMANN e il FIEBELKORN, al quale DELLE CHIAIE aveva comunicato i recapiti de `La Pegna' a Bologna e di S. Giovanni in Persiceto, dove, in via Carlo Marx, viveva una donna, interessata alla fabbricazione di chiusure lampo, proprietaria di una `Fiat 500' dal colore sgargiante (48).


La deposizione del CIOLINI proseguiva (49) con dichiarazioni

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(48) - Cfr.cartella ult. cit., pp.11 e 13 (49) - Cfr. cartella ult. cit., pp. 14 e ss. concernenti traffici di armi, di droga e oscure operazioni finanziarie nelle quali, a dire del teste, risultavano compromessi notissimi uomini politici, finanzieri, Magistrati, oltre a Licio GELLI ed Umberto ORTOLANI."
1.4.10) Richieste del PUBBLICO MINISTERO e provvedimenti del Giudice Istruttore fra il 14 ed il 19/4/1982


14/04/82 Il 14 aprile la Procura della Repubblica chiedeva (50) al Giudice Istruttore di emettere mandato di cattura per il delitto di cui all'art. 270 bis C.P. e per banda armata nei confronti di Stefano DELLE CHIAIE, Carmine PALLADINO, Maurizio GIORGI, Alfredo GRANITI, Adriano TILGHER (51), Romano COLTELLACCI (52), Stefano CAPONETTI (53), Pierluigi PAGLIAI, Nicola BIAGIO DONZELLI e Ciro SEGOVIA, nonché comunicazione giudiziaria per il delitto di strage nei confronti del DELLE CHIAIE, di Carmine PALLADINO, del GIORGI, del GRANITI, del PAGLIAI, del DONZELLI, del SEGOVIA, del FIEBELKORN e del DANET. La richiesta si fondava sul contenuto delle dichiarazioni testimoniali di Elio CIOLINI,

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(50) - RI, C4, pp. 106-115. (51)- Cfr., per quanto riguarda costui, gli elementi indicati al punto 1, lettera m) ed al punto 3 ultimo capoverso della richiesta di cui alla nota (50). (52) - Cfr., per quanto riguarda costui, il punto 1, lettera m) della richiesta di cui alla nota (50).
(53) - Cfr., per quanto riguarda, il punto 3 ultimo capoverso della richiesta di cui alla nota (50).


su un rapporto sul conto del FIEBELKORN in data 1/4/1982, redatto dalla Polizia tedesca (54), nonché sui rapporti dell'Arma di Bologna del 28/11 (55) e 11/12 e 21/12/81 (56), e dei Carabinieri di Torino del 9/3/1982 (57).
15/04/82Il giorno successivo, il Giudice Istruttore emetteva mandato di cattura nei confronti del DELLE CHIAIE, di Carmine PALLADINO, del GIORGI, del PAGLIAI, del DONZELLI e del SEGOVIA, per i delitti di cui all'art. 270 bis C.P. e di banda armata (58). Tale mandato rimarrà ineseguito per il DELLE CHIAIE ed il PAGLIAI, latitanti in Sudamerica.


16/04/82 Nel giro di 24 ore, peraltro, il DONZELLI veniva scarcerato per sopravvenuta mancanza di indizi (59).


19/04/82 Tre giorni più tardi,l'Istruttore ordinava la cattura di
Leda PAGLIUCA (60) per il delitto di cui all'art.270 bis C.P. e per banda armata; ed il giorno 20, per gli stessi

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(54) - Cfr. RB, V7, C125/2.
(55) - Cfr. supra, sub 1.4.1).
(56) - Cfr. supra, sub 1.4.4).
(57) - Cfr. supra, sub 1.4.7).
(58) - Cfr. OC, V3, rispettivamente C61, pp. 1-2; C62, pp. 1-2; C63, pp. 1-2; C69, pp. 1-2; C60, pp2-3 e C56, pp. 1-2. (59) - Cfr. OC, V3, C60, pp. 12: vi sono indicati gli elementi sopravvenuti che imposero la scarcerazione. (60) - Cfr. OC, V3, C64, pp. 1-2. Nella PAGLIUCA era stata identificata dai Carabinieri (cfr. rapporti giudiziari del dicembre '81, in RB, V1, C5) la maestra elementare romana, amante ed ospite del DELLE CHIAIE, menzionata dal CIOLINI. La richiesta di cattura da parte del P.M., con l'indicazione degli elementi a carico, trovasi in RI, C4, pp. 117-135.


delitti, la cattura di Adriano TILGHER (61).


1.4.11) L'ordinanza della Sezione Istruttoria pronunciata in sede di gravame avverso le ordinanze del Giudice 5, 12 e 16/1/1982


22/04/82 Il 22 aprile la Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Bologna si pronunciava (62) sul gravame proposto dal PUBBLICO MINISTERO avverso le ordinanze del gennaio.

Revocava il provvedimento in data 5 gennaio, ordinando il

ripristino della custodia cautelare del PEDRETTI e del CALORE; in parziale riforma dell'ordinanza 12 gennaio, disponeva emettersi mandato di cattura a carico del FEMIA, del FIORAVANTI e della MAMBRO (63); e confermava nel resto
detta ordinanza, nonché quella in data 16 gennaio(64).


* * * * *

(61) - Cfr. OC, V3, C65, pp. 1-2: quanto agli indizi, si faceva riferimento ad una dettagliata deposizione testimoniale (CIOLINI), suffragata da accertamenti successivi e dalla militanza dell'imputato nell'area della destra eversiva, nonché al collegamento con gli altri imputati accertato dalle indagini di P.G. e dalle intercettazioni telefoniche.
(62) - AR, V4, C37, p24 e sottoaffogliazioni seguenti.
(63) -Per questi due ultimi imputati, la decisione si fondava sulle dichiarazioni di Massimo SPARTI, sui "trascorsi dinamitardi del FIORAVANTI", sul ruolo da lui avuto nel tentativo di far evadere Pier Luigi CONCUTELLI -tentativo per il quale si affermava esser stata predisposta la base di Taranto (precisamente, Gandoli di Leporano)- e sulle risultanze della perizia esplosivistica comparativa, valutate alla stregua del fatto che -così si riteneva- la base era stata abbandonata dopo l'episodio del rinvenimento dell'esplosivo sul treno Taranto-Milano.
(64) -Per gli altri imputati interessati dal gravame, si affermava che, pur essendo la strage politica un reato `a condotta libera', tuttavia era necessario individuare, anche per i concorrenti morali, una condotta funzionalmente idonea a causare l'evento strage, e, quindi, "qualcosa che abbia facilitato, sia pure a livello di rafforzamento dell'idea criminosa, l'agente nel suo compito".


1.5) 23 aprile 1982 - 24 marzo 1983
Dall'ordinanza della Sezione Istruttoria al mandato di cattura della stessa Sezione Istruttoria nei confronti di CALORE, PEDRETTI,
FIORAVANTI e MAMBRO


1.5.1) Sviluppi della `pista CIOLINI'


24/04/82 Il 24 aprile veniva interrogato (1) il SEGOVIA, che respingeva ogni addebito e riferiva della sua esperienza di rifugiato politicoin Italia.Cinque giorni più tardi veniva scarcerato per mancanza di sufficienti indizi (2). Il 19/8/83, infine, il SEGOVIA ed il DONZELLI saranno definitivamente prosciolti (3).


Erano state frattanto disposte delle intercettazioni telefoniche sull'utenza della ODAL PRIMA S.a.s. (4); e ne era emerso che vi erano stati frequenti contatti tra Carmine PALLADINO e persone residenti in Lombardia: si trattava di Emanuele PINTUS,Giovanni COLOMBO e Marco BALLAN. I contatti erano, tra l'altro, finalizzati a procurare un passaporto falso a certo Alessandro TROJA (il quale, nelle telefonate intercettate, si faceva chiamare PATANE'). Sulla base di tali emergenze e del contenuto delle dichiarazioni rese


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(1) - IB, C2, pp. 1-4.
(2) - OC, V3, C56, p7.
(3) - OC, V3, C56, pp. 26-32.
(4) - PB, V1, C1; PB, V2; PB, V2 bis.


29/04/82dal PINTUS, il 29 aprile, in sede di esame testimoniale (5), il Giudice Istruttore, il giorno stesso, emetteva mandato di cattura nei confronti del PINTUS, per falso in atto pubblico e favoreggiamento personale (6).


30/04/82 Il giorno successivo veniva interrogato (7) Carmine PALLADINO, il quale, tra l'altro, riferiva che: conosceva Stefano DELLE CHIAIE ed Adriano TILGHER sin dal 1963, anno in cui aveva iniziato l'attività politica in seno ad Avanguardia Nazionale; personalmente si era "dissociato già completamente negli anni 74/75, con la cessazione del" suo "impegno politico,coevo alla frattura definitiva del movimento di `Avanguardia Nazionale'"; agli inizi dell''81 si era recato in Bolivia con prospettive di lavoro, passando per Losanna, ove, dietro preghiera telefonicamente rivoltagli dal DELLE CHIAIE, aveva ritirato un pacchetto che avrebbe dovuto contenere dei documenti da recapitare al DELLE CHIAIE stesso; soltanto all'aeroporto di La Paz, dove il DELLE CHIAIE l'aveva ricevuto, aveva scoperto d'aver inconsapevolmente trasportato il denaro necessario allo

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(5) - IB, C4, pp. 2-6.
(6) - OC, V3, C66, pp. 1-2.
(7) - IB, C5, pp. 1-7.


amico (in tal senso costui lo informò) per acquistare 2600/3000 ettari di terreno nei pressi di Santa Cruz; una sera il DELLE CHIAIE l'aveva invitato a partecipare alla festa di carnevale che si svolgeva nei locali dell'Accademia Militare di La Paz; in Bolivia aveva altresì conosciuto Pier Luigi PAGLIAI e, "da un commento fatto con mezzi termini dal DELLE CHIAIE" aveva capito che quest'ultimo "aveva deplorato e deplorava un certo efferato comportamento che PAGLIAI aveva avuto, tempo prima, nei confronti di alcuni arrestati di nazionalità argentina che il PAGLIAI avrebbe torturato con efferatezza"; Maurizio GIORGI, nel luglio 1980, era venuto a Roma ed era stato in sua compagnia; la pistola rinvenuta a casa sua (8) apparteneva al GIORGI, che 4-5 giorni prima della perquisizione, ospite a cena, aveva lasciato un pacchettino nel mobile della sala da pranzo, dicendo che sarebbe tornato a prenderlo il giorno successivo e senza rivelarne il


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(8) - In occasione della cattura, il PALLADINO era stato altresì sottoposto a perquisizione domiciliare, nel corso della quale eran stati rinvenuti unapistola Beretta cal. 7,65 mod. 70 con matricola abrasa completa di caricatore contenente 6 pallottole e colpo in canna, un silenziatore perfettamente adattabile alla pistola stessa, nonché un sacchetto di plastica contenente 48 proiettili di uguale calibro (cfr. PQB, V1, C5, p5 e OC, V3, C62, p3).


contenuto al padrone di casa.


03/05/82 Il 3 maggio venivano interrogati il PINTUS (9) e la PAGLIUCA


MINETTI (10). Quest'ultima, in particolare, in tale occasione e nei successivi interrogatori del 7 maggio (11) e del 17 giugno (12), respingerà nella sostanza gli addebiti, negando d'esser stata un referente politico in Italia per Stefano DELLE CHIAIE e per la sua organizzazione.


04/05/82 Il 4 maggio veniva interrogato Maurizio GIORGI (13): costui, nella sostanza, respingeva gli addebiti; e affermava d'esser venuto in Italia dall'Argentina il 7 o l'8 marzo del 1980, e di essere ripartito nei primi giorni del maggio dello stesso anno.


Lo stesso giorno dell'interrogatorio del GIORGI, il Giudice Istruttore emetteva mandato di cattura a carico di Marco BALLAN (14), di Giovanni COLOMBO (15) e di Carmine PALLADINO (16) per falso in atto pubblico e favoreggiamento personale, nonché nei confronti di Alessandro TROJA (17) per

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(9) - IB, C4, p8.
(10) - IB, C3, pp. 1-6.
(11) - IB, C3, pp. 8-11.
(12) - IB, C3, pp. 12-16.
(13) - IB, C6, pp. 1-4.
(14) - OC, V3, C68, p1.
(15) - OC, V3. C58, p1.
(16) - OC, V3, C62, p6.
(17) - OC, V3, C67, p1.


il primo dei due delitti.


Sempre lo stesso giorno veniva sentito come teste (18) Ettore MALCANGI, che, grazie alle intercettazioni telefoniche effettuate in quel periodo, era risultato essere in contatto con persone interessate dall'inchiesta: arrestato per reticenza, il MALCANGI sarà poi scarcerato il giorno 17 dello stesso mese (19).


11/05/82 L'11 maggio veniva interrogato Marco BALLAN (20), che respingeva ogni addebito, fornendo altresì spiegazioni in ordine a vari documenti sequestrati presso la sua abitazione.


13/05/82 Due giorni più tardi veniva interrogato (21) Adriano TILGHER, che si professava estraneo alle accuse mossegli.


21/05/82 Il 21 maggio Marco BALLAN veniva raggiunto da mandato di cattura (22) per i delitti di cui all'art. 270 bis C.P. e di banda armata.


1.5.2) Le dichiarazioni di Aldo Stefano TISEI


07/05/82 Il 7 maggio aveva frattanto deposto, davanti al Giudice


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(18) - OC, V3, C57, pp. 1-2.
(19) - OC, V3, C57, p5.
(20) - IB, C8, pp. 2-6.
(21) - IB, C9, pp. 1-8.
(22) - OC, V3, C68, pp. 4-5. La motivazione del mandato è la stessa del provvedimento a carico del TILGHER. Istruttore, Aldo STEFANO TISEI (23), il quale aveva, tra l'altro, dichiarato che, durante il periodo in cui egli aveva prestato servizio di leva, cioè dopo il 13/12/1977, erano avvenuti in Roma gli attentati dell'M.R.P., fra cui quello al Consiglio Superiore della Magistratura, a `Regina Coeli', al Campidoglio ed all'Autoparco dei Vigili Urbani. Aveva testualmente soggiunto: "gli autori degli attentati sono stati ALEANDRI Paolo, CALORE Sergio, IANNILLI Marcello, Bruno MARIANI, MACCHI Emanuele ed altri di cui ora non ricordo. L'esplosivo veniva tenuto a casa di IANNILLI Italo che allora veniva chiamato `l'agente Zeta'. Nella progettualità politica del Movimento Costruiamo l'Azione ci fu un vero e proprio braccio armato, che assunse di fatto la sigla `MRP'. Tutti gli attentati rivendicati con tale sigla erano il più delle volte concordati da SIGNORELLI Paolo, FACHINI Massimiliano, CALORE Sergio e ALEANDRI Paolo; mi spiego meglio: per quanto di mia conoscenza diretta a posteriori, le stesse persone sopra elencate mi dissero che era stata una iniziativa politica decisa da loro."




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(23) - EA, V10/a-5, C217 bis, pp. 4-7. Aveva altresì riferito di un "coagulo" tra MPON (Movimento Politico Ordine Nuovo) e MPAN (Movimento Politico Avanguardia Nazionale) e di una compartimentazione dell'organizzazione in settori operativi: Roma Sud, sotto la prevalente giurisdizione ordinovista, e Roma Nord, in cui prevaleva la componente avanguardista. Ed aveva aggiunto che, in prosieguo di tempo, "nell'ambito dei settori Roma Sud e Roma Nord, furono conglobati militanti come CAVALLINI Gilberto, IANNILLI Marcello (per Roma Sud), FIORAVANTI Valerio ed altre figure minori, per i quali referente politico era DI MITRI Giuseppe."


Il TISEI sarà poi esaminato (24) dal PUBBLICO MINISTERO il 20/12/1984 e, dopo aver dichiarato d'aver fatto parte delle strutture di Ordine Nuovo dal 1971 al 1979, riferirà, tra l'altro: di rapporti tra il SIGNORELLI ed ufficiali dell'esercito; di rapporti conviviali tra il SIGNORELLI ed il GELLI; di rapporti, gestiti anche dal SIGNORELLI, fra Ordine Nuovo ed ufficiali dei servizi; dello scambio di un mitra `M12' contro un mitra `MAB' fra lui stesso da una


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(24) - Nell'istruttoria del procedimento n. 2/87 R.G.C.A.: cfr. Cal., V5, C56, pp. 2-8.


parte, e l'ALEANDRI ed il RAHO dall'altra.


1.5.3) Ulteriori sviluppi della `pista CIOLINI'


01/06/82 All'inizio del mese di giugno, il Giudice Istruttore separava dal presente procedimento le posizioni del PINTUS, del PALLADINO, del COLOMBO e del BALLAN, quanto ai reati di falso e favoreggiamento, della cui cognizione investiva l'autorità giudiziaria milanese (25).


Il giorno stesso, l'Istruttore provvedeva ad emettere comunicazione giudiziaria nei confronti del MALCANGI (26), del COLOMBO (27), del CAPONETTI (28), del PINTUS (29), del COLTELLACCI (30) e di Roberto PALLADINO (31) per i delitti di cui all'art. 270 bis e di banda armata; nei confronti del SEGOVIA (32), del DELLE CHIAIE (33), del GIORGI (34), di Carmine PALLADINO (35) e di Pier Luigi PAGLIAI (36) per strage, nonchè del GRANITI (37) per tutti i tre delitti.

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(25) - Cfr. sentenza, in AA, V2, C6, pp. 3-4. (26) - OC, V3, C57, p9. (27) - OC, V3, C58, p6. (28) - OC, V3, C59, p1. (29) - OC, V3, C66, p5.
(30) - OC, V3, C70, p1.
(31) - OC, V4, C72, p1.
(32) - OC, V3, C56, p13. L'accusa sarà poi archiviata con decreto in calce alla sentenza di proscioglimento di cui si è detto sub 1.5.1), testo e nota (3).
(33) - OC, V3, C61, p3.
(34) - OC, V3, C63, p5.
(35) - OC, V3, C62, p8.
(36) - OC, V3, C69, p3.
(37) - OC, V4, C71, p1.


09/06/82 Otto giorni più tardi veniva emesso mandato di cattura a carico di Carmine PALLADINO (38) e Maurizio GIORGI (39) per la detenzione e la ricettazione dell'arma sequestrata nell'abitazione del primo.


12/06/82 Il giorno 12 il PALLADINO veniva interrogato (40): e, nel confermare, dettagliandole, talune delle precedenti dichiarazioni, ribadiva altresì la provenienza dal GIORGI della pistola. Va rilevato che v'è in atti una lettera (41), recante la data 3/6/1982, indirizzata dal PALLADINO al dott. GENTILE, con la quale il mittente, facendo riferimento al primo interrogatorio, si correggeva, affermando essergli sovvenuto che il GIORGI era a Roma ai primi di maggio del 1980, e ne era ripartito prima od intorno alla metà dello stesso mese.


25/06/82 Il giorno 25 veniva interrogato (42) il GIORGI, che contestava anche gli addebiti relativi all'arma sequestrata all'amico e dava conto dei suoi rapporti con vari coimputati e della sua esperienza sudamericana.



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(38) - OC, V3, C62, p10.
(39) - OC, V3, C63, p7.
(40) - IB, C5, pp. 13-17.
(41) - IB, C5, p8.
(42) - IB, C6, pp. 12-17.


1.5.4) Ancora della `pista CIOLINI'


Le iniziative processuali dell'Istruttore di cui si è dato conto sub 1.5.3) si fondavano, in parte, anche sulle attività d'indagine svolte dalla polizia giudiziaria a far tempo dal periodo in cui il CIOLINI fu detenuto in Italia a titolo di estradizione provvisoria per consentirne l'audizione come teste (cioè, fra il 2 ed il 18/3/1982), e nei mesi successivi. Occorre qui riferire brevemente -ove, per chiarezza, non se ne sia già fatto cenno- di tali attività, di ulteriori acquisizioni e di ulteriori apporti processuali del CIOLINI. Seguendo la traccia del provvedimento conclusivo dell'istruttoria (43), va ricordato quanto segue:


- i Carabinieri provvedevano -in ciò dando seguito ad iniziative già precedentemente avviate- ad identificare i personaggi cui il CIOLINI, nelle notizie in vario modo fornite, aveva fatto riferimento, e ricorrevano, all'uopo, anche a varie ricognizioni fotografiche (44);

- venivano altresì condotte indagini sul CIOLINI (45), dalle

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(43)- SO, da p208 rigo 12, a p 212 rigo 14.
(44) - Cfr. RB, V2, C18.
(45) - Cfr. RB, V2, C26, ed, in particolare, il rapporto C.E.S.I.S. 29/10/1982 (pp. 15-20 della cartella). quali emergeva che costui aveva precedenti per assegni a vuoto, insolvenza fraudolenta, falsa attestazione di identità, usurpazione di titolo, violazione degli obblighi di assistenza familiare, falso in cambiali e bancarotta semplice; ed emergeva altresì che, all'epoca del sequestro DOZIER, mentre era ristretto a Ginevra, aveva fornito informazioni, rivelatesi infondate, sull'organizzazione delle `Brigate Rosse';


- a proposito delle notizie fornite dal CIOLINI in merito alla scomparsa in Libano dei giornalisti Italo TONI e Graziella DE PALO (46), su cui indagava il Procuratore della Repubblica di Roma (47), l'Istruttore trasmetteva atti e documenti al Magistrato competente, il quale, peraltro, rilevava che la lettera ad apparente firma di Gianni DE MICHELIS -inviata dal CIOLINI al Giudice Istruttore di Bologna il 20/8/1982- era apocrifa (48);


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(46) - Il CIOLINI -secondo quanto si è già accennato- aveva fatto rivelazioni anche in ordine a tale vicenda. Era lo stesso CIOLINI -cfr. RB, V3, C31, p5- la fonte dell'"Informativa relativa al caso G. DI PALO-I. TONI" in RB, V3, C31, pp. 2-3.
(47) - Nella persona del Sostituto Procuratore dott. Giancarlo ARMATI, autore della requisitoria in AA, V20, C94. (48) -Cfr. RB, V3, C31, pp. 6-7 e 11-13. Circa la provenienza dal CIOLINI, cfr. EB, V1, C2, p128. Quanto al contenuto della missiva, esso si ricava dal saggio grafico in RB, V3, C31, pp. 12-13. -l'8 giugno il CIOLINI aveva ottenuto la libertà dall'autorità giudiziaria svizzera, dietro pagamento di una cauzione di 80.000 franchi (49); aveva poi consegnato


al Giudice Istruttore, il 23 giugno, un primo plico (50), contenente, oltre ad una copia fotostatica del verbale (dattiloscritto) della riunione della Loggia Riservata di Montecarlo dell'11/4/1980 (51), anche le copie fotostatiche di sei 'documenti bancari' ("ordini di bonificazione") che dovevano servire a comprovare i finanziamenti per l'acquisto delle azioni E.N.I. ed il loro passaggio in mano privata; l'Istruttore investiva le autorità elvetiche degli accertamenti volti a conoscere se le operazioni descritte nei 'documenti bancari' avessero effettivamente avuto luogo: e ne riceveva risposta negativa; il 5 luglio perveniva all'Istruttore da parte del CIOLINI (52), a mezzo posta, un altro plico (53),


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(49) - Cfr. le dichiarazioni del Console Generale d'Italia a Ginevra dott. Ferdinando MOR, rispettivamente in data 13/4/83 al G.I. del presente procedimento ed il 31/3/83 al G.I. di Firenze (in EB, V2, C39).
(50) - Cfr. RB, V3, C32.
(51) - Cfr. supra, sub 1.4.4).
(52) - Circa la provenienza dal CIOLINI del plico, che non reca l'indicazione del mittente, cfr. EB, V1, C2, p127.
(53) - Cfr. RB, V3, C33.


contenente copia fotostatica del verbale (54) -questa volta manoscritto- della riunione 11/4/1980 della Loggia Riservata di Montecarlo, recante in calce una firma illeggibile;


- un rapporto UCIGOS in data 31 luglio (55) informava, poi, che non era stata trovata traccia dell'esistenza della `Brasil Invest', società di cui aveva riferito il CIOLINI nel corso della deposizione (56);


-il CIOLINI, nella stessa deposizione, aveva anche indicato, quale appartenente alla Loggia di Montecarlo, fra gli altri, tale Ezio GIUNCHIGLIA; e nella successiva testimonianza, resa il 16 luglio (57), aveva pure riferito della presenza del GIUNCHIGLIA in Montecarlo -quantunque non alla riunione della Loggia- l'11/4/1980: orbene, veniva accertato che il suddetto, in tale data, non era


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(54) - Va rilevato che, nel corpo del verbale, si legge, tra l'altro, testualmente: "...Il GELLI informa, inoltre, che ha dato incarico al DELLE CHIAIE Stefano di intraprendere un'azione di diversione nel territorio italiano, per distogliere l'opinione politica e pubblica in merito..."
(55) - Cfr. RB, V3, C40, pp. 1 e ss.
(56) - Cfr. supra. sub 1.4.9).
(57) - Cfr. EB, V1, C2, pp. 38-42. Il CIOLINI, in tale data, libero da oltre un mese, si era presentato spontaneamente al G.I. e, dichiarando di aver colto l'occasione di un passaggio dall'Italia per continuare l'opera di collaborazione, aveva reso precisazioni e fornito notizie ulteriori rispetto a quelle già riferite nel marzo.


assente dal lavoro e non poteva, pertanto, essere presente a Montecarlo (58);


-le indagini si sviluppavano, parallelamente, anche nei confronti dell'ambiente della società `Odal Prima', con specificoriferimento alla natura dei collegamenti delle persone in esso gravitanti; e, in proposito, il rapporto dei Carabinieri di Bologna 29/9/1982 (59), definito dall'Istruttore come la "summa di tutti gli accertamenti seguiti alle dichiarazioni del CIOLINI", dava conto delle iniziative adottate su tale versante, anche mediante pedinamenti ed intercettazioni telefoniche; in particolare, il Capitano PANDOLFI, estensore anche di tale rapporto, riferiva (60) che tra i fratelli Carmine e Roberto PALLADINO, Maurizio GIORGI, Leda PAGLIUCA, Marco BALLAN, Emanuele PINTUS, Adriano TILGHER, Giovanni COLOMBO, Stefano CAPONETTI, Andrea TRALDI, Alessandro TROJA e Cesare PERRI, tutti elementi di provata appartenenza all'estremismo di destra, vi erano contatti e frequentazioni a contenuto, "quasi certamente", di

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(58) - Cfr. RB, V3, C48, pp. 13-17.
(59) - RB, V4, C54, pp. 1 e ss. (60) - Cfr. pp. 59 e ss. del rapporto ultimo citato. natura eversiva;


- venivano inoltre effettuate perquisizioni nelle abitazioni e negli uffici delle persone sopra indicate;in particolare, quelle eseguite presso il BALLAN (61), il TILGHER (62),il GIORGI (63) e la PAGLIUCA (64) portavano al sequestro di materiale documentale e di carteggi atti a dimostrare i legami di costoro con Stefano DELLE CHIAIE e l'ambiente di Avanguardia Nazionale.


1.5.5) Ezio GIUNCHIGLIA


21/07/82 Frattanto, il 21 luglio, era stato esaminato (65) come testimone Ezio GIUNCHIGLIA, le cui dichiarazioni in ordine all'organizzazione, all'attività ed agli aderenti alla 'Loggia di Montecarlo' (che il teste descriveva come un "salotto massonico", privo di sede, cui aderivano personaggidi secondo piano) erano reputate reticenti dall'Istruttore. Il GIUNCHIGLIA veniva arrestato ed, il successivo giorno 30, colpito da mandato di cattura (66) per testimonianza reticente. Sarà poi scarcerato, per tale
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(61) - Cfr. PQB, C22.
(62) - Cfr. PQB, C17 e C35.
(63) - Cfr. PQB, C11.
(64) - Cfr. PQB, C10.
(65) -IB, C10, pp. 1-4.
(66) -OC, V4, C74, p3.


reato, il 29 settembre (67), a seguito di una tortuosa vicenda processuale (68).


1.5.6) Le dichiarazioni di Rudy MIORANDI


14/08/82 Il 14 agosto veniva esaminato Rudy MIORANDI (69), che aveva spontanemente chiesto di conferire con il Giudice Istruttore. Il MIORANDI era all'epoca detenuto, nel carcere di Ferrara, nella medesima cella che ospitava anche Maurizio GIORGI, Stefano NICOLETTI (70) e Marco AFFATIGATO. Riferiva d'aver ricevuto delle confidenze dal GIORGI, il quale gli aveva rivelato: d'esser coinvolto nella strage di Bologna, così come altri personaggi "più in basso e più in alto di lui", fra i quali, però, "l'organizzatore principale" -che il GIORGI chiamava il "Capoccia"- era in Sudamerica; d'esser venuto dall'Argentina a Roma, verso l'estate 1980, in compagnia di una persona di nazionalità argentina o colà residente, per prender contatti con Carmine PALLADINO, in vista della preparazione dell'attentato; d'esser riuscito, in merito a tale viaggio "a far fessi i giudici", cui aveva


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(67) -OC, V4, C74, p9.
(68) -Cfr. FR, C1.
(69) - Cfr. EB, V1, C17, pp. 1-3.
(70) - Cfr. EB, V1, C17, p13. Si tratta della stessa persona di cui si è detto sub 1.1.8) ed 1.2.2). riferito di un viaggio assolutamente innocente di epoca non sospetta. Soggiungeva che il GIORGI non gli aveva fornito particolari circa l'esecuzione della strage, ma aveva insistito sulla persona del "Grigio" come esperto e detentore di armi ed esplosivi e come persona molto importante nell'organizzazione; e che il 2 agosto precedente (cioè il 2 agosto 1982) il GIORGI aveva voluto solennizzare l'anniversario della strage, organizzando una cena, nel corso della quale, mentre il cronista del telegiornale ricordava l'eccidio, aveva levato il bicchiere, esclamando: "alla faccia dei giudici, specialmente di GENTILE".


1.5.7)I mandati di cattura del settembre 1982 ed i conseguenti adempimenti


09/09/82 Alla stregua del conforto che alle precedenti acquisizioni veniva dalla testimonianza MIORANDI, il 9 settembre il PUBBLICO MINISTERO richiedeva (71) l'emissione di mandato di cattura per strage nei confronti di Stefano DELLE CHIAIE, Maurizio GIORGI, Pier Luigi PAGLIAI, Olivier DANET e Joachim FIEBELKORN, nonché, quanto agli ultimi due, anche per il delitto di cui all'art. 270 bis C.P.



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(71) - RI, C4, pp. 217-219.


Il giorno stesso il Giudice Istruttore provvedeva, in conformità (72), contestando peraltro al FIEBELKORN ed al DANET anche il delitto di banda armata.


Il mandato trovava esecuzione nei confronti del solo GIORGI, 17/09/82già detenuto, che, interrogato (73) otto giorni più tardi, si avvaleva della facoltà di non rispondere. Nel pomeriggio dello stesso giorno, veniva sottoposto a confronto con il MIORANDI (74) -nel frattempo posto in libertà- che ribadiva, alla sua presenza, le dichiarazioni accusatorie precedentemente rese all'Istruttore; ed egli, pur non negando d'aver parlato al MIORANDI della propria vicenda processuale, escludeva però recisamente d'avergli fatto le confidenze autoaccusatorie di cui s'è detto. Il confronto aveva luogo in due tempi: nella seconda parte il MIORANDI riferiva d'essersi recato a colloquio con il GIORGI, il giorno precedente, su autorizzazione del Giudice GENTILE, e di essersi sentito dire, nell'occasione, dall'ex compagno di detenzione: "Ho l'impressione che ci vedremo a confronto al


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(72) - Cfr. OC, V3, C61, pp. 6-8, per il DELLE CHIAIE; OC, V3, C63, pp. 11-13 per il GIORGI; OC, V3, C69, pp. 6-8 per il PAGLIAI; OC, V4, C73, pp. 1-4 per il FIEBELKORN; OC, V4, C80, pp. 1-4 per il DANET.
(73) - IB, C6, p23.
(74) - IB, C6, pp. 24-28.


processo, se qualcuno non ti ammazza prima"; il GIORGI, per parte sua, negava d'aver fatto cenno all'eventualità che qualcuno sopprimesse il MIORANDI, e sosteneva d'aver rinfacciato a quest'ultimo, durante il colloquio, il ruolo di "provocatore".


Il GIORGI sarà nuovamente interrogato il 18/5/1983 (75); e dichiarerà, tra l'altro: "... ancora una volta ribadisco che nel giugno '80 non sono venuto in Italia; col mio nome ha viaggiato Stefano DELLE CHIAIE per recarsi in Francia per motivi che non conosco. I fatti si sono svolti nel modo seguente: DELLE CHIAIE mi disse che presso l'Agenzia Air France di Buenos Aires doveva essere pervenuto un biglietto a me intestato per Parigi, partenza da Buenos Aires. Come dopo seppi dallo stesso DELLE CHIAIE, il biglietto era stato acquistato dal CIOLINI in favore di DELLE CHIAIE e naturalmente intestato ad un nominativo `pulito' di copertura. Io mi recai all'agenzia dell'Air France dove esibii il mio passaporto e ritirai il biglietto. L'idea di dare a CIOLINI il mio nome fu di DELLE CHIAIE e suppongo che

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(75) - IB, C6, pp. 37-47.


l'abbia fatto perché gli ero amico e a mio carico non vi era alcun provvedimento di carattere penale. Credo che CIOLINI abbia pagato al DELLE CHIAIE il biglietto perché gli aveva proposto affari da svolgere in Europa, affari che necessitavano della presenza del DELLE CHIAIE. Il biglietto arrivò all'agenzia di Buenos Aires da Rio de Janeiro, ove evidentemente il CIOLINI si trovava, se lo acquistò colà. Il DELLE CHIAIE poi ha utilizzato uno dei passaporti in bianco di cui dispone scrivendoci le mie generalità. Era necessario che il nominativo dell'intestatario del biglietto corrispondesse a persona realmente esistente, perché altrimenti sarebbe stato impossibile ritirarlo presso l'agenzia dell'Air France..." Nel corso dell'interrogatorio, il difensore produceva copia di alcune pagine di un passaporto argentino intestato a "Mauricio GIORGI" e recante la fotografia di Stefano DELLE CHIAIE.


Il GIORGI dichiarava di respingere comunque gli addebiti, eccezion fatta per l'episodio della pistola sequestrata al PALLADINO a proposito del quale affermava: "...per rispetto alla memoria, rinuncio a ogni e qualsiasi difesa..."


L'imputato sarà poi di nuovo interrogato il 30/9/1982 (76), il 16/2/1984 (77) ed il 25/10/1984 (78): nella seconda di tali occasioni si avvarrà della facoltà di non rispondere; nelle altre, ribadendo sostanzialmente le dichiarazioni già rese nella parte sopra riportata, insisterà altresì, per il resto, nella contestazione degli addebiti.


Per quanto riguarda il FIEBELKORN, va rilevato che contro costui aveva avviato procedimento penale per l'eccidio di Bologna anche la Procura di Stato di Francoforte sul Meno e che il FIEBELKORN, interrogato in istato di fermo, aveva affermato di essersi trovato non in Europa, ma in Bolivia, il 2/8/1980 (79). Successivamente, l'autorità giudiziaria tedesca aveva respinto (80) l'istanza di emissione di mandato di cattura nei confronti del FIEBELKORN, ma la Procura aveva mantenuto in vita l'azione penale (81).


Il 6 ed il 7 agosto 1985, in Francoforte, in sede di commissione rogatoria (82), alla presenza e con l'intervento

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(76) - Cfr. IB, C6, pp. 53-62.
(77) -Cfr. IB, C6, p65.
(78) -Cfr. IB, C6, pp. 80-87. (79) - Cfr. RB, V7, C125/3, pp. 183-185 (atto del 13/9/82). (80) - Cfr. RB, V7, C125/3, pp. 382-383 (atto del 16/9/82).
(81)- Come si rileva dalle attività che il Procuratore di Francoforte ancora svolgeva nel maggio del 1985: cfr.
RB, V7, C125/1, pp. 129-131.
(82) - Cfr. RIB, V1, C7.


del Giudice Istruttore del presente procedimento, il


FIEBELKORN veniva interrogato e, nel respingere ogni addebito in ordine a proprie responsabilità nella strage, tra l'altro dichiarava (83): "...Nel corso di un incontro nella casa in cui abitavo a Santa Cruz -direi che sia stato nel gennaio 1981- Alfredo" (cioè, Stefano DELLE CHIAIE) "mi rivolse la domanda se io con il mio gruppo avremmo potuto effettuare missioni anche in Europa. Questa domanda non era posta in maniera concreta. Alfredo non indicò dove né che tipo di missione intendesse. Io allora lasciai intendere che secondo me il gruppo poteva effettuare missioni anche al di fuori della Bolivia. Il tutto però era più o meno una conversazione di carattere generale. Non si parlò di niente di concreto né si presero accordi. A questa domanda di DELLE CHIAIE, se io e il mio gruppo potevamo effettuare missioni fuori dalla Bolivia, io non attribuii allora, in Bolivia, alcun significato. Solo quando qui, nella Repubblica federale, sono stato confrontato con l'accusa sollevata contro di me in relazione all'attentato alla stazione di Bologna, e quando ho riflettuto se io potessi dire qualcosa

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(83) - RIB, V1, C7, pp. 119-120.


su DELLE CHIAIE, sono tornato con la mente a questa domanda. In questo colloquio DELLE CHIAIE disse anche di trovare non buona la mia lotta contro la droga in Bolivia, e di disapprovarla. Egli riteneva che attraverso le mie attività di lotta contro la droga certe persone che ricoprivano posizioni politiche di responsabilità potessero trovarsi in pericolo a causa della loro partecipazione al commercio di cocaina..."


Per quanto riguarda, infine, la posizione del DANET, va rilevato semplicemente che, prima ancora dell'emissione del mandato di cattura a suo carico, il Giudice Istruttore, aveva richiestoall'autorità giudiziaria francese di procedere, in sede di commissione rogatoria internazionale, all'interrogatorio del suddetto, all'epoca detenuto nelle carceri di Fleury Merogis (84). Il `Tribunal de Grande Instance de Bobigny' aveva rifiutato di dar corso alla rogatoria,per le ragioni esposte nella nota (85) 27/7/1982. Il Giudice Istruttore rinuncerà poi alla riproposizione della rogatoria (86), e provvederà a revocare

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(84) - RIB, V2, C8/c, pp. 4-6.
(85) - RIB, V2, C8/c, pp. 9-10.
(86) - RIB, V2, C8/c, p14.


il mandato di cattura, per le ragioni esposte nell'ordinanza 28/7/1983 (87).


1.5.8)La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione sui ricorsi proposti avverso l'ordinanza 22/4/1982 della Sezione Istruttoria


Avverso l'ordinanza della Sezione istruttoria di cui si è detto sub 1.4.11) avevano proposto ricorso gli imputati BONAZZI, FACHINI, SIGNORELLI, TUTI, FEMIA, MAMBRO, PEDRETTI, CALORE e FIORAVANTI.


13/12/82Con sentenza in data 13/12/1982 (88), la Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i ricorsi dei primi quattro (per esser stato impugnato un provvedimento favorevole, e nella sola parte motiva) nonché del PEDRETTI e del FIORAVANTI (per omessa presentazione dei motivi); rigettava i ricorsi del CALORE e della MAMBRO ( "le serrate argomentazioni critiche dei ricorrenti risolvendosi in censure di fatto", come tali improponibili in Cassazione); ed annullava, con rinvio alla Sezione Istruttoria, per nuovo esame, quella parte dell'ordinanza impugnata che disponeva la cattura del FEMIA (non rilevandosi, dalla motivazione del provvedimento

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(87) - OC, V4, C80, pp. 49-50.
(88) - AR, V2, C13, pp. 2-11.


censurato, il collegamento fra gli indizi ritenuti sussistenti a carico del FEMIA e la partecipazione dello stesso al fatto delittuoso contestatogli).


1.5.9) Le rivelazioni di Mauro ANSALDI


22/12/82 Il 22 dicembre, il Giudice Istruttore trasmetteva (89) al PUBBLICO MINISTERO, per eventuali richieste, copia dell'estratto di un interrogatorio (90) di Mauro ANSALDI, reso al Procuratore della Repubblica di Torino il 28/10/1982 e trasmesso al Giudice Istruttore del presente procedimento dal Giudice Istruttore di Roma il 7 dicembre (91). L'estratto suona testualmente come segue: "...Circa la strage di Bologna nulla so di preciso . Posso però dire che qualche giorno prima del fatto lo ZANI e la COGOLLI incontrarono a Bologna o in una città vicina una persona che se ben ricordo era il FACCHINI Massimiliano, il quale disse loro di andarsene via da Bologna o dai dintorni perché sarebbe successo qualcosa. Il FACCHINI è legato a FREDA, essendo tra l'altro stato il direttore delle Edizioni AR. di

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(89) - Cfr. RI, C4, p278.
(90)- Trovasi in EA, V10/a-5, C230 bis, fascicolo contenente copie di esami testimoniali acquisiti ex art. 165 bis C.P.P., pp. 3-4. (91) - Cfr. fascicolo citato alla nota che precede, p2.


FREDA. Lo ZANI e la COGOLLI ebbero in tal modo ulteriore conferma dei loro sospetti che la strage di Bologna fosse stata compiuta da provocatori di Avanguardia Nazionale legati ai servizi segreti italiani. Tutto ciò me lo disse la COGOLLI. Lo ZANI in un'altra occasione mi disse che conosceva una persona, di cui non mi ha fatto il nome, che sapeva tutto sulla strage di Bologna. In generale, l'ADINOLFI mi disse che sicuramente la strage era opera del gruppo di DELLE CHIAIE, che tendeva a criminalizzare Terza Posizione nel momento in cui il movimento stava velocemente ampliandosi. Ricordo che l'ADINOLFI mi disse che proprio in quei giorni a Roma vi era della gente di Avanguardia Nazionale, mai coinvolta in inchieste, nemmeno in quella sulla strage, che girava nei quartieri per reclutare delle frange del movimento e riportarle sulle posizioni di Avanguardia Nazionale. E' mia impressione quindi, in base ai discorsi di ADINOLFI, che CIOLINI dica la verità anche se fa polverone. So ancora che SIGNORELLI era in rapporti con il SEMERARI, il quale si dice fosse della P2. ADINOLFI mi disse infatti che era certo che SEMERARI, SIGNORELLI e GELLI si erano incontrati in un ristorante di Roma. Ovviamente non so che cosa si siano detti."


Il PUBBLICO MINISTERO, per parte sua, rispondeva (92) di non poter -in base alle dichiarazioni dell'ANSALDI- che confermare la propria richiesta di emissione di mandato di cattura nei confronti del FACHINI, del RINANI, del SIGNORELLI, del TUTI e del BONAZZI.


1.5.10) Il mandato di cattura della Sezione Istruttoria


24/03/83 Il primo atto rilevante del 1983 è il mandato di cattura della Sezione Istruttoria della Corte d'Appello in data 24 marzo (93). La Sezione, preso atto che , per effetto della sentenza della Suprema Corte di cui si è detto sub 1.5.8), eradivenutadefinitiva e doveva essere posta in esecuzione l'ordinanza della stessa Sezione Istruttoria in data 22/4/1982, nella parte relativa al CALORE, al PEDRETTI, al FIORAVANTI ed alla MAMBRO, ordinava la cattura dei quattro imputati per i delitti loro rispettivamente ascritti, disponendo che rimanessero a disposizione del Giudice Istruttore.



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(92) - Cfr. l'affogliazione citata alla nota (89).
(93) - AR, V2, C13, pp. 35-38.


1.5.11)Le ulteriori attività, acquisizioni e vicende di rilievo risalenti al periodo in esame


Prima di chiudere il capitolo, occorre ancora dar conto di quanto segue:


a) il 10 agosto,nel carcere di Novara, veniva strangolato Carmine PALLADINO. Dell' assassinio era autore confesso Pier Luigi CONCUTELLI (94), il quale, in un manoscritto rivolto all'autorità carceraria (95), aveva subito dichiarato di aver giustiziato il PALLADINO, in quanto su di lui ricadeva "buona parte di responsabilità nella vicenda della morte di Giorgio VALE" (96).


b) Il 5 novembre moriva Pier Luigi PAGLIAI (97), ricoverato in prognosi riservata presso l'Ospedale S. Camillo di Roma. Il PAGLIAI era giunto a Roma il 12 ottobre dalla Bolivia, a bordo di un aereo della Compagnia di bandiera, e da allora veniva piantonato presso il citato nosocomio


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(94) - Cfr. sentenza-ordinanza G.I. Novara 29/3/1985, in AA, V9, C54. Del delitto erano stati imputati anche Marcello IANNILLI, Emanuele MACCHI, Giorgio INVERNIZZI, Mario CORSI, Nico AZZI, Roberto NISTRI e Fabrizio ZANI, poi prosciolti in istruttoria.
(95) - Trovasi in EB, V1, C15, pp. 3-4. (96) -Il VALE era deceduto alle 13,10 del 5 maggio, all'Ospedale San Giovanni di Roma, ove era stato ricoverato poche ore prima, dopo un conflitto a fuoco con agenti della DIGOS di Roma (cfr., sull'episodio, rapporto DIGOS Roma e allegati, in RB, V6, C96).
(97) - Cfr. RB, V4, C53, p65.


della capitale, in istato di coma, con grave

insufficienza respiratoria, avendo riportato una ferita

da arma da fuoco in regione latero-cervicale sinistra.

Si legge in atti (98) che il 9 ottobre personale dell'UCIGOS e del SISDE era partito alla volta di La Paz, ove le autorità di polizia boliviane avrebbero dovuto consegnare il latitante PAGLIAI. Alle 9 del giorno successivo veniva raggiunta la capitale boliviana e, quattro ore più tardi, si apprendeva che il PAGLIAI, dopo un conflitto a fuoco con la polizia di quello Stato, nel corso del quale era rimasto ferito al collo, era stato tratto in arresto in Santa Cruz della Sierra. Soltanto dopo l'emanazione del decreto di espulsione del PAGLIAI dalla Bolivia, l'aereo, recante a bordo il ferito, due medici boliviani ed il personale italiano di polizia e del servizio sopra menzionato, era ripartito alla volta dell'Italia, per atterrare a Fiumicino alle 15,30 del giorno 12.


c)Il 22 novembre veniva depositata (99) la relazione della


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(98) -Cfr. RB, V4, C53.
(99) - Cfr. PA, V2, C2, p108.


perizia riepilogativo-comparativo-statistica affidata ai medici legali sin dal settembre del 1980 (100).


I periti concludevano come segue (101): "L'esame riepilogativo-comparativo-statistico dei dati generali riferentisi alle vittime dell'esplosione di cui è procedimento (vittime rappresentate da 85 persone) ha portato alle seguenti rilevazioni:


- delle 85 vittime, 44 erano maschi e 41 femmine;


- tutte le decadi di vita erano rappresentate, con maggiore frequenza dei soggetti tra i 21 ed i 40 anni;


- in ordine alla nazionalità, 74 erano italiani e 11 stranieri, senza apprezzabili differenze quantitative rispetto al sesso;


- nessuna utile indicazione si è potuta trarre relativamente allo stato civile e alla professione delle vittime.


L'esame delle descrizioni tanatologiche ha permesso di stabilire che le cause dei decessi, i mezzi ed i meccanismi letiferi furono direttamente conseguenti agli * * * * * (100) - Cfr. supra, sub 1.1.15), lettera d).
(101) - PA, V2, C3/1, pp. 37-39.


effetti lesivi dell'esplosione, con le conseguenti precisazioni:


- in 75 casi la morte fu immediata, nei rimanenti 10 il decesso avvenne invece a distanza di tempo dalla esplosione;


- le lesioni da crollo delle strutture edilizie erano presenti in 67 casi (78,82%), le lesioni da alte temperature in 40 casi (44,7%), le lesioni da proiezione di schegge in 26 casi (29,4%) e le lesioni dovuteagli effetti propri dell'esplosione in 14 casi (16,4%).


- i dati statistici suddetti tengono conto del fatto che in singoli casi erano contemporaneamente presenti più tipi di lesioni;


- nei 10 casi di morte non immediata, la causa dei decessi fu rappresentata da politraumatismi e da ustioni, cui conseguirono arresto cardio-respiratorio, blocco renale, embolia polmonare o broncopolmonite. La sopravvivenza andò da 2 a 14 giorni con un minimo di pochi minuti ad un massimo di 3 mesi in singoli casi;


- in base al criterio traumatologico (presenza di ustioni, lesioni da schegge, lesioni da crollo) le vittime sono state suddivise in tre gruppi, corrispondenti alla loro presumibile distanza dal focolaio dell'esplosione;


- nei 67 casi di lesione da crollo ne rientra uno in cui la morte si verificò per asfissia da confinamento tra le macerie o per compressione toracica con ostacolo della meccanica ventilatoria (Sekiguchi Iwao)."








1.6) 25 marzo 1983 - 23 marzo 1984
Il periodo compreso fra il mandato di cattura della Sezione Istruttoria e l'emissione della comunicazione giudiziaria per strage nei confronti di Sergio PICCIAFUOCO


1.6.1) L'interrogatorio di Alfredo GRANITI


05/05/83 Il 5 maggio veniva interrogato Alfredo GRANITI (1), indiziato come da comunicazione giudiziaria in data 1/6/1982. Costui, al quale venivano contestate le dichiarazioni di Elio CIOLINI concernenti la `Promicom' quale recapito del DELLE CHIAIE e della sua organizzazione, respingeva gli addebiti, ma non era in grado di spiegare come il CIOLINI avesse potuto fornire agli inquirenti il numero di telefono della società, e, dopo aver preso atto che, dalle indagini, era emersa la coincidenza di detto numero con l'utenza installata nella sua abitazione, ammetteva che la `Promicom' aveva il recapito telefonico appunto presso la sua abitazione. Escludeva d'aver conosciuto il CIOLINI, se non attraverso la stampa; così come escludeva ogni rapporto con la `Odal Prima' e con i
fratelli PALLADINO, e con l'ambiente di Avanguardia Nazionale in genere. Peraltro, doveva ammettere di esser

* * * * *


(1) - IB, C12, pp. 9-13.


stato coinvolto, assieme a CARMINATI e MAGNETTA, in un conflitto a fuoco alla frontiera (2): ma negava d'esser mai stato al corrente dell'appartenenza del MAGNETTA ad Avanguardia Nazionale.


1.6.2) Le dichiarazioni di Walter SORDI


07/05/83 Due giorni più tardi veniva sentito per la prima volta nel presente procedimento Walter SORDI, il quale, tra l'altro, dichiarava (3): "Io appartenevo all'area dei N.A.R. e dello spontaneismo armato, e la nostra esperienza politica e militare era totalmente estranea a quella dei gruppi che commettevano attentati di carattere indiscriminato a Roma. Tali gruppi erano, per quanto mi risulta, il M.R.P. e le Comunità Organiche di Popolo, le quali rappresentavano l'aspetto politico del M.R.P...Io sapevo che Valerio FIORAVANTI aveva rapporti personali e politici con personaggi del M.R.P., come ad esempio SIGNORELLI e CALORE,



* * * * *


(2) - Cfr. RB, V4, C68, p9, ove si legge: "...il 21/4/1981, il nominatoGRANITI veniva tratto in arresto, da personale della DIGOS di Roma, e dell' UIGOS di Varese, al valico di frontiera di Gaggiolo (VA), unitamente a MAGNETTA Domenico...già aderente ad `Avanguardia Nazionale' e CARMINATI Massimo...ricercato per associazione sovversiva, partecipazione a banda armata ed altro...mentre si accingeva a raggiungere clandestinamente il confine..."
(3) - EA, V10/a-5, C225 bis, pp. 9-15.


ma la cosa non mi interessava più di tanto...CAVALLINI mi rivelò che egli stesso era stato in contatto con il gruppo


di SIGNORELLI, CALORE e tutti gli altri che agivano con la sigla M.R.P., ma che si era dissociato da tale formazione, unitamente ad altri, dopo l'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura, attentato che si era rivelato un tentativo di strage...alla mia domanda di ulteriori spiegazioni mi disse che l'ordine di fare una strage poteva pervenire solo da DE FELICE Fabio. Infatti egli era il vertice dell'M.R.P. da cui prendevano ordini CALORE, SIGNORELLI e tutti gli altri...inoltre mi disse che DE FELICE apparteneva alla P2..."


Il SORDI verrà poi esaminato varie altre volte in corso d'istruttoria; e il 15/12/1983, in particolare, dichiarerà tra l'altro (4): "...nel maggio-giugno 82...con CAVALLINI...venimmo a parlare di Valerio FIORAVANTI...Parlando sull'affidabilità di FIORAVANTI, anche se ora non ricordo le parole precise, CAVALLINI mi disse che il suo entusiasmo verso la figura di Valerio si era via via

* * * * *


(4) - EA, V10/a-5, C225 bis, pp. 25-26.


attenuato perché si era reso conto che Valerio amava immischiarsi in ogni tipo di faccenda losca . Nel corso di tale conversazione, questo invece lo ricordo con precisione anche nel tipo di parole che furono pronunciate, CAVALLINI disse: `Per esempio che credi che il giorno della strage del 2 agosto Valerio fosse veramente a Treviso con me e la Flavia?'...Invero nella frase del CAVALLINI io colsi la necessaria implicazione di FIORAVANTI nella strage..."


1.6.3) Mauro ANSALDI e Paolo STROPPIANA


1.6.3.1) Mauro ANSALDI


09/05/83Due giorni dopo il SORDI veniva sentito per la prima volta nel presente procedimento Mauro ANSALDI (5), il quale dichiarava (6): "Nel corso della mia attività politica ho avuto modo di conoscere e di frequentare ZANI Fabrizio e COGOLLI Jeanne, fatto che ho ampiamente illustrato al magistrato bolognese che si occupa dell'inchiesta su QUEX. In effetti è vero che la donna succitata ebbe a dirmi di avere incontrato nei giorni immediatamente precedenti la strage del 2 agosto 1980, FACHINI Massimiliano il quale le

* * * * *

(5) - Cfr, supra, sub 1.5.9).
(6) - EA, V10/a-5, C230 bis, pp. 3-4.


disse di andar via il più presto possibile da Bologna perché di lì a qualche giorno sarebbe accaduto qualcosa di grosso. Tale dichiarazione la COGOLLI me la fece nel gennaio-febbraio 1982 quando la stessa era ospite a Torino a casa mia insieme con lo ZANI per la preparazione di un sequestro a scopo di rapina di un gioielliere. In realtà la COGOLLI non mi disse con precisione quanto tempo prima del 2 agosto 1980 incontrò il FACHINI; ma -ripeto- mi disse di averlo incontrato `quasi casualmente' a Bologna prima della strage del 2 agosto 1980. Io chiesi alla COGOLLI se era a conoscenza, allora della partecipazione del FACHINI alla strage ed ella mi rispose dicendomi che la cosa era possibile in quanto il FACHINI era rimasto legato al vecchio ambiente della destra -per intenderci quello di FREDA- e conseguentemente continuava ad essere portatore di ideologie `stragiste'. Comunque la COGOLLI disse che a suo parere il FACHINI era a conoscenza quantomeno dell'ambiente dal quale era scaturito l'attentato alla stazione."


1.6.3.2) Paolo STROPPIANA


Lo stesso giorno veniva escusso anche Paolo STROPPIANA, il quale dichiarava (7): "...In effetti agli inizi dell'82 ANSALDI mi riferì che la COGOLLI gli aveva fatto un certo discorso relativo ad un avvertimento che la stessa avrebbe ricevuto da FACHINI Massimiliano prima della strage di Bologna. Qualche tempo dopo, presente ZANI Fabrizio, chiesi alla COGOLLI di confermarmi la veridicità di quanto aveva detto all'ANSALDI. La COGOLLI mi disse allora che era tutto vero, e cioè che in un periodo di tempo antecedente alla strage del 2 agosto 1980, aveva incontrato a Bologna FACHINI Massimiliano, il quale le aveva detto di allontanarsi da Bologna perché doveva succedere qualcosa e che era meglio che andasse via dalla città per evitare di essere coinvolta. Mi fu chiaro che quanto riferito dalla COGOLLI poteva significare una cosa soltanto: che FACHINI in qualche modo era a conoscenza in anticipo della strage..."


1.6.4) Amos SPIAZZI


1.6.4.1) L'informativa 28/7/1980


20/05/83 Il 20 maggio, il Col. Amos SPIAZZI veniva interrogato (8) come imputato in un diverso procedimento penale pendente



* * * * *

(7) - EA, V10/a-5, C226 bis, pp. 3-5. (8)- EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 28-34. avanti ad altro Giudice Istruttore del Tribunale di Bologna, e reso edotto del fatto che il SISDE aveva trasmesso a quel Giudice le informative relative al rapporto di collaborazione dello stesso SPIAZZI con tale Servizio, dichiarava di sentirsi a quel punto svincolato dal dovere di riservatezza che gli aveva precedentemente impedito di rivelare quanto a sua conoscenza e rendeva dichiarazioni sul contenuto di un'informativa redatta sulla base di notizie da lui provenienti, e trasmessa il 28 luglio 1980 dal Centro SISDE di Bolzano al Direttore del Servizio.


Nell'appunto in questione (9) si legge, tra l'altro:


"...b. Stefano DELLE CHIAIE:
1)lavorerebbe per i Servizi di Informazione dei seguenti Paesi: Spagna, Argentina, Cile, Portogallo;


2) riceverebbe cospicue somme in danaro da un'attività di `taglieggiamento' svolta nei confronti dei fuorusciti italiani;


3) per dar vita ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) aveva `assoldato' certo Franz STEINER o STEIKER, già legionario
combattente in Rhodesia, residente in Sudafrica il quale, dopo aver effettuato alcuni attentati in Italia,

* * * * *

(9) - Trovasi in RA, V3 bis, C132 bis, pp. 11-18.


rivendicati dai NAR:


a) ha avuto la sensazione che il DELLE CHIAIE lo avesse `venduto';


b) è rientrato precipitosamente in Sudafrica, sottraendosi per `miracolo' alla cattura da parte delle forze di polizia italiane;


4) attualmente avrebbe ingaggiato certo `CICCIO', un giovane romano (definito un `romanaccio'), tarchiato, alto circa mt. 1,75, corporatura robusta, capelli neri e lunghi tirati all'indietro, volto rasato, età apparente anni 40-45, il quale è facilmente riconoscibile sia perché ha una voce cavernosa, sia per la forte sudorazione di cui soffre;


c. il predetto `CICCIO':


1)farebbe parte di quegli ambienti che gravitano nell'area della malavita politica di estrema destra di Roma;


2) avrebbe una scarsa preparazione politica, anche se la nota RACANIELLO Giuliana, con la quale egli è in contatto, lo ha indicato alla `fonte' definendolo un `grosso personaggio' di estrema destra;


3) disporrebbe di ingenti mezzi finanziari che gli vengono inviati dal DELLE CHIAIE, il quale gli avrebbe affidato il delicato incarico di coordinare l'attività terroristica dei quattro gruppi dei NAR che, al momento, agiscono ed operano, autonomamente, in Roma, con iniziative individuali, spesso in contrasto tra loro;


4) il 17/7/80, nel corso di un `contatto' avuto con la FONTE alla Stazione Termini di Roma (CICCIO è giunto sul luogo dell'incontro con altri due elementi che, a distanza e con circospezione gli fornivano sicurezza), organizzato dalla citata RACANIELLO, ha dichiarato che:


a) l'attività terroristica di estrema destra viene attuata, nella Capitale, da quattro gruppi dei Nuclei Armati Rivoluzionari i quali, operando autonomamente e soprattutto con caratteristiche di individualità, non riescono, per mancanza di un vero e proprio coordinamento, a condurre, con continuità,`azioni militari' complesse e di rilievo;


b) ha ricevuto da Stefano DELLE CHIAIE, del quale ha stima, il compito di:


1) coordinare l'attività dei NAR affinché i quattro gruppi possano operare con unità di comando e di azione;


2) reperire armi (ed esplosivo) ad ogni costo, acquistandole (senza limiti di prezzo) ovvero procurandole in altro modo (rapine furti ecc.);


c) ad uccidere il Sostituto Procuratore Mario AMATO (Roma 23/6/1980) è stato uno dei quattro gruppi NAR che operano nella Capitale...


d) recentemente, all'interno dell'Albergo `ROSA' di Milano, presieduta da certo CROVACE Rodolfo, detto `MAMMAROSA', soggiornante obbligato, ha avuto luogo una riunione:


1) alla quale sarebbero intervenuti:
a) due romani appartenenti al gruppo NAR controllato dal `CICCIO';


b)un veronese a nome Valerio;
c)alcuni elementi della malavita milanese,


legati ad ambienti di estrema destra;...


3) nel corso della quale i due elementi romani appartenenti al gruppo NAR controllati da `CICCIO' avrebbero chiesto di acquistare armi (senza limiti di prezzo), avendo deciso di procedere, dopo il periodo estivo, alla eliminazione fisica di altro magistrato;..."


1.6.4.2) Le dichiarazioni dello SPIAZZI


Nell'interrogatorio del 20 maggio di cui si è fatto cenno, lo SPIAZZI dichiarava: "... Fu il BARONI" (10) "a sollecitarmi ad andare a Roma per raccogliere notizie sulla riorganizzazione dei NAR e sulla loro futura attività...Il BARONE mi disse che il suo servizio riteneva particolarmente pericoloso tale Chicco FURLOTTI...persona dotata di carisma e perciò capace di coagulare intorno a sé i nuclei dispersi e i cani sciolti...Partii dunque per Roma...Alla stazione



* * * * *

(10) - `Rectius' "BARONE": si tratta del nome di copertura dell'Appuntato BENFARI (cfr. dichiarazioni SPIAZZI 26/11/84, in EA, V10/a-5, C232 bis, pp. 12), del SISDE, che teneva i contatti fra lo SPIAZZI ed il Centro SISDE di Bolzano.


trovai Tommaso D'APRILE che mi accompagnò durante la mia permanenza...Andai dalla RACANIELLO per farmi da lei indirizzare verso qualche punto di ritrovo dove avrei potuto incontrare persone informate...La RACANIELLO mi disse di far capo ad alcune persone, delle quali ora non ricordo i nomi, e disse che erano solite riunirsi in un bar situato di fronte alla Sezione del MSI del quartiere Prati...nel bar indicatomi dalla RACANIELLO venni immediatamente riconosciuto...questo bar era frequentato da persone che, uscite dal MSI, erano alla ricerca di un'identità politica nazional-rivoluzionaria. Cominciai a parlare con alcuni di questi ragazzi...infine mi spiegarono quali erano le differenziazioni ideologiche ed operativo-militari dei diversi gruppi che agivano in Roma. Col termine NAR veniva indicata una galassia eterogenea e con tale dicitura erano ricomprese anche le Comunità organiche di popolo. Non so se fu una mia sensazione oppure se mi venne detto espressamente, comunque compresi, che taluni di questi gruppi propugnavano obiettivi indiscriminati, mentre altri ritenevano necessario colpire in modo selettivo. Evidentemente tutti propugnavano azioni armate. Non ricordo i nomi delle persone con cui trattai tali argomenti, ricordo solo certo FIORE...il FIORE mi disse che il Chicco era in realtà un buono a nulla...Il FIORE mi disse -e tutti gli altri consentivano- che era invece un certo Ciccio che stava tentando l'unificazione dei NAR, sotto il profilo ideologico, nonché dal punto di vista organizzativo e nella scelta degli obiettivi militari da perseguire...Il FIORE mi disse che Ciccio agiva per conto di DELLE CHIAIE...Mi fu proposto di aver un colloquio con Ciccio..." (che lo SPIAZZI -stando a quanto afferma nello stesso interrogatorio- avrebbe rifiutato) "...Mi fu detto che era in programma, o meglio che veniva ipotizzata, come momento unificante, un'azione che avesse in sé i requisiti dell'azione eclatante e dell'azione selettiva. Si parlava di un gesto da compiere in occasione di qualche celebrazione o ricorrenza e che avrebbe dovuto essere effettuato in tempi relativamente brevi. L'obiettivo avrebbe dovuto essere un magistrato e un picchetto dei CC, da colpire nel corso di una celebrazione. Non so il luogo dove tale atto avrebbe dovuto essere compiuto...Riferii tutto ciò al BARONE, il quale a sua volta ne parlò ai suoi superiori. Nel successivo incontro capii che le mie informazioni non erano state prese sul serio, nonostante che avessi detto, per avvalorarle, che avevo incontrato personalmente il CICCIO...l'intervista all'Espresso del 5/8/1980 la rilasciai, oltre che per prevenire azioni future, anche ritenendo che la strage di Bolognafossestata eseguita proprio nell'ambito di quei progetti, dei quali si era parlato a Roma e che avevo riferito al BARONI..."


25/05/83Nell'interrogatorio reso cinque giorni più tardi al medesimo Giudice Istruttore (11), lo SPIAZZI forniva ulteriori chiarimenti sulle modalità dell'operazione informativa svolta in Roma nel luglio '80 e sul ruolo svolto dalla RACANIELLO per metterlo in contatto con esponenti dell'estremismo di destra della capitale.


Lo stesso giorno 25, qualche ora prima, lo SPIAZZI era stato interrogato (12) dal Giudice Istruttore del presente procedimento, al quale aveva confermato, nella sostanza, il contenuto delle informazioni raccolte in Roma, nonché le


* * * * *

(11) - Cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 53-58. (12) - Cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 40-46.


dichiarazioni precedentemente rese, di cui si è dato conto.


Ribadiva di non aver personalmente incontrato il MANGIAMELI, ma di averne fatto la descrizione (che fu poi trasfusa nell'informativa 28/7/1980) sulla base dei riferimenti avuti dal FIORE.


Occorre qui trascrivere per intero -come del resto ha fatto anche l'Istruttore nell'ordinanza di rinvio a giudizio (13)- il contenuto dell'interrogatorio reso poi dallo SPIAZZI il 26/11/1984 (14): "Intendo rispondere. Aderisco di buon grado all'invito che mi viene rivolto a precisare il ruolo da me svolto prima della strage di Bologna nell'ambito dell'attività informativa del SISDE ed a compiere un'accurata ricostruzione degli episodi che mi riguardano successivi alla strage di Bologna.


Domanda: vuol precisare come esattamente è sorta la sua collaborazione con il SISDE?


Risposta: fui indotto a tale collaborazione, sia pure mal volentieri, dopo essere stato contattato da un tenente colonnello a me noto col nome di CATELLA del Centro SISDE di

* * * * *

(13) - Cfr. SO, da p169 rigo 14, a p178 rigo 19.
(14) - EA, V10/a-5, C232 bis, pp. 10-16.


Bolzano, il quale mi rappresentava la situazione di crisi
in cui versava il servizio, che, dopo la riforma, si era trovato a dover ricostruire ex novo l'intera struttura informativa. Sulle prime ero restio, avendo già pagato di persona, per vicende già note, l'attività da me svolta. Fui nuovamente contattato da un'altra persona, un funzionario di medio livello che ritengo essere il superiore diretto del BENFARI, il quale nuovamente mi espose la necessità del servizio, ribadendo che la mia partecipazione sarebbe avvenuta più a livello di consulenza (strutturazione degli schedari e metodologia) che non a livello di raccolta diretta di informazioni. Nuovamente rifiutai. Nel frattempo, eravamo agli inizi dell'80, fui convocato a Padova dal Generale GARIBOLDI, il quale mi dichiarò che la mia attività di insegnamento era incompatibile con lo status di ufficiale. Alle mie obiezioni sulla necessità che avevo di guadagnarmi dignitosamente da vivere, egli mi fece capire che avevo a portata di mano delle soluzioni. Io interpretai la cosa come una sollecitazione ad accettare la collaborazione col SISDE da me più volte in precedenza rifiutata. Per inciso ribadisco in questa sede quello che ho sempre detto in precedenza, e cioè che io ero convinto si trattasse del SISMI.


Mi risolsi pertanto ad accettare un rapporto di collaborazione, sia pure su un piano limitato tanto in relazione all'oggetto, poiché non volevo impegnarmi in una attività direttamente informativa, quanto in relazione alla durata che nei miei propositi doveva esaurirsi in un periodo di tempo predeterminato. In sostanza il mio concetto era quello di mettere a disposizione del nuovo centro l'esperienza che avevo maturato nel mio precedente incarico di sicurezza militare anche per evitare che andasse perduta. Quanto alla convinzione di avere a che fare con il SISMI, essa si spiega con varie circostanze: intanto, il Ten. Colonnello che mi aveva contattato apparteneva in precedenza al SID. Lo stesso BARONI lo vedevo spesso al Distretto Militare portare informazioni sugli allievi ufficiali, compito da sempre appartenuto ai servizi militari. Egli inoltre frequentava il DRACOLO che faceva da collegamento nel passato tra il SISMI e l'ufficio `I' di Verona.


Fu così che si stabilì un contatto periodico con l'appuntato BENFARI-BARONE, il quale fu scelto per mantenere i collegamenti perché poco conosciuto e tale da non dare nell'occhio.


Senonché fin dal primo incontro, il BARONE cominciò col chiedermi di adoprarmi per ottenere la costituzione del generale NARDELLA. Mi riferì che il servizio riteneva inaccettabile la prosecuzione della latitanza del NARDELLA ed era disposto a fargli delle concessioni. Dissi che potevo fare da tramite con la famiglia alla quale in effetti recapitai un pacchetto di proposte. Dopo qualche tempo la famiglia fece sapere che il NARDELLA non le aveva accettate. Il rapporto con il servizio proseguì senza particolari episodi fino al momento del più volte ricordato viaggio a Roma del 17 luglio 1980.


Il BARONE in effetti, agli inizi di luglio, prese contatto con me e mi disse che la situazione a Roma era preoccupante e che era necessario fare ogni sforzo perché la situazione era molto grave. Fece appello al mio senso del dovere e pertanto mi convinse a scendere a Roma per raccogliere notizie. Mi riporto sul punto, fedelmente, a quanto dichiarato nel mio interrogatorio del 20 maggio 1983 al G.I. Dr. GRASSI e ribadisco che fu il BARONE ad insistere perché mi recassi a Roma, ripetendo che era molto urgente raccogliere le informazioni sui N.A.R. utilizzando ogni possibile canale informativo.


Domanda: ma non è strano che il servizio abbia scelto Lei di Verona per raccogliere informazioni a Roma?


Risposta: Io non so se ciò sia strano. Posso solo dire che da un lato lo stesso BARONE mi spiegò che il momento esigeva l'attivazione di tutti i canali possibili. Del resto io stesso avevo riferito al BARONE, che quindi ne avrà parlato ai superiori, di alcuni rapporti che intrattenevo a Roma. Egli sapeva che ero in contatto con la RACANIELLO e che in qualche modo a Roma avevo una possibilità di movimento.


Domanda: Ribadisce e ne è sicuro che fu il BARONE a fare il nome di Chicco FURLOTTI indicandolo con le sue complete generalità?


Risposta: Non c'è ombra di dubbio. Ne sono certo perché ricordo con sicurezza che il nome di FURLOTTI mi era noto al momento dell'intervista al giornalista NICOTRI dell'Espresso. Poiché il nome di FURLOTTI divenne di pubblico dominio solo dopo le iniziative prese nei suoi confronti dai magistrati di Bologna in epoca successiva all'intervista non posso che aver appreso il nome FURLOTTI dal BENFARI.


Domanda: Non è che per caso Lei stia sovrapponendo, sia pure in buona fede, elementi logici ed elementi temporali, ritenendo di aver appreso il nome FURLOTTI prima della strage quando invece lei lo ha appreso dopo?


Risposta: Lo escludo, e vi è un argomento determinante: quando venni a Roma nel luglio dell'80 chiesi espressamente ai miei interlocutori di fornirmi notizie sul ruolo del FURLOTTI e ricordo che tutti irrisero a questa mia domanda dicendo che non era nessuno. Ricordo quindi con estrema chiarezza i fatti e non posso sbagliare.


Domanda: Vuole spiegarci nuovamente le modalità dell'incontro avvenuto a Roma nel corso del quale acquisì le notizie su `CICCIO'?


Risposta: L'incontro si è svolto così come ho già più volte detto. Essendomi recato in una sezione M.S.I. del Quartiere Prati ove tenni una conferenza in un circolo annesso, mi recai poi, su indicazione della RACANIELLO, alla quale avevo chiesto di far venire alla mia conferenza anche giovani appartenenti alle frange più estreme della destra extraparlamentare, in un bar sito nei pressi, indicato dalla stessa RACANIELLO come luogo di abituale ritrovo dell'ambiente che a me interessava. Rimasi nel bar circa una mezz'ora e, riconosciuto, fui avvicinato da alcuni ragazzi con i quali scambiai delle chiacchiere apparentemente vaghe e senza particolare riferimento a niente di specifico. Essendo il mio compito quello di raccogliere informazioni condussi il discorso in termini tali da far parlare i miei interlocutori del più e del meno senza insospettirli. Costoro, evidentemente convinti di poter parlare liberamente, mi dissero che a Roma c'era ancora spazio per un'esperienza NAZIONAL-RIVOLUZIONARIA e che non era vero che certe esperienze si fossero concluse con lo scioglimento di ORDINE NUOVO e AVANGUARDIA NAZIONALE. Mi fecero capire che vi erano ancora militanti capaci di azioni di stampo rivoluzionario, anche se non in linea con l'ortodossia della destra ufficiale. A questo punto io lasciai cadere casualmente il nome di FURLOTTI dicendo qualcosa come: `SI, HO SENTITO PARLARE DI CHICCO COME DI UNO CHE HA UN CERTO PESO'. E, precisato che alludevo a Chicco FURLOTTI, i miei interlocutori si misero a ridere dicendo che CHICCO non contava niente e non era nessuno, aggiungendo poi che evidentemente ero incorso in un equivoco perché era CICCIO e non CHICCO una persona dotata di effettiva capacità politica ed organizzativa. Mostrando di intendere a chi si riferissero feci in modo di ottenerne una descrizione sommaria. Manifestai anche curiosità per le idee da loro portate avanti e furono loro stessi a propormi di incontrare il CICCIO, cosa che come ho più volte detto, ho rifiutato.


Raccontai fedelmente dell'incontro a BARONI anche se gli dissi di aver incontrato il CICCIO. Ammetto anche di aver enfatizzato gonfiandolo un po' il contenuto informativo delle notizie da me raccolte sui progetti del suddetto CICCIO.Lo feci perché dai discorsi fatti l'ambiente mi era sembrato interessante dal punto di vista informativo mentre invece il BENFARI, che quando gli avevo parlato della mia permanenza a Roma mi era sembrato molto interessato, dopo qualche giorno mi disse che l'ambiente non meritava di essere coltivato e che il suddetto CICCIO non meritava ulteriori indagini. Da sue allusioni pensai anche che il CICCIO fosse un infiltrato.


Questo atteggiamento mi parve ancora più strano perché qualche giorno prima il BENFARI mi aveva anzi riferito di aver avuto conferma da altre fonti sulla bontà delle mie informazioni e sull'organizzazione dei N.A.R.


La mia convinzione a quel punto fu che non si volesse indagare sul CICCIO perché collegato ad altro servizio ed inserito nell'organizzazione di estrema destra con precise funzioni.


Domanda: Ma non Le sembra contraddittorio che le informazioni su persona a posteriori identificabile con MANGIAMELI Le venissero fornite da FIORE e SPEDICATO a loro volta dirigenti della medesima organizzazione eversiva cui lo stesso MANGIAMELI apparteneva con funzioni di massimo livello?


Risposta: I miei interlocutori non mi passarono informazioni. Abbiamo avuto una chiacchierata in un clima favorevole e non va dimenticato che io ero ai loro occhi non un appartenente ai servizi di informazione, ma un elemento di spicco dell'estrema destra reduce da anni di prigione per la causa.


Nel corso di tale chiacchierata, del resto,non furono fatte indicazioni precise di nessun genere. I loro programmi vennero esposti in termini molto generici e di prospettiva politica generale senza alcuna visione operativa. Mi dissero solo che attendevano soldi da DELLE CHIAIE, senza precisarmi nient'altro sulle modalità. A CICCIO fecero riferimento senza indicarmene l'identità e sono riuscito con molta abilità ad ottenerne una decrizione fisica. In conclusione non vedo niente di strano nei discorsi che furono fatti in quella sede.


A.D.R. - Ricevuta lettura di pagina 4) e 5) della nota 28 luglio 1980, trasmessa al Centro SISDE, confermo di aver appreso dal 'VALERIO' di cui ho già parlato le notizie di cui ai punti uno e tre di pagina 5), mentre escludo di aver parlato io di LUCIDI, TOMEI, FORESI e DE LUCA. Con ogni evidenza si tratta di notizie provenienti da altra fonte e rielaborate dall'estensore (15).


A.D.R.- ho appreso in sede di interrogatorio che il servizio per cui lavoravo era il SISDE e non il SISMI."


1.6.5) La cattura e l'interrogatorio di Alfredo GRANITI


01/06/83 Il primo di giugno il Giudice Istruttore ordinava la cattura di Alfredo GRANITI (16) per il delitto di cui all'art. 270

bis C.P. Nella motivazione del provvedimento si fa sostanzialmente riferimento alle dichiarazioni di Elio CIOLINI, ai rapporti di Polizia Giudiziaria nei quali si riferiva dell'arresto al valico di Gaggiolo ed alla comune matrice politica del GRANITI e delle persone con lui arrestate in tale occasione, e ad esiti di indagini da cui si sarebbe evinto che la sede della `Promicon' era servita al GRANITI solo come recapito telefonico, non essendo stata


* * * * *


(15) -I punti uno e tre cui fa riferimento lo SPIAZZI si sono integralmente riportati supra: cfr. 1.6.4.1), parte finale.I nomi LUCIDI, TOMEI, FORESI e DE LUCA compaiononella stessa informativa -in una parte non trascritta sub 1.6.4.1)- al punto due, intermedio tra quelli testé citati. Il TOMEI, il FORESI ed il DE LUCA, facenti capo al LUCIDI, sarebbero stati invitati alla riunione tenuta presso l'Albergo `Rosa': cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p16.
(16) - OC, V4, C71, pp. 4-6.


trovata traccia di attività commerciale (17).


Sui fatti di cui al mandato di cattura il GRANITI sarà interrogato il 9/2/1984 (18). E, nel contestare gli addebiti, confermerà le dichiarazioni precedentemente rese, continuando anche a dichiarare di non sapersi spiegare come mai il CIOLINI fosse a conoscenza del nome della ditta (`Promicom') e del numero di telefono della sua abitazione.


1.6.6)L'ordinanza della Sezione Istruttoria emessa, in sede di rinvio, nei confronti di Roberto FEMIA


06/06/83 Il 6 giugno, la Sezione Istruttoria della Corte d'Appello, investita in sede di rinvio dalla sentenza della Corte di Cassazione di cui si è detto sub 1.5.8), confermava (19) l'ordinanza del Giudice Istruttore 12/1/1982, con la quale era stata rigettata la richiesta di emissione di mandato di cattura nei confronti di Roberto FEMIA. Si legge nel provvedimento che dagli elementi indiziari raccolti a carico

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(17) - In AF, V1, C5, pp. 4-5, si legge: "...Ditta `PROMECON' - Bergamo, via Lidice nr. 5. Con tale denominazione non risulta in essere, né essere mai esistita, nella circoscrizione di questo Nucleo PT, alcuna ditta. Il numero di iscrizione camerale 183495" (si tratta del numero che il rapporto in atti, RB, V4, C54, p15 attribuisce alla `Promecon') risulta attribuito alla ditta individuale `GRANITI ALFREDO'...". Si tratta dell'esito di indagini compiute dal Nucleo di polizia Tributaria di Bergamo. (18) -IB, C12, pp. 19-20.
(19) - AR, V2, C13, pp. 71-72.


dell'imputato "può al massimo desumersi l'appartenenza del


FEMIA agli ambienti nei quali la strage sarebbe stata ideata

e la sua adesione alle finalità dell'attentato". Si legge ancora: "Tuttavia questi elementi -anche se collegati all'altra circostanza dell'associazione del FEMIA, prima

dell'arresto, a gruppo eversivo avente la disponibilità di

materiale esplosivo- non possono essere assunti, per la loro genericità, come sufficienti indizi di una partecipazione, anche solo indiretta, alla preparazione e all'organizzazione dell'atto terroristico."


1.6.7) Le dichiarazioni di Tommaso D'APRILE


04/08/83 Il 4 agosto veniva esaminato, in altro procedimento, dal Giudice Istruttore dott. GRASSI, Tommaso D'APRILE, il quale

dichiarava (20) d'aver visto lo SPIAZZI a Roma, nel 1980, nel pomeriggiodi un giorno di cui non sapeva indicare il mese, presso la Sezione di Riscossa Monarchica di via Etruria 79. Riferiva che, dopo aver partecipato ad una riunione di dirigenti nazionali presso quella sede, egli e lo SPIAZZI erano entrati in un `bar' ubicato quasi di fronte


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(20) - EB, V2, C60, pp. 1-3. alla Sezione, in Piazza Tuscolo. Così si esprimeva il D'APRILE: "...Entrammo in un bar ubicato...Con me vi erano lo SPIAZZI ed altre persone. Mentre discutevamo fra di noi rimasi sorpreso nel vedere che lo SPIAZZI veniva salutato da tre persone di cui non sono in grado di precisare nulla ai fini della loro identificazione, che non avevo mai visto prima. Lo SPIAZZI si appartò con essi dopo avermi fatto le sue scuse...Dopo qualche minuto vidi lo SPIAZZI venire verso di me, salutarmi ed andare via con i tre sconosciuti."


1.6.8) Le dichiarazioni di Sergio CALORE


23/09/83 Porta la data del 23 settembre 1983 il primo di una serie di interrogatori resi da Sergio CALORE al Procuratore della Repubblica di Firenze ex art. 348 bis C.P.P., e poi trasmessi al Giudice Istruttore del presente procedimento.


Essi nascono dalla decisione del CALORE di fare chiarezza sul proprio percorso politico e di ricostruire la storia della destraeversiva dagli inizi degli anni '70 sino al momento del suo arresto in relazione alla vicenda dell'omicidio LEANDRI (21).


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(21) - Cfr., per tale episodio, AA, V13, C72. Il CALORE fu arrestato il 17/12/1979; ed ha riportato condanna definitiva per omicidio.


Dunque, sin dal 23 settembre (22) il CALORE, dopo aver premesso d'aver già riferito al Giudice Istruttore di Roma delle "connessioni fra ambienti di destra e la loggia massonica P2", dichiarava altresì esser sua "intenzione fare un'ampia opera di chiarificazione" sull'argomento delle stragi. Successivamente, l'11 gennaio 1984 (23), dopo aver riferito della sua adesione ad Ordine Nuovo sin dal 1974, e di come, sin dal dicembre di quell'anno, avesse, su richiesta di Paolo SIGNORELLI e Giuseppe PUGLIESE, preparato un ordigno esplosivo che gli si disse destinato ad esser collocato in Piazza Montecitorio, darà conto delle sue esperienze nell'ambito di `Costruiamo l'Azione', riferendo tra l'altro: "...Nell'estate del 1978 organizzammo una campagna di attentati quasi tutti compiuti con sveglie marca RHULA ed esplosivo fornitoci da FACHINI..."


Di altre dichiarazioni rese dal CALORE nel mese di febbraio del 1984, anch'esse rilevanti nel presente procedimento, si dovrà dar conto, per ragioni di ordine espositivo, in prosieguo di trattazione.



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(22) - AA, V4, C24, p42.
(23) - AA, V4, C24, pp. 69-73.


Il 1° marzo dell'84, sempre al PUBBLICO MINISTERO, il CALORE dichiarerà (24): "...Nel corso del mese di giugno 1978 FACHINI sollecitò l'iniziativa di mettere in atto una campagna di attentati che non dovevano essere rivendicati al fine di verificare il grado di rispondenza dell'ambiente a un eventuale discorso politico militare che egli aveva intenzione di sviluppare d'accordo anche con noi, parallelamente a Costruiamo l'Azione. Questi attentati effettivamente avvennero nel corso del mese di luglio...La mancata rivendicazione degli attentati rispondeva allo scopo di render possibile la diffusione delle idee politiche portate avanti da Costruiamo l'Azione anche in ambienti che le avrebbero rifiutate ove gli attentati fossero stati, con la loro rivendicazione, riferiti ad un gruppo preciso."


Ancora: "Nel mese di agosto 1978 si tenne in Sicilia, nei pressi di Palermo, un convegno di Terza Posizione al quale si recò, come osservatore, anche ALEANDRI. In pratica questo convegno di Terza Posizione fu finanziato da noi con tre milioni che ALEANDRI si fece dare da SEMERARI. Nel mese di

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(24) - AA, V4, C24, pp. 165-178.


settembre 1978 Terza Posizione tenne un altro convegno a Roma: in questo periodo io incontrai a casa di SIGNORELLI INCARDONA, TOMASELLI, MANGIAMELI...ADINOLFI, FIORE, RAHO. Con queste persone fu ritoccato l'argomento del possibile coordinamento delle attività di Terza Posizione (T.P.) e Costruiamo l'Azione (C.L.A.). Nuovamente però emersero, oltre alle crescenti diversità di carattere politico, problemi derivanti dalla diffidenza reciproca dovuta al fatto che loro ritenevano estremamente negativa la presenza di SIGNORELLI fra di noi, mentre da parte nostra consideravamo T.P. quasi una filiazione di Avanguardia Nazionale...In questo periodo, verso la fine del mese di settembre '78, a casa di ALEANDRI a Roma, mi incontrai con FACHINI, che mi informò che era in fase esecutiva il progetto di permettere l'allontanamento di FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro. ALEANDRI e FACHINI mi dissero anche che già da diversi giorni stavano cercando di mettere a punto l'operazione ma che le persone che intendevano utilizzare per portarla a termine, si trattava di persone dell'ambiente di Vigna Clara, da quanto mi dissero, si erano dichiarate all'ultimo momento indisponibili. Mi fu chiesto allora se nel giro di una giornata ero in grado di reperire quattro persone ed un paio di automobili per portare a termine l'operazione. Io allora avvisai Pancrazio SCORZA, Ulderico SICA, Fausto LATINO e Benito ALLATTA. Una delle vetture doveva essere quella 127 di Fausto LATINO, mentre l'altra me la feci prestare senza dire a cosa serviva ...L'operazione riuscì..."


E poi ancora, nella seconda parte dell'interrogatorio:


"...il 16/3/79 mi recai, con SIGNORELLI, a Padova dove incontrai FACHINI, RAHO, CAVALLINI e MELIOLI, a casa della madre del FACHINI. Il mio viaggio a Padova era motivato dalla necessità di portare a FACHINI circa 1000 copie del numero di C.L.A. che era appena uscito. Ricordo che questo viaggio avvenne il 16 marzo 1979 perché sui giornali era appena apparsa la notizia della rivendicazione della rapina

in dannodi OMNIA SPORT fatta dai NAR" (25) "e dato che il

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(25) - Il 15/3/79, alcuni giovani, dopo aver stordito con un colpo alla testa il titolare dell'armeria Omnia Sport di Roma,si impossessavano di circa60 pistole, 15 carabine e svariate munizioni. Della rapina furono imputate 19 persone, tra cui F. MAMBRO, G. DI MITRI, A. ALIBRANDI, V. FIORAVANTI, A. DE FRANCISCI e D. PEDRETTI. Con varie telefonate di rivendicazione a nome dei NAR,si dichiarò essersi voluta commemorare la morte di Franco ANSELMI (cfr. AA, V4, C22).


fondo di Costruiamo l'Azione dal titolo `CHIAREZZA' attaccava i NAR per la precedente azione (26) di Radio Città Futura, MELIOLI e FACHINI criticarono la pubblicazione di quell'articolo che giudicavano molto inopportuno specie dopo la avvenuta rapina OMNIA SPORT...Durante il ritorno da Padova, io cercai si saper da SIGNORELLI se egli era a conoscenza della manovra, a me riferita da ALEANDRI, che DE FELICE e SEMERARI stavano portando a termine per salvare da guai giudiziari il costruttore romano GENGHINI. SIGNORELLI disse che non ne sapeva niente e dell'argomento non si parlò più fino alla settimana successiva quando in una riunione che tenemmo presso la casa del prof. SEMERARI, alla quale con me erano anche FACHINI, SIGNORELLI, DE FELICE, oltre allo stesso SEMERARI, non sollevai il problema rappresentato da questa manovra e dai rapporti che DE FELICE intratteneva per tramite di ALEANDRI con GELLI...Per contrastare quanto

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(26) - "Verso le ore 10 del 9/1/79 alcuni giovani, penetrati nei locali della stazione radiofonica privata Radio Città Futura, lanciavano ordigni incendiari contro gli impianti ed aprivano il fuoco contro cinque donne che erano intente a condurre una trasmissione radiofonica a contenuto femminista. A seguito dell'azione riportavano lesioni tutte e cinque le donne predette..." (cfr. AA, V4, C22, p91). Anche tale impresa, di cui si rese autore, con altri, Valerio FIORAVANTI, fu rivendicata dai NAR.


io obiettavo DE FELICE diceva che il nostro orizzonte


politicoeraestremamente ristretto e egli non aveva alcuna intenzione di legarsi strettamente alle nostre tematiche che riteneva, e lo disse esplicitamente, solo strumentali, strumentali ai suoi disegni più vasti. Da questo momento in poi, anzi, ritornando alla riunione avuta in casa SEMERARI di fronte alle mie posizioni" (sic) " di problemi solo DE FELICE prese una posizione netta quale sopra ho descritta, mentre sia SEMERARI che SIGNORELLI si mantennero neutrali, non prendendo posizione né per l'uno né per l'altro: FACHINI disse di condividere la mia posizione pur senza esplicitarla eccessivamente...Nel mese di aprile 1979 io e ALEANDRI incontrammo ripetutamente...ADINOLFI, FIORE e DI MITRI, al fine di regolare in maniera conclusiva i nostri rapporti con Terza Posizione (T.P.). Dato che ormai questo gruppo si era dato una struttura di partito, non fu possibile raggiungere alcun tipo di accordo e si arrivò, quindi, alla rottura definitiva...Il 7 maggio 79 se mal non rammento si doveva tenere una manifestazione al cinema Hollywood di Roma sul tema dei carceri speciali e manicomi criminali; per tale manifestazione SEMERARI si era reso disponibile a tenere una relazione di carattere tecnico...Per propagandare tale manifestazione furon stampati due manifesti: uno riproduceva un fotomontaggio raffigurante le sbarre, due mani, una colomba recante la dicitura `Libertà per i detenuti politici Comitati popolari contro la repressione', l'altro recava solo l'indicazione della manifestazione e il luogo dove si sarebbe tenuta ed era siglato insieme sia da Comunità Organiche di Popolo che dai Comitati sopra ricordati...Durante il periodo che va dal 20 aprile a pochi giorni dopo il mio arresto (27), ci furono a Roma gli attentati firmati con la sigla MRP; il simbolo grafico utilizzato fu realizzato insieme da me ed ALEANDRI. A parte questo io non partecipai direttamente a nessuno di questi attentati, mentre per quanto riguarda i volantini di rivendicazione contribuii solo a stilare l'ultimo fra quelli diffusi e cioè quello utilizzato in occasione dell'attentato alla Farnesina...Durante la mia detenzione nel carcere di

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(27) - Il CALORE fu tratto in arresto il 22/5/1979, su ordine di cattura della Procura di Rieti, perché accusato di ricostituzione del disciolto partito fascista (cfr. AA, V1 bis, C1 bis). Sarà posto in libertà nel novembre. e ricatturato -come si è visto-nel dicembre, in relazione all'omicidio LEANDRI.


Rebibbia ebbi modo di conoscere...Valerio FIORAVANTI...


soprattutto con FIORAVANTI si stabilì un rapporto di amicizia...La confluenza di FIORAVANTI nel nostro gruppo fu posteriore all'arresto di PEDRETTI, il 6 dicembre...La sera stessa dell'arresto di PEDRETTI, o forse il giorno dopo, FIORAVANTI mi chiese se avevo nulla in contrario che egli entrasse a far parte del nostro gruppo...Agli inizi del 1982 si cominciò a porre più seriamente di prima il problema dei rapporti con gli ambienti stragisti. Così poco prima della mia partenza per il processo LEANDRI, insieme a IANNILLI Marcello, GIULIANI e PEDRETTI si pensò a quale potesse esserela migliore strategia da mettere in atto per differenziarsi da detti ambienti. Io dissi che qualunque fosse stata la decisione, era necessario spiegare esattamente quali erano le responsabilità delle persone coinvolte nel fenomeno stragista. Tale mia impostazione non fu accolta dato che nessuno voleva assumersi la responsabilità di rivelare quanto sapevamo sulle stragi..."


1.6.9) Il rapporto SISDE del settembre '83


14/09/83 Il 14 settembre, il Consigliere Istruttore, su richiesta della Procura della Repubblica (28), si rivolgeva al Direttore del SISDE in relazione alla questione dell'informativa SPIAZZI; e si esprimeva nei seguenti termini (29) : "Il Generale Giulio GRASSINI, direttore del Servizio dal 1978 al 1981, sentito ieri quale teste nell'istruttoriainoggetto" (30) "sull'omesso utilizzo ai fini di giustizia delle rilevanti 'notizie' attribuite al Col. Amos SPIAZZI (e di cui agli `appunti' fatti pervenire in copia purgata tramite l'UCIGOS al giudice istruttore di Bologna Dott. GRASSI), ha dichiarato tra l'altro:


a) - di non ricordare di aver preso visione dell'appunto in questione;


b) - di non essere in grado di indicare il funzionario che ne ha deciso l'archiviazione (e quindi neppure i motivi del provvedimento);


c)- che in testa o in calce gli originali degli appunti hanno la sigla dei funzionari che li hanno esaminati e gli estremi della `decretazione'.


Rendendosi a questo punto necessario individuare il

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(28) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p1. (29) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, pp. 2-3.
(30) - Cfr. EA, V10/a-6, C260 bis, pp. 1-2.


funzionario che, contravvenendo agli obblighi posti dall'art. 9 della L. 24/10/1977 n. 801, ha privato gli organi di polizia giudiziaria di informazioni ed elementi di prova di notevole rilievo e accertare ancora i motivi di tale decisione, si prega codesta Direzione di trasmettere, con cortese urgenza, l'originale degli appunti in questione, tutta la documentazione (questa anche in copia) relativa ad altre eventuali `notizie' avute sull'argomento e di precisare il nome dei funzionari cui si riferiscono le sigle di presa visione e di decretazione. Con l'occasione si gradisce anche sapere se e in quali termini dei fatti di cui a tali informative siano stati resi edotti il Ministero dell'Interno ed il CESIS (ai sensi dell'art. 6 u.p. della legge citata)."


19/09/83 Rispondeva il Direttore del SISDE con rapporto riservato in data 19 settembre (31): in esso si riferisce che, pervenuta al Direttore del Servizio dal centro di Bolzano, il 1° agosto 1980, l'informativa SPIAZZI, il Direttore stesso aveva chiesto "valutazioni e proposte" alla 4ª Divisione,

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(31) - RA, V3 bis, C132 bis, pp. 4 e ss. che, avvertita l'esigenza di preliminari approfondite
indagini, aveva proposto, "soprattutto per la genericità dei riferimenti, di rinviare ad eventuali specifici riscontri l'opportunità di riferire superiormente". A tale suggerimento aveva aderito il Generale GRASSINI con annotazione autografa in data 2 agosto a tergo dell'appunto redatto dalla 4ª Divisione. Il rapporto dà poi conto degli accertamenti in seguito svolti, e soggiunge: "La valutazione delle risultanze acquisite nel periodo dall'agosto 1980 al maggio 1981 faceva apparire necessario l'inoltro superiormente solo delle notizie sulle quali erano confluiti elementi di conferma e contenute nell'appunto n. 4/7861...Le linee di tale appunto, riassuntive degli spunti apparsi concreti, non comprendevano alcun riferimento indicativo del `CICCIO'. Dai riscontri di archivio risulta che all'epoca n. 29 estremisti di destra, a nome Francesco (a cui poteva farsi risalire l'alias di `CICCIO'), le cui caratteristiche somatiche non corrispondevano a quelle fornite dalla fonte...La possibile immedesimazione di `CICCIO' con Francesco MANGIAMELI... non fu percepita dall'ufficio; in effetti i dati forniti dalla fonte non coincidono minimamente con quelli ricavabili sullo stesso MANGIAMELI dalla Banca Dati..."


1.6.10) Le dichiarazioni di Giulia RACANIELLO


15/10/83 Il 15 ottobre veniva escussa (32) Giulia RACANIELLO, che, nel confermare d'aver ricevuto visite a casa da parte del Colonnello SPIAZZI, aggiungeva d'averlo messo in contatto telefonico con Romano COLTELLACCI. E spiegava: "Lo SPIAZZI mi disse semplicemente che voleva incontrare esponenti della destra romana, ma non mi specificò le ragioni di tale sua intenzione. Io ritenni che il COLTELLACCI fosse la persona adatta per procurargli tali incontri". A proposito della data dell'ultima visita dello SPIAZZI, testualmente riferiva: "con tutta la buona volontà non mi riesco a ricordare se sia stato nell'80 o nell'81. Sicuramente era estate o quasi estate."


1.6.11)Gli sviluppi processuali della posizione di Sergio PICCIAFUOCO


Sindal mesedi settembre erafrattantoemerso (33) che il nominativo di Sergio PICCIAFUOCO era ricompreso in un elenco

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(32) - EB, V2, C42, pp. 7-10.
(33) - Cfr. RI, C5, p13.


di detenuti di estrema destra rinvenuto in possesso di Gilberto CAVALLINI.


Il 1° ottobre, con rapporto (34), i Carabinieri di Ancona avevano tra l'altro riferito al Giudice Istruttore: "...secondo notizie attinte, negli ultimi anni, il PICCIAFUOCO si sarebbe politicizzato, entrando nell'organizzazione di destra `Terza Posizione'.


Il 3 ottobre, il PICCIAFUOCO era stato sentito a titolo di sommarie informazioni testimoniali (35) da funzionari della DIGOS di Bologna ed aveva reso dichiarazioni così sintetizzate nel rapporto (36) redatto il giorno 7:


"1) il 2/8/80, verso le 8,50," (il PICCIAFUOCO) "si era recato alla Stazione di Modena ma si era reso conto di aver perso il treno delle 8,00 circa diretto a Milano, ove aveva intenzione di procurarsi documenti falsi;


2) per tale motivo, verso le 9,00 aveva preso uno dei taxi
(una Opel Ascona) che fanno servizio nel piazzale della
Stazione, al fine di raggiungere Bologna in tempo per le


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(34) - RA, V9 bis, C383 segue, pp. 8 e ss. (35) - IA, V9/a-2, C40, pp. 9-10.
(36) - Cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 20-68; la sintesi comprende talune circostanze riferite dal PICCIAFUOCO il 15/5/81 (cfr. IA, V9/a-2, C40, pp. 4-5).


10,34, orario di partenza di un treno per Milano. Pagò lire 25.000 la corsa del taxi;


3) E' giunto alla stazione di Bologna verso le 10,00 e dopo aver fatto colazione al bar e comprato giornali e sigarette, si è diretto al terzo marciapiede perché il treno partiva dal quarto binario, sedendosi poi sul muretto del sottopassaggio rivolto verso la stazione, in corrispondenza della sala d'aspetto;


4) mentre si trovava ancora sul primo marciapiede, in corrispondenza dell'edicola vicina al sottopassaggio, è arrivato al primo binario il Settebello, dal quale ha visto scendere due turisti che lo hanno insospettito. Uno di questi è entrato nella sala d'aspetto di seconda classe, mentre l'altro è risalito sul treno che è poi ripartito. Poco dopo è giunto sul primo binario il treno turistico Ancona-Basilea. Dopo circa cinque minuti che era seduto sul muretto del sottopassaggio al terzo marciapiede, è stato investito dall'esplosione." Così prosegue il rapporto: " Ciò che è accaduto dopo era già stato descritto dal PICCIAFUOCO il 15/5/1981, quando fu assunto a s.i.t. da Ufficiali di P.G. della Questura di Bologna e confermato al Giudice di Sorveglianza di Tarvisio" (37) "il 25/5/1981, e cioè:


5) dopo l'esplosione ha aiutato un Agente in divisa della `Polfer' `molto alto, magro e castano' a portare soccorso ai feriti del treno in sosta sul primo binario, strappando le tendine parasole di uno scompartimento e ricavandone delle barelle;


6) ha fatto tre viaggi sulle autoambulanze dirette agli ospedali e, al termine dell'ultimo viaggio, è ricorso alla cure mediche fornendo le false generalità di VAILATI Eraclio."

Dopo aver dato conto delle dichiarazioni del PICCIAFUOCO, l'estensore del rapporto aveva riferito di una serie di accertamenti svolti per sondarne la veridicità: e su tali accertamenti, dai quali emergeva l'inattendibilità della versione dei fatti fornita dal teste, si dovrà tornare ampiamente in prosieguo di trattazione.


24/10/83 Il 24 ottobre, il rapporto in esame veniva trasmesso (38) al

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(37)- Si tratta di un errore: la conferma era stata resa al G.I. di Sulmona: cfr. IA, V9/a-2, C40, p5/bis-3. (38) - RI, C5, p12. PUBBLICO MINISTERO -essendo stato frattanto il PICCIAFUOCO escusso prima il 6 (39) e poi il 20 ottobre (40)- per la contestazione del delitto di cui all'art. 496 C.P., commesso in Bologna il 2 agosto 1980.


29/10/83 Cinque giorni più tardi, la Procura della Repubblica chiedeva (41) di voler contestare detto reato con mandato di comparizione.


1.6.12) Il rapporto SISDE del novembre '83


21/11/83 Il 21 novembre il SISDE trasmetteva al Giudice Istruttore un nuovo rapporto (42). In esso si afferma, in sostanza, che: lo SPIAZZI si era effettivamente recato a Roma il 17/7/1980 ed, al rientro a Verona, aveva riferito al BENFARI una serie di notizie sull'attività di elementi e di gruppi gravitanti nell'ambito della destra eversiva della capitale; nessun ufficio o funzionario del Servizio aveva sollecitato lo SPIAZZI ad effettuare il viaggio; viceversa, lo SPIAZZI, in rapporto fiduciario col BENFARI sin dai primi mesi dell'80, aveva rappresentato al BENFARI stesso la possibilità di



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(39) - IA, V9/a-2, C40, pp. 11-14. (40) - IA,V9/a-2,C40,pp.15-18. (41) - RI, C5, p22.
(42) - RA, V3 bis, C132 bis, pp. 125-132.


acquisire notizie sull'eversione di destra della capitale,
tramite persone colà residenti, ed, in particolare, tramite la propria conoscente Giulia RACANIELLO; in relazione a ciò, il BENFARI aveva invitato lo SPIAZZI ad esaminare la possibilità di raccogliere eventuali notizie d'interesse per il Servizio in occasione di un viaggio a Roma che il Colonnello diceva d'aver programmato per informarsi circa lo
stato del processo d'appello pendente a suo carico in relazione alla vicenda della `Rosa dei Venti'; nessun elemento del Servizio aveva potuto fare allo SPIAZZI, "né esplicitamente né indirettamente", il nome di `Chicco' FURLOTTI in epoca anteriore alla strage alla stazione di Bologna: "nell'ambito dei Centri di Bolzano e di Padova il predetto era completamente ignoto fino a quando non apparve sui giornali locali, ai primi del mese di settembre 1980", la notizia del suo arresto.


1.6.13) L'interrogatorio di Romano COLTELLACCI


07/12/83 Il 7 dicembre, il Giudice Istruttore contestava a Romano COLTELLACCI, con mandato di comparizione (43) i delitti di

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(43) - OC, V3, C70, pp. 3-4.


cui all'art. 270 bis C.P. e di banda armata.


16/12/83 Interrogato (44) il giorno 16 dello stesso mese, il COLTELLACCI, nel respingere ogni addebito, dichiarava anche, tra l'altro, di non esser mai stato richiesto dalla RACANIELLO di mettere in contatto "un esponente della destra con giovani estremisti".


1.6.14) Le dichiarazioni di Angelo IZZO


23/01/84 Il 23 gennaio del 1984, davanti al Procuratore della Repubblica di Firenze, che conduceva indagini concernenti atti terroristici compiuti in Toscana, Angelo IZZO, sentito ai sensi dell'art. 348 C.P.P. dichiarava tra l'altro (45):


"...CAVALLINI mi disse che PAGLIAI gli aveva riferito che la strage di Bologna era stata organizzata da DELLE CHIAIE. Questo era stato detto da PAGLIAI a CAVALLINI in seguito a domande insistenti fatte da quest'ultimo dopo che PAGLIAI aveva detto a CAVALLINI che diversa gente ce l'aveva con DELLE CHIAIE in quanto gli rimproverava di aver introdotto CIOLINI nell'ambiente, nell'aver mantenuto rapporti con lui e nell'averlo messo a conoscenza di cose che non avrebbe

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(44) - IB, C15, pp. 36-38.
(45) - AA, V4, C24, pp. 104-113.


dovuto sapere." E poi ancora, rispondendo ad una domanda dell'inquirente: "Su ciò il discorso di CAVALLINI fu in questi termini. Per essere precisi al 100%, al cento per cento, CAVALLINI mi disse che PAGLIAI gli aveva riferito che CIOLINIaveva detto un sacco di bugie, ma che comunque qualcosadi vero lo aveva detto con riferimento ai rapporti con DELLE CHIAIE e che comunque CIOLINI aveva saputo di cose che non doveva sapere. Per quanto riguarda le motivazioni della strage di Bologna preciso subito che qui, dai discorsi fattimi da CAVALLINI, risultava che si intersecavano le conclusioni tratte da lui CAVALLINI con quanto gli aveva detto PAGLIAI. Comunque io mi limito a dire quel che mi diceva CAVALLINI. E CAVALLINI diceva che la strage di Bologna era frutto di una decisione presa dagli avanguardisti per rimescolare le carte del mondo neofascista italiano; CAVALLINI non escludeva che ci fossero altri motivi o interessi. Tuttavia secondo CAVALLINI e cioè secondo quanto lui diceva, nel periodo precedente alla strage di Bologna, nell'ambito dell'ambiente, Avanguardia si trovava in una posizione difficile sia per il dissolversi in termini militari e politici del gruppo Terza Posizione su cui aveva puntato le sue carte, sia perché era ormai, Avanguardia con DELLE CHIAIE, universalmente malvista e rischiava di perdere ogni possibilità di allargamento di base e di consenso. In quest'ottica, a mezzo della strage, contavano, così diceva CAVALLINI, innanzitutto, di radicalizzare la situazione di molti camerati che, allora, avrebbero potuto esser recuperati e aiutati mediante le strutture di Avanguardia; inoltre speravano, quelli di Avanguardia, che fosse colpito, a seguito della strage, un certo tipo di ambiente, quello, diciamo così, spontaneista...pensavano, attraverso la strage, di ricompattare l'ambiente all'interno di uno spirito di ghetto e ciò a seguito delle reazioni verso la destra che avrebbe prodotto il fatto di strage..."


Riferiva poi l'IZZO, nel corso del medesimo interrogatorio, come fosse entrato in confidenza, in un periodo di comune detenzione, con Gaetano SINATTI -persona che egli indica in rapporto di dipendenza rispetto a Vincenzo VINCIGUERRA (46),

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(46) - Personaggio, quest'ultimo, sul quale si dovrà tornare in corso di trattazione.


esponente di Avanguardia Nazionale- ed avesse appreso di un
lungo e complesso dibattito interno ad Avanguardia, nel corso del quale, ad un certo punto, "si era fatta strada maturandosinel tempo...-soprattutto" (a detta del SINATTI) "per colpa o meglio per iniziativa di BALLAN- l'idea di fare un botto funzionale al discorso di aggregazione e controllo di cui ho detto e per creare lo spirito di ghetto cui ho fatto riferimento...Mi disse SINATTI che l'idea del botto aveva man mano cominciato a prender campo e SINATTI mi disse che VINCIGUERRA si era dissociato su questa idea da TILGHER, BALLAN, GIORGI e PALLADINO Carmine che invece cominciavano a coltivarla e VINCIGUERRRA si dissociò, diceva SINATTI, perché diceva che era una cosa da pazzi. Mi disse SINATTI che proprio per rendere esplicita, manifestata e irrevocabile la sua dissociazione dall'idea il VINCIGUERRA si era costituito, malgrado la lunga pena che avrebbe dovuto espiare,per viadel fatto deldirottamento aereo" (47)"... SINATTI sapeva delle cose che mi raccontava per averle a sua volta apprese da VINCIGUERRA col quale era stato in carcere

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(47)- Si tratta del dirottamento di Ronchi dei Legionari, risalente al 6/10/1972, per il quale il VINCIGUERRA ha riportato condanna in via definitiva. sia a Porto Azzurro che a Volterra..."


Sempre nel corso del medesimo interrogatorio, l'IZZO riferiva anche circostanze che diceva d'aver appreso da Marcello IANNILLI nel carcere di Ascoli Piceno: "...lo IANNILLI mi raccontò che il PALLADINO aveva riferito che VALE erastato contattato da Avanguardia Nazionale che gli aveva fatto la proposta di appoggiarsi alla stessa Avanguardia, ma il VALE aveva rifiutato in malo modo. PALLADINO aveva commentato: avete visto, questo ha fatto il cane sciolto e che fine gli è capitata? (il VALE era morto inoccasione dell'arresto)...Mi disse lo IANNILLI che come PALLADINO era arrivato a Novara, il CONCUTELLI aveva deciso di ucciderlo in quanto era uno dei capi di Avanguardia; in più ad aumentare l'ostilità c'era stato questo discorso del PALLADINO sul VALE, dal quale, anche se non detto, emergeva o poteva emergere che era stata Avanguardia a dare le indicazioni per trovarlo...Mi disse IANNILLI che lui e CONCUTELLI avevano mostrato di esser favorevoli al PALLADINO (il CONCUTELLI si era messo a fare il nostalgico della Spagna), in modo che questi si aprisse il più possibile. Il PALLADINO,presa una certa fiducia, si lasciò andare, così mi diceva IANNILLI, a fare discorsi riferiti anche alla strage di Bologna ...Mi disse poi IANNILLI che alla fine PALLADINO aveva detto che la strage l'avevano organizzata BALLAN e GIORGI..." E ancora, verso la conclusione dell'interrogatorio: "...Dopo la strage di Bologna, il FREDA, quando veniva nel carcere di Trani da Catanzaro nelle more del processo, non veniva più messo in sezione, ma stava in infermeria e in qualche occasione pregando un qualche brigadiere di farmi parlare col FREDA, di farmelo salutare, sono riuscito a parlarci. Orbene voglio dire, anche se questo può sembrare in contrasto con quanto finora ho riferito, ma io debbo dir la verità, che FREDA, parlando della strage diceva che secondo lui vi era implicato il FACHINI: io non so se questa affermazione dipendeva dalla `fissa' che FREDA aveva col FACHINI o dal fatto che ne sapesse qualcosa..." 22/02/84 Il 22 febbraio, le dichiarazioni testé riportate venivano dall'IZZO confermate, nella loro sostanza, e con alcune puntualizzazioni, di fronte al Giudice Istruttore del presente procedimento (48).


Il 6 aprile l'IZZO sarà poi posto a confronto (49) con il CAVALLINI (50): e di fronte a costui ribadirà quanto aveva precedentemente riferito agli inquirenti. Il CAVALLINI, per parte sua,negherà d'aver detto all'IZZO di aver appreso dal PAGLIAI che la strage era stata organizzata dal DELLE CHIAIE; ma ammetterà d'aver parlato con l'ex compagno di detenzione del contenuto dei suoi colloqui col PAGLIAI circa la strage stessa, e affermerà d'aver riferito all'IZZO soltanto che il PAGLIAI non escludeva l'ipotesi della responsabilità del DELLE CHIAIE; e concluderà così: "Non posso che ribadire che evidentemente IZZO ha capito male o che io mi sono spiegato male..."


1.6.15)Il mandato di comparizione per il delitto di cui all'art. 496 C.P. nei confronti di Sergio PICCIAFUOCO ed i relativi sviluppi


06/03/84 Il 6 marzo, il Giudice Istruttore emetteva mandato di comparizione (51) nei confronti di Sergio PICCIAFUOCO per il delitto di cui all'art. 496 C.P., contestandogli d'aver

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(48) - EB, V3, C68, pp. 26-36.
(49) - IA, V9/a-2, C41, pp. 17-18.
(50)- Quest'ultimo era stato arrestato in Milano, il 12/9/1983: cfr. RA, V9, C391, p34.
(51) - OC, V4, C82, p5.


fatto mendaci dichiarazioni circa la propria identità


personale ai sanitari dell'Ospedale Maggiore di Bologna che, il 2 agosto 1980, redigevano certificato medico per le lesioni da lui riportate in occasione dell'attentato.


22/03/84 Il giorno 22 il PICCIAFUOCO veniva interrogato (52).


23/03/84 Il giorno successivo il verbale d'interrogatorio veniva trasmesso al PUBBLICO MINISTERO, che, contestualmente interpellato sull'opportunità dell'emissione di comunicazione giudiziaria per strage nei confronti dell'imputato, il giorno stesso si esprimeva affermativamente (53).


























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(52) - Cfr. IA, V9/a-2, C40, pp. 23-25.
(53) - Cfr., per tali ultimi sviluppi, quanto si dirà sub 1.7.1).


1.7) 24 marzo 1984 - 8 gennaio 1985
Dalla comunicazione giudiziaria per strage nei
confronti di Sergio PICCIAFUOCO all'ordinanza
del 'Tribunale della Libertà' sulle posizioni
GIORGI, BALLAN, TILGHER e SIGNORELLI


1.7.1) La comunicazione giudiziaria per strage nei confronti di Sergio PICCIAFUOCO


Il 23 marzo, il Giudice Istruttore -come si è accennato- aveva trasmesso (1) al PUBBLICO MINISTERO il verbale dell'interrogatorio reso il giorno precedente dal PICCIAFUOCO, sulle contestazioni di cui al mandato di comparizione del quale si è detto sub 1.6.15): e ciò perché si esprimesse sull'opportunità di emettere comunicazione giudiziaria per strage nei confronti del suddetto imputato. Il giorno stesso, il Procuratore della Repubblica si era espresso (2) positivamente, indicando, a supporto della richiesta, le seguenti emergenze probatorie:


1) presenza del PICCIAFUOCO alla Stazione al momento in cui avvenne l'attentato;


2) certificazione rilasciata allo stesso dall'Ospedale Maggiore di Bologna con l'indicazione dell'ora di visita: 11,39 del 2/8/80 (e cioè nell'immediatezza dell'esplosione

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(1) - RI, C6, p2.
(2) - RI, C6, p3.


della bomba), gravemente contrastante con ledichiarazioni rese dal PICCIAFUOCO di essersi prodigato per il soccorso dei feriti e di essere stato visitato soltanto nel pomeriggio inoltrato del 2/8/80);


3) indagini svolte dalla polizia, che escludono che alcun tassista di Modena abbia prelevato passeggeri alla Stazione di Modena trasportandoli a quella di Bologna, il cui esito contrasta assolutamente con le dichiarazioni reiterate del PICCIAFUOCO, già di per sé inattendibili, in quanto dirette a sostenere l'intenzione di esso PICCIAFUOCO di raggiungere Milano da Bologna in treno, avendo egli raggiunto la Stazione di Modena in tempo non utile per accedere al treno Modena-Milano;


4) la presenza del nominativo del PICCIAFUOCO nell'agenda di Gilberto CAVALLINI;


5) la sicura appartenenza del PICCIAFUOCO all'ambiente dell'eversione di estrema destra rappresentata dalla presenza di un tatuaggio, poi ricoperto, rappresentante la Rosa dei Venti;


6) il possesso, da parte del PICCIAFUOCO, di documenti personali di identificazione riportanti il nominativo "VAILATI": lo stesso di cui hanno usufruito persone legate ad Avanguardia Nazionale in Sicilia.


24/03/84 Il giorno immediatamente successivo alla richiesta, il Giudice Istruttore emetteva effettivamente, nei confronti di Sergio PICCIAFUOCO, comunicazione giudiziaria per il delitto di strage (3).

1.7.2)La missiva del Consigliere Istruttore al PUBBLICO MINISTERO dell'aprile '84


11/04/84 L'11 aprile, il Consigliere Istruttore inviava al PUBBLICO MINISTERO una missiva(4) con la quale lo invitava, in relazione a quanto acquisito agli atti sino a quel momento, a compiere valutazioni e formulare richieste su una serie di punti, che indicava come di particolare rilievo; e faceva specifico riferimento agli accertamenti relativi alla natura e capacità lesiva della carica esplosiva, alla posizione di Paolo BELLINI (5) ed altre eventuali responsabilità connesse, alla deposizione SPIAZZI ed agli appunti trasmessi dal SISDE, alla posizione di Massimiliano

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(3) - OC, V4, C82, p10.
(4) - RI, C6, pp. 5-8.
(5) - Per la posizione di costui, raggiunto da comunicazione giudiziaria per strage sin dal 28/2/83 (RA, V1/bis-1, C1, p134), cfr. RA, V1/bis-1, V1/bis-2 e V1/bis-3. FACHINI, nonché alle posizioni DELLE CHIAIE, BALLAN, GIORGI e TILGHER.

1.7.3) La dichiarazioni del Generale NOTARNICOLA al PUBBLICO MINISTERO di Roma
03/05/84 Il 3 maggio, deponendo in un procedimento penale pendente avanti all'autorità giudiziaria romana e concernente attività delittuose commesse da alcuni dirigenti del SISMI negli anni 1980/81 (6), il Generale Pasquale NOTARNICOLA, giàcapo della 1ª Divisione del SISMI,dichiarava(7)tra lo altro:"...rammento che effettivamente -in quei giorni" (8)- "tornarono dalla Francia il Gen. SANTOVITO, il PAZIENZA ed il giornalista americamo Mike LEDEEN.In quell'occasionefui convocato all'aeroporto di Ciampino, con urgenza, per ricevere disposizioni dal Generale SANTOVITO a riguardo di informazioni in possesso del Colonnello MUSUMECI. In sintesi, l'informativa riguardava presunti attentati a nodi ferroviari od a treni ed ebbe -a breve distanza di tempo- successivi sviluppi..."


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(6) -Si tratta dei fatti poi giudicati con la sentenza citata sub 1.2.10), nota (24).
(7) -Cfr. Cal., V5, C43, pp. 2-3.
(8) -L'episodio (cfr. supra, sub 1.2.10) risale al 9/1/81; il Gen. NOTARNICOLA, nella deposizione in esame, aveva come riferimento cronologico il rientro dalla Francia del Gen SANTOVITO, reduce da un incontro con il Gen. Alexandre DE MARENCHES, capo dello SDECE, servizio di sicurezza francese.


Gli sviluppi cui il teste si riferiva erano, naturalmente, quelli sopra illustrati, sub 1.2): cioè quelliconcernenti l'operazione `Terrore sui treni' ed il trasporto di armi ed esplosivo sul treno Taranto-Milano.


A seguito della deposizione del Gen. NOTARNICOLA,
dell'acquisizione, presso l'Ufficio Istruzione di Bologna, di atti relativi al processo cosiddetto `della valigia', nonché di atti dal SISMI (9), il Procuratore della Repubblica di Roma, il 18/10/1984, emetterà ordine di cattura (10), oltre che contro alcune altre persone per varie attività delittuose, anche contro il Gen. MUSUMECI ed il Col. BELMONTE, fra l'altro, per aver essi portato e collocato sul treno Taranto-Milano le armi e l'esplosivo su detto treno rinvenuti il 13/1/1981.


1.7.4) Le dichiarazioni di Vincenzo VINCIGUERRA


06/06/84 Il 6 giugno, di fronte al Giudice Istruttore del presente procedimento, compariva per la prima volta Vincenzo VINCIGUERRA, il quale, in quell'occasione, si avvaleva della

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(9) -Cfr. AA, V7, C43, pp. 33 e ss.
(10) - AA, V7, C43, pp. 25-29.


facoltà di non rispondere all'interrogatorio ex art. 348 bis del Codice di rito (11).


20/06/84 In seguito, a far tempo dal 20 giugno (12), il VINCIGUERRA risponderà alle domande dell'Istruttore.

Il VINCIGUERRA, che si era confessato autore della `strage di Peteano'(13), negherà esser vero quanto riferito dall'IZZO circa la dissociazione dello stesso VINCIGUERRA da una pretesa "linea stragista portata avanti da `A.N.'" (cioè Avanguardia Nazionale); e sosterrà viceversa di essersi dissociato da posizioni di tipo terroristico proprio nel momento in cui aveva aderito ad Avanguardia Nazionale; attribuirà tutte le stragi "che hanno insanguinato l'Italia a partire dal 1969" ad un'unica matrice organizzativa
-rispondente ad una logica secondo cui le direttive partono da apparati inseriti nelle istituzioni- affermando altresì che in tale "struttura occulta" sono inseriti, e da molto




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(11) - EB, V3, C76, p10.
(12) - EB, V3, C76, pp. 12-16.
(13)-Il 31/5/1972, in Sagrado di Peteano,militi dell'Arma furono attirati, con una proditoria telefonata, verso una vettura carica di esplosivo, che deflagrò all'atto dell'apertura del veicolo. L'attentato costò la vita di due Carabinieri e di un Sottufficiale, nonché il ferimento di un Ufficiale. Il VINCIGUERRA,
per tale attentato, è stato condannato in via definitiva alla pena dell'ergastolo.


tempo, "alcuni quadri di Ordine Nuovo del Veneto"; sosterrà ancora che, dai primi anni '60, "viene portata avanti in Italia una strategia politica unitaria, la quale si è servita anche delle stragi, ma non solo di queste, in funzione di potere"; che "il fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere è molto chiaro: attraverso gravi `provocazioni', innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare per una successiva repressione"; e che "in ultima analisi il fine massimo era quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione dello stato di emergenza".


1.7.5) La comunicazione giudiziaria per strage nei confronti di Adriano TILGHER e Marco BALLAN


22/06/84 Il 22 giugno, la Procura della Repubblica, investita (14) della questione dal Giudice Istruttore, richiedeva (15) l'emissione di comunicazione giudiziaria per il delitto di strage nei confronti di Adriano TILGHER e Marco BALLAN, sulla scorta degli interrogatori assunti ex art. 348 bis C.P.P., nonché di quelli resi ad altre autorità giudiziarie

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(14) - RI, C6, p9.
(15) - RI, C6, p10.


ed acquisiti ex art. 165 bis C.P.P. (16).


26/06/84 Quattro giorni più tardi il Giudice Istruttore provvedeva in conformità (17).


1.7.6) Le richieste della Procura del luglio '84


10/07/84 Il 10 luglio, la Procura della Repubblica formalizzava le proprie richieste (18), in risposta alla missiva del'Istruttore di cui si è detto sub 1.7.2)


E concludeva chiedendo, fra l'altro, l'emissione di mandato di cattura per strage -in concorso tra loro e con gli imputati già raggiunti da tale accusa- del BALLAN, del TILGHER, del SIGNORELLI, del FACHINI e del RINANI. La richiesta si fondava su una serie di emergenze (peritali, testimoniali e documentali) in base a cui si prospettava la tesi di fondo che, nel luglio 1980, la "cellula veneta" ed il DELLE CHIAIE, tramite il MANGIAMELI, avessero riproposto in Italia una strategia di attentati con identità di obiettivi: identità di obiettivi che, a far tempo dal 1975, anno della riunificazione di O.N. ed A.N. (19), non era mai

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(16) - Cfr. supra, sub 1.6.14). (17) - OC, V3, rispettivamente C65 p12 e C68 p28.
(18) - RI, C6, pp. 11-33.
(19) - Sul tema specifico della riunificazione si dovrà ritornare in prosieguo. venuta meno, in quanto poi i due gruppi, con una consapevolezza che apparteneva solo ai loro vertici, avevano sempre gestito -unitariamente, pur nella molteplicità delle sigle-il panorama eversivo nazionale, anche nella parte che (Terza Posizione e N.A.R.) si richiamava allo spontaneismo armato. Si affermava testualmente: "...Ora è evidente che la decisione di A.N. di riprendere la sua azione politica in Italia doveva significare anche una ricerca di consenso nel frastagliato mondo dell'ultra-destra e la necessità di ricorrere, per l'aspetto operativo, ai `ragazzini' dei N.A.R. e dunque al suo alleato di sempre, SIGNORELLI Paolo, che li gestiva. Avviene così il rilancio, attraverso la riaffermazione dell'unità di azione tra A.N. ed O.N., della strategia di ricompattamento del'ultra destra, o attraverso l'adesione al progetto stragista ovvero attraverso le repressioni indiscriminate di polizia che necessariamente una strage innesca. Tutto ciò in un momento di crisi del Movimento Armato, e di progressivo allontanamento dalle influenze dei `vecchi tramoni'. Ed ecco intervenire con diversi compiti e spesso con strategie non coincidenti, A.N. con tutti i suoi vertici; esponenti di T.P. con MANGIAMELI collegati ad A.N. e ad O.N.; di strutture oscure come Costruiamo l'Azione, i Cop, l'MRP, con SIGNORELLI, FACHINI e CALORE; gli stessi NAR con FIORAVANTI e MAMBRO, nella realizzazione del più terribile attentato dell'Italia Repubblicana, quello della stazione di Bologna del 2/8/1980..."


1.7.7)Il mandato di cattura per strage nei confronti di Massimiliano FACHINI e Roberto RINANI


16/07/84 Sei giorni più tardi, l'Istruttore ordinava la cattura del FACHINI e del RINANI (20), contestando loro il delitto di strage. La parte motiva del provvedimento si fondava sulle seguenti emergenze: molteplici elementi probatori idonei ad individuare nel FACHINI e nel RINANI persone già al corrente dell'attentato prima del suo verificarsi

(VETTORE, ANSALDI, STROPPIANA); numerose deposizioni testimoniali idonee ad individuare il FACHINI come punto di riferimento essenziale della strategia stragista e responsabile del relativo settore operativo centro-nord, nonché promotore di precedenti attentati dinamitardi con

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(20) - OC, V2, rispettivamente C29, pp. 28-30 e C28, pp. 24- 26.


tentativi di strage (ALEANDRI, ANSALDI, TISEI, CALORE e FIORAVANTI C.); ulteriori indicazioni probatorie, sostanziantisi in un'accusa al FACHINI, sia pure `de relato', di implicazione nell'organizzazione della strage (NICOLETTI ed IZZO); approfonditi accertamenti, in base ai quali si era stabilito che il FACHINI ed il RINANI, pur negando di conoscersi, erano in stretti rapporti operativi ed appartenevano alla medesima organizzazione terroristica (esiti perquisizioni presso abitazione RINANI, deposizioni CALORE, CONTIN, BENELLE) (21).


1.7.8) L'ordinanza del Giudice Istruttore sulle posizioni GIORGI, BALLAN, TILGHER e SIGNORELLI


02/10/84 Con ordinanza (22) in data 2 ottobre, l'Istruttore provvedeva a respingere la richiesta di emissione di mandato di cattura per strage nei confronti del BALLAN, del TILGHER e del SIGNORELLI, ed a scarcerare Maurizio GIORGI per scadenza termini quanto al delitto di cui all'art. 270 bis C.P. e per sopravvenuta insufficienza di indizi quanto al delitto di strage (dando atto che, per la detenzione e la




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(21) - Per questi ultimi due testi, cfr. EA, rispettivamente V10/a-2, C66 e V10/a-6, C269.
(22) - RI, C6, pp. 39-54.


ricettazione della pistola, l'imputato era stato scarcerato sin dall'8/11/1983). Osservava l'estensore del provvedimento che: per le posizioni BALLAN e TILGHER, le emergenze processuali cui faceva riferimento l'ufficio requirente traevano origine dalla deposizione IZZO, sostanziantesi in notizie apprese nell'ambito carcerario,di contenuto "vago e generico tanto da non consentire validi riscontri"; la verifica delle fonti dell'IZZO, operata con puntiglio in tutte le direzioni, non era approdata a risultati utili; neppure quanto al ruolo, attribuito al SIGNORELLI, di elemento di spicco di una struttura di comando unitaria, diretta dal DELLE CHIAIE -e nella quale sarebbero stati inseriti il BALLAN, il GIORGI ed il TILGHER- il compendio probatorio appariva tale da elevare l'assunto accusatorio a qualcosa di più e di diverso da una seria e rilevante ipotesi di lavoro; l'ipotesi della costituzione, nell'estate dell'80, di un vertice unitario ON-AN-NAR-TP doveva ritenersi poco verosimile alla stregua delle recenti dichiarazioni di vari soggetti processuali; che l'unità
operativa propugnata nella riunione di Albano Laziale del 1975 non perdurò negli anni successivi; che l'analisi del contenuto dell' `informativa SPIAZZI' 28/7/80 non autorizzava a ritenerla collegata alle rivelazioni del VETTORE PRESILIO, e portava ad escludere che essa avesse diretta relazione con la strage di Bologna; quanto alla posizione GIORGI, a seguito di difficoltose e complesse verifiche, dovevano ritenersi inattendibili le dichiarazioni di Elio CIOLINI, nell'ambito delle quali appariva sterile il tentativo di sceverare il vero dal falso, laddove non fossero sorrette da riscontri di natura oggettiva; le indagini condotte alla ricerca di riscontri all'emergenza di maggior peso a carico del GIORGI -cioè il preteso viaggio dall'Argentina all'Italia nell'estate dell'80- non erano approdate a risultati tali da costituire oggettivo riscontro alle dichiarazioni del CIOLINI sul punto; e, infine, quanto al delitto associativo, il termine massimo di custodia cautelare era ampiamente scaduto.

1.7.9) La genesi del processo cosiddetto `della calunnia'


22/10/84Il 22 ottobre veniva interrogato dal PUBBLICO MINISTERO di
Roma, nel procedimento di cui si è detto sub 1.7.3), il Col. BELMONTE (23). Costui, che, in precedenza, aveva fornito una differente versione, dichiarava che la sua fonte era stata il M/llo dei Carabinieri Francesco SANAPO, Comandante la Stazione di Vieste. E precisava: "... in Vieste, presso la Stazione CC, ho ricevuto -insieme al SANAPO- per telefono, le notizie relative al trasporto di esplosivi. Ignoro quale fosse la fonte del SANAPO e non gliela ho mai chiesta perché si trattava di un rapporto fiduciario. Dal detto SANAPO avevo avuto, nell'ottobre 1980, le notizie relative all'attentato di Bologna."


24/10/84 Due giorni più tardi, il PUBBLICO MINISTERO di Roma, alla presenza del PUBBLICO MINISTERO di Bologna, esaminava (24) il M/llo SANAPO, il quale, dopo aver lungamente sostenuto di aver attinto da tale Peppe MONNA, suo confidente, tra l'ottobre '80 ed il gennaio '81, notizie relative alla strage di Bologna ed alla vicenda del treno Taranto-Milano, e di averle poi riferite al BELMONTE, ad un certo punto della deposizione dichiarava di voler finalmente dire tutta


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(23) - Cal., V2, C1., pp. 77-79; cfr. supra, sub 1.3.7).
(24) - Cal., V2, C1., pp. 82-88.


la verità: e cioè, molto semplicemente, che il suo rapporto con un confidente depositario di notizie sulla strage di Bologna e sull'operazione `terrore sui treni' era stato inventato di sana pianta; e che la richiesta di simulare un pregresso rapporto con un fantomatico confidente gli era stata rivolta nella primavera dell'81 dal BELMONTE, il quale gli aveva chiesto un aiuto per sé e per il MUSUMECI, trovandosi quest'ultimo "praticamente sotto inchiesta a Bologna per via di un'informativa che ... aveva fatto sulla strage avvenuta il 2 agosto..."


Il giorno stesso, il PUBBLICO MINISTERO di Roma titolare del procedimento di cui si è detto sub 1.7.3) trasmetteva (25) alla Procura di Bologna il verbale della deposizione del Gen. NOTARNICOLA, nonché la copia degli atti acquisiti dal SISMI (26).


03/11/84 Il 3 novembre, il Procuratore della Repubblica di Bologna provvedeva ad acquisire (27), dal Giudice Istruttore del presente procedimento e da quello del procedimento cosiddetto `della valigia' tutte le informative SISMI agli

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(25) - Cal., V2, C2, p1. (26) - Cal., V2, C2, pp. 2 ss.
(27) - Cal., V1, p1.


atti dei relativi fascicoli, nonché i rapporti di organi di Polizia giudiziaria redatti a seguito delle informative suddette (28). E ciò al dichiarato scopo "di consentire" al suo "ufficio l'esercizio dell'azione penale contro Pietro MUSUMECI e BELMONTE Giuseppe per l'intera attività comunque da loro dispiegata in detti procedimenti": attività riconducibile, nell'ipotesi accusatoria che si andava prospettando, al delitto di calunnia. 10/11/84 Una settimana più tardi, l'Istruttore del presente procedimento escuteva il Gen. NOTARNICOLA (29), il quale


confermava le dichiarazioni già rese al PUBBLICO MINISTERO di Roma, e, tra l'altro, aggiungeva: "...All'aeroporto di Ciampino arrivò l'aereo del SANTOVITO dal quale scesero insieme con lui il noto PAZIENZA, la moglie del Gen. SANTOVITO ed il giornalista americano Michael LEDEEN. Ad aspettare il SANTOVITO a Ciampino vi erano sicuramente il Gen. MEI, il Col. MUSUMECI, quasi sicuramente il Col. D'ELISEO ed altre persone che non ricordo...il MUSUMECI, alla presenza del SANTOVITO, mi consegnò il documento

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(28) - Cal., V1, pp. 2 e ss.
(29) - Cal., V3, pp. 60-67.


contenente l'appunto che riguardava il possibile attentato. Quando dico alla presenza di SANTOVITO, intendo riferirmi al fatto che il documento mi venne consegnato nella stanza dell'aeroporto doveci trovavamo tutti dopo l'arrivo dell'aereo con il Direttore del Servizio...Chiesi al Col. MUSUMECI personalmente se l'espressione concernente il ricatto al governo fosse una valutazione della fonte...il MUSUMECI mi rispose che si trattava di una valutazione della fonte...successivamente la notizia venne a specificarsi in modo sempre più preciso, tanto che io trassi il convincimento che la fonte doveva essere un membro
dell'organizzazione terroristica...con ogni probabilità la sera dell'11/1/81 venne nel mio ufficio il Col. BELMONTE, il quale mi disse che la notizia preannunciata si stava concretizzando e che egli stava per partire per contattare personalmente la fonte...ricordo di aver chiesto al Col. BELMONTE chi fosse la fonte dalla quale si stava recando, ma il predetto tergiversò...quando gli chiesi come avrei potuto fare a contattarlo, mi rispose che si recava dalle parti di S. Severo e che avrei potuto fare riferimento eventualmente alla locale stazione carabinieri...detti disposizione ai miei collaboratori di fare una telefonata ai Carabinieri di S. Severo per tentare di localizzare il BELMONTE; tanto allo scopo di poter successivamente attivare il CS di Bari per riuscire a fotografare la fonte nel momento in cui si incontrava con il BELMONTE...non sono in grado di ricordare quante telefonate abbia fatto tra la sera del 12 e la notte il BELMONTE al mio ufficio. Ricordo però che sicuramente ad ogni telefonata di aggiornamento della situazione fatta dal BELMONTE ha corrisposto un messaggio di aggiornamento della situazione per le forze dell'ordine interessate...ricevo
lettura del rapporto SISMI 24/2/81 con riferimento al punto 3 dove si parla del coinvolgimento di Giorgio VALE. Si tratta di rapporto che è stato redatto dalla Divisione da me diretta, ma certamente sulla base di informative ancora provenienti dal Col. MUSUMECI...nulla consta alla prima Divisione circa l'appartamento di via Rizzo ad Imperia, se non quanto riferito dal MUSUMECI..."

17/11/84 A distanza di una settimana,ilGen. NOTARNICOLA veniva nuovamente escusso (30).


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(30) - Cal., V3, pp. 70-80.


21/11/84 Di lì a quattro giorni, il PUBBLICO MINISTERO emetteva ordine di cattura (31) nei confronti del BELMONTE, del MUSUMECI e di Francesco PAZIENZA (32) per il delitto di calunnia pluriaggravata, contestando loro di avere, in concorso col SANTOVITO (all'epoca già deceduto) e con altre persone non identificate, con abuso della pubblica funzione e con fini di eversione dell'ordine democratico, nonché con la finalità di assicurare l'impunità agli autori della strage di Bologna ed agli autori dell'attentato sul treno Taranto-Milano, simulando il realizzarsi di un insieme di reati di natura eversiva ed inducendo in errore l'autorità di polizia e l'autorità giudiziaria, incolpato falsamente dei suddetti reati -facendo convergere le indagini su false piste estere- le varie persone indicate nelle informative via via trasmesse dal SISMI, nonché Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, "identificati erroneamente dall'A.G. bolognese sulla base della falsa accusa degli imputati".


Il provvedimento veniva eseguito soltanto nel confronti del

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(31) - Cal., V3, pp. 147-151.
(32) - Per la posizione di quest'ultimo, cfr. supra, sub 1.1.11) ed 1.2.11).


BELMONTE edel MUSUMECI (33), mentre il PAZIENZA rimaneva latitante, essendo riparato all'estero da tempo.


1.7.10) Le dichiarazioni di Mauro ADDIS


26/11/84 Il 26 novembre veniva esaminato come teste Mauro ADDIS (34), il quale, tra l'altro, dichiarava: "...Sono oggi disposto a dire tutta la verità in merito all'affitto della casa sita in Taranto dove, nell'agosto dell'80, andò ad abitare Valerio FIORAVANTI. Bisogna premettere che, nel 1978, in carcere,...ebbi modo di conoscere Pierluigi CONCUTELLI...nel febbraio dell'80 uscii dal carcere...in aprile a Milano mi trovai in giudizio assieme ad esponenti della banda VALLANZASCA e allo stesso Pierluigi CONCUTELLI...nel corso del processo ebbi modo di incontrare Francesco MANGIAMELI, il quale evidentemente saliva a Milano per salutare e comunque assistere al procedimento. Infatti il CONCUTELLI...mi indicò tra il pubblico il MANGIAMELI e mi disse di favorirlo ove mai questi me ne avesse fatto richiesta...il MANGIAMELI mi si avvicinò nell'aula di udienza e facemmo conoscenza...tra l'aprile ed il luglio

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(33) - Cal., V3, rispettivamente p152 e p153.
(34) - EA, V10/a-5, C240, pp. 7-11.


1980 il MANGIAMELI mi chiese di procurargli un'autovettura, ed io infatti rubai per lui una GOLF chiara GTI...Nel luglio dell'80 sempre a Milano, dove il MANGIAMELI veniva spesso, quest'ultimo mi propose di affittare per conto suo un appartamento al mare, a Taranto. Mi disse che in compenso avrei potuto trascorrerci le vacanze in agosto. Io accettai...e sul finire di luglio andai a Taranto insieme con il MANGIAMELI... poi trovammo la casa...fui io da solo a condurre le trattative. Prima di trattare, il MANGIAMELI mi aveva chiesto di affittare la casa per tre mesi...Fu così che ai primi di agosto andai a Taranto dove, insieme con la mia ragazza, presi possesso della casa al mare...ero d'accordo con MANGIAMELI che un certo giorno d'agosto, che oggi non sono in grado di ricordare, ma con ogni probabilità nella prima settimana del mese, sarei dovuto andare davanti agli uffici SIP di Taranto per incontrarlo...quel giorno invece si presentarono due giovani i quali dissero di chiamarsi Riccardo e Chiara;" (35) "costoro mi dissero: `Sei tu l'amico di Francesco? Noi siamo suoi amici, abbiamo

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(35) - Si trattava di Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO.


dei problemi e andiamo nella casa al mare al posto di Francesco che non può venire.'...Io accettai la situazione e accompagnai i due nella casa sopra descritta...A Taranto io stavo con la mia ragazza...posso dire poco della vita del Valerio e della Francesca e delle persone che andavano a trovarli...alcuni loro amici li andavano a trovare. Queste ulteriori presenze fecero tanto insospettire la mia ragazza che a un certo punto decisi di far ritorno a casa o meglio di andare in un altro posto ...non ho mai notato nell'appartamento di Taranto armi, passamontagna o altro di irregolare..."


1.7.11)L'ordinanza del `Tribunale della Libertà' sul gravame del PUBBLICO MINISTERO avverso l'ordinanza del Giudice Istruttore 2/10/1984
Il Procuratore della Repubblica, con atto (36) in data 22/10/1984, aveva impugnato l'ordinanza dell'Istruttore di cui si è detto sub 1.7.8).


08/01/85 Il `Tribunale della Libertà' si pronunciava l'8/1/1985, rigettando il gravame (37). Il voluminoso provvedimento affermava, in estrema sintesi, che: non era condivisibile la

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(36) - AR, V5, C40, fascicolo Tribunale, pp. 20-89.
(37) - AR, V5, C40, fascicolo Tribunale, pp. 91-205.


tesi, prospettata dal PUBBLICO MINISTERO, della presenza di una struttura sostanzialmente unitaria delladestra eversiva -al di là del proliferare delle sigle- nella seconda metà degli anni '70, fino alla vigilia della strage di Bologna, quando le `vecchie cariatidi del golpismo nero' sisarebbero trovate impegnate nel tentativo dichiudere gli spazi dell'autonomia spontaneista, per controllare l'intera area dell'ultra-destra da posizioni di potere; i buoni rapporti fra O.N. ed A.N., instauratisi nel 1975, dovevano ritenersi già cessati agli inizi del 1977; nella seconda metà degli anni settanta, nel panorama della destra eversiva, spesso le sigle nascondevano aggregazioni momentanee, finalizzate al compimento di singoli atti, non riconducibili, se non in via di azzardata ipotesi, ad una super-associazione o ad un progetto golpista e stragista; gli ambienti giovanili più oltranzisti dell'estrema destra erano stati spinti a vivere momenti di grande esaltazione, che finivano per esprimersi in iniziative destinate a canalizzare quasi totalmente il ribellismo, accentuandone le vene populiste e frenando quelle di stampo anarcoide; in tal senso emblematica era stata l'iniziativa giornalistica di `Costruiamo l'Azione'; ciò che qualificava il disegno sovversivo sotteso a `Costruiamo l'Azione' era l'analisi dei fatti:pertanto si rendevano necessarie la `permeabilità dell'ambiente' e la consapevolezza, da parte di tutti gli associati, se non delle singole responsabilità, in ordine ai vari episodi,quantomeno della loro riferibilità politica; tutto questo contraddiceva la vecchia impostazione dei gruppi storici (O.N. ed A.N.), attestata prevalentemente sul principio del doppio livello; all'occulta attività dei settori operativi, controllata solo dai vertici, si era sostituitoun poliedrico circuito tra il momento operativo (militare) e quello politico, attraverso una voluta parcellizzazione dei gruppi, delle iniziative e delle componenti ideologiche (cosiddetto spontaneismo organizzato); frutto evidente di questa logica erano stati i quattro attentati della primavera del 1979, a firma M.R.P.; appariva operazione ardua, allo stato delle conoscenze, dimostrare la matrice stragista della strategia globale degli attentati M.R.P.; la pretesa riconducibilità di Terza Posizione ad Avanguardia Nazionale appariva, allo stato, nientealtro che un' ipotesi da verificare; il mancato reiterarsi -dopo un primo tentativo di impostare un progetto in comune- di contatti fra gli ambienti di Costruiamo l'Azione e quelli di Terza Posizione fu dovuto anche alle critiche di ambiguità che questo secondo movimento rivolgeva al SIGNORELLI; l'esame complessivo delle vicende relative all'`informativa SPIAZZI', anche alla luce delle dichiarazioni rese dal Colonnello, dalla RACANIELLO e dal D'APRILE, non confortava la tesi sostenuta dal PUBBLICO MINISTERO, possibile essendo che le notizie trasfuse nella citata informativa fossero state acquisite dallo SPIAZZI già nel novembre 1979, nel qual caso occorreva spiegare perché fossero state comunicate al SISDE, tramite il BENFARI, soltanto alcuni giorni prima della strage, "che, peraltro, nell'informativa...è tutt'altro che annunciata"; non era provata l'identificabilità del `Ciccio' dell'informativa in Francesco MANGIAMELI e, comunque, era arbitrario sia ritenere il MAMGIAMELI uomo del DELLE CHIAIE, sia ritenerlo collegato con la strage di Bologna; a fronte dell'assoluta inaffidabilità dello SPIAZZI, veniva meno la possibilità di porre un collegamento fra l'informativa 28/7/1980 e le rivelazioni del VETTORE PRESILIO, "tanto più che la dedotta sovrapponibilità tra le due fonti" era "sopravvenuta e non originaria"; se vi era la prova che -tramite il DE FELICE- il GELLI fosse in grado di esecitare su Costruiamo l'Azione una certa egemonia, o, comunque, pressioni rilevanti, era tuttavia ancora da scrivere la storia dei rapporti tra la Loggia P2 e l'eversione di destra dopo il 1979; la disamina degli atti consentiva di escludere che il SIGNORELLI avesse cogestito, assieme a CALORE, la strategia degli attentati dinamitardi del 1978 e 1979; priva di riscontro era l'ipotesi che il MANGIAMELI fosse subordinato al SIGNORELLI e da questi introdotto in Terza Posizione nel 1980; quanto ai rapporti SIGNORELLI-FACHINI, era destituita di fondamento l'ipotesi che i due rappresentassero il vertice del M.R.P.; per le posizioni TILGHER e BALLAN, allo stato degli atti, in mancanza di riscontri, accedere alla richiesta di emissione di mandati di cattura avrebbe significato puramente e semplicemente aderire alla "logica" dell'IZZO, che non trovava neppure il conforto delle"numerose dichiarazioni...provenienti da esponenti di diverse formazioni", richiamate dal PUBBLICO MINISTERO appellante, se restituite al loro integrale contesto; per la posizione GIORGI, se occorreva dar atto che le dichiarazioni del CIOLINI erano state in qualche modo riscontrate quanto all'esistenza in Italia, ancora legata al DELLE CHIAIE, di un'organizzazione, sia pure di modeste dimensioni, costituita dai `leaders' di Avanguardia Nazionale, occorreva per converso affermare che le dichiarazioni del teste non avevano alcun pregio, ed erano certamente infarcite di menzogne, sul tema del rapporto fra l'organizzazione sopra indicata e l'attuazione della strage di Bologna; non v'era prova che il GIORGI ed il PAGLIAI fossero venuti in Italia per lo scopo indicato dal CIOLINI; e sembrava, invece, di poter affermare che il 26 giugno dell'80 avesse viaggiato da Buenos Aires a Parigi non il GIORGI ma il DELLE CHIAIE, che aveva usato un passaporto argentino contraffatto con le generalità del primo, applicandovi la propria fotografia.




1.8) 9 gennaio 1985 - 9 dicembre 1985
Il periodo compreso fra l'ordinanza del
`Tribunale della Libertà' sulle posizioni
GIORGI, BALLAN, TILGHER e SIGNORELLI, ed
i mandati di cattura del dicembre '85

1.8.1) Ulteriori dichiarazioni di Cristiano FIORAVANTI


22/03/85 Il 22 marzo 1985, nel procedimentocosiddetto `della calunnia' (3496/A/84, già 2832/C/84 R.G.P.M.),il PUBBLICO MINISTERO provvedeva ad esaminare Cristiano FIORAVANTI, che, nel confermare le dichiarazioni precedentemente rese (1), tra l'altro riferiva (2): "Preciso che al corrente della nostra presenza a Taranto, impegnati nel progetto di evasione di CONCUTELLI, era certamente CARMINATI e dunque il gruppo della Magliana (3) al quale egli era collegato...l'ultima volta che sono stato a Taranto, cioè nel periodo in cui venne trovata la valigia sul treno, era presente anche CAVALLINI. Ritenevo molto pericolosa quell'azione per cui chiedevo i motivi per i quali si dovesse realizzare ad ogni costo. Fu Valerio a dirmi che CONCUTELLI rappresentava un simbolo per tutta la destra...Per quanto riguarda gli attentati avvenuti a Roma



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(1) -Cfr. anche supra, sub 1.3.4).
(2) - Cal., V5, C28, pp. 1-5.
(3) - Il FIORAVANTI alludeva alla formazione della malavita organizzata romana nota come `Banda della Magliana'. tra il novembre 1979 ed il febbraio 1980 rivendicati dai `Nuclei Fascisti Rivoluzionari' devo dire che in quel periodo nel quartiere Prati avvenivano continuamente attentati ad opera di ragazzi della sez. Prati del M.S.I. In particolare io partecipai...Prendo atto per la prima volta che con la sigla Nuclei Fascisti Rivoluzionari fu rivendicato anche l'omicidio a" (sic) "Pier Santi MATTARELLA," (4) "presidente della regione Sicilia. Io ho sempre espresso la convinzione che gli autori materiali di quell'omicidio fossero mio fratello e Luigi" (sic) "CAVALLINI coinvolti in ciò dai rapporti equivoci che stringeva MANGIAMELI in Sicilia. La storia dell'eliminazione di MANGIAMELI da parte di mio fratello richiama quei collegamenti. Peraltro mi risultava che in quei giorni mio fratello e anche CAVALLINI e Francesca MAMBRO erano in Sicilia per loro contatti con MANGIAMELI. Quando furono pubblicati gli identikit degli autori materiali dell'omicidio MATTARELLA sui giornali, ricordo che mio padre esclamò, per la somiglianza degli identikit con mio fratello

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(4) - Assassinato in Palermo il 6/1/1980: cfr. RA, V11, C430, p101.


e CAVALLINI, somiglianza che io stesso avevo rilevato immediatamente, `hanno fatto anche questo!'."


Successivamente, il 4/10/1985, esaminato dal Giudice Istruttore del presente procedimento,dichiarerà (5): "Sulla provenienza dell'esplosivo da noi impiegato, come ho detto in altre occasioni, indico: parte fu recuperata da una nave americana a Ponza, si trattava di balestite da scaricamento di proiettili di cannone. La utilizzammo tra vari attentati ad alcune sezioni del P.S.I.; parte fu acquistata da NISTRI presso la malavita comune, era tritolo in saponette. Lo usammo per la ACEA e per la Centrale del Latte. In tutti questi attentati la logica era solo quella di fare danni alle cose salvo quello al P.S.I. che come ho detto in un precedente verbale fu un po' un atto da irresponsabili, perché se fosse riuscito avrebbe provocato numerose vittime..." Riferirà altresì, nel corso della stessa deposizione, dei tentativi, compiuti da esponenti di Avanguardia Nazionale, di attirare lui e suo fratello nell'orbita di tale organizzazione, specificando che solo in

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(5) - EA, V10/a-3, C140 bis, pp. 27-28.


un secondo tempo fu possibile rendersi conto che Avanguardia tendeva a "sponsorizzare" tutto il loro ambiente e ad "inserirsi nelle varie organizzazioni attirandole nella propria orbita."


1.8.2) L'ordine di cattura per calunnia pluriaggravata nei confronti di Licio GELLI


25/03/85 Il 25 marzo, nel procedimento `della calunnia', il Procuratore della Repubblica, che fin dal 26/11/1984 aveva spedito a Licio GELLI comunicazione giudiziaria (6) per il delitto di calunnia pluriaggravata, ordinava la cattura del suddetto (7), con la stessa imputazione già contestata al MUSUMECI, al BELMONTE ed al PAZIENZA. Il provvedimento rimaneva ineseguito (8). Nella parte motiva dello steso si fa riferimento, oltre che agli specifici elementi d'accusa già raccolti a carico dei coimputati, anche alle seguenti ulteriori emergenze: le testimonianze dei Generali Ninetto LUGARESI e Giulio GRASSINI (9), del dott. Elio CIOPPA (10),



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(6) - Cal., V3, p157.
(7) - Cal., V3, C2, pp. 1-4.
(8) - Il GELLI, da tempo riparato all'estero e poi detenuto in Isvizzera, era evaso dal carcere ginevrino di Champ Dollon il 10/8/1983: cfr. Cal., V4, C2, p5. (9) - Il primo successore del SANTOVITO alla guida del SISMI ed il secondo Direttore del SISDE fra il '78 e l'81; cfr. Cal., V5, rispettivamente C38 3 C31.
(10) - Cfr. supra, sub 1.1.10), testo e nota (51).


del Prof. Ferdinando ACCORNERO e dell'Ing. Francesco SINISCALCHI (11); la documentazione proveniente dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica 'P2' (12); le dichiarazioni di personaggi di "provenienza eversiva", quali Mauro ANSALDI, Walter SORDI, Aldo Stefano TISEI, Paolo BIANCHI, Piero CITTI, Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI (13). Da siffatto compendio probatorio era dato evincere con evidenza -secondo l'assunto accusatorio- "gli stretti rapporti, le dirette influenze, la struttura gerarchica che legava, all'epoca dei fatti, GELLI Licio ai vertici del SISMI ed in particolare ai Generali MUSUMECI e SANTOVITO; lo stretto collegamento contestuale del GELLI con ambienti stragisti neri e della malavita organizzata romana; l'antica vocazione golpista del GELLI testimoniata dal suo coinvolgimento con esponenti `neri' e con aree eversive coinvolte nel c.d. Golpe BORGHESE; nella strage dell'Italicus, perla quale è stato anche indicato come


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(11) - Si tratta di personaggi interni alla massoneria,per le cui dichiarazioni cfr. Cal., V5, rispettivamente C1 e C51.
(12)- Frattanto acquisita agli atti: cfr. Cal., V6.
(13) - Per le cui dichiarazioni cfr. Cal., V5, rispettivamente C4, C52, C56, C9, C14, C12 e C3).


persona che tentò di deviare le indagini; nella strage del 2

agosto, per la quale è già stato raggiunto da comunicazione giudiziaria" (14). Si legge ancora nella motivazione dell'ordine di cattura: "appare provato in atti l'interessamento del GELLI e dei suoi correi teso ad ostacolare le indagini anche attraverso organi di stampa utilizzando persone del suo `entourage',ad una delle quali era già ricorso in occasione delle indagini sull' `Italicus'" (15) "... e di deviarle verso false piste estere al fineevidente dialleggerire posizioni processualidi imputati ovvero di indiziati della strage del 2 agosto, fin nella immediatezza del fatto, trattandosi di imputati o di indiziati (in specie: FACHINI, SIGNORELLI, SEMERARI ed altri) in qualche modo collegati con quella parte dei nostri

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(14) - Qui il PUBBLICO MINISTERO incorre in una svista: il GELLI era stato raggiunto da comunicazione giudiziaria nel procedimento relativo alla strage del 2 agosto: ma non per strage, bensì per gli artt. 270 bis, 305 e 416 C.P. (cfr. comunicazione giudiziaria 9/9/1982, in OC, V4, C76, p1). (15) -Il PUBBLICO MINISTERO, con la citazione -che si è omessa nel testo- di "Cap. II- G5 atti Comm. Inchiesta P2", cioè del documento rinvenibile in Cal., V6, C1, pp.78-79, allude al dott. Antonio BUONO, già Presidente del Tribunale di Forlì e iscritto nelle liste di Castiglion Fibocchi, che aveva reso a GELLI i servigi di cui al citato documento ed era stato autore degli articoli di stampa dell'agosto-settembre '80, comparsi sul quotidiano `Il Giornale' e raccolti in Cal, V5, C11, pp. 3-9.


servizi segreti compromessa con la loggia massonica P2,

collegamenti di cui vi è prova in atti, così come è provata l'esistenza di rapporti tra vertici eversivi neri, vertici della malavita organizzata romana, nazionale ed internazionale; vertici di detta loggia massonica e vertici militari iscritti alla P2;...tale condotta di deviazione delle indagini è avvenuta all'interno di un processo relativo all'episodio criminoso più grave mai verificatosi nel nostro Paese, con il concorso decisivo di persone che avevano il compito funzionale di salvaguardare le istituzioni da quelle forze eversive con le quali esse viceversa collaboravano; ...tale condotta criminosa, pervicacemente ripetuta nel corso del processo, ha creato ritardi nelle indagini relative agli autori di tali fatti delittuosi e tali deliberati depistaggi sono stati accompagnati dalla diffusione di falsi programmi eversivi al fine di creare ulteriori allarmi e tensioni nel nostro Paese favorevoli ai loro programmi antidemocratici;...appare con chiarezza il diretto coinvolgimento del GELLI nel delitto già contestato agli altri imputati ed il suo ruolo di ispiratore e regista delle loro attività deviate..."


1.8.3) Nara LAZZERINI


02/04/85 Il 2 aprile, nel procedimento `della calunnia', veniva escussa (16) Nara LAZZERINI,che, riferendo "notizie apprese nel corso della" sua "frequentazione con il GELLI", affermava tra l'altro: "...il noto Francesco PAZIENZA fu tra i frequentatori di GELLI, poiché ricordo con certezza di averlo visto almeno un paio di volte nel salotto in attesa di GELLI presso l'Hotel `Excelsior' di Roma...Ricordo anche di essere stata presente a due telefonate ricevute nei primi tempi, precisamente nel 1977, dal GELLI, fattegli dal noto neofascista, così viene definito sui giornali, Stefano DELLE CHIAIE. Fu GELLI a confermarmi quel nome ed a confermarmi che era in contatto con DELLE CHIAIE...GELLI vive di ricatti e di vendette e tiene sotto ricatto tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui in vicende di un certo rilievo. Ecco perché non lo vogliono agli arresti domiciliari. Tutti andavano a chiedergli favori e denaro e, con una telefonata, GELLI riusciva ad accontentarli. Era chiamato 'San Licio'...

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(16) - Cal., V5, C35, pp. 44-59.


I 953 nomi dell'elenco rappresentano solo una minima parte delle persone coinvolte nella P2. Si tenga poi conto che si tratta di persone o di scarsa influenza o, comunque, quasi tutte al limite della pensione...Fui presente a due telefonate ricevute da GELLI fattegli da SINDONA. Ciò fra la fine del '76 e gli inizi del '77. GELLI rassicurava SINDONA, garantendogli che non lo avrebbero mai estradato dall'America a che a ciò avrebbe pensato lui. Anche perché, a suo dire, nelle carceri italiane SINDONA sarebbe stato sicuramente ammazzato..." Dopo una prima chiusura del verbale, la teste dichiarava ulteriormente: "Ricordo in questo momento che le telefonate provenienti da DELLE CHIAIE pervenivano a GELLI sul telefono diretto con numero riservato. Peraltro, ciò avveniva per tutte le persone di un certo rilievo che si mettevano in contatto telefonico con GELLI e non intendevano fare il loro nome al centralino dell'albergo. Ricordo con precisione che si trattasse del DELLE CHIAIE...annotai questo nome sul taccuino, anche perché avevo conosciuto il DELLE CHIAIE nel 1967...in occasione di una cena avvenuta in una villa di Tirrenia..."


09/04/85 La LAZZERINI veniva riesaminata (17) una settimana più tardi


e dichiarava ancora: "...In particolare insisto nel dire che sentii GELLI fare il nome di PAZIENZA. Vidi il PAZIENZA in più di un'occasione entrare nel salone più piccolo, e cioè il primo, dove GELLI riceveva una parte delle persone che lo attendevano...Posso dire che mi risultano rapporti telefonici con il DELLE CHIAIE almeno fino alla fine del '79 inizio '80...Fu GELLI a dirmi che DELLE CHIAIE lo chiamava sul suo numero riservato dalla Spagna. Ciò almeno all'epoca in cui redassi la lettera 2.12.1977. Se la trovo, le farò avere la parte strappata della missiva che dovrei custodire in casa mia..."


1.8.4)La sentenza conclusiva del procedimento cosiddetto `della valigia'


30/04/85 Il 30 aprile, il Giudice Istruttore titolare del procedimento n. 206/A/81 proscioglieva (18) Gabriele ADINOLFI, Roberto FIORE e Giorgio VALE, per non aver essi commesso il fatto, dai delitti loro contestati in relazione alla vicenda del collocamento di armi ed esplosivo sul treno

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(17)- Il verbale trovasi in Cal., V5, C35, redatto su 9 fogli aventi numerazione separata (da 1 a 9) rispetto al resto della cartella.
(18) - Con la sentenza citata sub 1.2.10), nota (30).


Taranto-Milano. La sentenza ricostruisce lo snodarsi delle


informative SISMI relative all'operazione `terrore sui

treni', i tempi ed modi dell'incriminazione del VALE, del FIORE e dell'ADINOLFI, l'atteggiamento di chiusura dei vertici del servizio di fronte alla volontà dei magistrati di portare allo scoperto la fonte, le successive indagini che avevano condotto ad escludere la presenza del VALE in Imperia e l'acquisto, da parte di costui, dei biglietti rinvenuti nella valigia sequestrata sul treno Taranto-Milano, le risultanze dellaperizia chimico-esplosivistica comparativa, che portavano a porre in relazione la strage di Bologna con l'operazione `terrore sui treni', le dichiarazioni del Gen. NOTARNICOLA,che fin dall'inizio non aveva nascosto il suo scetticismo sull'intera vicenda, nonché, infine, le dichiarazioni del M/llo SANAPO, secondo cui le informative erano state inventate, così come era stata simulata l'esistenza della fonte, per fornire copertura al MUSUMECI ed al BELMONTE. Nella chiusa della motivazione si sottolinea come "la tecnica di manipolazione delle informazioni adottata dall'Ufficio Controllo e Sicurezza diretto dal MUSUMECI" sia "di per sé eloquente della capacità inquinante raggiunta da tale settore del SISMI", dal momento che "le informative non si sono limitate ad indicazioni vaghe e generiche, ma hanno fatto riferimento a nomi e situazioni realmente esistenti, anche se riferibili a contenuti totalmente diversi"; si evidenzia ancora l'intento del SISMI deviato di "fornire agli inquirenti indicazioni per certi aspetti riscontrabili ed idonee a suscitare il loro interesse, ma destinate, per la loro intrinseca falsità, a rimanere senza positivi sbocchi di indagine";si cita ad esempio il rapporto SISMI del 24/2/81, ove compare il VALE come organizzatore del piano `terrore sui treni' e viene fatta menzione dell'appartamento di via Rizzo o Risso, n. 11 ad Imperia; si pone in risalto come -con determinate condotte- sia stata prospettata agli inquirenti la suggestiva ipotesi di un'alleanza terroristica internazionale. "Sull'indicazione dell'appartamento divia Rizzo o Risso" -scrive testualmente l'estensore del provvedimento- "si concentra l'attenzione degli inquirenti, i quali, dopo avere accertato che effettivamente per circa un mese in quella casa aveva abitato una persona con documenti di identità falsi, ritennero di incriminare il VALE, il FIORE e l'ADINOLFI per i reati di cui in rubrica. Ancora una volta l'apparente `riscontro obiettivo' era servito a `deviare' l'A.G. verso filoni di indagini risultati poi assolutamente improduttivi. Come al vertice SISMI possa essere giunta la notizia dell'appartamento di Imperia...non è difficile supporre, anche sulla base di quanto dichiarato al G.I. da NOTARNICOLA. La presenza di un riscontro di carattere oggettivo, di riconoscimenti fotografici vaghi, ma suggestivi perché concordanti, causò l'incriminazione degli odierni imputati; la ricostruzione della messa in scena compiuta dal vertice di allora del SISMI toglie, però, ogni valore, anche se solo indiziario, a questi elementi ed impone il proscioglimento di tutti gli imputati, anche del deceduto VALE, per non aver commesso il fatto, dalle imputazioni loro ascritte in epigrafe..."


1.8.5) Ulteriori vicende del processo `della calunnia'


Il Procuratore della Repubblica aveva frattanto richiesto la citazione a giudizio degli imputati BELMONTE, MUSUMECI, PAZIENZA e GELLI per il delitto di calunnia pluriaggravata.


30/05/85 Il 30 maggio, il Tribunale di Bologna, investito del giudizio, dichiarava (19) la propria incompetenza per territorio esi spogliava del procedimento in favore del Tribunale di Roma.


Tale ultimo ufficio, il 21 ottobre, solleverà conflitto negativo di competenza (20) e la Suprema Corte, il 16 dicembre, stabilendo la competenza del Tribunale di Bologna, rimetterà (21) gli atti allo stesso per l'ulteriore corso, previo annullamento della sentenza d'incompetenza.


1.8.6) Il processo del SUPERSISMI


Era stata frattanto richiesta la citazione a giudizio, davanti alla Corte d'Assise di Roma, anche per gli imputati del procedimento di cui si è detto sub 1.7.3), altrimenti
detto processo del 'SUPERSISMI'.


29/07/85 Il 29 luglio, la V Corte d'Assise di Roma, fra le altre
statuizioni, riconosceva (22) Francesco PAZIENZA, Pietro




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(19) - Cal., V7, C2, pp. 184-194.
(20) - Cal., V9, C1, pp. 155-156.
(21) - Copie del provvedimento trovansi in Cal., V9, C1, dopo la pagina 189.
(22) - Con la sentenza di cui sub 1.2.10), nota (24). MUSUMECI e Giuseppe BELMONTE colpevoli del delitto di cui all'art. 416 C.P., per essersi, in concorso col defunto Gen. SANTOVITO e con altri, associati allo scopo di commettere più delitti (segnatamente delitti di peculato, interesse privato in atti di ufficio, favoreggiamento personale ed altre ipotesi di reato) -con l'aggravante d'aver commesso i fatti con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione di appartenenti al SISMI- in Roma, sino al luglio 1981. Il PAZIENZA era altresì imputato, in concorso col defunto SANTOVITO, del delitto di cui all'art. 261 C.P., per avere, in Roma, in epoca antecedente e prossima al 15/9/1980, rivelato il contenuto di due elaborati informativi destinati alla conoscenza esclusiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Difesa (contenenti notizie che -nell'interesse politico interno ed internazionale dello Stato- dovevano rimanere segrete), successivamente pubblicati sul settimanale `Panorama' n. 752 del 15/9/1980 (23). La Corte

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(23) - Come si è visto sub 1.1.11), gli elaborati informativi furon dati in visione al giornalista BARBERI, che ne ricavò l'articolo `La grande ragnatela'.


accertava la fondatezza dell'accusa in punto di fatto, e, previa derubricazione del delitto da violazione del segreto di Stato a violazione del segreto d'ufficio, ne dichiarava l'improcedibilità per amnistia. La Corte inoltre, con decisione sulla quale si formerà poi il giudicato, riconosceva il BELMONTE ed il MUSUMECI colpevoli di detenzione e porto aggravati di armi ed esplosivo, identificando in loro, che avevano agito in concorso con persone non identificate, i responsabili del collocamento della valigia sequestrata il 13/1/1981 sul treno Taranto- Milano.


1.8.7)Ulteriori dichiarazioni dell'ANSALDI, del CALORE, dell'ALEANDRI e del SORDI


1.8.7.1) Mauro ANSALDI


01/10/85 Il 1° ottobre, Mauro ANSALDI, nel confermare (24) quanto già dichiarato a proposito dell'incontro COGOLLI-FACHINI, precisava anche, nei seguenti termini, quanto già dichiarato in precedenti occasioni a proposito dei rapporti SIGNORELLI-

SEMERARI-GELLI: "...la prima persona che me ne parlò fu ADINOLFI nell'autunno del 1980, quando lo stesso, dopo la


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(24) - EA, V10/a-5, C230 bis, pp. 5-8.


strage di Bologna, divenuto latitante, entrò in contatto con noi. In questa fase della nostra conoscenza furono fatti anche diversi discorsi politici e tra le cose dette ricordo che ADINOLFI mi dichiarò di essere a conoscenza del fatto che SIGNORELLI, SEMERARI e GELLI si conoscevano perché si erano incontrati in almeno una occasione. ADINOLFI mi disse che l'incontro era avvenuto in un ristorante di Roma, ma non disse altri particolari. Successivamente, verso il mese di marzo del 1982, dopo che ZANI era rientrato in Italia dalla Francia, seppi da costui altre notizie sui rapporti tra SIGNORELLI, SEMERARI e GELLI. Infatti ZANI, confermando in questo senso quanto mi aveva già detto ADINOLFI, mi disse che era a sua conoscenza il fatto che SIGNORELLI si era incontrato con GELLI tramite SEMERARI. Non disse dove, come e quando questo incontro sarebbe avvenuto, ma io lo interpretai come una conferma dell'incontro al ristorante di cui aveva parlato ADINOLFI. Successivamente tornarono sull'argomento ADINOLFI e SPEDICATO che, rientrati in Italia
nel periodo pasquale del 1982, nel corso di una conversazione, mi dissero che avevano le prove che gli incontri tra SIGNORELLI, SEMERARI e GELLI erano almeno tre. Non mi dissero quale tipo di prove avessero..."


L'ANSALDI si soffermava anche su altri argomenti, tra cui i rapporti tra il SIGNORELLI, il FACHINI ed il DELLE CHIAIE, nonché le "responsabilità di quest'ultimo nelle finalità stragiste condivise tanto dai vertici di Avanguardia Nazionale che da quelli di Ordine Nero".


1.8.7.2) Sergio CALORE


03/10/85 Interrogato nuovamente dal Giudice Istruttore, il 3 ottobre, Sergio CALORE riferirà (25) tra l'altro: "...nel 1978 FACHINI, che come ho già detto in altre occasioni era responsabile della distribuzione di Costruiamo l'Azione per
il Nord, si serviva della COGOLLI per distribuire il materiale in Emilia. Sempre in quell'epoca lo stesso FACHINI mi disse che per Bologna potevo fare capo alla COGOLLI per qualunque esigenza...verso il 1977 e per l'esattezza nel dicembre '77 alla riunione tenutasi presso la villa di
SEMERARI, seppi direttamente da SIGNORELLI, DE FELICE e
DANTINI, presente anche Peppino PUGLIESE, i particolari

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(25) - IA, V9/a-1 bis, C13/7, pp. 31-37.


della fondazione di Lotta di Popolo...Tale sigla...era più esattamente O.L.P.-Organizzazione Lotta di Popolo. I fondatori furono SIGNORELLI, DE FELICE, DANTINI, DELLE CHIAIE e Clemente GRAZIANI..."


04/10/85 E poi, il giorno successivo (26): "Sul progetto di attentato ad un Magistrato nel Veneto di cui ho parlato in altri atti posso precisare quanto segue: seppi da FIORAVANTI Valerio che nell'autunno del 1979 egli era stato contattato da MELIOLI il quale lo aveva incontrato a Roma proponendogli di compiere un attentato nei confronti di un Magistrato veneto, escludo fosse CALOGERO, che non ricordo se fosse STIZ o PALOMBARINI. L'attentato non fu eseguito per motivi
tecnici...in effetti dal '78 in poi il nostro gruppo organizzò lezioni teoriche e pratiche sull'uso degli esplosivi e anche io stesso resi partecipi gli altri delle mie cognizioni. Anche lo stesso FACHINI ha partecipato ad alcuni di questi incontri ed in ogni caso in varie occasioni sia con me che con ALEANDRI discusse sul confezionamento
degli esplosivi. In particolare il FACHINI sosteneva che per




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(26) - IA, V9/a-1 bis, C13/7, pp. 38-43. rendere più potente l'effetto esplosivo e aumentare la temperatura di esplosione e la pressione dei gas era opportuno utilizzare nel confezionamento polvere di alluminio e termite...FACHINI quando parlava del confezionamento degli esplosivi e della utilizzabilità di materiale ossidante, faceva riferimento a precedenti attentati da lui commessi ma non segnatamente indicati..."


1.8.7.3) Paolo ALEANDRI


Lo stesso giorno veniva esaminato anche Paolo ALEANDRI, che dichiarava (27): "...Sulla ragione per cui IANNILLI e MARIANI abbiano deciso di fare esplodere l'ordigno a Piazza Indipendenza (28) alle tre del pomeriggio, provocando una

strage, anziché in ora notturna come concordato, io non so dire di più di quanto abbia già detto. Posso qui aggiungere un particolare: prima dell'attentato io fui condotto da IANNILLI e MARIANI in Piazza Indipendenza per un sopralluogo e non si parlò affatto di una strage, ma mi descrissero le modalità dell'attentato come destinato a compiere solo danni



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(27) - EA, V10/a-4, C190/3/2, pp. 69-73.
(28)- Si tratta dell'attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura.


materiali, poiché la deflagrazione avrebbe investito degli autoveicoli fermi. Quando poi io fui sequestrato (29) da loro mi dissero che avevano interpellato FACHINI per sapere se erano autorizzati ad agire nei miei confronti. In questo modo ho avuto la prova della loro diretta dipendenza da FACHINI oltre che da DANTINI. Del resto so che MARIANI aveva contatti con FACHINI da molto tempo prima. In conclusione io non so se la decisione di commettere una strage sia stata una iniziativa personale di IANNILLI o MARIANI o un ordine partito da altri.


Il nome di RINANI l'ho sentito fare da FACHINI come uno che apparteneva al loro gruppo, insieme a RAHO e gli altri del Veneto che io conoscevo. Peraltro di RINANI non saprei dire altro.


So che FACHINI aveva un grosso deposito di esplosivo che non è stato mai ritrovato e che custodiva in un covo di Padova. Egli mi disse che aveva una scorta pressoché inesauribile di T4 che in parte aveva già recuperato e custodiva in un appartamento ed in parte era in grado di recuperare in un

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(29)- Di tale episodio di sequestro di persona si dovrà trattare in prosieguo.


laghetto...Io ricordo che l'esplosivo proveniente da FACHINI


fu utilizzato per il Campidoglio, ma anche per alcuni attentati minori tra cui credo l'attentato all'armeria Centofanti la cui saracinesca fu sfondata da un ordigno collocato da un ragazzo di cui non so il nome al quale RAHO aveva fornito l'esplosivo..."


1.8.7.4) Walter SORDI


05/10/85 Il giorno successivo veniva esaminato (30) Walter SORDI, il quale rendeva dichiarazioni in merito ad una vacanza che aveva trascorso in Riccione verso la fine del luglio 1980, in compagnia di Luca PERUCCI e Luca DE ORAZI. E riferiva, in particolare, che, avendo egli varie armi da custodire, e non ritenendo prudente lasciarlea Roma,nell'occasioneleaveva
portate con sé, in quanto il DE ORAZI gli aveva assicurato di aver in Bologna un posto sicuro ove custodirle. Soggiungeva che il DE ORAZI era andato da Riccione a Bologna proprio allo scopo di depositare le armi; e che, in seguito, non era stato possibile recuperarle, perché il DE ORAZI era stato arrestato (31).



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(30) - EA, V10/a-5, C225 bis, pp. 41-42.
(31) - Cfr. supra, sub 1.1.2.3).


Verranno poi richiesti accertamenti di polizia che, unitamente alle dichiarazioni rese dal DE ORAZI,forniranno riscontro di veridicità a quanto affermato dal SORDI (32).


1.8.8) Le dichiarazioni di Gianluigi NAPOLI


28/10/85 Il giorno 28 veniva interrogato (33), ai sensi dell'art. 348 bis C.P.P., Gianluigi NAPOLI, il quale premetteva di esser stato scarcerato per mancanza di indizi in relazione alle accuse di associazione sovversiva e banda armata mossegli nell'ambito del presente procedimento e sottoposte, successivamente, alla cognizione dell'autorità giudiziaria romana (34).


Parlava diffusamente dei `fogli d'ordine' di Ordine Nuovo, sequestrati presso la sua abitazione, riferendo che gli erano stati dati in lettura da Giovanni MELIOLI, secondo cui "rappresentavano una posizione del tutto nuova dell'organizzazione rispetto a precedenti posizioni di tipo golpista e di collusione con i Servizi." Affermava poi testualmente: "...Quanto alla redazione dei fogli d'ordine non mi fu detto chi li aveva redatti, ma so che

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(32) - Cfr. RA, V11, C429.
(33) - IA, V9/a-1, C7, pp. 13-24.
(34) - Con la sentenza d'incompetenza 30/4/81: cfr. 1.2.21).


venivano da FACHINI ed esprimevano i punti di vista di FACHINI e dell'ambiente romano con cui FACHINI era in collegamento. Tanto aveva fatto capire il MELIOLI stesso. Del resto ai miei occhi la mano di FACHINI era riconoscibile in tutta la parte relativa alle disposizioni di sicurezza per i militanti di cui FACHINI era un maniaco cultore. Peraltro ad onta delle posizioni nuove che sulla base dei fogli d'ordine avrei dovuto cogliere, nell'ambiente, non mi sembrò che la situazione fosse cambiata. Infatti poco dopo vi fu una campagna di attentati a Roma la cui gravità richiamò la mia attenzione. Gli attentati furono rivendicati con la sigla M.R.P. Alla mia richiesta di informazioni MELIOLI mi fece capire, senza darmi particolari, che si trattava di `roba di destra'. MELIOLI mi fece anche capire che la fonte delle sue informazioni era FACHINI ma che a lui stesso FACHINI non dava molti particolari, anzi nessuno. Mi pare che MELIOLI disse queste parole: `mi tratta come un ragazzino'. In ogni modo ai miei occhi questi attentati rappresentavano la smentita più evidente delle affermazioni che vi erano state sull'esistenza di una svolta nella strategia della vecchia destra. Aggiungo poi che anche a Rovigo sono avvenute cose che mi confermarono in tale convincimento. Riferisco, al riguardo:


innanzitutto su alcuni attentati, che sicuramente sono riferibili alla destra, non perché io abbia elementi precisi da offrire, ma perché gli obiettivi scelti ed il contesto complessivo non lasciano alcun dubbio, ebbi modo di formulare riserve sulla limpidezza di comportamento di chi li aveva progettati ed eseguiti. Tali attentati, nei quali ricomprendo: due attentati verificatisi `nella notte dei fuochi', verso la metà del gennaio del '79 (ricordo che io ero in carcere in isolamento), uno alla Questura e uno alla sede della Democrazia Cristiana; un attentato del 6 febbraio '80 alla Camera del Lavoro, furono eseguiti innanzitutto all'insaputa mia e di FRIGATO (35), come di altri ragazzi di destra di Rovigo, pur sapendo che saremmo stati sospettati ed inquisiti per tali attentati. Inoltre gli stessi furono organizzati e decisi senza che a noi di Rovigo fosse data la possibilità di discutere sulle finalità e sugli obiettivi

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(35) - Cfr. supra, sub 1.2.7) ed 1.2.16).


che si volevano raggiungere..."


Il NAPOLI proseguiva asserendo d'aver chiesto conto al MELIOLI di siffatti attentati, che si inserivano provocatoriamente in una campagna terroristica lanciata dall'`Autonomia', e di aver ottenuto, dopo varie tergiversazioni, l'ammissione che l'organizzazione degli stessi andava ascritta alla destra.


Faceva ancora riferimento il NAPOLI ad un periodo di comune detenzione, in Belluno, con il FACHINI, il quale gli aveva detto, nell'occasione, che era stato un grave errore tenere in casa i `fogli d'ordine', ma lo aveva, d'altro canto, lodato per non aver fornito notizie agli inquirenti in merito ad essi.


Dichiarava ancora: "...Sulla provenienza dell'esplosivo usato per fare attentati, so quello che mi veniva detto da MELIOLI il quale, nelle sue solite forme allusive ed ambigue, mi fece capire che era FACHINI a disporre di esplosivo, che proveniva dal recupero di munizioni militari. Bisogna tener presente, a tale proposito, che MELIOLI, quando parlava di cose di FACHINI, diventava estremamente cauto, perché era terrorizzato all'idea di contravvenire agli ordini di sicurezza che lo stesso impartiva. Durante la mia detenzione ebbi modo anche di conoscere SCARANO Pierluigi che era legatissimo a SIGNORELLI. Egli era in profonda crisi ideologica perché aveva scoperto troppi intrighi e cose strane nella destra. La batosta più grave egli la ricevette quando si diffuse la notizia che SIGNORELLI aveva partecipato ad una cena, anzi a varie cene con GELLI e uomini della P2. Si diceva anche che ad una di queste cene avesse partecipato, come uomo di fiducia di SIGNORELLI, FIORAVANTI Valerio..." Soggiungeva il NAPOLI che lo SCARANO aveva appreso tali notizie da Ulderico SICA, a sua volta assai amico del CALORE, e che esse trovavano riscontro in quanto già prima lo SCARANO aveva appreso circa riunioni riservate svoltesi a casa del SEMERARI, con la partecipazione di uomini dei servizi segreti e della massoneria, nonché -saltuariamente e in veste non propriamente impegnativa- di Paolo SIGNORELLI.


E continuava nei seguenti termini: "Attraverso questi elementi, in parte, come si è visto, acquisiti durante la mia detenzione, ed in gran parte fondati su ricostruzioni logiche successive degli elementi a mia disposizione, mi sono formato il convincimento che, nell'ambito della destra abbia operato una struttura occulta rispetto anche alla maggior parte dei militanti e dotata di una progettualità politica oscura, oltre che legata agli ambienti dei Servizi Segreti e della Massoneria. Di tale formazione non so tracciare meglio i connotati perché la mia posizione non mi ha posto in contatto se non con determinate persone nell'ambito della città dove vivo...Gli uomini più legati al FACHINI erano, oltre a MELIOLI, CAVALLINI, altro suo figlio putativo il quale tra l'altro era stato preparato militarmente da FACHINI, oltre che sistemato durante la sua latitanza; RAHO che peraltro ho sentito dire che si sia distaccato già prima della strage di Bologna per motivi ideologici, anche se era rimasto amico di CAVALLINI col quale ha continuato ad agire...MELIOLI si occupava della distribuzione del giornale Costruiamo l'Azione a Rovigo...Poiché ho parlato di FACHINI, voglio precisare che i miei rapporti con lui prima della detenzione comune si riducono a due incontri fugaci ed occasionali. Bisogna comprendere che FACHINI è un maniaco della sicurezza e della compartimentazione e per nessuna ragione egli deroga alla regola di non incontrare mai persone appartenenti all'area della destra al di fuori dei contatti programmati e con le persone a ciò appositamente preposte...Effettivamente ricordo che durante la comune detenzione parlando di armi FACHINI mi disse che volendo aveva la possibilità di modificare le armi artigianalmente. In particolare egli aveva modificato, in passato, alcuni mitra MAB. Egli mi spiegò che per rendere un MAB facilmente occultabile in azioni terroristiche, veniva asportato il calcio in legno e saldato direttamente sul corpo metallico un tipo di impugnatura metallica. Ovviamente non mi rivelò né dove, né attraverso chi venivano compiute queste operazioni..."


Il NAPOLI veniva nuovamente interrogato (36) il 13 novembre:


e nell'occasione, riferiva, tra l'altro, di un fallito attentato contro l'abitazione dell'Onorevole Tina ANSELMI, in Castelfranco Veneto (37), di un attentato al `Gazzettino

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(36) - IA, V9/a-1, C7, pp. 27-38. (37) - Attentato risalente all'8/3/1980: cfr. RA, V12, C431 bis/1, pp. 1-58.


di Venezia' (38), a causa del quale aveva perso la vita un metronotte, nonché della fuga dal soggiorno obbligato di Catanzaro di Giovanni VENTURA, imputato nel procedimento penale per la strage di Piazza Fontana, che il FACHINI gli aveva detto di aver prelevato e condotto alla frontiera in automobile, compiendo l'operazione da solo.


A proposito della strage del 2 agosto, dichiarava testualmente: "...quanto a riferimenti alla strage di Bologna, MELIOLI mi parlò del fatto dicendomi che in un primo tempo si faceva il nome di FIORAVANTI Valerio come di possibile autore della strage con cui lui era in contatto. In tali ambienti il nome di FIORAVANTI, stando a quanto mi diceva MELIOLI, veniva fatto perché ritenuto un folle, capace di qualunque gesto, ed il" (sic) "sospetto di avere avuto contatti con la P2. Per illustrare meglio la disponibilità di FIORAVANTI a commettere stragi, MELIOLI mi disse che aveva avuto uno scontro proprio con Valerio FIORAVANTI ed altre persone, perché costoro volevano collocare, su progetto di FIORAVANTI Valerio, un ordigno

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(38) - Attentato risalente al 21/2/1978: cfr. RA, V12, C431 bis/2. esplosivo potentissimo nella toilette di un bar frequentato da personale della Questura di Roma, pur sapendo che avrebbero coinvolto avventori di ogni genere trattandosi di un posto molto frequentato. Mi risulta che tale progetto venne discusso e rifiutato dal MELIOLI qualche tempo prima della strage del 2 agosto 1980. Di tale fatto, forse, è al corrente il fratello di Valerio, Cristiano, che sapeva quasi tutto del fratello. Da un certo momento in poi, MELIOLI sentì parlare negli ambienti romani di responsabilità del gruppo veneto nella strage del 2 agosto 1980. Alle mie preoccupazioni, posto che anch'io appartenevo al gruppo veneto, anzi schedato come possessore di volantini di Ordine Nuovo, MELIOLI rispose che le voci che circolavano in tal senso riguardavano FACHINI e non noi di Rovigo, anche in virtù del ruolo che FACHINI aveva avuto nella strage di Piazza Fontana."


Nel corso dello stesso interrogatorio, riferiva ancora: "MELIOLI mi ha anche detto che per confezionare le bombe usavano sempre un innesco secondario poiché trattandosi di esplosivi `sordi' all'innesco bisognava assicurarsi che esplodessero. Per essere precisi il discorso che faceva MELIOLI, tipico per lui, era diverso: egli diceva di aver sentito dire casualmente che certe bombe non esplodevano perché l'esplosivo era vecchio e che per rimediare sarebbe stato possibile fare uso di inneschi secondari. Egli ne parlava ambiguamente nei termini suddetti, ma io ebbi la prova che sapeva quello che diceva..."


Il NAPOLI riprendeva l'argomento nell'interrogatorio del 05/12/855 dicembre (39): "...Quando con FACHINI, nel periodo di comune detenzione a Belluno, si parlava delle tecniche da questo utilizzate per la modifica delle armi da sparo, egli portò anche il discorso sulle modalità di confezionamento degli esplosivi: in particolare mi disse che per confezionare ordigni di sicuro effetto, era opportuno utilizzare un innesco secondario poiché a causa della sordità dell'esplosivo poteva accadere che non deflagrasse con un solo innesco..." Aggiungeva d'aver appreso da persone dell'ambiente romano di destra che persone del gruppo SIGNORELLI-FIORAVANTI Valerio avevano rubato grossi


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(39) - IA, V9/a-1, C7, pp. 59-61. quantitativi di esplosivo in alcune cave presso Roma; e che gli risultava aver il FACHINI avuto un'ingente e continua disponibilità di detonatori elettrici.


Il 20 dicembre il NAPOLI deporrà davanti al Giudice Istruttore di altro procedimento, e dichiarerà (40) tra l'altro: "...Circa i rapporti fra FACHINI e RINANI devo aggiungere che il FACHINI diede a RINANI dei manifesti di `Costruiamo l'Azione' con una colomba bianca su fondo grigio e che il RINANI avrebbe dovuto affiggere, la consegna sarebbe avvenuta a casa del FACHINI, ciò mi è stato detto dal FACHINI a Belluno nel corso degli otto mesi trascorsi nella stessa cella..."


1.8.9) Le richieste del PUBBLICO MINISTERO in data 6/12/85


Il 7 novembre il Giudice Istruttore aveva trasmesso (40) gli atti al PUBBLICO MINISTERO, perché, alla luce degli atti istruttori compiuti dal 9/7/1984 in avanti, provvedesse a riformulare il capo d'imputazione, a redigere le opportune richieste, ed, eventualmente, a chiedere ulteriori incombenti istruttori.




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(40) - RI, C7, p139.


06/12/85 Il PUBBLICO MINISTERO vi provvedeva il 6 dicembre, con articolato atto (41) di complessive 86 pagine. Non giova qui riprendere analiticamente le argomentazioni ivi svolte dall'Ufficio requirente, che saranno sviluppate nella requisitoria scritta depositata all'esito dell'istruzione, ed,ulteriormente ampliate e precisate, costituiranno, sotto molteplici profili, il nucleo anche della requisitoria orale pronunciata dal PUBBLICO MINISTERO concludente all'esito del dibattimento.


Giova soltanto ricordare che, con il citato atto, il quadro delle imputazioni veniva assumendo l'assetto che, attraverso taluni assestamenti operati dall'Istruttore, si fisserà nell'ipotesi accusatoria portata al vaglio di questa Corte: le contestazioni ex artt. 306 e 270 bis venivano formulate nel loro testo definitivo; altrettanto è a dirsi per la contestazione del delitto di strage, che si cristallizzava nel testo di cui al mandato di cattura emesso il 16/7/84 nei confronti del FACHINI e del RINANI; la contestazione dei delitti di banda armata e di strage veniva richiesta per le

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(41) - RI, C7 bis, pp. 1-90.


stesse persone che oggi affrontano il giudizio di questa Corte per detti delitti (per il PUBBLICO MINISTERO la strage avrebbe dovuto essere contestata come commessa in concorso con Stefano DELLE CHIAIE ed altre persone non sufficientemente individuate); quanto al delitto di cui all'art. 270 bis, se ne chiedeva la contestazione, oltre che agli imputati che oggi ne rispondono, anche ad Alfredo GRANITI ed Egidio GIULIANI. Per tutti gli imputati veniva richiesta l'emissione di mandato di cattura, con la sola eccezione del TILGHER, del BALLAN, del GIORGI e del GRANITI, che avrebbero dovuto essere sentiti con mandato di accompagnamento, avendo essi già "scontato il termine massimo di custodia cautelare per incriminazione relativa al medesimo titolo di reato all'interno di questo processo".



















1.9) 10 dicembre 1985 - 14 giugno 1986
Dai mandati di cattura e di accompagnamento
del dicembre '85 alla sentenza-ordinanza
di rinvio a giudizio


1.9.1)I mandati di cattura e di accompagnamento del dicembre 1985


1.9.1.1) Il mandato di cattura 10/12/1985


10/12/85 Il 10 dicembre il Giudice Istruttore ordinava la cattura (1) di Paolo SIGNORELLI, Massimiliano FACHINI, Roberto RINANI, Valerio FIORAVANTI, Francesca MAMBRO, Sergio PICCIAFUOCO, Licio GELLI, Pietro MUSUMECI, Giuseppe BELMONTE, Fabio DE FELICE, Francesco PAZIENZA, Roberto RAHO, Gilberto CAVALLINI, Egidio GIULIANI, Marcello IANNILLI e Stefano DELLE CHIAIE, contestando:


- al GELLI, al MUSUMECI, al PAZIENZA, al BELMOMTE, al DE FELICE, al SIGNORELLI, al FACHINI ed al DELLE CHIAIE, il delitto di costituzione,promozione ed organizzazione di una associazione con il fine di eversione dell'ordine democratico;


- al SIGNORELLI, al FACHINI, al RINANI, al FIORAVANTI, alla MAMBRO, al PICCIAFUOCO, al CAVALLINI, allo IANNILLI, al GIULIANI ed al RAHO, il delitto di costituzione,

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(1) - Cfr. OC, V1, C5, pp. 31-87.


promozione ed organizzazione banda armata;


- al SIGNORELLI, al FACHINI, al RINANI, al FIORAVANTI, alla MAMBRO ed al PICCIAFUOCO, il delitto di strage ed i delitti contestuali.


Le imputazioni assumevano la loro fisionomia definitiva: negli stessi termini saranno formulate, infatti, in sede di rinvio a giudizio.


Non occorre qui riprendere le motivazioni svolte nel lungo ed articolato provvedimento, dal momento che, costituendo esse la base argomentativa su cui si svilupperanno le linee del provvedimento conclusivo dell'istruttoria, dovranno essere compiutamente esaminate in prosieguo di trattazione, laddove la Corte vaglierà la fondatezza dell'ipotesi

accusatoria portata a giudizio.


Il mandato rimaneva ineseguito nei confronti del GELLI (2), del PAZIENZA (3), del RAHO (4) e del DELLE CHIAIE (5).


1.9.1.2) Il mandato di accompagnamento 13/12/1985

13/12/85 Tre giorni più tardi l'imputazione di aver costituito,

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(2) - OC, V4, C76, p16. Cfr. anche sub 1.8.2), nota (8). (3) - OC, V4, C85, p12. Il PAZIENZA, dal 4/3/85, si trovava in arresto provvisorio, negli Stati Uniti, a fini estradizionali, per la vicende giudiziarie seguite al `crack' del Banco Ambrosiano. (4) - OC, V4, C83, p12. (5) - OC, V3, C61, p80. promosso ed organizzato l'associazione eversiva di cui al mandato di cattura del 10 dicembre veniva contestata anche a Marco BALLAN, Adriano TILGHER e Maurizio GIORGI (6), ma con mandato di accompagnamento: osservava infatti l'Istruttore esser già decorsi, nei confronti di costoro, i termini di custodia preventiva, dal momento che il fatto di associazione sovversiva contestato nel 1982 veniva semplicemente riformulato. 1.9.1.3) Il madato di cattura 20/12/1985


20/12/85 Di lì a una settimana veniva infine ordinata (7) la cattura di Giovanni MELIOLI, con l'accusa di aver anch'egli costituito, promosso ed organizzato la banda armata di cui al mandato del 10 dicembre.


1.9.2) Gli interrogatori degli imputati.


Nel mese di dicembre, il Giudice Istruttore provvedeva ad

interrogare gli imputati nei cui confronti i mandati avevano trovato esecuzione.


14/12/85 Il giorno 14, Valerio FIORAVANTI (8) respingeva l'accusa di strage, dando conto dei suoi spostamenti fra la fine di


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(6) - Cfr., per tutti, OC, V3, C63, pp. 62-66.
(7) - OC, V2, C35, pp. 11-30.
(8) - IA, V9/a-2, C29, pp. 37-46.


luglio ed il 5 agosto dell'80; negava d'aver avuto ruolo di braccio armato del SIGNORELLI e d'aver avuto rapporti politico-operativi col FACHINI; affermava d'aver deciso di uccidere il MANGIAMELI "perché il suo comportamento non era lineare"; escludeva d'aver partecipato ad un progetto di assassinio di un magistrato veneto; escludeva d'aver comunicato a persone del Veneto progetti relativi ad un attentato ad un `bar' posto nei pressi della Questura di Roma.


Il giorno stesso, anche Francesca MAMBRO (9) affermava la propria estraneità ai fatti contestatile, come del resto aveva fatto in precedenza (10).


Sempre il giorno 14, Gilberto CAVALLINI si avvaleva della facoltà di non rispondere all'interrogatorio (11).


15/12/85 L'indomani venivano interrogati il SIGNORELLI, lo IANNILLI ed il GIULIANI (12).


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(9) - IA, V9/a-2, C38, pp. 53-56.
(10) - Cfr. cartella di cui alla nota che precede, pp. 5-9, 23-29 e 37-40: si tratta di interrogatori sulcui contenuto ci si dovrà soffermare in seguito.
(11) - IA, V9/a-2, C41, pp. 50-51. Il CAVALLINI aveva in precedenza reso interrogatori ex art. 348 bis C.P.P. (12) - Cfr. IA, rispettivamente V9/a-1, C4, pp. 20-28; V9/a- 1, C4 bis, pp. 9-14; V9/a-2, C44, pp. 7-8. Il primo respingeva tutti gli addebiti, e , quindi, nella sostanza, escludeva d'aver avuto il ruolo di direzione politica dell'attività eversiva della destra attribuitogli dal mandato di cattura; come negava, del resto, ogni collusione con apparati dello Stato ed ogni contiguità rispetto al GELLI.


Il secondo, nel dichiarare di volere abbandonare l'atteggiamento di rinuncia a difendersi precedentemente tenuto, dava conto della propria esperienza, ammettendo le proprie responsabilità in ordine ad una serie di attentati compiuti in Roma nel 1978 e nel 1979 (questi ultimi rivendicati con la sigla M.R.P.), ma affermando, al tempo stesso, di aver concluso l'attività politica nell'autunno del 1979, e di essere quindi estraneo alla strage di Bologna ed alle eventuali organizzazioni che l'avessero posta in essere.


Il GIULIANI, dal canto suo, si avvaleva della facoltà di non rispondere all'interrogatorio.


16/12/85 Il giorno dopo venivano interrogati il MUSUMECI (13) ed il

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(13) - IA, V9/a-2, C43, pp. 41-48.


DE FELICE (14).


L'ex comandante dell'Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI


si dichiarava estraneo ai fatti esposti nel mandato di cattura e si richiamava agli interrogatori precedentemente resi all'autorità giudiziaria (15). In particolare, a proposito delle informative consegnate `brevi manu' al Giudice Istruttore dott. GENTILE, affermava che quest'ultimo aveva lungamente insistito presso il direttore del Servizio e anche presso di lui per avere notizie quanto prima, e che il Gen. SANTOVITO l'aveva invitato a cercare di accontentare le sollecitazioni che venivano dal Giudice. E soggiungeva: "...I fogli dattiloscritti che consegnai al dott. GENTILE erano dunque né più né meno che quelli che mi aveva dato BELMONTE...io ho ricevuto le notizie da BELMONTE e le ho passate al Dr. GENTILE, senza togliere o aggiungere nulla di mio..."


Il DE FELICE, nel respingere gli addebiti, affermava fra l'altro: di non aver mai conosciuto il GELLI e di non aver


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(14) - IA, V9/a-1, C18 bis, pp. 19-48.
(15)- Nel presente procedimento, in particolare, era già stato interrogato il 23/7/85 (cfr. IA, V9/a-2, C43, pp. 4-10), dopo aver ricevuto la comunicazione giudiziaria per strage del 16/4/85 (cfr. OC, V4, C84, p1 bis). mai avuto con lui alcun rapporto; di non aver mai fatto parte della Massoneria e tanto meno della Loggia P2; di non aver mai avuto rapporti con i Servizi Segreti e di non aver mai avuto a che fare col MUSUMECI, col BELMONTE, col SANAPO; di aver intrattenuto rapporti "del tutto marginali" col SIGNORELLI; di aver avuto soltanto con l'ALEANDRI rapporti significativi, che in ogni caso si erano interrotti alla fine del 1978.


18/12/85 Due giorni più tardi venivano interrogati il TILGHER (16) ed il BALLAN (17), che si attestavano entrambi -come avevano fatto già in precedenza- su posizioni di negativa degli addebiti.


19/12/85 Il giorno successivo era la volta del FACHINI (18) e del RINANI (19), che ribadivano entrambi la propria estraneità ai fatti loro contestati, in ciò richiamandosi al contenuto degli interrogatori resi in precedenza: il RINANI, in particolare, riaffermava, ancora una volta, di non aver conosciuto il FACHINI.




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(16) - IB, C9, pp. 42-50.
(17) - IB, C8, pp. 55-59.
(18) - IA, V9/a-1, C12, pp. 56-61.
(19) - IA, V9/a-1, C2/2, pp. 104-105.


20/12/85 A distanza di due giorni si procedeva all'interrogatorio del GIORGI (20), il quale si protestava innocente del delitto associativo così come contestatogli. Quanto alle imputazioni relative all'arma sequestrata nell'abitazione di Carmine PALLADINO, affermava di non aver nulla da aggiungere a ciò che aveva precedentemente dichiarato, non volendo contraddire le accuse mossegli dall'amico, alla cui memoria si professava legato.


22/12/85 Il 22, infine, venivano interrogati il MELIOLI (21) ed il PICCIAFUOCO (22). L'uno sosteneva di aver bensì svolto un'attività di opposizione anche radicale al sistema, ma soltanto a livello ideologico e culturale, non avendo viceversa avuto ruoli operativi, né partecipato ad attività armate: nella sostanza, quindi, respingeva l'addebito; l'altro contestava come assolutamente infondate le accuse mossegli, in parte confermando ed in parte modificando le dichiarazioni precedentemente rese (23) in corso d'istruttoria.


* * * * *


(20) - IB, C6, pp. 129-131.
(21) - IA, V9/a-1, C25, pp. 9-13.
(22) - IA, V9/a-2, C40, pp. 62-65.
(23)- Sulle quali si dovrà ripetutamente tornare in prosieguo, laddove si esaminerà in dettaglio la posizione di questo imputato. 1.9.3) La missiva 29/1/86 dal Giudice Istruttore al PUBBLICO MINISTERO 29/01/86 Il primo atto rilevante dell'anno solare che avrebbe visto la conclusione dell'istruttoria era la trasmissione (24) dell'incarto processuale dall'Istruttore all'Ufficio requirente, perché fossero rassegnate le conclusioni definitive. In sostanza, dopo l'emissione dei mandati del dicembre e l'espletamento degli interrogatori, si riteneva ormai di poter dare un esito alla complessa indagine, e si richiedevano le determinazioni del PUBBLICO MINISTERO su tutte le imputazioni sino a quel momento contestate (per le quali non fosse già intervenuto proscioglimento istruttorio), nonché sulle posizioni di coloro che fossero stati raggiunti da comunicazione giudiziaria.


1.9.4) Le dichiarazioni di Giuseppe RIZZO


14/03/86 Il 14 marzo, il Giudice Istruttore, provvedeva ad escutere come teste (25) tale Giuseppe RIZZO (26), che si trovava all'epoca detenuto in espiazione pena per spaccio di sostanze stupefacenti. Costui, tra l'altro, riferiva che:

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(24) - RI, C8, pp. 1-16.
(25) - EA, V10/a-7, C309, pp. 2-10.
(26) - Da non confondersi con l'omonimo teste dott. Giuseppe
RIZZO, Direttore del Carcere di Belluno, escusso in
dibattimento.


nell'autunno-inverno del 1979 aveva incontrato un suo
conoscente, tale MAZZIERI Morino, che era in attesa di un'altra persona; il RIZZO aveva poi saputo che la persona attesa -e che non sopraggiunse- era Sergio PICCIAFUOCO; aveva poi aderito all'invito, rivoltogli dal MAZZIERI, suo ex compagno di detenzione, di accompagnarlo in una località presso Roma, per la consegna di "alcune cose"; erano così giunti in una località di montagna, ove erano stati ricevuti nella villa di colui che poi il RIZZO apprese essere Aldo SEMERARI; ed assieme al SEMERARI v'erano, nell'occasione, due persone, una delle quali il RIZZO poi apprese essere Roberto RINANI; nel corso dell'incontro il MAZZIERI aveva consegnato ai tre un pacco contenente cinque pistole;


in epoca successiva, quando il RIZZO si trovava detenuto nel carcere di Rimini, aveva incontrato Roberto RINANI, che in un primo tempo aveva finto di non conoscerlo, ma poi, a distanza di qualche giorno aveva ammesso d'averlo riconosciuto come la persona che, nelle circostanze sopra riferite, aveva accompagnato il MAZZIERI; da allora i rapporti tra i due si erano intensificati e, nel corso della comune detenzione, il RINANI aveva confidato al RIZZO di aver partecipato, in qualità di esecutore materiale, insieme con un gruppo di cinque o sei persone, alla strage di Bologna del 2 agosto 1980; in particolare, aveva riferito che, in occasione della strage, assieme a lui vi erano Sergio PICCIAFUOCO ed una donna che egli lodava come coraggiosissima e molto in gamba; e che "l'esplosivo per l'attentato era stato fornito da tale Massimo o Massimiliano FACHINI".


1.9.5) Gli ultimi sviluppi dell'istruttoria


1.9.5.1) La richiesta del PUBBLICO MINISTERO in data 26/3/86


26/03/86 Con missiva (27) in data 26 marzo, il Procuratore della Repubblica trasmetteva al Giudice Istruttore copia di verbali di deposizioni rese il giorno precedente da Angelo IZZO, Raffaella FURIOZZI e Sergio CALORE (28), chiedendo "l'espletamento delle conseguenti attività istruttorie", nonché, all'esito, il nuovo deposito degli atti per le conclusioni finali.




* * * * *


(27) - RI, C8, p19.
(28) - Cfr., rispettivamente, EB, V3, C68, pp. 61-70; EA, V10/a-7, C306, pp. 2-5; IA, V9/a-1 bis, C13/15, pp. 2-3. 1.9.5.2)Le dichiarazioni dell'IZZO, della FURIOZZI e del CALORE
Per quanto attiene alle dichiarazioni delle persone esaminate il 25/3/1986 dal PUBBLICO MINISTERO, occorre segnalare quanto segue:


Angelo IZZO riferiva di aver appreso da Valerio FIORAVANTI che il padre di quest'ultimo era stato avvicinato dall'Avv.DI PIETROPAOLO, legale di Licio GELLI, perché riferisse al figlio che il GELLI era preoccupato, in quanto circolavano voci nel senso che Valerio fosse prossimo a confessare tutte le sue responsabilità, e si raccomandava che non accennasse all'omicidio PECORELLI (29); e di aver appreso da Valerio che effettivamente quest'ultimo e Massimo CARMINATI erano stati gli autori materiali dell'omicidio.


Raffaella FURIOZZI riferiva d'aver appreso da Diego MACCIO', la cui fonte era stato Gilberto CAVALLINI, che "era
stato GELLI a volere la strage di Bologna, anzi la strage a Bologna, poiché essa doveva rappresentare la continuità con
la strage dell'Italicus per lanciare un avvertimento a


* * * * *



(29) - Si tratta del giornalista Mino PECORELLI, assassinato
il 20/3/1979: cfr. Cal., V5, C42, p26.


quegli ambienti politico-militari che nel 74-75 volevano fare un golpe militare e che andavano distaccandosi da GELLI e dagli ambienti della P2 dopo gli anni della strategia della tensione"; e di aver altresì appreso, sempre attraverso le stesse fonti che Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO, "presenti all'attentato del 2 agosto alla stazione, riuscirono a manovrare dei ragazzini di T.P., che furono gli autori materiali della collocazione dell'ordigno alla stazione, avvenuta sotto la copertura di Valerio e Francesca MAMBRO"; e di aver saputo, ancora, che due degli autori materiali della strage rispondevano ai nomi di Nanni DE ANGELIS e Massimiliano TADDEINI.


Sergio CALORE, dal canto suo, dichiarava testualmente, tra l'altro: "...Durante il processo AMATO eravamo in cella io, Valerio ed Angelo IZZO. In effetti noi riuscivamo ad incontrarci nelle ore di socialità nella mia cella anche se poi ognuno di noi aveva assegnata una cella all'interno del carcere di Sollicciano. Un giorno rientrando dall'udienza di Bologna Valerio ci riferì che era stato avvicinato dal padre
il quale gli disse che era stato contattato dall'Avv. DI PIETROPAOLO, difensore di Cristiano. Questi gli aveva detto di riferire al figlio che se GELLI poteva stare tranquillo circa la questione PECORELLI, egli (GELLI) avrebbe dato una mano a Valerio. Valerio ci disse che al padre aveva risposto di dire all'avvocato DI PIETROPAOLO che pensasse a Cristiano. Dissi a Valerio dopo aver sentito il suo racconto se c'entrava o meno con l'omicidio PECORELLI e lui mi rispose di no."


1.9.5.3) Le attività del Giudice Istruttore a seguito della richiesta del PUBBLICO MINISTERO


08/04/86 L'8 aprile, il Giudice Istruttore provvedeva a sentire direttamente la FURIOZZI (30) e l'IZZO (31), che confermavano le dichiarazioni rese al PUBBLICO MINISTERO, precisandole e dettagliandole, nonché a porre a confronto tra loro l'IZZO ed il CALORE (32).


Il giorno stesso spediva comunicazione giudiziaria per strage, banda armata e porto d'esplosivo a Massimiliano TADDEINI (33).



* * * * *


(30) - EA, V10/a-7, C306, pp. 6-9. (31) - EB, V3, C68, pp. 71-83.
(32) - IA, V9/a-1 bis, C13/16, pp. 1-5.
(33) - OC, V4, C89, p2. Nazzareno(Nanni) DE ANGELIS era morto suicida il 5/10/80 nel carcere di Rebibbia.


25/04/86 Il 25 aprile provvedeva ad interrogare nuovamente Cristiano FIORAVANTI (34), il quale, tra l'altro, dichiarava: "...se prima ero assolutamente convinto della estraneità di mio fratello alla strage di Bologna, oggi non so più cosa pensare; questo anche perché mio fratello in merito all'omicidio MATTARELLA e PECORELLI non ha assunto una posizione chiara...Valerio aveva intenzione, dopo l'uccisione di MANGIAMELI, di assassinare anche la moglie Sara e la figlia. Ciò perché, a detta di Valerio, la moglie era pericolosa più del marito ed aveva assistito all'incontro nel quale si era decisa l'uccisione di MATTARELLA..."


10/05/86 Il 10 maggio il Giudice Istruttore spediva comunicazione giudiziaria per strage, banda armata e porto d'esplosivo a Luigi CIAVARDINI (35).


Il giorno stesso veniva esaminato come teste (36) tale Ivano BONGIOVANNI, il quale riferiva di esser stato detenuto nel carcere di Paliano assieme all'IZZO ed alla FURIOZZI e di

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(34) - EA, V10/a-3, C140 bis, pp. 32-35. (35) - OC, V4, C90, p1. Sulla figura e sul ruolo di costui, nell'ambito del gruppo del FIORAVANTI, in relazione alle vicende che si pongono a cavallo del 2 agosto, ci si dovrà soffermare in seguito.
(36) - EA,V10/a-7, C311, pp. 4-9.


sapere che le rivelazioni di quest'ultima le erano in realtà state suggerite dall'IZZO; e che il contenuto della deposizione era stato concordato nell'ambito di un progetto di fuga che avrebbe dovuto riguardare, oltre ad essi, anche altri detenuti.
1.9.6) La conclusione dell'istruttoria


12/05/86 Il 12 maggio il Giudice Istruttore, dopo aver dato corso all'appendice istruttoria di cui si è detto, depositava (37) gli atti per le requisitorie finali.


14/05/86 Il 14 maggio, il PUBBLICO MINISTERO depositava le proprie requisitorie (38). E concludeva chiedendo, tra l'altro, il rinvio a giudizio, avanti alla Corte d'Assise, di tutti gli imputati che saranno poi effettivamente citati, ciascuno per i reati di cui è qui oggi chiamato a rispondere (39), nei procc. penn. nn. 12/86 e 13/86 R.G.C.A.


14/06/86 Un mese più tardi, il Giudice Istruttore depositava il provvedimento (40) conclusivo dell'inchiesta. Nel dichiarare




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(37) - RI, C8, p22.
(38) - RE: il volume consta di 857 pagine dattiloscritte. (39) - Con la solo eccezione del PICCIAFUOCO, per il quale al PUBBLICO MINISTERO sfuggiva l'imputazione ex art. 496 C.P.
(40) - SO:il volume consta di 1078 pagine dattiloscritte.


chiusa la formale istruzione, ordinava il rinvio a giudizio, avanti a questa Corte d'Assise, di tutti gli imputati del proc. pen. n. 12/86 R.G.C.A., ciascuno per i reati di cui è chiamato a rispondere in tale procedimento, con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale per il PICCIAFUOCO, la recidiva reiterata infraquinquennale per il DELLE CHIAIE ed il BALLAN, la recidiva specifica per il GIORGI, la recidiva semplice per il FIORAVANTI, il RAHO, il GIULIANI ed il MELIOLI. Dichiarava unificati nel capo 33 della rubrica i capi d'imputazione nn. 33 e 42, cioè le due ipotesi ex art. 270 bis C.P. contestate rispettivamente con il mandato di cattura del 10/12/85 e con il mandato di accompagnamento del 13/12/85. Unificava altresì nel capo 34 della rubrica le ipotesi di banda armata contestate con i mandati di cattura del 10 e del 20/12/85. Dichiarava ancora assorbite nelle imputazioni di strage e delitti contestuali così come contestate il 10/12/1985 le varie imputazioni precedentemente formulate in corso d'istruttoria per tali delitti nei confronti del FACHINI, del RINANI, della MAMBRO, del SIGNORELLI e del FIORAVANTI. Disponeva conservarsi lo stato di custodia cautelare per gli imputati MUSUMECI, BELMONTE, MAMBRO, PICCIAFUOCO, CAVALLINI, IANNILLI, GIULIANI, MELIOLI, DE FELICE, FACHINI, FIORAVANTI, RINANI e SIGNORELLI (essendo invece il GELLI, il DELLE CHIAIE ed il RAHO latitanti, ed il GIORGI, il TILGHER, il BALLAN e l'HUBEL non più raggiunti da provvedimenti restrittivi).


Pronunciava poi una serie di ulteriori statuizioni, fra cui vanno ricordate le seguenti:


- il proscioglimento di Sergio CALORE, Dario PEDRETTI, Francesco FURLOTTI, Edgardo BONAZZI, Roberto FEMIA, Mario TUTI, Gabriele ADINOLFI, Roberto FIORE, Franco FREDA e Marcello IANNILLI dalle imputazioni di strage e delitti contestuali, per non aver commesso il fatto, nonché di Giorgio VALE (41) e Aldo SEMERARI(42), dalle stesse imputazioni, per estinzione dei reati conseguente alla morte del reo;


-il proscioglimento di Olivier DANET e Joachim FIEBELKORN,

* * * * *


(41) - Nei confronti di costui era stata emessa comunicazione giudiziaria per strage ed altro il 30/7/1981: cfr. OC, V2, C37, p3.
(42) - Raggiunto da comunicazione giudiziaria per strage ed altro del 22/5/1981 (cfr. OC V1, C6, p13), il SEMERARI era poi stato barbaramente assassinato, in circostanze a tutt'oggi non ancora chiarite, in data 1/4/1982.


dalle imputazioni di strage e delitti strumentali, per non

aver commesso il fatto, nonché di Pier Luigi PAGLIAI, dalle stesse imputazioni, per estinzione dei reati conseguente alla morte del reo;


- il proscioglimento di Licio GELLI, Umberto ORTOLANI, Attilio MONTI, Ennio BATTELLI, Federico FEDERICI, Ezio GIUNCHIGLIA e Andrea VON BERGER, perché il fatto non sussiste, dai delitti di cui agli artt. 270 bis e 305 C.P., per i quali erano stati raggiunti da comunicazione giudiziaria in data 9/9/1982 (43);


- la separazione dei giudizi e la trasmissione degli atti, per competenza territoriale, al Procuratore della Repubblica di Roma, per le imputazioni ex artt. 270 bis e 306 C.P. contestate nel 1982 a Carmine PALLADINO, Maurizio GIORGI, Pier Luigi PAGLIAI, Romano COLTELLACCI, Adriano TILGHER, Stefano CAPONETTI, Marco BALLAN, Olivier DANET, Joachim FIEBELKORN, Leda PAGLIUCA, Stefano DELLE CHIAIE, Giovanni PINTUS, Ettore MALCANGI e Roberto PALLADINO,

* * * * *

(43) -Cfr., per tutti, OC, V2, C55, p26. Si tratta delle accuse originariamente contestate alla persone indicate come coinvolte nelle asserite illecite attività della cosiddetta `Loggia di Montecarlo'.


nonché per l'imputazione ex art. 270 bis C.P. contestata, sempre nel 1982, ad Alfredo GRANITI;


- la separazione delle posizioni di DELLE CHIAIE, GIORGI, TILGHER e BALLAN, per la prosecuzione dell'istruttoria, in relazione al delitto di strage ed ai delitti contestuali;


- la separazione delle posizioni CIAVARDINI, TADDEINI e DE ANGELIS, per la prosecuzione dell'istruttoria, in relazione ai delitti per i quali i primi due eran stati raggiunti da comunicazione giudiziaria;


- la separazione della posizione PAZIENZA, per la prosecuzione dell'istruttoria, in relazione al delitto contestato a detto imputato;


- la trasmissione al PUBBLICO MINISTERO in sede di taluni atti, per le determinazioni di sua competenza a carico dell'ex Procuratore della Repubblica di Bologna dott. Ugo SISTI.


1.10) 15 giugno 1986 - 18 gennaio 1987
La fase degli atti preliminari al giudizio
nel procedimento per strage; l'ulteriore istruttoria originata dallo
stralcio della posizione PAZIENZA e lo
esito della stessa;
ulteriori vicende nel procedimento per
calunnia


1.10.1) La fase degli atti preliminari al giudizio nel procedimento per strage


Una volta pervenuti gli atti alla Corte d'Assise, ove il procedimento assumeva il n. 12/86 R.G.C.A., il Presidente 11/07/86del Tribunale provvedeva (1), in data 11 luglio, all'assegnazione del procedimento stesso alla 2ª Sezione della Corte.


31/07/86Il 31 luglio, Fabio DE FELICE otteneva (2), dalla Sezione Feriale del Tribunale, che si pronunciava in sede di gravame avverso un provvedimento di diniego del Giudice Istruttore, la misura degli `arresti domiciliari' presso un luogo di cura.


01/09/86 In data 1/9/86, il Presidente di questa 2ª Corte d'Assise emetteva il decreto di citazione per l'udienza del 19/1/87.


24/10/86 Il 24 ottobre, Pietro MUSUMECI otteneva (3) gli `arresti domiciliari' presso la propria abitazione dal `Tribunale

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(1)- Cfr.il provvedimento presidenziale sulla `copertina' del fascicolo. (2) - Il provvedimento trovasi in CP, C4. (3) - Il provvedimento trovasi in CP, C15.


della Libertà', che si pronunciava in sede di rinvio dalla Cassazione, la quale aveva annullato un precedente provvedimento dello stesso `Tribunale della Libertà' emesso a conferma di ordinanza del Giudice Istruttore di diniego del beneficio invocato.


07/11/86 Il 7 novembre Giuseppe BELMONTE otteneva a sua volta gli arresti domiciliari presso la propria abitazione dalla Sezione Istruttoria della Corte d'Appello (4), che concedeva il beneficio per ragioni di salute.


23/12/86 Il 23 dicembre perveniva alla Corte un rapporto (5) della1ª Sezione del Nucleo Operativo della Legione Carabinieri di Bologna, con il quale si dava conto degli accertamenti svolti per verificare l'attendibilità delle dichiarazioni del teste Giuseppe RIZZO. Vi si riferiva, tra l'altro, che:


- vi era stato effettivamente un periodo di comune detenzione di Giuseppe RIZZO e Roberto RINANI, nel 1985, nel carcere di Rimini; e v'eran state, tra i due, varie possibilità d'incontro;


- vi era stato altresì un periodo di comune detenzione di

* * * * *

(4) - Il provvedimento trovasi in CP, C2.
(5) - Trovasi in CP, C6.


Giuseppe RIZZO e Amorino MAZZIERI, nel 1979, nel carcere di Ancona, ove, per mancanza di celle disponibili, "i detenuti vivevano tutti in completa promiscuità";


- sembrava verosimile che il MAZZIERI, compaesano del PICCIAFUOCO ed ampiamente pregiudicato, avesse avuto la possibilità di conoscere e frequentare il PICCIAFUOCO stesso;


- lungo la superstrada che da Ascoli Piceno conduce a Roma si trova il piccolo Comune di Posta, a 40 chilometri di distanza dal quale, in località Petrella Salto, sorgeva una villetta già di proprietà di Aldo SEMERARI.


Sulle circostanze in questione si dovrà tornare in prosieguo, allorché si tratterà di vagliare il problema dell'utilizzabilità della testimonianza RIZZO.


14/01/87 Il 14 gennaio 1987 aveva inizio la sessione di questa Corte nel corso della quale è stato celebrato, fra gli altri, il presente procedimento.


1.10.2)L'ulteriore istruttoria originata dallo stralcio della posizione PAZIENZA e l'esito della stessa


Il procedimento a carico del PAZIENZA originato dalla separazione della sua posizione, disposta con la sentenza-ordinanza 14/6/86, prendeva il numero 181/A/86 R.G.G.I.


16/06/86A tale procedimento, il 16 giugno, veniva acquisita una memoria (6), trasmessa dall'imputato, ancora detenuto negli Stati Uniti, al suo difensore, e da quest'ultimo inoltrata all'Istruttore. Nelle 14 pagine del dattiloscritto, il PAZIENZA svolgeva un'articolata difesa su quattro temi d'accusa, da lui individuati come le premesse logiche su cui si fondava il mandato di cattura emesso a suo carico; cioè, precisamente: rapporti di collaborazione fra lo stesso PAZIENZA ed il GELLI; coinvolgimento del PAZIENZA in una struttura deviata e deviante all'interno dei Servizi di sicurezza; rapporti fra il PAZIENZA ed il coimputato DELLE CHIAIE; rapporti dell'imputato con la `C.I.A' (`Central Intelligence Agency').


19/06/86 Tre giorni più tardi, il PAZIENZA giungeva in Italia `in vinculis', estradato dagli Stati Uniti per reati di competenza dell'autorità giudiziaria milanese (7).


21/06/86 Il giorno 21, la Procura della Repubblica di Roma trasmetteva all' Istruttore un rapporto informativo (8),

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(6) - Trovasi in PAZ., V1, C10, pp. 13-26. (7) - Cfr. PAZ., V1, C4, p103. (8) - Trovasi in PAZ., V1, C7, pp. 3-25. riferentesi "alla persona ed all'attività del dott. Francesco PAZIENZA, con particolare riferimento al periodo della sua collaborazione con il SISMI": rapporto asseritamente redatto dal Col. Demetrio COGLIANDRO, già funzionario del SISMI, nell'ottobre del 1981 (9).


26/06/86 Il giorno 26, il Giudice Istruttore si recava a Torino, ove l'imputato era ristretto, per procedere all'interrogatorio; il PAZIENZA si avvaleva della facoltà di non rispondere (10) e dava lettura di una dichiarazione scritta (11), nella quale affermava di non voler rispondere ad altri magistrati che non fossero quelli di Milano.


28/06/86 Due giorni più tardi, il PAZIENZA decideva di rispondere all'interrogatorio, ma premetteva di non rinunciare al principio di specialità e d' "incontrarsi...con i sigg. Giudici di Bologna anche come parte denunciante ", avendo presentato nelle settimane precedenti quattro denunce penali, rispettivamente contro il Gen. Ninetto LUGARESI, il Prefetto Vincenzo PARISI, il Col. Demetrio COGLIANDRO e la Sig. Nara LAZZERINI.


* * * * *


(9) - cfr. PAZ., V1, C7, p2.
(10) - PAZ., V2, C19, p5 retro.
(11) - PAZ., V2, C19, p6.


Nel corso del lungo interrogatorio (12), che proseguiva anche il giorno successivo, l'imputato respingeva l'accusa di averfatto parte dell'associazione sovversiva descritta nel capod'imputazionee sosteneva di non essersimai interessato delle indagini relative alla strage di Bologna.


Produceva 26 documenti, che venivano allegati al verbale d'interrogatorio. Richiamava, inoltre, l'esistenza di prove documentali custodite dal suo avvocato newyorkese, Edward MORRISON, che chiedeva fosse sentito come testimone.


25/08/86 Il 25 agosto, il Giudice Istruttore procedeva all'archiviazione (13) di tre denunce proposte dal PAZIENZA, rispettivamente contro il Col. COGLIANDRO, il Gen. LUGARESI e la Sig. LAZZERINI (14), osservando che il denunciante non aveva indicato elementi specifici, ma aveva formulato accuse del tutto generiche, pretendendo quindi, senza offrire alcun elemento concreto, di trasformare in imputati i testi d'accusa.


Il giorno stesso,l'Istruttore procedeva all'escussione (15)


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(12) - PAZ., V2, C20, pp. 1-108.
(13) - Cfr. PAZ., V1, rispettivamente C13-14/2, p5; C13- 14/3, p5; C13-14/4, p5. (14) - Cfr. PAZ., V1, rispettivamente C13-14/2, p4; C13- 14/3, p4, C13-14/4, p4.
(15) - PAZ., V2, C22, pp. 3-7.


del Gen. LUGARESI, il quale, tra l'altro, dichiarava: "...Peraltro il fatto che il PAZIENZA vantasse anche aderenze al Dipartimento di Stato tali da fargli promuovere visite in USA del sottosegretario ai servizi On. MAZZOLA e del Capo del SISMI, mi rese a suo tempo convinto che il suo ruolo fosse non solo quello di collaboratore esterno del SISMI, ma anche di `agente di influenza' per conto di ambienti statunitensi, presso corrispondenti ambienti italiani...ricordo anche che DALLA CHIESA (16), durante una riunione per valutare il caso CIOLINI, presente anche il Generale VALDITARA (17), mi disse che CIOLINI era un guardaspalle di GELLI e che avrebbe dovuto conoscere PAZIENZA e potuto confermarne l'amicizia con GELLI. In base a quali elementi DALLA CHIESA sosteneva l'esistenza di un rapporto GELLI-CIOLINI, CIOLINI-PAZIENZA, PAZIENZA-GELLI, io non so, peraltro DALLA CHIESA si era incontrato con CIOLINI nel marzo dell'82 ed aveva anche perfettamente inquadrato il personaggio. Ricordo che ci disse: `CIOLINI vende informazioni per riscattare la pena'..."



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(16) - Si tratta del Generale Carlo Alberto DALLA CHIESA.
(17) - All'epoca Comandante Generale dell'Arma.


04/09/86 Il 4 settembre, il Giudice Istruttore provvedeva ad archiviare (18) due ulteriori denunce (19) del PAZIENZA, proposte rispettivamente contro il Prefetto PARISI (20) e contro Placido MAGRI' (21), con la stessa motivazione delle archiviazioni in data 25 agosto.


10/09/86 Il 10 settembre, il Giudice Istruttore di Milano trasmetteva al Giudice Istruttore di Bologna copia delle agende (22) -sequestrate al PAZIENZA-degli anni 1980 e 1981.


18/09/86 Otto giorni più tardi veniva esaminato come teste Demetrio COGLIANDRO (23), il quale, tra l'altro, dichiarava: "...Posso affermare con assoluta sicurezza che PAZIENZA entrò nell'orbita del SISMI fin dall'estate del 1979. Ricordo con esattezza che fu SANTOVITO a presentarmelo nel luglio del '79. Non vi può essere alcun dubbio in merito. Non ho alcuna difficoltà ad affermare che io ho sempre ritenuto PAZIENZA un agente d'influenza americano. Tale mio convincimento nasceva dagli stessi contatti che PAZIENZA

* * * * *

(18) - Cfr. PAZ., V1, rispettivamente C13-14/8, p6 e C13- 14/9, p45. (19) - Trovansi in PAZ., V1, rispettivamente C13-14/8, p3 e C13-14/9, pp. 6-7. (20)- Già Direttore del SISDE e, attualmente, Capo della Polizia.
(21) - Già collaboratore del PAZIENZA.
(22) - Cfr. PAZ., V1, C12, pp. 10 e ss.
(23) - PAZ., V2, C23, pp. 1-4.


aveva con persone come Michael LEDEEN. Posso anche confermare senza dubbio alcuno che all'interno del SISMI da questo momento in poi si era costituito un vero e proprio asse portante che, sotto la gestione SANTOVITO, passava per il cardine MUSUMECI-SANTOVITO-PAZIENZA,binomio"(sic) "che definisco un vero e proprio cardine operativo. L'ufficio di MUSUMECI era praticamente divenuto l'ufficio di PAZIENZA, che da lì effettuava e riceveva le telefonate e che lì teneva le riunioni e i contatti con le varie persone ivi compreso quello con gli americani. Io personalmente non ho mai avuto alcun incarico di indagine in relazione alla strage di Bologna. Prendo atto che lei si meraviglia che pur reggendo un ufficio molto importante dal punto di vista informativo non sia stato personalmente interessatoa tale indagine, e non ho difficoltà a dire che all'epoca si era realizzata una chiara deviazione operativa poiché il cardine PAZIENZA-MUSUMECI sopra indicato si era appropriato di settori anche non di propria competenza. Chiarisco che non sto riferendomi ad usurpazione, quanto a deviazioni a livello direttivo che esautoravano i settori competenti invadendo, senza avvertire nessuno e senza servirsi degli uffici preposti, i rispettivi campi di attività. In pratica avveniva che MUSUMECI, il quale all'interno del Servizio manteneva il collegamento con PAZIENZA, il quale agiva per così dire all'esterno, non ha mai fornito la benché minima notizia ai diversi uffici centrali e periferici del SISMI, che io sappia la benché minima notizia o informazione. Ciò esclude che PAZIENZA svolgesse compiti informativi per conto del Servizio, essendo anzi inserito a livello di vertice con funzioni diverse che quelle di semplice informatore..."


19/09/86 Il giorno successivo l'Istruttore richiedeva (24) al Nucleo operativodei Carabinieri di Bologna di acquisire, presso l'Uffico `D', l'ex Ufficio `REI' e l'Ufficio `R' del SISMI, nonché presso il Nucleo Industriale dei Carabinieri di Genova e l'Ufficio SIOS Marina copia di tutta la documentazione riguardante il PAZIENZA.


27/09/86 Il 27 settembre venivano acquisiti dal Giudice Istruttore di Milano, ai sensi dell'art. 165 bis C.P.P., stralci dell'interrogatorio (25) reso dal PAZIENZA il 24 giugno nel

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(24) - PAZ., V1, C16, p1.
(25) - PAZ., V3, C5, pp. 2-19.


procedimento relativo al `crack' del Banco Ambrosiano.

09/10/86 Il 9 ottobre, l'Istruttore, all'uopo sensibilizzato dai Carabinieri (26), precisava (27) la richiesta di acquisizione di documenti presso il SISMI di cui si è detto, facendo espresso riferimento, tra l'altro, a tutto il materiale relativo ai rapporti tra il PAZIENZA e le persone con lui coimputate nel procedimento per la strage del 2 agosto, nonché ai rapporti tra il PAZIENZA e l'Avv. FEDERICI, il giornalista BARBERI ed il Col. GIOVANNONE.


11/10/86 Due giorni più tardi, il Giudice Istruttore di Firenze trasmetteva copia dell'interrogatorio (28) a lui reso il giorno 10 dal PAZIENZA ai sensi dell'art. 348 bis C.P.P.


16/10/86 Il 16 ottobre veniva depositato in Cancelleria un rapporto di pari data dei Carabinieri di Bologna (29), di complessive 206 pagine, che costituisce -secondo la definizione dello stesso estensore- "un riepilogo delle indagini di maggior rilievo svolte sul conto di Francesco PAZIENZA anche da altre autorità giudiziarie e dalla Commissione P2".




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(26) - PAZ., V1, C16, p2.
(27) - PAZ., V1, C16, p4.
(28) - PAZ., V3, C1, pp. 2-5.
(29) - Trovasi in PAZ., V2, C24.


18/10/86 Due giorni più tardi,venivano trasmessi, a seguito di tale rapporto, tre atti (30) depositati presso la Cancelleria Commerciale del Tribunale di La Spezia, relativi alla società per azioni `U.S.E.A.', nella quale l'Ammiraglio Luigi TOMASUOLO rivestiva la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione, ed il Prof. Giuseppe PAZIENZA, padre dell'imputato, di Direttore Generale (31).


20/10/86 Il giorno 20, la DIGOS di Bologna trasmetteva a sua volta un rapporto (32), nel quale comunicava l'esito degli accertamenti svolti presso la Facoltà di medicina e Chirurgia dell'Università di Roma, ove era stata acquisita copia della documentazione relativa al 'curriculum studiorum' del PAZIENZA.


21/10/86Il giorno dopo la DIGOS trasmetteva unaltro rapporto (33), avente ad oggetto, oltre al tema specifico dell'iniziazione massonica del PAZIENZA, una serie di ulteriori notizie biografiche attinte da un'indagine dell'UCIGOS di Roma risalente al 1984.



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(30) - Trovansi in PAZ., V2, C24.
(31) - Cfr. p8 del rapporto di cui alla nota (29).
(32) - Trovasi in PAZ., V2, C24.
(33) - Trovasi anch'esso in PAZ., V2, C24.


29/10/86 Un ultimo rapporto (34) della DIGOS veniva trasmesso il giorno 29: in esso si riferiva, in sintesi, quanto emerso, sul conto del PAZIENZA, dall'esame degli atti trasmessi dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2. In particolare, si riferiva il contenuto di passi della pre-relazione ANSELMI, della relazione di maggioranza, nonché della relazione di minoranza dell'On. TEODORI.


14/11/86 Il 14 novembre, in New York, in esecuzione di rogatoria internazionale, davanti all'`attorney' di Manhattan, dott. DENTON, alla presenza del Giudice Istruttore e del PUBBLICO MINISTERO di Bologna, veniva esaminato (35) il legale statunitense del PAZIENZA, Avv. MORRISON. Questi, che veniva sentito in merito a talune circostanze riferite dal suo cliente ed in ordine a taluni documenti di cui era stato indicato come affidatario, rendeva una lunga deposizione, di cui va qui testualmente riportato il brano che segue:


"...(risposta): Nel febbraio 1986, quest'anno, fui visitato da un uomo il cui nome era Federico FEDERICI. Mi si presentò dandomi il suo biglietto da visita, che indica che egli è un



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(34) - Trovasi ugualmente in PAZ., V2, C24.
(35) - Cfr. traduzione italiana in PAZ., V2, C25, pp. 7-55. avvocato in Italia. Ve lo farò vedere immediatamente.


MR. DENTON: Va bene. Il biglietto da visita entrerà a far parte della documentazione.


(risposta, continuando): Mi disse, per la verità, che egli era un avvocato italiano che a quel tempo risiedeva a Key Biscayne in Florida, e, qui la cosa è molto importante, mi disse che gli era stato richiesto da un certo Mr. LOCCHI, che apparteneva all'organizzazione italiana, disse, `UCIGOS', che nel febbraio 1984 gli era stato chiesto se era d'accordo nell'organizzare un assassinio di Francesco PAZIENZA in cambio di denaro. Il FEDERICI fu d'accordo nel testimoniare questo fatto se fosse stato citato in giudizio. Egli mi informò anche che aveva informazioni straordinarie che si riferivano ad un'azione di polizia in Bolivia che si era conclusa con la morte di un importante testimone dei fatti di Bologna, di cui si occupano i magistrati qui presenti, e che un Ambasciatore degli Stati Uniti in Bolivia, Edwin CORR, era un testimone di questi fatti e aveva scritto una relazione su questo argomento e l'aveva sottoposta al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Poi continuò a mostrarmi le analogie fra questa azione in Bolivia e quello che era successo alle Seychelles in relazione al mio cliente, dott. PAZIENZA, e che entrambe queste azioni erano state orchestrate dalla stessa persona o persone del SISDE in Italia. Dopo l'incontro con FEDERICI, FEDERICI andò a trovare PAZIENZA in prigione, dove si raggiunse un accordo tra i due che FEDERICI avrebbe tentato di ottenere la necessaria documentazione, che avrebbe dimostrato i gruppi colpevoli in relazione alle bombe di Bologna; questa offerta da parte del FEDERICI sembrò al PAZIENZA un modo per provare la sua innocenza, proprio perché il FEDERICI aveva indicato che lavorava con importanti personaggi nella U.S. Drug Enforcement Agency a Miami in Florida. A dir la verità, il FEDERICI effettivamente diede un certo numero di documenti in quel periodo a PAZIENZA,i quali indicavano, numero uno, che la buona fede del FEDERICI era fuori discussione e che egli aveva facile accesso alla documentazione che aveva promesso. Successivamente a quel momento, PAZIENZA fu estradato dagli Stati Uniti in Italia ai sensi di un trattato tra i due Paesi, e il dott. FEDERICI si imbarcò per un viaggio in Sud America per ottenere questi documenti. Il dott. FEDERICI mi aveva promesso che mi avrebbe mandato tali documenti direttamente e poi avrebbe discusso con me che cosa fare con queste importanti carte. Il dott. PAZIENZA pagò per i molteplici biglietti aerei che furono richiesti dal FEDERICI, come pure per le telefonate fatte dal FEDERICI in tutto il mondo. Il totale delle spese del dott. FEDERICI arrivò a poco meno di 40 mila dollari. Dopo parecchie settimane dal momento in cui Mr. FEDERICI era andato in America Latina...


(domanda): Mr. MORRISON, di quale periodo di tempo stiamo parlando?


(risposta): Era, credo, fra giugno e luglio di quest'anno. Ma avrebbe potuto essere agosto. Ad un certo momento durante l'estate Mr. FEDERICI mi chiamò, dicendomi che mi chiamava dal Sud America, che aveva ottenuto la documentazione necessaria e che mi avrebbe spedito quei documenti per espresso. Ciò notificai alla famiglia di PAZIENZA in Italia. Quello che succede dopo è che non ricevo la documentazione. Scrivo lettere al FEDERICI in Svizzera che non hanno
risposta, e poi ricevo una telefonata dal FEDERICI qui negli Stati Uniti, in cui mi dice che gli dispiace che non abbia ricevuto la documentazione, che era stata mandata al suo ufficio in Svizzera, invece che a me. Allora, suggerii che facesse avere la documentazione a PAZIENZA in Italia, e di nuovo egli disse che no, l'avrebbe piuttosto spedita a me direttamente, il che non accadde. Allora, io chiamai FEDERICI per telefono, dopo dieci giorni circa, non avendo ricevuto questi documenti a Key Biskayne, in Florida, ed ebbi la fortuna di trovarlo al telefono, e Mr. FEDERICI mi ripeté nuovamente che mi avrebbe spedito la documentazione, ma che doveva vedermi immediatamente perché qualcosa di nuovo e fondamentale stava succedendo. E io suggerii che venisse a trovarmi e che portasse la documentazione con sé. In effetti, venne al mio ufficio verso la fine di settembre-inizio ottobre del 1986, senza la documentazione, chiedendomi altro denaro. Gli dissi che c'era una grossa somma di denaro da pagare che egli doveva a PAZIENZA, centinaia e centinaia di dollari di telefonate che erano state fatte con carta di credito, senza autorizzazione; in
aggiunta a ciò, poiché nessuna documentazione mi era stata consegnata, le molte migliaia di dollari di tariffe aeree dovevano essere restituite. Mi disse che era d'accordo che il denaro dovesse essere restituito e che ciò sarebbe avvenuto nel giro di una settimana e se io gli avessi dato, per favore, un conto particolareggiato di quanto era stato speso. Gli diedi un conto particolareggiato parziale di circa 20 mila dollari. Invece di ricevere, successivamante, denaro dal FEDERICI, ricevetti una telefonata da lui il 12 ottobre in cui mi diceva che entro due o tre giorni sarebbe morto, insinuando che si sarebbe suicidato, ma che aveva scritto a suo fratello riguardo alle spese. Questa è stata l'ultima volta che ho avuto notizie da Mr. FEDERICI..."


Essendo stati frattanto acquisiti all'istruttoria (36) vari atti, provenienti dal procedimento `della calunnia' e dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2, il PUBBLICO MINISTERO, l'11 dicembre, depositava la sua requisitoria (37), chiedendo -come aveva già fatto nel

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(36) - Cfr. PAZ., V3, C2.
(37) - PAZ., V2, C27, pp. 4-25.


maggio- il rinvio a giudizio del PAZIENZA avanti alla Corte
d'Assise.


22/12/86 Il 22 dicembre, il PAZIENZA, che aveva ottenuto la libertà, a vario titolo, dalle autorità giudiziarie procedenti per i reati per i quali egli era stato sino a quel momento estradato, veniva scarcerato, con l'imposizione dell'obbligo di dimora nel Comune di Lerici (38).


27/12/86 Cinque giorni più tardi il Giudice Istruttore depositava l'ordinanza (39) con la quale rinviava il PAZIENZA al giudizio della Corte d'Assise per il delitto ascrittogli.


07/01/87 Il 7 gennaio del 1987,il Presidente del Tribunale assegnava il procedimento a questa 2ª Corte (40). Il giorno stesso, essendo stata comunicata (41) la notizia che la competente autorità statunitense aveva esteso l'estradizione del PAZIENZA anche ai delitti di associazione eversiva e di calunnia di competenza dell'autorità giudiziaria di Bologna, il PAZIENZA veniva tratto in arresto (42) in Lerici in esecuzione del mandato di cattura del 10/12/1985.


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(38) - Cfr. istanza Avv. DEL VECCHIO in data 26/01/87, in CP, C16. (39) - PAZ., V2, C27, pp. 41-82.
(40) - Cfr. il decreto, sulla `copertina' del fascicolo.
(41) - Cfr. missiva Procura Generale, in CP, C16.
(42) - Cfr. fonogramma Carabinieri 7/1/87, in CP, C16.


15/01/87 Otto giorni più tardi, il Presidente di questa Corte


emetteva il decreto di citazione per l'udienza del 2/3/1987.
1.10.3) Ulteriori vicende nel procedimento per calunnia


A seguito della sentenza della Suprema Corte in data 16/12/85 di cui si è detto sub 1.8.5), il fascicolo del procedimento per calunnia era stato ritrasmesso al Tribunale di Bologna, ove il processo pendeva nuovamente in fase di atti preliminari, in attesa della rifissazione del giudizio.


31/10/86 Il 31 ottobre 1986, Pietro MUSUMECI veniva scarcerato per decorrenza dei termini della custodia cautelare (43).

06/11/86 Analogo provvedimento veniva adottato sei giorni più tardi per il BELMONTE (44).


07/01/87 Il 7gennaio 1987, a seguito dell'estensione dell'estradizione di cui si è detto sub 1.10.2), Francesco PAZIENZA veniva tratto in arresto in esecuzione dell'ordine di cattura 21/11/1984 (45).











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(43) - Il provvedimento trovasi in Cal., V9, C4.
(44) - Il provvedimento trovasi in Cal., V9, C3.
(45) - Cfr. fonogramma di cui alla nota (42).




1.11) 19 gennaio 1987 - 21 luglio 1987
Dall'apertura del giudizio nel procedimento per
strage all'esaurimento degli interrogatori nei
tre procedimenti riuniti nn. 12/86, 13/86 e 2/87
R.G.C.A.

1.11.1)Dall'apertura del giudizio nel procedimento per strage alla riunione dei tre procedimenti nn. 12/86, 13/86 e 2/87 R.G.C.A.


19/01/87 Il 19 gennaioprendeva le mosse, con la costituzione del rapporto processuale, il giudizio nel procedimento n. 12/86 R.G.C.A. Si rendeva necessario un primo rinvio al 2 marzo, onde consentire la trattazione congiunta -che sirendeva opportuna per ragioni di connessione oggettiva e probatoria-


con il procedimento n. 13/86 R.G.C.A. (1), il cui giudizio, come si è visto, era stato fissato per tale data.


27/01/87 Il 27 gennaio, il Procuratore della Repubblica chiedeva (2) la restituzione al suo ufficio del procedimento cosiddetto `della calunnia'. In pari data il Presidente ordinava (3) che fosse dato corso alla richiesta e, due giorni più tardi, 29/01/87 il Cancelliere provvedeva (4) in conformità.


04/02/87 Il 4 febbraio, il Procuratore della Repubblica chiedeva la citazione dei quattro imputati di calunnia davanti alla Corte d'Assise. Il procedimento prendeva il numero 2/87

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(1) - Cfr. ordinanza, in vu 19/1/87, pp. 930-931.
(2) - Cfr. la richiesta allegata alla copertina di Cal., V9.
(3) - Con decreto in calce alla richiesta. (4) - Cfr. nota allegata alla copertina di Cal., V9. R.G.C.A. ed, essendo esso stato assegnato alla 2ª Sezione, 05/02/87 il Presidente di questa Corte, il 5 febbraio, emetteva decreto di citazione per l'udienza del 2/3/1987.


Con provvedimento (5) in pari data, la Corte autorizzava l'imputato DE FELICE, ferma restando la misura degli arresti domiciliari, a trasferirsi, dalla casa di cura ove si trovava ricoverato, presso la sua abitazione.


28/02/87 Il 28 febbraio veniva ordinata (6) la scarcerazione di Giovanni MELIOLI, per avvenuto decorso dei termini di custodia, maturato nella fase istruttoria.


09/03/87 All'udienza del 9 marzo, cui i procedimenti, chiamati all'udienza del giorno 2, erano stati rinviati, veniva ordinata -previa lettura delle imputazioni e dichiarazione di apertura di ciascun dibattimento- la riunione (7) dei procedimenti nn. 13/86 e 2/87 a quello n. 12/86, per ragioni di connessione soggettiva, oggettiva e probatoria.


1.11.2) Le questioni preliminari


Le udienze comprese fra il 10 ed il 26 marzo venivano dedicate alla trattazione di numerose questioni preliminari.


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(5) - Trovasi in CP, C4.
(6) - Il provvedimento trovasi in CP, C14.
(7) - Cfr. vu 9/3/87 proc. 12/86, p17.


Va qui segnalato quanto segue:


10/03/87 - il 10 marzo, la Corte (8) dichiarava la nullità della citazione, in qualità di responsabili civili per il delitto di calunnia, del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della difesa, e revocava il provvedimento con cui tale citazione era stata ordinata; decideva altresì le opposizioni alle costituzioni di parte civile, dichiarando: l'ammissibilità della costituzione di tutte la parti civili private (vittime o danneggiati dalla strage), del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro degli Interni, della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Bologna e del Comune di Bologna, oltre che per il delitto di strage, anche per i delitti di cui agli artt. 270 bis e 306 C.P.; del Ministro di Grazia e Giustizia per il delitto di cui all'art. 270 bis C.P.; delle parti civili private costituitesi tempestivamente nel procedimento per calunnia ed indicate nell'imputazione come raggiunte da false informative o erroneamente identificate dall'autorità giudiziaria a seguito di false

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(8) - Cfr. vu 10/3/88, pp. 69-72.


accuse mosse dagli imputati di quel procedimento; dichiarava viceversa l'inammissibilità di ogni altra

costituzione per la quale vi fosse stata opposizione, e, anche d'ufficio, di ogni costituzione intempestiva;


12/03/87 - il 12 marzo, ad integrazione dell'ordinanza di cui si è testé detto, dichiarava (9) l'inammissibilità della costituzione di parte civile dell'Ente Ferrovie dello Stato per il delitto di calunnia, tenendo ferma la costituzione effettuata per le altre imputazioni;


con altra ordinanza (10), rigettava l'eccezione di incompetenza per territorio proposta dalla difesa FACHINI, nonché un'eccezione di improcedibilità ex art. 90 C.P.P., proposta dalla difesa DE FELICE, sull'assunto dell'identità del reato associativo contestato al DE FELICE nel presente procedimento e di quelli analoghi contestatigli in altri due procedimenti -l'uno conclusosi con sentenza istruttoria di proscioglimento (11) e l'altro tuttora pendente- di competenza dell'autorità giudiziaria

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(9) - Cfr. vu 12/3/87, p45.
(10) - Cfr. vu 12/3/87, pp. 43-44.
(11) - Si tratta del procedimento originato dalla trasmissione degli atti a Roma, a seguito della sentenza d'incompetenza 30/4/81.


romana;


con altra ordinanza (12) ancora, rigettava un'eccezione di nullità proposta dalla difesa RAHO, in relazione alla costituzione della Corte, nella sua componente togata;


17/03/87 - il giorno 17, rigettava (13) altre eccezioni, proposte rispettivamente ai sensi degli artt. 312 e 372 C.P.P.e, 20/03/87tre giorni più tardi, dichiarava (14) manifestamente infondate le eccezioni -sollevate dalla difesa RAHO- di illegittimità costituzionale degli artt. 61, 63 e64 C.P.P., in combinato disposto con l'art. 263 bis C.P.P., per asserito contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nonché degli artt. 8 L. 10/4/1951 n. 287, 10 I comma, 11 I comma, 17 I comma L. 24/3/1958 n. 195 -così come interpretati dalla Corte con ordinanza 12/3/87- per asserito contrasto con gli artt. 2, 10, 24, 25, 27, 87, 89, 102, 104 e 110 della Costituzione;


- nei giorni 23 e 24 marzo venivano illustrate dalle parti numerose istanze istruttorie, sulle quali la Corte si


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(12) - Cfr. vu 12/3/87, pp. 38-42.
(13) - Cfr. vu 17/3/87, pp. 21-24.
(14) - Cfr. vu 20/3/87, pp. 62-64.


riservava ogni decisione, pronunciandosi (15), viceversa,

il giorno 24, con provvedimento di rigetto, soltanto sulla richiesta di sospensione del procedimento, in attesa della definizione dei procedimenti per strage, separatamente pendenti a carico di Luigi CIAVARDINI eMassimiliano TADDEINI;


26/03/87 - il giorno 26, infine, la Corte rigettava (16) l'eccezione di invalidità e/o nullità della sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio, sollevata per esser stato il provvedimento sottoscritto da due giudici. 1.11.3) La scarcerazione di Marcello IANNILLI e l'arresto di Stefano DELLE CHIAIE


12/03/87 Il 12 marzo, la Corte aveva frattanto ordinato (17) la scarcerazione di Marcello IANNILLI, per avvenuto decorso dei termini della custodia cautelare, maturato in fase istruttoria.


31/03/87 All'udienza del 31 marzo, essendo pervenuta alla Corte la notizia ufficiosa che Stefano DELLE CHIAIE era stato arrestato a Caracas ed, espulso dal Venezuela, si trovava in

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(15) - Cfr. vu 24/3/87, p28.
(16) - Cfr. vu 26/3/87, pp. 19-20.
(17) - Il provvedimento trovasi in CP, C12.


viaggio verso l'Italia a bordo di un aeromobile italiano,
veniva ordinata (18) l'immediata traduzione in aula

dell'imputato, non appena ciò fosse stato possibile, e l'udienza veniva all'uopo rinviata di 24 ore.


01/04/87 Il giorno successivo il DELLE CHIAIE non era ancora stato tradotto a disposizione della Corte, né era stata raccolta una sua rinuncia a comparire (così come del resto, lo stesso giorno, non era pervenuta la rinuncia del GIULIANI né costui era stato tradotto). Si rendeva pertanto necessario un ulteriore rinvio, all'udienza del 6 aprile, con la quale, per aver DELLE CHIAIE fatto pervenire rinuncia a comparire, il dibattimento riprendeva regolarmente.


1.11.4) Gli interrogatori


1.11.4.1) Massimiliano FACHINI


06/04/87 Il 6 aprile, il dibattimento riprendeva con la prosecuzione dell'interrogatorio (19) del FACHINI, che era iniziato il 26 marzo (20), una volta esaurite le questioni preliminari.


Il contenuto dell'interrogatorio può esser sintetizzato come segue: richiesto di chiarire la sua vicenda politica,


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(18) - Cfr. vu 31/3/87, p13.
(19) - Cfr. vu 6/4/87, pp. 14-22 e 23-26.
(20) -Cfr. vu 26/3/87, p18 e pp. 21-33.


l'imputato riferiva di essersi iscritto al FUAN attorno al '66 e poi al M.S.I.Aveva fatto capo alla Sezione `Centrale' e non all'`Arcella'; era rimasto iscritto al partito fino al '73 (anno dello scioglimento della federazione ad opera degli organi centrali) ed aveva ricoperto la carica di consigliere comunale fino alla naturale scadenza del mandato, nel '75. Ricordava vagamente il TONIN, e forse il VETTORE PRESILIO, non avendo comunque mai preso parte alla stesuraod alla pubblicazione di quello che il TONIN chiama `libretto rosso'. Faceva presente di essersi dedicato soltanto alla cura, spedizione ed organizzazione delle edizioni A.R. e poi alla stesura del giornale 'Costruiamo l'Azione' a partire dal '77. Non aveva nulla a che vedere (neanche a livello di distribuzione) con i `fogli d'ordine' di Ordine Nuovo. Aveva conosciuto il CAVALLINI a Roma (con il nome di Luigi PAVAN), in quanto il CAVALLINI, in quella città, collaborava a `Costruiamo l'Azione'. Escludeva che gli fosse stato presentato dal BALLAN.


Escludeva inoltre: di aver mai fornito esplosivi ad ALEANDRI; di aver avuto disponibilità o competenza sugli esplosivi, ed in particolare sul `T4'; di aver avuto parte in un attentato all'Università di Padova; di aver fatto parte di Ordine Nuovo o di Avanguardia Nazionale, e di aver avuto parte nel tentativo di riunificazione delle due organizzazioni posto in essere nel'75. Non nascondeva di essere stato contattato da persone che avevano interesse a conoscere il suo pensiero in merito a tale iniziativa; e ricordava d'aver espresso l'opinione che si trattasse di un'idea buona, ma di difficile attuazione. Nelle riunioni di `Costruiamo l'Azione' non si parlava di lotta armata. Nell'ambiente del giornale aveva visto talvolta il CALORE, il SIGNORELLI e il DE FELICE. Contestava di aver avuto disponibilità di officine meccaniche. Nell'ambito di Ordine Nuovo aveva conosciuto, nel '75, Elio MASSAGRANDE e Clemente GRAZIANI. Aveva visto il SIGNORELLI nella primavera dell'80 ad Arquà Petrarca; e colà avevano concordato di incontrarsi l'estate successiva. Nella seconda decade d'agosto, infatti, il FACHINI, proveniente da S. Maria di Leuca, si era portato con la `roulotte' nella casa di campagna del SIGNORELLI e vi aveva soggiornato alcuni giorni, unitamente alla famiglia. Era stato ristretto nel carcere di Belluno a partire dal settembre '80, insieme a Gianluigi NAPOLI (che prima conosceva soltanto superficialmente). Aveva avuto timori di provocazioni, che aveva manifestato anche al personale di custodia. Escludeva di aver organizzato la fuga di FREDA e di avere avuto parte nell'evasione di VENTURA. Dichiarava di conoscere molto superficialmente Ulderico SICA e Pancrazio SCORZA, e negava di aver partecipato ad una riunione con gli stessi, per predisporre operazioni di evasione. Non aveva avuto rapporti di sorta con Terza Posizione o con i N.A.R., ed aveva anzi pubblicato su `Costruiamo l'Azione' un articolo di critica all'attacco armato a `Radio Città Futura', rivendicato appunto dai N.A.R. Dichiarava di non conoscere lo IANNILLI ed escludeva di aver fornito dei mitra MAB a Maurizio ZANI, che neppure conosceva. Temendo di essere arrestato, si era rifugiato per alcuni mesi in Ispagna a partire dal '73, e vi aveva soggiornato assieme al DELLE CHIAIE, dal quale poi era venuto sempre più allontanandosi, per via di contrasti politici ed umani. Tramite del loro incontro era stato tale Angelo FACCIA. Negava ancora di aver condotto Marco POZZAN da Stefano DELLE CHIAIE: avuta notizia che il primo si trovava in Madrid, il FACHINI ed il DELLE CHIAIE si erano portati in quella città, di comune accordo, per incontrarlo. Escludeva ancora che il DELLE CHIAIE gli avesse mai detto di essere legato a servizi segreti italiani o stranieri; così come escludeva di aver conosciuto il Cap. Antonio LABRUNA (bollando quindi come false le dichiarazioni di segno contrario del VINCIGUERRA). Non aveva conosciuto il RINANI, se non per averne sentito vagamente parlare da Maurizio CONTIN. Con il MELIOLI aveva invece intrattenuto rapporti di collaborazione politica per almeno 15 anni. Aveva contattato Jeanne COGOLLI nel '78, tramite il SIGNORELLI od altri: la donna aveva distribuito il giornale `Costruiamo l'Azione' a Bologna per qualche tempo, e si era poi defilata, tanto che dopo il '78 l'imputato non aveva avuto più occasione di incontrarla o sentirla. Sempre nell'ambito di `Costruiamo l'Azione', il FACHINI aveva visto il SEMERARI un paio di volte a Roma. Non aveva mai sentito parlare del SIGNORELLI come di persona legata ai servizi segreti,né aveva conosciuto Amos SPIAZZI, Francesco MANGIAMELI, Alberto VOLO e Marco AFFATIGATO. Conosceva a titolo personale Roberto ROMANO fin dal '70, ma ignorava se costui -che, all'epoca della conoscenza, militava nel M.S.I.- fosse un subacqueo. A contestazione della lettera a firma Gastone ROMANI in data 4/3/70, sequestrata presso l'imputato in data 14/2/73 (21), spiegava che il ROMANI, rientrato nel M.S.I. da posizioni ordinoviste, si stava attivando, all'epoca dell'invio della missiva, per allargare la sua corrente all'interno del

partito, e si era rivolto al FACHINI, sapendolo essere, a sua volta, su posizioni di dissenso rispetto alla linea ufficiale del partito stesso.


07/04/87 L'interrogatorio si concludeva il giorno 7: in tale occasione, l'imputato, rispondendo (22) ad una domanda proveniente dalla difesa RAHO, dopo aver chiarito di non sapere nulla di esplosivi, definiva il RAHO un buon amico, addetto alla distribuzione di `Costruiamo l'Azione' fino alla primavera del '79, poi allontanatosi per recarsi

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(21) - La lettera, avente ad oggetto la convocazione dei quadri di Ordine Nuovo delle Tre Venezie, fu acquisita agli atti con ordinanza dibattimentale (cfr. vu 16/4/87, pp. 16-18); e trovasi in AAD, V5, C15.
(22) - cfr. vu 7/4/88, p12.


all'estero (cosa che il FACHINI aveva appreso da altri).


1.11.4.2) Roberto RINANI


07/04/87 Il 7 aprile aveva luogo anche l'interrogatorio (23) del RINANI. Costui, premesso d'aver "casualmente" incominciato a frequentare nel '75 il M.S.I., introdottovi da tale FIORETTA, affermava d'essere in seguito divenuto "commissario" di una sezione periferica, e quindi segretario dell' `Arcella' dall'autunno '76 al dicembre '77, data in cui aveva dato le dimissioni e la sezione era stata chiusa. Interpretava il contenuto delle dichiarazioni dei testi GHEDINI e CONTIN (24) come espressione del clima violento instauratosi in Padova a seguito dei ripetuti scontri con gruppi di opposte fazioni. Negava la veridicità delle affermazioni provenienti dal teste TONIN, così come negava di aver conosciuto il FACHINI, il NAPOLI, l'ALEANDRI, l'AFFATIGATO, il VETTORE PRESILIO (ribadendo di non aver fatto a quest'ultimo, nè ad altri, le note rivelazioni), Giuseppe RIZZO, il SEMERARI, il CONCUTELLI ed il


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(23) - Cfr. vu 7/4/87, pp. 12-22.
(24) - Per le quali cfr., rispettivamente, EA, V10/a-2, C82 evu 1/2/88 (GHEDINI), ed EA,V10/a-2,C66 (CONTIN).


PICCIAFUOCO. Affermava altresì di non essere depositario di
alcun segreto. Indicava in un tossicodipendente il probabile autore dell'aggressione subita da sua moglie a Mestre, nel dicembre dell' '85, aggiungendo che egli, detenuto, aveva saputo dell'episodio prima attraverso il quotidiano `Repubblica', e poi, in forma ufficiale, nel corso dell'interrogatorio 19/12/85, da parte del Giudice Istruttore dott. ZINCANI. Bollava come "speculazioni giornalistiche" le notizie-diffuse dalla stampa contestualmente a quella dell'aggressione di sua moglie-secondo cui egli era, all'epoca dell'aggressione stessa, intenzionato a fare delle rivelazioni. Escludeva che a casa sua potesse esser stato rinvenuto materiale comunque riconducibile a `Costruiamo l'Azione'. Ammetteva la pregressa conoscenza di Franco GIOMO, dirigente giovanile del M.S.I., ma faceva presente di non aver nutrito per costui alcuna simpatia. Richiesto di farlo, mostrava alla Corte un tatuaggio impresso sull'avambraccio destro, raffigurante una croce inscritta in un cerchio, che egli definiva "croce celtica", simbolo dell'elevazione spirituale dell'uomo, e che affermava d'essersi fatto imprimere in carcere nel '77.


1.11.4.3) Sergio PICCIAFUOCO


08/04/87 Il giorno successivo aveva inizio l'interrogatorio (25) di Sergio PICCIAFUOCO, che proseguirà (26) il 13 aprile. Il contenuto dell'atto può esser sintetizato come segue: ristretto nel carcere di Ancona per espiarvi una lunga pena detentiva, l'imputato ne era evaso nel luglio del 1970. Era rimasto latitante sino al 1/4/1981, giorno della sua cattura al valico di Tarvisio. Negli anni della latitanza non aveva avuto una dimora fissa, ed aveva vissuto di piccoli espedienti e modesti reati contro il patrimonio. Aveva viaggiato sovente in Italia, e, fino al '75, era andato periodicamente in Germania a trovare i genitori, colà residenti. Dal '71 aveva assunto il falso nome di VAILATI Eraclio, modificando in VAILATI il cognome di tale VALLATI Eraclio, nipote di una sua conoscente di Falconara. Dal '77 in poi, pur soggiornando con una certa continuità presso l'`Hotel Green Park' di Modena, si era recato spesso a

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(25) - Cfr. vu 8/4/87, pp. 12-23.
(26) - Cfr. vu 13/4/87, pp. 14-28.


Chiavenna, ove risiedeva una sua ragazza di allora, Cristina PARACCHINI. Aveva frequentato Chiavenna sino al '78, mantenendocolà anche un'altra relazione sentimentale, con tale Carla CURATO. In quella città aveva abitato presso la `Pensione Aurora'. A partire dal '78 aveva preso a vivere con una certa continuità a Modena, ove aveva alloggiato prima al `Green Park' e poi, fino al novembre '80, in un appartamento di via Farini. Nel '75 aveva perso i genitori, che gli avevano lasciato un appartamento ad Ancona ed una somma in banca. Dalla vendita dell'appartamento era stata ricavata la somma di £ 40.000.000. I continui spostamenti l'avevano portato a frequentare, tra l'altro, Lana d'Adige, Roma e Taormina. Fino all' '80 aveva fatto uso costante di un passaporto e di una patente di guida intestati a VAILATI Eraclio. Tali documenti non aveva egli ottenuto da Antonio SMEDILE, essendoseli egli invece procurati tramite tali LORIA e LUDOVIGHETTI, suoi ex compagni di detenzione. A proposito del possesso, da parte sua, di un'auto di cui era stato denunciato il furto da parte del proprietario SMEDILE Antonio (ed alla cui guida l'imputato era stato sorpreso, in compagnia di tale Mirella PARISI, ad un posto di blocco effettuato dai Carabinieri in Merano, nel maggio '80), confessava il furto del veicolo. Precisava di aver conosciuto lo SMEDILE per aver frequentato il suo negozio di articoli fotografici in Roma, e di essersi impadronito della sua auto, avendo notato ove costui teneva le chiavi di riserva. Arrivava a smentire d'aver riferito al Giudice Istruttore quanto verbalizzato nel corso di un interrogatorio (27) a proposito della provenienza dallo SMEDILE della `patente VAILATI', facendo in ogni caso presente di essersi rifiutato di sottoscrivere i verbali di quell'interrogatorio e di un successivo confronto(28) con lo SMEDILE.Invitato a ripercorrere la vicenda che loaveva condotto ad essere coinvolto dall'esplosione del 2 agosto, affermava d'aver all'epoca programmato, per il giorno 4 agosto, un viaggio a Milano, ove avrebbe dovuto contattare in un luogo imprecisato qualcuno capace di `riempire' dei documenti in bianco di cui era in possesso. Senonchè, il




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(27) -Cfr. IA, V9/a-2, C40, p39 recto e verso.
(28) -Cfr. IA, V10/a-6, C297, p17 recto e verso.


padrone di casa, la mattina di sabato 2 agosto, si era presentato, in compagnia di una ragazza polacca, presso l'appartamento di via Farini, che il PICCIAFUOCO conduceva in locazione, e gli aveva riferito di voler ospitare la ragazza nell'appartamento stesso. L'imputato si era così indotto ad anticipare la partenza per Milano. Si era portato alla stazione ferroviaria di Modena, ed aveva acquistato un biglietto per la tratta Modena-Milano; poi, constatato che, alla volta di Milano, partivano solo treni locali e non diretti, si era recato in `taxi' alla stazione di Bologna, onde partire per Milano con un treno più veloce, che non effettuasse fermate intermedie (insopportabili per il prevenuto). Per il viaggio in `taxi' (un veicolo privato, di colore diverso dal classico giallo dei `taxi', condotto da un autista di cui si era servito altre volte), aveva speso la somma di £ 25.000. Giunto a Bologna in tempo per prendere il treno delle 10,34 per Milano, aveva comprato il biglietto, il giornale, un cappuccino e le sigarette, aveva sostato qualche minuto nei pressi del primo binario e poi si era diretto verso il terzo, andandosi a sedere sul muretto del marciapiede. Là era stato sorpreso dall'esplosione, e, medicato al Pronto Soccorso, aveva declinato le generalità di VAILATI Enrico, residente in Roma, via Gregorio VII n. 133, senza fornire documenti (che non aveva, disponendo, appunto, soltanto dei moduli in bianco che andava a farsi riempire a Milano). A specifiche richieste del personale sanitario, aveva risposto, mentendo, di essere nipote del famoso subacqueo VAILATI; era stato poi rivestito con indumenti di fortuna e solo in serata era rientrato in `taxi' a Modena, dove si era fatto rimborsare il biglietto inutilizzato per la tratta Modena-Milano. Non aveva mai conosciuto Francesco MANGIAMELI, né aveva mai avuto impressi sul corpo tatuaggi raffiguranti una croce celtica. Si era fatto imprimere sul braccio destro, all'età di 16 o 17 anni, da taleMONTUORI Salvatore o Lorenzo detto `Camay' (poi identificato in MONTORIO Lorenzo, che è stato escusso in giudizio), un tatuaggio composto da: cinque punti (i `cinque punti della malavita'), le lettere `C-C' (a significare i Carabinieri) ed un `baffo'. Nell' '81, nel carcere di Sulmona, a tale tatuaggio aveva fatto sovrapporre, da parsona di cui non ricordava il nome, un secondo tatuaggio, quello attualmente visibile, a forma di ancora: e ciò ad evitare di poter essere erroneamente individuato, per via dei `cinque punti della malavita', come appartenente ad organizzazioni camorristiche. Nel luglio '80 aveva soggiornato, per un periodo compreso fra i dieci ed i venti giorni, all' `Hotel Atlantis Bay' di Taormina. Nell'occasione, essendo sprovvisto di documenti, aveva fatto credere al portiere di aver dimenticato il borsello coi documenti nell'auto di amici; ed, essendo allora stata cercata e non trovata la scheda relativa ad un suo soggiorno dell'anno precedente, aveva declinato a voce le generalità di VAILATI Enrico, nato a Roma l'11/11/1945 ed ivi residente in via Gregorio VII n. 133, indicando un numero di patente inventato lì per lì. Prima dell'81 si era recato diverse volte a Vienna per turismo. Si proclamava estraneo a Terza Posizione e non sapeva spiegarsi come mai il suo nome comparisse in un' agenda sequestrata a Gilberto CAVALLINI; peraltro -in un diverso passo dell'interrogatorio- affermava d'aver conosciuto il CAVALLINI in carcere nell' '86, e di avergli chiesto spiegazioni in merito, sentendosi rispondere dal suo interlocutore che costui aveva annotato vari nomi di "persone coinvolte in trame nere", di "persone inquisite nell'istruttoria per la strage di Bologna", e, fra questi, anche il nome del PICCIAFUOCO. Affermava di non aver mai conosciuto Alberto VOLO.


1.11.4.4) Giovanni MELIOLI


14/04/87 Il 14 aprile aveva inizio l'interrogatorio (29) di Giovanni MELIOLI, che proseguiva il giorno successivo (30). L'imputato premetteva di aver militato nel M.S.I. di Rovigo (sino a diventare Segretario Giovanile) e di esserne uscito nel '73-'74 per ragioni ideologiche (era stato, tra l'altro, sfavorevolmente colpito da una manifestazione elettorale del partito, nel corso della quale era stato ucciso un agente di polizia). Aveva poi dato vita, insieme con altre persone uscita dal M.S.I., ad un circolo che diffondeva pubblicazioni a contenuto politico, e che risultò, anche a seguito di perquisizioni, dedito alla diffusione di



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(29) - Cfr. vu 14/4/87, pp. 16-26 e 74-76.
(30) - Cfr. vu 15/4/87, pp. 14-23.


pubblicazioni riferibili alle più varie componenti della destra, ma non aprioristicamente refrattario a dar spazio a contributi ideologici provenienti dalla sinistra. Avuta contestazione di precise dichiarazioni di Sergio CALORE, il MELIOLI, pur escludendo d'aver mai usato il nome di copertura "Federico", affermava di ricordare vagamente una riunione tenuta presso una libreria di Rimini, nel corso della quale aveva conosciuto il CALORE. Non ricordava, viceversa, se in tale occasione avesse conosciuto l'ALEANDRI. Riferiva di un rapporto di conoscenza, amicizia e collaborazione oramai decennali con Massimiliano FACHINI, che ricordava essersi attivato nell'iniziativa di `Costruiamo l'Azione', nella quale egli, invece, non si era impegnato, giudicandone superficiale l'approccio alle tematiche trattate. Essendo in contatto con aderenti a Terza Posizione (tra cui INGRAVALLE e SALVARANI), si era trovato in imbarazzo, nel diffondere contemporaneamente i due giornali, per via del contrasto ideologico tra `Costruiamo l'Azione' e `Terza Posizione'. Anche in quest'ultima pubblicazione v'erano articoli che non condivideva; nondimeno, aveva collaborato alla diffusione, non potendo, da semplice attivista, censurare il contenuto di singoli articoli. Aveva incontrato una sola volta Valerio FIORAVANTI, il quale era entrato, in compagnia di un altro ragazzo di Roma, in un `bar' di Rovigo frequentato dal MELIOLI, al dichiarato fine di cercate Roberto FRIGATO e Gianluigi NAPOLI, per chiedere loro conto di accuse mosse a Franco GIOMO. Nell'occasione, il MELIOLI aveva espresso al FIORAVANTI la sua riprovazione per l'episodio di `Radio Città Futura', in quanto foriero di repressione per il mondo della destra. Più tardi erano sopraggiunti il FRIGATO ed il NAPOLI,che si erano allontanati col FIORAVANTI. Escludeva il prevenuto di aver avuto rapporti con autonomi padovani legati a `Radio Sherwood', chiarendo invece di aver collaborato, con taluni autonomi, alla redazione di articoli apparsi su riviste concernenti l'operaismo, l'automazione ed il lavoro in fabbrica. Nell'ambito dell'iniziativa editoriale legata ai `Quaderni della Nuova Generazione', aveva appoggiato iniziative radicali, quali la raccolta delle firme per diversi referendum. Per un certo periodo era stato in collegamento con il Centro Studi Ordine Nuovo, nel cui ambito aveva conosciuto il SIGNORELLI ed il RAUTI. Ricevuta lettura delle dichiarazioni di Gianluigi NAPOLI, bollava come fantasticherie ed illazioni talune affermazioni del NAPOLI stesso in relazione ai fatti di Piazza Fontana, nonché sul conto di vari degli odierni imputati. Aveva raccolto materiale culturale nell'ambito delle iniziative del `Comitato pro FREDA'. Dichiarava dapprima di tendere ad escludere d'aver dato al NAPOLI i `fogli d'ordine di Ordine Nuovo' (ed, in particolare, a proposito del foglio sulle `norme di sicurezza', ricordava come la rivista `Panorama' avesse pubblicato il `manuale del brigatista rosso', in cui si suggerivano le norme di sicurezza per i pedinamenti); soggiungeva però poi: "io non escluderei di averli consegnati al NAPOLI". Escludeva d'aver riferito al NAPOLI che gli attentati M.R.P. fossero ascrivibili alla destra. Nella cosiddetta `Notte dei fuochi' vi erano stati 24 attentati attribuiti all'estrema sinistra, ed altri attentati "anomali" (alla sede della Democrazia Cristiana ed alla Questura di Rovigo) che furono rivendicati, in un secondo tempo, con la sigla M.R.P., dopo che un "gruppo
folkloristico", firmandosi M.R.P., aveva fatto saltare una bombola di gas a casa del M/llo dei Carabinieri MOSCATELLO. Fra l'altro, fu rivendicato, con la stessa sigla, anche un preteso attentato alla sede del Partito Comunista, del quale lo stesso Partito Comunista di Rovigo diede la smentita sui giornali. Negava ancora l'imputato di aver parlato al NAPOLI di esplosivi, non escludendo, peraltro, d'aver genericamente commentato gli attentati che in quegli anni si venivano compiendo, e di aver formulato ipotesi di responsabilità in ordine agli stessi. Non si era mai occupato di `Quex': aveva persino rifiutato di distribuire la rivista, avendo constatato che vi collaborava Angelo IZZO. Avuta contestazione delle dichiarazioni di quest'ultimo, negava d'aver mai posseduto armi od esplosivi, e, quindi, d'averne mai potuti consegnare a chicchessia. Ribadiva l'inattendibilità del NAPOLI, che aveva parlato del fallimento dell'attentato dinamitardo in danno dell'On. Tina ANSELMI, spiegandolo col fatto che la tapparella dell'infisso in prossimità del quale l'ordigno era stato appoggiato aveva tranciato la miccia: affermava, infatti, non risultargli che, per l'attentato inquestione, fossero state utilizzate micce. Non escludeva d'aver descritto l'ordigno al NAPOLI (forse anche commentando essersi trattato di un `festeggiamento' per la giornata della donna), ma ciò poteva aver fatto solo dopo aver letto le cronache giornalistiche sull'episodio. Escludeva di aver collaborato con il Commissario VALERI di Rovigo (anche se richiestone), in quanto non era a conoscenza di alcunché in merito ad attività illegali o terroristiche della destra, se non attraverso notizie di stampa. Escludeva altresì di aver conosciuto Fabio DE FELICE, Roberto RINANI, Francesco MANGIAMELI, Marcello IANNILLI, Egidio GIULIANI, Gilberto CAVALLINI (almeno prima della comune detenzione) e Marcello SOFFIATI. Aveva viceversa conosciuto Cristiano DE ECCHER, Roberto RAHO (che, assieme al FACHINI, gli aveva chiesto appoggio nell'ambito di `Costruiamo l'Azione'), Carlo Maria MAGGI e Roberto ROMANO. Interrogato in merito agli appunti sequestratigli all'esito dell'interrogatorio sostenuto dopo l'esecuzione del mandato di cattura del dicembre '85,, affermava trattarsi di note riportanti collegamenti da lui ipotizzati e deduzioni da lui tratte,in attesa dell'interrogatorio, sulla scorta della lettura della motivazione del provvedimento restrittivo.


1.11.4.5) Marcello IANNILLI


29/04/87 Il 29 aprile aveva inizio l'interrogatorio (31) di Marcello IANNILLI, che si concludeva il giorno successivo (32). Riferiva il prevenuto di essersi accostato all'attività politica nel '78, senza transitare per il M.S.I. Risiedendo a Roma, era entrato in contatto con l'ALEANDRI e, insieme a qualche altro ragazzo, aveva dato vita al gruppo armato poi denominato M.R.P. Si dichiarava disposto a fare chiarezza sulle attività illegali da lui intraprese -che formano oggetto di un procedimento pendente a Roma- onde chiarire la sua estraneità alla banda armata che questa Corte giudica. Aveva preso parte solo marginalmente alle iniziative editoriali di 'Costruiamo l'Azione', mentre era stato fattivamente coinvolto nelle campagne di attentati el '78 e del '79, per le quali furono utilizzate diverse partite di

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(31) - Cfr. vu 29/4/87, pp. 11-21 e 26-31.
(32) - Cfr. vu 30/4/87, pp. 14-26.


esplosivo. Tale esplosivo, nel '78, era stato fornito una prima volta dall'ALEANDRI, che poi, in seguito, prese a
procacciarselo, unitamente allo IANNILLI, in un paese delle
PUGLIE; nel '79 fu procurato ancora, in un primo tempo, dall'ALEANDRI, e poi dallo IANNILLI stesso, che provvide, unitamente ad Ulderico SICA, a procacciarselo in Villalba di Guidonia, da malavitosi comuni, nella quantità di 35-40 chilogrammi. Non aveva ricevuto, nel '78, esplosivo da Paolo SIGNORELLI, né aveva appreso da Enzo Maria DANTINI la tecnica del confezionamento degli esplosivi. Accennava a rapine di autofinanziamento (alla Banca Tiburtina, senza la partecipazione del CAVALLINI; ad un'armeria romana; in Acilia, nel gennaio '80; alla Banca del Mattatoio) ed ai singoli attentati contro edifici-simbolo del potere: Ministero di Grazia e Giustizia, Prefettura di Roma, Autoparco Comunale di Roma, S.I.P., Campidoglio, Carcere di `Regina Coeli' (per il quale attentato era stato utilizzato un doppio innesco), sede del Consiglio Superiore della Magistratura (in quest'ultimo caso, lo IANNILLI, dopo aver assemblato l'ordigno per l'utilizzo notturno, aveva poi deciso di farlo ritrovare inesploso in ora diurna, e si era premurato di inserire un cartoncino fra gli elettrodi , in
modo da escludere ogni possibilità di esplosione). In un primo tempo si era preferito non rivendicare gli attentati; poi, quando il M.R.P. assunse tale nome, si decise di fornire delle delucidazioni sommarie circa le motivazioni dei vari episodi dinamitardi. Dichiarava l'imputato di non sapere chi fossero gli autori dell'attentato di Palazzo Marino. Non aveva saputo, all'epoca dei fatti, che la sigla M.R.P. fosse stata utilizzata anche per attentati compiuti in Rovigo. Insieme ad altra persona, aveva sequestrato l'ALEANDRI per 10-12 giorni, addebitandogli la scomparsa di somme provenienti da attività di autofinanziamento; l'ALEANDRI era stato rilasciato indenne, anche perché non si era raggiunta la prova della sua responsabilità negli ammanchi.


1.11.4.6) Paolo SIGNORELLI


06/05/87 Il 6 maggio aveva inizio l'interrogatorio (33) di Paolo SIGNORELLI, che proseguiva nei giorni 12 e 14 dello stesso mese (34). L'imputato ripercorreva la sua `storia' politica:

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(33) - Cfr. vu 6/5/87, pp. 12-30.
(34) - Cfr., rispettivamente, vu 12/5/87, pp. 13-35 e vu 14/5/87, pp. 12-26.


iscrittosi al M.S.I. nel '49-'50, ne era uscito nel '56 assieme a Stefano DELLE CHIAIE e ad altri che si riconoscevano nella rivista `Ordine Nuovo'. Era rientrato nel comitato centrale del partito, unitamente ad altri, mentre un gruppo di cui faceva parte Clemente GRAZIANI non vi era rientrato ed aveva dato vita al Movimento Politico Ordine Nuovo, avente come capo carismatico Pino RAUTI. Nel '76, l'imputato era stato espulso dal partito, per aver dato vita all'iniziativa dissidente di `Lotta Popolare'. Precisava di non aver mai aderito né al Movimento Politico Ordine Nuovo, né ad Avanguardia Nazionale. Aveva partecipato,nel '75, ad una riunione in Albano Laziale, preceduta da alcuni incontri fra lui ed il DELLE CHIAIE. Ad Albano, ove era presente il DELLE CHIAIE, ma non il FACHINI ed il CALORE, non si era parlato di disarticolazione delle cinghie di trasmissione dei poteri dello Stato. L'incontro aveva avuto come obiettivo la riunificazione di un mondo rappresentato dai militantidi Avanguardia Nazionale e da quelli che erano stati i militanti di Ordine Nuovo, sciolto nel '73. Nella stessa ottica, il prevenuto aveva partecipato alla successiva riunione di Nizza dell'8/12/75, che aveva segnato il naufragio del progetto di riunificazione. A partire da allora, non aveva più avuto contatti col DELLE CHIAIE, se non in occasione di un incontro casuale, in Ispagna, nel '76. Escludeva d'avere, in tale circostanza, collaborato col DELLE CHIAIE alla cattura di Ordinovisti latitanti in Ispagna: e precisava che, anzi, era stato il DELLE CHIAIE ad avvertirli, con una telefonata, che era in corso una retata della polizia. Aveva il SIGNORELLI personalmente ricevuto la telefonata, dall'abitazione di un latitante di cui sottaceva il nome. A seguito dell'avvertimento, si era allontanato il solo GRAZIANI, che si sentiva in pericolo. Chiariva l'imputato che a Nizza l'unico impegno comune era consistito nell'individuazione e neutralizzazione del "filone stragista", che comportava, tra l'altro, la criminalizzazione della destra. Proclamava la sua estraneità a `Lotta di Popolo', organizzazione fondata nel '70 da Enzo Maria DANTINI. Aveva conosciuto Aldo SEMERARI nel '76, nell'ambito del M.S.I., e non aveva partecipato ad una riunione nella villa di costui. Respingeva in blocco le accuse provenienti da Luigi FRATINI, ed, in particolare, escludeva d'aver parlato di omicidi ed attentati in sua presenza, e di avergli chiesto di tenere in custodia armi o documenti. Non aveva mai espresso progettualità di lotta armata; riconosceva peraltro la paternità dell'articolo `P38 e travoltismo', comparso su `Costruiamo l'Azione', che conteneva un'indicazione contraria alla lotta armata, additando certi fenomeni come vie di fuga dalla lotta rivoluzionaria, intesa come lotta politica. Escludeva che, tramite un `tombarolo' di Bracciano, egli stesso ed il suo ambiente fossero venuti in possesso di documenti (custoditi in una villa di Santa Marinella) comprovanti l'appartenenza alla massoneria di Arturo MICHELINI ed altri esponenti del M.S.I. Non aveva mai compiuto schedature di ufficiali, e sottolineava aver avuto in proposito il CALORE notizie doppiamente `de relato', sulla base delle quali era tuttavia pervenuto a ritenere che il SIGNORELLI, in virtù appunto di detta pretesa attività, fosse tenuto "in buon conto" nei servizi. Confermava, peraltro, di aver detto al CALORE e ad altri, nel '74, di defilarsi, giacché ricorrevano tutti i presupposti di un `golpe', i cui autori, una volta riusciti nell'intento, avrebbero neutralizzato la vera destra rivoluzionaria: in tal senso aveva interpretato provocazioni ricorrenti, quali le bombe di `Ordine Nero', il M.A.R. di FUMAGALLI, la strage di Piazza della Loggia, la strage dello


`Italicus'. Nel respingere le accuse mossegli da Paolo ALEANDRI, contestava in particolare di aver avuto contatti in Palermo con esponenti dei servizi segreti. Riferiva in proposito di esser stato ospite di Roberto INCARDONA, in Trabia, nel 1978, unitamente alla propria consorte, all'ALEANDRI ed alla fidanzata di quest'ultimo. Dopo un episodio di rissa in cui si era trovato coinvolto l'ALEANDRI, episodio a seguito del quale lo stesso era stato arrestato ed il SIGNORELLI fermato, una volta che il gruppo si era ritrovato a casa dell'INCARDONA, nel salotto di quest'ultimo si era fatto riconoscere dal SIGNORELLI un uomo di una cinquantina d'anni, sedicente medico-legale, che era entrato in contatto con l'imputato nel 1957, nel corso di una carcerazione da questi patita a `Regina Coeli', durante la quale detta persona aveva agevolato gli accessi in carcere dell'allora fidanzata del SIGNORELLI. Nel corso dell'incontro nel salotto dell'INCARDONA, l'interlocutore del SIGNORELLI avrebbe affermato di vivere ed esercitare in Trabia. L'imputato lo ricordava come `il Turco', avendo costui vantato una pregressa militanza nelle `SS' turche. Soggiungeva il SIGNORELLI, che, non trovandosi altro a suo carico, si era arrivati a parlare di quel personaggio come di un agente dei servizi segreti e di una pretesa contiguità del SIGNORELLI stesso rispetto ad apparati dello Stato. A contestazione del contenuto di un appunto cifrato sequestratogli il 28/8/1980, nel corso di una perquisizione effettuata nella sua abitazione di Roma, in un primo momento, pur riconoscendo come propria la grafia, prendeva le distanze dall'appunto in questione, affermando trattarsi di un assemblaggio di numeri o di un fotomontaggio; posteriormente,adistanza di due giorni,nella successiva ripresa dell'interrogatorio, tornava spontaneamente sull'argomento, adducendo che gli appunti cifrati si riferivano ad un elenco di appartenenti all' Arma dei Carabinieri, segnalatigli come "provocatori" che avrebbero cercato di infiltrarsi nell'ambiente della destra, spacciandosi per "camerati". Aveva interrotto i rapporti con l'ALEANDRI, e poi con il SEMERARI ed il DE FELICE, già dal '78, anche per aver appreso dei contatti fra l'ALEANDRI ed il GELLI, all'`Excelsior' o al `Grand Hotel'. A tal propositoaveva rimproverato al DE FELICE ed al SEMERARI di avergli "messo vicino" un tipo come l'ALEANDRI. Col SEMERARI erano rimasti in piedi soltanto rapporti non politici, ma personali, conclusisi comunque nel '79. Non aveva mai avuto nulla a che fare con l'M.R.P.; e, nel corso di riunioni tenute a casa sua, non si era mai decisa alcuna azione criminosa. Escludeva di aver avuto disponibilità di esplosivi, in particolare approvvigionandosene nel foggiano presso tale Rino CIAMPI, suo amico: e attribuiva all'iniziativa dell'ALEANDRI e dello IANNILLI, che avevano agito autonomamente, l'approvvigionamento di materie esplodenti in provincia di Foggia. Dichiarava di conoscere Pierluigi SCARANO (che considerava come un figlio), Jeanne COGOLLI (che si era prestata ad affiggere manifesti di `Lotta Popolare' in Bologna) ed Angelo IZZO (che aveva visto per la prima volta in carcere nel '79 e trattato molto male, in quanto lo giudicava negativamente, al punto di dolersi della sua legittimazione politica nell'ambito della rivista `Quex'). Non aveva partecipato alla stesura dei `fogli d'ordine' di Ordine Nuovo.


1.11.4.7) Fabio DE FELICE


11/05/87Interrogato (35) l'11 maggio, Fabio DE FELICE escludeva

d'aver mai fatto parte di Avanguardia Nazionale, di Ordine Nuovo, di Lotta di Popolo. Iscrittosi al M.S.I. nel '47, era stato eletto nel '53 alla Camera dei Deputati. Uscito dal M.S.I. nel '55, ed avvicinatosi al P.L.I., aveva poi condiviso l'idea di uno schieramento della `grande destra' (che comprendesse P.L.I., Partito Monarchico e M.S.I.). Cessata l'esperienza parlamentare, nel '65 si era trasferito a Poggio Catino, intraprendendo l'attività di insegnante nel vicino Liceo Scientifico di Poggio Mirteto. Nell'estate del '75 era stato raggiunto (unitamente al fratello Alfredo ed all' Avv. Filippo DE IORIO) da mandato di cattura per la


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(35) -Cfr. vu 11/5/87, pp. 13-36. vicenda del `Golpe BORGHESE'. Per evitare l'arresto, era riparato in Inghilterra, dove aveva incontrato qualche volta Clemente GRAZIANI. Sottolineato l'esito giudiziario della vicenda del `Golpe BORGHESE', escludeva che l'ALEANDRI potesse aver da lui appreso che il contrordine del `Golpe' stesso era provenuto dal GELLI (persona che il DE FELICE non aveva mai conosciuto). L'ALEANDRI era stato suo allievo nell'anno scolastico '71-'72; nel '74 gli aveva portato delle poesie, perché esprimesse il suo giudizio; e, nel '77, gli aveva fatto nuovamente visita, presentandogli il SEMERARI e la moglie, che avevano una casa a Poggio Mirteto. Il SEMERARI gli aveva chiesto consigli circa la carriera scolastica del figlio. Nel '77, il fratello del prevenuto, Alfredo, si era trasferito, per ragioni di lavoro, in Sudafrica. Nell'autunno dello stesso anno, l'imputato aveva appreso dall'ALEANDRI che costui aveva conosciuto Licio GELLI tramite Alfredo DE FELICE, e che portava al GELLI richieste di aiuto dell'Avv. DE IORIO, che si sentiva vittima di una macchinazione politica. Lo ALEANDRI aveva decritto il GELLI come persona influente nell'ambito della massoneria e della Democrazia Cristiana, ma non aveva parlato di `P2'. Precisava l'imputato che, laddove il GELLI, in un memoriale pubblicato dal `Borghese', aveva scritto d'aver avuto rapporti con "l'Avv. Fabio DE FELICE" per una questione riguardante il DE IORIO, era incorso in un errore di persona. Sempre nel '77 il DE FELICE aveva conosciuto, a casa del SEMERARI, il SIGNORELLI e Virgilio PAU. Il 16/6/77, in occasione di una festa organizzata per il compleanno della figlia dell'imputato, quest'ultimo aveva conosciuto Sergio CALORE, accompagnato a casa sua dal SIGNORELLI; ed il CALORE aveva conosciuto l'ALEANDRI, che poi prese a politicizzare. Alla fine del '77, il prevenuto, invitato a casa del SEMERARI, vi aveva trovato anche il SIGNORELLI, l'ALEANDRI, il FACHINI (così almeno riteneva) ed il CALORE; aveva accettato la loro proposta di collaborare a `Costruiamo l'Azione': cosa che fece fino all'agosto del '78, quando interruppe la collaborazione, perché non condivideva più "l'andamento del giornale". Verso la fine del '78, nel contestare
all'ALEANDRI alcune scorrettezze legate a rapporti di

debito-credito fra il SEMERARI e l'ALEANDRI stesso, si era sentito dare da quest'ultimo una risposta fortemente allusiva ai propositi -che l'interlocutore aveva- di andare a procurarsi i soldi in modo illegale: al punto che il DE FELICE si ritenne in dovere di avvertire tempestivamente il padre del suo ex allievo. Poco tempo dopo aveva definitivamente rotto -a livello politico ed umano- con l'ALEANDRI, il SIGNORELLI, il CALORE ed il FACHINI. Sosteneva ancora l'imputato la falsità della vicenda GENGHINI, così come riferita da chi lo accusa: in ogni caso, dichiarava di non saperne nulla. Non aveva partecipato in alcun modo -neppure moralmente- al programma di rapine ed attentati riconducibile all'ALEANDRI ed al CALORE.Non aveva partecipato alla stesura dei `fogli d'ordine' di Ordine Nuovo. Aveva conosciuto Peppino PUGLIESE nell'ambito del M.S.I., negli anni '50, e, avendolo rivisto nel '78, preso atto della sua attività di venditore di `jeans', l'aveva indirizzato presso tale PARIBONI di Poggio Mirteto. Riferiva che, alla festa di Capodanno del '78, a casa sua, erano presenti il SEMERARI ed il giornalista SALOMONE; non era in grado di precisare se, fra i venti o trenta ragazzi intervenuti, vi fosse anche Stefano SODERINI, che neppure conosce. Nulla poteva dire in merito alla circostanza, a lui non nota, dell'eplosione di colpi di pistola, nell'occasione, da parte del SODERINI stesso. Non aveva mai conosciuto Gilberto CAVALLINI. Respingeva come false le dichiarazioni che Walter SORDI afferma d'aver ricevuto dal CAVALLINI circa l'appartenenza del DE FELICE alla P2 ed ai suoi collegamenti col GELLI. Sottolineava che gli attentati a firma M.R.P. risalgono al '79, quando egli aveva interrotto ogni rapporto col CALORE e l'ALEANDRI. Non aveva conosciuto, tra gli altri, Vincenzo VINCIGUERRA, Carlo Maria MAGGI, Delfo ZORZI, Marcello SOFFIATI, Amos SPIAZZI, Franco FREDA, Cristiano DE ECCHER, Giancarlo ROGNONI, Francesco MANGIAMELI, Marcello IANNILLI. Escludeva che l'ALEANDRI, a casa di tale Signora FRANCINI, avesse conosciuto la moglie e la figlia di certo FENWICH, un Americano della `Selenia'; in realtà l'ALEANDRI aveva equivocato: aveva infatti conosciuto, nell'occasione, la moglie e la figlia di tale Jules TAKIS, un Canadese di religione ebraica. Escludeva poi di aver fatto seguire il SEMERARI, dopo la scarcerazione, da un suo uomo di fiducia, che era stato indicato in Maurizio NERI: e faceva presente che il NERI era detenuto nel periodo immediatamente successivo alla scarcerazione del SEMERARI stesso.


1.11.4.8) Adriano TILGHER


13/05/87 L'interrogatorio di Adriano TILGHER aveva inizio il giorno 13 (36) e si concludeva il 25 maggio (37). L'imputato si definiva uno dei fondatori e il responsabile della nuova Avanguardia Nazionale, che aveva avuto vita fra il '70 ed il '76, ed era sorta per dar sfogo ed autorevolezza (nella scia del mito della vecchia Avanguardia Nazionale) alla crescita spontanea di un movimento di giovani dell'ambiente universitario romano. Aveva seguito la nascita della nuova Avanguardia Stefano DELLE CHIAIE, che aveva però lasciato ai giovani la più completa autonomia, mantenendo contatti con loro anche dopo il suo allontanamento dall'Italia. Agli inizi degli anni '80, il TILGHER aveva poi effettivamente avuto numerosi incontri con giovani

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(36) -Cfr. vu 13/5/87, pp. 13-196.
(37) -Cfr. vu 25/5/87, pp. 13-23.


provenienti da diverse esperienze di militanza nell'arcipelago della destra romana; non ricordava però di aver incontrato, nel suo studio di via Alessandria, Valerio FIORAVANTI. Messo a confronto con quest'ultimo, prendeva atto delle dichiarazioni in senso opposto dell'interlocutore, che, dal canto suo, precisava come l'incontro -nel corso del quale il TILGHER gli aveva fatto capire che cercava un accordo su certe tematiche- non avesse avuto seguito per il disinteresse del FIORAVANTI rispetto alle proposte fattegli; all'esito del confronto, i due inputati rimanevano comunque ciascuno sulle proprie posizioni. Affermava il TILGHER di non aver conosciuto l'ALIBRANDI, il MANGIAMELI, lo SPIAZZI, Mino PECORELLI, Luigi SORTINO, Andrea BROGI, Augusto CAUCHI, Roberto RINANI. Riteneva di non aver conosciuto l'ADINOLFI, né ricordava incontri con Walter SORDI. Neppure aveva conosciuto Paolo BIANCHI, al quale quindi non poteva aver parlato di autofinanziamento: bollava come pure invenzioni del BIANCHI quelli che definiva "i discorsi di Rebibbia". Aveva conosciuto Roberto FIORE, senza intrattenere, peraltro,con costui, rapporti di natura politica. Riferiva che il DI MITRI aveva aderito ad Avanguardia Nazionale verso la fine del '75. Affermava ancora che al civico 129 di via Alessandria, in Roma, al quarto piano dello stabile, aveva avuto sede il suo ufficio di assicuratore, che era contemporaneamente sede anche della rivista di politica internazionale `Confidentiel'. L'imputato era assolutamente all'oscuro del fatto che nello scantinato dello stabile di via Alessandria fosse custodito un arsenale di armi. Avuto contestazione delle dichiarazioni di vari soggetti processuali sul punto in questione, sottolineava, in particolare, come Cristiano FIORAVANTI avesse reso in proposito versioni diverse ogni volta che era stato interrogato.Ricordava il prevenuto d'esser stato arrestato, in un appartamento di via Sartorio (in Roma), quando era latitante rispetto ad un mandato di cattura emesso due giorni prima (38); nella circostanza si trovava in compagnia di varie altre persone, tra cui Vincenzo VINCIGUERRA; gli sembrava di ricordare che nell'appartamento, all'atto



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(38)- Gli arresti nel `covo' di via Sartorio risalgono al 2/12/1975.


dell'irruzione della polizia, fosse stata rinvenuta una pistola, contenuta in una borsa da viaggio. La sua presenza nell'appartamento non aveva avuto comunque altro significato che non fosse quello di sottrarsi al provvedimento coercitivo pendente sul suo capo: respingeva quindi come false le dichiarazioni rese sul punto da Piero CITTI. Nulla sapeva della rapina del novembre '79 alla `Chase Manhattan Bank'. Contestava le dichiarazioni di Walter SORDI relative alla sopravvivenza di Avanguardia Nazionale nell'80, affermando d'aver personalmente sciolto l'organizzazione nel '76, e soggiungendo che non era sopravvissuto alcun movimento clandestino riconducibile ad Avanguardia Nazionale. Aveva memoria della riunione dell'aprile '79 presso lo studio dell'Avv. CAPONETTI, riunione cui aveva partecipato anche Stefano DELLE CHIAIE, ma escludeva che si fosse parlato, in quella sede, di ricondurre Terza Posizione sotto l'egida di Avanguardia Nazionale. Contestava le dichiarazioni di Giorgio COZI, rese a proposito della vicenda del sequestro del banchiere MARIANO, per la parte in cui lo riguardavano. Escludeva d'aver avuto un ruolo che non fosse meramente formale nell'ambito della Società ODAL PRIMA, in realtà facente capo ai fratelli PALLADINO. Dichiarava di nulla sapere, in particolare, sui rapporti di Carmine PALLADINO con Flavio CARBONI e con la Società SOFINT. Non aveva partecipato, nel '75, alla riunione di Albano Laziale. Non aveva avuto alcuna parte nel rientro in Italia di Pierluigi CONCUTELLI. Escludeva che Marco BALLAN fosse stato un aderente di Avanguardia Nazionale in senso stretto; aveva invece contribuito alla diffusione di `Confidentiel'. Escludeva poi il TILGHER d'aver incontrato degli Argentini (appartenenti al movimento dei `Montoneros'). Gli era nota la voce secondo cui Terza Posizione vedeva con occhio favorevole i `Montoneros': ma la sua posizione politica, espressa anche su `Confidentiel', era di totale ostilità verso quell'organizzazione argentina. A proposito di una riunione tenutasi in via Gavinana, affermava che, tra l'altro, vi si discusse delle tesi esposte in un volume di circa 200 pagine da Felice GENOVESE ZERBI. Il TILGHER poi, ricevuto il documento, ne aveva trattenuta una copia, trasmettendone altra copia al BALLAN. Nulla sapeva di una piantina apparentemente riproducente la topografia di un palazzo di giustizia, sequestrata presso la sua abitazione, piantina che comunque assumeva far parte di atti del procedimento contro Avanguardia Nazionale; in ogni caso non era sua la grafia delle scritte che sul documento comparivano.


1.11.4.9) Marco BALLAN


26/05/87 Interrogato (39) il 26 maggio, Marco BALLAN, dopo aver premesso di essere attualmente sottoposto ad altro giudizio penale per associazione sovversiva avanti all'autorità giudiziaria romana (procedimento relativo ad Avanguardia Nazionale), ricordava di aver già subito altro procedimento per i fatti relativi ad Avanguardia Nazionale antecedenti allo scioglimento, avvenuto nel '76, in applicazione della `Legge Scelba'. Spiegava che, dopo il '76, Avanguardia Nazionale non era stata più ricostituita, anche se erano proseguiti i rapporti tra lui, il TILGHER ed altri ex appartenenti a tale organizzazione, "alla ricerca di una proiezione politica". Nella stessa ottica, aveva avuto

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(39) -cfr. vu 26/5/87, pp. 12-33.


incontri con alcuni giovani di destra: sostanzialmente ammetteva di aver incontrato Valerio FIORAVANTI e Domenico MAGNETTA, anche se non vi erano stati specifici incontri con giovani appartenenti ai N.A.R. a scopo di reclutamento. Interrogato su altre conoscenze, riferiva: d'aver incontrato Marco AFFATIGATO, che gli aveva proposto la distribuzione di un giornale di solidarietà verso i detenuti; di aver avuto come compagno di detenzione Marcello SOFFIATI, che gli aveva rivelato un progetto -il cui ideatore sembrava fosse stato lo SPIAZZI- di rapire il BALLAN stesso, per "arrivare" al DELLE CHIAIE; di aver intrattenuto un rapporto "minimo" col FACHINI, al momento della tentata riunificazione di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale; di aver conosciuto il CAVALLINI quando costui, non ancora latitante, era attivista del M.S.I., e di non averlo mai aiutato; di essersi visto mandare, da Carmine PALLADINO, un tale TROIA che aveva bisogno di documenti falsi (documenti che il BALLAN non fornì, adirandosi invece con il PALLADINO per l'iniziativa). A proposito del documento `Formazione Elementare', sequestrato presso di lui, riferiva trattarsi di copia di documento precedentemente sequestrato in via Sartorio, avente ad oggetto uno studio, anteriore al '75, sui modi in cui la sinistra conduce la guerra rivoluzionaria. A proposito di un documento manoscritto pure sequestrato presso la sua abitazione, chiariva trattarsi del primo abbozzo di una possibile presa di posizione, ancora da sviluppare, rispetto alle tesi sostenute nel documento del GENOVESE ZERBI, il quale, fra l'altro, avrebbe sostenuto -cosa che il BALLAN non condivideva- che si dovesse troncare con il M.S.I., per fare qualcosa di completamente diverso. Essendo stato arrestato più volte a partire dall' '82, si era deciso a fare chiarezza con il dott. VIGNA di Firenze in merito al suo `iter' politico, precisando però a quel magistrato di non essere in possesso di elementi concreti atti a far luce sulle stragi. Escludeva di aver provocato, unitamente al TILGHER, il `blocco' dell'atteggiamento collaborativo del VINCIGUERRA; messo a confronto con quest'ultimo,si era preoccupato che potesse non improntare le sue rivelazioni ad identico rigore, finendo per divenire un "nuovo CIOLINI". Puntualizzavache ilVINCIGUERRA aveva continuato a rendere dichiarazioni ai giudici, a ciò incoraggiato dallo stesso BALLAN, e si era bloccato soltanto quando aveva ritenuto che i magistrati stessero facendo un uso scorretto e distorto delle rivelazioni ricevute.


1.11.4.10) Francesco PAZIENZA


01/06/87 Il primo giorno di giugno, previa integrazione (40) dell'imputazione di associazione eversiva contestatagli, aveva inizio l'interrogatorio (41) di Francesco PAZIENZA, che proseguiva poi nei giorni 2, 3, 4, 8 e 9 dello stesso
mese (42). Premetteva l'imputato di aver conosciuto il Gen. SANTOVITO nel dicembre '79, ad una colazione organizzata al Grand Hotel di Roma dall'Ing. Lucio SANTOVITO e dall'Ing. Luciano BERARDUCCI. Faceva presente d'aver trascorso all'estero circa dieci anni, ove era venuto in contatto con varie realtà politiche e finanziarie, ed, in particolare, aveva svolto mansioni di uomo di fiducia del magnate greco Teodoro Gherzos. Impressionato dalle sue conoscenze, il Generale SANTOVITO, nel mese successivo

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(40) -Cfr. vu 1/6/87, p12.
(41) - Cfr. vu 1/6/87, pp. 12-59.
(42)- Cfr., rispettivamente, vu 2/6/87, pp. 12-116; vu 3/6/87, pp. 12-37; vu 4/6/87, pp. 12-47; vu 8/6/87, pp. 12-58; vu 9/6/87, pp. 11-14 e 109-116.


all'incontro, l'aveva invitato a casa, prospettandogli la


possibilità che egli si occupasse della `Stazione' SISMI di Parigi. Il PAZIENZA non aveva accettato la proposta, ma
aveva ugualmente aiutato il Gen. SESSA ed il Col. DI NAPOLI per l'apertura della `Stazione' SISMI di Parigi, in rue de l'Université. Aveva vantato presso il SISMI notevoli referenze: vasta rete di conoscenze in tutto il mondo; entrature in Vaticano, ed, in particolare, presso il Segretario Generale Affari Pubblici della Chiesa, Monsignor SILVESTRINI; buoni rapporti con l'O.L.P; possibilità di aprire contatti in America Centrale (con NORIEGA a Panama e con i vertici del Partito Socialista in Costarica) ed in Medio Oriente (con la famiglia reale saudita). Nel marzo-aprile del 1980 aveva partecipato a diverse sedute a Forte Braschi, ove aveva conosciuto i vertici del SISMI (SPORTELLI, NOTARNICOLA, CARAGNANI), che aveva trovato poveri di cognizioni soprattutto internazionali. Entrato nel SISMI come `consulente personale' del Direttore del Servizio, si era attivato per far pervenire al Servizio stesso dei `memorandum a circolazione ridotta', che le grandi banche degli U.S.A. redigono mensilmente, sulla base dei dati forniti dalle loro filiali disseminate nei vari paesi del mondo, in merito alla reale situazione politico-
economica delle varie realtà locali. Contestava il PAZIENZA la veridicità delle testimonianze che lo indicavano presente al SISMI sin dal '78. Respingeva anche quanto da taluni testi affermato (in particolare il Gen. LUGARESI ed il Col. COGLIANDRO) circa la posizione di preminenza da lui assunta all'interno del SISMI (dove, invece -a suo dire- compiva soltanto le missioni concordate col SANTOVITO). Fino al settembre '80 aveva fatto capo esclusivamente alGen. SANTOVITO; dopodiché, quest'ultimo gli aveva detto di far riferimento a tre o quattro persone, tra cui anche il Gen. MUSUMECI. A contestazione delle dichiarazioni del giornalista BARBERI, che egli assumeva essergli stato portato da Placido MAGRI', ammetteva soltanto di aver avviato un'operazione di pubbliche relazioni, diretta ad evidenziare l'attività che il SISMI -attaccato sulla stampa- aveva svolto in materia di piste internazionali del terrorismo. Aggiungeva che al giornalista non erano stati forniti documenti coperti dal segreto di Stato, ma solo un riassunto del libro "Terrorism Network". Escludeva di aver chiesto al BARBERI di scrivere un articolo per mettere in
risalto il ruolo che egli avrebbe avuto nel cosiddetto `Billygate'. Rivendicava l'ideazione della struttura cosiddetta del `SUPERESSE', la quale addirittura si sarebbe identificata con la sua persona ed avrebbe svolto l'attività `Z', da `zip' (termine che nel gergo commerciale statunitense significa veloce e viene riferito alle operazioni che vanno compiute velocissimamente). Aveva fornito al Gen. SANTOVITO un'informativa (attinta da un suo `contatto' libanese) in merito a traffici di ordigni atomici. Si era sempre occupato di problemi che riguardavano l'estero, e, pertanto, non era mai stato impegnato nelle indagini relative alla strage di Bologna. Aveva volato 6 volte su aerei C.A.I., una sola delle quali in compagnia del MUSUMECI alla volta di Parigi. Contestava però d'aver volato,il 9/3/1981, in compagnia di Domenico BALDUCCI -che all'epoca ancora non conosceva- alla volta di Ginevra. La conoscenza del BALDUCCI era da farsi risalire a Flavio CARBONI: il PAZIENZA aveva dovuto entrare in contatto col BALDUCCI, perché richiestone dal dott.
Federico Umberto D'AMATO, affinché potesse trovar soluzione un'annosa vertenza relativa ad uno stabile di via Dell'Orso
in Roma, che vedeva come controparte del BALDUCCI tale dott. Tommaso ADDARIO, amico del D'AMATO. A tal fine, l'imputato aveva organizzato vari incontri. In prosieguo di tempo, aveva mantenuto rapporti con l'ADDARIO, in quanto la moglie di quest'ultimo era presidentessa della Società VIANINI, data in pegno al Banco Ambrosiano, contro un prestito di 60.000.000 di dollari: a quell'epoca infatti -fra la fine del marzo e l'aprile del 1981- il PAZIENZA aveva lasciato il SISMI ed era diventato il consulente di Roberto CALVI. Nei giorni 8 e 9 gennaio del 1981 era stato a Parigi col Gen. SANTOVITO: avevano incontrato il Gen. DE MARENCHES, capo del servizio segreto francese. Nulla sapeva della nota consegnata dal MUSUMECI al SANTOVITO, il giorno 9, all'aeroporto di Fiumicino, all'atto del loro rientro dalla Francia. Aveva conosciuto Jean Jacques COUSTEAU, avendo lavorato in Francia in una società a lui facente capo, che si occupava delle ricerca di petrolio sul fondo marino. Escludeva che il COUSTEAU fosse collegato ai servizi francesi, in quanto sarebbe stato, all'epoca, "in collisione" con il Presidente POMPIDOU. L'imputato aveva
conosciuto Aldo SEMERARI, soltanto per aver con lui sostenuto gli esami universitari di antropologia criminale e medicina legale. Avuta lettura della deposizione del Col. DI MURRO, amministratore del SISMI all'epoca dei fatti, dichiarava di aver percepito dal Servizio, per un anno di collaborazione, la somma di circa 70 milioni di lire. Respingeva le dichiarazioni di Nara LAZZERINI circa la pregressa conoscenza fra lui ed il GELLI. Sottolineva d'aver operato contro il GELLI in almeno due occasioni: il recupero di 95 milioni di dollari dalla `Bellatrix';e lo scalzamento dell'ORTOLANI e del TASSAN DIN dal consiglio di amministrazione della `Rizzoli'. A contestazione delle dichiarazioni del teste Tommaso MASCI, ricordava di essere stato qualche volta all' `Excelsior', indicando peraltro le persone con cui si era accompagnato in tali occasioni. Negava d'aver mai offerto appoggio a Michele SINDONA per conto di Licio GELLI (e, quindi, che l'Avv. DI PIETROPAOLO potesse aver fatto da tramite tra il GELLI e lui per una simile iniziativa). Escludeva di aver impedito l'espulsione del GELLI dalla Massoneria, in occasione del processo massonico intentato al GELLI stesso; negava di aver millantato alcunché in proposito e faceva presente come negli atti della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla `P2' fosse ricostruito tutto il processo massonico a Licio GELLI, in cui egli non aveva avuto alcun ruolo. Invitato a chiarire le ragioni dell'intervento del MUSUMECI nel `caso CIRILLO', il PAZIENZA spiegava che egli ed il MUSUMECI, in quella circostanza, si erano attivati indipendentemente l'uno dall'altro: egli, in particolare, aveva svolto un unico intervento, in quanto previamente sensibilizzato da parte dell'On. PICCOLI, il quale, per "aprire un'altra possibilità conoscitiva" in ordine a "ciò che stava che stava succedendo a CIRILLO", gli aveva detto di interessarsi per capire se la vicenda si stava evolvendo o si era arenata, e gli aveva chiesto se poteva arrivare ad avere un contatto con il vertice della Nuova Camorra Organizzata.
Il prevenuto aveva pertanto pensato di rivolgersi ad Alvaro GIARDILI, che gli aveva organizzato un incontro ad Acerra con Vincenzo CASILLO: si trattò di un unico abboccamento, della duranta di quaranta minuti. Aggiungeva l'imputato -facendo riferimento ad una testimonianza del Gen. GRASSINI- che, del resto, il SISDE si era mosso nella stessa direzione, su ispirazione del Prefetto PARISI, e che 52 ore dopo il sequestro di Ciro CIRILLO, uomini del SISDE, accompagnati da Vincenzo CASILLO, erano entrati nel carcere di Ascoli Piceno (43). Contestava le dichiarazioni del teste Maresciallo SANAPO, in ordine alla circostanza -cheil SANAPO aveva riferito d'aver appreso dal BELMONTE- della spartizione del riscatto per il dissequestro del CIRILLO, spartizione cui il PAZIENZA non sarebbe rimasto estraneo. Negava d'aver partecipato all'organizzazione dell'attentato a Roberto ROSONE e di essere stato in qualsiasi forma contiguo alla `Banda della Magliana', tra i cui affiliati aveva conosciuto soltanto Domenico BALDUCCI, peraltro indicatogli dal Questore POMPO' e





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(43) - Vi era ristretto, all'epoca, Raffaele CUTOLO. dal Prefetto D'AMATO soltanto come "un grossissimo
strozzino". Proclamava la sua estraneità alla Società SOFINT. Spiegava esser stata la cosiddetta `Prato Verde'
un'operazione di affidamento di una somma compresa fra i 4
ed i 6 miliardi all'omonima immobiliare di Flavio CARBONI. Quest'ultimo ed Emilio PELLICANI avevano chiesto di fatturare la commissione riconosciuta alla ASCOFIN (società che il PAZIENZA -in altro passo dell'interrogatorio- aveva detto identificarsi con la sua persona) nella misura di £ 120.000.000, versati attraverso la SOFINT, con denaro proveniente anche dal Banco Ambrosiano. Circa la sua appartenenza alla Massoneria, il prevenuto affermava di esservisi affiliato `all'orecchio', in quanto, per via dei suoi frequenti viaggi, non avrebbe potuto partecipare ai lavori di loggia. Nell'aprile del 1980, l'industriale genovese ZANOTTI l'aveva presentato ad Ennio BATTELLI ed a Spartaco MENNINI. Contestava che, dopo il 1976, l'affiliazione `all'orecchio' equivalesse ad iscrizione alla Loggia P2. Escludeva d'aver effettivamente contribuito, con il versamento di 50 milioni di lire, all'elezione di Armando CORONA a Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia: e spiegava che i 50 milioni all'uopo richiestigli da tale MAZZOTTA, suo collaboratore, invece di arrivare al CORONA,
eran finiti nella casse della MAMAI S.r.l., società controllata dallo stesso MAZZOTTA. Riferiva ancora, a proposito della rimozione dei vertici dei servizi segreti in occasione del ritrovamento delle liste di Castiglion Fibocchi, che Monsignor SILVESTRINI (presentato dal PAZIENZA al SANTOVITO) aveva espresso preoccupazione per gli avvicendamenti alla testa dei servizi stessi non per compiacenza verso la P2, ma per il timore che ne derivassero rallentamenti alle indagini seguite all'attentato al Pontefice. Negava l'imputato d'aver partecipato ad operazioni di provocazione, quali quella volta a lanciare discredito sulla figura del Presidente PERTINI (falsamente indicato come uomo dei servizi sovietici in Francia durante il secondo conflitto mondiale) e sul Sen. COSSUTTA (al quale si sarebbe attribuito l'intento di provocare una scissione nel P.C.I., servendosi di capitali di provenienza americana). In particolare, quanto alla prima operazione, addossava ad Alvaro GIARDILI, a Placido MAGRI' ed al giornalista Lando DELL'AMICO la resposabilità della falsa attribuzione a lui della diffusione delle notizie
diffamatorie sul conto del Presidente PERTINI. Protestava la propria estraneità alla società `GESDATA', facente invece capo a Placido MAGRI', che aveva lavorato per un solo mese presso la ASCOFIN (nel periodo in cui l'imputato stava liquidando tale ultima società), venendone poi allontanato. Escludeva il prevenuto d'aver mai messo a disposizione del MAGRI' automobili del SISMI. Allontanatosi dal SISMI, aveva avviato la collaborazione con Roberto CALVI, con il quale aveva concordato un programma articolato nei seguenti punti: abbandono della partecipazione nel gruppo Rizzoli-Corriere della Sera; abbandono -da parte del CALVI- della carica di Presidente del Banco Ambrosiano,in vista del successivo ritiro dalla gestione del medesimo; recupero dei 95 milioni di dollari che sarebbero scomparsi nelle tasche del TASSAN DIN, dell'ORTOLANI e del GELLI, per poi trovare un gruppo di acquirenti -manovrabile dal CALVI- per il pacchetto di maggioranza. Il CALVI aveva voluto incontrare il PAZIENZA, a seguito della pubblicità fatta dalla stampa al viaggio negli Stati Uniti dell'On. PICCOLI. Rispondendo ad una contestazione del PUBBLICO MINISTERO, escludeva che egli e
Pippo CALO' avessero soggiornato contemporaneamente in
Sardegna, in villette messe loro a disposizione dall'imprenditore Luigi FALDETTA, imputato davanti all'autorità giudiziaria palermitana di associazione per delinquere di stampo mafioso. Escludeva altresì d'aver conosciuto il CALO'. Il Gen. LUGARESI non lo "interessava" prima delle notte fra il 26 ed il 27/10/1981, quando -a detta dell'imputato- aveva avuto luogo lo sfondamento della cassaforte dell'On. PICCOLI, sfondamento la cui responsabilità il PAZIENZA attribuiva al Gen. LUGARESI ed al Col. COGLIANDRO: l'iniziativa aveva preso il nome di `Operazione P', e sarebbe stata finalizzata al rinvenimento di documentazione afferente al Gruppo Rizzoli. Il PAZIENZA sottolineava poi quelle che sarebbero state le analogie tra l' `Operazione P' e la cosiddetta `Operazione M.FO.BIALI', risalente al periodo '74-'76, che pure attribuiva al Col. COGLIANDRO.


1.11.4.11) Stefano DELLE CHIAIE


29/06/87 L'interrogatorio di Stefano DELLE CHIAIE aveva inizio il 29 giugno (44) e proseguiva il giorno successivo (45), e poi


nei giorni 1, 2, 7, 8, 9 e 13 luglio (46). Chiariva l'imputato essere lo stragismo un fatto criminale ed infame, estraneo alla sua condotta politica e di uomo. Lamentava che la ricostruzione operata dall'accusa si fosse fermata al GELLI ed al MUSUMECI (quest'ultimo autore di una deviazione indirizzata proprio verso di lui), con i quali egli si trovava contraddittoriamente associato. Ripercorrendo il suo itinerario politico, ricordava una riunione cui aveva partecipato, invitato da Gino RAGNO, ma riteneva non si fosse trattato del convegno dell'Istituto Pollio; in ogni caso, alla riunione si era trattenuto per breve tempo e non ne aveva più saputo nulla. Contestava l'inesattezza storica

contenuta nella requisitoria, laddove Guido GIANNETTINI viene definito "Avanguardista"; e precisava di non ricordare




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(44) - Cfr. vu 29/6/87, pp. 13-68.
(45) - Cfr. vu 30/6/87, pp. 12-60. (46) - Cfr., rispettivamente, vu 1/7/87, pp. 31-128; vu 2/7/87, pp. 12-40; vu 7/7/87, pp. 12-53; vu 8/7/87, pp. 12-46; vu 9/7/87, pp. 10-44; vu 13/7/87, pp. 12-66. la presenza dello stesso GIANNETTINI alla riunione cui aveva partecipato su invito del RAGNO ed in cui probabilmente si era parlato della creazione di un'associazione "amici delle forze armate". Si era reso irreperibile il 21 od il 22 luglio 1970; i suoi problemi avevano avuto inizio quando, su invito dello scomparso Avv. MARIANI, di Stefano SERPIERI e dei genitori di Mario MERLINO, aveva testimoniato -contrariamenteal vero- che il MERLINO fosse stato a casa sua nel pomeriggio del 12/12/69. Esaminato nell'occasione dal Giudice Istruttore dott. CUDILLO, aveva enunciato la sua ipotesi della `strage di Stato' ed era stato sottoposto a confronto con tale SESTILI, che indicava come collaboratore della Questura, secondo quanto risulterebbe dalle dichiarazioni rese nel procedimento per la `strage di Piazza Fontana' da Bonaventura PROVENZA ed Umberto IMPROTA. Aggiungeva che l'On. ALMIRANTE, nello stesso procedimento, aveva prodotto documenti dai quali risultavano le pressioni che taluni `camerati' avevano subito perché accusassero il DELLE CHIAIE. La notte del cosiddetto `Golpe BORGHESE' si trovava a Barcellona, a dispetto delle accuse del Cap. LABRUNA e del Gen. MALETTI, secondo cui, nell'occasione, sarebbe stato intento ad occupare il Ministero degli Interni. Sul punto invocava la testimonianza di tale Angelo FACCIA. Affermava di non aver mai avuto bisogno di protezioni per rimanere all'estero: le condanne da lui riportate avevano sempre riguardato reati politici, per i quali nessun paese straniero avrebbe concesso l'estradizione. Ricordava di essere rientrato in Italia alla vigilia del funerale del Comandante BORGHESE, nel settembre del '74, e poi nel '75, per partecipare alla riunione di Albano Laziale. In Ispagna, aveva dimorato a Barcellona sino alla fine del '73; poi, dal '74 al '77, a Madrid. Nei primi mesi del '76 era stato in Angola: era quello il periodo in cui i Cubani, "appoggiati dagli aerei dell'Unione Sovietica, marciavano sulla libera Angola". Nel febbraio del '77 si era trasferito a Buenos Aires; ed aveva dimorato in Argentina sin verso la fine del 1980, salva una parentesi di 4 o 5 mesi trascorsiinCilefrail '77 ed il '78. Nel '79 era rientrato in Europa, per un mese e mezzo, spendendo tale periodo fra Italia e Francia. Nell'80, precisamente il 26 giugno, aveva di nuovo volato dal Sudamerica verso Parigi, senza però rientrare in Italia: ed era ripartito da Parigi nel settembre, per arrivare poi in Bolivia verso la fine dello stesso 1980. Precedentemente era entrato in Bolivia soltanto una volta, per diporto, probabilmente nel '78. Il viaggio in Europa del 1980 era stato finalizzato al tentativo di creare dei comitati di appoggio al regime boliviano di allora, instabile ed esposto anche a minacce golpiste. Nel settembre del 1980, a Parigi, l'imputato aveva rilasciato un'intervista a Roberto CHIODI. Contestava il DELLE CHIAIE di aver fornito aiuto e protezione a tutti i fuorusciti di destra in Ispagna (il FACHINI,ad esempio, che pure era stato in Ispagna, non aveva avuto bisogno del suo appoggio). I suoi rapporti politici con il SIGNORELLI si erano conclusi con il fallimento delle riunificazione fra Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, nella riunione di Nizza del '75. In Ispagna aveva "incontrato" il FACHINI, e, tramite costui, aveva avuto un fuggevole incontro con Marco POZZAN (che peraltro avrebbe preferito non vedere, per motivi che non esplicitava); tramite il camerata Avv. JEREZ si era poi adoperato perché al POZZAN fosse riconosciuto lo `status' di rifugiato politico. Quanto al soggiorno in Bolivia, spiegava che la rivoluzione boliviana aveva caratteristiche nazionali e sociali precise e definite, e che la sua personale collocazione organica era presso l'assessorato del VII Dipartimento dello Stato Maggiore, che si occupava dell'"azione psicologica", ovvero della traduzione del programma politico perseguito dalla rivoluzione, affinché arrivasse all'esercito ed alle masse contadine. Precisava come, in tale ottica, fosse comprensibile la "feroce ostilità" contro il Fondo Monetario e contro la Trilaterale, ed il programma di licenziamenti e svalutazioni che ne promanavano. Puntualizzava poi che la carica di `assessore' equivale a quella di consigliere e che egli,in Bolivia, non aveva fatto parte né del governo, né dei servizi. Era stato il responsabile della primigenia Avanguardia Nazionale, fino allo scioglimento. Fra il '70 ed il '76 responsabile del movimento era stato Adriano TILGHER, ma l'imputato se ne assumeva la responsabilità anche per quel periodo, riconoscendo che, anche allora, i suoi suggerimenti erano stati accettati. Aveva rotto i rapporti
col CONCUTELLI subito dopo il rientro dall'Angola: alcuni camerati gli avevano riferito di un certo contegno serbato dal CONCUTELLI nel loro confronti, specificando particolari che il DELLE CHIAIE non riferiva alla Corte. L'imputato aveva contestato al CONCUTELLI quanto riferitogli; ed il suo interlocutore aveva lasciato la Spagna, lasciandogli una lettera in cui gli rimproverava la sua mania di voler cambiare le persone. Ciò avveniva nel '76, prima di Pasqua. Circa la morte di Carmine PALLADINO, faceva cenno dell'esistenza di due versioni: l'una -a suo avviso inattendibile- secondo cui il PALLADINO sarebbe stato ucciso perché "poteva sapere qualcosa"; l'altra, secondo cui il CONCUTELLI l'avrebbe giustiziato, ritenendolo il responsabile del tradimento di Giorgio VALE (versione a suo avviso meritevole di verifica, per accertare la casualità o la preordinazione della "sollecitazione" pervenuta al CONCUTELLI). A proposito di quanto riferito da Alessandro ALIBRANDI ai fratelli FIORAVANTI circa un incontro a Parigi tra l'imputato e l'ALIBRANDI stesso, negava d'aver mai incontrato chicchessia circondandosi di uomini ed armi. Contestava altresì l'autenticità di una fotografia apparsa sul periodico `Interview', nella quale si era indicata come sua l'immagine -in realtà non raffigunte la sua persona- di un uomo circondato da giovani mascherati ed armati. Circa l'incontro in Ispagna con il Cap. LABRUNA, riferiva il prevenuto esser stato tale incontro propiziato dalle successive intermediazioni di Guido PAGLIA e di un camerata di cui non faceva il nome. L'emissario dei servizi, il cui nome di copertura era, nell'occasione, D'ALESSANDRO, era interessato al "problema" del FREDA e del VENTURA, che erano detenuti, in vista della loro evasione. Il DELLE CHIAIE aveva accettato di incontrarlo soltanto in quanto fosse accompagnato dal GIORGI o da un altro camerata: ed, essendosi poi optato per il GIORGI, il DELLE CHIAIE aveva suggerito a quest'ultimo di farsi fornire dai servizi un passaporto, per precostituirsi la prova dell'intervento dei servizi stessi. Nel corso dell'incontro, il LABRUNA aveva parlato delle infiltrazioni nelle forze armate, nonché del fallimento del presunto `Golpe BORGHESE' per colpa dell'ORLANDINI e di un certo DRAGO; aveva offerto la disponibilità di un gruppo speciale di otto persone, indicando la possibilità di "sistemare" persone in posti chiave come telefoni, giornali, ferrovie, centrali elettriche. Ad un certo punto, il LABRUNA aveva affermato che, se il suo interlocutore si fosse rifiutato di collaborare, avrebbe trovato conferma la tesi di quanti sostenevano la sua contiguità rispetto al Ministero degli Interni. Ne era seguito uno scontro verbale; e l'imputato aveva poi ingiunto al LABRUNA di domandare al Gen. MALETTI che mettesse per iscritto le sue richieste, spiegando le motivazioni e gli obiettivi politici. Riferiva l'imputato come l'incontro sia stato ricostruito nel volume `La notte della Madonna', evidentemente ispirato dal LABRUNA, in quanto conterrebbe particolari noti soltanto a costui. In una successiva fase dell'interrogatorio, veniva precisato come l'incontro avesse avuto luogo tra il 30/11 edl'1/12/72 (il secondo giorno, peraltro, l'imputato ed il suo interlocutore lo avevano trascorso passeggiando, in attesa dell'aereo che avrebbe riportato il LABRUNA in Italia); ed il prevenuto riferiva di aver appreso dal LABRUNA anche di un'operazione di provocazione posta in essere 20 giorni prima (operazione nota come la vicenda delle "armi o dello "arsenale di Camerino"), realizzata mediante la collocazione presso un casolare di armi e di un codice cifrato -artatamentepredisposti per l'attribuzione dei fatti ad un gruppo della sinistra, i cui componenti erano stati poi processati ed assolti- ed in ordine alla quale le prime notizie erano apparse sul quotidiano `Il Resto del Carlino', in un articolo a firma di Guido PAGLIA. L'imputato si era riproposto di gestire politicamente le notizie ricevute in funzione `antiservizi', e di coordinare l'attacco con il POZZAN, che avrebbe dovuto rendere pubbliche le attività di agevolazione nei suoi confronti da parte del SID. Il POZZAN aveva poi receduto dall'iniziativa, inviando al VENTURA una lettera di contenuto difforme dalla verità a proposito dei fatti in parola. Il DELLE CHIAIE si era così venuto a trovare spiazzato, e si era risolto a concedere un'intervista a Romano CANTORE, nel momento in cui il SID aveva intensificato quella che sarebbe stata la sua `montatura' dei fatti noti come `Golpe BORGHESE': e, nel corso di detta intervista, aveva messo in guardia il LABRUNA, preannunciando ciò che gli avrebbe ricordato in ordine alla deviazione di Camerino, ove il LABRUNA stesso avesse negato le proprie responsabilità per tale episodio. Ammetteva il prevenuto d'aver conosciuto Klaus ALTMANN, precisando come, peraltro, date le dimensioni di La Paz, tale conoscenza fosse un fatto praticamente necessitato. Al tempo stesso contestava quanto scritto dall'ex ministro boliviano, Gustavo SANCHEZ, circa la comune militanza del DELLE CHIAIE, dell' ALTMANN e di un gruppo di fuorusciti tedeschi in una compagine militare denominata `Novios de la muerte', a partire dal '78. In realtà, egli aveva incontrato il gruppo dei Tedeschi soltanto alla fine del 1980: e li aveva avvicinati perché mettessero fine ad una serie di prevaricazioni che essi ponevano in essere nei confronti degli abitanti di Santa Cruz. Non mancava di precisare che avrebbe stimato e stretto la mano all'ALTMANN anche se l'avesse conosciuto nella sua vera identità di Klaus BARBIE. Smentiva le dichiarazioni accusatorie relative all'impiego del CONCUTELLI, da parte del DELLE CHIAIE, in funzione `antiETA' in Ispagna. Smentiva inoltre che parte dei proventi delle rapine di autofinanziamento compiute da membri di Terza Posizione fosse a lui pervenuta tramite Roberto NISTRI; e che Avanguardia Nazionale avesse proceduto ad egemonizzare Terza Posizione, movimento per il quale l'imputato aveva nutrito simpatia, ma dal quale era stato deluso ed urtato, per via della protezione che detto movimento aveva offerto al FIRMENCICH, `leader' dei `Montoneros', indicato come responsabile degli assassinii di camerati in Argentina. Circa i suoi rapporti con il CIOLINI, il prevenuto teneva a sottolineare come essi avessero avuto contenuto esclusivamente economico. Aveva conosciuto il CIOLINI a Buenos Aires, nella primavera dell' '80, tramite il Sen. LANFRE' ed il Comandante TADDEI. Il CIOLINI era allora in compagnia di tale Gerard BURRI, Arabo naturalizzato Francese, che veniva presentato come suo socio; aveva parlato all'imputato di una sua fiorente società svizzera, e dell'intenzione di avviare interscambi commerciali con l'Argentina. Aveva invitato il DELLE CHIAIE a visitare la sua società e gli aveva anche comperato il biglietto aereo, che l'imputato gli aveva detto di far intestare a Maurizio GIORGI, indicandolo come un proprio socio. Ritirato il biglietto, il DELLE CHIAIE l'aveva personalmente utilizzato, partendo il 26 giugno per la Francia, da dove aveva raggiunto anche la Spagna ed il Portogallo, sempre a fini propagandistici in favore della Bolivia. Il 2 di agosto si trovava a Nizza, e da quella città si era dovuto precipitosamente allontanare il giorno 3; in Francia, in quel periodo, erano in missione tre poliziotti italiani, che l'imputato si era trovato ad `incrociare', riuscendo però a defilarsi. Dalla Francia aveva cercato di mettersi in contatto telefonico con il CIOLINI, che non aveva rintracciato in Isvizzera, ma in Ispagna; gli aveva riferito il CIOLINI di esser fuggito dalla Svizzera, dove era stato denunciato per evasione fiscale. Rientrato in Argentina, l'imputato era poi passato in Bolivia, dove, verso la fine dell'anno, era rientrato in contatto col CIOLINI, trasferitosi a sua volta in quel paese. Il CIOLINI era poi stato raggiunto dalla moglie e dai figli, nonché da tale Pierre LEVRAT. Verso il marzo del 1981, l'imputato, che era alla ricerca di un appezzamento di terreno per dar vita ad un suo progetto economico, aveva invitato il CIOLINI ad andare a Santa Cruz a visionare un lotto di terreno, per verificarne la rispondenza agli obiettivi propostisi dal DELLE CHIAIE. Partito il CIOLINI per Santa Cruz, il prevenuto era poi stato avvertito da camerati di quella città che il nuovo arrivato andava raccogliendo informazioni, con il proposito di montare delle piste di atterraggio per le flottiglie di aeromobili adibiti al trasporto di cocaina. Raggiunto il CIOLINI, l'imputato l'aveva redarguito e l'aveva fatto allontanare dalla propria abitazione (dove, per qualche tempo, l'aveva ospitato). Qualche tempo dopo, il CIOLINI si era allontanato da La Paz, non senza esser prima passato dall'alloggio del DELLE CHIAIE, ove aveva rubato 2.000 dollari, residuo di una somma precedentemente recapitata all'imputato da Carmine PALLADINO. Il prevenuto non aveva riferito alle autorità boliviane le intenzioni del CIOLINI in ordine alla creazione delle piste di atterraggio per il narcotraffico. Spiegava l'imputato come, nell'ambito del rapporto che aveva descritto, si collocassero i pretesi riscontri alle accuse che il CIOLINI, deponendo come teste, aveva formulato a suo carico: e, cioè, la conoscenza del DELLE CHIAIE stesso, del PAGLIAI (sotto il nome di BONOMI), del FIEBELKORN e la conoscenza dell'esistenza della ODAL. Il CIOLINI, per il suo tramite, aveva avuto un solo contatto con lo Stato Maggiore boliviano: precisamente, con il Dipartimento logistico, in relazione a forniture di equipaggiamento militare. Richiesto di confermare se il PAGLIAI fosse stato inquadrato nell'amministrazione boliviana degli interni, come membro del `Servicio Especial Seguridad', dichiarava che il PAGLIAI aveva fatto parte di un gruppo incaricato dell'individuazione delle fonti del narcotraffico, con sede in Santa Cruz, dove si era trasferito all'inizio del 1981. Carmine PALLADINO si era recato in Bolivia per sondare la possibilità di stabilire un rapporto commerciale tra l'Italia e quel paese: in tale contesto aveva conosciuto il CIOLINI, che era così venuto a sapere dell'esistenza della ODAL. Escludeva l'imputato che tale società avesse mai avuto funzioni di copertura per Avanguardia Nazionale; e contestava l'impostazione accusatoria, nella parte relativa ai pretesi collegamenti della ODAL con il PAZIENZA, attraverso la Società SOFINT. Contestava altresì il prevenuto, avendone avuta lettura, le dichiarazioni di Piero CITTI (che aveva abbandonato la ODAL per andare a lavorare presso la SOFINT), e sottolineava come Carmine PALLADINO non potesse aver avuto contezza del fatto che la SOFINT gravitava nell'orbita della P2, prima che a tale conclusione approdassero gli inquirenti. Riferiva il DELLE CHIAIE di due distinte operazioni -organizzate nel 1982 da autorità italiane e denominate, in codice, rispettivamente `Pall Mall' e `Marlboro'- che sarebbero state finalizzate a quello che egli ha definito il "sequestro" della sua persona. In particolare, con la prima operazione, si sarebbe affidato ad Elio CIOLINI il compito di guidare un gruppo di personaggi, tra cui delinquenti comuni, che avrebbero dovuto `sequestrare' l'imputato a La Paz, condurlo in Perù attraverso il Lago Titicaca, e quindi in Italia, a bordo di un aereo militare. Il DELLE CHIAIE era tempestivamente venuto a conoscenza del progetto tramite Jean Marc TESSEIRE (persona che già l'aveva ospitato durante il soggiorno nizzardo del luglio '80), il quale si era infiltrato nel gruppo del CIOLINI. Un analogo avvertimento all'imputato era pervenuto, nello stesso periodo, anche dal ministro boliviano ROJAS, che però aveva riferito la paternità dell'operazione all'ambasciata statunitense in Bolivia. La seconda operazione era scattata il 10/10/1982, in una situazione di `vacatio' dei poteri costituiti in Bolivia, cioè nel momento in cui i civili, con un governo guidato dal Presidente SILES ZUAZO, subentravano ai militari. Un aereo recante a bordo degli agenti italiani era atterrato a La Paz; il DELLE CHIAIE non era stato trovato, perché, fra la fine di settembre e la prima settimana di ottobre, era partito per il Venezuela, ove stava compiendo un ultimo tentativo di ottenere un prestito internazionale, onde evitare il passaggio del governo al SILES ZUAZO; a quel punto -a detta dell'imputato- l'aereo aveva proseguito per Santa Cruz, ove era stato rintracciato Pierluigi PAGLIAI, al quale -secondo quanto il DELLE CHIAIE aveva appreso- era stato sparato un colpo di pistola, benché avesse alzato le mani dietro la nuca. Contestava ancora l'imputato talune dichiarazioni di Piero CITTI: in particolare, quella secondo cui egli avrebbe invitato il CITTI stesso ad assumersi la responsabilità del covo di via Sartorio, per salvare Adriano TILGHER; nonché quella secondo cui i partecipanti all'incontro di Albano Laziale avevano usato nomi di copertura. Contestava altresì le dichiarazioni rese dal teste MIORANDI circa quanto quest'ultimo aveva dichiarato d'aver appreso dal GIORGI a proposito dei viaggi fra l'Argentina e Roma; e soggiungeva di non esser più rientrato in Italia dopo la Pasqua del '79. Smentiva la testimonianza LAZZERINI, nelle parti che lo riguardano; e sottolineava l'inverosimiglianza della tesi secondo cui, in 17 anni di latitanza, egli avrebbe usato il suo vero nome proprio in occasione delle conversazioni telefoniche col GELLI. Respingeva le accuse promananti dallo SPIAZZI, circa i suoi tentativi di mettere ordine nell'arcipelago dei gruppi armati di destra operanti in Roma; rivendicava a sé soltanto il tentativo, compiuto nel '75 ad Albano, di far confluire Ordine Nuovo in Avanguardia Nazionale; e faceva notare le oscillazioni intervenute nelle versioni via via
rese dallo SPIAZZI. Contestava la veridicità di quanto Valerio VICCEI in istruttoria aveva riferito aver appreso da Domenico MAGNETTA circa le ragioni del distacco di quest'ultimo dal DELLE CHIAIE e dal suo gruppo; e si soffermava, di seguito, sulle ripetute provocazioni che Avanguardia Nazionale -a suo dire- aveva subito, nell'ambito
di un disegno politico complessivo legato ad interessi

interni al sistema: citava, in proposito, il MAR di FUMAGALLI, che avrebbe coinvolto anche dei giovani dell'area di appartenenza del DELLE CHIAIE, tentando così di creare un'identificazione -in realtà insussistente- tra il MAR stesso e tale area politica. Riferiva di un "interrogatorio" cui egli ed altri avevano sottoposto Gaetano ORLANDO, del MAR, nel '74, a Madrid: detto `interrogatorio', vertente, tra l'altro, sulla morte di Giancarlo ESPOSTI, su un volantino che era stato provocatoriamente firmato con le sigle S.A.M.-Ordine Nero-Avanguardia Nazionale, su una non meglio precisata operazione in Valtellina con i Carabinieri,
sulla preparazione di una strage durante i funerali di un uomo politico(VALSECCHI), era stato registrato, ma le relative bobine erano sparite durante la perquisizione effettuata dalle forze dell'ordine nel covo di via Sartorio. Riconosceva il prevenuto di aver partecipato, nella primavera del '79, alla riunione svoltasi in Roma, nello studio dell'Avv. CAPONETTI; e, dopo aver premesso che era stata quella l'occasione del suo ultimo rientro in Italia (prima dell'arresto nel 1987), chiariva che il suo obiettivo non era stato di egemonizzare Terza Posizione, ma, in termini genericamente programmatici e non direttamente organizzativi, di preparare un ambiente politico, di verificare se vi era lo spazio per un movimento politico che si ripresentasse o come Avanguardia Nazionale o sotto altro nome. Respingeva le dichiarazioni di Marco AFFATIGATO circa una pretesa spartizione, fra l'imputato, Elio MASSAGRANDE ed altri, del bottino di un furto perpetrato nel '76-'77 in danno della Cassa di Risparmio di Nizza. Sottolineava il suo personale contrasto con il MASSAGRANDE (con il quale già si era venuto a trovare in attrito a seguito della riunione di Nizza), per via dell'atteggiamento assunto da costui tenuto


dopo l'assassinio del dott. OCCORSIO: e, a conferma delle sue parole, indicava i giornalisti BUONGIORNO e DI BELLA, nonché i fuoriusciti presenti in Ispagna. Nel ribadire d'esser venuto in Europa, nell'estate del 1980, utilizzando un passaporto intestato a Maurizio GIORGI, spiegava che il GIORGI, dal canto suo, nello stesso periodo, e precisamente dopo il 17 luglio, partendo dall'Argentina, si era recato in Bolivia per 3 o 4 giorni, in compagnia di tale Alberto VILLANOVA. Il passaporto utilizzato dal DELLE CHIAIE era stato poi fotografato da Roberto CHIODI, nel corso dell'intervista del settembre, nelle sole parti che interessavano al giornalista. Interrogato su un organigramma sequestrato in via Sartorio, l'imputato affermava trattarsi di un' "esercitazione personale" compiuta in vista della riunione di Albano, che prevedeva, tra l'altro, una divisione in sezioni idonea ad equilibrare le varie forze, una volta che se ne fosse conseguita l'unificazione: dichiarava, comunque, di non essere disponibile a fornire
risposte sui nominativi che compaiono nell'organigramma. Negava d'aver ricevuto proventi di rapine compiute in Italia da formazioni dello spontaneismo armato. Non ricordava la presenza del DI MITRI alla riunione della primavera '79 presso lo studio CAPONETTI. Escludeva la presenza di una struttura clandestina di Avanguardia Nazionale negli anni '80, sottolineando come non vi fossero episodi di violenza riconducibili ad Avanguardia stessa. A contestazione del memoriale dell' ex avanguardista PECORIELLO (memoriale risalenteai primi anni '70), esprimeva la convinzione che nel memoriale in questione fossero contenute dichiarazioni pilotate da un funzionario della Questura di Reggio Emilia, che aveva inteso `incastrarlo'.


1.11.4.12) Giuseppe BELMONTE


16/07/87Il 16 luglio aveva inizio l'interrogatorio (47) del BELMONTE, che si concludeva il giorno successivo (48). Premetteva l'imputato di essere giunto al SISMI nel luglio-agosto del 1978, e di aver lasciato quel Servizio il 22/5/1982; soggiungeva di essersi dedicato, sino a tutto il 1979, allo studio ed alla strutturazione dell'Ufficio

* * * * *

(47) - Cfr. vu 16/7/87, pp. 14-50.
(48) - Cfr. vu 17/7/87, pp. 12-50. Controllo e Sicurezza. A proposito della vicenda della valigia rinvenuta sul treno Taranto-Milano, spiegava che, avendo in un primo tempo riferito al magistrato che la "fonte" delle informazioni era tale MONNA, quando poi si era deciso a rivelare d'aver avuto contatti diretti soltanto col
M/llo SANAPO, aveva precisato di non sapere quali fossero le fonti del SANAPO stesso, poiché era risultato che l'indicazione del MONNA era falsa. Aveva comunque, a suo tempo, parlato del MONNA soltanto con il Col. dei Carabinieri LIVI, suo superiore diretto, e non con il Gen. NOTARNICOLA. Il M/llo SANAPO gli aveva telefonato più volte, nei primi giorni del 1981, facendo vagamente riferimento a covi e persone, ma senza concrete indicazioni circa possibili attentati. L'8 gennaio, all'aeroporto di Brindisi, il SANAPO aveva consegnato a lui ed al MUSUMECI (presente, quest'ultimo, per la delicatezza della missione e per l'eventuale autorizzazione di esborsi in favore della fonte) l'appunto che il giorno successivo sarebbe poi stato recapitatoal Gen. SANTOVITO all'aeroporto di Fiumicino. Il BELMONTE non si era mosso da Roma fra il giorno 9 e la mattina del 12, quando era partito, da solo, per Vieste, a bordo di un'autovettura di servizio consegnatagli il giorno precedente a Palazzo Baracchini. Era giunto a Vieste nel pomeriggio e da là aveva telefonato più volte alla sede del Servizio, fra le ore 19 del giorno 12 e le ore 15 del giorno
13. Non aveva utilizzato alcun supporto logistico presso i Carabinieri di San Severo, dal momento che tale supporto si sarebbe reso necessario solo in quanto gli fosse stato affiancato un ufficiale della 1ª Divisione,che di fatto non fu designato. Non aveva posto in relazione la strage di Bologna con la vicenda del rinvenimento della valigia sul treno Taranto-Milano, benché avesse dalla stessa persona notizie sull'uno e sull'altro episodio.Il giorno 21 la 1ª Divisione aveva fatto pervenire un elenco di quesiti, che il BELMONTE aveva recapitato al SANAPO, il giorno successivo, all'aeroporto di Brindisi, unitamente alla busta contenente il compenso di £ 300.OOO.OOO per la fonte (busta che il prevenuto aveva ricevuto direttamente dalla mani del MUSUMECI). Dopo che, il 7 febbraio, erano giunte le risposte ai quesiti, il prevenuto non si era più occupato dell' `operazione valigia'. Contestava radicalmente l'imputato la
versione dei fatti fornita dal SANAPO (che indicava come "fonte esterna" del SISMI), escludendo di essersi confidato con lui circa l'avvenuta spartizione della somma di un miliardo e mezzo di lire fra i vertici del Servizio e la
mancata attribuzione di una parte di detta somma al BELMONTE. Escludeva altresì d'aver parlato al SANAPO del GELLI o del PAZIENZA, o di false informative confezionate per allontanare dal Servizio il Ten. Col. DI NAPOLI. Ricordava d'aver corrisposto al SANAPO, per un certo periodo, la somma mensile di 3 milioni di lire, perché il sottufficiale potesse provvedere a retribuire le sue fonti; e di avergli altresì corrisposto la somma mensile di £ 350.000, a titolo di rimborso spese. Respingeva come falsa l'affermazione secondo cui egli aveva fatto sottoscrivere al SANAPO 18 ricevute in un unico contesto. Ricordava d'aver visto il PAZIENZA 4 o 5 volte in tutto, nell'ufficio del Gen. MUSUMECI. Non aveva peraltro "mai fatto un colloquio" col PAZIENZA, sul conto del quale era stato incaricato, da parte del MUSUMECI, di compiere indagini, che non erano valse ad acquisire dati significativi. Si era recato 3 volte, nel maggio del 1981, nel carcere di Ascoli Piceno, in compagnia del collaboratore esterno del SISMI, Adalberto TITTA, per incontrare Raffaele CUTOLO, nel contesto delle vicende seguite al sequestro di Ciro CIRILLO; ma dai
contatti avuti col CUTOLO in tale occasioni non era sortito alcunché di utile per la liberazione del CIRILLO. Non aveva mai sentito parlare, all'epoca dei fatti in contestazione, di `Superesse', `Supersid', `Supersismi', o di `Agenti Zeta'. Quando inizialmente era stato esaminato come testimone, aveva sottaciuto il nome del SANAPO, per non coinvolgere quest'ultimo, al quale aveva dato la sua parola di ufficiale in tal senso. Il "problema della fonte" si era posto per l'imputato quando il SANTOVITO ed il MUSUMECI avevano lasciato il SISMI: dovendo continuare da solo a rispondere della fonte, aveva avvertito il SANAPO che, per evitare la spendita del suo nome, avrebbe dovuto fornirgli un nominativo diverso, che il SANAPO aveva allora indicato in quello del MONNA. A contestazione del fatto che, nel primo interrogatorio, aveva riferito di non sapere del versamento di 300 milioni di lire alla fonte, dichiarava che, in quell'occasione aveva fatto riferimento alla contabilità ordinaria dell'ufficio, nell'ambito della quale non erano stati fatti stanziamenti. Le notizie relative alla fibbia della valigia contenente l'esplosivo le aveva
ricevute direttamente dal SANAPO. Era stato iniziato alla Massoneria dall'Avv. PALMI di Taranto, nel '77 o nel '78, aderendo -così credeva- alla Loggia di Taranto. Non aveva mai visto Manlio CECOVINI, Sovrano Gran Commendatore del Capitolo Nazionale Coperto. Siccome non pagava le quote, era stato posto `in sonno' dal Gran Maestro BATTELLI, che gliene aveva dato comunicazione. Non era in grado di precisare se fosse affiliato `all'orecchio' del Gran Maestro. Descriveva un cerimoniale d'iniziazione molto semplice: alla presenza di due persone, qualcuno (che indicava -seppure non con certezza- nel Gran Maestro SALVINI) gli aveva fatto leggere una formula, che forse aveva sottoscritto; dopodiché, aveva ricevuto una stretta di mano e tre baci; in seguito aveva poi partecipato, in due occasioni, a lavori della Loggia di Taranto sul tema della tolleranza. Escludeva di esser mai venuto a conoscenza di una sua promozione dal terzo al diciottesimo grado massonico, promozione che era stata indicata come parallela e coeva rispetto a quella analoga del MUSUMECI, nonché indispensabile per l'accesso al Capitolo Nazionale Coperto, comprendente i solo gradi
`nobili' (dal diciottesimo al trentatreesimo). Non aveva conosciuto il Cap. MANFREDI, né Aldo SEMERARI, né Amos SPIAZZI. A proposito delle liste della P2, non escludeva di aver assistito ad una "discussione accademica" fra i Generali PALUMBO e MUSUMECI, ma negava di sapere alcunché a proposito di una convocazione del PALUMBO, da parte del MUSUMECI, per sollecitare un intervento presso il PUBBLICO MINISTERO di Milano, al fine di conoscere il contenuto degli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi.


1.11.4.13) Pietro MUSUMECI


20/07/87 L'interrogatorio (49) del MUSUMECI aveva inizio il giorno 20 e si concludeva il giorno successivo (50). Premetteva l'imputato di esser stato iniziato alla Massoneria nel 1972 dal Gran Maestro SALVINI, su presentazione del Gen. PALUMBO;

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(49) - Cfr. vu 20/7/87, pp. 13-86.
(50) - Cfr. vu 21/7/87, pp. 19-29.


e soggiungeva di essere completamente estraneo alla Loggia P2. Dichiarava di non aver ricevuto alcuna tessera all'atto dell'affiliazione alla Massoneria; ma riconosceva poi d'aver ammesso, di fronte alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2, che gli era stata invece rilasciata una

tessera bianca sulla quale gli pareva di ricordare la presenza della scritta `Centro studi di storia contemporanea'. Escludeva comunque d'aver pagato quote associative. Escludeva altresì d'aver conosciuto i suoi odierni coimputati, ad esclusione del BELMONTE, del PAZIENZA e del GELLI (quest'ultimo, peraltro, l'aveva incontrato soltanto in un'occasione mondana). Spiegava come, nel 1980, su richiesta del Gen. SANTOVITO, si fosse attivato per rinvenire un rapporto sul GELLI che era agli atti del Servizio, ma che si stentava a ritrovare. Aveva poi consegnato all'autorità giudiziaria romana tale rapporto, concernente attività svolte dal GELLI a cavallo dell'ultimo conflitto mondiale. Sempre nel 1980 aveva compiuto accertamenti per individuare i responsabili della `fuga' di alcune parti riservate del fascicolo M.FO.BIALI: ed aveva concluso nel senso che il responsabile andava ricercato nell'ambito di una terna di ufficiali, che aveva indicato nel Gen. MALETTI, nel Col. VIEZZER e nel Cap. LABRUNA. L'unico contatto con il GELLI l'aveva avuto nel 1969, o nei due anni immediatamente successivi; non aveva invece preso
parte ad alcuna riunione a Villa Wanda, né aveva mai incontrato il GELLI nell'ufficio del Gen. PALUMBO, con il quale ultimo aveva intrattenuto soltanto rapporti di subordinazione gerarchica. Negava che il PALUMBO gli avesse parlato del GELLI, e, avuta contestazione delle dichiarazioni rese dal PALUMBO stesso alla Commissione Parlamentare d'inchiesta, nella parte in cui il Generale aveva affermato d'aver parlato al MUSUMECI del GELLI e della P2, ed aveva indicato il MUSUMECI stesso come affiliato alla P2, si limitava a rispondere con un laconico "non lo so". Ammetteva d'aver chiesto al PALUMBO di attivarsi per conoscere tempestivamente i nominativi degli elenchi sequestratia Castiglion Fibocchi, ma d'averlo fatto su incarico espresso del SANTOVITO, e per motivi di servizio, non potendo il SISMI farsi prendere alla sprovvista, data l'elevatezza della posizione dei personaggi che comparivano nelle liste. Avuta contestazione delle dichiarazioni dell'Ing. SINISCALCHI,dichiarava di non sapere nulla circa la sua promozione al trentunesimo grado massonico od oltre, asseritamente in violazione delle norme interne della
Massoneria. Aveva prestato servizio al SISMI dal luglio del '78 al 5/6/1981, ed aveva conosciuto Francesco PAZIENZA nel 1980. Era stato incaricato dal Gen. SANTOVITO di compiere discrete indagini sul conto del PAZIENZA (che il SANTOVITO giudicava troppo intraprendente): ed aveva accertato che il giovane collaboratore del Servizio era figlio di un ufficiale di Marina, aveva una laurea in medicina e conosceva diverse lingue, fra cui l'arabo. La funzione del prevenuto era stata quella di comandante dell'Ufficio Controllo e Sicurezza: egli non aveva mai collaborato col PAZIENZA, di cui peraltro non gli risultava l'appartenza alla P2. Avuta contestazione della deposizione del Gen. LUGARESI, dichiarava di non aver mai saputo nulla di un progetto che prevedeva la sua nomina a direttore generale della Società ESCHINO, nonché la nomina del PAZIENZA e del SANTOVITO alla corrispondente carica, rispettivamente presso il Corriere della Sera e presso la Società ASCOFIN. Ammetteva soltanto che il SANTOVITO, alla fine del 1981, gli aveva proposto di entrare nei servizi di sicurezza del Banco Ambrosiano. Negava l'esistenza stessa del cosiddetto
`Superesse'. Invitato a chiarire il suo ruolo nella vicenda delle informative SISMI in relazione alla strage di Bologna, spiegava che alla fine dell'ottobre 1980 il dott. SISTI si era recato dal Gen. SANTOVITO, per richiedere una valida collaborazione, a nome del Giudici Istruttori di Bologna. Il SANTOVITO aveva quindi invitato il prevenuto a sollecitare il BELMONTE per l'attivazione di una fonte del BELMONTE stesso, "che aveva già dato un certo qualche cosa, certe informative" sulla vicenda. Il MUSUMECI aveva poi rivisto il dott. SISTI soltanto nell'occasione nella quale costui gli aveva consegnato un elenco autografo di domande da sottoporre alla fonte: elenco che il Servizio aveva provveduto a dattiloscrivere. La fonte del Col. BELMONTE aveva risposto dopo una ventina di giorni; l'imputato non aveva controllato le notizie (esulando ciò dalla sua competenza),ma le aveva subito inoltrate alla 1ª Divisione, perché fossero valutate. A proposito della vicenda della valigia sul treno Taranto-Milano, ricordava d'aver appreso una mattina dal BELMONTE come la fonte di costui avesse riferito essere imminente un trasporto di esplosivo a fini
terroristici. All'epoca dei fatti il MUSUMECI sapeva che la fonte del suo subordinato si identificava nel M/llo SANAPO, dal momento che, fra l'altro, doveva provvedere alla retribuzione della fonte stessa. Sollecitato dal Gen. SANTOVITO, che voleva stringere i tempi e riteneva potesse essere produttivo far incontrare al SANAPO un generale dell'Arma, il MUSUMECI aveva accompagnato il BELMONTE a Brindisi, nel viaggio aereo del gennaio '81. Dopo un breve colloquio con il SANAPO, nel corso del quale non si fece il nome del MONNA e non vi furono consegne di denaro, i due odierni imputati erano rientrati a Roma. L'indomani, il MUSUMECI, avendo appreso che in giornata il Gen. SANTOVITO sarebbe rientrato da Parigi, aveva dato appuntamento all'aeroporto al Gen. NOTARNICOLA. Il prevenuto aveva ricevuto dal BELMONTE la busta contente l'informativa scritta soltanto quella mattina, cioè il giorno 9, e nulla sapeva del modo in cui era avvenuto il passaggio dell'informativa stessa dal SANAPO al BELMONTE; non poteva escludere, peraltro, che lo scambio fosse avvenuto durante l'incontro del giorno precedente, svoltosi all'interno di
un'autovettura, subito dopo l'atterraggio all'aerostazione di Brindisi. Nei giorni seguenti, pervenuta la notizia dell'approssimarsi dei fatti preannunciati dall'informativa, il MUSUMECI, in esecuzione di una direttiva del SANTOVITO, aveva distaccato il BELMONTE alla 1ª Divisione e, da quel momento non aveva più saputo niente del coimputato, se non che era partito per San Severo, lagnandosi del fatto che non gli era stato affiancato un ufficiale della 1ªDivisione, come invece avrebbe voluto il Direttore del Servizio. Precisava che, di fronte alla doglianza del BELMONTE, consultato il SANTOVITO, aveva trasmesso al suo subordinato l'ordine di partire comunque, nonostante il mancato affiancamento da parte della 1ª Divisione, dal momento che il tempo stringeva. Faceva presente che ad analoga procedura di distacco del BELMONTE alla 1ª Divisione si era proceduto, in base ad ordini verbalmente impartiti, anche in altre occasioni: cioé, in particolare, nel corso delle vicende `MORO' e `CIRILLO'. Aveva ricevuto i 300 milioni di lire costituenti il compenso per la fonte dal Col. DI MURRO: si trattava di mazzette di banconote. Nell'occasione in cui il BELMONTE si era recato nuovamente in Puglia ed aveva effettuato il pagamento, il MUSUMECI l'aveva accompagnato all'aeroporto, dove gli aveva consegnato il denaro, che il BELMONTE -dopo averlo contato- aveva chiuso in una busta. Non aveva notato che una delle persone indicate nelle informative sulla strage di Bologna come perita nell'esplosione fosse poi ricomparsa nelle informative riguardanti l'operazione `terrore sui treni', come coinvolta nell'operazione medesima. Ammetteva di essersi recato, in compagnia del PAZIENZA e del Col. DI MURRO, presso l'ufficio fiorentino di tale SIGNORI, segretario dell'allora Ministro della Difesa: e riferiva di non aver avuto, nell'occasione, alcuna funzione attiva, avendo invece il PAZIENZA provveduto alle presentazioni, ed il DI MURRO alla consegna di grafici -richiesti dal Ministro- riguardanti la struttura e la competenza di uffici di Stato Maggiore. Ammetteva inoltre di aver conosciuto di vista il Commissario POMPO', che si era recato una volta presso la sede del Servizio, e precisamente nell'ufficio del Direttore; escludeva tuttavia di sapere alcunchè a proposito di una nota del POMPO' (facente riferimento alla Bulgaria, ad armi sovietiche, ceche e belghe, ed a terroristi di varia nazionalità), rinvenuta anche nell' Ufficio Controllo e Sicurezza. Pur ammettendo di essere stato, in compagnia di altri ufficiali del Servizio, in alcuni locali di Via Germanico nella disponibilità del PAZIENZA, ribadiva di non aver mai sentito parlare di un progetto del `Supersismi', e di non aver conosciuto la destinazione di quei locali ad istituenda sede separata del Servizio (sede indicata come diretta ad ospitare -dietro lo schermo di una società finanziaria e di consulenza aziendale- operazioni speciali, gerarchicamente distaccate dalle Divisioni, quali i rapporti con la stampa e con il mondo politico, i rapporti con il mondo industriale, finanziario ed imprenditoriale, ed altre, previamente concordate con il Direttore). Precisava come il PAZIENZA fosse alla dirette dipendenze del Gen. SANTOVITO e come tutto ciò che il PAZIENZA organizzava in prima persona gli rimanesse conseguentemente estraneo. Nulla sapeva di `Zeta 2', che giudicava "un'invenzione" del PAZIENZA. Non aveva mai gestito direttamente alcuna fonte (tranne che in un caso) ed aveva sempre dirottato quanti si rivolgevano a lui verso la 1ª o la 2ª Divisione. Non aveva conosciuto l'Avv. PAPA. Non si era mai occupato della C.A.I., il cui responsabile era il SANTOVITO, mentre il Col. D'ELISEO si occupava del trasporto del personale. Escludeva che l'ASCOFIN fosse una società di copertura del Servizio. A contestazione, da parte del PUBBLICO MINISTERO, di dichiarazioni del Col. DI MURRO, secondo cui, fra l'ottobre del 1980 ed il maggio del 1981, sarebbero stati versati al MUSUMECI un miliardo e duecento milioni di lire per `operazioni Z' (indicate come le operazioni volte dapprima all'identificazione degli autori della strage di Bologna ed


alla prevenzione di successivi attentati, e poi al pagamento
del riscatto per la liberazione di Ciro CIRILLO, o comunque alla costituzione di una rete informativa per scoprire gli autori del `sequestro CIRILLO'), dichiarava l'imputato di intendere avvalersi della facoltà di non rispondere ad ulteriori domande e contestazioni.


1.11.5) Le scelte processuali degli altri imputati


Gli imputati diversi da quelli di cui sub 1.11.4) non hanno reso l'interrogatorio. Maurizio GIORGI e KlausFriedrik HUBEL, giudicati a piede libero e dichiarati contumaci, hanno disertato l'aula per tutto il corso del giudizio. Roberto RAHO, dichiarato contumace, è sempre rimasto latitante. Licio GELLI, latitante e dichiarato contumace, si è costituito in Isvizzera -come si vedrà- in corso di giudizio; e, dopo essere stato estradato da quel paese per reati di competenza di altre autorità giudiziarie, non ha rinunciato al principio di specialità e non si è quindi assoggettato alla giurisdizione italiana per i delitti per i quali questa Corte procede: cosicché il giudizio è proseguito nella sua contumacia. Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO, giudicati in istato di detenzione, si sono
avvalsi della facoltà di non rispondere all'interrogatorio, e solo all'esito della discussione hanno reso dichiarazioni ex art. 468 del Codice di rito. Gilberto CAVALLINI ed Egidio GIULIANI, pure giudicati in istato di detenzione, hanno sempre rinunciato a partecipare
al giudizio e non si sono presentati in aula neppure per rendere l'interrogatorio o dichiarazioni finali ex art. 468 del Codice di Procedura.

1.11.6)La scarcerazione del PAZIENZA limitatamente al delitto di calunnia


21/07/88 Il 21 luglio, con ordinanza (51) depositata in Cancelleria, la Corte si pronunciava su istanze proposte dalla difesa del PAZIENZA nel procedimento n. 2/87 R.G.C.A.: e, nel rigettare la richiesta di libertà provvisoria o di arresti domiciliari, ordinava che l'imputato, per il delitto di calunnia pluriaggravata, venisse scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare alla data del 2/9/1987, ferma restando la custodia anche dopo tale data per il delitto di cui all'art. 270 bis (proc. n. 13/86 R.G.C.A.).










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(51) - Il provvedimento trovasi in CP, C16.



1.12) 22 luglio 1987 - 26 febbraio 1988
L'ulteriore corso del giudizio, sino alla
chiusura dell'istruzione dibattimentale


1.12.1) Il rapporto DIGOS 20/8/1987


20/08/87 Il 20 agosto, la DIGOS di Bologna trasmetteva alla Corte un rapporto (1), in cui, tra l'altro, a proposito dei documenti sequestrati a Sergio PICCIAFUOCO al valico di Tarvisio, si riferiva che uno di essi, precisamente il "passaporto n. E 213730, apparentemente rilasciato dalla Questura di Roma il 19/10/1979, risulta effettivamente rilasciato il 19/12/1978 a BRUGIA Riccardo, di Mario, nato a Roma il 6/11/1961, residente in quella via Flaminia n. 785, estremista di destra." Soggiungeva il rapporto: "Il predetto," (cioè, il BRUGIA) "come si evince dal rapporto conclusivo del procedimento penale `Quex' del 16/5/1984, avrebbe partecipato, unitamente a ZANI, NISTRI, ANSALDI, TOMASELLI, PROCOPIO, ZURLO, BRAGAGLIA, PETRONE e COGOLLI ad un fallito tentativo di sequestro di tale gioielliere CROCE, nel 1982 a Torino.


In data 5/4/1982 è stato sottoposto a fermo di P.G. perché indiziato di favoreggiamento personale nei confronti del

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(1) - Trovasi in AAD, V5, C17. noto FIORAVANTI Cristiano, al quale cedette in uso un appartamento di cui era locatario, in Pescasseroli, adibito dal FIORAVANTI a rifugio per sé e per gli altri latitanti MAMBRO Francesca e Giorgio VALE...In seguito al fermo, venne emesso nei confronti del BRUGIA un ordine di cattura per rapina aggravata ed altro, reato commesso il 31/3/1982, insieme ai noti SORDI Walter, LAI Livio, CAVALLINI Gilberto ed altri esponenti dei NAR ai danni di un istituto bancario di Roma...Per quanto riguarda il passaporto a lui intestato n. E213730, rilasciato dalla Questura di Roma il 19/12/1978, si comunica che il 4/11/1982, all'atto della notifica, nella Casa Circondariale di Frosinone, dell'ordinanza di ritiro del passaporto, il BRUGIA ebbe a dichiarare a quel personale che il documento gli era stato sequestrato dalla DIGOS all'atto del suo fermo, cosa non rispondente al vero in quanto, come si può rilevare dal P.V. di perquisizione, nell'abitazione fu rinvenuta solo una fotocopia del passaporto, ma non il documento in originale..."


1.12.2)La concessione degli arresti domiciliari a Paolo SIGNORELLI


17/09/87 Il 17 settembre, la Corte, riunitasi anticipatamente, rispetto alla ripresa postferiale delle udienze fissata per il giorno 22, per esaminare un'istanza di arresti domiciliari proposta per ragioni di salute in favore di Paolo SIGNORELLI, decideva (2) di concedere all'imputato l'invocato beneficio, constatando l'obiettivo peggioramento


di dette condizioni, rispetto al momento dell'adozione di un precedente provvedimento di rigetto di analoga istanza.


1.12.3) La posizione processuale di Licio GELLI


Licio GELLI, latitante, era stato dichiarato contumace in entrambi i procedimenti a suo carico.


22/09/87 Il 22 settembre, alla ripresa delle udienze, la Corte apprendeva ufficialmente che l'imputato era detenuto in Isvizzera, ove si era costituito a disposizione dell'autorità giudiziaria elvetica, che procedeva per fatti colà commessi. La Corte pronunciava una prima ordinanza (3), con la quale disponeva procedersi oltre nel dibattimento e farsi luogo all'interpello dell'imputato circa il suo eventuale mutamento di volontà (rispetto a quello manifestato con la pregressa latitanza e la costituzione

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(2) - Il provvedimento trovasi in CP, C19.
(3) - Cfr. vu 22/9/87, p40.


all'estero anziché in Italia) in ordine alla partecipazione al dibattimento. Otto giorni più tardi, la Corte, rilevato come una dichiarazione del GELLI (4), prodotta dal difensore, non costituisse atto di sottomissione alla giurisdizione italiana nei procedimenti che qui si celebrano, ribadiva (5) l'ordine di procedersi oltre nella contumacia dell'imputato.


1.12.4) Il prosieguo dell'istruttoria dibattimentale


1.12.4.1) Il prosieguo dell'istruttoria orale


22/09/87 Il giorno 22 -come si è detto- riprendevano le udienze, e l'istruttoria dibattimentale proseguiva, da quel giorno e sino al 26 febbraio 1988, con l'escussione delle parti civili, delle parti lese, dei testi indicati nella lista del PUBBLICO MINISTERO e di quelli ulteriormente ammessi con successive ordinanze della Corte.


A differenza di quanto si è fatto per la fase anteriore al rinvio a giudizio, per la quale la sintetica illustrazione del contenuto delle dichiarazioni di maggior rilievo di vari soggetti processuali si è resa necessaria per seguire

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(4) - Cfr. vu 30/9/87, p18.
(5) - Cfr. vu 30/9/87, p33.


l'evolversi del quadro istruttorio e per comprendere le linee dell'impianto accusatorio che sorregge le scelte adottate con la sentenza-ordinanza 14/6/86, e a differenza di quanto si è fatto anche per gli interrogatori dibattimentali degli imputati, sui quali ci si è soffermati, per avere il quadro definitivo delle linee difensive da ciascuno adottate rispetto agli elementi indicati a sostegno dell'accusa, non si darà invece conto, nella presente sede, delle deposizioni o degli interrogatori ai sensi dell'art. 450 bis e, in taluni casi, dell'art. 304 III comma C.P.P., resi in dibattimento: e ciò ad evitare ripetizioni, giacché delle suddette dichiarazioni, per la parte comunque rilevante ai fini della decisione, si dovrà dar conto in prosieguo, laddove si passerà al vaglio delle risultanze processuali, onde verificare la fondatezza delle accuse.


1.12.4.2) Il ritrovamento di ordigni nel Lago di Garda


1.12.4.2.1) Il rapporto dei Carabinieri 2/11/1987


26/11/86 All'udienza del 26 novembre, il PUBBLICO MINISTERO produceva un rapporto (6) del Nucleo Operativo dei Carabinieri di

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(6) - Cfr. vu 26/11/87, pp. 15-17. Padova del 2 novembre 1987, nel quale si riferiva che, il 31


ottobre, sulla scorta di notizia informalmente ricevuta, erano state effettuate delle immersioni in tre diversi punti del Lago di Garda, onde accertare l'esistenza di residuati bellici, ai quali -secondo la fonte dell'accennata notizia- esponenti della destra eversiva ed, in particolare, ROMANO Roberto detto `il Nonno' avrebbero attinto per ricavarne esplosivo, successivamente utilizzato per attentati ai danni di vari obiettivi, tra cui l'abitazione dell'On. Tina ANSELMI. In due dei tre punti indicati dalla fonte erano stati effettivamente individuati degli ordigni: e tale dato veniva ricollegato a pregresse risultanze istruttorie, secondo cui il nucleo ordinovista veneto disponeva di consistenti quantitativi di esplosivo, ricavati da residuati bellici e ripescati da un lago.


1.12.4.2.2) Le dichiarazioni di Gianluigi NAPOLI al PUBBLICO MINISTERO in merito al ritrovamento degli ordigni


Unitamente al rapporto, il PUBBLICO MINISTERO depositava anche, tra l'altro, l'estratto di un verbale (7) di dichiarazioni a lui rese il 12 novembre da Gianluigi NAPOLI,

* * * * *

(7) - Cfr. vu 26/11/87, pp. 21-22. che era stato la fonte della notizia grazie alla quale si era pervenuti al ritrovamento; il NAPOLI, in quell'occasione, aveva dichiarato: "Effettivamente nel gennaio 1987, mentre mi trovavo nel bar di Villadose (RO) -zona industriale, fui avvicinato dal mio conoscente Dario FIGNAGNANI. Venne da me dicendo che aveva bisogno di soldi ed anche per riprendere i contatti tra di noi. Dario era certamente al corrente del fatto che io avevo assunto una posizione di apertura e collaborazione con i Giudici di Bologna. Di fronte alle sue richieste di prestito di un milione, io gli dissi esplicitamente che avevo contatti con i Servizi Segreti ed aggiunsi che ai Servizi interessava il discorso relativo alla provenienza degli esplosivi poiché troppi segni ormai indicavano in maniera chiara che gli esplosivi utilizzati per gli attentati compiuti nel Veneto, sui quali ho ampiamente riferito, portavano alle stragi più cruente verificatesi in Italia. Dissi questa bugia circa i miei rapporti con i Servizi Segreti, per chiarire fino in fondo la mia posizione ed indurre Dario a collaborare poiché ciò, sempre secondo il mio discorso non corrispondente al vero, avrebbe potuto agevolarlo nell'ottenere denaro. Io stesso mi indussi a prestargli un milione di lire per ottenere la sua fiducia. Dario mi restituì la somma dieci giorni dopo...con Dario tentammo di capire con precisione dove potesse stare sommerso l'esplosivo e ne deducemmo che questo poteva trovarsi in una delle località che indicai ai Carabinieri. Dopo che l'Ufficio mi ha fatto i nomi di tali località ricordo con precisione che con Dario parlammo effettivamente del Fortino di Riva del Garda, del porto di Limone del Garda e del'isolotto di Malcesine. Peraltro si trattava di località dove è nota la possibilità di rinvenire residuati bellici. MELIOLI mi aveva già parlato di ordigni bellici da loro custoditi in un laghetto e che rientravano nella disponibilità di FACHINI e DE ECCHER. Non ho alcun dubbio, poiché la cosa più volte mi venne detta da MELIOLI, che era il ROMANO Roberto a recuperare gli esplosivi con l'`assistenza tecnica' di FACHINI Massimiliano. Mi risulta anche che vi erano stretti contatti tra CAVALLINI e ROMANO tanto che CAVALLINI, all'inizio della sua latitanza, si era nascosto per diverso tempo a casa di ROMANO Roberto,

sicuramente lì spedito da FACHINI. Infatti il ROMANO ha sempre fatto scrupolosamente tutto quello che gli ha ordinato FACHINI. Da quando MELIOLI è stato scarcerato, il FIGNAGNANI ha assunto verso di me un atteggiamento completamente diverso. Per quanto riguarda il recupero dell'esplosivo so che essoavveniva con una barca da parte del ROMANO e del FACHINI con la partecipazione di altre persone che restavano di guardia sulla riva. Sono poi convinto che per laghetto o laghetti il MELIOLI intendesse far riferimento appunto a queste località del Lago di Garda. Ribadisco quanto ho già affermato e cioè che con tale esplosivo sarebbero stati realizzati vari attentati nel Veneto da me già descritti."


1.12.4.3)I provvedimenti in ordine all'ammissione di nuovi mezzi di prova


Occorre qui far cenno di taluni provvedimenti con cui la Corte, d'ufficio e su istanza di parte, ha disposto nuovi mezzi di prova, intesi per un verso a consentire alle difese di dimostrare i rispettivi assunti, e, dall'altro, a mettere a fuoco il quadro dei riferimenti accusatori, onde poter verificare, con ogni possibile scrupolo, la consistenza dell'impianto in cui si sostanzia l'ipotesi delineata dall'Istruttore con il rinvio a giudizio.


Tanto premesso, va ricordato quanto segue:


- la Corte, che già con le ordinanze 13 aprile, 16 aprile, 5 maggio, 10 giugno, 14 luglio e 15 luglio (8), era venuta perseguendo gli obiettivi testé enunciati, ammettendo testi, acquisendo provvedimenti giurisdizionali e documenti di varia natura, e disponendo accertamenti ad 30/11/87opera della polizia giudiziaria, il 30 novembre, d'ufficio, pronunciava un'ordinanza (9) con la quale ordinava l'inclusione nelle liste testimoniali di altre 21 persone, la cui escussione appariva necessaria ai sensi dell'art. 457 C.P.P., sulla base delle risultanze processuali sino a quel momento emerse;


16/12/87 - il 16 dicembre veniva pronunciato (10)un lungo provvedimento a scioglimento delle 298 riserve assunte dalla Corte su altrettante istanze istruttorie formulate dalle parti fra il 7 luglio ed il 19 novembre; nell'
ordinanza, ulteriormente integrativa del quadro


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(8) - Trovansi,rispettivamente, in: vu 13/4/87, p32; vu 16/4/87, pp. 16-18; vu 5/5/87, pp. 21-22; vu 10/6/87, pp. 100-103; vu 14/7/87, pp. 51-52; vu 15/7/87, pp. 112-113.
(9) - Cfr. vu 30/11/87, p16.
(10) -Cfr. vu 16/12/87, pp. 12-30.


probatorio, la Corte, con motivazione che risulterà paradigmatica rispetto ai successivi provvedimenti del 2,


5, 12, 17 e 26 febbraio(11), verrà definendo analiticamente i criteri per il corretto dimensionamento dell'imponente materiale istruttorio di cui è stata via via proposta l'introduzione nel processo, indicandoli, precipuamente,nei principi di: presunzione di completezza dell'istruttoria; devoluzione al giudice dibattimentale, per la verifica della fondatezza, della sola ipotesi accusatoria portata a giudizio; economia della prova; necessaria sopravvenienza dei mezzi di prova richiesti in giudizio; concludenza, non genericità e accertata esperibilità degli stessi;


-con le successive ordinanze del febbraio, che si sono testé menzionate, la Corte, utilizzando i medesimi filtri di ammissibilità, verrà sciogliendo le riserve assunte su 219 ulteriori istanze istruttorie proposte dalle parti, a varie riprese, fra il novembre '87 ed il febbraio '88.

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(11) -Cfr., rispettivamente, vu 2/2/88, pp. 16-18; vu 5/2/88, pp. 16-20; vu 12/2/88, pp. 19-22; vu 17/2/88, pp. 19-22; vu 26/2/88, pp. 27-31.


1.12.4.4)La contestazione agli imputati PICCIAFUOCO e RINANI degli elementi d'accusa acquisiti in corso di giudizio


Durante la fase del giudizio in esame, si rendeva necessario richiamare gli imputati PICCIAFUOCO e RINANI, per dar corso ad un supplemento di interrogatorio.


28/01/88 Il 28 gennaio, a Sergio PICCIAFUOCO venivano contestate (12) le risultanze del rapporto 20/8/87: ed egli, richiesto di fornire spiegazioni in ordine all'identità fra il numero del passaporto sequestratogli al valico di Tarvisio ed il numero del passaporto che era risultato esser stato legalmente rilasciato a BRUGIA Riccardo, si difendeva adducendo di aver ricevuto il documento (materialmente quanto vistosamente falso, per esser stato stampato su carta ed in formato macroscopicamente diversi dagli originali) fin dal '75. Detto documento -a dire dell'imputato- avrebbe già recato la stampigliatura del numero `di serie', ma sarebbe stato per il resto in bianco. Il PICCIAFUOCO lo avrebbe personalmente riempito, dopo aver fatto apporre da altri il timbro a secco di annullo della fotografia dell'apparente titolare. Ciò sarebbe avvenuto nell' '81, quando il prevenuto non riteneva

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(12) - Cfr. vu 28/1/88, pp. 21-28. più sicuro il nome VAILATI. Le vistose imperfezioni avrebbero comunque indotto il PICCIAFUOCO a non servirsi del documento, se non in occasione di un cambio di valuta presso una banca di Mestre.


Nell'occasione, il Procuratore della Repubblica contestava in aula al PICCIAFUOCO quanto gli aveva già contestato nel corso di separato procedimento, che sarà poi acquisito agli atti del presente (13). Basti qui ricordare che, in detto procedimento, il PICCIAFUOCO è accusato di aver spedito, da Vienna a Roma, un plico contenente vari documenti falsi, tra cui 6 passaporti, 2 dei quali recanti lo stesso numero del passaporto sequestrato all'imputato a Tarvisio e di quello a suo tempo rilasciato al BRUGIA. L'imputato, posto di fronte a tale contestazione, dichiarava di non sapere assolutamente nulladei fatti addebitatigli.


Quanto al RINANI, si è detto come costui, nel corso dell'interrogatorio, avesse escluso d'esser stato in possesso di materiale riconducibile a `Costruiamo l'Azione'. L'imputato, nell'occasione, aveva altresì chiesto che gli


* * * * *


(13) - Trattasi del proc. pen. n. 2257/A/87 R.G.P.M., acquisito in copia con ordinanza 26/2/88: trovasi in AAD, V8, C19.


fosse mostrato il materiale relativo a `Costruiamo l'Azione' che gli si contestava esser stato sequestrato il 20/5/1978 nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione, eseguita per ordine dell'autorità giudiziaria di Padova. La Corte aveva all'uopo provveduto ad acquisire, con ordinanza 16/4/87, il materiale documentario sequestrato all'imputato in detta occasione (14).


24/02/88 Il 24 febbraio '88, il RINANI veniva quindi richiamato, per rendere conto del rinvenimento presso la sua abitazione di 4 copie (una delle quali gli veniva mostrata) di un manifesto rappresentante una mano impugnante un mitra entro un semicerchio bianco su fondo rosso, manifesto che Sergio CALORE,all'udienza del 10/12/87, aveva riferito (15) esser stato allegato al n. 1 di `Costruiamo l'Azione'. Il RINANI affermava (16) di ritenere di non averlo mai visto e, comunque, di non averne memoria. Soggiungeva essergli stato peraltro sempre contestato il possesso, da parte sua, di un diverso manifesto, raffigurante una colomba.




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(14) - Si tratta del materiale contenuto nel fascicolo del proc. pen. n. 1223/85 Trib. Padova, in AAD, V3, C24.
(15) - Cfr. vu 10/12/87, p62.
(16) - Cfr. vu 24/2/88, pp. 35-36.


1.12.4.5) La perizia sul tatuaggio di Sergio PICCIAFUOCO


05/02/88 Il 5 febbraio 1988, la Corte, accedendo ad una richiesta in tal senso della difesa, poneva ad un collegio di periti una serie di quesiti così formulati (17): "Premesso che, secondo affermazioni contenute negli atti processuali, l'imputato Sergio PICCIAFUOCOfino al 1981 aveva impresso sul braccio destro un tatuaggio di forma diversa da quello che vi appare oggi, dicano i periti, dopo aver fotografato il tatuaggio impresso sul braccio destro dell'imputato Sergio PICCIAFUOCO e quello impresso sul polso destro dell'imputato Roberto RINANI ed aver compiuto i necessari accertamenti:


1) se sia possibile o debba escludersi l'esistenza sul braccio del PICCIAFUOCO di un tatuaggio di forma diversa da quella attuale;


2) se il tatuaggio eventualmente preesistente sia stato concellato o comunque rimosso, ovvero se, persistendo, sia stato inglobato in quello attualmente esistente;


3) in caso di risposta affermativa al primo quesito, quale


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(17) - Cfr. vu 5/2/88, p10.


forma avesse il tatuaggio preesistente e se tale forma fosse simile a quella del tatuaggio impresso sul braccio del RINANI."


19/02/88 Il giorno 19, all'esito degli accertamenti, veniva depositata la relazione (18) dei periti, che così concludevano: "è possibile ed anzi del tutto probabile l'esistenza sul braccio del PICCIAFUOCO di un precedente tatuaggio di forma diversa da quella attuale; le vestigia ancora apprezzabili del precedente tatuaggio e la mancanza di esiti cicatriziali cutanei fanno ritenere che il tatuaggio preesistente sia stato inglobato in quello attuale; non è possibile identificare con certezza la forma del primo tatuaggio. Peraltro, mentre non è dato apprezzare, pur su uno sfondo non compatto dell'attuale tatuaggio, segni simili al tatuaggio impresso sul braccio del RINANI, le suddette vestigia appaiono compatibili con la versione fornita dal periziando, di un tatuaggio composto tra l'altro da due lettere C, affiancanti due di cinque puntini a croce."




* * * * *

(18) - Cfr. AAD, V4, C39.


1.12.4.6)La memoria indirizzata da Francesco PAZIENZA al Direttore Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena e gli sviluppi della vicenda


06/02/88 Il 6 febbraio, Francesco PAZIENZA redigeva una memoria (19), inoltrata, attraverso la Direzione del Carcere di Torino, al Direttore degli Istituti di Prevenzione e Pena. Scriveva il PAZIENZA che il giorno precedente, trovandosi nell'aula d'udienza della II Corte d'Assise di Bologna, aveva appreso dal PICCIAFUOCO che costui, nel 1985, essendo detenuto all'Asinara, era stato messo nelle condizioni di incontrare tre "misteriosi personaggi", che gli avevano offerto una somma compresa tra uno e due miliardi di lire ed un passaportoitaliano, nonché aiuto in vista dell'espatrio verso il Sudamerica, richiedendogli di "avallare con una testimonianza le assai improbabili teorie sviluppate dal G.I. e dal P.M. di Bologna". Soggiungeva lo scrivente d'aver ricevuto tali rivelazioni dal PICCIAFUOCO durante una pausa dell'udienza, e precisava che il suo interlocutore aveva a suo tempo rifiutato la proposta di cui gli aveva riferito.


Il Direttore degli Istituti di Prevenzione e Pena provvedeva

* * * * *

(19) - Cfr. vu 18/2/88, p16. ad informare (20) il Presidente di questa Corte, e contemporaneamente assumeva, presso il carcere dell'Asinara, le informazioni che pure trasmetteva (21) tempestivamente al


Presidente della Corte.


22/02/88 Il 22 febbraio il PICCIAFUOCO, interpellato in merito, dopo esser stato reso edotto di quanto riferito dal PAZIENZA, confermava (22) d'aver fatto al coimputato le suddette confidenze, e soggiungeva d'aver ricevuto, a suo tempo, le offerte di denaro a di aiuto per l'espatrio. Invitato a chiarire se gli fosse stato chiesto alcunché in cambio dell'offerta, rispondeva testualmente: "penso che sia logico ciò che mi chiedeva," (23) "forse una collaborazione penso". All'ulteriore richiesta di precisazione da parte del *** * *
(20) - Cfr. vu 18/2/88, p14.
(21)- Cfr. vu 18/2/88, p18 e ss.
(22) - Cfr. vu 22/2/88, pp. 116 e 118-122.
(23) - Il soggetto sottinteso è un funzionario di Polizia, come emerge dalle stesse dichiarazioni del PICCIAFUOCO. Non dei "misteriosi personaggi", infatti, si erano recati all'Asinara, ma un funzionario ed un sottufficiale della Questura di Sassari, subdelegati dal Dirigente della DIGOS di Bologna, a sua volta autorizzato dall'Istruttore al compimento delle attività specificamente indicate nella nota in RA, V9 bis, C383/A, p204: l'acquisizione di indicazioni per l'identificazione di CECCHINI Claudia, nonché l'interpello del PICCIAFUOCO circa i motivi per cui aveva richiesto di conferire con l'Istruttore. In occasione del colloquio, fu redatto un verbale (cfr. RA, V9 bis, C383/A, p221), che è allegato al rapporto del funzionario della Questura d Sassari (cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 219-220).


Presidente, che lo invitava a dire se gli fosse stato indicato quale tipo di colloborazione si voleva da lui, il PICCIAFUOCO affermava: "esplicitamente non me lo disse..." E, sollecitato ancora nel medesimo senso, aggiungeva: "il


discorso è talmente logico, volevache io collaborassi, che


confermassi le accuse, non so dove volesse arrivare..." E


ancora, rispondendo al PUBBLICO MINISTERO: "...Ma allora mi dica un po', perché mi ha detto 1 miliardo, 2 miliardi e un passaporto per il Sudamerica? in base a che cosa? Che io confermassi le accuse, è talmente semplice!"


1.12.4.7) Gli atti delegati


Va qui ricordato che, in taluni casi, dovendo essere esaminate od interrogate ai sensi dell'art. 450 bis C.P.P. persone residenti in altri distretti ed impossibilitate a comparire in Bologna, la Corte aveva delegato per i relativi incombenti propri componenti togati: il Presidente, assistito dal Giudice `a latere', aveva proceduto all'escussione di Giulia RACANIELLO ed all'interrogatorio di Mario GINESI (24), in Roma, il 6/11/1987 , nonché

* * * * *


(24) -Cfr. vu 6/11/87, rispettivamente pp. 2-9 ed 11-13.


all'escussione di Alfredo LONGO (25), in Taormina, il 14/1/1988, ed all'interrogatorio di Alberto VOLO (26), in Palermo, il 15/1/1988; il Giudice `a latere' aveva provveduto ad esaminare Francesco TALLARICO (27), in Sluderno, il 19/2/1988.


1.12.4.8) La chiusura dell'istruttoria dibattimentale L'ordinanza di utilizzabilità degli atti
Le ulteriori acquisizioni documentali


26/02/88 Il 26 febbraio, dopo la lettura dell'ultima ordinanza pronunciata a scioglimento di riserve assunte sulle istanze istruttorie delle parti, il Presidente dichiarava (28) chiusa l'istruttoria dibattimentale. Immediatamente dopo veniva data lettura di un'ulteriore ordinanza (29), pronunciata ai sensi dell'art. 466 bis del Codice di rito, con la quale la Corte dichiarava l'utilizzabilità processuale di tutti gli atti (specificamente indicati in elenchi allegati al provvedimento), con la sola esclusione dei seguenti: gli atti di cui fosse già stata data effettiva lettura in corso di dibattimento; i verbali di deposizioni

* * * * *


(25) - Cfr. vu 14/1/88, pp. 1-2; era il LONGO il gestore dell' albergo di Taormina in cui Sergio PICCIAFUOCO ebbe a soggiornare in epoca precedente la strage.
(26) - Cfr. vu 15/1/88, pp. 1-10.
(27) -Cfr. vu 19/2/88, pp. 1-2. (28) -Cfr. vu 26/2/88, p26.
(29) - Cfr. vu 26/2/88, pp. 32-33.


rese da testi escussi nell'istruttoria dei tre procedimenti e non citati per il giudizio, per i quali non fosse già precedentemente intervenuta dichiarazione di utilizzabilità; gli atti la cui lettura fosse vietata ai sensi dell'art. 464 C.P.P. e di quelli la cui utilizzazione processuale fosse vietata ai sensi dell'art. 141 C.P.P.


Occorre qui, peraltro, dar conto del fatto che, in corso di giudizio, l'incarto processuale si era arricchito di un'imponente mole di atti e documenti prodotti in udienza dalle parti, trasmessi da altra autorità o comunque pervenuti in Cancelleria: e che gli elenchi di tali atti -oltre che di quelli acquisiti con ordinanza della Corte e non inseriti negli elenchi allegati all'ordinanza di utilizzabilità 26/2/1988- sono allegati all'ordinanza integrativa 14/3/1988 (30), pronunciata prima dell'apertura della discussione.


Un'ultima ordinanza di utilizzabilità (31), riferentesi agli atti acquisiti e pervenuti in corso di discussione,doveva poi esser pronunciata all'udienza del 20 giugno.



* * * * *


(30) - Trovasi in vu 14/3/87, p13.
(31) - Cfr. vu 20/6/87, pp. 29-33.


1.13) 27 febbraio 1988 - 23 giugno 1988
L'ulteriore corso del giudizio,sino
all'ingresso in camera di consiglio. L'incarto processuale


1.13.1) La discussione


14/03/88 Il 14 marzo aveva inizio la discussione. Le arringhe dei difensori delle parti civili occupavano 14 udienze, distribuite nella seconda metà del mese. Gli Avvocati MONTORZI (1), GUERINI e MELCHIONDA (2),TROMBETTI (3), PULITANO' (4), TARSITANO (5), CALVI (6), GIAMPAOLO (7), GRASSI (8), nonché l'Avvocatura dello Stato (9), ciascuno per i propri rappresentati, concludevano contro tutti gli imputati e per tutti i reati loro rispettivamente ascritti per i quali la costituzione di parte civile era stata ammessa. L'Avv. BENDINELLI, per la sua rappresentata, concludeva (10) contro tutti gli imputati per i reati loro


rispettivamente ascritti, "in ispecie con riferimento ai reati di cui ai n.ri 1,2,3,5 e 6 dell'imputazione". L'AVV.

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(1) - Cfr. vu 14/3/88, pp. 14-18.
(2) -Cfr. vu 17/3/88, p14.
(3) -Cfr. vu 22/3/88, pp. 13-15.
(4) -Cfr. vu 22/3/88, pp. 16-17.
(5) -Cfr. vu 23/3/88, p14.
(6) -Cfr. vu 24/3/88, pp. 19-22.
(7) -Cfr. vu 25/3/88, pp. 14-16.
(8) -Cfr. vu 25/3/88, pp. 17-20.
(9) -Cfr. vu 28/3/88, pp. 17-18.
(10) -Cfr. vu 24/3/88, pp. 14-15.


SPINZO, per il suo rappresentato, concludeva (11) contro
tutti gli imputati e per tutti i reati loro ascritti. L'Avv. TASSI concludeva,per VALE Antonia e Umberto (12) e per FIORE Roberto (13), contro gli imputati MUSUMECI, BELMONTE, GELLI e PAZIENZA. L'Avv. CRISTOFORI, per ROSSI Giovanni (14) e AFFATIGATO Marco (15), concludeva contro gli stessi quattro imputati, per tutti i reati loro ascritti o per quelli eventualmente configurati in sede decisoria. Per le sole parti civili RONDELLI, FIORE, ROSSI Giovanni ed AFFATIGATO veniva proposta istanza di assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva.


11/04/88 L'11 aprile prendeva la parola il PUBBLICO MINISTERO per le requisitorie finali. L'intervento della pubblica accusa occupava complessivamente dieci udienze, e si protraeva sino al giorno 22.


20/04/88 Il 20 aprile, il PUBBLICO MINISTERO prendeva le conclusioni nei confronti di taluni degli imputati, richiedendo (16) la condanna alla reclusione nella misura di anni 18 per il

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(11) - Cfr. vu 24/3/88, p18. (12) - Cfr. vu 31/3/88, p13. (13) - Cfr. vu 31/3/88, p14. (14) - Cfr. vu 31/3/88, pp. 15-16. (15) - Cfr. vu 31/3/88, pp. 18-19. (16) - Cfr. vu 20/4/88, pp. 12-13.


GELLI, di anni 15 per il MUSUMECI ed il PAZIENZA, di anni 13 per il BELMONTE (previa unificazione, per questi quattro prevenuti, dei delitti di associazione eversiva e calunnia pluriaggravata), di anni 15 per il DELLE CHIAIE, di anni 13 per il GIORGI (previa unificazione dei delitti ascrittigli), di anni 12 per il DE FELICE ed il TILGHER, e di anni 8, previa concessione delle attenuanti generiche, per il BALLAN.


22/04/88 Il giorno 22 venivano rassegnate le richieste per i rimanenti imputati (17), nei seguenti termini: assoluzione dello IANNILLI per insufficienza di prove; condanna del SIGNORELLI, del FACHINI, del RINANI, del FIORAVANTI, della MAMBRO e del PICCIAFUOCO, per il delitto di strage, i delitti contestuali ed il delitto di banda armata, con conseguente irrogazione, per la strage, dell'ergastolo, comprensivo anche della pena temporanea da infliggere per gli altri reati; declaratoria di estinzione per amnistia del reato ascritto all'HUBEL; declaratoria di estinzione per prescrizione del reato i cui all'art. 496 Codice Penale

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(17) - Cfr. vu 22/4/88, pp. 12-13.


ascritto al PICCIAFUOCO.


Dal 26 aprile prendevano la parola i difensori per le arringhe, formulando le seguenti richieste finali:


26/04/88 l'Avv. NASO (18) per il GIULIANI: "assoluzione con ampia formula, o perché il fatto non sussiste o perché non l'ha commesso";


27/04/88 l'Avv. CAROLEO GRIMALDI (19) per lo IANNILLI: "assoluzione con formula piena, perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto";


l'Avv. PILATO (20) per lo IANNILLI: "assoluzione con formula piena";


29/04/88 l'Avv. SANGERMANO (21) per il BALLAN: "assoluzione perché il fatto non sussiste; in subordine minimo pena; concessione delleattenuanti generiche; attenuante dell'avvenuta dissociazione";


02/05/88l'Avv. MAROTTI (22) per il TILGHER: "assoluzione";


03/05/88 l'Avv. LENZI (23) per il MELIOLI: "...essendo già stato assolto dal giudice di Roma per gli addebiti che gli erano

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(18) - Cfr. vu 26/4/88, p13.
(19) - Cfr. vu 27/4/88, p12.
(20) - Cfr. il passo di cui alla nota che precede.
(21) - Cfr. vu 29/4/88, p13.
(22) - Cfr. vu 2/5/88, p12.
(23) - Cfr. vu 3/5/88, p13. stati mossi, applicazione dell'art. 90...assoluzione con formula piena in subordine";


04/05/88l'Avv. SPINELLI (24) -alle cui conclusioni si riportava poi anche l'Avv. VINCENZI (25)- per il BELMONTE: "assoluzione perché il fatto non sussiste o non aver commesso il fatto all'art. 270 bis; assoluzione quantomeno per insufficienza di prove o perché il fatto non costituisce reato al delitto di calunnia; esclusione dell'aggravante della finalità di terrorismo; ritenersi in ipotesi gradata solo l'ipotesi della calunnia; continuazione dell'ipotesi già giudicata dalla sentenza...già irrevocabile della Corte d'Assise d'Appello di Roma";


09/05/88 l'Avv. BATTISTA (26) per il DE FELICE: "assoluzione con formula piena";


10/05/88 l'Avv. GIANZI (27) per il DE FELICE: "assoluzione con la formula più ampia perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto";


11/05/88 l'Avv. MENICACCI (28) per il DELLE CHIAIE: "assoluzione con

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(24) - Cfr. vu 4/5/88, p12.
(25) - Cfr. vu 5/5/88, p13.
(26) - Cfr. vu 9/5/88, p15.
(27) - Cfr. vu 10/5/88, p12.
(28) - Cfr. vu 11/5/88, p13 e vu 12/5/88, p13.


formula piena";


16/05/88l'Avv. CORREGGIARI (29) per il GELLI: "assoluzione dall'associazione sovversiva perché il fatto non sussiste e dalla calunnia per non averlo commesso";


17/05/88 l'Avv. BACHERINI (30) per il MUSUMECI: "per quanto riguarda la calunnia", rilevata "ai sensi dell'art. 185 n. 1 la nullità assoluta dell'emissione del decreto di citazione a giudizio...emettersi sentenza incompetenza per materia e rinviare gli atti relativi al Tribunale competente per materia...per l'art. 270 bis l'assoluzione perché i fatti non sussistono";


18/05/88 l'Avv. LENZI (31) per il GIORGI: "assoluzione con formula piena...per quanto riguarda l'arma l'applicazione dell'amnistia in subordine e in via principale l'assoluzione con formula piena"; e per il RAHO: "assoluzione con formula piena";


20/05/88 l'Avv. DEL VECCHIO (32) per il PAZIENZA: "assoluzione con formula piena";




* * * * *


(29) - Cfr. vu 16/5/88, p13.
(30) - Cfr. vu 17/5/88, p13.
(31) - Cfr. vu 18/5/88, p13.
(32) - Cfr. vu 20/5/88, p11.


21/05/88 l'Avv. DE GORI (33) per il PAZIENZA: "assoluzione con formula piena perché il fatto-reato non sussiste o perché non l'ha commesso";


l'Avv. BONA (34) per il CAVALLINI: "assoluzione per non aver commesso il fatto";


23/05/88l'Avv. CAPRARO (35) per il RINANI: "assoluzione";


24/05/88 l'Avv. GASPARDINI (36) per il RINANI: "assoluzione piena";


25/05/88 l'Avv. ANTETOMASO (37) per il SIGNORELLI: "assoluzione quantomeno per insufficienza di prove";


26/05/88 l'Avv. BORDONI (38) per il SIGNORELLI: "l'assoluzione dai reati associativi perché il fatto non sussiste; l'assoluzione dal delitto di strage per non aver commesso il fatto";


27/05/88 l'Avv. CERQUETTI (39) per il FIORAVANTI e la MAMBRO: "per quanto riguarda l'imputazione di banda armata l'assoluzione"


30/05/88 ...per quanto riguarda il delitto di strage ed i delitti strumentali "l'assoluzione per non aver commesso il fatto";




* * * * *


(33) - Cfr. vu 21/5/88, p17.
(34) - Cfr. il passo di cui alla nota che precede.
(35) - Cfr. vu 23/5/88, p12.
(36) - Cfr. vu 24/5/88, p12.
(37) - Cfr. vu 25/5/88, p11.
(38) - Cfr. vu 26/5/88, p11.
(39) - Cfr. vu 27/5/88, p11, e vu 30/5/88, p13.


28/05/88 l'Avv. DEAN (40) per il GELLI: "nel merito l'assoluzione perché il fatto non sussiste, prevalendo ex art. 152 questa decisione sulla questione di improcedibilità per
l'eccezione" sollevata in via preliminare;


01/06/88 l'Avv. LISI (41) per il PICCIAFUOCO: "l'assoluzione per non aver commesso il fatto";


07/06/88 l'Avv. PISAURO (42) per il DELLE CHIAIE: "assoluzione con formula ampia" perché "il reato contestato è insussistente, perché manca la prova del vincolo associativo e non esiste l'associazione";


08/06/88 l'Avv. BEZICHERI (43) -alle conclusioni del quale l'Avv. VASSALLO, codifensore del FACHINI, si era anticipatamente rimesso (44)- per il FACHINI: "l'assoluzione per non aver commesso il fatto, in subordine per assoluta insufficienza di prove all'accusa di concorso in strage e tutti i reati connessi con questa accusa...l'assoluzione perché il fatto non sussite o per non averlo commesso o per insufficienzadi prove dalle accuse di aver partecipato a un'associazione


* * * * *


(40) - Cfr. vu 28/5/88, p15.
(41) - Cfr. vu 1/6/88, p12.
(42) - Cfr. vu 7/6/88, pp. 14-15.
(43) - Cfr. vu 8/6/88, p12.
(44) - Cfr. vu 3/6/88, p13. sovversiva così come delineata nel capo di imputazione, con
finalità anche di depistaggio in favore dei presunti responsabili dell'esplosione del 2/8/80 alla stazione di Bologna e assoluzione con le stessse formule all'accusa di aver fatto parte di una banda armata così come contestata nel capodiimputazione,e cioè finalizzataalla ideazione, organizzazione e esecuzione di quell'attentato";


per il PICCIAFUOCO: "l'assoluzione da tutte le imputazioni di strage e reati connessi, associazione sovversiva e banda armata...per non aver commesso questi fatti, o subordinatamente per insufficienza di prove e...non doversi procedere per amnistia...per il reato di false dichiarazioni sulla identità";


per l'HUBEL: "assoluzione, perché ai sensi dell'art. 152 del C.P.P. risulta che i fatti a lui contestati di reticenza non possono costituire reato".


Di ulteriori istanze, deduzioni ed eccezioni -di carattere interlocutorio o attinenti al rito, o comunque diverse dalle riportate richieste di merito- proposte in sede di conclusioni o anche di replica, si dirà in prosieguo.


14/06/88 Nei giorni 14 e 15 giugno prendevano la parola per le repliche i difensori delle parti civili (45).


16/06/88Nei giorni 16 e 17 giugno replicava il Procuratore della Repubblica (46).


18/06/88 Fra il 10 ed il 23 replicavano, infine, i difensori degli imputati (47).


23/06/88 All'esito della discussione, rendevano dichiarazioni ai sensi dell'art. 468 IV comma del Codice di rito, nell'ordine, gli imputati PAZIENZA (48),DELLE CHIAIE (49), MELIOLI (50), FACHINI (51), RINANI (52), FIORAVANTI (53) e MAMBRO (54).


Dopo di ciò, alle ore 12,40 del 23 giugno, la Corte si ritirava in camera di consiglio per deliberare (55).


1.13.2) Le ordinanze ex art. 469 C.P.P.


In corso di discussione la Corte aveva adottato, su istanza

* * * * *


(45) - Cfr. vu 14/6/88, pp. 13 e 51 e vu 15/16/88, pp. 13 e 18.
(46)- Cfr. vu 16/6/88, pp. 13-20 e vu 17/6/88, p18.
(47)- Cfr. vu 18/6/88, pp. 10-11 e 18; vu 20/6/88, pp. 13-14; vu 21/6/88, p12; vu 22/6/88, pp. 15-16 e 46; vu 23/6/88, p14.
(48) - Cfr. vu 23/6/88, pp. 14 e 153-155.
(49) - Cfr. vu 23/6/88, pp. 155-156 e 157-169.
(50) - Cfr. vu 23/6/88, pp. 156 e 170-171.
(51) - Cfr. vu 23/6/88, pp. 171 e 189-191.
(52) - Cfr. vu 23/6/88, p191.
(53) - Cfr. vu 23/6/88, pp. 191 e 216-221.
(54) -Cfr. vu 23/6/88, pp. 221-223.
(55) -Cfr. vu 23/6/88, p223.


di parte e anche d'ufficio, taluni provvedimenti ai sensi
dell'art. 469 del Codice di rito. In particolare, con l'ordinanza 15/4/1988 (56) erano state respinte tutte le istanze istruttorie sino ad allora proposte in corso di discussione. Con l'ordinanza 13/6/88 (57), provvedendo su tutte le istanze proposte dopo il 15 aprile e pronunciandosi anche d'ufficio, la Corte aveva ordinato l'acquisizione agli attidi un cospicuo numero di documenti (58). Infine, con l'ordinanza in data 17 giugno (59), a scioglimento di una riserva precedentemente assunta, aveva rigettato l'istanza di acquisizione della relazione di perizia disposta da altra autorità sul materiale esplosivo recuperato nel Lago di Garda, ordinando invece l'acquisizione dell'elaborato peritale relativo all'attentato di Castelfranco Veneto dell'8/3/1980.




* * * * *




(56)- Cfr. vu 15/4/88, pp. 188-189. Tale provvedimento risulta integrato da quello ulteriore pronunciato alla successiva udienza (cfr. vu 18/4/88, p14). (57) - Cfr. vu 13/6/88, pp. 532-533. (58) - Il quadro dei documentiacquisiti risulta dalla sinottica lettura dell'ordinanza e del verbale d'udienza, essendosi nel dispositivo fatto riferimento agli atti e documenti sulla cui acquisibilità era stata aperta la discussione nel corso della medesima udienza.
(59) -Cfr. vu 17/6/88, pp. 12-13.


1.13.3) L'incarto processuale


Al momento dell'ingresso in camera di consiglio, l'incarto processuale si compone di 250 volumi. Di essi, 175 attengono alla fase istruttoria del procedimento cosiddetto `della strage' (Proc. pen. n.344/A/80 R.G.G.I., provvisto di indici raccolti in ulteriore separato volume); 5 all'istruttoria del procedimento a carico del PAZIENZA per associazione eversiva (Proc. Pen. n. 181/A/86, provvisto di indici raccolti in un'ulteriore separata cartella); 9 al procedimento cosiddetto `della calunnia' (Proc. pen. n. 3496/A/84 R.G.P.M.); 2 alla fase predibattimentale dei procedimenti (di cui uno di varie ed uno comprendente i decreti di citazione dei tre procedimenti e la copertina del procedimento `della strage'); 5 raccolgono atti di citazione ed ulteriore documentazione afferente ai testi e 10 le cartelle personali degli imputati, comprendenti atti di varia natura riguardanti le singole posizioni; 44 attengono alla fase dibattimentale dei procedimenti riuniti (di cui 29 comprendono i verbali d'udienza e le produzioni, e 15 raccolgono gli atti acquisiti dalla Corte o comunque pervenuti in corso di giudizio).


L'intero incartamento si compone, con buona approssimazione, di circa 200.000 pagine. Al fascicolo cartaceo si accompagnano 773 bobine, contenenti le registrazioni magnetofoniche delle udienze.


I volumi istruttori del procedimento `della strage'


-contenenti ciascuno un numero variabile di cartelle, comprendenti a loro volta un numero variabile di atti- sono ordinati per tipi di atti (volumi dei rapporti giudiziari, degli interrogatori, degli esami testimoniali, ecc.) e per `piste' (60).


I verbali dibattimentali registrano l'attività processuale

di 206 udienze (per una durata complessiva di parecchie

centinaia di ore), fra cui vanno ricordati, oltre agli interrogatori degli imputati, protrattisi per 34 udienze, gli esami di 14 parti lese non costituitesi parte civile e di120 parti civili, le escussioni di 128 ulteriori


* * * * *



(60) -Cioè: pista "A", che potrebbe definirsi `principale'; pista "B" o `pista CIOLINI'; pista "C" o `spagnola'; pista "D" o `libanese'. La quadripartizione si registra peraltro soltanto per i rapporti giudiziari, appartenendo altri tipi di atti (interrogatori, esami testimoniali, perquisizioni, sequestri, ecc.) soltanto alle piste "A" e "B".


testimoni, nonché gli interrogatori di 50 persone sentite ai sensi dell'art. 450 bis o, comunque, con le garanzie della difesa.


Gli atti processuali documentano la preziosa opera della Polizia Giudiziaria. In particolare, registrano l'infaticabile attività della DIGOS di Bologna, distintasi, fra l'altro, per la qualificata collaborazione prestata in un delicato settore d'indagine, quale l'inchiesta relativa al delitto di calunnia pluriaggravata. I rapporti in atti attestano la quantità e qualità del lavoro svolto. In corso di giudizio poi, sempre ad opera della DIGOS di Bologna, sono stati compiuti gli accertamenti del cui significativo esito si dà conto nel rapporto 20/8/1987 (61), relativo `passaporto BRUGIA'.


Alla cospicua attività d'indagine dell'Arma dei Carabinieri, va invece ascritto, in particolare, il ritrovamento dell'arsenale subacqueo nel Lago di Garda, di cui si riferisce nel rapporto 2/11/1987 (62).




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(61) - Cfr. supra, sub 1.12.1).
(62) - Cfr. supra, sub 1.12.4.2.1).


PARTE SECONDA: I MOTIVI DELLA DECISIONE


La presente parte della trattazione si divide in cinque capitoli. I primi quattro, rispettivamente con riferimento al delitti di strage ed ai delitti contestuali, al delitto di banda armata, al delitto di calunnia pluriaggravata, ed

al delitto di associazione eversiva, si occupano dell'enucleazione e valutazione del quadro probatorio e della verifica della fondatezza o non dell'ipotesi accusatoria in relazione alle singole posizioni; il quinto, oltre che dei reati minori, si occupa del trattamnento sanzionatorio con riferimento a tutti i delitti giudicati, nonché delle disposizioni accessorie, di una serie di ulteriori questioni ed eccezioni sollevate dalle difese, e, da ultimo, delle parti civili. Ad evitare ripetizioni, si sono concentrate in un capitolo (quello relativo al delitto di banda armata), ma debbono intendersi naturalmente riferite a tutti i delitti, talune argomentazionidi ordinegenerale relativeai criteri di valutazione delle chiamate in correità ed `in reità', al tema della credibilità intrinseca di vari soggetti processuali, nonché ai limiti di operatività del giudicato.


2.1) Il delitto di strage ed i delitti contestuali


2.1.1) Le linee del quadro probatorio


La compiuta disamina delle risultanze processuali impone (salvo che per il delitto di danneggiamento) l'affermazione della penale responsabilità degli imputati FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO e PICCIAFUOCO, nonché l'assoluzione per insufficienza di prove degli imputati RINANI e SIGNORELLI.


La decisione della Corte si snoda, in estrema sintesi, attraverso i seguenti passaggi:


a) l'esplosione del 2 agosto 1980 alla Stazione Ferroviaria di Bologna fu di natura dolosa ed è quindi tecnicamente configurabile come delitto di strage (viene in tal senso in considerazione la relazione di perizia tecnica chimico-esplosivistica in atti).


b) La strage è riconducibile ad ambienti della destra eversiva (supportano tale convincimento una serie di documenti acquisiti agli atti, nonché talune indicazioni testimoniali provenienti dal carcere di Ferrara e
raccolte in epoca immediatamente successiva ai fatti).


c) La paternità della strage va ascritta, più in particolare, ad un'organizzazione aggregante, con comunione di mezzi e di obiettivi, i poli romano e veneto dell'eversione neofascista (in tal senso vanno complessivamente interpretate le notizie, riferite già prima della strage, da Luigi VETTORE PRESILIO e da Amos SPIAZZI, nonché le dichiarazioni -rese dopo il delitto, ma riferentisi a fatti anteriori- di Mario Guido NALDI, di Mirella ROBBIO e di Leonardo GIOVAGNINI).


d) Una molteplicità di elementi -che saranno compiutamente esaminati nel capitolo relativo alla banda armata, cui occorre pertanto fare rinvio- indicano nel FACHINI e nel SIGNORELLI due esponenti di spicco di un'organizzazione terroristica operante fra il 1978 ed il 1979 e dedita ad attività dinamitarda, nell'ambito della quale entrambi ebbero anche veste di procacciatori di esplosivo; ed indicano altresì, con riferimento all'arco di tempo che l'imputazione abbraccia, una fitta trama di rapporti, già precedentemente consolidatisi, fra il SIGNORELLI, il duo
FIORAVANTI-MAMBRO, il CAVALLINI ed il FACHINI, nell'ambito di un progetto ispirato ad un'impressionante `escalation' terroristico-militare.


e) A carico di Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO è dato apprezzare un compendio probatorio complesso e penetrante, formato da elementi di diversa provenienza e perfettamente riconducibili ad unità. Occorre in tal senso valutare: le dichiarazioni di Massimo SPARTI (così come controllate attraverso le dichiarazioni di Fausto DE VECCHI), per quanto attiene alla presenza operativa degli imputati in questione nel giorno e nel luogo del delitto;

le versioni, internamente e reciprocamente contraddittorie, fornite dai prevenuti in merito ai loro spostamenti ed alle loro frequentazioni nei giorni a cavallo della strage, nonché le smentite provenienti, sui medesimi argomenti, da direzioni diverse; il significato della telefonata di Luigi CIAVARDINI in data 1° agosto 1980 (della quale si dirà); i precedenti dinamitardi del FIORAVANTI; il progetto precedentemente coltivato da costui, di altro attentato di marca stragista; la responsabilità del FIORAVANTI e della MAMBRO per l'assassinio di Francesco MANGIAMELI, che li aveva ospitati sino a pochi giorni prima della strage: elemento da valutarsi alla luce dell'intervista rilasciata da Amos SPIAZZI al settimanale `L'Espresso', delsignificato della lettera anonima successivamente inviata da Alberto VOLO, amico e sodale del MANGIAMELI, allaQuestura di Palermo e del contenuto del volantino diffuso nel settembre del 1980 dal gruppo palermitano di `Terza Posizione'; la presenza alla Stazione Ferroviaria di Bologna, la mattina del 2/8/80, per motivi mai plausibilmente spiegati, del latitante Sergio PICCIAFUOCO, persona in possesso, in tempi diversi, di documenti falsificati, in grado di porlo in collegamento, rispettivamente, con il VOLO ed il MANGIAMELI da una parte, e con il gruppo dei fratelli FIORAVANTI e di Francesca MAMBRO dall'altro.


f) Sergio PICCIAFUOCO, presente alla Stazione di Bologna al momento dell'esplosione, non soltanto è collegato in vario modo -come si è visto- a persone gravitanti nell'ambiente nel quale la strage è maturata, ma risulta ricompreso in un elenco di detenuti di estrema destra redatto da Gilberto CAVALLINI e sequestrato a costui all'atto dell'arresto. Viene indicato da rapporti di polizia giudiziaria (e si vedrà su quali basi) come ex detenuto comune, in seguito politicizzatosi ed avvicinatosi al movimento `Terza Posizione'. Non soltanto non è stato in grado di giustificare la sua presenza sul luogo della strage, ma ha fornito, in proposito, versioni pesantemente contraddittorie ed inverosimili.


g)Massimiliano FACHINI, indicato dal teste VETTORE come capo del gruppo eversivo di cui faceva parte Roberto RINANI, cioè del gruppo all'interno del quale veniva maturando il progetto stragista di imminente attuazione, disponeva di ingenti quantitativi di esplosivo di recupero militare, ed, in particolare, dell'esplosivo militare entrato nella miscela utilizzata per l'attentato alla Stazione di Bologna. Su indicazione di Gian Luigi NAPOLI, sono stati individuati, in corso di giudizio, i vari punti del Lago di Garda in cui è sommerso il munizionamento dal quale il gruppo FACHINI attingeva le

proprie riserve di esplosivo. Risulta dalle dichiarazioni di Mauro ANSALDI e Paolo STROPPIANA che, in epoca immediatamente precedente la strage, il FACHINI, incontrando a Bologna Giovanna COGOLLI, l'aveva invitata a lasciare la città, in vista di un qualcosa che sarebbe dovuto accadere. Stefano NICOLETTI ha poi riferito quanto appreso nel carcere di Ferrara da Edgardo BONAZZI a proposito della responsabilità del FACHINI e del SIGNORELLI nell'attentato, e dell'affidamento che costoro avrebbero fatto sull'operato dei "ragazzini".


h) Le dichiarazioni di Raffaella FURIOZZI -intervenute all'esito dell'istruttoria a carico degli imputati FIORAVANTI e MAMBRO- si vengono a porre quale ulteriore elemento di conferma rispetto alla posizione di costoro, e, indirettamente, vengono a confortare il quadro accusatorio complessivo.
i)Le risultanze processuali rappresentano la strage come atto idoneo a realizzare gli obiettivi strategici della banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione, ed individuano quindi il perseguimento di quelle finalità quale movente dei responsabili dell'attentato, capace di aggregarli nella realizzazione del medesimo.


Ciascuno dei passaggi testé indicati dovrà ora essere compiutamente analizzato, attraverso la verifica degli elementi sin qui enunciati al solo fine di tratteggiare per sommi capi il quadro complessivo della decisione, nonché di altri minori, la cui disamina si renda necessaria per la completa trattazione di ognuno dei punti in cui la decisione stessa si articola. Si darà conto, nel corso di tale analisi, delle ragioni per la quali il Collegio non ha ritenuto di utilizzare accusatoriamente la deposizione del teste Giuseppe RIZZO, escusso all'udienza del 29/1/1988.


2.1.2) La valutazione delle prove
Le responsabilità individuali


2.1.2.1) La natura dell'esplosione


Si è accennato che la prima preoccupazione degli inquirenti fu di accertare se l'esplosione fosse stata premeditatamente provocata o fosse riferibile a cause accidentali.


Siffatto dubbio appare completamente superato.


Innanzitutto va certamente esclusa l'ipotesi, affacciata in un primo tempo, che si possa esser trattato dell'esplosione di una caldaia o di una fuga di gas. Già alla ore 15 del 2 agosto 1980, i periti, "esaminate le piante dei luoghi assieme al tecnico dell'Azienda Gas, visti i luoghi e le caratteristiche dell'esplosione" (1), erano in grado di escludere che potessero attribuirsi gli effetti della stessa ad una deflagrazione di gas e di prevedere l'imminente ritrovamento del "cratere-epicentro relativo al brillamento di esplosivo convenzionale". E in effetti, alle 21,30 dello stesso giorno, il cratere-epicentro veniva individuato all'interno della sala d'attesa di 2ª classe (2).

V'è da segnalare che tra i feriti v'erano anche un ex istruttore degli Alpini ed un capitano della Scuola di Artiglieria di Sabaudia: persone aventi quindi entrambe esperienza, e la seconda anche competenza specifica in materia di esplosivi. Alessandro BALLERINI, alla domanda del Presidente se avesse avvertito odori particolari, rispondeva: "Un odore particolare. Ho intuito che fosse una bomba, come l'odore di polvere da sparo". Richiesto di



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(1)- Cfr. p9 della relazione di perizia chimico- esplosivistica, in PA, V1.
(2) - Cfr. il passo citato alla nota che precede.


chiarire se avesse esperienza olfattiva di polvere da sparo, aggiungeva: "ero istruttore degli alpini. L'odore che sentii mi sembrò di polvere da sparo, almeno questa fu la mia sensazione" (3). Per quanto riguarda il teste Goffredo Giuseppe D'AGUANNO, va qui riportato un brano della sua deposizione dibattimentale(4): "Il Presidente: `essendo capitano d'artiglieria, non ricorda d'aver visto la fiammata e di aver sentito odori particolari?' ...Il teste:

`sicuramenteho escluso, perché le prime voci davano per un esplosione avente causa gas. L'ho escluso in partenza anche per un'esperienza diretta, e ho ritenuto immediatamente che si trattasse di esplosivo, sicuramente tritolo o pirite o qualche cosa del genere.' Il Presidente:`da che cosa lo dedusse questo?' Il teste: `ho una dimestichezza col munizionamento di artiglieria.' Il Presidente: `non vide la fiammata?' Il teste:`no, assolutamente.' Il Presidente: `sentìodori particolari?'Il teste:`odori senz'altro.' Il Presidente: `di che genere?' Il teste: `odore tipico di quello che può essere il tritolo o la pirite. In ogni caso



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(3) - Cfr. vu 23/9/87, p128.
(4) - Cfr. vu 23/9/87, p178. il gas dàfastidio al naso,almeno per ciò che riguarda la mia esperienza. Il tritolo dà una sensazione quasi dolciastra, quasi piacevole, tipica in ogni caso. In quel momento lì l'ho riconosciuto, anche se decisamente c'era qualche problema di conoscenza e di piena consapevolezza, ma l'odore è caratteristico.'"


L'indagine tecnica condotta dai periti chimico-esplosivistici è in effetti valsa ad accertare che la tragedia fu causata da una carica esplodente, collocata

nella sala d'aspetto di 2ª classe, a circa 50 centimetri dal suolo, sopra il tavolinetto portabagagli, ubicato nell'angolo del locale immediatamente sulla destra di chi vi accede dal 1° binario.


Occorre in proposito sgomberare subito il campo da un possibile equivoco.

Va qui ricordato che, nei primi giorni dopo la strage, vari campioni di terriccio furono spediti, per essere sottoposti ad indagini di laboratorio, non soltanto in Germania,al `Bundeskriminalamt' di Wiesbaden, ma anche alla Divisione di Polizia Scientifica della Criminapol, ed al Centro Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri. Gli organi investiti delle indagini vi provvedevano in un breve volger di tempo e trasmettevano poi agli inquirenti brevi elaborati ad illustrazione delle rispettive attività (5). I campioni di terriccio loro trasmessi erano stati tutti confezionati, scorporandoli dalla massa di terriccio prelevata a cura dei periti d'ufficio: in sostanza, vennero spedite frazioni del prelevamento complessivo, la cui maggior parte rimase sempre a disposizione dei periti d'ufficio, che la sottoposero ad analisi, provvedendo autonomamente all'espletamento dell'incarico loro affidato. La sequenza delle operazioni di prelevamento e setacciamento del materiale da cui furono tratti i reperti poi sottoposti alle indagini di laboratorio è descritta nella parte narrativa della perizia, ove si precisa che già nella serata del 2 agosto venne effettuato un prelievo del terreno di superficie del cratere-epicentro e vennero setacciati i materiali siti all'interno del predetto cratere. Così


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(5) - Cfr. RT, V1, C1, rispettivamente pp. 5-8 (`Bundeskriminalamt'), pp. 12-29 (Polizia Scientifica) e pp.30-51 (Carabinieri). Un supplemento di relazione del `Bundeskriminalamt', risalente al dicembre '80, trovasi in RT, V1, C1, p10. prosegue testualmente la narrativa della relazione (6): "Il successivo mattino venivano effettuati dei prelievi di terriccio (quattro) a distanza di alcuni metri dal suddetto cratere e veniva ancora setacciato il materiale ancora esistente nel cratere per una profondità massima di cm. 10 circa; venivano repertati altresì alcuni materiali direttamente coinvolti nell'esplosione, nessuno dei quali appartenente all'ordigno esplodente. Il 4 Agosto 1980 veniva effettuata una accurata ispezione delle carrozze coinvolte dall'esplosione in 1° binario, del relativo tratto di binario, nonché della zona circostante il cratere di esplosione; venivano così repertati altri materiali direttamente coinvolti nell'esplosione ma non appartenenti all'ordigno esplodente. Successivamente i Magistrati affidavano a una équipe di esperti, formata da tre Sottufficiali-artificieri ed antisabotatori, di setacciare, con l'aiuto di mezzi e personale dell'Esercito, tutti i detriti, sgomberati presso la Caserma dei Prati di Caprara a Bologna; il lavoro, durato oltre trenta giorni, interessava circa 300 metri cubi di materiale di diversa pezzatura e


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(6) - Da p10, rigo 5 a p12, rigo 11. qualità e veniva eseguito, setacciando con griglia fine, in presenza dei tre periti e con la periodica sorveglianza del dr. MARINO e del Col. SPAMPINATO. Venivano repertati molti materiali e di varie dimensioni (alcuni piccolissimi),
appartenenti alle vittime (documenti, valori, effetti personali ed umani frammenti) e facenti parte degli arredi e dei generi in vendita nei locali della Stazione; nessun elemento facente parte dell'ordigno esplodente potevasi repertare. Il 19 settembre veniva effettuato spolveramento,
mediante tamponi sterili, delle superfici esterne delle carrozze coinvolte nell'esplosione. Nel mese di settembre

venivano effettuate prove di brillamento di esplosivo
convenzionale presso il poligono di Aulla, impiegando tipi e quantità diverse di esplosivo posto a diverse altezze. L'8 Ottobre 1980 tutti i periti estensori della presente relazione effettuavano dei prelievi nella zona intorno al cratere di esplosione e nel cratere stesso a varie profondità...Nei successivi tempi venivano eseguite le analisi di laboratorio più avanti descritte."


Le analisi di laboratorio ebbero ad interessare anche campioni provenienti da reperti di terreno prelevati il 2 agosto: in particolare il campione `E' del reperto n. 1, costituito, appunto, da terriccio (7).


La precisazione si è resa necessaria, per chiarire che i periti d'ufficio, i quali, oltre ai campioni provenienti dai reperti prelevati il 19 settembre su due carrozze passeggeri del treno straordinario Ancona-Basilea, investito dall'esplosione, ed al materiale prelevato nell'ottobre,

sottoposero ad analisi di laboratorio anche lo stesso terriccio che, in parte, fu inviato agli organi di cui si è detto sopra, pervenendo -quanto a quest'ultimo- a risultati la cui parziale divergenza -e comunque non inconciliabilità- rispetto ai risultati altrove ottenuti, è agevolmente spiegabile con la maggior completezza e precisione delle tecniche d'indagine adottate dai periti d'ufficio.


La questione è stata sollevata in relazione al mancato rinvenimento di tracce di esplosivo da parte degli analisti tedeschi, e tale ultimo aspetto è stata oggetto di specifiche domande rivolte ai periti, comparsi davanti alla



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(7) - Cfr. relazione di perizia, p33 e allegato 8. Corte all'udienza del 17/12/1987: in tale occasione (8), essi hanno fatto rilevare che i periti di Wiesbaden hanno utilizzato esclusivamente la tecnica della cromatografia in strato sottile, mentre il Collegio investito della perizia d'ufficio ebbe a rinvenire nitroglicol e nitroglicerina anche nel campione `E', valendosi della doppia metodica della cromatografia in strato sottile e ad alta pressione.


Resta dunque convincentemente spiegata la solo parziale sovrapponibilità delle risultanze della perizia d'ufficio e delle indagini di laboratorio di Wiesbaden.


Peraltro, la natura, la molteplicità, la meticolosità ed il rigore scientifico delle tecniche d'indagine impiegate dal Collegio peritale sono idonei a sgomberare il campo da ogni perplessità. Si è trascritto sopra il brano di relazione in cui si riferisce la metodica certosina della campionatura. Occorre ancora rilevare che i periti ebbero cura di prelevare materiali di raffronto a distanza via via crescente dall'epicentro dell'esplosione; adottarono tecniche d'analisi di estrema raffinatezza scientifica, di


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(8) - Cfr. vu 18/12/87, p56. cui hanno dato compiutamente conto, sia in sede scritta che orale, consentendo al giudice l'adeguato controllo dello `iter' logico restrostante alle scelte tecniche ed all'elaborazione scientifica dei dati acquisiti in corso d'indagine. La congruità e la persuasività dell'argomentare dei periti sono tali che non è dato cogliere altre serie obiezioni di ordine generale al loro elaborato. V'è invece unaquestione particolare,attinente alla individuazione, nella carica esplodente, di elementi la cui presenza è
accusatoriamente utilizzabile nei confronti dell'imputato FACHINI: questione che l'ordine della trattazione impone di affrontare laddove si esaminerà la posizione del FACHINI.


Accertato che si trattò di esplosione dovuta alla detonazione di una carica esplodente e non ad altro, resta da verificare se si possa escludere che si sia trattato di uno scoppio accidentale, verificatosi nel corso di un trasporto di esplosivo, rispetto al quale la Stazione di Bologna rappresentasse soltanto un punto di transito. Siffatta ipotesi va esclusa in termini di certezza: la Corte non può che far proprie le conclusioni dei periti e del Giudice Istruttore, il quale, correttamente, osserva (9) che, al di là degli altri argomenti desumibili dalla stabilità del composto e dalle misure di sicurezza certamente adottate dagli organizzatori del trasporto, appare evidente che il trasportatore dell'esplosivo non l'avrebbe comunque mai abbandonato e, in caso di scoppio accidentale, sarebbe perito nell'esplosione. Dall'esame dell'elenco delle vittime della strage non emerge invece
alcun elemento di sospetto, e le indagini disposte sul cittadino spagnolo Francisco GOMEZ MARTINEZ, nato a Barcellona l'8/2/1957, non hanno suffragato in alcun modo l'ipotesi che egli stesse trasportando un ordigno (10). Vale la pena di aggiungere che appare del tutto improbabile il trasporto ferroviario di rilevanti quantità di esplosivo, e assolutamente remota l'eventualità di una sosta, da parte dell'ipotetico trasportatore, nella sala d'aspetto di un affollatissimo scalo ferroviario, in ispregio delle più elementari norme di sicurezza, necessario patrimonio comune deimilitantidiorganizzazioniterroristiche.


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(9) - SO, p273.
(10) - Cfr., sul punto, DF, C10, pp. 66, 70 e 71.


Ma v'è un altro argomento, in sé risolutivo. Come si vedrà in prosieguo di trattazione, esistono plurime indicazioni, provenienti da vari soggetti processuali, nel senso che l'attentato fosse in preparazione da tempo; a strage avvenuta, si sosterrà da più parti che gli effetti erano stati più devastanti di quelli da taluno voluti. E vi sarà addirittura chi, in anticipo rispetto alla strage -che ben può dirsi, dunque, `annunciata'- potrà avvertire un magistrato dell'imminente esecuzione di un attentato di eccezionale gravità, che per i riferimenti forniti, è stato identificato con certezza, `a posteriori', con l'attentato posto in essere il 2/8/1980 alla Stazione Ferroviaria di Bologna.


2.1.2.2) Riconducibilità della strage ad ambienti della destra extraistituzionale


2.1.2.2.1) Lo stragismo


Già con il mandato di cattura del 10/12/1985, il Giudice Istruttore aveva passato in rassegna (11) una serie di documenti idonei a "ricondurre agli ambienti dell'estrema destra, oggetto di indagine, l'ideazione e l'ispirazione

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(11) - OC, V1, C5, pp. 51-53.


politica delle stragi". I documenti, citati a titolo esemplificativo, sono poi stati ripresi nell'ordinanza di rinvio a giudizio (12), ma già prima erano stati analizzati dal PUBBLICO MINISTERO nelle requisitorie scritte (13). Si è osservato che essi "non sono significativi soltanto per il loro contenuto ideologico, sono anche la testimonianza documentale della esistenza di precisi disegni politici, indicano la riferibilità di determinati comportamenti a quei gruppi che ne rivendicano la paternità, precisano con certezza di elementi la internità alla destra eversiva di strategie stragiste ..." Non è questa la sede per riprendere in esame tutti i documenti passati al vaglio dalla pubblica accusa. Qui basterà ricordare quanto segue:


a) si è già riferito in narrativa (14) il contenuto essenziale del manoscritto recante l'annotazione "Da TUTI a Mario Guido NALDI", sequestrato il 31/8/1980 in una cabina telefonica di via Irnerio, in Bologna: occorre quindi farerinvio a quel passo della presente sentenza, aggiungendo soltanto che, nel manoscritto, ci si esprime

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(12) - Cfr. SO, pp. 653-667.
(13) - Cfr. RE, pp. 36-93.
(14) - Cfr. supra, sub 1.1.7). apertamente in termini di rifiuto della morale borghese, e diindifferenza rispetto alle perdite, anche non necessarie, inflitte al nemico od ai "neutrali", si indica nel terrorismo, sia indiscriminato che contro obiettivi ben individuati, il mezzo per realizzare l' offensiva(l'aereo da bombardamento del popolo) e si sostiene che il "cecchinaggio", pur valido da un punto di vista tattico, non è di per sé sufficiente a mettere in crisi le istituzioni, e dovrà essere affiancato, da un punto di vita strategico, da metodi di lotta di più ampia portata e di maggior coinvolgimento.

b) Nel documento manoscritto da Carlo BATTAGLIA e sequestratogli in Latina il 10/9/1980 (15), che, sotto l'intitolazione "Linea Politica",riporta, con varianti (16) un brano di `Occidente' di F. CAMON, si legge, tra l'altro: "Bisogna arrivare al punto che non solo gli aerei, ma le navi e i treni, e le strade siano insicure:

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(15) - Trovasi in PQA, V3, C81, pp. 19-29.
(16) - La presenza delle varianti (accuratamente passate in rassegna) è segnalata da PUBBLICO MINISTERO, in RI, C4, pp. 15-16. La presenza di differenza testuali rispetto al libro di CAMON e l'intitolazione "Linea Politica" stanno ad indicare che non ci si trova di fronte alla mera ricopiatura di un brano letterario, ma all'utilizazione dello stesso come base per l'elaborazione di un programma politico all'interno di un'organizzazione con intenti eversivi.


bisogna ripristinare il terrore e la paralisi della circolazione...Trovarsi d'accordo per distruggere è l'unico modo per restare insieme...dobbiamo lanciare il segnale e raccoglierci...arrecare danni al sistema è un errore: il sistema te ne chiederà conto. Ma provocarne la disintegrazione, questo è il rimedio. Occorre un'eplosione da cui non escano che fantasmi".


c) Nella lettera (17) inviata il 28/2/1980 da Carluccio FERRARESI a Roberto FRIGATO, sequestrata presso l'abitazione di quest'ultimo, si legge: "Roberto mi parli di guerra civile pensi proprio che avvenga certo sarebbe una bella cosa mi ci butterei subito dentro anche se la politica non mi interessa ma stai sicuro che sarei dalla tua parte, anche perché ho visto che dalla tua parte ci sono veri uomini e poi in realtà ZESE mi aveva un po' convinto, io delle volte lo stuzzicavo un po' ma sapevo che aveva ragione...io penso che ZESE non perderà mai quello spirito che ha dentro è troppo convinto delle sue idee...".




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(17) - Trovasi in PQA, V4, C106, pp. 17-19.


Il rilievo della missiva sta nelfatto che il suo destinatario è Roberto FRIGATO, appartenente alla cellula veneta indicata come asse portante dell'organizzazione terroristica cui viene attribuita la strage di Bologna. E' stato quindi correttamente osservato che la lettera chiarisce quali erano le aspettative diffuse nell'ambiente dell'eversione neofascista nel 1980 ed in quale contesto poté maturare il progetto di strage.


d)Nel documento "Un'analisi tattica" (18), sequestrato il 2/8/1980 ad Edgardo BONAZZI (19), Angelo IZZO, che se ne è dichiarato autore (20), conclude inneggiando `apertis verbis' al terrorismo indiscriminato, allo stragismo, al `cecchinaggio', dopo aver teorizzato la destabilizzazione del sistema, mediante la diffusione della sfiducia e dell'insicurezza nei confronti delle istituzioni già squalificate.


Di ulteriori documenti citati negli atti conclusivi dell'istruttoria (Memoriale di Eliodoro POMAR, La

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(18) - Trovasi in AA, V2, C5, pp. 152-153.
(19) - Cfr. SA, V15, C54.
(20) - Cfr. AA, V2, C5, p61.


disintegrazione del sistema, I fogli d'ordini di Ordine Nuovo, La Guerra Rivoluzionaria) si dovrà far cenno in prosieguo, laddove si affronterà l'esame di altri delitti che qui si giudicano. Quelli testé richiamati hanno contenuto -come s'è visto- assai esplicito; e ben giustificano l'osservazione del Giudice Istruttore secondo cui sino ad oggi, nelle indagini sulle stragi e sull'eversione di destra in genere, non si era attribuita sufficiente attenzione alle prove documentali. In effetti, deve condividersi l'assunto secondo cui nelle indagini sulle formazioni di estrema sinistra si è dato giusto rilievo alle `risoluzioni strategiche' ed ai documenti eversivi rinvenuti, nel caso delle formazioni di destra l'erroneo convincimento che le diverse attività illegali fossero ispirate alla sola volontà dell'azione, pure presente come caratteristica dell'ambiente, ha impedito di approfondire e di valutare adeguatamente i momenti teorici e le premesse ideologiche dell'agire.


Naturalmente, progettualità di stampo stragistico possono germinare soltanto all'interno di ambienti in cui la morte di molti innocenti sia considerata un costo accettabile in vista di determinati obiettivi politici. Occorre ricordare in proposito che il BONAZZI si doleva dell'eccessiva gravità dell'attentato del 2 agosto (dovuta all' "inesperienza dei ragazzini"), semplicemente per motivi tattici, cioè per le conseguenze che, in termini di repressione, ne erano venute al "movimento", e, pur affermando che non si sarebbe voluta una strage, ma solo un "avvio", ebbe anche a spiegare al NICOLETTI (21) che "ci vogliono le bombe...STALIN ha ammazzato 20 milioni di persone e ci si scandalizza per 84 persone...è l'idea che conta...che cada uno o cento non fa differenza..."


2.1.2.2.2) Vicende giudiziarie per fatti di strage anteriori al 2 agosto 1980


Ai fini che qui interessano, non è necessario ripercorrere le tappe dell'analitica ricostruzione dei procedimenti per strage compiuta dal PUBBLICO MINISTERO nei capitoli terzo, quarto e quinto della requisitoria scritta. Tirando le fila di quel paziente lavoro, e avendo come supporto conoscitivo una vasta serie di atti acquisiti da procedimenti celebrati

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(21) - Cfr. EA, V10/a-2, C64, pp. 42 recto e verso e 43 recto.


od in corso di celebrazione davanti ad altre autorità giudiziarie, è dato rilevare come siano oramai certamente
ascrivibili alla destra eversiva taluni attentati di
carattere indiscriminato. Per la strage di Peteano è intervenuta una recente condanna della Corte d'Assise di Venezia (22), divenuta immediatamente irrevocabile a carico di uno dei condannati, il neofascista Vincenzo VINCIGUERRA. La paternità dell'attentato compiuto sul treno direttissimo Torino-Roma il 7/4/1973 è stata attribuita in via definitiva, con sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Genova (23), divenuta irrevocabile, a Nico AZZI, Mauro MARZORATI, Francesco DE MIN e Giancarlo ROGNONI, dirigenti ed attivisti della formazione di estrema destra `La Fenice': il convoglio era gremito di persone, e se non si fosse accidentalmente verificato lo scoppio anticipato di uno dei detonatori mentre l'AZZI ultimava le operazioni di innesco, ne sarebbe derivata una terrificante carneficina.

Anche la strage perpetrata dal sedicente anarchico Giancarlo BERTOLI, che in Milano, il 17/5/1973, cagionava la morte di

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(22) - Cfr. AAD, V 10 ter, C2.
(23) - Cfr. AA, V14, C77.


quattro persone ed il ferimento di altre 46, è tutt'altro che il frutto di un atto individuale, della rivolta solitaria di un anarchico. Lo ha affermato la stessa Corte
d'Assise di Milano, nella sentenza (24), divenuta irrevocabile, con la quale ha condannato il BERTOLI all'ergastolo. La stessa Corte ha rilevato come l'imputato abbia mentito sul tutta la linea, nel rievocare l'attentato. Egli evitò deliberatamente di colpire -come pure avrebbe potuto- un ministro ed il Capo della Polizia, rappresentanti dell'autorità dello Stato: non fu coerente con la sua dichiarata intenzione di colpire i simboli massimi del potere; e colpì semplici cittadini, gettò la bomba su un piccolo assembramento di gente comune. La sentenza afferma che la strage si colloca nella tragica spirale di violenza che, dal 1969 in poi, ha percorso il Paese compromettendo non solo la convivenza civile, ma lo sviluppo delle istituzioni e della coscienza democratica; che il BERTOLI si proclama anarchico individualista, ma non esita a stringere amicizie e coltivare interessi con persone ed ambienti del
tutto opposti:ad esempio con tale MERSI, "fascista

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(24) - Cfr. AA, V13, C73. dichiarato" fin dagli anni '53-'54; che l'istruttoria ed il dibattimento hanno fatto luce su una vicenda di fornitura di
armi ad un "fronte anticomunista italiano" e sui contatti avuti dal BERTOLI, in quegli stessi anni, con elementi del controspionaggio italiano a Venezia. Si sostiene ancora testualmente: "...il BERTOLI era invischiato in relazioni con l'estrema destra, era collaboratore di servizi segreti italiani e internazionali, confidente della polizia"; e si fa cenno dei suoi rapporti, in Israele, con i fratelli JEMMI, appartenenti ad `Ordre Nouveau', movimento dell'estrema destra francese. E si conclude affermando che l'ideologia anarchica, dal BERTOLI "troppo clamorosamente affermata e manifestata...può essere con fondatezza ritenuta una copertura artificiosamente addotta, per fini propri o altrui..."


Benché non si sia ancora svolto il relativo giudizio, è certa anche la paternità dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura del 20 maggio 1979, che, se l'ordigno fosse esploso, avrebbe provocato una strage forse ancora più sanguinosa di quella consumata alla Stazione di Bologna, coinvolgendo centinaiadi Alpini convenuti in Piazza Indipendenza: dei fatti, commessi unitamente ad altri, si è dichiarato responsabile Marcello IANNILLI, che pure contesta l'accusa di strage, sostenendo -come s'è visto- che, dopo aver predisposto l'ordigno per l'utilizzo notturno, aveva poi deciso di farlo ritrovare inesploso in ora diurna.


Vi sono poi taluni procedimenti ancora `sub iudice', nei quali sono state raccolte, a carico di esponenti di formazioni della destra eversiva, prove sufficienti a giustificare, in relazione ad attentati indiscriminati, prove sufficienti per il rinvio a giudizio, od anche per condanne in primo ed in secondo grado. Il Giudice Istruttore cita il procedimento per la strage cosiddetta`di Piazza Fontana' (25), nel quale, al di là delle conclusioni processuali, ormai intangibili, raggiunte dai giudici competenti in ordine alla posizione di certi imputati (26), sono emersi tuttavia incontrovertibili dati di fatto di estrema significatività: ai fini che qui rilevano, in

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(25) - Cfr. AA, V6, C40.
(26) - Cfr. AAD, V5, C14.


particolare, la circostanza che il gruppo veneto di cui


facevano parte il FREDA, il VENTURA ed il FACHINI fosse
pesantementecoinvolto in attività dinamitarde.Con specifico riferimento alla figura del FACHINI, già l'Istruttore (27) aveva riportato un brano della requisitoria del PUBBLICO MINISTERO di Milano, Emilio ALESSANDRINI, che, nel dicembre 1974, indicava nel FACHINI il protagonista della campagna di attentati del 1969. Orbene, a distanza di molti anni, il Giudice Istruttore di Catanzaro ha raccolto prove sufficienti per il rinvio a giudizio (28) del FACHINI -oggi riconosciuto responsabile anche della strage di Bologna- per la campagna di attentati verificatisi fra il 13 aprile ed il 12 dicembre 1969, ivi compresa la `strage di Piazza Fontana'.


Pende tuttora, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, il procedimento a carico di elementi del `Fronte Nazionale Rivoluzionario', operante in Toscana, assolti in 1° grado per insufficienza di prove (29), poi condannati in appello, con sentenza successivamente annullata dalla Suprema Corte,


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(27) - Cfr. SO, pp. 676-677.
(28) - AAD, V5, C16.
(29) - AA, V4, C19.


per la strage del treno `Italicus'del 4/8/1974.


Con la sentenza della Corte d'Assise di Firenze n. 6 del 15/12/1987 (30) i neofascisti Augusto CAUCHI, Fabrizio ZANI, Alessandro DANIELETTI ed Andrea BROGI sono stati condannati per il delitto di strage di cui all'art. 285 C.P., per avere, in concorso tra loro, il 21/4/1984, al fine di uccidere, collocando un micidiale ordigno lungo la tratta ferroviaria Bologna-Firenze, provocato, con l'esplosione, la rottura della rotaia sinistra di un binario, mentre era in arrivo un convoglio. La tragedia fu evitata sol perché la messa in funzione di un congegno automatico di allarme consentì l'arresto tempestivo del treno, che avrebbe altrimenti deragliato. Lo ZANI, dal canto suo, assieme ad altri esponenti di una formazione eversiva, nell'ambito del procedimento cosiddetto di `Ordine Nero', ha riportato condanna definitiva anche per il reato di strage, sia pure vedendosi riconosciuta, in quell'occasione -come egli ha sottolineato davanti a questa Corte (31)- l'attenuante di cui all'art. 116 C.P.

La rassegna sommariamente svolta non ha carattere di


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(30) -Prodotta in udienza (vu 10/6/88, pp. 17-450) e acquisita con ordinanza (vu 13/6/88, pp. 532-533).
(31) - Cfr. vu 11/2/88, pp. 23 e 35.


completezza. Consente, tuttavia, di rilevare come sussistano, talora con rango di verità giudiziariamente acquisita, talora col conforto di prove idonee a giustificare comunque il rinvio a giudizio o condanne in sede di giudizio di merito,cospicui elementi di giudizio, in forza dei quali è dato affermare che, dalla fine degli anni '60, l'attentato di carattere indiscriminato, sovente rivolto anche contro obiettivi ferroviari, è stato utilizzato da formazioni della destra eversiva quale strumento privilegiato di lotta armata, coerentemente, del resto, con quello che è il retroterra, ideologico e programmatico, emergente da una serie di documenti provenienti dall'area politica in questione.


2.1.2.2.3)Le conversazioni captate nel carcere di Ferrara ed altre acquisizioni probatorie


Venendo specificamente alla strage oggetto del presente giudizio, va immediatamente rilevata una circostanza: vi fu, fin dall'inizio, negli ambienti della destra extraistituzionale, chiara consapevolezza delle riferibilità dell'attentato all'area della stessa destra eversiva; e vari segnali di siffatta consapevolezza si riverberarono anche all'esterno.


A)Si sono parzialmente riportati, in narrativa (32), brani delle conversazioni svoltesi nel carcere di Ferrara, ove erano ristretti in isolamento il FEMIA e lo IANNILLI, e s'è vistoil ruolo `maieutico', che,in quel frangente, ebbero l'AURORA ed il NICOLETTI. V'è da aggiungere che Giulio CAPRA, anch'egli detenuto all'epoca nel reparto isolamento del carcere ferrarese, in istruttoria ebbe a riferire (33) d'aver a sua volta ottenuto dal FEMIA delle confidenze a proposito della strage: precisamente, il FEMIA, nel negare d'esservi personalmente coinvolto, avrebbe affermato che essa non era destinata a provocare tante vittime, ed aveva indicato in tale BIANCO uno dei responsabili. Il sottufficiale degli agenti di custodia Antonio PAPALETTERE, dal canto suo, ebbe a riferire (34) che, effettivamente, essendosi sparsa la notizia che un detenuto politico di estrema destra coinvolto nell'indagine sulla strage di Bologna era entrato in confidenza con un compagno di detenzione, egli stesso tentò di registrare le conversazioni

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(32) - Cfr. supra, sub 1.1.8).
(33) - EA, V10/a-5,C224.
(34) - EA, V10/a-5, C226.


che si svolgevano tra i due, mentre l'agente FERRELI, dal corridoio del reparto, si sforzava a sua volta di ascoltare il contenuto dei colloqui: e, mentre la registrazione non andò a buon fine per motivi tecnici, il FERRELI fu in grado di captare alcune frasi significative.


Le dichiarazioni istruttorie dell'AURORA, del NICOLETTI, del CAPRA e del PAPALETTERE hanno trovato conferma in dibattimento (35); quelle del FERRELI, sull'accordo delle
parti, sono state lette (36).


Osserva la Corte come, in Istruttoria, si sia prudentemente


evitato di trarre azzardate conclusioni a carico del FEMIA, dello IANNILLI e di Francesco BIANCO dal contenuto delle testimonianze in questione; peraltro, correttamente il Giudice Istruttore, nell'ordinanza di rinvio, ha tratto dal loro complesso elementi di giudizio di non trascurabile rilievo.


Della piena credibilità del NICOLETTI si dirà altrove.


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(35) - Cfr., rispettivamente, vu 29/9/87, pp. 16; vu 20/10/87, p109; vu 29/9/87, p20;vu 20/10/87, p13; il CAPRA, in difficoltà a ricordare, si è tuttavia richiamato, confermandole, alle dichiarazioni rese in precedenza; l'AURORA, che in parte rammentava i fatti, ha comunque confermato quanto riferito in istruttoria.
(36) - Cfr. vu 29/9/87, p20.


Quanto alle riserve avanzate sull'affidabilità del teste


CAPRA ed anche del teste AURORA, almeno per ciò che riguarda


l'argomento in questione, esse appaiono infondate. Ha osservato giustamente l'Istruttore cheil primo, pur pregiudicato, ha agito in base ad un `codice morale' che, di fronte all'efferatezza del crimine, imponeva -a lui come ad altri- di svolgere una sorta di inchiesta privata nei confrontidelle persone sospettate di strage;non si èadoperato in alcun modo per fornire a tutti i costi una sua verità personale sulla strage, ma ha deposto soltanto nel 1983, quando lo scrupolo degli inquirenti li indusse a rintracciare tutti i possibili testimoni dei fatti avvenuti nel carcere di Ferrara; ed ha riferito concetti che non gli appartengono e che sono invece tipici dell'ideologia professata dal suo intelocutore ("l'eliminazione di un po' di plebe non era da ritenere un grande male"). Quali che siano poi le attuali condizioni di mente del CAPRA e dell'AURORA, e per quanto sconcertante sia stato l'atteggiamento del secondo (37) in riferimento ad altre


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(37) - Si allude qui a quanto riferito sub 1.2.20) a proposito delle dichiarazioni dell'AURORA sul conto del FURLOTTI.


posizioni processuali, resta fermo che le deposizioni dei due testi sugli episodi in esame sono corroborate, nel loro nucleo, da dichiarazioni provenienti da altri testimoni della cui sincerità non è dato dubitare: cioè dal FERRELI e dal PAPALETTERE.


Resta ancora da sottolineare che, fra le altre espressioni pronunciate dallo IANNILLI e captate dal NICOLETTI, ve ne fu una, di particolare eloquenza. Si chiedeva lo IANNILLI: "Come hanno fatto a prenderci tutti"? (38)


In conclusione, in base alla ricostruzione testimoniale delle conversazioni svoltesi nel carcere di Ferrara fra detenuti ristretti in celle diverse del reparto isolamento, prescindendo da ulteriori inferenze,si può fondatamentefar discendere almeno che: da parte di elementi di spicco dell'eversione neofascista romana, che pure prendevano personalmente le distanze dalla strage, si riconosceva la provenienza dal loro ambiente del fatto criminoso; si manifestava stupore per il fatto che i provvedimenti di cattura avessero così pesantemente falcidiato l'ambiente


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(38) - Cfr. EA, V10/a-2, C64, p41.


stesso; si affermava che non era stato


voluto un massacro di tali proporzioni; e si faceva


dipendere l'enormità dell'accaduto dall'essersi taluno affidato a dei "ragazzini". Si vedrà poi in prosieguo di trattazione quali significative conferme abbia ricevuto, nel tempo, quest'ultimo riferimento ai "ragazzini".


B)Si è dato conto, in narrativa (39), delle indicazioni che, circa le responsabilità per la strage, furon fornite da Mario Guido NALDI all'agente CALIPATTI. E s'è visto come, già in istruttoria (40), di fronte al magistrato, il NALDI avesse tentato di fare un passo indietro rispetto alle originarie prese di posizione. Di fronte alla Corte (41), il teste ha fatto una vera e propria retromarcia: dal complesso della sua deposizione dibattimentale emerge che certe indicazioni sarebbero state fornite all'agente del SISMI non perché fossero frutto di concreti elementi di conoscenza in possesso del NALDI, ma per liquidare l'interlocutore, fornendo delle risposte che, in qualche modo, avrebbero soddisfatto le aspettative di quest'ultimo, in quanto

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(39) - Cfr. supra, sub 1.1.3.3). (40) - Cfr. supra, sub 1.3.1). (41) - Cfr. vu 23/11/87, pp. 18 ss. si andava affermando un teorema secondo cui la strage era di matrice fascista e la stampa, negli anni precedenti, aveva sistematicamente addebitato ad Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale la responsabilità di "tutto quello che era successo".


La ritrattazione è frutto di calcolo ed è del tutto insincera. Nell'immediatezza della strage, con tutte le garanzie dell'anonimato e della riservatezza, il NALDI, nel colloquio col CALIPATTI, aveva formulato accuse assai precise: dopo aver fatto talune affermazioni (la strage rappresentava un provocazione contro `QUEX', la matrice dell'attentato era di destra e rientrava nella faida interna dei vari movimenti di estrema destra) in termini suppositivi, tali per cui esse avrebbero potuto rappresentare, prese a sé, l'espressione di un giudizio politico, il NALDI aveva proseguito col dire che gli attentatori venivano da fuori Bologna, quasi certamente da Roma, e si era spinto sino ad indicare le organizzazioni di provenienza, quasi cercando, nella forma espressiva, di attenuarela gravità dell'accusa ("oserei dire dalle organizzazioni di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale").


Siffatte indicazioni non provengono da una persona qualsiasi. Mario Guido NALDI, redattore di `QUEX' (42), subalterno di Fabrizio ZANI e suo fiduciario, è persona profondamente inserita nell'ambiente dell'ultradestra ed è al centro di un flusso di notizie di estrema riservatezza. Basti pensare, che nel corpo del medesimo colloquio, egli sarà in grado di riferire che Ordine Nuovo, di cui "SIGNORELLI è il capo indiscusso in Italia" ..."usa anche la sigla di Movimento Popolare Rivoluzionario, Costruiamo l'Azione e Gruppi Popolari di Base..."


Il NALDI neppure nelle prime sincere dichiarazioni aveva dato conto della provenienza delle notizie di cui era in possesso. Senonché, le successive acquisizioni processuali hanno consentito di far luce anche su questo aspetto, si vedrà in prosieguo come debba ritenersi provato che Giovanna COGOLLI, esponente dell'ultradestra legata allo ZANI ed in contatto con lo stesso NALDI, alla vigilia della


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(42) - Sulla natura ed i contenuti di `QUEX', pubblicazione dell'ultradestra, voce del `fronte delle carceri', edita fra il '78 e l'81, già oggetto di un procedimento penale, cfr. Rapp. DIGOS Bologna 16/5/1984, in AA, V7, C41, pp. 2-220.


strage abbia ricevuto l'amichevole avvertimento di

allontanarsi da Bologna da parte di Massimiliano FACHINI, al
tempo stesso uomo di spicco di Costruiamo l'Azione e referente di Ordine Nuovo nel Veneto.


C)Tenuto conto della gravità e precisione delle accuse lanciate dal NALDI e dei rischi che esse avrebbero potuto comportare (per gli accusati, e per lo stesso accusatore, esposto alle ritorsioni), non è pensabile che il teste si sia a suo tempo indotto a fare certe rivelazioni per i motivicheha riferito alla Corte,tentando puerilmente di giustificare l'atteggiamento dibattimentale. D'altronde, che le rivelazioni al CALIPATTI non rappresentassero un espediente per liquidare elegantemente l'interlocutore resta provato dal contenuto di un articolo (43) apparso sul numero 5 di `QUEX', del marzo 1981. Il brano, dal titolo `Parole chiare', reca in calce la sigla del NALDI: M.G.N. Il teste, in dibattimento, ha tuttavia chiarito (44) che fu frutto di una collaborazione: egli fu l'autore della prima parte, e Fabrizio ZANI della seconda. Ora, nell'articolo, tra

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(43) - Trovasi in AA, V7, C41/7 .
(44) - Cfr. vu 23/11/87, p25.


l'altro, si legge: "...Troppi camerati sono stati costretti alla galera, all'esilio o alla latitanza ...a causa delle infiltrazioni di provocatori, di spie, traditori ed agenti di ogni specie, di mitomani, di pazzi lucidi e di cani bastardi. Buona parte di ciò che ci è piovuto addosso in questi anni lo dobbiamo alla destra conservatrice, reazionaria e golpista che è convinta che affidare il potere alle forze armate o a uomini strettamente legati alla destra economica, sia il colpo di bacchetta magica con cui è possibile `fermare il comunismo', loro massima aspirazione. ...La repressione che ha falcidiato i camerati, non sarebbe mai potuta avvenire senza il supporto emozionale delle stragi...è stato facile attribuire ai fascisti la responsabilità della nuova strage di stato...è stata come una valanga che si è abbattuta su di noi, e che ha travolto il lavoro di almeno tre anni...è intanto necessario che tutti si impegnino nell'opera di individuazione degli agenti provocatori che sono fra di noi, identificabili forse con gli sciacalli che hanno sempre cercato di controllare l'attività dei camerati, ricorrendo ad ogni mezzo per mantenere nell'ambiente posizioni di potere, che sono state sempre utilizzate per `spartirsi il controllo' dei militanti, una volta che la repressione avesse distrutto gli apparati organizzativi faticosamente costruiti...Quex, a voce alta, affinché tutti possano sentire, chiede che vengano isolati coloro che dello stragismo hanno fatto veicolo e prassi finalizzati allo smantellamento del movimento. Lo chiede naturalmente ai camerati, lo ritiene un fatto squisitamente interno..."


Una volta colto il senso della distinzione che deve porsi tra `autentici fascisti', `autentici camerati', e coloro che -nel gergo dell'ultradestra- vengon definiti `vecchi tramoni', acquista contorni del tutto nitidi l'attribuzione ai secondi, indicati come sciacalli e provocatori che colludono col regime, del tentativo di controllare l'intera area della destra extraistituzionale da posizioni di potere, attraverso lo smantellamento dei gruppi spontaneisti che al controllo si ostinano a sottrarsi.


Non è chi non veda come siffatta presa di posizione sia perfettamente in linea con le indicazioni già fornite dal NALDI al CALIPATTI. E, tenuto conto che l'articolo fu scritto a quattro mani dal NALDI e dallo ZANI, acquista un significato inequivoco il progetto del secondo, volto alla eliminazione fisica di Paolo SIGNORELLI. Di siffatto progetto -la cui esecuzione, per essere il SIGNORELLI detenuto, avrebbe dovuto essere affidata a Mario TUTI, debitore verso lo ZANI, che aveva `giustiziato l'infame'


Mauro MENNUCCI, `responsabile' della cattura del TUTI- è dato rinvenire in atti moltelici notizie, di diversa provenienza. Angelo IZZO ebbe a riferire del desiderio dello ZANI di uccidere il SIGNORELLI (45). Walter SORDI, che già in precedenza aveva fatto cenno dell'odio dello ZANI nei confronti dell'odierno imputato, il 15 marzo dell'84 dichiarò testualmente (46): "ZANI voleva la morte di SIGNORELLI ed a Parigi, circa un mese dopo che era stato uccisoMENNUCCI" (47),"mi disse che la condanna a morte del SIGNORELLI era già partita e non era sua intenzione fermarla. Io invece volevo impedire la condanna a morte del SIGNORELLI, sia perché consideravo quello scambio una cosa

* * * * *

(45) - Cfr. AA, V7, C41, p310. (46) - Cfr. AA, V7, C41, pp. 304-305.
(47) - L'assassinio del MENNUCCI risale all'8/7/1982.


squallida, sia perché sapevo il SIGNORELLI amico del CAVALLINI."


Nel pregevole rapporto (48) della DIGOS di Bologna del 16/5/1984 si cita poi testualmente il seguente passo (49) della missiva indirizzata da Valerio FIORAVANTI a Mario TUTI il 22/11/1982: "...SIGNORELLI dice che hai `firmato il contratto' per lui e saresti stato pagato da Fabrizio con MENNUCCI...io non ho trovato di meglio che rispondergli che non credo sia un `contratto' ma più semplicemente uno scambio di favori".


Non occorre altro per apprezzare la serietà delle accuse mosse dal NALDI a determinati ambienti subito dopo la strage, e riprese dal NALDI e dallo ZANI a distanza di pochi mesi, in termini necessariamente meno diretti, ma non equivoci, e comunque non oscuri per chi riguardi la vicenda, attraverso il filtro del tempo, nella completezza dei suoi sviluppi.









* * * * *


(48) - Trattasi del rapporto citato alla nota (42).
(49) - Cfr. AA, V7, C41, pp. 189-190.



2.1.2.3) Riconducibilità dell'attentato,quale impennata di una progettualità terroristica, ai poli romano e veneto dell'eversione neofascista


2.1.2.3.1) Le dichiarazioni di Luigi VETTORE PRESILIO

Si è dato conto in narrativa del nucleo essenziale delle dichiarazioni provenienti dal VETTORE (50). Occorre aggiungere che, in dibattimento (51), il VETTORE ha tenuto il prevedibile atteggiamento ritrattatorio che aveva a chiare lettere preannunciato dopo l'accoltellamento subito in carcere (52).


Sull'utilizzabilità della deposizione di questo teste, il Giudice Istruttore ha condotto una lucidissima analisi (53), che la Corte condivide appieno. Da quanto dichiarato dal VETTORE debbono farsi discendere almeno due certezze: il teste era a conoscenza in anticipo dell'attentato; seppe dell'attentato stesso da Roberto RINANI. Sul primo punto, si osserva che:


a) il 10 luglio 1980, al Giudice di Sorveglianza di Padova, alla presenza dell'Avv. Franco TOSELLO (54), il VETTORE

* * * * *

(50) - Cfr. supra, sub 1.1.3.1), 1.1.9) ed 1.2.5). (51) -Cfr. vu 9/1/88, pp. 200 ss.
(52) -Cfr. supra, sub 1.2.22), lettera b).
(53) - SO, pp. 284 ss.
(54) - Che, sul punto, ha deposto in istruttoria (EA, V10/a-2, C54, p1, recto e verso), rendendo dichiarazioni poi confermate in dibattimento (vu 17/2/88, p12).


fu in grado di anticipare la realizzazione di un attentato da parte di un gruppo di eversori neofascisti.


b) Non poteva trattarsi che della strage di Bologna. Infatti, dal complesso delle dichiarazioni del VETTORE, così come esse si sviluppano dal colloquio con il Magistrato di Sorveglianza di Padova sino alla deposizione davanti al Giudice Istruttore del 13/11/80, emerge che:


b1) l'attentato, in quanto avrebbe dovuto precederne
altro di imminente attuazione, era ormai prossimo ed
era stato programmato per la prima settimana di
agosto;


b2)sarebbe stato di eccezionale gravità, al punto che
avrebberiempito le pagine dei giornali, ed avrebbe
fatto parlare l'opinione pubblica nazionale e
mondiale (55).


L'indicazione dell'eccezionalità (misurabile anche



* * * * *


(55)- Già prima di conferire col Magistrato di Sorveglianza, scrivendo all'Avv. TOSELLO, il VETTORE aveva preconizzato la diffusione, da parte della televisione e dei quotidiani, di una notizia che avrebbe fatto "molto ma molto scalpore" (cfr. EA, V10/a-2, C54, pp. 4-6 ed EA, V10/a-2, C30, p 65 verso).


sulla stampa e dall'impatto sull'opinione pubblica che ne


sarebbero conseguiti), proprio in quanto riferita ad un


attentato, cioè ad un fatto di cui la gravità è


caratteristica necessaria, evoca l'idea di un evento
terroristico assolutamente straordinario e finisce con
l'essere connotazione estremamente selettiva,
perfettamente attagliantesi all'orrenda carneficima di
vittime innocenti consumata alla stazione di Bologna.


Le circostanze di cui sub b1 e b2, unitariamente
considerate, sono tali da essere riferibili
esclusivamente alla strage di Bologna. Peraltro, a fronte
della riconducibilità (che pure dalle dichiarazioni del
VETTORE emerge) del programmato attentato al gruppo(di
cui il RINANI, autore delle rivelazioni, faceva parte)
capeggiato da Massimiliano FACHINI, stanno gli elementi
di prova-dei quali si dirà `in sede materiae'- `aliunde'
raccolti a carico del FACHINI in ordine alla sua
responsabilità per la strage di Bologna: con il che
l'assunto dell'identificazione fra l'attentato
preconizzato dal VETTORE e quello perpetrato alla stazione di Bologna riceve ulteriore, quantunque non
necessario, conforto. Sulla provenienza delle notizie dal RINANI, e, più in generale, sull'attendibilità delle notizie fornite dal teste ed accusatoriamente utilizzate, va rilevato che:


a) se pureil RINANIfosse rimasto, all'epoca, in costante isolamento, sarebbe potuto ugualmente venire in contatto col VETTORE, in quanto quest'ultimo, per via delle mansioni lavorative che svolgeva all'interno del Carcere `Due Palazzi' di Padova, aveva possibilità di movimento

anche nella zona riservata ai detenuti isolati. Peraltro,


l'isolamento del RINANI si protrasse soltanto per i primi
sei giorni di detenzione, dopodiché egli fu "messo in comune" (56).


b) L'indicazione del RINANI quale fonte delle confidenze è inequivoca: l'indicazione alternativa dei cognomi RINANI, RINALDI e RINALDINI è in parte frutto dell'indole ambigua e confusionaria del teste, ed in parte dettata dalla necessità psicologica di diluire in qualche modo,


* * * * *


(56) - Cfr. IA, V9/a-1, C2/2, p6 retro. attraverso la vaghezza, la gravità delle accuse. Ma resta insuperabile il fatto che il RINANI fu formalmente riconosciuto dal VETTORE e che l'accusa nei confronti dell'imputato, arricchitasi nel tempo di particolari idonei a corroborare l'identificazione, è rimasta ferma sino all'accoltellamento del teste.


c) Fu cura degli inquirenti verificare che, all'epoca, non fossero detenuti in Padova altri esponenti di spicco dell'eversione: e le risultanze negative dell'accertamento furono contestate all'imputato (57).

d)Il RINANI si è ostinato sino alla fine a negare di conoscere il suo accusatore, nonostante siano stati


entrambi frequentatori della Sezione `Arcella' del Movimento Sociale Italiano di Padova. E l'irrigidimento su una posizione difensiva di tale debolezza non può essere interpretato che come un tentativo di stornare da sé, a tutti i costi, ogni pur minimo sospetto di contatti di qualsivoglia genere col VETTORE: tentativo tanto più disperato in quanto il VETTORE, persino in dibattimento,



* * * * *


(57) - Cfr. IA, V9/a-1, C2/2, p19 retro. nel negare d'aver ricevuto confidenze in ordine ad un attentato da compiersi, ha però ribadito d'essere entrato in contatto col RINANI all'interno del carcere di Padova.


e) Le titubanze e gli ondeggiamenti del teste sono tutti agevolmente spiegabili e non indeboliscono la sostanza della deposizione. In un primo tempo, il VETTORE aveva progettato di servirsi delle informazioni in suo possesso, per utilizzarle come merce di scambio, assumendo sostanzialmente la veste di confidente e non rivelando la fonte delle notizie stesse. A strage avvenuta, non ha più potuto sottrarsi all'obbligo di
testimoniare e, dopo aver esitato e tergiversato, ha finito per `vuotare il sacco'.


f)L'accoltellamento subito dal teste in carcere e le modalità dello stesso rafforzano il convincimento della veridicità delle accuse mosse dal VETTORE. Innanzitutto non vi sarebbe stato l'interesse a colpire l'autore di semplici farneticazioni, che, in quanto tali, sarebbero state smentite in corso d'istruttoria. In secondo luogo, la morte del testeavrebbe cristallizzato le sue originarie accuse. Ferire il VETTORE, facendogli vedere la morte da vicino, ha significato terrorizzarlo definitivamente, rendendolo disponibile alla ritrattazione, che, immancabilmente, è intervenuta. Obiettivo dei feritori era dunque quello di scalfire la portata delle accuse del teste attraverso le sue stesse future dichiarazioni. Questo, e non altro, era il movente degli aggressori, che non agivano -come pure si è sostenuto- per ragioni del tutto estranee alle vicende oggetto di giudizio; lo apprendiamo (58) dalla vittima


dell'aggressione: "...le stesse persone che mi hanno colpito mi hanno informato che la ragione della loro azione era quella di punirmi per aver parlato..."


g)La stessa logica intimidatoria ha governato anche l'aggressione subita dalla moglie di Roberto RINANI, dopo che, essendo stato emesso il mandato di cattura del 10/12/1985, nell'imminenza dell'interrogatorio del RINANI, si diffuse la notizia che egli fosse prossimo a fare rivelazioni (59).


* * * * *


(58) - Cfr. supra, sub 1.2.22, testo e nota (79).
(59) - Per la vicenda, cfr. IA, V9/a-1, rispettivamente C2/1, pp. 1-4, e C2/2, p105.


h) Il VETTORE è effettivamente elemento collegato alla cellula terroristica veneta facente capo al FREDA ed al FACHINI, ed era dunque -contrariamente a quanto si è sostenuto- persona che, ad un RINANI non più vigile, perché `scoppiato', poteva apparire idonea a ricevere determinate confidenze. Il RINANI `si aprì' non con un qualsiasi compagno di detenzione, ma con chi, ai suoi occhi, appariva come sodale. La riprova di ciò resta affidata non solo alle dichiarazioni del VETTORE, ma anche e soprattutto alla deposizione istruttoria (60) ed i memoriali (61) del Commissario Pasquale JULIANO,l'una e gli altri dibattimentalmente confermati (62).


i) V'è in atti ampia prova dell'inserimento del RINANI

nell'ambito dell'eversione neofascista padovana e dei suoi collegamenti con Massimiliano FACHINI. Se ne darà compiutamente conto in prosieguo di trattazione. Qui preme sottolineare che, valutando sinotticamente le indicazioni provenienti dal VETTORE, i collegamenti RINANI-FACHINI, e gli elementi -di cui pure si darà conto

* * * * *


(60) - EA, V10/a-6, C276, pp. 1-3. (61) - EA, V10/a-6, C276, pp. 4 ss.
(62) - Cfr. vu 16/10/87, p27.


in seguito- raccolti per altra via a carico del FACHINI


in ordine al delitto di strage, si deve inevitabilmente concludere che i vari apporti probatori, di diversa provenienza, sono in grado di corroborarsi a vicenda e di convergere in un'unica direzione.


l) Le dichiarazioni del VETTORE hanno ricevuto `ab externo'

conferme che giustamente sono state definite "sorprendenti":


l1)è stata riscontrata, attraverso indicazioni provenienti da più fonti, l'esistenza di un progetto
di attentato ad un magistrato, che, per l'obiettivo specifico e l'ambiente al quale viene riferito, appare sovrapponibile al progetto riferito dal VETTORE.


l2)Anche il collegamento posto dal teste fra la persona del FACHINI e quelle del SIGNORELLI e del SEMERARI troverà conforto, a far tempo dall'anno successivo, attraverso la collaborazione processuale fornita da Paolo ALEANDRI.


E' necessario aggiungere come non indeboliscano il quadro che si è sin qui tratteggiato alcune argomentazioni svolte

dall'attenta difesa del RINANI (63) in sede di discussione.


Si è sostenuto che, se pure il VETTORE ebbe mai da qualcuno le notizie poi riferite ai giudici, non poté riceverle dal RINANI, in quanto:


a) dalla deposizione TOSELLO si evince che il VETTORE era già in possesso delle notizie in questione prima del 20 giugno, mentre dalla trascrizione delle dichiarazioni registrate rese dal VETTORE al PUBBLICO MINISTERO l'11/8/1980 si evincerebbe che il teste ricevette le

confidenze dal RINANI soltanto dopo la morte del Giudice AMATO, cioè dopo il 23/6/1980.


b) Il RINANI si costituì in carcere a Padova il 31/5/1980. Il VETTORE riferisce di un primo colloquio con l'odierno imputato, avvenuto in giorno di sabato, che dev'essere almeno sabato 7/6/1980. E riferisce poi dell'ulteriore colloquio, avvenuto a distanza di 15-20 giorni, nel corso del quale il RINANI, essendo `scoppiato', si
sarebbe lasciato andare alle note compromettenti



* * * * *

(63) - In particolare, dall'Avv. G. GASPARDINI. Cfr. brm n.1 14/5/88, giri 465-657. confidenze. Ma tale secondo colloquio, proprio per detti


riferimenti cronologici forniti dal VETTORE, si verrebbe a collocare in una data posteriore al 20/6/1980: cioè in una data in cui il teste era già in possesso delle notizie successivamente riferite.


Osserva la Corte: entrambi gli argomenti poggiano su premesse fallaci. Effettivamente, nelle ultime battute delle dichiarazioni in data 11/8/1980, mentre riferiva i commenti che, da parte sua e del RINANI, si fecero a seguito dell'assassinio del Giudice AMATO, a specifica domanda volta a conoscere se risalissero alla stessa circostanza le
confidenze in ordine all'attentato al Giudice STIZ, rispondeva (64): "E beh! è logico, è logico". Senonché, va subito rilevato che, se pure il riferimento cronologico fosse esatto, ben potrebbe aver costituito l'omicidio di un magistrato l'occasione per riprendere discorsi di qualche giorno prima, divenuti particolarmente `interessanti' proprio alla luce della notizia di quel crimine appena

consumato. Ma il fatto è che sull'esattezza dell'indicazione

* * * * *


(64) - Cfr. EA, V10/a-1, C30, p43.


non si può fare alcun serio affidamento. Il VETTORE,
confusionario e disorientato,e al tempo stesso desideroso
di accreditare in qualche modo quanto veniva dicendo, colse al balzo l'occasione, offertagli dall'inquirente suo interlocutore, di ancorare l'episodio oggetto delle sue rivelazioni ad un dato certo. Ma, nel corso dello stesso colloquio (65), in cui si era sempre espresso in termini di estrema approssimazione, aveva già dichiarato di non poter ricordare in che giorno avesse ricevuto le confidenze dal RINANI.


Quanto al secondo argomento prospettato dalla difesa,

occorre rilevare che il lasso di tempo in esito al quale il RINANI, `scoppiato', si lasciò andare alle clamorose rivelazioni, deve esser calcolato a partire dalla sua costituzione in carcere. Quando il VETTORE, nel suo italiano sgrammaticato, riferisce: "...invece è passato 15 o 20 giorni e lui diventava sempre più nervoso" (66), contrappone il periodo trascorso in carcere dall'odierno imputato ai 7-


* * * * *




(65) - EA, V10/a-1, C30, p20.
(66) - Cfr. il passo citato alla nota che precede, rigo 22.


8 o 10 giorni al massimo che quest'ultimo contava di trascorrerci, quando si costituì nella fiduciosa attesa della libertàprovvisoria.


Così ragionando, si perviene a ricostruire una cronologia dei fatti idonea a restituire coerenza ed attendibilità all'intera loro sequenza: il RINANI si costituì l'ultimo giorno di maggio; venuto meno, dopo sei giorni, il regime di isolamento, ebbe occasione -sabato 7 giugno- di incontrare una prima volta il VETTORE, con il quale si manifestò fiducioso, essendo imminente la concessione della libertà provvisoria, prevista, al più tardi, per il mercoledì successivo; il sabato seguente, trascorsa una quindicina

di giorni dalla sua costituzione, al RINANI, deluso nelle aspettative, cedettero i nervi; nei primi giorni della settimana successiva, mentre l'Avv. TOSELLO era a colloquio, nel carcere di Padova, con alcuni suoi clienti, irruppe nella sala colloqui il VETTORE, già pronto a giocarsi la formidabile carta di cui era insperatamente entrato in possesso; nei giorni immediatamente seguenti, dapprima uno sconosciuto si mise in contatto telefonico con l'Avv. TOSELLO per conto del VETTORE, e poi, attorno al 20 giugno,
la figlia dell'odierno testimone si recò nello studio del legale, versando la somma di £ 500.000, che fu fatturata il giorno 23; lo stesso giorno veniva assassinato a Roma il dottor AMATO, il che ben può aver ravvivato l'interesse, già desto, del VETTORE, ed averlo indotto a riprendere l'argomento, sperando di trarre dall'interlocutore ulteriori utili informazioni.


E' stato sottolineato da taluno che il VETTORE era alla disperata ricerca, all'epoca dei fatti, di qualche espediente che gli consentisse di lasciare il carcere in tempi brevi: e si sono indicate anche le ragioni
dell'urgenza, che peraltro, in questa sede, non è necessario approfondire. La circostanza -lungi dal minare la credibilità del teste- rafforza ulteriormente il convincimento, già ampiamente raggiunto, della provenienza delle confidenze dal RINANI. Se il VETTORE avesse avuto qualche carta utile da giocarsi, l'avrebbe fatto immediatamente. Invece, durante il periodo di detenzione precedente la costituzione del RINANI, non si mosse. Costituitosi il RINANI, nel giro di un paio di settimane il
VETTORE fu in grado di tentare di utilizzare importanti confidenze come merce di scambio, per ottenere di essere posto in libertà. Le stesse modalità della spendita delle notizie ricevute attestano che il VETTORE le utilizzò immediatamente dopo esserne entrato in possesso: si precipitò nella sala colloqui, per conferire con l'Avv. TOSELLO, che era venuto ad incontrare altri detenuti; in seguito, adottò, in rapida successione, iniziative di vario tipo, per dar seguito a quel primo fugace contatto, che non aveva sortito l'effetto desiderato; infine, palesò la intenzione di barattare le sue conoscenze come merce di
scambio.


Conclusivamente: Luigi VETTORE PRESILIO è stato l'autore di talune rivelazioni, la cui insuperabile forza probatoria deriva dall'esser state anteriori alla strage e dal non essere quindi certamente frutto di costruzioni `a posteriori'. Nè si può ragionevolmente affermare che il VETTORE si abbandonò a fantasticherie: lo si dovrebbe in tal caso accreditare -alla luce dell'accaduto- di incredibili

capacità divinatorie. E' altresì provato al di là di ogni

possibile dubbio -per quanto si è venuti argomentando- che le notizie provenivano dal RINANI. Tanto ritenuto, non si vede come -sul nucleo essenziale delle dichiarazioni del VETTORE- possa incidere una serie di circostanze ampiamente evidenziate da talune difese: l'essere il VETTORE un pregiudicato, un personaggio moralmente discutibile, animato non da civismo, ma da volontà di conseguire dei benefici e oggi oramai alcolizzato; addirittura l'essere persona rozza, incapace di esprimersi in un italiano corretto, ma soltanto in un confuso e sincopato linguaggio a cavallo tra lingua e dialetto. Sono fatti che la Corte non ignora e che, per la parte della testimonianza ulteriore rispetto al nucleo centrale relativo alla strage ed all'indicazione della fonte, hanno imposto un'accurata ricerca delle conferme `ab externo'; ma che -si torna a ripeterlo- non inficiano quel nucleo centrale delle rivelazioni, ben potendo la verità -salvala più rigorosa verifica, di cui il Collegio si è fatto carico- promanare anche dalle labbra di un VETTORE PRESILIO.


2.1.2.3.2) Le dichiarazioni di Amos SPIAZZI


In dibattimento, davanti alla Corte, lo SPIAZZI (67) si è impegnato -con rara abilità, che peraltro i verbali istruttori lasciavano presagire- in un lungo sforzo teso ad annullare, a volte impercettibilmente, per successive minime approssimazioni, e a volte anche in modo brusco, la faticosa ricostruzione che dei fatti a sua conoscenza era stato possibile compiere, con sofferta gradualità, attraverso le mutevoli (68) dichiarazioni rese in precedenza.Di fronte a tanto sfacciato camaleontismo, sarebbe non soltanto improduttivo, ma certamente fuorviante inseguire il Colonnello nei suoi incessanti contorsionismi logici e verbali. L'unica seria operazione valutativa cui la Corte può e deve dedicarsi consiste nell'estrapolare, dal caotico coacervo, quelle notizie che non restano affidate soltanto alle dichiarazioni del teste.


E le notizie in questione, per la parte che qui interessa, sono le seguenti:

* * * * *

(67) -Cfr. vu 8/10/87 e vu 12/10/87.
(68) - Una paziente ed attenta disamina comparativa delle dichiarazioni rese dallo SPIAZZI sino al 26/11/1984 trovasi nei §§ 7.2, 7.3 e 7.4 dell'ordinanza del `Tribunale della Libertà' citata sub 1.7.11), nota (37).


a) lo SPIAZZI, nell'ambito di un rapporto di collaborazione


con il SISDE, il 17/7/1980 si recò a Roma, ove si adoperò per ottenere notizie sulle iniziative in atto nell'ambiente dell'eversione neofascista della capitale. Alla deposizione dello SPIAZZI sul punto attribuiscono tranquillante conforto le dichiarazioni provenienti dai testi SALERNO (69), BENFARI (70), RACANIELLO Giulia (71) e -con contributi più limitati ed indiretti- D'APRILE (72) e RACANIELLO Anna Maria (73), complessivamente e comparativamente valutate. Quanto poi al particolare aspetto relativo all'anteriorità del viaggio e delle notizie raccolte e trasmesse al SISDE rispetto alla strage, siamo in presenza di una data certa: il 28/7/1980, data dell'informativa in cui furono raccolte le notizie dello SPIAZZI, della quale non è


* * * * *


(69) - Cfr. EB, V3, C91 e vu 2/11/87, p17.
(70) - Trattasi dell'Appuntato che, con il nome di copertura di BARONE, rappresentava il referente dello SPIAZZI all'interno del Servizio. Per le dichiarazioni di costui, cfr. EA, V10/a-6, C298 bis, vu 7/10/87, pp. 32-63 e vu 12/10/87, pp. 86-88.
(71) - Cfr. EB, V2, C42 e C49. In giudizio, la RACANIELLO, escussa in Roma ai sensi dell'art. 453 C.P.P. -cfr. vu 6/11/87, pp. 2-9- è apparsa in pietose condizioni psicofisiche e, dopo aver alquanto annaspato, è stata sottratta da una `provvidenziale' crisi nervosa alla prova, per lei improba, di continuare a reggere l'esperienza della pubblica deposizione.
(72) - Cfr. EB, V2, C60. pp. 1-3 e vu 2/11/87, pp. 35-37.
(73) - Cfr.EB,V2,C49, pp. 5-6 e vu 18/2/88, pp. 113-114. ragionevolmente possibile dubitare, alla stregua del controllo documentale incrociato che è possibile compiere in base alle annotazioni ed ai protocolli del carteggio -interno agli uffici della Direzione ed anche relativo alla corrispondenza fra Direzione ed uffici periferici- sviluppatosi attorno all'informativa (74).


b)Il Colonnello fu in grado, grazie ai suoi contatti romani, di riferire al SISDE degli sforzi compiuti in Roma, nell'ambiente eversivo di destra, per riunificare in un'unica organizzazione vari gruppi (definiti genericamente"N.A.R.") che si muovevano autonomamente, e che l'opera di riunificazione era condotta da tale "Ciccio", nel quale la Corte -come già il Giudice Istruttore- identifica con certezza Francesco MANGIAMELI.


Qui le indicazioni provenienti dallo SPIAZZI traggono conforto dalla sostanziale sovrapponibilità dell'informativa e dell'intervista rilasciata dal teste al settimanale `L'Espresso' (75),dal fatto che il

* * * * *




(74) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, pp. 11 ss.
(75) - Cfr. supra, sub 1.1.4).


MANGIAMELI si riconobbe immediatamente nel `Ciccio'(76) dell'intervista, dal contenuto del volantino diffuso da `Terza Posizione' dopo la morte del MANGIAMELI (77), nonché dalla `visita' che lo SPIAZZI ricevette da parte di


Renato GARIBALDI, esponente di Terza Posizione, al quale il Colonnello dovette rendere conto dell'intervista



* * * * *


(76) - La circostanza è nota attraverso le dichiarazioni di Rosaria AMICO, vedova MANGIAMELI e di Alberto VOLO. La prima, in un verbale d'interrogatorio ex art. 348 bis C.P.P. (cfr. EA, V10/a-3, C117, p39) confermato in giudizio (cfr. vu 16/11/87, pp. 72 ss.), il 21/12/83 ebbe a dichiarare al Giudice Istruttore: "Ricordo con sicurezza che mio marito si identificò nel `CICCIO' di cui all'intervista sull'Espresso dell'agosto '80 di Amos SPIAZZI. Ricordo anzi che avemmo una discussione quando leggemmo sul giornale il testo dell'intervista perché io mi preoccupai e dissi a mio marito: `Vedi a che ti porta l'attività politica?' Mio marito che, dopo la lettura dell'intervista aveva detto: `Questi mi vogliono incastrare...', quando mi vide preoccupata disse che in fondo si trattava di cavolate e cercò di sminuire l'importanza della cosa. Di un fatto però sono certa che Francesco si identificò nel `CICCIO' dell'intervista e che la sua prima reazione alla lettura fu di risentimento nei confronti di Amos SPIAZZI."
Il secondo, interrogato ai sensi dell'art. 450 bis C.P.P. (cfr. vu 15/1/88, p1 recto e verso), ha confermato anche le seguenti dichiarazioni, rese al Giudice Istruttore il 5/1/84 (cfr. EA, V10/a-3, C134, p18): "MANGIAMELI parlò con me della famosa intervista al colonnello SPIAZZI e mi disse che si riconosceva nel `CICCIO' di cui all'intervista; non si meravigliava che SPIAZZI potesse conoscerlo o meglio sapere il suo nome perché considerava SPIAZZI un agente dei servizi segreti. Il MANGIAMELI si riconobbe nel`CICCIO' di cui all'intervista perché a suo dire esercitava realmente l'attività di proselitismo e collegamento attribuita al `Ciccio' dell'intervista. Si mostrava quindi molto turbato e preoccupato nel senso che temeva di rimanere coinvolto nelle indagini sulla strage del 2 agosto e di essere arrestato."
(77) - In detto volantino (cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, p51) si fa carico allo SPIAZZI, indicato come uomo dei servizi, d'aver lanciato, con l'intervista, un avviso in codice diretto contro `Ciccio' MANGIAMELI.


rilasciata all' `Espresso' (78).


c) L'opera di ricompattamento portata avanti da Francesco MANGIAMELI mirava a conciliare gli obiettivi delle varie frange dell'eversione cui si rivolgeva, e puntava, quindi, su una progettualità che contemperasse l'interesse di chi privilegiava obiettivi indiscriminati e di chi intendeva invece compiere attentati selettivi. Da un lato si trattava di reperire armi ed esplosivo ad ogni costo; dall'altro si programmava un attentato ad un magistrato e ad un picchetto dei Carabinieri, da compiersi in tempi brevi, durante una celebrazione o in occasione di una ricorrenza. In una riunione tenutasi poco tempo prima a Milano, due elementi romani dei N.A.R.




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(78) - Ha riferito lo SPIAZZI (EA, V10/a-5, C232 bis/1, p46): "...verso la metà di ottobre," (del 1980) "preannunziato da una telefonata si presentò a me persona qualificatasi come Giuseppe GARIBALDI (GARIBALDI Renato: n.d.r.) Ebbi immediatamente la sensazione che GARIBALDI fosse stato inviato da Terza Posizione per informarsi su di me. Egli infatti esordì in modo duro dicendomi di essere aderente di Terza Posizione e che non avevano apprezzato il mio intervento su MANGIAMELI. Ricordo che per un attimo ebbi anche qualche preoccupazione per la mia persona."
La circostanza della visita ha trovato conferma da parte del GARIBALDI (deposizione di cui in EA, V10/a-6, C268, pp. 4 ss., dichiarata utilizzabile all'udienza del 2/2/88 -cfr. vu 2/2/88, p12-), il quale ha ammesso che si parlò del MANGIAMELI e che egli chiese al suo interlocutore: "Ma come ti viene in mente di fare delle confidenze a dei giornalisti?"


controllati dal MANGIAMELI avevano chiesto di acquistare armi senza limiti di prezzo, "avendo deciso di di procedere, dopo il periodo estivo, alla eliminazione fisica di altro magistrato" (79) (l'assassinio del dott. AMATO risaliva al mese precedente).


A riscontro di quanto precede, occorre considerare che nello stesso periodo, immediatamente prima della strage (giugno-luglio 1980), il VETTORE apprendeva dal RINANI notizie in larga parte sovrapponibili a quelle che lo SPIAZZI ha attinto da fonte certamente diversa: si programmava, per la fine dell'estate, di assassinare un magistrato, nell'ambito di una più vasta progettualità, che contemplava anche attentati di carattere indiscriminato. Tale sovrapponibilità rappresenta di per sé una forma di controllo reciproco delle notizie, se si tien conto che, almeno per una parte, è certamente anteriore alla strage: ci si riferisce all'attentato al magistrato da porre in esecuzione alla fine dell'estate,

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(79) - Tale ultima notizia, presente nell'informativa 28 luglio 1980, è dallo SPIAZZI attribuita ad una sua fonte veronese: cfr. interrogatorio 20/5/83, in EA, V10/a-5, C232 bis/1, p32. di cui riferì il VETTORE nel luglio e di cui si parla nell'informativa SISDE dello stesso mese. Ma anche la notizia relativa alla componente indiscriminata della progettualità dei gruppi che il MANGIAMELI veniva coordinando, quantunque non esplicitata nell'informativa del luglio (ove comunque si fa cenno del compito affidato al MANGIAMELI di reperire esplosivo ad ogni costo), trova sconcertanti conferme. Infatti, lo SPIAZZI, a strage avvenuta, pose immediatamente l'attentato in relazione con le notizie apprese nell'ambiente romano. Il teste l'ha negato in dibattimento, ma l'aveva ammesso in altra sede, dando anche conto della precedente negativa (80).

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(80) - Il 20/5/1983, al Giudice Istruttore GRASSI che lo interrogava come imputato in altro procedimento (cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 28 ss.), riferiva tra l'altro: "Il mio appunto `il dr. PRATI'" (di cui si dirà tra breve) "contiene effettivamente dei riferimenti alla strage di Bologna, come più volte l'Ufficio mi ha fatto rilevare. Sino ad ora ho risposto in modo incompleto sul punto, in quanto il mio difensore avv. BEZICHERI mi aveva raccomandato di affermare che quell'appunto non si riferiva a Bologna in quanto, così facendo, non vi sarebbe stato alcun nesso tra la mia posizione processuale ed il Tribunale di Bologna. Ciò evidentemente in sintonia con il ricorso in Cassazione per incompetenza territoriale del Tribunale di Bologna...l'intervista all'Espresso del 5/8/1980 la rilasciai,oltre che per prevenire azioni future, anche ritenendo che la strage di Bologna fosse stata eseguita proprio nell'ambito di quei progetti, dei quali si era parlato a Roma e che avevo riferito al BARONI...mi domandavo come mai non erano state arrestate quelle persone su cui esistevano così pesanti indizi...ritenni...di dover fare il possibile perché MANGIAMELI fosse fermato..."


D'altronde, a soli tre giorni dalla strage, il Colonnello non perse l'occasione di rilasciare la nota intervista; la quale, a ben vedere, se veicolava oscuri messaggi, aveva tuttavia anche un significato assai esplicito: nel momento in cui le indagini per l'attentato dovevano ancora decollare, indicava la consapevolezza, nell'intervistato,che il MANGIAMELI fosse un esponente di grande spicco del terrorismo di destra, in piena operatività nel periodo in cui la strage era venuta a cadere.


Si è visto che il MANGIAMELI si riconobbe nel `Ciccio' dell'intervista. Si vedrà poi che egli, nel settembre, fu assassinato da un gruppo di cui facevano parte Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO, raggiunti da irresistibili prove di colpevolezza per la strage del 2 agosto 1980 e ospiti del MANGIAMELI in Sicilia prima e dopo l'attentato.


Né deve sfuggire che, nel documento sequestrato (81) allo SPIAZZI e aprentesi con il sintagma "Il Dottor PRATI", di

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(81) - Fu sequestrato nel procedimento n. 651/52 R.G.G.I. e trovasi in copia in EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 47- 49. di cui si è fatto cenno alla nota (80), documento dattiloscritto dal teste e contenente, in termini alquanto criptici, la cronistoria del rapporto dello SPIAZZI col SISDE, a proposito della vicenda in questione si legge: "Ultimo piacere. La situazione è tragica: ci sono le morti di Amato e dei giudici di Bologna. I NAR sembrano preparare altre morti. Non si sa bene chi sia l'ideatore di un nuovo massacro se un certo Chicco (Furlotti) o Ciccio (Mangiameli isospettabile). Se c'è un VERO pericolo bisogna andare. Il Dottore appura che Ciccio è un agente di Delle Chiaie, provocatore, che ha mandato in galera per conto della polizia dei malavitosi (affermazioni concordi di R.G. e T.) La destra sospetta anche che la strage che egli progetta (uccisione di un magistrato con picchetto completo di CC...)..."


Il dato su cui l'attenzione deve necessariamente cadere è la presenza,in tale specifico contesto, dell'inciso "le morti...dei giudici di Bologna". Letteralmente intesa, l'espressione non si riferisce ad alcun fatto storico, non essendo stati consumati attentati in danno di giudici bolognesi; si dovrebbe, alternativamente, ipotizzare che le morti siano quelle su cui i giudici di Bologna indagavano. Sarebbe comunque inutile fatica l'avventurarsi nella ricerca dell'esatta chiave di lettura: giacché non consentirebbe, comunque, di allontanarsi dal terreno delle ipotesi. Occorre invece soltanto rilevare il dato obiettivo -che ben si armonizza con gli altri testé passati in rassegna- della presenza di un testuale riferimento alle morti ed a Bologna nel corpo di un brano in cui lo SPIAZZI sunteggia la vicenda della sua azione informativa svolta nel luglio 1980, facendo poi cenno degli sviluppi relativi all'intervista all' `Espresso' ed all'eliminazione del MANGIAMELI.


2.1.2.3.3) Le dichiarazioni di Mario Guido NALDI


Si è succintamente dato conto, sub 1.3.1), del contenuto delle dichiarazioni rese nal maggio del 1981 da Mario Guido NALDI, prima interrogato come imputato in altro procedimento, e poi escusso come testimone nel presente. Occorre ricordare che, nel corso del colloquio della primavera '80, il FIORE e l'ADINOLFI, per esemplificare il tipo di azioni di lotta armata che avrebbe potuto porre in essere il gruppo di `Terza Posizione' per la cui fondazione essi si erano rivolti al NALDI, avevano fatto riferimento ad uno specifico episodio di attentato avvenuto in Roma all'interno di una Sezione del Partito Comunista. Orbene, per intendere il contenuto e l'orientamento della proposta, si deve aver presente che, nella capitale, il 16/6/1979, mentre era in corso nei locali della sezione del Partito Comunista Italiano dell'Esquilino, in via Cairoli, un'affollata riunione di circa cinquanta persone, due appartenenti ai N.A.R. avevano fatto irruzione, e, mentre uno esplodeva colpi di pistola, l'altro lanciava due bombe a mano che, esplodendo, ferivano 25 persone (82).


In dibattimento, il NALDI ha sostenuto (83) che egli nel 1980 aveva ricevuto soltanto una proposta politica e che, nelle dichiarazioni istruttorie ebbe a forzare la mano. Il tentativo di ridimensionare quanto detto in precedenza non convince: e perché i fatti riferiti a suo tempo si armonizzano con quelli noti attraverso altre fonti; e perché

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(82) - Cfr. AA, V13, C74, p123.
(83) - Cfr. vu 23/11/87, p19.


non è dato capire il motivo per il quale il NALDI si sarebbe indotto a formulare accuse di tanta gravità, se fossero state false. E' vero invece che le rivelazioni furono frutto di una tormentata decisione, le cui motivazioni il NALDI volleesplicitare agli inquirenti. Ora, è lecito dubitare della genuinità di tali motivazioni, di ordine morale, ideologico e politico: ma se pure l'interesse che muoveva il NALDI era più prosaicamente quello di prendere le distanze da iniziative di lotta armata di cui non intendeva condividere le responsabilità, non per questo resta indebolita l'attendibilità di quanto ebbe a dichiarare.


2.1.2.3.4) Le dichiarazioni di Leonardo GIOVAGNINI


Nel luglio del 1980, cioè nello stesso periodo in cui il
VETTORE e lo SPIAZZI entravano in possesso delle notizie di cui si è ampiamente detto, Leonardo GIOVAGNINI di Osimo, già espulso dal Movimento Sociale Italiano, arruolato in `Terza Posizione' nel 1979 dal FIORE e dall'ADINOLFI, recatosi a Roma, ebbe ad incontrare Roberto FIORE. A proposito di quell'episodio, il GIOVAGNINI, inquisito nell'ambito del procedimento romano cosiddetto di `Terza Posizione', riferì: "nel corso del mio incontro col FIORE costui mi disse che il movimento a Roma era diventato molto forte e che in sostanza perseguiva finalità eversive nel senso che il movimento, attraverso azioni militari destabilizzanti, si riprometteva di creare i presupposti per una rivoluzione di popolo. Mi disse anche che il movimento era armato e che aveva mezzi sufficienti per riuscire nell'intento. Nella circostanza mi fece anche presente che tutti i militanti erano armati e pronti a compiere azioni terroristiche. Non scese in particolari per quanto riguardava i nomi facendomi comunque intendere che il movimento era pronto per la lotta armata, sia sotto il profilo numerico che sotto quello organizzativo" (84).


2.1.2.3.5) Le dichiarazioni di Mirella ROBBIO


Deponendo come testimone nell'istruttoria di altro procedimento, il 2/7/1987, Mirella ROBBIO, moglie separata dell'estremista di destra Mauro MELI, dichiarava (85): "...Accadde poi che poco prima della strage di Bologna del 2/8/80, forse due settimane prima si presentò da me il

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(84) - Cfr. EA, V10/a-6, C265, pp. 25-26. In giudizio vi è stata una sostanziale conferma (vu 25/2/88, p87).
(85) - Cfr. AAD, V12, C23.


capitano Segatel. Il mio convivente, presente al nostro incontro, lo colloca ad una distanza di circa un mese dalla strage di Bologna. Il capitano mi dissse che aveva bisogno di un grosso favore. Il capitano mi disse che sapeva che la destra stava preparando qualcosa di veramente grosso: le parole che uso nel riferire queste affermazioni del capitano sono pressoché testuali. Mi chiese di riprendere contatti con l'ambiente del M.S.I. di Genova e soprattutto con i vecchi amici di mio marito per cercare di capire cosa fosse in preparazione. Feci presente al capitano che non avevo più rapporti tali da consentirmi di accedere a notizie riservate dell'ambiente di destra e comunque consideravo la cosa troppo rischiosa. Si verificò poi la strage di Bologna ed io mi rammaricai di non aver fatto quanto forse potevo per evitare un così grave fatto criminoso. Forse c'era una possibilità per quanto piccola di venire a sapere in tempo qualcosa. Ero dunque dispiaciuta di non aver fornito la mia collaborazione al capitano. Questi, dopo la strage, venne da me e mi disse: `Hai visto cosa è successo?'. Decisi allora, finalmente, di dire tutto quanto era a mia conoscenza, dapprima in forma confidenziale e quindi innanzi alle diverse A.G.". Tali dichiarazioni sono state confermate in dibattimento (86).


2.1.2.3.6) Le dichiarazioni di Stefano NICOLETTI


Si è sunteggiato sub 1.2.2) il contenuto dei colloqui svoltisi nel carcere di Rimini, in epoca di poco posteriore alla strage, fra Stefano NICOLETTI ed Edgardo BONAZZI. In giudizio, il primo ha confermato le dichiarazioni istruttorie (87), mentre il secondo, sentito con le garanzie della difesa, perché chiarisse se ed in che termini si fossero svolte le conversazioni col NICOLETTI, si è avvalso della facoltà di non rispondere (88).


Il NICOLETTI, autore di una deposizione il cui peso non può in alcun modo essere sottovalutato, merita di essere pienamente creduto. Egli rende dichiarazioni che non soltanto si armonizzano, in un quadro coerente, con quelle provenienti dalle altre fonti passate in rassegna, ma forniscono a queste ultime un'adeguata chiave di lettura. Per la parte relativa ai dialoghi captati nel carcere di

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(86) - Cfr. vu 16/2/88, p78. (87) - Cfr. vu 20/10/87, p109.
(88) - Cfr. vu 15/2/88, p15.


Ferrara, si è visto che le parole del teste hanno trovato ampie conferme, anche da parte di persone totalmente insospettabili. Il NICOLETTI non è stato mosso dalla volontà di fornire a tutti i costi un contributo all'attività degli inquirenti in senso favorevole all'accusa: quando pendeva a carico del FURLOTTI l'imputazione di strage, il teste riferì d'aver appreso dallo IANNILLI, il quale si era espresso in termini di assoluta convinzione, dell'innocenza del FURLOTTI (89). Lo IANNILLI, dal canto suo, già nel settembre dell'80 aveva dovuto ammettere che i contatti con il NICOLETTI avevano avuto luogo, pur sostenendo che il contenuto dei dialoghi era stato riferito dal teste in maniera falsa o travisante (90). Nell'interrogatorio del

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(89) -Cfr. EA, V10/a-2, C64, p16.
(90) - Cfr. EA, V10/a-2, C64, p17. Nel corso del confronto col teste, lo IANNILLI ebbe ad affermare: "Ammetto di aver cercato di avere notizie anche tramite il detenuto della cella accanto che poi si è saputo essere il qui NICOLETTI.- Nego di aver detto la frase che a far fare certe cose ai ragazzini, finiscono poi male, ma dissi riferendomi al DE ORAZI Luca che non è conveniente avere per amici dei giovani più piccoli.- Il nome del DE ORAZI l'avevo appreso sui giornali quando io ero ancora libero.- Nego di aver detto con riferimento alla frase che FURLOTTI era stato lui a mettere la bomba: `Impossibile, so che non è stato lui'. Ammetto che conosco il FURLOTTI come ho già spiegato.--- Nego di aver fatto riferimento espresso al FURLOTTI o che la nostra conversazione si fosse riferita al detto FURLOTTI, nego di aver escluso la partecipazione di taluno alla strage.---Nego di aver detto `come mai ci hanno preso tutti', ma invece mi chiedevo `come hanno fatto ad arrestarmi insieme a questi altri?' Io FEMIA non l'avevo mai conosciuto."


15/12/85, parzialmente modificando le precedenti dichiarazioni, ammise tuttavia d'aver effettivamente espresso il suo convincimento circa l'estraneità del FURLOTTI alla strage (91).


Per quanto attiene,in particolare, alle notizie che il NICOLETTI afferma d'aver appreso dal BONAZZI, la riprova della loro genuinità e veridicità riposa sulla specificità e sulla coerenza interna del loro contenuto: non potevano essere note al NICOLETTI, delinquente comune di basso livello, le circostanze relative al contenuto, alla redazione ed alla diffusione delle rivista `QUEX', nè egli aveva la preparazione per riferire agli inquirenti -di scienza propria e falsamente attribuendole al BONAZZI- le citazioni e le analisi politiche di cui al verbale di deposizione. D'altronde, vari particolari appresi e riferiti dal teste hanno trovato precise e plurime conferme in altre acquisizioni probatorie: il riferimento ai "ragazzini" quali esecutori dell'attentato, ed alla maggior gravità del medesimo rispetto a quanto programmato;l'indicazionedegli

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(91) - Cfr. IA, V9/a-1, C4 bis, p14.


ideatori del massacro in FACHINI e SIGNORELLI, raggiunti anche `aliunde' da molteplici e convergenti indizi; la rivelazione che il programma terroristico, poi non realizzato compiutamente, aveva originariamente previsto azioni dimostrative nelle città di Bologna, Milano e Genova (a Bologna verrà posta in essere la strage; a Milano, pochissimi giorni prima, era stato compiuto un altro gravissimo attentato, presso la sede del Consiglio Comunale; a Genova, nell'imminenza della strage del 2 agosto, i Carabinieri tenteranno di attivare la fonte ROBBIO, avendo notizia di attività terroristiche in preparazione negli ambienti della destra).


Il BONAZZI, poi, era fonte qualificatissima. Estremista di rango e non semplice gregario, costui, già negli anni precedenti, giovandosi degli spostamenti che otteneva in virtù delle sue pendenze giudiziarie, aveva ricoperto il ruolo di agente di collegamento fra il FREDA ed il TUTI e gli altri più rappresentativi esponenti neofascisti. Anche in occasione dei fatti riferiti dal NICOLETTI, il BONAZZI, essendo detenuto in Sardegna, aveva preso a preteso la celebrazione di un processo a suo carico, per poter venire in carceri ove erano detenute persone coinvolte nell'inchiesta sulla strage e carpire loro informazioni a proposito di quell'attentato, che aveva provocato una dura repressione a carico delle formazioni neofasciste, creando una situazione di sbandamento fra i militanti. Ottenuto il trasferimento a Rimini, era entrato in contatto con Roberto RINANI, del quale si era accattivato la confidenza, da lui attingendo opportune informazioni: né la cosa dovette riuscire difficoltosa,avendo potuto il BONAZZI spendere il nome del capo carismatico della cellula veneta, cioè il nome di Franco FREDA.


All'esito dell'inchiesta, il `commissario politico' (92) si era poi lasciato andare, con il NICOLETTI, alle riferite rivelazioni.


2.1.2.3.7) Prime parziali conclusioni


Le fonti sin qui esaminate sono di segno convergente e sono suscettibili di essere ricondotte ad unità, nell'ambito di una coerente ricostruzione, i cui elementi si supportano e

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(92) - Così definito dal PUBBLICO MINISTERO, in RE, p655, rigo 1.


corroborano vicendevolmente.


L'ampia sovrapponibilità delle informazioni provenienti -attraverso fonti diverse- dal VETTORE e dallo SPIAZZI, nonchè gli ulteriori elementi indicati a sostegno della affidabilità di talune affermazioni del secondo, depongono nel senso del perseguimento, nel 1980, da parte dei poli veneto e romano dell'eversione neofascista, di una progettualità terroristica, orientata tanto verso le azioni di carattere indiscriminato che verso gli obiettivi di tipo selettivo. Mario Guido NALDI, nella primavera dell'80, aveva ricevuto la visita dei `leaders' di `Terza Posizione', FIORE ed ADINOLFI, che, nel proporgli la costituzione, in Bologna, di una `sezione' del loro movimento, avevano fatto riferimento ad azioni paradigmate sull'assalto di una Sezione del Partito Comunista Italiano di Roma, compiuta dai N.A.R. e realizzata con il lancio di bombe a mano. Roberto FIORE sarà indicato dallo SPIAZZI (93) come colui che, assieme a Walter SPEDICATO, nel luglio 1980, gli aveva

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(93) - Al Colonnello -cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, p54- fu anche sottoposta la fotografia del FIORE.E, nella forma del riconoscimento, ancora una volta egli fu fedele al suo inconfondibile stile: "FIORE, più lo vedo e più mi convinco che è lui".


fornito le notizie raccolte nella nota informativa SISDE e più ampiamente riferite agli inquirenti. Se si pone mente al

fatto che il GIOVAGNINI afferma d'aver ricevuto dal FIORE, proprio nel luglio del 1980, le rivelazioni riferite circa la disponibilità di armi ed il programma di lotta armata del movimento, da condurre attraverso azioni destabilizzanti, si vedrà come, rilette sinotticamente, le dichiarazioni sue, del NALDI e dello SPIAZZI, si confortino reciprocamente e costituiscano attestato di credibilità l'una per l'altra.


Si vedrà, nell'esaminare il delitto di banda armata, quali fossero i rapporti ed i collegamenti operativi fra i vari SIGNORELLI, FACHINI, CAVALLINI e FIORAVANTI, cioè fra esponenti di vertice dell'estremismo nero della capitale e del Veneto ed elementi di spicco di quei N.A.R. cui si rivolgeva l'azione coordinatrice del MANGIAMELI. Si vedrà altresì il formidabile supporto militare che, fin dai primi mesi del 1980, Valerio FIORAVANTI aveva preso a fornire a `Terza Posizione', contribuendo in modo decisivo alla `escalation' del movimento. E si vedrà ancora che -al di là dei pretesi contrasti fra il FIORAVANTI ed i vertici dello stesso movimento- il FIORAVANTI, nel luglio del 1980, fu ospite in Sicilia di Francesco MANGIAMELI, con il quale condivideva il progetto di far evadere Pierluigi CONCUTELLI, all'epoca in fase di organizzazione. Il MANGIAMELI poi, dopo il 2 agosto e prima di essere assassinato dal FIORAVANTI e dai sodali di quest'ultimo, aveva riferito al VOLO, in più di un occasione, che "la strage di Bologna era opera dei servizi segreti diretta a provocare una reazione contro la destra e che SIGNORELLI FACCHINI" (sic) "e AFFATIGATO erano in effetti agenti dei servizi." (94)


In questo quadro si innestano le dichiarazioni del NICOLETTI, che -lo si è anticipato- costituiscono una preziosa chiave di lettura dei fatti: erano previste, per l'inverno del '79 o la primavera dell'80, azioni dimostrative a Bologna, Milano e Genova (in quest'ultima città i Carabinieri, allertati,tentatarono poidi sensibilizzare la ROBBIO, per acquisire utili informazioni);




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(94) - Cfr. interrogatorio reso da VOLO il 15/9/80 nel procedimento per l'omicidio del MANGIAMELI, in EA, V10/a-3, C134/1, pp. 2 ss., e, in particolare, p6. Si tratta di dichiarazioni confermate in giudizio (cfr. vu 15/1/88, p2 retro).


per motivi non precisati, l'iniziativa aveva dovuto essere rinviata; qualcuno, peraltro, anziché desistere, aveva voluto forzare la mano, e dare comunque corso all' "azione dimostrativa", che, però, aveva prodotto effetti più disastrosi di quelli programmati; il divario fra obiettivi prefissati e risultato realizzato era dipeso dall'essersi gli ideatori -indicati nel FACHINI e nel SIGNORELLI- associati nell'impresa dei "ragazzini"; e poiché l'enormità delle conseguenze dell'attentato aveva provocato una pesante reazione verso la destra, con l'arresto delle "falangi" e la distruzione dei ranghi, il SIGNORELLI ed il FACHINI avrebbero dovuto pagare: "se un soldato sbaglia deve pagare il sergente non il generale" (95).


Occorre aver presente che il riferimento ai `ragazzini', già presente nelle parole del FEMIA captate nel carcere di Ferrara, ripreso in altro contesto dal BONAZZI, e poi, a fine istruttoria, dalla FURIOZZI, era stato presente altresì nelleconfidenzefattedalMANGIAMELI al VOLO (96);echeil



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(95) - L'apoftegma del BONAZZI attribuisce al FACHINI ed al SIGNORELLI il ruolo di sergenti, mentre il grado di generale resterebbe riservato al FREDA.
(96) - Cfr. EA, V10/a-3, C134/1, p21.


MANGIAMELI, presso il quale -come si è visto- avevano

alloggiato, sino a pochissimi giorni prima della strage, il FIORAVANTI e la MAMBRO, diede rifugio, dopo l'attentato, a Luigi CIAVARDINI, presente nel Veneto, in compagnia dei primi due, nei giorni a cavallo del 2 agosto, e oggi raggiunto a sua volta da una comunicazione giudiziaria per il delitto di strage.


Né deve sfuggire che, in effetti, la strage di Bologna ebbe caratteristiche e proporzioni che travalicavano i limiti dellaprogettualità terroristica coltivata nell'ambiente dell'eversione neofascista romana, così come ci è nota attraverso varie fonti: sappiamo dallo SPIAZZI che il tentativo del MANGIAMELI di conciliare le diverse tendenze presenti nel frastagliato mondo eversivo cui era diretta la sua azione coordinatrice avrebbe potuto sfociare nell'attentato ad un magistrato e ad un picchetto di Carabinieri, durante una celebrazione e che, in effetti, l'assassinio di un giudice era già stato programmato a breve scadenza; sappiamo ancora, attraverso le dichiarazioni istruttorie di Alberto VOLO, che il MANGIAMELI aveva condannato la strage di Bologna "perché si era colpito nel mucchio", ma non aveva disapprovato "certe azioni delle Brigate Rosse come l'omocidio di MORO e gli attentati a singole persone". Il MANGIAMELI, "in particolare, aveva approvato l'omicidio del giudice AMATO..." (97). Anche le azioni di tipo diverso che, nell'ambiente, si ipotizzava di porre in esecuzione (vi era chi ventilava di ispirarsi, come modello, all'attentato alla Sezione del Partito Comunista Italiano dell'Esquilino), pur avendo un taglio più marcatamente indiscriminato, non miravano a "colpire nel mucchio", provocando un elevato numero di vittime, ma rappresentavano, piuttosto, una forma, estrema e degenerata, di lotta all'avversario politico, destinato ad essere

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(97) - Cfr. EA, V10/a-3, C134/1, p7. In giudizio, il VOLO non ha confermato (cfr. vu 15/1/88, pp. 2 retro ss.) questa parte delle dichiarazioni istruttorie, sostenendo che gli erano state estorte con la tortura. Siffatta sortita è perfettamente coerente con il complessivo atteggiamento di questo personaggio tutt'altro che lineare, interno alla cellula palermitana del MANGIAMELI e autore della nota lettera anonima spedita ad un funzionario della Questura di Palermo alla fine del luglio '80. Già inquisito nel procedimento per l'omicidio MANGIAMELI, il VOLO è stato interrogato ai sensi dell'art. 450 bis C.P.P. Non ha naturalmente chiarito i motivi per cui soltanto dopo oltre sette anni si è deciso a rivelare ai giudici del presente procedimento che avrebbe fatto certe dichiarazioni sol perché vittima di violenze fisiche. Peraltro, la conferma di quanto a suo tempo dichiarato dal VOLO era già intervenuta `ab externo': lo SPIAZZI aveva chiarito verso quali azioni potesse essere indirizzata l'azione coordinatrice di `Ciccio' MANGIAMELI.


ferocemente aggredito nelle sue stesse sedi.


Resta così spiegato perché il MANGIAMELI, all'indomani del 2 agosto, prese le distanze dalla strage, che, per le sue immani proporzioni e le sue terrificanti conseguenze, aveva rappresentatoun improvviso ed incontrollato colpo d'acceleratore. Ma la sua sorte era ormai segnata. Non solo egli era `politicamente' inaffidabile, per la sua indisponibilità o inattitudine a sopportare il peso della mostruosa carneficina, ma, dopo la pubblicazione dell'intervista dello SPIAZZI, era divenuto una vera e propria mina vagante per gli autori della strage, che, non avendo avuto difficoltà ad identificare il `Ciccio' dell'intervista stessa, sapevano bene che costui rappresentava una traccia vivente in direzione delle loro responsabilità.


Questo lo sfondo sul quale vanno esaminate le prove raccolte a carico degli imputati di strage, che si esamineranno di seguito. Si vedrà come e perché tali prove, idonee a suffragare l'affermazione della penale responsabilità del singolo in taluni casi, insufficienti (quantunque assai cospicue) in altri, conducano a conclusioni coerenti con le
premesse sin qui poste, rendendole via via suscettibili di una più concreta lettura e traendone, al tempo stesso, complessivo conforto logico.


2.1.2.4)I rapporti operativi fra gli imputati di strage all'interno della banda armata oggetto di giudizio. Rinvio


Condivide questo Collegio l'orientamento della Suprema Corte secondo cui dall'appartenenza di un individuo ad una formazione armata non è dato far discendere, automaticamente, la sua responsabilità per gli episodi delittuosi a tale formazione ascrivibili. E' per converso del tutto lecito utilizzare gli elementi di prova che a carico del singolo, nell'analizzare la sua posizione all'interno dell'organizzazione, siano emersi in ordine a specifici collegamenti con altri determinati sodali, per trarne elementi di giudizio in ordine alle responsabilità per il singolo delitto, ogniqualvolta la natura e la qualità di quei rapporti siano idonee a corroborare altri elementi `aliunde' raccolti in merito a tale delitto. Fatta tale doverosa premessa, si precisa -come si è anticipato- che, ad evitare ripetizioni, si valuteranno nel capitolo relativo alla banda armata le prove dei collegamenti operativi fra gli imputati di strage ed altri prevenuti all'interno di una formazione nel cui programma politico-militare si è venuta ad inscrivere la strage del 2 agosto 1980. A tale parte della trattazione occorre pertanto fare rinvio, con l'avvertenza che, per quanto necessario, fatti e collegamenti colà dimostrati saranno utilizzati sin da ora.


2.1.2.5)La posizione di Giuseppe Valerio FIORAVANTI e di Francesca MAMBRO


2.1.2.5.1) Le dichiarazioni di Massimo SPARTI


Si è dato conto, sub 1.2.18), di quanto riferito da Massimo SPARTI all'autorità giudiziaria romana sin dall'11/4/1981. Si è visto altresì, sub 1.4.3), che il contenuto di quel primo interrogatorio era stato poi più volte confermato e precisato avanti al Giudice Istruttore del presente procedimento. In un successivo verbale (98), il 5/5/1982, lo SPARTI aveva invece manifestato dei dubbi sulla data della richiesta di documenti da parte del FIORAVANTI, affermando di non essere sicuro che si trattasse del quattro agosto. In giudizio (99), ha spiegato quali pressioni (100) lo avessero ad un certo punto indotto ad introdurre elementi di perplessità nel proprio racconto, ed ha riconfermato con assoluta certezza la versione dei fatti originariamente




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(98) - EA, V10/a-4, C163/1, pp. 39-40.
(99) - Cfr. vu 30/9/87, pp. 37-41, e vu 24/2/88, pp. 21-22. Lo SPARTI è stato escusso una prima volta come testimone. Successivamente, `re melius perpensa', la Corte ha deciso di risentirlo con le garanzie della difesa, ai sensi dell'art. 450 bis o comunque dell'art. 304 C.P.P. In tale ultima occasione le dichiarazioni precedentemente rese hanno trovato piena conferma. (100) - Di tali pressioni era già traccia in atti prima che lo SPARTI comparisse davanti alla Corte: cfr. AAD, V12, C27 e C63.


resa. Prima ancora di esprimersi aull'attendibilità dello SPARTI, deve la Corte chiarire il proprio pensiero in ordine all'interpretazione del senso complessivo del suo racconto. Ora, non v'è dubbio -a giudizio del Collegio- che le parole e l'atteggiamento del FIORAVANTI, così come sono stati riferiti, costituiscano un'assunzione di responsabilità, e, dunque, sia pure in termini allusivi e non espliciti, una sorta di confessione stragiudiziale. Occorre valutare nel loro complesso e nel loro reciproco interagire le seguenti circostanze: la presenza degli imputati alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980; il riferimento al "botto", accompagnato e seguito da aria di vanto, esaltazione e spavalderia; la reiterata e compiaciuta esaltazione del coraggio della MAMBRO da parte del FIORAVANTI; il travestimento del FIORAVANTI in occasione dei fatti, che gli induceva tranquillità per sé; la preoccupazione per la MAMBRO, che avrebbe invece potuto esser riconosciuta, al punto che il suo compagno le aveva fatto tingere i capelli; l'eccezionale urgenza di entrare in possesso dei documenti falsificati; le minacce rivolte allo SPARTI, prospettando ritorsioni nei confronti del figlio, se non avesse serbato il silenzio.


Tanto premesso, si osserva che le dichiarazioni dello SPARTI sono perfettamente credibili. Egli era persona idonea a ricevere confidenze tanto compromettenti: sodale dei fratelli FIORAVANTI, per i quali costituiva un sicuro punto diriferimento,era già stato messo a parte di altreimprese criminose. Nello stesso verbale dell' 11/4/81 si fa cenno del furto delle bombe a mano consumato da Valerio in Pordenone, durante il servizio militare (101). In altra parte del verbale (102)lo SPARTI riferisce: "...Quando appresi dell'omicidio di AMATO, chiesi a Valerio se era stato Alessandro." (103) "Per tutta risposta mi disse `questa volta lo abbiamo tanato. Hai visto che mira?' senza specificarmi chi fosse l'autore materiale del delitto." Orbene, in seguito fu accertata la penale responsabilità del FIORAVANTI sia per il furto delle bombe a mano che per il delitto AMATO. Per quanto riguarda, in particolare,


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(101) - Cfr. RA, V15.
(102) - Cfr. AA, V9, C54, p12.
(103) - Si tratta di Alessandro ALIBRANDI.


quest'ultimo crimine, il FIORAVANTI, all'epoca, non era ancora confesso; e soltanto nello stesso mese di aprile del 1981 venne indicato come uno dei responsabili dal fratello Cristiano (104).


Lo SPARTI, salvo l'ondeggiamento di cui ha spiegato le ragioni, ha tenuto ferma per anni, anche in pubblico dibattimento, una tremenda accusa, che lo espone ad una responsabilità e ad un rischio gravissimi. Ha fornito una versione lucida, particolareggiata ed internamente coerente dei fatti, ambientandoli nel tempo e dando convincentemente conto del loro sviluppo diacronico e dell'atteggiamento e delle reazioni dei protagonisti. Non ha mostrato enfasi accusatoria. Al contrario, nei primi verbali si è mostrato addirittura spaventato di quanto andava riferendo, ed ha efficacemente descritto lo stato d'animo con cui accolse le dichiarazioni del FIORAVANTI: vi si coglie una sorta di difficoltà, quasi di ripulsa a trarre le conclusioni che le vanterie dell'interlocutore pure costringevano a trarre. Lo SPARTI, inorridito e sgomento, avrebbe voluto non esser

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(104) - Cfr. AA, V11, C66/3, pp. 35 ss.


stato chiamato a condividere un simile segreto: "lo pregai di non parlarmi neppure di queste cose".


Le dichiarazioni dello SPARTI hanno poi trovato la formidabile conferma di Fausto DE VECCHI (105). E' costui persona certamente non prevenuta nei confronti degli imputati. Ne fa fede il modo stesso in cui si sono venute sviluppando le sue dichiarazioni istruttorie: lungi dall'essere la `spalla' dello SPARTI, disposta ad avallarne comunque le accuse, il DE VECCHI non ha ostentato facili sicurezze. Si è visto come si sia reso necessario un confrontotrai due, di cui si dato è succintamente conto; nell'occasione, il DE VECCHI, di fronte all'atteggiamento risoluto dello SPARTI, ha messo a fuoco i propri ricordi, con risultati che è bene apprezzare attraverso l'integrale efficace verbalizzazione (106): "Prendo atto di quanto afferma SPARTI e dichiaro che non posso essere certo nell'affermare che le due foto si riferissero ad un uomo. Non posso né confermarlo né escluderlo, sia perché non ho

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(105)- Cfr. gli atti istruttori citati sub 1.4.3) e vu 30/9/87, pp. 42-43 e vu 26/2/88, pp. 12 e 15. Come lo SPARTI, così anche il DE VECCHI è stato escusso in un primo tempo come teste epoi è stato risentito con le garanzie della difesa. (106) -EA, V10/a-4, C163/1, p43 retro.


fatto altro che consegnarle al falsario e quindi restituire

i documenti allo SPARTI, sia perché i documenti nella maggior parte dei casi non portavano il nome dell'interessato (per motivi di cautela) , sia perché di solito non avevo la curiosità di guardare a chi fossero destinati i documenti. Talvolta davo uno sguardo alle foto che mi venivano consegnate e in tal caso sarei stato in grado di ricordare le sembianze e siccome sono fisionomista, sono capace anche di riconoscere se la stessa persona viene riprodotta in foto anche successivamente sui giornali. Evidentemente nelle dichiarazioni rese alla S.V. l'8/12/81, di cui ricevo lettura, mi sono espresso inesattamente per quanto si riferisce al fatto di avere dato uno sguardo alle foto consegnatemi dallo SPARTI nell'estate del 1980. In sostanza non posso escludere che le foto consegnatemi da SPARTI ed i relativi documenti fossero per una donna. Non avevo mai visto la MAMBRO né di persona né in fotografia; la prima volta l'ho vista in televisione o sui giornali quando fu arrestata ed io ero in carcere."


Dal prosieguo del verbale di confronto emerge che, in altra occasione, il DE VECCHI aveva ricevuto dallo SPARTI, in vista di una falsificazione, la fotografia di Cristiano FIORAVANTI, persona le cui sembianze gli erano note. Ricordando d'aver fornito documenti allo SPARTI in altre quattro o cinque occasioni, ma non avendo presente l'episodio specifico, il DE VECCHI finiva per riconoscere che, evidentemente, anche in quel caso, non aveva guardato le fotografie consegnategli.


E' rimasta dunque confermata la fornitura di una patente e di una carta d'identità nei primi giorni d'agosto (107) e, attraverso una ragionata messa a fuoco dei ricordi del DE VECCHI, è venuto meno un potenziale profilo di discordanza fra la versione sua e quella dello SPARTI.


Non deve sfuggire che gli imputati, i quali negano in radice l'episodio, dovrebbero spiegare come lo SPARTI avrebbe `indovinato' la loro breve ed episodica presenza in Roma in quei giorni: per loro stessa ammissione, essi si trovavano in Veneto alla data del 2 agosto; rientrati a Roma in tempo utile per consumare la rapina del 5/8/1980 all'Armeria

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(107) - Cfr. le puntuali affermazioni in EA, V10/a-4, C163/1, p112 recto e verso.


FABRINI di Piazza Menenio Agrippa, se ne allontanarono
nuovamente nel breve volgere di due o tre giorni (108).


Ma v'è di più: anche la circostanza dell'eccezionale urgenza con cui lo SPARTI dovette procurarsi i documenti ha trovato conferma. Riferisce il dott. LAZZERINI, nel rapporto UCIGOS 26/5/83 (109), d'aver sentito informalmente il DE VECCHI nel Carcere di Rebibbia e d'aver appreso da costui che, in occasione della richiesta dei documenti, lo SPARTI aveva fretta ed era terrorizzato, al punto che -secondo quanto aveva aggiunto il DE VECCHI- o i documenti erano stati richiesti la mattina e consegnati il pomeriggio, o richiesti il pomeriggio e consegnati allo SPARTI il mattino immediatamente successivo.


Si è sostenuto che lo SPARTI ha mentito, in quanto egli non si sarebbe trovato a Roma il 4 agosto. Tale tesi difensiva è definitivamente caduta. Da un lato è rimasto escluso che egli fosse già partito in tale data, alla volta di Prato allo Stelvio, ove pure si recò nei giorni successivi. Dal rapporto in atti dei Carabinieri di Trento (110),risultava


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(108) - Cfr. RA, V9, C382, p12.
(109) - Cfr. RA, V8, C370 bis, p16.
(110) - Trovasi in EA, V10/a-4, C163/6, pp. 5 ss.


che la famiglia SPARTI e la domestica TORCHIA alloggiarono in Spondigna (BZ) fra il 9 e l'11 agosto, periodo in cui risultano registrati presso l' `Hotel Post-Hirsch'. E' stato ugualmente scrupolo della Corte disporre l'esame, ai sensi dell'art. 453 C.P.P., di TALLARICO Francesco, zio della TORCHIA, che costei e gli SPARTI erano andati a visitare nell'occasione. Il TALLARICO, che non aveva un ricordo preciso dei fatti, richiesto di indicare la durata della permanenza dei suoi visitatori, ha fatto riferimento, in termini dubitativi, ad un periodo variabile fra i 4 ed i 6 giorni (111). Ora, data la vaghezza del ricordo, si deve avere riguardo all'indicazione di cui al rapporto, anche perché non si vede il motivo per cui, se la permanenza fosse stata più lunga, gli SPARTI sarebbero stati registrati per tre sole notti. Ad ogni modo, anche volendo accreditare la versione dei fatti più favorevole alla difesa (immaginando cioè una permanenza di 6 giorni), e tenuto conto che lungo il tragitto per l'Alto Adige la comitiva sostò una notte a Trento (la notte fra il 5 ed il 6), ritroviamo ugualmente lo

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(111) - Cfr. vu 19/2/88, p1 retro.


SPARTI a Roma il giorno 4, in grado di consegnare i documenti la mattina del 5 e di partire poi con la famiglia alla volta del Nord Italia.


A ben vedere, la tesi difensiva illustrata si pone in contrasto con una seconda che vorrebbe lo SPARTI, il 4 ed il 5 agosto, non in viaggio verso l'Alto Adige, ma in Cura di Vetralla, ospite, con la famiglia, della nonna materna della moglie. Deponendo in istruttoria, la moglie dello SPARTI, VENANZI Maria Teresa (che -si badi- è accusata dal marito d'avergli fatto pressioni perché ritrattasse) aveva riferito che, verso la metà di luglio, il marito l'aveva raggiunta a Cura di Vetralla, ove ella si trovava già con i figli dalla chiusura delle scuole. E aveva aggiunto (112): "Non posso escludere che tra la sera in cui abbiamo appreso la notizia di Bologna ed il giorno in cui siamo partiti per l'Alto Adige, mio marito abbia fatto una scappata a Roma, ma posso escludere con certezza che possa essersi trattenuto a Roma per più di una giornata. A ben ripensarci posso addirittura escludere che mio marito in detto periodo si sia assentato



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(112) - EA, V10/a-4, C163/6, p3.


da Cura di Vetralla per venire a Roma."


In giudizio, la VENANZI, interpellata sugli spostamenti della famiglia nel periodo a cavallo della strage, dopo aver premesso che erano "passati tanti anni", si è richiamata, confermandole (113), alle dichiarazioni istruttorie. Osserva la Corte: la deposizione istruttoria risale al 1982, e non si vede come la donna potesse escludere che il marito, all'epoca dei fatti, fosse, in qualche occasione, andato e tornato da Roma, raggiungibile da Cura, in automobile, in un'ora di viaggio. Né si tratta di circostanze, che, nel 1980, potessero essere significative agli occhi della teste, al punto da imprimersi saldamente nella sua memoria: la loro importanza derivò `a posteriori' dalle dichiarazioni del marito, rese a far tempo dall'aprile del 1981.


D'altronde, su questo particolare aspetto della vicenda, un contributo di chiarezza è venuto da fonte sotto tale profilo non sospettabile: Cristiano FIORAVANTI, che, sino ad epoca relativamente recente ha fermamente respinto l'idea del coinvolgimento del fratello nella strage. Il 9/12/1981 ebbe


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(113) - Cfr. vu 25/1/88, pp. 22-24.


a riferire al Giudice Istruttore: "Quando uscii dal carcere il 2 agosto, poiché non avevo soldi, la prima persona che cercai fu lo SPARTI, ma non lo trovai. Trovai la domestica Luciana e la madre di SPARTI, che mi dissero che Massimo era a Cura di Vetralla, un paese in provincia di Viterbo dove la moglie di SPARTI aveva una casetta. La Luciana mi dette i soldi del taxi. La Luciana mi disse che SPARTI faceva la spola tra la campagna ed il negozio e che avrebbero chiuso definitivamente il negozio per ferragosto." (114)


Occorre procedere con ordine e passare ad altro argomento, precisando che il discorso dell'attendibilità dello SPARTI non si esaurisce qui, ma è soltanto accantonato: si dovrà esaminare, in seguito l'insuperabile riscontro di natura oggettiva costituito dalla presenza alla stazione di Bologna, in occasione dell'attentato, di Sergio PICCIAFUOCO, persona doppiamente collegata al duo FIORAVANTI-MAMBRO.


2.1.2.5.2) Le versioni difensive e il problema dell' `alibi'


Nella ricostruzione dei movimenti dei due imputati, v'è una cesura, una zona d'ombra, che si colloca proprio nei giorni

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(114) - EA, V10/a-4, C163/1, p32.


a cavallo della strage.


Le loro tracce si perdono a Palermo il 30 luglio, data per la quale essi avevano prenotato un volo a nome sig. e sig.ra CUCCO, in partenza per Roma, senza peraltro beneficiare della prenotazione (115). In effetti, Rosaria AMICO, vedova MANGIAMELI, dopo aver riferito dell'ospitalità prestata al FIORAVANTI ed alla MAMBRO in Tre Fontane, nella seconda metà di luglio, ebbe ad aggiungere: "...quando tornammo a Palermo per la nascita del nipotino di mio marito, Riccardo e Marta" (si tratta dei nomi di copertura all'epoca adottati dagli odierni imputati) "partirono. Pensavamo di accompagnarli in città, ma giunti all'aeroporto, anzi nei pressi, ci chiesero di lasciarli lì..." (116)


La successiva traccia certa -prima dell'episodio riferito dallo SPARTI- è costituita dalla presenza dei due prevenuti in Roma, nel pomeriggio del giorno 5 agosto, in occasione della rapina all'armeria di Piazza Menenio Agrippa.


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(115) - Cfr. RA, V9, C382, pp. 2 ss. (116) - Cfr. EA, V10/a-3, C117, p25. In dibattimento (cfr. vu 16/11/87, pp. 72 ss.), la donna ha leggermente rettificato il tiro, dicendo che i due ospiti furono accompagnati sino all'aeroporto; ma ha precisato che avevano chiesto di essere scaricati qualche chilometro prima. In ogni caso, non furono visti partire in aereo.


Circa l'alibi, il 25/5/1981 Valerio FIORAVANTI riferì (117): "...il 1° agosto mi trovavo a Treviso in quanto avevo un


appartamento nel comune di Fontane, ove abitavo insieme a Flavia SBROIAVACCA, Francesca MAMBRO e Luigi" (sic) "CAVALLINI, da quando era stato ultimato l'appartamento. Dal 1° al 2 agosto non ci siamo allontanati dagli immediati dintorni di Treviso. La mattina del 2 agosto, come di solito, la Flavia è andata a casa di sua madre mentre io il CAVALLINI e la MAMBRO eravamo ancora in casa. La Flavia è andata via verso le ore 08,00 circa. Dal canto nostro siamo andati a casa SBROIAVACCA verso le ore 13.00; quindi, ci siamo congedati ed abbiamo passato parte della giornata, sino a sera, senza fare nulla di rilevante...Non sono in grado di indicare qualcuno che possa ricordare di avermi incontrato in quella giornata. Ricordo che è stata Flavia, quando l'abbiamo incontrata intorno alle 13,00, a comunicarci dell'attentato di Bologna. E' stata Flavia la prima persona che ci ha parlato di tale avvenimento, avvenimento che abbiamo poi diffusamente commentato la sera,




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(117) - Cfr. IA, V9/a-2, C29/B, p2.


a casa, dopo il telegiornale".


Diversamente la MAMBRO, nell'interrogatorio (118) sostenuto il 27/4/1982, dopo la cattura: "In quel periodo vivevo a Treviso in casa di Flavia SBROIAVACCA...Ricordo con assoluta certezza che la mattina del 2 agosto sono partita in macchina per Padova insieme a Valerio FIORAVANTI, Luigi CIAVARDINI e Gilberto CAVALLINI; l'auto era una Opel Rekord di proprietà della moglie di CAVALLINI (119)... Io e CIAVARDINI avevamo in programma di acquistare un paio di pantaloni...Mi ricordo che era sabato perché a Padova c'era un mercatino nel primo pomeriggio. La prima notizia dello scoppio avvenuto alla stazione l'abbiamo avuta da CAVALLINI, il quale ci disse di aver appreso dalla radio che alla stazione di Bologna vi era stata un'esplosione provocata da una fuga di gas...sono sicura che si trattava del 2 agosto, perché in seguito più volte siamo riandati a quella giornata paventando di essere criminalizzati per questo fatto in quanto sin dai primi giorni si era diffusa l'opinione che l'attentato di Bologna fosse una strage fascista..."


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(118) - Cfr. IA, V9/a-2, C38, pp. 5-6.
(119) - L'imputata intendeva indicare la SBROIAVACCA, che
non è però coniugata con il CAVALLINI.


Poi, il 25/8/1984 (120) : "Non ritengo di alcuna consistenza a mio carico...in particolare le deposizioni di SPARTI. In merito alla vicenda dei documenti, chiarisco che, a quanto ricordo, effettivamente vennero richiesti allo SPARTI, ma non per me e Valerio ma per altre due persone, due uomini, forse per ADINOLFI e sicuramente per Roberto FIORE.Infatti allora il nostro gruppo pur essendo critico nei confronti di FIORE e ADINOLFI, li riteneva degni di solidarietà...Mi risulta che questi documenti furono effettivamente consegnati agli interessati ...Noi non chiedemmo documenti come facevamo di solito al CAVALLINI perché avevamo fretta e per una qualche ragione noi non potevamo andare a Treviso dove in quel momento era CAVALLINI. Anzi, la ragione era che in quei giorni dovevamo fare la rapina in Piazza Menenio Agrippa e non potevamo allontanarci da Roma..." Paradossalmente, l'imputata, nel contestare le accuse dello SPARTI, finisce per accreditarle: restano confermate le circostanze della consegna dei documenti, dell'urgenza, e persino della data, dal momento

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(120) - Cfr. IA, V9/a-2, C38, p24.


che la rapina fu consumata il giorno 5. E laddove sostiene che i documenti erano destinati al FIORE ed all'ADINOLFI, la donna mente clamorosamente: la circostanza -che le sovviene significativamente a quattro anni di distanza dai fatti- non


si concilia con il proposito, che proprio nel periodo in esame veniva maturando da parte del suo gruppo, di eliminare i due `leaders' di Terza Posizione: progetto che si vorrebbe far rientrare nell'ambitodi una campagna volta a colpire chi -come il MANGIAMELI- si rendeva responsabile della strumentalizzazione e dello sfruttamento dei ragazzini. A detta della MAMBRO, il FIORE e l'ADINOLFI erano divenuti un obiettivo da colpire "soprattutto dopo il suicidio in carcere di Nanni DE ANGELIS e la cattura di CIAVARDINI", ma il FIORAVANTI, il 26/4/1984, aveva già precisato che "il cadavere di MANGIAMELI fu occultato proprio perché non si voleva compromettere ulteriori operazioni in corso contro FIORE ed ADINOLFI" (121). L'imputato, nel medesimo verbale, avuta lettura delle dichiarazioni del DE VECCHI, si era reso conto di non potersi più utilmente irrigidire di fronte alle




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(121) - Cfr. IA, V9/a-2, C29, p30.


accuse dello SPARTI, ed aveva deciso, in anticipo rispetto alla MAMBRO, di tentare una carta difensiva: ammettere che, effettivamente, una richiesta di documenti allo SPARTI era stata fatta, ma per conto del FIORE e dell'ADINOLFI. Naturalmente, poi, si era trovato in imbarazzo nel conciliare l'atto di generosità con l'atteggiamento del suo gruppo verso i due: "Avuta lettura delle dichiarazioni di DE VECCHI Fausto rese il 17 giugno 83 dichiaro: mi pare di ricordare che quello era il periodo in cui tramite Giorgio VALE ci pervenne la richiesta di documenti falsi da parte di FIORE ed ADINOLFI, i quali dopo i mandati di cattura del 28 agosto o subito dopo la strage di Bologna, ora non ricordo, decisero di fuggire. Non ricordo se all'epoca i documenti siano stati realmente utilizzati, anche perché io mi disinteressai molto alla faccenda in quanto disapprovavo il comportamento dei predetti. Costoro infatti, a mio giudizio, pensavano soltanto a salvare se stessi senza preoccuparsi dei ragazzini di `T.P.' che erano allo sbando. Può quindi essere che tramite VALE mio fratello Cristiano si sia adoperato per ottenere i documenti falsi di cui parla il DE VECCHI. Io ricordo di averli visti questi due documenti e di aver espresso un giudizio pesantemente negativo sulla loro fattura. Probabilmente FIORE ed ADINOLFI avevano chiesto anche dei passaporti ma il mio scarso interessamento per la cosa fece sì che non ci impegnassimo più di tanto per trovarli. Questa non è una mia semplice supposizione, ma, ricostruendo le cose, mi sembra un'ipotesi logica e plausibile e una convincente spiegazione di ciò che afferma il DE VECCHI; peraltro io non mi ricordo mai con precisione le date in cui si sono verificati fatti del genere. Le cose poi che dice SPARTI, evidentemente si innestano su questo fondo di vero ma sono totalmente false per quanto riguarda mie pretese confidenze al predetto circa la mia partecipazione ala strage di Bologna...Ho dato solo oggi questa versione dei fatti perché solo da poco ripensando all'intera vicenda dei documenti, e alla luce dei nuovi spunti offertimi, ho ricollegato le asserzioni dello SPARTI e del DE VECCHI alla richiesta pervenutaci da FIORE ed ADINOLFI". Il FIORAVANTI annaspa: non soltanto dimentica
d'aver a suo tempo affermato che, all'epoca dei fatti

-essendoil gruppo autarchico, grazie al CAVALLINI, "che portava con sé, nella valigia, alcuni moduli in bianco di carte d'identità, timbri ed altro" (122)- non avevano bisogno di rivolgersi allo SPARTI, ma, per tentare di sciogliere le contraddizioni, finisce col dire che ai due `leaders' di Terza Posizione il piacere effettivamente fu fatto, ma con distaccata sufficienza. Non si vede poi come ciò si concilii con l'urgenza di cui -come s'è visto- farà cenno la MAMBRO.


Ma il 14/12/1985, l'imputato, che in precedenza, a proposito della data delle richiesta di documenti,aveva lasciato aperta l'alternativa fra i giorni immediatamente successivi alla strage o quelli immediatamente successivi agli ordini di cattura di fine agosto, rompe gli indugi (123): "Per quanto concerne i documenti richiesti a SPARTI, ribadisco quanto ho già detto in merito, e cioè che fu mio fratello Cristiano a chiedere a SPARTI due documenti. Si trattava però del mese di SETTEMBRE e non del mese di AGOSTO, ed erano documenti che aveva chiesto VALE per FIORE ed ADINOLFI

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(122) - Cfr. IA, V9/a-2, C29/D, p3.
(123) - Cfr. IA, V9/a-2, C29, p39. divenuti latitanti." In questo modo, la fornitura di documenti si viene esattamente a sovrapporre, dal punto di vista cronologico, all'omicidio MANGIAMELI, consumato col concorso di Cristiano, ed alle coeve "operazioni in corso contro FIORE ed ADINOLFI": si tratta dunque di una dichiarazione che è stato eufemistico -da parte dell'accusa- definire "spericolata".


La tesi è stata riesumata in corso di discussione (124), e la si è voluta supportare con le parole di Stefano SODERINI.


Il documento citato in proposito dalla difesa non è in atti, ma il suo contenuto è sostanzialmente sovrapponibile a quello di un memoriale (125) del SODERINI che è invece in possesso della Corte. Orbene, dai due atti emerge che, effettivamente, una richiesta di documenti fu rivolta, fra la fine di agosto e l'inizio di settembre, dal FIORE e dall'ADINOLFI a Giorgio VALE, al tempo stesso loro subalterno e componente del gruppo FIORAVANTI. Il VALE avrebbe voluto soddisfare la richiesta, ma -come emerge a chiare lettere dal documento letto dall'Avv. CERQUETTI- nel

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(124) - Cfr. brm n.2 del 30/5/88, giri 70 ss.
(125) - Cfr. EA, V10/a-6, C264/bis/2, p19.


corso di discussioni svoltesi in seno al gruppo, il
FIORAVANTI si mostrò contrario, deridendo anche il VALE per il fatto che egli si prestava a fare certi favori a gente che lo insultava. Non è noto al SODERINI se il VALE abbia poi procurato i documenti ai due richiedenti. Il fatto poi che il FIORAVANTI, nel 1985, nel corso di incontri durante il comune periodo di detenzione, abbia riferito al SODERINI


che i documenti erano stati forniti mediante l'attivazione di un suo canale, cioè quello dello SPARTI, dimostra soltanto che egli, anche in sedi extraprocessuali, si preoccupava di esser coerente con la linea difensiva adottata sin dall'anno precedente.


S'impone un'ultima osservazione: a tutto concedere, anche ammettendo che la fornitura -per iniziativa certo esclusiva del VALE- abbia avuto luogo, e che sia stato all'uopo attivato lo SPARTI, resta comunque fermo che essa risalirebbe ad epoca successiva all'emissione dei primi ordini di cattura per la strage. Si tratterebbe dunque di una fornitura diversa e posteriore rispetto a quella di cui ha riferito il DE VECCHI, che ha collocato con certezza il suo intervento nei primi giorni dell'agosto 1980.


Riprendendo ora il verbale d'interrogatorio della MAMBRO del 25/8/84, si rileva che più avanti vi si legge: "Io il 2 agosto dell'80 ero insieme a Valerio FIORAVANTI, Gigi CAVALLINI e Luigi CIAVARDINI. Ricordo perfettamente la giornata perché mi trovavo a Treviso ove presso di noi era nascosto il CIAVARDINI, la cui presenza veniva tenuta celata alla signora BRUNELLI" (126). "Questa infatti già non vedeva di buon occhio la presenza di me e di Valerio e quindi bisognava evitare che vedesse il CIAVARDINI...La mattina del 2 agosto, comunetutte le mattine, la BRUNELLI verso le nove, nove e trenta venne a prendere la figlia ed il nipote per una passeggiata, anzi per portarli a casa sua che era dotata di un bel giardino. Io con Valerio, CAVALLINI e CIAVARDINI, con l'autovettura di CAVALLINI, ci recammo a Padova, dove ci trattenemmo fino al primo pomeriggio per poi fare rientro a Treviso. Ricordo che la notizia della esplosione di una bombola di gas alla stazione di Bologna ce la portò CAVALLINI che nel corso della mattinata a Padova si era allontanato...La notizia ce la portò mentre noi lo

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(126) - Si tratta della madre della SBROIAVACCA.


aspettavamo in una Piazza di Padova...Decidemmo subito, dopo aver rilevato la condotta dei mass-media nei nostri confronti -la tendenza a criminalizzare, anzi la volontà politica di criminalizzare i N.A.R. e più in generale tutto l'ambiente di destra- di compiere un gesto concreto attraverso il quale proclamare l'assoluta estraneità nostra alla strage di Bologna. Decidemmo perciò la rapina di via Menenio Agrippa, per indicare ai giovani, o meglio alle nuove generazioni del radicalismo di destra il tipo di lotta che intendevamo condurre. Quindi non solo una presa di distanza dal cosidetto stragismo, ma anche un'indicazione concreta della via da seguire nellalotta politica. Allora, inoltre, noi ritenevamo che le stragi avessero la loro matrice negli apparati dello Stato. Questa, del resto, è tuttora la mia opinione. Sono certa, e ripeto cose note, che fu redatto a casa di SODERINI Stefano, a Vigna Clara, un volantino, battuto a macchina, che spiegava le ragioni del nostro gesto ed era firmato `N.A.R. Nucleo ZEPPELIN'. Il volantino fu consegnato non mi ricordo se a SODERINI o a VALE, perché facessero delle copie da mandare ai giornali.


Io sonocerta di quello che dico, anche se il volantino non èstato mai ritrovato."


Nel successivo interrogatorio del 26/10/1984 (127), all'imputata venivano contestate le dichiarazioni frattanto rese dalla BRUNELLI (128), sul punto della presenza, sua e del FIORAVANTI, in agosto, nell'appartamento di Fontane di Villorba abitato da Flavia SBROIAVACCA. La MAMBRO non recedeva: "Insisto nel dire che è assolutamente certo che il

2/8/980 io e Valerio eravamo a Treviso in casa della Flavia; con noi come ho già detto vi era anche il CIAVARDINI. Con ogni probabilità la BRUNELLI ricorda male. Non è vero che la BRUNELLIfacesse le faccende in casa della Flavia, ma si limitava a venire a prendere il bimbo per portarlo a casa sua. D'altra pate è anche necessario considerare che in quei giorni io e Valerio eravamo in continuo movimento, in quanto provenivamo da Taranto dove avevamo preso in affitto il noto



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(127) - IA, V9/a-2, C38, pp. 37 ss. (128) - Al Giudice Istruttore di Venezia, il 24/9/84, la donna aveva riferito (cfr. AA, V5, C28, pp. 27-28): "Mio nipote è nato il 10 luglio 1980 e mia figlia abitava a Fontane di Villorba già da aprile 1980...Dopo la nascita del bambino, mi recavo a casa di mia figlia per aiutarla in tutti i sensi praticamente ogni giorno.- Avevo le chiavi di casa sua.- Dopo la nascita di mio nipote, escludo che la MAMBRO ed il FIORAVANTI abbiano dormito a casa della Flavia..."


appartamento e ci spostavamo con frequenza. Inoltre dopo il 2 agosto come è noto siamo andati a Roma dove il 5 abbiamo commesso la rapina di Piazza Menenio Agrippa. E' perciò possibile che la BRUNELLI non inquadri la nostra presenza a Treviso nel periodo che ora ho elencato che era una presenza saltuaria e non stabile..."


Si deve rilevare che, prima ancora di ricevere la secca smentita da parte della BRUNELLI, le linee difensive degli imputati avevano mostrato la corda per la loro macroscopica difformità su vari punti: sulla composizione del gruppo (la MAMBRO indicava la presenza del CIAVARDINI, esclusa dal FIORAVANTI), sul modo in cui trascorsero la giornata (rimanendo a Treviso, o, invece, recandosi a Padova), sull'identità della persona da cui appresero dell'attentato (indicata dall'una nel CAVALLINI, dall'altro nella SBROIAVACCA), e sull'orario in cui la SBROIAVACCA, con il bambino, aveva lasciato la propria abitazione per recarsi dalla madre (la quale ultima -nel racconto della MAMBRO- sarebbe venuta a prelevare figlia e nipote). Le difformità sono tanto più sintomatiche, in quanto, a detta della MAMBRO -come s'è visto- i prevenuti riandarono più volte col ricordo a quei giorni, paventando d'essere criminalizzati, al punto da darsi alla latitanza preventiva, secondo quanto ha riferito Cristiano FIORAVANTI (129).


Valerio, reso edotto della discordanza delle versioni difensive, già il 2/6/1982 aveva tentato di smussare qualche contrasto (130): "Prendo atto che Francesca MAMBRO ha riferito diversamente il modo in cui è trascorsa la mattina del 2 agosto, ma evidentemente uno dei due ricorda male. Di certo alle ore 13 del 2 agosto 1980 ci recammo tutti e tre a casa della Sig.ra BRUNELLI per prendere Flavia e lì sapemmo, per la prima volta dell'esplosione avvenuta alla stazione di Bologna. La Flavia si era recata a casa della madre, come di solito, per portare il bambino a prendere aria nell'ampio giardino della madre...Ricordo con estrema precisione la circostanza appena riferita. E' possibile che la mattina l'abbiamo trascorsa recandoci probabilmente fuori Treviso, per fare ritorno alle 13...A quei tempi CIAVARDINI non era con noi...Ricordo che una volta siamo andati effettivamante

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(129) - Il 9/12/81: cfr. EA, V10/a-4, C163/1, p32.
(130) - Cfr. IA, V9/a-2, C29, p21.


a Padova...a fare spese al mercato...ma non posso precisare l'epoca..." In seguito, il 26/4/84, il FIORAVANTI si sforzerà di allinearsi alla versione della donna: "In effetti la mattina della strage del 2 agosto partimmo da Treviso con la BMW grigia io CAVALLINI e la MAMBRO. Può darsi che siamo partiti con due macchine. Ci recammo a Padova dove CAVALLINI aveva un appuntamento. Lo aspettammo in Prato della Valle ed al suo ritorno rientrammo a Treviso dove arrivammo verso le 13. Qui apprendemmo che vi era stata l'esplosione alla stazione di Bologna. Quanto al fatto che fosse con noi quella mattina anche CIAVARDINI posso dire questo: la MAMBRO e CAVALLINI e lo stesso CIAVARDINI ricordano concordemente la presenza di quest'ultimo a Padova, io tuttavia non me la ricordo anche se debbo essere sicuro che ci fosse perché e evidente che il mio è un lapsus mnemonico, spiegabile forse col fatto che all'epoca CIAVARDINI veniva tenuto costantemente nascosto perché non fosse visto dai parenti della Flavia o dal vicinato." Il senso di quest'ultima dichiarazione, quantunque si possa stentare a crederlo, sembrerebbe il seguente: il CIAVARDINI era stato talmente ben nascosto, da risultare addirittura cancellato dal ricordo.


Il 14/12/1985, il FIORAVANTI si decideva, infine, a dichiarare (131): "...il CIAVARDINI il 2 agosto era con noi a Treviso".


Proprio il CIAVARDINI, il 4/10/1980 (132) aveva avuto cura di prendere le distanze, in senso letterale, dal FIORAVANTI, collocandosi "ai primi di agosto" a Palermo, dove, latitante, avrebbe avuto ricetto da parte del MANGIAMELI. Successivamente, il 5/6/1982, sentito dal Giudice Istruttore del presente procedimento, riferiva (133): "Il due agosto ero, come la S.V. mi dice risultare dagli atti, a Padova. Ero insieme ad altre due persone ed abbiamo girovagato per quella città; poi siamo giunti ad una grande piazza in cui c'era un gran giardino con un canale intorno; c'era anche un mercato che ho visitato. Ho appreso del fatto di Bologna alle ore 14, dalla voce di un'altra persona che i miei due

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(131) - Cfr. IA; V9/a-2, C29, pp. 37 ss.
(132) - Cfr. EA, V10/a-3, C113, p12. In giudizio, il CIAVARDINI si è avvalso della facoltà di non rispondere al libero interrogatorio ex art. 450 bis C.P.P. (vu 23/1/88, p20).
(133) - Cfr. EA, V10/a-4, C163/1, pp. 72-74.


amici conoscevano e che io non ho più visto".


Nuovamente interrogato il 24/10/1984, il CIAVARDINI sarà più esplicito (134): "Il 2 agosto del 1980, al mattino, con FIORAVANTI la MAMBRO e CAVALLINI sono andato a Padova partendo da Treviso." Ma aggiungerà: "Non ricordo però dove avevo dormito la notte immediatamente precedente." Non solo; più avanti, a specifica domanda, risponderà: "Non ricordo se a Treviso ho mai dormito in una casa dove vi era anche un neonato". Ora, un'elementare regola d'esperienza insegna che non è possibile coabitare con un neonato senza rendersene conto, soprattutto di notte.


Da parte di Cristiano FIORAVANTI, certamente non sospetto di velleità accusatorie nei confronti del fratello in ordine alla strage, non sono giunti -nella sequeladelle varie dichiarazioniche egli è venuto rendendo nel corso del tempo- contributi favorevoli alla tesi difensiva. Il 14/5/1981, al Giudice Istruttore (135): "...Debbo ad ogni modo far presente che Valerio il 5 agosto ha perpetrato, a Roma, una rapina in danno di un'armeria, insieme alla MAMBRO, al

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(134) - EA, V10/a-3, C113, pp. 67-68.
(135) - EA, V10/a-3, C140 bis, p2.


CAVALLINI, al VALE, a SODERINI ed a BELSITO; è indubbio, conoscendo la meticolosità con cui mio fratello è solito preparare le azioni, che questo sia stato accuratamente studiato: da ciò desumo che il giorno 2 non poteva trovarsi a Padova..."


Il 9/12/1981 (136): "...Quando si seppe dei mandati di cattura per Bologna, la MAMBRO disse che aveva un alibi che non valeva niente per il 2/8/80 perché era nel Veneto insieme a Valerio e CAVALLINI..."


Il 6/5/1982 (137): "...Mio fratello nell'estate '80 si spostava con una Golf nera, che avevano preso a Milano e che vidi nella loro disponibilità a Roma in agosto. Non mi disse mai dove era stato il 2 agosto, per lo meno non lo ricordo. La Francesca MAMBRO invece mi disse che quel giorno era stata in compagnia di Valerio, Giorgio VALE e di CAVALLINI. In quel tempo erano in alta Italia a Treviso, presumo. Su tale particolare ironizzò dicendo che aveva testimoni che erano poco attendibili...Quando incontrai Valerio a Roma ai primi di agosto, mi dissero che avevano

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(136) - EA, V10/a-3, C140 bis, pp. 12-13.
(137) - EA, V10/a-3, C140 bis, p20.


già scaricato CIAVARDINI, perché aveva fatto un sacco di


errori e perché si era reso conto che riferiva dei


particolari alla sua donna..."


Il 29/8/1983 (138): "...Non so ricostruire i movimenti di mio fratello del periodo che va dal 2 agosto 1980 al 5 medesimo, perché appena uscito dal carcere pensai solo di andare da mia madre ed a distrarmi qualche giorno nella opinione che sarebbe stato se mai mio fratello a mettersi in contatto con me. Infatti egli mi telefonò a casa il 5 o il 6 sera appena fatta la rapina...Se mal non ricordo mio fratello e la MAMBRO mi hanno detto che il giorno della strage erano nel Veneto a casa di VIAN. Con loro vi erano anche CAVALLINI CIAVARDINI e la SBROIAVACCA. La MAMBRO ricordo che me ne parlò dicendomi che per il 2 agosto aveva l'alibi ma non poteva tirarlo fuori senza invocare la testimonianza di CIAVARDINI e CAVALLINI..."


Il 15/3/1985 (139): "...Mio fratello mi ha sempre detto che il 2/8/980 era a Iesolo insieme con la Francesca MAMBRO con CAVALLINI e la SBROIAVACCA. Io posso dire che mi ha

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(138) - EA, V10/a-3, C140 bis, p23.
(139) - EA, V10/a-3, C140 bis, p25.


sempre detto che in quel periodo stava a Iesolo, ma non so se si spostava in posti vicini...Non ho mai sentito che in quel periodo, insieme con loro, vi fosse Luigi CIAVARDINI. Il discorso su Iesolo è venuto fuori in modo naturale dopo l'emissione degli ordini di cattura da parte della Procura della Repubblica di Bologna. Mio fratello mi diceva che nulla aveva a che vedere con i fatti di Bologna perché lui il 2/8/980 era al mare..."


Il 22/3/1985 al PUBBLICO MINISTERO (140): "...Mio fratello mi disse che il 2 agosto 80 si trovava a Jesolo al mare con CAVALLINI, la SBROJAVACCA e con i genitori della Flavia. Se ho detto che si trovava a casa di VIAN ciò è dovuto al fatto che io sapevo che VIAN aveva una casa a Jesolo. Non dissi che era con loro anche CIAVARDINI per il semplice motivo che mio fratello non mi riferì questa circostanza. La cosa peraltro sarebbe stata poco credibile perché proprio il 5-6/8/80, dopo la rapina all'armeria di Piazza Agrippa, sia Valerio che Gigi `ne dissero di tutti i colori' nei riguardi di CIAVARDINI in quanto lo consideravano un idiota..."




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(140) - Cal., V5, C28, p2


In giudizio, Cristiano non ha fatto chiarezza (141): ad ogni modo,al di là della confusione, ha trovato ulteriore conferma il riferimento al soggiorno balneare in Iesolo. Tale indicazione era stata contestata in istruttoria al fratello, il quale si era così difeso (142): "Evidentemente Cristiano si confonde e forse si riferisce a quanto noi gli dicemmo in occasione dell'omicidio di AMATO dove in effetti io e la MAMBRO al mare ci siamo andati." L'intima debolezza di tale risposta sta nel fatto che Cristiano, accusatore di Valerio e della MAMBRO per l'omicidio del dott. AMATO, non potrebbe confondere l'alibi procuratosi dal fratello per tale episodio con l'alibi che dal fratello stesso gli sarebbe stato riferito a proposito della strage. Né si dica che Cristiano riferisce sul punto ciò che non è a sua conoscenza:la sollecitazione agli inquirenti ad escuterlo, come persona in grado di suffragare l'alibi (evidentemente perché messa a parte dello stesso), era venuta da Francesca MAMBRO. La Corte deve limitarsi ad un'unica constatazione: Cristiano, le cui fonti non possono essere stati che il


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(141) - cfr. vu 1/12/87, pp. 24-26 e 31-33.
(142) - cfr. IA, V9/a-2, C29, p45.


fratello e la MAMBRO, fornisce, circa l'alibi di costoro, una versione diversa da quella che essi (in termini anche internamente dissonanti) hanno a loro volta fornito al giudice. Anche l'indicazione della presenza del CIAVARDINI, che risulterebbe dalle dichiarazioni rese il 29/8/1983, non emerge dalle precedenti, che sono le più vicine ai fatti, ed è esclusa nelle successive in termini non dubitativi.


In giudizio, Flavia SBROIAVACCA (143) si è prestata, tardivamente, a suffragare la versione della presenza degli imputati, nella sua abitazione, nei giorni a cavallo della strage. Ma in precedenza, il 28/9/1984, al Giudice Istruttore di Venezia aveva dichiarato (144): "...Il 10 luglio partorii e in occasione della mia degenza in ospedale, dopo il parto, vennero a trovarmi FIORAVANTI e la MAMBRO.-Mi fermai in ospedale due o tre giorni dopo il parto.- Ero entrata in ospedale il giorno prima del parto.-Non mi ricordo se tra il 26 giugno e il 9 luglio ho visto FIORAVANTI e MAMBRO a Treviso.-Dal 10 luglio fino alla fine di settembre (quando cioè ce ne andammo in montagna io, Gigi

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(143) - Cfr. vu 21/10/87, pp. 17-32.
(144) - Cfr. AA, V5, C28, p4.


e il bambino) FIORAVANTI e MAMBRO furono ospiti a casa mia per una ventina di giorni circa in totale.- Non sono peraltro in grado di precisare i giorni in cui alloggiarono presso di noi.- Mi ricordo solo che quando il bambino compiva un mese FIORAVANTI e la MAMBRO erano nostri ospiti da qualche giorno..."


In dibattimento, la donna, posta di fronte a queste sue precedenti dichiarazioni, ed alla contestazione che l'espressione "qualche giorno", interpretata nella sua comune accezione, lasciava intendere che, alla data del 10 agosto, il FIORAVANTI e la MAMBRO erano arrivati da due o tre giorni, e quindi vari giorni dopo la strage, ha cominciato ad annaspare penosamente. D'altronde, quando si era trattato di chiarire come potesse, alla fine dell'87, ricordare con maggior precisione di quando era stata interrogata nell'84, aveva tentato di ancorare il ricordo a circostanze assolutamente non significative (la donazione di una targhetta in oro al bambino da parte degli odierni imputati), comunque già presenti alla sua memoria nell'84 e, in ogni caso, anche se utilizzate, inidonee a collocare con precisione la presenza degli imputati presso l'abitazione della SBROIAVACCA nei giorni a cavallo del 2 agosto. Ma la SBROIAVACCA mente su tutta la linea. E' clamorosamente smentita dalla madre, la quale -come si è visto- ebbe ad escludere con certezza che il FIORAVANTI e la MAMBRO avessero alloggiato presso l'abitazione della figlia dopo la nascita del nipote. Nella stessa occasione, la BRUNELLI aveva altresì dichiarato: "Mi ricordo che ho visto Riccardo e Chiara" (si tratta di nomi di copertura del FIORAVANTI e della MAMBRO) "il giorno stesso o il giorno successivo al parto di mia figlia. Mi ricordo che mentre io uscivo dall'Ospedale li incontrai tutti e due al parcheggio...Ho avuto modo di vedere -dopo quella volta dell'ospedale- la MAMBRO solamante una volta, quando venne a casa mia da sola e si fermò a mangiare da noi assieme anche alla Flavia.-Quella volta sicuramente non c'era Valerio FIORAVANTI.-Mi pare che non ci fosse neanche Gigi.-Era qualche giorno dopo il parto.-Non sono in grado di essere più precisa...Chiaramente,non sono in grado di ricordare se nel periodo successivo al parto di mia figlia Valerio FIORAVANTI, Francesca MAMBRO e Giberto CAVALLINI si frequentassero nella zona di Treviso.-Posso solo dire che non ho mai visto FIORAVANTI e la MAMBRO dormire a casa di Flavia..." Si è fatto leva da taluno sulla parziale dissonanza fra le dichiarazioni testé riportate ed altre rese in precedenza al Giudice Istruttore. L'11 giugno del 1981 la donna aveva, tra l'altro, dichiarato (145): "Dal 20 luglio circa, mia figlia, che ha partorito il 10 luglio 1980, aveva l'abitudine di venire a trovarmi, nell'abitazione di via Vicinale delle Corti, insieme al bambino, per rimanere con noi fino a tarda sera; non ricordo, però, con esattezza se sia venuta la mattina del due agosto, ma non posso escludere l'ipotesi contraria. Se ben ricordo, nei primi giorni di agosto ho visto, ma non ricordo quante volte, FIORAVANTI e la MAMBRO, anzi la MAMBRO e da ciò presumo che doveva essere presente anche
FIORAVANTI, ma non ho un ricordo preciso della sua presenza..." A ben vedere,dal complesso dei passi citati, in cui si riferiscono ricordi non sempre nitidi, si evince

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(145) - EA, V10/a-4, C173, p2.


che la donna, in un periodo imprecisato collocabile tra la nascita del nipote e la prima parte dell'agosto, ebbe a rivedere, in una o più occasioni, la MAMBRO e forse anche il FIORAVANTI. In effetti, che i due odierni imputati abbiano gravitato nel Veneto, e nella zona di Treviso in particolare, nei primi qundici giorni di agosto, è non soltanto possibile, ma anche assai probabile. E non sorprende, quindi, che la BRUNELLI -pur senza conservarne un ricordo preciso, peraltro facilmente sovrapponibile al ricordo di precedenti incontri- possa averli visti,in casa propria o altrove. Ciò di cui però la BRUNELLI è certa -per aver svolto di persona un'attività che le consentiva siffatta verifica- è la circostanza che il FIORAVANTI e la MAMBRO non hanno dormito in casa di sua figlia dopo la nascita del nipote (146). E la BRUNELLI -si badi- è teste di assoluta affidabilità, che già in altra occasione aveva dimostrato ammirevole civismo, non prestandosi a fornire copertura al CAVALLINI, convivente di sua figlia, per l'episodio dell'assassinio del dott. AMATO (147).


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(146) - Si tratta di circostanza confermata in dibattimento:
cfr. vu 1/10/87, p32.
(147) - Cfr. AA, V11, C68.


D'altronde, s'è già visto come il CIAVARDINI non possa aver
alloggiato nell'abitazione della SBROIAVACCA.


Ma la smentita più clamorosa per la SBROIAVACCA, e quindi per il FIORAVANTI e la MAMBRO, è venuta da Walter SORDI, che ha riferito notizie apprese da Gilberto CAVALLINI. Se ne è dato conto sub 1.6.2), ove si è riferito che il SORDI colse la necessaria implicazione del FIORAVANTI nella strage nella seguente frase del CAVALLINI: "Per esempio che credi che il giorno della strage del 2 agosto Valerio fosse veramente a Treviso con me e la Flavia?" Vale la pena di ricordare che più avanti, nello stesso verbale, il SORDI dichiarò altresì: "Del resto CAVALLINI aggiunse che gli risultava che quel giorno Valerio non si trovava neppure nel campeggio pugliese insieme a BELSITO e VALE. Di questo io avevo già consapevolezza perché BELSITO era stato con me in Libano nel 1981 e mi aveva detto che nel periodo della strage di Bologna Valerio non si era visto e lo avevano incontrato a Roma soltanto in occasione della rapina in Piazza Menenio Agrippa il 5 agosto 1980. Qualora CAVALLINI non intendesse confermare quanto ho detto chiedo sin d'ora di essere messo a confronto con lui poiché mi sento di sostenere con

assoluta tranquillità quanto ho dichiarato." Della generale affidabilità di Walter SORDI si dirà altrove; per quanto attiene alla specifica circostanza in esame, basti osservare che quanto da lui riferito si innesta coerentemente, fornendo e traendone conforto, in un complesso di elementi di giudizio convergenti in un'unica direzione: il coinvolgimento del FIORAVANTI e della MAMBRO nella strage di Bologna.


Il CAVALLINI, dal canto suo, interrogato in istruttoria ex art. 348 bis C.P.P. (148), si è determinato a scagionare i suoi odierni coimputati, ma senza allinearsi sulle loro posizioni: non ha fatto riferimento a Treviso, alla SBROIAVACCA e neppure a CIAVARDINI, la cui presenza, da ultimo, è stata ammessa dal CIAVARDINI medesimo. Queste le dichiarazioni: "...tempo dopo la strage, essendo apparsi sul giornale i nomi di FIORAVANTI Valerio e di Francesca MAMBRO come in qualche modo coinvolti nella strage, parlando tra noi cercammo di ricostruire dove ci trovassimo il 2 agosto

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(148) - L'8/2/84: cfr. IA, V9/a-2, C41, pp. 5-6.


1980 ed aiutando reciprocamente le nostre memorie pervenimmo


alla conclusione che all'ora in cui scoppiò la bomba noi eravamo a Padova, se non ricordo male in Piazza delle Erbe o Prato della Valle. In ogni caso eravamo insieme e non certo a Bologna. Ricordo questo perché scherzando gli dissi che in caso di necessità potevo fornirgli io l'alibi."


Si tratterebbe, dunque, di una ricostruzione fatta a parecchi mesi di distanza, con il decisivo contributo proprio del FIORAVANTI e della MAMBRO; e di una ricostruzione che viene offerta senza indicare il benché minimo riferimento -temporale e cronologico- al quale ancorare il dato, seccamente enunciato, della presenza degli imputati nel luogo e nell'ora riferiti. Non poteva il CAVALLINI essere più tiepido nel supportare la versione difensiva dei coimputati (149). D'altronde, già nel racconto della MAMBRO, il CAVALLINI, nel corso della mattinata, si era separato da lei, dal FIORAVANTI e dal CIAVARDINI: e il

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(149) - Egli è comunque, l'unico -oltre al CIAVARDINI- che si presti, pur in tali limiti, a fornire una versione che allontani il duo FIORAVANTI-MAMBRO da Bologna nell'orario dell'esplosione: la stessa SBROIAVACCA, infatti, in dibattimento, nel riferire che il FIORAVANTI e la MAMBRO erano suoi ospiti nei giorni a cavallo della strage, non si è spinta a fornire indicazioni sui loro spostamenti nella giornata del 2 agosto.


quartetto si era riformato soltanto nelle prime ore del pomeriggio, allorché aveva avuto luogo il viaggio di rientro verso Treviso.


E' stato giustamente osservato, da parte della PUBBLICO MINISTERO e dell'Avvocato dello Stato, che l'assenza di alibi non è un dato di per sé univocamente indiziante per chi, vivendo nella clandestinità, abbia, proprio a causa della stessa, difficoltà obiettive nel dar attendibilmente conto dei propri spostamenti e delle proprie frequentazioni in determinati periodi, che possono essere processualmente significativi. Altrettanto correttamente si è aggiunto che la situazione degli imputati MAMBRO e FIORAVANTI è però diversa. Essi invero hanno tentato, `a posteriori', di costruirsi un alibi, che è naufragato fra le contraddizioni, interne e reciproche, e le smentite provenienti da più parti. Se gli imputati non avessero avuto alcunché da nascondere, non sarebbero forse stati in grado di fornire un alibi attendibile. Ma, in tal caso, nel rendere una versione veritiera, non si sarebbero contraddetti l'un l'altra, né si sarebbero esposti a smentite. Il fatto è che essi hanno mentito agli inquirenti, ma già prima -fornendo a ciascuno un racconto diverso- avevano mentito ai loro sodali: a Cristiano, al CAVALLINI, al VALE ed al BELSITO (150). La strage doveva essere tenuta nascosta anche alle persone con cui, sino a quel momento, gli imputati avevano compiuto ogni sorta di attività criminale. L'assenza di un versione, reale e veritiera, che allontanasse gli imputati dal luogo dell'eccidio nella mattina del 2 agosto, ha poi ingenerato le contraddizioni, seguite dai vari aggiustamenti, all'esito dei quali, assai faticosamente, il terzetto FIORAVANTI-MAMBRO-CIAVARDINI si è ricomposto attorno alla versione che vuole costoro presenti in Padova in occasione della strage. Oltre alle varie circostanze già segnalate, non deve sfuggire come il

FIORAVANTI avesse in un primo tempo escluso la presenza del

CIAVARDINI, oggi raggiunto da comunicazione giudiziaria per
il delitto di strage, e, al pari del FIORAVANTI e della

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(150) - Walter SORDI riferì il 14/12/84 al PUBBLICO MINISTERO (cfr. Cal., V5, C52, pp. 7-8): "Tra l'altro" (CAVALLINI) "mi disse che quando vi fu la strage del 2/8/80 parlando con Valerio quando lo rivide uno o due giorni dopo questi gli disse che il 2 agosto si trovava in campeggio con VALE, BELSITO ed altri. Mi disse CAVALLINI che invece VALE e BELSITO gli avevano detto che avevano saputo da Valerio FIORAVANTI che si trovava in quello stesso giorno a Treviso in casa di CAVALLINI."


MAMBRO, sprovvisto di alibi per la giornata del 2 agosto.


2.1.2.5.3) La telefonata di Luigi CIAVARDINI


Valerio FIORAVANTI, Francesca MAMBRO e Luigi CIAVARDINI si trovavano insieme il 2 agosto 1980: è quanto, all'esito dell'istruttoria, è stato da loro stessi riferito.


Orbene, in epoca vicina alla strage, il 23/12/1980, Cecilia LORETI riferì (151) al Giudice Istruttore di Roma: "...ricordo che, dovendo partire il 1° agosto per Venezia, giunse a casa di Marco" (152) "una telefonata di un amico, che poi era il CIAVARDINI,il quale disse di non partire più in quantovierano dei gravi problemi.Il 2 agosto vi fu la strage e successivamente io collegai le due cose, tanto che
mi preoccupai di chiedere al CIAVARDINI che vidi il
successivo giorno 4 quali erano questi problemi e lui mi
disse genericamente che aveva avuto da fare per via di
alcuni documenti che doveva attendere. Anche per tale motivo
chiesi sia alla VENDITTI" (153) "che al CIAVARDINI se per

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(151) - Cfr. EA, V10/a-3, C123, p7. (152) - Marco PIZZARI, sentimentalmente legato alla LORETI, assassinato il 30/9/1981. Per tale delitto sono stati condannati, in primo grado, Gilberto CAVALLINI, Francesca MAMBRO e Stefano SODERINI, che avrebbero agito in concorso con Giorgio VALE ed Alessandro ALIBRANDI (entrambi deceduti): cfr. AAD, V9, C3 bis, pp. 131-132 e 276.
(153)- Elena VENDITTI, già sentimentalmente legata al CIAVARDINI. caso loro ci entrassero con la strage, ma mi risposero che queste cose loro non le facevano, mostrandosi anzi indignati..." Successivamente, al Giudice Istruttore del presente procedimento, la ragazza dichiarava (154): "Confermole mie dichiarazioni rese al G.I. di Roma il 23/12/80; in particolare confermo che ci recammo a Venezia io, la VENDITTI e Marco PIZZARI il 3 agosto 1980 e ci fermammo all'albergo DIANA, dove esibimmo i nostri documenti. Aggiungo che la VENDITTI aveva preventivato di recarsi a Venezia il 1° agosto dovendo recarsi a trovare una sua cugina cui le era nato un bambino -seppi poi che si trattavadella fidanzata di Roberto FIORE- ma giunse a Ladispoli, dove mi trovavo insieme alla VENDITTI e al PIZZARI, il padre di PIZZARI per informarci che aveva telefonato un amico -che poi sapemmo essere CIAVARDINI- per informarci di non partire più in quanto vi erano dei gravi problemi. Preciso che il padre di PIZZARI non venne a Ladispoli, ma telefonò a mio zio, LORETI Luigi abitante a Ladispoli, via Claudia, perché ci avvisasse. Quando

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(154) - EA, V10/a-3, C123, p8.


arrivammo il 3 agosto alla stazione di Venezia, aspettammo
per un paio d'ore il CIAVARDINI, in quanto la VENDITTI ci disse che sarebbe venuto a trovarci. CIAVARDINI arrivò col treno e ripartì con lo stesso in serata stessa, dovendo tornare a Treviso, dove dormiva presso degli amici, dei quali non ci precisò l'identità. Ricordo che commentammo la strage il giorno successivo, quando ci vedemmo a Castelfranco Veneto. Io e la VENDITTI chiedemmo al CIAVARDINI se non vi era una relazione fra la strage e la sua telefonata che faceva riferimento a `gravi problemi'; il CIAVARDINI si mostrò offeso per quel sospetto e addusse la giustificazione dei documenti, precisando che gli furono consegnati in prestito successivamente al primo agosto."


Le circostanze sopra riferite hanno trovato conferma in dibattimento (155). Anche Elena VENDITTI ha ammesso che era in programma un viaggio per Venezia e che sopraggiunse una telefonata del CIAVARDINI prima della partenza (156). Costei, però, già sentimentalmente legata al CIAVARDINI e sua complice anche in attività delittuosa, colloca in data 2

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(155) - Cfr. vu 1/10/87, pp. 28-31. (156) - Cfr. vu 1/10/87, pp. 15-27; EA, V10/a-4, C163/1, pp. 51-52. agosto, a strage avvenuta, la telefonata del CIAVARDINI, che sconsigliava la partenza, a causa degli inevitabili disagi ferroviari legati al disastro appena avvenuto.


Senonché, la Corte non ha motivo di dubitare della sincerità della testimonianza di Cecilia LORETI. Il suo ricordo può essersi sbiadito nel corso di oltre sette anni. Ma era vivido, allorché ella, nel dicembre del 1980, senza avere alcun interesse in tal senso, ebbe a collocare la telefonata in data anteriore alla strage. Né deve sfuggire che l'inquietante sospetto affacciatosi alla sua mente -e che la indusse ad interpellare il CIAVARDINI circa l'eventuale nesso della telefonata con la strage- in tanto poteva sorgere in quanto la telefonata avesse preceduto l'attentato. Lo stesso CIAVARDINI, il 24/10/1984, interrogato dal Giudice Istruttore, così si espresse (157): "...Avuta lettura delle dichiarazioni di LORETI Cecilia, dichiaro: non escludo di aver telefonato a Roma per indurre i miei amici a spostare il viaggio ad una data successiva, rispetto a quella programmata del 1° agosto 1980..."




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(157) - EA, V10/a-3, C113, p66.


E' questo un primo punto fermo. Quanto poi alla natura dei problemi cui l'autore della telefonata aveva fatto riferimento, è dato affermare con certezza che non si trattava di una questione di documenti. La fonte di tale certezza è insospettabile: si tratta dello stesso CIAVARDINI, che pure avrebbe avuto tutto l'interesse a confermare la genuinità della giustificazione a suo tempo fornita alle due donne ed al PIZZARI. Ebbene, il CIAVARDINI, il 5/6/1982 aveva riferito al Giudice Istruttore (158): "...nei primi giorni di agosto non avevo alcun problema di documenti; non è stato per causa di tale problema se non ho pernottato a Venezia..." Naturalmente, in un secondo tempo,

una volta colto il rilievo della circostanza, le sicurezze

del CIAVARDINI sul punto si attenueranno (159). E' pacifico,
peraltro, che costui, il giorno 4 o 5, cioè dopo la strage,

ebbe unincidente d'auto,in occasione del quale esibì un

falso documento(160), in tal modo`bruciandolo'.Problemi di


* * * * *


(158) - Cfr. EA, V10/a-4, C163/1, p73.
(159) - Cfr. EA, V10/a-3, C113, pp. 66-67.
(160) - Non è chiaro se fosse intestato ad Amedeo DE FRANCISCI, a Flavio CAGGIULA o a Marco ARENA. Sul punto i riferimenti appaiono alquanto confusi. Peraltro, ai fini che qui rilevano, non appare necessaria l'individuazione della falsa intestazione del documento utilizzato. L'incidente si verificò la mattina del giorno successivo all'arrivo a (segue) documenti poterono dunque insorgere, eventualmente, in un


momento successivo all'incontro del 3 agosto in Venezia.
Alla stregua di quanto precede, si deve concludere che:


a) la VENDITTI aveva programmato un incontro col CIAVARDINI, in Venezia, per il 1° agosto 1980;


b) prima della preventivata partenza, e dunque in data necessariamente anteriore alla strage, il CIAVARDINI comunicò telefonicamente di rinviare il viaggio a Venezia per la presenza di gravi problemi;


c)alla data del 3 o 4 agosto, cioè nei giorni

immediatamente successivi alla strage, i problemi -che non riguardavano il possesso di documenti d'identità da parte del CIAVARDINI- erano venuti meno.


Ritornando al dato di partenza, e cioè al fatto che i movimenti del CIAVARDINI, nei giorni a cavallo della strage, ed il 2 agosto in particolare, non possono esser disgiunti da quelli del duo FIORAVANTI-MAMBRO, non è chi non colga il





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(segue) Venezia della LORETI, della VENDITTI e del PIZZARI (cfr. EA, V10/a-3, C123, pp. 18-19): arrivo che si colloca in data 3 o 4 agosto (cfr. VENDITTI e LORETI, in vu 1/10/87, rispettivamente pp. 15 e 29).


peso specifico dell'elemento indiziario testé enucleato, che
converge nella stessa direzione già indicata da quelli
precedentemente esaminati: l'affermazione della
responsabilità per la strage in capo al FIORAVANTI ed alla MAMBRO.


Il quadro di riferimento si chiarisce e si consolida vieppiù, in quanto si ponga mente alle ulteriori circostanze di cui qui di seguito si dirà. Il 24 settembre del 1980, la VENDITTI aveva riferito (161) al PUBBLICO MINISTERO di Roma: "...Di recente ho avuto l'impressione che il predetto gruppo ce l'abbia a morte con il CIAVARDINI: ha infatti telefonato Roberto FIORE a casa di Cecilia lasciando come messaggio per Luigi, di mettersi in contatto con un certo Sergio che lo cercava; non ha aggiunto altro dicendo che il Luigi conosceva il Sergio e il motivo per cui lo cercava. CIAVARDINI si è fortemente preoccupato di questa telefonata perché non conosce nessun Sergio..."


Il CIAVARDINI, dal canto suo, nell'autunno dell'80, dopo la



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(161) - Cfr. EA, V10/a-3, C114, p18. cattura nell'ambito di un procedimento pendente davanti


all'autorità giudiziaria romana,venne facendo, a proposito dell'atteggiamento del gruppo nei suoi confronti, alcune ammissioni, che, pur ispirate dalla volontà di
ridimensionare i fatti e pur frammiste a menzogne e ad elementi di voluta confusione, sono tuttavia ugualmente
assai significative. In particolare: "...io ho compiuto attività illegali assieme ad altre persone tra cui particolarmente il VALE e Valerio FIORAVANTI...è vero che c'era un gruppo di sette persone di cui io facevo parte che era dedito a questa attività illegale...di questo gruppo conoscevo le generalità soltanto dei due che ho sopra menzionati; degli altri conoscevo solo il soprannome. C'era una donna che usava il nome di Chiara e che era la fidanzata del FIORAVANTI...c'era poi un certo Sergio, un certo Stefano, un certo Massimo; tutti nomi di battaglia...Per verificare tale circostanza e delle voci che mi erano giunte circa presunte azioni che il citato gruppo aveva intenzione di fare contro di me io sono venuto a Roma. Era mio intendimento infatti accertare quale fosse la situazione reale; non davo infatti alcun credito alle voci


ora riferite. Tali voci mi sono state riportate da Elena VENDITTI...Tra le voci `strane' da me raccolte vi è anche quella secondo cui lo stesso gruppo avrebbe intenzione di

uccidere Marcello DE ANGELIS" (162) "...Nulla posso dire

circa le rtagioni per cui tali voci si erano diffuse ed in particolare i motivi per cui io o Marcello saremmo dovuti essere eliminati...Io ero venuto a Roma allo scopo di trovare FIORAVANTI o Giorgio VALE per chiarire quelle voci secondo le quali mi cercavano per uccidermi..." (163) E ancora: "...Colsi nell'ambiente da me frequantato delle voci che riguardavano la mia possibile eliminazione fisica, così come analogamente era accaduto in passato per Marcello DE ANGELIS. Non mi preoccupai tanto delle voci quanto di chiarire il perché le stesse venissero diffuse e mi sembrò di capire che potevano esser riferite ad un gruppo di giovani che si erano separati dal movimento e che ritenevano





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(162) - Si tratta del fratello di quel Nanni (Nazzareno) DE ANGELIS di cui alle dichiarazioni di Raffella FURIOZZI. (163) - Fin qui, cfr. EA, V10/a-3, C113, pp. 16-17 e 23. la mia presenza fisica una sorta di `bomba vagante' qualora fossi stato preso...Quando seppi che il Sergio mi aveva cercato, mi stupì...Sergio faceva parte del gruppo `dei sette' me compreso..." (164)


In epoca successiva, l'atteggiamento del FIORAVANTI nei


confronti del CIAVARDINI si è venuto decisamente modificando. Occorre tener presente che Luigi CIAVARDINI è


raggiunto, per l'omicidio del dott. AMATO, da prove tali che ne hanno giustificato il rinvio a giudizio. Orbene, Angelo IZZO ebbe a riferire al Giudice Istruttore (165): "...Cristiano mi riferì che il fratello Valerio gli aveva detto di continuare a tener fuori CIAVARDINI dalle accuse perl'omicidio AMATO perché costui sapeva delle cose sulla strage di Bologna. Anzi non ricordo se Cristiano mi abbia detto, però in altra occasione, che CIAVARDINI poteva `incastrarlo' per la strage alla stazione di Bologna. Al discorso concernente CIAVARDINI era presente la FURIOZZI. Debbo però precisare che già in precedenza altre volte


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(164) - Cfr. EA, V10/a-3, C113, pp. 57-58.
(165) - EB, V3, C68, pp. 71-72; per il giudizio, cfr. vu 25/11/87, pp. 99-100.


Cristiano, anche su mia sollecitazione, mi aveva detto che


Valerio gli aveva chiesto di tener fuori da ogni accusa concernente l'omicidio AMATO, CIAVARDINI.


Cristiano nei confronti di CIAVARDINI si era comportato allo stesso modo anche per l'omicidio dell'agente di P.S. ARNESANO..."


Raffaella FURIOZZI (166): "...E'vero...che Cristiano riferì


ad Angelo IZZO che il fratello lo aveva invitato a coprire


le responsabilità di Luigi CIAVARDINI per l'omicidio AMATO in quanto CIAVARDINI `sapeva cose inerenti alla strage di Bologna'..."


Il quadro complessivo ha una sua logica lineare. Sino a al 2 agosto il CIAVARDINI vive in perfetta armonia all'interno del gruppo. Alla data della strage divide ancora la latitanza con il FIORAVANTI, la MAMBRO ed il CAVALLINI. In epoca successiva alla strage, le sue sorti si separano da quelle del gruppo, ed egli viene ricercato per essere eliminato. Che dopo aver fraternamente diviso con lui, per

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(166) - Cfr.EA, V10/a-7, C306, p6; cfr. anche vu 25/11/87, p22.


mesi, esperienze umane, `politiche' e criminali, gli altri


componenti del gruppo intendessero giustiziarlo per punirlo


del banale torto d'aver `bruciato' il documento esibito in


occasione dell'incidente stradale di Treviso, è spiegazione semplicemente improponibile. Per trovare un movente adeguato, occorre pensare al coinvolgimento del FIORAVANTI nella strage. In tal caso, sarebbe potuta insorgere la
necessità di eliminare il CIAVARDINI, perché attraverso di lui, e attraverso le conoscenze di cui egli, a qualsiasi
titolo, fosse in possesso, si sarebbe potuti risalire alle responsabilità del FIORAVANTI. Si è visto che, contestualmente all'omicidio MANGIAMELI, erano in corso altre "operazioni" nei confronti del FIORE e dell'ADINOLFI. Si vedrà meglio di seguito come, ad uno uno ad uno, sarebbero dovuto cadere altre persone, tutte accomunate da una caratteristica: quella di essere in qualche modo in possesso di notizie che -supponendo il FIORAVANTI autore della strage- avrebbero potuto consentire di risalire alle sue responsabilità.


Non soltanto un siffatto movente è l'unico idoneo a spiegare la sopravvenuta volontà del gruppo di eliminare il
CIAVARDINI, ma l'ipotesi trova coerentemente conforto
proprio nella vicenda della telefonata. Con la stessa, dando
prova di imperdonabile inaffidabilità, il CIAVARDINI -come si è visto- aveva posto persone estranee al gruppo nella condizione di sospettare che i "gravi problemi" fossero da porre in relazione con la strage. Un simile atteggiamento
costituiva, agli occhi del FIORAVANTI, indice di gravissima pericolosità e gli rappresentava il CIAVARDINI come una
sorta di bomba vagante.


La cattura mise quest'ultimo al riparo da spedizioni punitive. Peraltro, in sede processuale, dopo un iniziale sbandamento, egli diede prova di una sostanziale `tenuta'. In questa prospettiva, ben si comprende come una `copertura' per il CIAVARDINI in relazione ad altri delitti, richiesta da Valerio FIORAVANTI al fratello, costituisse merce di scambio per il silenzio che il CIAVARDINI doveva continuare a mantenere in merito a ciò di cui -a qualsiasi titolo- fosse a conoscenza in ordine alle responsabilità del FIORAVANTI stesso per la strage.


2.1.2.5.4) I precedenti terroristici del FIORAVANTI e del suo gruppo


Si è sostenuto che la strage di Bologna non sarebbe in linea con la logica operativa dei N.A.R. e rappresenterebbe un tipo di attentato inconciliabile, nelle modalità e negli obiettivi, con la prassi `militare' del gruppo di Valerio FIORAVANTI.


Si sono sinteticamente riportate, sub 1.3.4) e sub 1.8.1), le dichiarazioni rese al Giudice Istruttore da Cristiano FIORAVANTI rispettivamente il 9/12/1981 ed il 4/10/1985. Occorre anche ricordare quanto dallo stesso Cristiano riferito il 15/3/1985 (167): "...In effetti la strategia del nostro gruppo non escludeva la possibilità di attentati terroristici anche gravi, ma contro obiettivi determinati e non indiscriminatamente colpendo nel mucchio. Non ho difficoltà a ricordare che il nostro gruppo si è reso responsabile divari attentati comequelloall'A.C.E.A., alla centrale del latte di Roma, alla Laurentina sempre contro l'A.C.E.A., contro Sezioni del P.S.I. e del P.C.I. Ricordo in particolare un attentato ad una sezione Socialista,


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(167) - EA, V10/a-3, C140 bis, p26. quella diTestacciochefallì per difetto di esplosivo ma


che avrebbe potuto avere gravi conseguenze: infatti deponemmo la bomba o meglio deposi la bomba sul davanzale di una finestra della sezione nel cui interno vi erano molte persone. La bomba non esplose perché la polvere era umida. Se fosse esplosa avrebbe potuto uccidere o ferire molte persone..."


Quanto all'attendibilità di tali notizie ad alla riferibilità degli attentati al gruppo FIORAVANTI, occorre soltanto rilevare che si tratta di fatti gravissimi di cui il dichiarante si è anche personalmente assunto la responsabilità.


Va altresì sottolineato che, il 9/12/1981, a proposito dell'esplosivo utilizzato dal gruppo per gli attentati, Cristiano aveva precisato: "...Mio fratello provvedeva a predisporlo ed a preparare l'ordigno che esplodeva con semplice miccia..."


Il Giudice Istruttore ha elencato (168), a titolo esemplificativo, una serie di attentati compiuti dai N.A.R.:


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(168) - SO, pp. 469-470. Per i riferimenti, cfr. RA, V3, C80 e RA, V14.


a tale elencazione conviene qui fare, per brevità, semplice rinvio. Vanno invece richiamate talune lucide e puntuali riflessioni svolte nella medesima sede. Ha osservato l'Istruttore che l'impiego di ordigni esplosivi, anche quando sia indirizzato al solo danneggiamento di cose, implica necessariamente l'accettazione preventiva del rischio di coinvolgere persone estranee; e che lo stesso sviluppo delle azioni tende a far aumentare la potenza delle esplosioni. Ancora: lo stesso gruppo FIORAVANTI, negli anni precedenti la strage, si è reso responsabile di vari attentati dinamitardi; il fatto che essi siano stati di modesta entità non impedisce di considerarli un pericoloso precedente; almeno in un caso l'ordigno fu collocato in luogo ed ora tali che avrebbe potuto provocare vittime umane.


D'altronde, nel suo percorso `politico-militare', il FIORAVANTI ha ampiamente dimostrato di non tenere in alcun conto la vita umana: per la realizzazione dei suoi
obiettivi, ha fattoreiteratamente uso dell'assassinio,
colpendo coloro che rappresentavano un bersaglio politico ed anche personaggi interni al suo ambiente (come Francesco MANGIAMELI). In un crescendo che ben può dirsi terrificante, alla morte del MANGIAMELI -come si vedrà- avrebbe voluto far seguire quella della moglie e della figlia bambina di costui. Anche Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI erano divenuti obiettivi del suo gruppo.


L'efferatezza dell'attacco e dei ferimenti nella sede di `Radio Città Futura' (169) sono estremamente eloquenti. Massimo SPARTI, dal canto suo, ha riferito di vari episodi di violenza di cui è stato vittima egli stesso (170): "...egli mise in atto tre fatti intimidatori, collocando dinnanzi al mio negozio direttamente o per interposta persona, una volta una bottiglia molotov e due volte un ordigno esplosivo; le due bombe, specialmente la prima, mi provocarono danni gravissimi, in particolare la prima distrusse la saracinesca, le vetrine e il banco di vendita..." Si è visto sub 1.3.5) che Egidio GIULIANI, commentando la


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(169) - cfr. supra, sub 1.6.8), testo e nota (26).
(170) - EA, V10/a-4, C163/1, p2 retro.


la strage di Bologna con la LAURICELLA, attribuì l'attentato a "quel `folle' di Valerio FIORAVANTI" (171). Ora, siffatta attribuzione, disancorata da specifici riferimenti di fatto, non può essere direttamente utilizzata contro il FIORAVANTI in ordine alla responsabilità per l'attentato, ma ha ugualmente non trascurabile rilievo. Essa proviene da persona inserita -e con ruolo non secondario- nella banda armata che qui si giudica, all'interno della quale il FIORAVANTI rappresentava la massima espressione operativa: era dunque il GIULIANI in grado di affermare con cognizione di causa se una determinata azione si potesse inscrivere nella progettualità del gruppo o di suoi componenti, o se, per caratteristiche intrinseche, dovesse escludersene l'attribuibilità ad esponenti della banda armata di cui il GIULIANI, appunto, faceva parte. A tal punto il GIULIANI

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(171) - Le dichiarazioni della LAURICELLA hanno trovato implicita conferma in dibattimento (cfr. vu 6/10/87), attraverso la conferma delle dichiarazioni rese al Giudice Istruttore del presente procedimento rispettivamente il 2/6/82 (EA, V10/a-4, C163/1, pp. 55-58) ed il 14/6/83 (EA, V10/a-5, C231 bis, pp. 3-4). Non v'è motivo di non prestar fede alla donna: ella è parsa tutt'altro che animata da ostilità nei confronti del FIORAVANTI, ed ha tenuto onestamente a chiarire che non le risultava essere il GIULIANI in possesso di elementi concreti a carico del FIORAVANTI, essendo invece l'attribuzione della strage dovuta a ciò che di quest'ultimo il GIULIANI, conoscendolo, aveva potuto apprezzare.


propendeva per la prima alternativa, che si mostrò preoccupato circa la destinazione che poteva esser stata


data ad un rilevante quantitativo di esplosivo fornito poco

tempo prima a Benito ALLATTA e Sivio POMPEI. Fu poi
tranquillizzato da costoro che gli dissero esser stato l'esplosivo ceduto ad altri ed "utilizzato per un attentato al Comune di Milano".


Nel contesto di tutto quanto precede si inquadrano, fornendo

e ricevendone conforto, le dichiarazioni rese da Gianluigi

NAPOLI 1l 13/11/1985 -delle quali si è detto sub 1.8.8)- circa il progetto coltivato dal FIORAVANTI di collocare un potente ordigno in un `bar' frequentato da personale della Questura di Roma. La fonte del NAPOLI, per tale circostanza, era stato Giovanni MELIOLI. Orbene, non deve sfuggire che costui, dopo aver escluso (172) di aver mai incontrato direttamente il FIORAVANTI, finì poi, in sede di confronto con quest'ultimo, con l'ammettere il contrario (173). Al FIORAVANTI è stata posta la domanda se avesse mai coltivato un progetto come quello di cui riferì il NAPOLI. Ci si

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(172) - IA, 9/a-1, C25, p11, righi 20-21. (173) - IA, V9/a-2, C29, p57.


sarebbe forse dovuti attendere un'indignata negativa. Egli così si espresse (174): "non intendo rispondere a questa domanda. E glielo spiego, perché di attentati alla Polizia se ne pensano cento, ma in effetti si devono scartare tutti quelli troppo pericolosi come ad esempio quelli contro bar frequentati da poliziotti frequentati anche da altre persone che sarebbero coivolte innocentemente."


2.1.2.5.5) L'omicidio di Francesco MANGIAMELI


Il Procuratore della Repubblica, nella requisitoria scritta rassegnata all'esito dell'istruttoria, ha svolto una documentata e penetrante analisi del significato dell'omicidio MANGIAMELI e del suo collegamento con la strage del 2 agosto (175); analisi che il Giudice Istruttore ha fatto completamente propria (176). Ha osservato il PUBBLICO MINISTERO, avendo come supporto conoscitivo anche la requisitoria del Procuratore della Repubblica di Roma nel procedimento per l'omicidio del MANGIAMELI (177), che le motivazioni addotte dai



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(174) - IA, V9/a-2, C29, p44.
(175) - RE, pp. 690-701.
(176) - SO, pp. 397-410.
(177) - AA, V4, C21.


responsabili dell'assassinio -tra cui i fratelli FIORAVANTI e la MAMBRO- hanno ondeggiato tra giustificazioni banali e ragioni `politiche'. In effetti, si è detto che il MANGIAMELI si era reso responsabile di ammanchi di denaro, ma anche che egli avrebbe avuto il torto di strumentalizzare i `ragazzini'. La strumentalità di siffatte causali riposa pacificamente sul fatto che l'esecuzione del `leader' siciliano di Terza Posizione, lungi dall'essere immediatamente rivendicata (178) e segnalata ai militanti come atto di giustizia rivoluzionaria nei confronti di chi si appropriava del denaro destinato alla causa, ovvero sfruttava ignobilmente l'attività militare dei `ragazzini', fu compiuta in gran segreto e fu seguita dallo zavorramento del cadavere: Francesco MANGIAMELI sarebbe dovuto sparire nel nulla. A tal punto erano inconfessabili le ragioni dell'assassinio, che non furono comunicate neppure a tutti i responsabili: Giorgio VALE, che solo la morte ha sottratto alla condanna per l'omicidio del MANGIAMELI, ebbe a riferire

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(178) - Soltanto con oltre un anno di ritardo, essendo fallito il progetto di tenere segreta l'esecuzione, con un volantino in data 23/10/81, i N.A.R. rivendicarono l'omicidio del "demenziale profittatore" Francesco MANGIAMELI (cfr. AA, V4, C21, pp. 43-44).


a Walter SORDI di ignorare le ragioni dell'esecuzione, che era stata ordinata da Valerio (179). Il PUBBLICO MINISTERO dà conto, nella requisitoria, di talune dichiarazioni provenienti dall'interno dell'ambiente di Terza Posizione -ove era stata aperta un' `inchiesta'- dalle quali emerge che non aveva trovato credito la versione, fornita a taluno anche da Cristiano FIORAVANTI, secondo cui il MANGIAMELI era stato giustiziato per essersi appropriato di 40 o 50 milioni di lire.


Oggi sappiamo proprio da Cristiano FIORAVANTI (180) che il fratello aveva in mente ben altro: "...Dai discorsi fattimi la mattina capii che avevano deciso di agire non solo nei confronti del MANGIAMELI ma anche nei confronti si sua moglie e perfino della bambina. Mio fratello Valerio quella mattina che ci vedemmo diceva che al limite interessava più

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(179) - Cfr. EA, V10/a-5, C225 bis, p22. Si noti che le dichiarazioni del SORDI sul punto non sono certo sospette di esser volte a collegare l'omicidio con la strage. Infatti, nello stesso passo, il SORDI così prosegue: "Nulla so circa i rapporti fra FIORAVANTI Valerio e MANGIAMELI Francesco e sui frequenti viaggi del primo in Sicilia;forse avevano un `impiccio' tra di loro, ma di che cosa si trattasse non sono in grado di dirlo". Dal CAVALLINI ilSORDI apprese che il "MANGIAMELI non era stato ammazzato per quello che si diceva, ma probabilmente per qualche altro motivo" (cfr. vu 20/1/88, p212).
(180) - Cfr. dichiarazioni rese il 26/3/86 al PUBBLICO MINISTERO di Firenze, in EA, V10/a-3, C140 bis/4, pp. 22 ss.


la bambina dello stesso MANGIAMELI. Comunque la mattina le


motivazioni delle azioni da compiere contro il MANGIAMELI eran sempre le solite e cioè la questione dei soldi, la questione della evasione di CONCUTELLI. Fu poi compiuto


l'omicidio del MANGIAMELI e come ho detto sua moglie non venne all'appuntamento. Il giorno dopo rividi Valerio e lui era fermo nel suo proposito di andare in Sicilia per eliminare la moglie e la bambina di MANGIAMELI, e diceva che bisognava agire in fretta prima che venisse scoperto il cadavere di MANGIAMELI e la donna potesse fuggire. Io non riuscivo a capire questa insistenza nell'agire contro la moglie e la figlia di MANGIAMELI, una volta che questi era stato ormai ucciso e allora Valerio mi disse che avevano ucciso un politico siciliano in cambio di favori promessi dal MANGIAMELI e relativi sempre alla evasione del CONCUTELLI oltre ad appoggi di tipo logistico in Sicilia...Mi disse Valerio che per decidere l'omicidio del politico siciliano vi era stata una riunione in casa MANGIAMELI e in casa vi erano anche la moglie e la figlia di MANGIAMELI, riunione cui aveva partecipato anche uno della Regione Sicilia, che aveva dato le opportune indicazioni e
cioè la `dritta' per commettere il fatto...L'azione contro la moglie e la figlia di MANGIAMELI veniva motivata da Valerio col fatto che esse erano state presenti alla riunione: diceva Valerio che una volta ucciso il marito esse erano pericolose quanto lo stesso MANGIAMELI. Poi l'azione contro le due donne non avvenne in quanto il cadavere di MANGIAMELI fu poco dopo ritrovato..."


Occorre avere presente che siffatte dichiarazioni provengono da chi, sino ad epoca recente, aveva sottaciuto le riferite circostanze, ed ha così motivato, in apertura di verbale, la decisione di rivelarle: "...ho chiesto di conferire urgentemente con lei per rendere le seguenti dichiarazioni a rendere le quali sono mosso dal desiderio che mio fratello faccia completa chiarezza su quanto ha compiuto. Io non sono capace di accettare nel mio animo che egli possa aver commesso la strage di Bologna della quale è accusato, ma nello stesso tempo voglio porlo con le spalle al muro perché chiarisca tutto quello che ha fatto. Ed allora voglio dire quello che so dell'omicidio MATTARELLA..."


Le motivazioni addotte da Valerio a proposito della sua intenzione di eliminare anche la moglie e la figlia del MANGIAMELI sono di tale gravità che Cristiano, in dibattimento (181), non ha trovato la forza di confermare quanto aveva riferito in proposito.


Non è qui in questione la responsabilità di Valerio FIORAVANTI per l'omicidio MATTARELLA, e non giova quindi richiamare, in questa sede, le fonti -citate dal PUBBLICO MINISTERO nello stesso passo della requisitoria- che vengono ad aggiungersi a Cristiano a proposito di tale responsabilità e del suo collegamento con l'omicidio MANGIAMELI. Il punto è un altro. Il punto è che, di fronte all'insistenza del fratello nel volere conoscere le ragioni che lo spingevano a voler sterminare la famiglia MANGIAMELI, Valerio dovette in qualche modo scoprire le proprie carte, fornendo una giustificazione più plausibile di quelle precedentemente addotte, ma, ancora una volta, adottò una motivazione di comodo, che ne nascondeva una ulteriore, inconfessabile persino al fratello coinvolto nell'omicidio.


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(181) - Cfr. vu 1/12/87, pp. 28-29.


La conoscenza da parte del MANGIAMELI delle responsabilità di Valerio per l'omicidio del Presidente della Regione Sicilia non spiegherebbe l'assassinio del `leader' di Terza Posizione: costui, pesantemente coinvolto nell'omicidio MATTARELLA, non avrebbe potuto violare il patto di reciproca omertà, senza far emergere, con le responsabilità del FIORAVANTI, anche le proprie. Fra la morte del'On. MATTARELLA e quella del MANGIAMELI corrono otto mesi; alla fine di luglio il FIORAVANTI e la MAMBRO erano ancora ospiti (e complici nel tentativo di far evadere il CONCUTELLI) di colui che, soltanto quindici mesi più tardi diverrà il "demenziale profittatore": nulla, dunque, a quella data, lasciava presagire la macabra esecuzione del settembre.


Il MANGIAMELI ed il FIORAVANTI si lasciano il 29 od il 30 luglio. Ci si deve chiedere cosa sia intervenuto fra tale data ed il 9 settembre. I fatti parlano da sé: la strage di Bologna e la pubblicazione dell'intervista di Amos SPIAZZI. Nell'ambiente, il collegamento del `Ciccio' con la strage non può sfuggire ad alcuno; il MANGIAMELI si riconosce e teme di essere coinvolto; comunica le sue apprensioni alla moglie ed al VOLO e prende a lanciare pesanti accuse. In quel clima, qualcuno prende a muoversi scompostamente: nasce l'iniziativa della lettera anonima spedita da Alberto VOLO, con cui, autoaccusandosi, si vuole in realtà sollecitare una verifica della propria estraneità alla strage. Il MANGIAMELI è soverchiato dal peso della chiamata in causa per un delitto che egli, pur partecipe -come s'è visto- di un programma terroristico, non aveva voluto o non aveva voluto di così terrificanti proporzioni. E' ormai allo sbando e completamente inaffidabile. E la pena, per la sua inaffidabilità, è necessariamente quella capitale: Francesco MANGIAMELI deve sparire nel nulla, perché, dopo l'intervista dello SPIAZZI, rappresenta ormai l'anello centrale di una catena che, nella prospettiva di chi si ponga ad indagare, ricollega Valerio FIORAVANTI alla strage del 2 agosto.


V'è in atti una sorprendente conferma, di natura documentale,della riferita tesi in ordine all'assassinio di Francesco MANGIAMELI.


Dopo il rinvenimento del cadavere di costui, fu diffuso un

volantino (182) di Terza Posizione, nel quale, esaltando la

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(182) - Cfr. RA, V7, C331, p9.


figura della vittima e proponendo l'interpretazione del `delitto di Stato', si scriveva, tra l'altro: "L'ignobile strage di Bologna, che tanto da vicino ricorda quella opera" (sic) "ad Abadan dalla Savak, o quelle di Piazza Fontana, di Brescia, di Peteano, del treno Italicus, ha forse fatto la sua 85ª vittima?..." Più oltre: "...Hanno ucciso Francesco perché aveva avuto, come sempre, il coraggio di dire no ad ogni losco affare..." Una nota in calce al volantino preannunciava, tra l'altro, una conferenza stampa dei militanti palermitani di Terza Posizione.


Ma i `leaders' di Terza Posizione sapevano che il MANGIAMELI era caduto per mano di Valerio FIORAVANTI. Rosaria AMICO vedova MANGIAMELI al PUBBLICO MINISTERO di Roma il 17/9/1980 (183): "..Quando dissi a Robertino," (184)


"la sera di venerdì," (185) "che mio marito si era allontanato su una `Golf' colore argento lui esclamò `allora


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(183) - EA, V10/a-3, C117, p18.
(184) -Si tratta di Roberto FIORE, `leader' romano di Terza Posizione.
(185) -Venerdì 12 settembre 1980: in tale data venne identificato il cadavere del MANGIAMELI, riaffiorato il giorno precedente: cfr. supra, sub 1.1.15), lettera f).


sono stati loro' e scoppiò a piangere. Si riferiva a Valerio

ed ai suoi amici..."


Orbene: un ambiente che ha l'immediata consapevolezza della responsabilità del FIORAVANTI per l'assassinio del MANGIAMELI diffonde un volantino nel quale si affaccia il dubbio che la strage di Bologna abbia fatto la sua 85ª vittima. L'equazione sottintesa è di agevole lettura: il MANGIAMELI è l'85ª vittima, perché identica è la matrice dei suoi assassini e degli autori della strage.


Si legge infatti ancora, nel volantino: "...Certo è che l'obbiettivo di chi ha organizzato la strage era il movimento rivoluzionario e segnatamente `TERZA POSIZIONE'. E chi poteva sapere, prima e con certezza, in che direzione si sarebbero cercati i colpevoli? E' comunque fuori da ogni dubbio che la barbara eliminazione di Francesco MANGIAMELI, militante di `TERZA POSIZIONE', è da inquadrare all'interno della più infida delle trame che avviluppano l'Italia, quella di Stato. Gli assassini che hanno colpito Francesco, e che hanno cercato di farne scomparire il cadavere, sono stati certo mossi dalla volontà di trascinare ad ogni costo `TERZA POSIZIONE' nella inchiesta sulla strage. Il nostro movimento che ha sempre agito alla luce del sole..." La chiusa, se pure fosse necessario, rende più esplicito il messaggio: "Onore a Francesco MANGIAMELI, combattente rivoluzionario, trucidato dagli sgherri delle dittatura democratica!!!". Sarebbe dunque Valerio FIORAVANTI -agli occhi di chi scrive e lo sa colpevole dell'assassinio- sgherro della dittatura democratica, mosso, nell'eliminare il MANGIAMELI, da quella medesima volontà di criminalizzare `TERZA POSIZIONE' che è stata il movente della strage del 2 agosto.


Aldilàdella mitizzazzione della figura del MANGIAMELI ("rivoluzionario capace, lucido, pulito, tenace", che "amò la vita come una battaglia" e "amò la morte come un'avventura") e della comprensibile necessità di affermarla strumentalmente, da parte di Terza Posizione, per prendere le distanze dalla strage, e a prescindere dall'individuazione della causale della strage e dell'omicidio, va qui rilevato che chi scrive mostra di conoscere la riconducibilità degli assassini del MANGIAMELI (e cioè, segnatamente, di Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO) al medesimo ambiente in cui è stata organizzata la strage.


Ma da chi veniva ai `leaders' sopravvissuti di Terza Posizione quella consapevolezza, se non proprio da colui che aveva ospitato il FIORAVANTI e la MAMBRO sino a pochissimi giorni prima della strage, che darà rifugio a Luigi CIAVARDINI dopo l'attentato (186), che è legato a doppio filo con quell'Alberto VOLO autore della lettera anonima speditaalla Questura di Palermo, allo scopo di far verificare l'alibi suo, del MANGIAMELI e di altri esponenti della stessa cellula, e che, infine, cadrà sotto il piombo di FIORAVANTIe complici?. Ecco perché dall'analisi del messaggio lanciato dal volantino di Terza Posizione trae conferma la ricostruzione accolta da questa Corte in ordine



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(186) - Luigi CIAVARDINI al Giudice Istruttore il 24/10/1984 (EA, V10/a-3, C113, p68): "...Confermo di essere stato in Sicilia,verso la metà dell'agosto '80,`appoggiato' da FIORAVANTI Valerio a MANGIAMELI Francesco. MANGIAMELI non mi tenne a casa sua, ma mi fecedormire per una paio di notti a Palermo in un ufficio di cui aveva la disponibilità e dove vi era un lettino. Dopo un paio di giorni mi disse che non aveva la possibilità di continuare ad ospitarmi e io me ne andai..." Non è arduo individuare la causa della sopravvenuta indisponibilità del MANGIAMELI: in quei giorni era comparsa sull'Espresso l'intervista ad Amos SPIAZZI.


alla causale dell'omicidio del MANGIAMELI, divenuto pericoloso, poiché chiamato in causa dall'intervista e intenzionato a prendere le distanze dalla strage del 2 agosto, nella quale sapeva coinvolti il FIORAVANTI, la MAMBRO ed altri, ma della quale non intendeva condividere le responsabilità. In effetti, che dopo l'attentato alla stazione di Bologna il MANGIAMELI fosse venuto prendendo posizione in merito e lanciando pesanti accuse in determinate direzioni è noto attraverso le dichiarazioni di Alberto VOLO. Il VOLO al PUBBLICO MINISTERO di Roma, il 15/9/1980 (187): "...Sosteneva in particolare...che la strage di Bologna era opera dei servizi segreti diretta a provocare una reazione contro la destra e che SIGNORELLI, FACCHINI" (sic) "e AFFATIGATO erano in effetti agenti dei servizi..." Così al Giudice Istruttore di Roma in data 19/11/1980 (188): "...Francesco MANGIAMELI fece con me chiare allusioni alla possibilità che sui resti di Avanguardia Nazionale si erano inseriti degli elementi provocatori infiltrati dai servizi di sicurezza e che gli

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(187) - EA, V10/a-3, C134/1, p6.
(188) - EA, V10/a-3, C134/1, p21.


stessi operavano attraverso la commissione di attentati e anche tramite altri atti più gravi, omicidi e forse anche la stessa strage di Bologna. La sua convinzione era che personaggi esperti potevano aver fornito di volta in volta i mezzi a giovani estremisti, addirittura di 16-17 anni per commettere atti delittuosi che poi ricadevano su tutta la destra italiana. Occasione di queste riflessioni era la lettura a volte di giornali che facevano riferimento a personaggi come Adriano TILGHER, Massimiliano FACCHINI" (sic) "AFFATIGATO Marco, che secondo il MANGIAMELI -che tali notizie apprendeva- altro non erano che `Pezzi di sbirro'!..."


Il 5/1/1984, davanti al Giudice Istruttore del presente procedimento, il VOLO ha tenuto a precisare (189): "...Non è
vero che il MANGIAMELI mi abbia mai riferito suoi precisi sospetti su qualcuno per la strage di Bologna, è vero invece che parlando con me addebitava il fatto criminoso allo Stato. In parole povere la sua tesi era quella della `strage di stato'..."




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(189) - EA, V10/a-3, C134, p16.


In giudizio (190) puntualizzerà poi che certi discorsi erano espressione di opinioni del MANGIAMELI, manifestate nel corso di chiacchierate informali. Se anche si prestasse fede a questa versione, la situazione non cambierebbe, ai fini della valutazione della pericolosità del MANGIAMELI agli occhi del FIORAVANTI. I riferimenti al SIGNORELLI ed al FACHINI, pur non contenendo un'accusa precisa e diretta, danno ugualmente la misura di tale pericolosità: attribuiscono infatti ai due imputati il ruolo di agenti di quei servizi cui vien fatta risalire tuttavia l'organizzazione della strage. Ma oggi, a distanza di anni, è dato accertare la corresponsabilità del FACHINI e del FIORAVANTI per la strage del due agosto, e del FACHINI, del SIGNORELLI e del FIORAVANTI quali esponenti di spicco di quella banda armata nella cui complessiva progettualità si venne ad inscrivere l'attentato. V'è poi il riferimento ai "giovani estremisti". Occorre rilevare, in proposito, che il CIAVARDINI, alla data del 2 agosto, non aveva ancora compiuto il diciottesimo anno di età; e che gli stessi

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(190) - Cfr. vu 15/1/88, pp. 5 verso e 6 recto.


FIORAVANTI e MAMBRO, i quali, all'epoca avevano, rispettivamente, 22 e 21 anni, erano `politicamente', e,

rispetto al FACHINI ed al SIGNORELLI, e allo stesso MANGIAMELI, anche anagraficamente dei `ragazzini'. Fu giocoforza, per il FIORAVANTI, revocare la fiducia al MANGIAMELI.


E i `leaders' di Terza Posizione dovettero allora rendersi conto che il FIORAVANTI, lungi dall'essere un `ragazzino' strumentalizzato, continuava ad operare in prima persona e con fredda `professionalità'. E aveva in animo di continuare a colpire chi, attraverso il MANGIAMELI, potesse, non avendone titolo, aver in qualche modo attinto notizie in ordine alla sua responsabilità per la strage o consentire eventualmente, se sopravvissuto, di risalire all'autore delle `esecuzioni'. Ad uno ad uno, sarebbero dovuti cadere il FIORE, l'ADINOLFI, la moglie e la figlia del MANGIAMELI, lo stesso VOLO (191).


2.1.2.5.6) La lettera anonima spedita da Alberto VOLO


Anche la lettera anonima spedita dal VOLO, a ben vedere,



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(191) - Per quest'ultimo, cfr. vu 15/1/88, pp. 7 verso e 8 recto.


conforta le conclusioni cui si è pervenuti in ordine alla causale dell'omicidio MANGIAMELI. In giudizio, il VOLO ha continuato a sostenere (192), come in precedenza, che l'iniziativa della lettera sarebbe stata frutto di mitomania. Non sarebbe stata dunque dettata dalla necessità di sollecitare la verifica dell'alibi del VOLO stesso e del MANGIAMELI. Prestare fede a siffatta versione significherebbe accettare come espressione di mera casualità, generata da un estemporaneo ed incontrollabile impulso mitomane, la coincidenza nello stesso individuo di ciò che si evidenzierà meglio in prosieguo di trattazione: dell'essere l'unico uomo al mondo autoaccusatosi della strage di Bologna; dell'essere, al tempo stesso, legato a doppio filo al MANGIAMELI, assassinato da persone indicate come presenti il 2 agosto alla stazione di Bologna e già ospiti della loro vittima pochi giorni prima dell'attentato; dell'essere, infine, possessore di un documento che lo ricollega ad altra persona, presente alla stazione di Bologna, senza valida giustificazione, in occasione della

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(192) - Cfr. vu 15/1/88, p6 verso.


strage. Si tratta di conclusione inaccettabile, alla quale se ne deve contrapporre altra, che, partendo dall'assunto contrario a quello della casualità, consenta una ricostruzione logicamente plausibile e coerente con il quadro indiziario complessivo. Il VOLO, proprio per via del suo legame con il MANGIAMELI, si trovò a condividere le apprensioni di costui, che, già pesantemente esposto dopo la strage per aver addirittura ospitato il FIORAVANTI, le cui responsabilità non ignorava, vide poi precipitare la situazione dopo la pubblicazione dell'intervista rilasciata da Amos SPIAZZI. Si trattava, dal punto di vista del VOLO, di contemperare due concomitanti esigenze: quella di scongiurare il suo personale coinvolgimento, e quella di non uscire allo scoperto. L'anonimo soddisfaceva l'una e l'altra. Disponendo il VOLO di un solido alibi, il contorto stratagemma mirava a suscitarne l'immediata verifica dello stesso, finché tale verifica era possibile, o comunque significativa ed utile proprio per via della tempestività. Il VOLO si mise peraltro in condizioni di potere, all'occorrenza, dimostrare la provenienza da sé della lettera (193): provenienza che puntualmente rivelò ai giudici.


Il fatto che nella missiva compaia anche il nome del MANGIAMELI, e che la stessa sia quindi idonea a propiziare la verifica anche del suo alibi, induce a ritenere che, con ogni probabilità, nell'iniziativa dell'anonimo abbia avuto parte anche il `leader' siciliano di Terza Posizione. La missiva esprime la situazione di disagio e di grave preoccupazione di un ambiente che vien prendendo le distanze dall'efferato gesto del FIORAVANTI e del FACHINI. Siffatta situazione è -agli occhi del FIORAVANTI- tanto più pericolosa, in quanto tende a sfuggire al controllo, per non essere limitata al solo MANGIAMELI; l'intervento di bonifica dell'ambiente dev'essere radicale: e s'è visto, infatti, che, assieme agli altri, avrebbe dovuto essere `giustiziato' anche Alberto VOLO.


2.1.2.5.7) La questione dei capelli della MAMBRO


Si tratta di una questione marginale, intorno alla quale è

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(193) - Il VOLO si servì della macchina da scrivere del Prof. PEZZANO: l'unica esistente presso la scuola di cui il VOLO stesso era preside (cfr. RA, V3, C82/2, p67 e C82/2 bis, p159).


tuttavia necessario fare chiarezza, dissipando ogni


possibile elemento di confusione. Massimo SPARTI al Giudice Istruttore, il 13/5/1982 (194): "...Aggiunse anche," (Valerio FIORAVANTI) "appunto per tale timore, che la ragazza, come effettivamente io potetti constatare, si era tinta i capelli..."


E' certamente vero che lo SPARTI, non avendo precedentemente conosciuto la MAMBRO, non poteva apprezzare una variazione di tonalità. Ma -come si è testé visto- egli si limitò a constatare che la donna si era tinta i capelli: il che è cosa diversa. E' dato di comune esperienza che, anche vedendo una persona per la prima volta, è non di rado possibile riconoscere una tinta artificiale della capigliatura, proprio in quanto le tintura conferisce alla chioma un aspetto innaturale. Ancora più agevole è riconoscere una tonalità artificiale, quando essa coesista con la base naturale. E proprio quest'ultima situazione si presentò allo SPARTI, il quale il 23/7/1981, così si spiegò (195): "...Valerio mi disse anche che le aveva fatto

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(194) - EA, V10/a-4, C163/1, p1.
(195) - EA, V10/a-4, C163/1, p19. tingere i capelli, ma io debbo con tutta onestà dichiarare che non avrei fatto caso a ciò se questi non ne avesse parlato, ma è anche vero che non posso affermare che le diverse tonalità di colore dei capelli della MAMBRO non fossero altro che quel trattamento oggi di moda. E' altrettanto vero però che io notai una colorazione rossastra che non aveva nulla a che vedere con la colorazione base..." Ancora più chiare, in tal senso, le dichiarazioni del 6/5/1982 (196): "...Non ricordo se nella foto la MAMBRO avessei capelli raccolti verso l'alto. Di persona li aveva sciolti, mi sembra fino alle spalle, leggermente ondulati, e con riflessi tendenti al rosso-rame sulla base del colore castano che era uniforme. Ho notato che si trattava di riflessi non naturali..."


Si tratta di dichiarazioni misurate e precise, dalle quali, in sostanza, si ricava che lo SPARTI, la cui attenzione era stata stimolata dalla frase del FIORAVANTI, fu in grado di cogliere il contrasto fra le venature di una tonalità rossastra frammiste o parzialmente sovrapposte alla


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(196) - Cfr. confronto SPARTI-DE VECCHI, in EA, V10/a-4, C163/1, p43 recto e verso.


colorazione naturale, che non era scomparsa, ma rimaneva
visibile. Evidentemente la donna, frettolosamente adeguandosi alla direttiva del FIORAVANTI, con mezzi di scarsa efficacia, non aveva ottenuto se non il modesto risultato che è dato evincere dalle parole dello SPARTI: una colorazione non omogenea, sulla cui base, rimasta quella naturale, comparivano riflessi rossastri, che potevano sfuggire ad un osservazione superficiale.


Ciò è perfettamente compatibile con quanto emerge dal rapporto giudiziario relativo alla rapina del pomeriggio del
5 agosto all'armeria di Piazza Menenio Agrippa: della
ragazza che partecipò al delitto vi si dice, sulla base delle descrizioni fornitene dai testi, che avesse i capelli di color castano chiaro (197), che è -come si vedrà tra breve- il colore naturale della capigliatura dell'imputata. I testi, date le circostanze, non avevano potuto cogliere se non il dato più immediato e macroscopico: il colore naturale, che era preponderante. E non avevano potuto percepire ciò che lo SPARTI aveva potuto apprezzare soltanto

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(197) - Cfr. RA, V10, C407, pp. 2-3.


dopo una più attenta osservazione: la disomogeneità ed i riflessi rossastri.


A questo punto è necessario sgomberare il campo da un equivoco: la base del colore dei capelli dell'odierna imputata è un castano tendenzialmente non carico, la cui tonalità può variare, a seconda delle stagioni e dell'esposizione al sole, o per effetto dell'uso di trattamenti cosmetici meno radicali della tintura, fra il castano chiaro ed il biondo-castano (198). La puntualizzazione si rende necessaria, perché la MAMBRO, in istruttoria, aveva dichiarato, tra l'altro (199): "...Questi," (Cristiano FIORAVANTI) "infatti, proprio il due agosto fu scarcerato e nei giorni immediatamente successivi ebbe modo di vedermi e constatare, ovviamente, che i miei capelli erano quelli di sempre, perché in effetti non me li sono mai tinti in vita mia. D'altra parte i testimoni



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(198) -Biondo-castani apparivano i capelli dell'imputata all'udienza del 2/12/1987 (cfr. vu 2/12/87, p23, righi 45-47). La tonalità, leggermente più chiara rispetto a quella apprezzata dalla Corte in precedenti occasioni (la MAMBRO è stata presente con grande assiduità nel corso delle oltre 200 udienze), potrebbe essere dipesa -secondo l'ipotesi affacciata dall'Avvocato dello Stato in corso di discussione- dall'impiego di un `cachet' decolorante alla vigilia dell'udienza.
(199) - IA, V9/a-2, C38, p27.


oculari della rapina di Piazza Menenio Agrippa mi hanno descritta, per quanto mi risulta daigiornali, come una aragazza dai capelli biondi. Pertanto le dichiarazioni di SPARTI sul punto sono completamente false. D'altra parte è noto che d'estate i capelli acquistano una tonalità più chiara..." Se si è compreso bene, il senso di questa linea difensiva parrebbe il seguente: i capelli dell'imputata erano biondi e non come lo SPARTI li ha descritti; e il biondo,in ogni caso, era il colore naturale e non artificiale.


Osserva la Corte: si è visto come l'indicazione dello SPARTI circa la base naturale castana della capigliatura della MAMBRO riceva conforto da quanto indicato dai testi oculari della rapina di Piazza Menenio Agrippa, i quali, sul punto, hanno -più specificamente- parlato di color castano chiaro. Identica indicazione proviene da due fonti assolutamente non sospettabili: i fratelli FIORAVANTI. Valerio (200): "...Non ricordo invece l'abbigliamento della MAMBRO; aveva capelli lunghezza media, di tinta castano chiaro, non decolorati né

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(200) -IA, V9/a-2, C29/B, p2.


tinti..." Cristiano (201) "...l'ho vista" (la MAMBRO) "intorno all'8 agosto 1980 a Roma e non aveva cambiato né foggia né colore dei capelli e cioè aveva capelli di colore castano chiaro tagliati a caschetto..."


Che d'estate, per effetto dell'esposizione al sole, i capelli dell'imputata tendano a schiarirsi ulteriormente, acquistando una colorazione fra il castano ed il biondo, è del tutto naturale. Questa la descrizionedatane in istruttoria da Mauro ADDIS (202): "...aveva i capelli lunghi sino alle spalle, color paglia, di un biondo non del tipo svedese, ma biondo-castani..." La BRUNELLI addirittura ebbe ad affermare (203): "...Sono certa che la MAMBRO, per tutto il tempo trascorso a Treviso, vale a dire fino a qualche giorno prima di ferragosto, non aveva cambiato il colore dei capelli; è sempre rimasta del suo biondo naturale..." E Valerio FIORAVANTI, in altra parte del medesimo verbale citato poc'anzi, riferiva ancora, con apparente contraddizione: "...dai giornali abbiamo appreso che in relazione alla strage di Bologna veniva ricercata una donna

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(201) - EA, V10/a-4, C163/1, p32. (202) - EA, V10/a-5, C240, p4.
(203) - EA, V10/a-4, C173, p2.


bionda e la MAMBRO temeva di poter essere coinvolta, anzi era sicura che se fosse stata rintracciata sarebbe stata senz'altro incriminata, dato che si conoscevano le sue idee politiche, era bionda ed in quei giorni gli ambienti cosiddetti fascisti erano sotto pressione..."


La contraddizione rispetto all'indicazione della tinta castano chiaro fornita dall'imputato poco prima è -ad avviso del Collegio- soltanto apparente: giacché -come si è visto- testi assolutamente insospettabili, con riferimento al medesimolasso di tempo, ebbero a descrivere i capelli dell'imputata alternativamente come castano chiari (testimoni della rapina di Piazza Menenio Agrippa) o biondi (la BRUNELLI, che, dal canto suo, non colse variazioni rispetto al periodo precedente la strage); e la distinzione tra il castano ed il biondo, nell'ambito di una determinata fascia di tonalità, è tutt'altro che ben definita.


Più in generale, si osserva che la valutazione dei colori, anche da parte dei soggetti che non soffrano di alterazioni della percezione visiva, ha -con l'eccezione di alcune tinte fondamentali- una non trascurabile componente soggettiva; componente che gioca un ruolo tanto più significativo in quanto si tratti di descrivere l'aspetto cromatico di realtà viventi e, in particolare, di parti anatomiche che -come i capelli- sono naturalmente cangianti.


Tutto quanto precede porta a concludere, da un lato, che la descrizione della base naturale dei capelli della MAMBRO da parte di Massimo SPARTI non era certamente falsa. Quanto poi ai riflessi rossastri, frutto di un maldestro o abortito tentativo di travisamento, non deve sorprendere che l'indicazione dello SPARTI sia rimasta isolata. La BRUNELLI, dopo il 2 agosto, potrebbe non aver avuto occasione di osservare la capigliatura dell'odierna imputata con la stessa attenzione con cui lo fece lo SPARTI, per esservi stato richiamato dalle parole del FIORAVANTI. Ed è noto poi che i `cachets' coloranti che ciascuno può applicarsi a domicilio, senza l'ausilio del parrucchiere, possono, a differenza delle tinture, essere così poco persistenti da scomparire dopo alcuni lavaggi.


Certamente poi conforto allo SPARTI sulla circostanza in esame non poteva venire da Valerio, né da Cristiano FIORAVANTI (il quale, nell'81, era ben lungi da certe successive tiepide posizioni possibiliste in ordine alla responsabilità del fratello -e, conseguentemente, della cognata- per la strage), e neppure da Mauro ADDIS (204).


Resta soltanto da osservare che, in virtù delle considerazioni sopra esposte, la circostanza -segnalata dal PUBBLICO MINISTERO- che i capelli della MAMBRO, nella patente sequestratale all'atto dell'arresto, fossero indicati come biondi (205) non dimostra che ella, dando seguito al tentativo i cui effetti lo SPARTI poté




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(204)- I rapporti di costui con gli imputati FIORAVANTI e MAMBRO sono stati eloquentemente descritti da Valerio FIORAVANTI: "...prima che lo mandino via, io volevo confermare che noi con ADDIS siamo in ottimi rapporti, non c'è bisogno di sentenze, è stato nostro testimone al matrimonio. Senza che lo andiamo a chiedere sentenze o pareri ad altri Giudici, è vero noi siamo in ottimi rapporti e per questo ci interessava che si mettesse meno in mezzo possibile..." (cfr. vu 2/12/87, p39). L'ADDIS, il quale ha reso dichiarazioni a questa Corte in una veste che non lo vincolava alla verità, è venuto tardivamente modificando ed integrando le sue dichiarazioni istruttorie su talune circostanze (cfr. vu 2/12/87, pp. 20 ss.). Vale la pena di ricordare che, nel corso di questo intervento `ad adiuvandum', egli ha fra l'altro riferito d'aver incontrato il FIORAVANTI e la MAMBRO il 30/7/1980 a Taranto e di averli accompagnati sino all'aeroporto di Roma-Fiumicino, da dove, la notte fra il 30 ed il 31, avrebbero preso un volo forse per Venezia (vu 2/12/87, p22). Osserva semplicemente la Corte che, anche ove ciò fosse vero, si restringerebbe il periodo di tempo a cavallo della strage nel quale si perdono le tracce degli imputati, ma il loro preteso alibi per il 2 agosto non ne trarrebbe alcun conforto.
(205) - Cfr. RA, V8, C370 bis, p17.


constatare, si fosse poi tinta la capigliatura con risultati


migliori e più duraturi. Con una buona dose di approssimazione, infatti, la chioma dell'imputata, soprattutto in certi periodi, può definirsi appunto bionda.


Gli accertamenti tecnici a suo tempo compiuti non portarono ad alcun significativo risultato. Innanzitutto, un campione di capelli della MAMBRO poté essere prelevato soltanto molto tempo dopo la strage (206), quando tracce di eventuali tinture potevano essere scomparse. In secondo luogo, si trattava di parti di stelo, separate dalla radice, il che incise sfavorevolmente sul risultato delle analisi. All'esito delle indagini di laboratorio, così, tra l'altro, riferì la Polizia Scientifica (207): "...Dalle indagini chimiche eseguite si è giunti alla conclusione che i capelli in esame non presentano tracce di tinture vegetali erbose di hennè, indaco, tannino, né tintura a base di sali metallici (solfuri metallici, argento, cadmio). Non è stato possibile accertare in modo sicuro, la presenza di tintura a base di composti del gruppo della parafenilendiamina (componente

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(206) - Il 27/4/1982, in sede di interrogatorio: cfr. IA, V9/a-2, C38, p9. (207) -RA, V8, C354, p9.


delle tinture più usate e durature) a causa delle reazioni
non sufficientemente probative.


L'esame microscopico non ha confortato, d'altra parte, l'indagine chimica, in quanti la mancanza della radice del capello e la presenza del solo stelo non ha permesso di evidenziare la differenza di colore tra lo stelo e la porzione intrafollicolare del capello (che misura circa 3,5 mm), dove non penetra l'azione della tintura..."



2.1.2.6) La posizione di Sergio PICCIAFUOCO


2.1.2.6.1) La presenza del PICCIAFUOCO alla stazione di Bologna


A proposito della sua presenza alla stazione ferroviaria di Bologna in occasione dell'attentato, il PICCIAFUOCO ha riferito un cumulo di menzogne, quando una versione semplice e veritiera, una volta sottoposta a positiva verifica, l'avrebbe scagionato da una terribile accusa. Non si dica che il PICCIAFUOCO si trovava alla stazione di Bologna per una ragione diversa dal suo coinvolgimento nella strage, ma comunque di natura tale da non poter essere rivelata: ciò avrebbe potuto giustificare l'iniziale riserbo, ma non la perseveranza nel non voler spiegare le ragioni della presenza sul luogo dell'attentato, una volta che il prevenuto è stato raggiunto dall'imputazione per la quale oggi lo si giudica. A fronte dell'accusa di strage, se il PICCIAFUOCO fosse stato a Bologna per motivi diversi, anche in vista della realizzazione di un programma delittuoso -che non fosse, appunto, la realizzazione
dell'attentato- lo avrebbe finalmente ammesso.


Sostiene l'imputato che, il 2 agosto, egli era diretto a Milano, per farsi `riempire' dei moduli di documenti in bianco di cui era in possesso.


L'assunto è falso, perché il PICCIAFUOCO era, all'epoca, in possesso di patente di guida n. 27681, intestata a VAILATI Enrico, nato a Roma l'11/11/1945 (208). Esibendo tale documento, egli alloggiò presso l' `Hotel Atlantis Bay' di Mazzarrò di Taormina. Ha affermato il PICCIAFUOCO in giudizio che egli, sprovvisto di documenti d'identità, fornì

in proposito al portiere una banale giustificazione, e dettò a caso i dati di identificazione, in quanto, benché egli fosse stato già ospite dello stesso albergo l'anno prima, non fu possibile rintracciare lì per lì la relativa scheda con le precedenti annotazioni. Occorre subito rilevare che i soggiorni del PICCIAFUOCO all' `Atlantis Bay' nel luglio 1980 furono due (209): non è pensabile che egli, senza documenti, fornisse ogni volta puerili giustificazioni, trovando credito e ospitalità. Ma è

ragionevolmente da escludere che ciò possa essere accaduto anche una sola volta. La Corte ha in proposito disposto

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(208) - Cfr. RA, V9 bis, C383 bis, pp. 236-239.
(209) - Cfr. gli atti citati alla nota che precede.


l'escussione di Alfredo LONGO, titolare dell'albergo, il quale (210) ha sostanzialmente escluso che possano esservi state eccezioni nell'espletamento delle formalità di registrazione dei clienti. Peraltro -e l'argomento sembra risolutivo- se pure ci si fosse indotti ad accogliere provvisoriamente il PICCIAFUOCO, benché sprovvisto di documenti, la prudenza avrebbe comunque imposto di procedere all'annotazione non appena l'imputato fosse rientrato in possesso dei documenti stessi, che affermava d'aver lasciato sulla vettura di amici "che sarebbero poi ritornati", e, in ogni caso, di non procedervi prima d'aver rintracciato la scheda o consultato i registri relativi al soggiorno del 1979, da cui desumere i dati identificativi, per verificarne la corrispondenza con quelli che il PICCIAFUOCO veniva denunciando: corrispondenza che, in effetti, si sarebbe riscontrato non sussistere.


Il prevenuto ha affermato ancora che, per farsi `riempire' i moduliin biancodi cui era in possesso,si sarebbe dovuto recare a Milano lunedì 4 agosto, e che anticipò la partenza

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(210) - cfr. vu 14/1/88, pp. 1-2.


al 2, in quanto, all'improvviso, si sarebbe trovato a dover cedere temporaneamente l'appartamento di via Farini in Modena, in cui allora abitava, al proprietario dello stesso, che avrebbe inteso ospitarvi, in quel fine settimana, una ragazza polacca. Rientrato poi da Bologna a Modena, contrariamente a quanto programmato, lo stesso giorno 2, avrebbe trovato nell'appartamento il proprietario e la ragazza polacca, talché avrebbe poi dormito, la notte, a casa di tale COPPARONI Gianfranco. Orbene, il COPPARONI, escusso in dibattimento (211), ha escluso che il prevenuto abbia dormito nella sua abitazione. Si è dunque di fronte ad un 'ulteriore menzogna del PICCIAFUOCO. Cade così la linea difensiva che vuole legato ad una casualità (un'esotica avventura galante del proprietario dell'appartamento) lo spostamento dell'imputato da Modena la mattina del 2 agosto.


Ma le menzogne si moltiplicano, allorché il PICCIAFUOCO deve spiegare come e perché, partendo da Modenaed essendo diretto a Milano,si venne a trovare fuori percorso, alla stazione di Bologna, nell'ora dell'attentato. In ordine a tale presenza,

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(211) - cfr. vu 18/12/87, pp. 30-34.


tenuto conto delle indicazioni in proposito rinvenibili nei verbali dal PICCIAFUOCO resi nelle varie vesti che ha via via assunto nel corso del procedimento, gioverà, servendosi del puntualissimo rapporto della DIGOS di Bologna in data 7/10/1983 (212), notare quanto segue. La mattina del 2 agosto 1980, l'imputato, che si sarebbe recato da casa alla stazione di Modena -secondo quanto egli stesso ha affermato (213)- verso le 8,30-8,40, avrebbe potuto prendere l'espresso delle 8,37 (il cui arrivo a Milano era previsto per le 11,20), in quanto tale treno è partito da Modena in ritardo, alle 8,55. Peraltro, egli era certamente al corrente degli orari di partenza, dal momento che nell'appartamento di via Farini gli fu sequestrato un orario ferroviario.


La decisione di prendere un taxi per venire alla stazione di Bologna è assolutamente inverosimile per vari ordini di ragioni. Infatti: la corsa costava effettivamente 25.000-30.000 lire, ed aveva dunque un prezzo enormemente superiore al biglietto ferroviario; il PICCIAFUOCO non era certamente

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(212) - RA, V9 bis, C383/A, pp. 20 ss.
(213) - IA, V9/a-2, C40, p11.


incalzato dalla fretta, dovendo recarsi a Milano per cercare qualcuno che gli potesse approntare documenti falsi; da Modena a Bologna vi erano almeno tre treni utili che avrebbero consentito all'imputato di essere a Bologna in tempo per prendere l'espresso delle 10,34 in partenza per Milano: si trattava degli espressi delle 8,52 (partito in ritardo alle 9,10), delle 9,27 e delle 9,42, ufficialmente in arrivo a Bologna rispettivamente alle 9,25, 9,56 ed alle 10,08, e comunque tutti, anche tenuto conto del ritardo di vari minuti nella partenza, in arrivo, appunto, ad ora tale da consentire agevolmente di prendere la coincidenza delle 10,34. Resta poi da spiegare, in ogni caso, il motivo per cui il prevenuto -che non aveva alcuna fretta, ed avrebbe potuto prendere da Modena, alle 11,31, il successivo treno per Milano,in arrivo alle 14,02- avrebbe preferito affannarsi e spendere tanto, per venire a Bologna a prendere l'espresso delle 10,34, in arrivo a Milano alla 13,00.


Il PICCIAFUOCO ha finito per dichiarare che le sue scelte di quel giorno furono legate ad una sorta di idiosincrasia da latitanza per i treni che effettuano molte fermate e per la permanenza in treno in generale. Si tratta di affermazioni pretestuose e addirittura paradossali, provenendo esse


da chi, latitante, si è mosso disinvoltamente a suo piacimento per un decennio lungo la penisola ed avrebbe -a suo dire- viaggiatoin aereo senzadocumenti d'identità anche in periodi di rigidissimi controlli (214). Il PICCIAFUOCO, il 6/10/1983, aveva però dichiarato (215): "Quando arrivai," (alla stazione di Modena) "però, constatai che tale treno era già partito e pur non avendo un appuntamento preciso a Milano, o altro motivo di urgenza, controllai gli orari alla tabella della stessa stazione ferroviaria e decisi di prendere il treno delle 10,34 in partenza da Bologna, treno che non fermava alla stazione di Modena. Per raggiungere Bologna in tempo utile, pensai di prendere un taxi. Avevo infatti consultato l'orario e nessun treno in partenza da Modena mi avrebbe fatto giungere alla stazione di Bologna in tempo utile e cioè prima delle 10,34". A parte la falsità dell'affermazione che non vi fossero treni utili per essere a Bologna entro le 10,34,

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(214) - IA, V9/a-2, C40, p66.
(215) - IA, V9/a-2, C40, p11.


vanno rilevate due circostanze: l'imputato si sarebbe determinato a venire a Bologna sol perché il treno delle 10,34 non fermava a Modena; se vi fossero stati treni utili, se ne sarebbe servito per raggiungere Bologna. Anche la giustificazione dell'idiosincrasia ferroviaria, e in particolare verso i treni che effettuano fermate intermedie (tali sono, lungo la linea Bologna-Milano, i treni che fermano a Modena), è sconfessata dalle parole dello stesso imputato.


Personale della Questura di Bologna, recatosi a Modena, provvide ad interrogare non soltanto i taxisti che facevano servizio il 2 agosto nel piazzale della stazione, ma anche tutti gli altri taxisti in servizio in altri punti della città, per un totale di 56 persone. Orbene, tutti (tranne uno, che aveva però accompagnato, alle 8,00, una persona di sesso femminile) esclusero di aver compiuto viaggi a Bologna prima dell'attentato. In particolare, lo esclusero i tre taxisti proprietari di di autovetture `Opel Ascona', due dei quali, peraltro, erano all'epoca dei fatti in vacanza.


Si è sottolineato, da parte della difesa del PICCIAFUOCO, che uno dei taxisti modenesi in servizio il 2 agosto 1980 era deceduto all'epoca degli accertamenti in parola. Il rilievo è corretto; senonché si provvide ad interpellare tale GOLDONI Giancarlo, subentrato nella licenza comunale al defunto PREVIDI Franco, del quale era strettissimo amico. Il GOLDONI riferì che mai il PREVIDI gli aveva raccontato alcunché a proposito dei fatti di Bologna, aggiungendo che, peraltro, lo scomparso era proprietario di una `Audi 100' di colore bianco (216).


Si è anche sostenuto -facendo riferimento alla nota vicenda del taxista milanese ROLANDI, testimone nel processo cosiddetto `di Piazza Fontana'- che determinati precedenti giudiziari possono aver consigliato il taxista che avrebbe accompagnato il PICCIAFUOCO a Bologna, di sottacere la circostanza. L'argomento non coglie nel segno: il ROLANDI si era venuto a trovare nella condizione di inchiodare qualcuno ad una tremenda accusa; l'ipotetico accompagnatore del PICCIAFUOCO, con altrettanto civismo, ma senza necessità di altrettanto coraggio, avrebbe avuto il grato compito di

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(216) - cfr. RA, V9bis, C383/A, pp. 39-47.


scagionare un uomo, con una sola parola, da un'accusa ancor
più terribile.


A proposito del suo orario di arrivo alla stazione di Bologna, il PICCIAFUOCO ha fornito due differenti versioni. In un primo tempo (217) ebbe a dire d'esservi giunto circa 15 minuti prima della partenza del treno delle 10,34; in altra occasione (218), d'esservi giunto verso le 10,00. Se fosse vera quest'ultima ipotesi, non si comprende il motivo per cui non avrebbe preso l'espresso n. 514 diretto a Milano, partito proprio dal terzo binario qualche minuto prima delle 10,23 (ora in cui raggiunse la stazione di Lavino, per transitare poi, senza fermarvisi, alle 10,40 dalla stazione di Modena). Se fosse vera la prima, l'orario di arrivo verrebbe a coincidere, o quasi, con l'orario in cui il PICCIAFUOCO si sarebbe seduto sul muretto del terzo binario (posto che è l'imputato stesso a riferire d'aver raggiunto il terzo binario tre o quattro o cinque minuti prima dell'esplosione). Ma ciò contrasta insanabilmente con la circostanza che, giunto alla stazione

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(217) - IA, V9/a-2, C40, p4.
(218) - IA, V9/a-2, C40, p9.


di Bologna, il prevenuto avrebbe acquistato il biglietto, il giornale, le sigarette, ed avrebbe anche trovato il tempo di sorseggiare un caffé: il tutto di sabato due agosto, in uno scalo ferroviario superaffollato.


Il PICCIAFUOCO ha mentito anche quando ha affermato d'aver prestato aiuto nell'opera di soccorso. Il 6 ottobre dell'83 sosteneva (219) ancora: "...confermo la circostanza da me già riferita di avere aiutato un agente della Polizia ferroviaria di cui ho anche descritto le caratteristiche fisiche, nell'opera di soccorso ai feriti. Insieme con tale agente trasportai due feriti che si trovavano nel piazzale del terzo binario, fino all'autoambulanza. Aggiungo che a questo punto persi di vista l'agente e prestai opera di soccorso in favore degli altri feriti che erano all'interno della stazione o sul piazzale. Aiutai a caricare diversi feriti sulle autoambulanze, feriti che io stesso, insieme con altri, accompagnai ai luoghi di cura che ricordo erano l'Ospedale S. Orsola e l'Ospedale Maggiore. Solo alla sera, dico meglio, nel tardo pomeriggio verso le quattro o le


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(219) - IA, V9/a-2, C40, p13. cinque, crollai col peso della stanchezza ed essendo in quel momento in un ospedale, mi feci medicare..." La prova del mendacio è documentale: si visto che il PICCIAFUOCO risulta medicato all'Ospedale Maggiore alle ore 11,39: il che significa, tra l'altro -tenuto conto del clima di enorme confusione e dei tempi tecnici necessari- che egli fu sicuramente tra i primi ad essere soccorso. Di fronte a siffatta risultanza, il PICCIAFUOCO ha dovuto modificare la precedente versione, sostenendo di essere ritornato alla stazione dopo essere stato medicato: il che, da parte di un ricercato privo di documenti, è semplicemente inconcepibile.


E' lecito chiedersi perché il latitante PICCIAFUOCO, anziché dileguarsi, si sia sottoposto alle cure mediche in ospedale.


Ha sostenuto l'Istruttore che il prevenuto, benché ferito solo leggermente, si sarebbe trovato in istato confusionale, data l'eccezionale potenza dell'esplosione, potenza certamente superiore al previsto. Rileva la Corte che un PICCIAFUOCO lucido e perfettamente cosciente, dall'alto della esperienza di una decennale latitanza, non si sarebbe comportato diversamente. Ferito leggermente, ma con i vestiti laceri e insanguinati, egli dava troppo nell'occhio per sperare, in quella particolarissima giornata, di rientrare a Modena senza intoppi: nelle sue condizioni, avrebbe dovuto inevitabilmente dar contezza di sé, con i rischi che ciò comportava, a tutti i rappresentanti delle forze dell'ordine in cui si fosse imbattuto. E, in quell'eccezionalegiornata, sarebbe stata follia illudersi di non incontrarne ad ogni pie' sospinto. La condotta più prudente consisteva proprio nell'accodarsi alla moltitudine degli altri feriti, approfittando dell'anonimato che la confusione dei primi soccorsi e il superaffollamento degli ospedali assicuravano. Medicato, ricompostosi, e con abiti puliti, il PICCIAFUOCO potè lasciare Bologna indisturbato.


Si è sostenuto che verrebbe conforto alla versione difensiva del PICCIAFUOCO dalla testimonianza (220) di Celestino CARLUCCIO. Occorre ricordare che, nelle prime dichiarazioni rese il 15/5/81, il prevenuto aveva affermato d'aver collaborato, nell'opera di soccorso, con un agente della Polizia Ferroviara, che aveva descritto come "molto alto,

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(220) - Cfr. IA, V9/a-2, C40, p8; EA, V10/a-1, C39, p3, e vu 4/2/88, pp. 12-14. magro, castano". Si credette di identificare tale agente in Celestino CARLUCCIO,il quale, esaminato in istruttoria, in un verbale che ha poi confermato in giudizio, ebbe a dichiarare: "...L'immagine che voi mi mostrate," (si trattava dell'immagine del PICCIAFUOCO) "mi sembra di riconoscere nelle sembianze una persona che io ho già visto, però non ricordo in che circostanza...Escludo però che detta persona abbia collaborato con me nel portare soccorso ai feriti." Va aggiunto che il CARLUCCIO ha riferito essere un ferroviere la persona che lo invitò a recarsi a prestar soccorso sul terzo binario. A distanza di oltre sette anni non è stato in grado di indicare in base a quali elementi riferì, a suo tempo, essersi trattato di un ferroviere; ma non si vede il motivo per cui, quando il ricordo era vivo, avrebbe dovuto fornire un'indicazione così precisa, se non avesse corrisposto alla realtà. Si è fatto leva, ancora, sul fatto che al CARLUCCIO si è arrivati sulla base dele indicazioni fornite dall'imputato. Senonché, il PICCIAFUOCO aveva fornito una descrizione tutto sommato generica: necessariamente avrebbe dovuto adattarsi a qualcuno dei numerosissimi poliziotti operanti quella mattina alla stazione di Bologna. E poi, occorre tener presente che il prevenuto era effettivamente quella mattina sul luogo dell'attentato, e, prima di essere accompagnato all'ospedale per i soccorsi, ha avuto il tempo di fissare nella memoria l'immagine dei primi soccorritori. Quanto al fatto che l'immagine dell'imputato non sia parsa estranea al CARLUCCIO, occorre semplicemente osservare che il teste si espresse in termini vaghi e dubitativi, che il PICCIAFUOCO era -per sua stessa ammissione- un frequentatore di Bologna, e che la sua immagine compariva sui bollettini di ricerca dei latitanti.


Non ha maggior pregio l'argomentazione difensiva con la quale si è sottolineato che il PICCIAFUOCO, all'Ospedale Maggiore, indicò la sua reale data di nascita. Non si vede che deduzioni se ne debbano trarre. Non certo che l'imputato fornì un'indicazione utile per rintracciarlo, dimostrando così di avere la coscienza tranquilla. Posto che la vera
data di nascita, se collegata ad un nominativo e ad un luogo

di nascita falsi, non offre alcun elemento utile per


l'identificazione del possessore di un documento falso,
resterebbe comunque da spiegare -se fosse vero il contrario- per quale motivo il latitante PICCIAFUOCO, colpevole o innocente che fosse della strage, nell'usare, per tutelarsi, false generalità, avrebbe però deciso di correre qualche rischio, indicando, fra gli altri, anche un dato genuino. Il fatto è che l'imputato sapeva di non correre alcun rischio. Già nel luglio, a Taormina, aveva esibito per due volte il documento intestato a VAILATI Enrico, nato l'11/11/1945. D'altronde, non è stato certamente attraverso la data di nascita che si è pervenuti all'identificazione dell'odierno imputato (221).


A questo punto, dimostrato quanto si era enunciato, e cioè che il prevenuto mente in maniera spudorata e pervicace circa le ragioni della sua presenza alla stazione di Bologna, è lecito, riprendendo una considerazione inizialmente svolta, trarre una prima parziale conclusione: il peso dell'accusa che grava in capo a Sergio PICCIAFUOCO è tale che egli non potrebbe permettersi ormai di tacere

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(221) - Cfr. RA. V9 bis, C383, pp. 81-82.


alcunché, per quanto grave, che fornisse, della sua presenza sul luogo dell'attentato, una valida e plausibile spiegazione, alternativa rispetto al suo coinvolgimento nella strage. Eppure egli, anche in giudizio, ha continuato a mentire.


2.1.2.6.2) I collegamenti del PICCIAFUOCO con organizzazioni eversive, e in, particolare, con il gruppo FIORAVANTI-CAVALLINI-MANGIAMELI-VOLO


2.1.2.6.2.1) Le notizie circa i legami con Terza Posizione


Innegabilmente -come ha sostenuto l'Istruttore- il passato del PICCIAFUOCO è quello di un delinquente comune. Ciononostante,leindicazioni relative ad una sua `politicizzazione'in epoca vicina alla strage edal suo ingresso nell'area di Terza Posizione non possono essere liquidate come notizie giornalistiche. Occorre infatti tener presente quanto segue. Nel rapporto (222) in data 8/7/1983, la Sezione Anticrimine della Legione Carabinieri di Ancona riferiva, tra l'altro: "...secondo notizie attinte, è risultato che negli ultimi anni il PICCIAFUOCO Sergio si sarebbe politicizzato entrando nell'organizzazione di destra `TERZA POSIZIONE'...nell'anno 1980, venne sospettato che

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(222) - cfr. RA, V9bis, C383/A, pp.6-7. fosse un terrorista rimasto coinvolto nell'attentato alla Stazione Ferroviaria di Bologna, ove rimase ferito..." Con rapporto (223) in data 1/10/1983, il Nucleo Operativo del Reparto Operativo del Gruppo Carabinieri di Ancona riferiva, tra le altre, le medesime notizie, allegando un articolo di stampa del quotidiano bolognese `Il Resto del Carlino', in data 28/3/1981, nel quale veniva indicato nel PICCIAFUOCO, ladro specialista in evasioni, il "misterioso ferito della strage".


Il 17/10/1983, presso il Comando della Compagnia Carabinieri di Osimo, il Giudice Istruttore prendeva visione del fascicolo, colà giacente, intestato al PICCIAFUOCO (224). E rilevava, tra l'altro, che, con rapporto 16/2/1981, la Compagnia dei Carabinieri di Ancona aveva segnalato una serie di notizie sul conto dell'odierno imputato. Tali notizie sono così riferite nel verbale redatto nell'occasione dall'Istruttore: "la Compagnia CC. di Ancona segnala: a)- che il PICCIAFUOCO sarebbe stato notato recentemente in Osimo e dintorni; b)- che si sarebbe

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(223) - cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 8 ss.
(224) - cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 71-72. politicizzato entrando nell'organizzazione di TERZA POSIZIONE; c)- che sarebbe ricercato perché responsabile di un grave attentato; d)- che il PICCIAFUOCO è abilissimo nell'uso delle armi." Immediatamente di seguito, nel verbale, si legge: "Le notizie di cui ai punti precedenti vengono definite da fonte confidenziale, dall'estensione del rapporto a firma Maggiore Pasquale MORETTINI NATALINI".


Il 1° novembre 1983, il Maggiore Pasquale MORETTINI NATALINI, Comandante la Compagnia Carabinieri di Osimo, scriveva (225) al Giudice Istruttore, chiarendo che una serie di notizie contenute nel fascicolo personale del PICCIAFUOCO consultato dal Giudice Istruttore stesso erano state attinte dall'Arma di Modena. E spiegava che: fin dai primi giorni del febbraio 1981 era stata notata in sosta nel parcheggio dell'Ospedale di Loreto una vettura targata Modena; era stata contattata l'Arma di Modena per risalire al proprietario, identificato in COPPARONI Gianfranco; costui, già nel gennaio, aveva denunciato l'Ing. VAILATI Enrico per l'appropriazione indebita della vettura;

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(225) - cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 116-117.


dopodiché, il COPPARONI, avvicinato da militi dell'Arma di Modena, che gli comunicavano l'avvenuto ritrovamento della vettura, aveva loro riferito che: a) il VAILATI si identificava in PICCIAFUOCO Sergio- b) quest'ultimo era un pericoloso latitante che, rimasto ferito nella strage di Bologna, veniva indiziato di essere l'autore della strage stessa- c) presumibilmente il ricercato nel corso della latitanza si era politicizzato entrando nelle formazioni di estrema destra- d) le notizie le aveva apprese preso la Questura di Bologna; il COPPARONI aveva confermato il tutto all'Arma di Loreto all'atto del ritiro della vettura.


Da tutto quanto precede emerge che i Carabinieri sono venuti in possesso, in sedi e tempi diversi, di notizie solo in parte coincidenti. Ad Osimo affluiscono, filtrate attraverso l'Arma di Modena, informazioni che il COPPARONI ha raccolto in Questura a Bologna: al di là dell'identificazione VAILATI-PICCIAFUOCO, non si va oltre le generiche ipotesi di lavoro, germogliate dalla pista che si sta battendo. Ma ad Osimo affluiscono anche le notizie raccolte dai Carabinieri di Ancona, che -si badi- non erano certo attingibili da fonti giornalistiche laddove riferivano, sul conto del PICCIAFUOCO, notizie di carattere personale assai precise: la presenza in Osimo e dintorni; l'ingresso in Terza Posizione (non dunque un generico avvicinamento a formazioni dell'ultradestra); la grande abilità nell'uso delle armi. Sono, queste ultime, notizie provenienti da fonte confidenziale, come appunto l'Istruttore rilevò dalla lettura del fascicolo visionato in Osimo. E proprio tale provenienza da fonte confidenziale, se la fonte non fosse stata dalla Corte identificata, non consentirebbe di farne uso. In effetti, benché la norma sull'irricevibilità -nel caso che gli ufficiali ed agenti di Polizia Giudiziaria non intendano rivelare i nomi delle loro fonti- delle notizie che la Polizia Giudiziaria apprende da propri informatori sia dettata in materia di esame testimoniale, nondimeno, poiché il problema dell'incontrollabilità della fonte -che è alla base di quel divieto di ricevibilità- si pone negli stessi termini anche quando la notizia, anziché dall'ufficiale od agente di Polizia Giudiziaria assunto come testimone, sia dallo stesso riferita in un rapporto giudiziario, si deve ritenere che la notizia fornita da fonte confidenziale rimasta non identificata non sia comunque utilizzabile, anche se contenuta in un rapporto, che, come tale, è sempre leggibile ai sensi dell'art. 466 I comma del Codice di procedura.


Senonché, nel caso di specie, la fonte è stata dalla Corte individuata: il che, consentendone il controllo, consente al tempo stesso l'utilizzabilità -e, quindi, la concreta utilizzazione, nella misura in cui debban ritenersi attendibili- delle notizie dalla medesima provenienti. Va ricordato, in proposito, come la Suprema Corte, pronunciandosi nell'analoga materia degli scritti anonimi di cui all'art. 141 del Codice di rito, ispirata dalla medesima `ratio', abbia affermato che (226) "uno scritto privo della firma o di altro valido, equivalente elemento di identificazione(sigla o pseudonimo),non puòpiù essere considerato anonimo ove taluno, successivamente alla sua formazione, abbia a rivendicarne la paternità o l'autore venga in altro modo identificato".


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(226) - Cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 2208 del 2/3/79 -udienza 25/1/79- Presidente Fasani, imp. Barraco.


La fonte dei Carabinieri di Ancona è identificabile in Leonardo GIOVAGNINI. Costui, che è di Osimo, è stato direttore dell'emittente radiofonica `Radio MANTAKAS', con sede in quella città; egli aveva a suo tempo ricevuto ed accettato la proposta di costituire ad Osimo un nucleo di Terza Posizione, utilizzando la radio da lui diretta e come strumento per la diffusione delle idee del movimento e come polo di aggregazione dei simpatizzanti (227). Attorno all'emittente si era coagulato un gruppo di 40-50 persone, che non comprendeva, peraltro, solo simpatizzanti di Terza Posizione. Va rilevato fin da ora che la radio ricevette la visita di Paolo SIGNORELLI (228).


Il GIOVAGNINI è stato, per sua stessa ammissione, confidente dei Carabinieri (229); e -si noti- dei Carabinieri di Ancona. Ha ammesso d'aver conosciuto il suo compaesano

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(227) - Cfr. EA, V10/a, C265, p11.
(228)-Nell'interrogatorio reso al Giudice Istruttore di Roma il 15/12/81 (cfr. AA, V11, C67, p81), il SIGNORELLI riferì: "...Sempre in tema di emittenti privatedebbo dire anche che ho visitato, credo nel 1978-1979, la sede di Radio MANTAKAS, ad Osimo. Mi recai insieme ad Edgardo NICOLETTI, che conosceva l'emittente, Virgilio PAU e le nostre rispettive consorti. Ad Osimo feci la conoscenza del responsabile della radio, un certo GIOVAGNINI, che venne poi arrestato nell 'ambito dell'inchiesta di T.P...."
(229) - Cfr. vu 25/2/88, p87.


PICCIAFUOCO, pur facendo risalire l' ultima presenza in Osimo dell'odierno imputato a data assai remota e sostenendo di non averne poi avuto notizie diverse da quelle generiche, circolanti in paese, circa i "guai con la Giustizia" e la condizione di ricercato (230).


In aula, alla domanda specificamente volta a chiarire se i Carabinieri gli avessero richiesto informazioni sul conto del PICCIAFUOCO, il GIOVAGNINI ha così risposto (231): "è probabile che mi abbiano chiesto se conoscevo il PICCIAFUOCO come avete fatto voi questa mattina..." Tali parole, nonostante la precisazione secondo cui l'interrogato non avrebbe più visto il compaesano dall'età di 7 od 8 anni (precisazione sottintendente l'impossibilità d'aver fornito utili informazioni) costituiscono tuttavia una significativa ammissione: e di più non era lecito aspettarsi dal GIOVAGNINI, che è comparso di fronte alla Corte non come teste, ma in veste di imputato in procedimento connesso, ed ha risposto con le relative garanzie.


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(230) - Cfr. EA, V10/a-6, C265, p2.
(231) - Cfr. vu 25/2/88, p88. Si è fatto cenno della visita del SIGNORELLI a `Radio MANTAKAS'; ancora, non deve sfuggire che, in epoca posteriore alla strage, il GIOVAGNINI si adoperò per reperire e di fatto fornì un rifugio in San Benedetto del Tronto a Luigi CIAVARDINI (232); e che ha ammesso altresì la conoscenza del MANGIAMELI (233).


Come si vedrà nei paragrafi successivi, è dimostrato il collegamento del PICCIAFUOCO col gruppo FIORAVANTI-CAVALLINI-MANGIAMELI-VOLO. Ove si tenga ulteriormente conto dei rapporti FIORAVANTI-CIAVARDINI (234), FIORAVANTI-SIGNORELLI (235), MANGIAMELI-CIAVARDINI (236) e MANGIAMELI-SIGNORELLI (237), nonché dell'accertata comune internità del PICCIAFUOCO e del SIGNORELLI alla banda armata oggetto di giudizio, si finirà per constatare che il PICCIAFUOCO ed il GIOVAGNINI si collocano al centro della medesima trama di legami.


Dunque, non solo il GIOVAGNINI è stato un informatore di quell'Arma di Ancona rivelatasi poi in possesso delle citate

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(232) - Cfr. EA, V10/a-6, C265, p28 e vu 25/2/88, p87.
(233) - Cfr. EA, V10/a-6, C265, p12 e vu 25/2/88, p86.
(234) - Cfr. supra, sub 2.1.2.5.2) e 2.1.2.5.3).
(235) - Cfr. infra, sub 2.2.5.3).
(236) - Cfr. supra, sub 2.1.2.5.5).
(237) - Cfr. infra, sub 2.2.5.2), nota (104). notizie confidenziali relative al PICCIAFUOCO; non solo ammette d'essere stato interpellato dai Carabinieri circa la sua conoscenza dell'odierno prevenuto; non solo ammette di conoscerlo; ma, essendo suo compaesano, fa parte della medesima organizzazione (Terza Posizione) nella quale -secondo le notizie raccolte dall'Arma di Ancona- sarebbe entrato il PICCIAFUOCO, e si pone all'interno di una rete di collegamenti sovrapponibile a quella dell'odierno imputato: il che dipinge il GIOVAGNINI come persona perfettamente idonea ad essere depositaria delle surriferite notizie sul conto dell'imputato medesimo. Tali circostanze, nella selettività della loro combinata valenza, consentono di identificare appunto nel GIOVAGNINI la fonte da cui i Carabinieri attinsero le notizie in questione. Queste ultime, che sono anche oggettivamente riscontrate nella parte in cui attengono alla presenza del PICCIAFUOCO nei dintorni di Osimo (238), ricevono attestato di attendibilità, nella parte relativa all'ingresso in `Terza


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(238) - Il PICCIAFUOCO abbandonò l'auto del COPPARONI nel parcheggio dell'ospedale di Loreto: e Loreto dista da Osimo meno di 15 chilometri.


Posizione', da quegli stessi elementi -di cui si dirà in prosieguo- che riconnettono il PICCIAFUOCO al gruppo
FIORAVANTI-MANGIAMELI-VOLO: dunque, ad una cellula in cui figura un `leader' di Terza Posizione, per giunta in contatto col GIOVAGNINI.


Va detto, peraltro, conclusivamente, che l'elemento di prova preso esame nel presente paragrafo svolge, nell'economia del giudizio a carico del PICCIAFUOCO, una funzione sostanzialmente sussidiaria. E' autonomamente raggiunta, sulla base delle prove che si esamineranno nei prossimi paragrafi, la dimostrazione del legame dell'imputato con una realtà eversiva più marcatamente caratterizzata (il gruppo FIORAVANTI-MANGIAMELI, come si è anticipato): ed è tale diverso e più specifico elemento che dovrà essere utilizzato allorché si valuterà più da vicino la responsabilità del prevenuto per i delitti contestatigli. In questo quadro, la prova dell'ingresso in Terza Posizione vale, in definitiva, a far luce sull' `iter' attraverso il quale il PICCIAFUOCO, delinquente comune latitante da anni, finì per approdare nell'ambiente della banda armata oggetto di giudizio.


2.1.2.6.2.2) L'annotazione del nominativo PICCIAFUOCO da parte di Gilberto CAVALLINI


Il 12/9/1983 veniva catturato in Milano Gilberto CAVALLINI. Nell'occasione gli veniva sequestrata, tra le altre cose, un' agenda recante una lunga elencazione di detenuti di destra (239). In tale agenda figura anche il nominativo di Sergio PICCIAFUOCO (240). A proposito di tale annotazione, il CAVALLINI, il 26/10/1983, accettando in via eccezionale di rispondere sul punto -nel contesto di un interrogatorio ex art 348 bis C.P.P. nel quale aveva dichiarato di non voler rendere dichiarazioni in ordine alla strage- riferiva quantosegue (241):"Non conoscoassolutamenteilsuddetto PICCIAFUOCO, né ho idea del perché sia finito nell'elenco. Infatti l'elenco da me materialmente trascritto è stato redatto sulla base di fonti diverse anche giornalistiche. Può darsi che qualcuno mi abbia indicato il PICCIAFUOCO come uno dei detenuti appartenenti all'area della destra. Dico questo perché appunto l'elenco costituisce un quadro complessivo probabilmente incompleto dei detenuti di destra.

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(239) - RA, V9, C391, pp. 3-32.
(240) - cfr. p24 dell'atto citato alla nota che precede.
(241) - IA, V9/a-2, C41, pp. 2-3.


Poiché la S.V. mi rivela che la ragione dell'interesse verso il nominativo PICCIAFUOCO da parte degli inquirenti della strage di Bologna è costituita dal fatto che egli è rimasto ferito nell'esplosione della stazione, posso ipotizzare che di questa vicenda abbiano parlato i giornali e che attraverso essi il nominativo sia stato riversato nei miei elenchi." La risposta è -involontariamente- umoristica. Ci si dovrebbe immaginare il CAVALLINI, latitante da anni, punta di diamante del terrorismo neofascista, esponente di spicco dei N.A.R., intimamente legato alla Cellula Veneta del FACHINI, oltre che ai vertici dell'eversione romana (SIGNORELLI e CALORE), in contatto con Avanguardisti del calibro del BALLAN e del PAGLIAI, che, quando si tratta di fare un `censimento' dei detenuti della sua area, si affida ad incontrollate fonti giornalistiche. La cosa riesce tanto più inverosimile proprio in riferimento al PICCIAFUOCO: non si deve dimenticare che costui era presente alla stazione di Bologna, e che il CAVALLINI, pur nei limiti che si son visti, si è prestato a supportare l'alibi di due persone parimenti indicate da altre fonti come presenti, con funzione operativa, sul luogo dell'attentato. Ciò avrebbe -come minimo- imposto al CAVALLINI una seria verifica della fonte della notizia. Ed egli avrebbe avuto, in ipotesi, tutto il tempo per procedere a siffatta verifica: le prime notizie giornalistiche sul conto del PICCIAFUOCO risalgono ai primi mesi del 1981, mentre -secondo quanto ha chiarito Walter SORDI (242)- l'elencazione dovrebbe risalire alla fine dell'estate '82, dal momento che vi figura Luca POLI, arrestato appunto nell'estate dell'82, mentre non vi figura Fabrizio ZANI, arrestato nell'aprile del 1983.


D'altronde, con quale serietà d'intenti avesse operato l'annotatore emerge dal fatto che v'è una serie di nominativi -corrispondenti, evidentemente, a personaggi giudicati come `infami'- preceduti da una croce.


Neppure risulta che altri nominativi iscritti nell'elenco appartengano a persone non militanti nelle formazioni dell'ultradestra. Ciò in effetti sarebbe in contrasto con la natura stessa della rubrica, così come indicata dal CAVALLINI. E' stato in ogni caso scrupolo della Corte

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(242) - Al Giudice Istruttore il 14/10/83: cfr. EA, V10/a-5, p21.


sottoporre l'agenda a Walter SORDI; orbene, egli, nel riconoscere che vi sono nella rubrica nominativi a lui non noti, tra cui PICCIAFUOCO (che non conosceva neppure come VAILATI o PIERANTONI), ha peraltro precisato (243): "...praticamente tutti i nomi a me noti dell'elenco sono di destra...".


2.1.2.6.2.3) La patente intestata a VAILATI Eraclio


In data 22/5/1980, i Carabinieri di Merano sequestravano al PICCIAFUOCO la patente di guida di categoria `B' n. RM-1105310 apparentemente rilasciata a Roma il giorno 8/4/1971 a VAILATI Eraclio da Roma (244). Più precisamente, l'intestatario di tale documento risultava essere VAILATI Eraclio, nato a Roma il 7/9/1944, ivi residente in via Gregorio VII n. 133 (245).


Nel corso del procedimento per l'omicidio di Francesco MANGIAMELI, fu sequestrata ad Alberto VOLO, tra le altre
cose, una patente di guida intestata a VAILATI Adelfio, nato
a Roma il 18/1/1945 e residente in Palermo, in via della

Regione Siciliana n. 2204 (246).


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(243) - Cfr. vu 20/1/88, p248.
(244) - Cfr. RA, V9 bis, C383/A, pp. 133, 136 e 93 retro.
(245) - Cfr. RA, V9 bis, C383/A, p190.
(246) - Cfr. EA, V10/a-3, C134/1, pp. 1 e 14.


Tre dati balzano agli occhi nella loro sconcertante eloquenza: l'identità del cognome, la similarità dei nomi, entrambi di origine greca, e l'identità del luogo di nascita. La significatività di tali circostanze aumenta in misura esponenziale per effetto del loro reciproco combinarsi, ma è già in partenza assai elevata: il cognome VAILATI è estremamente raro, come è agevole constatare attraverso la consultazione delle guide telefoniche dei vari distretti; i due nomi di battesimo, legati appunto dall'origine greca e da una certa assonanza, sono pressoché inusitati; i comuni italiani sono oltre 8.000 (e, peraltro, né il VOLO ne il PICCIAFUOCO sono nati a Roma). Tanto basterebbe a rendere pressoché incredibile l'ipotesi della semplice coincidenza, anche se i possessori dei due documenti falsi non fossero altrimenti collegabili tra loro. Senonché, il PICCIAFUOCO ed il VOLO sono, rispettivamente, l'unica persona presente alla stazione di Bologna senza plausibile giustificazione in occasione della strage, e l'unica persona al mondo autoaccusatasi della strage stessa.


Afronte di tale constatazione, nessun dubbio ha più ragion d'essere. Non giova obiettare che il PICCIAFUOCO ha in qualche modo spiegato da dove abbia tratto le false generalità di VAILATI Eraclio. In proposito, occorre ricordare che VALLATI Eraclio è persona realmente esistente, identificata -e poi escussa (247)- proprio sulla base delle indicazioni fornite dal prevenuto. In effetti, sembra non potersi dubitare che il PICCIAFUOCO, nell'adottare le false generalità di cui al documento sequestratogli a Merano, si sia richiamato a quelle del VALLATI, peraltro modificando il cognome in VAILATI (248). Ma ciò, lungi dal fornire elementi utili alla difesa dell'imputato, nel senso di escludere il collegamento col falso documento sequestrato al VOLO, può stare soltanto a significare che la straordinaria somiglianza dei due documenti discende dall'essere quello del VOLO paradigmato su quello del PICCIAFUOCO.


In effetti, chi non sa spiegare perché abbia adottato certe generalità è proprio il VOLO. Costui, in un primo tempo ebbe




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(247) - Cfr. EA, V10/a-6, C303, e vu 18/12/87, p24.
(248) - Invitato a chiarire le ragioni di tale variante, il PICCIAFUOCO (IA, V9/a-2, C40, p64) ebbe a rispondere: "In un primo tempo volevo usare il cognome VALLATI che è quello di un commerciante effettivamente esistente a Matelica. Poi ho pensato a VAILATI."


a dichiarare (249): "...Circa la patente che era nel mio bagaglio a Cannara chiarisco che assieme alla carta d'identità intestata al SIINO, l'avevo portata con me in quanto Francesco mi aveva fatto presente che potevano essergli utili documenti da falsificare per dei suoi amici innocenti in difficoltà con la giustizia. Non utilizzò alcuno dei due documenti trovandoli inadatti. La patente la falsificai nel 1976 usando delle generalità che in qualche modo corrispondessero al mio cognome. Mi limitai quindi a ritoccare il mio nome e cognome fino a portarli alle generalità nuovamente assunte. Ritengo di non avere, anzi escludo di aver usato mezzi chimici perché ricalcai quanto era già sul documento. Lasciai inalterata la data di nascita; almeno così ricordo. Il cognome doveva essere VELINI, VELANI o qualcosa di simile. Prendo visione del documento. Il cognome VAILATI non mi è nuovo; mi sembra trattarsi di uno scrittore contemporaneo, comunque non ricordo perché lo scelsi..."

Successivamente, al Giudice Istruttore del presente procedimento (250): "Circa la patente falsificata con il

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(249) - EA, V10/a-3, C134/2, pp. 56-57.
(250) - EA, V10/a-3, C134, p18.


nome di VAILATI non posso che ribadire ancora una volta quanto ho già dichiarato: in effetti usai il cognome VAILATI sia per un ricordo letterario, sia perché era un giocatore del Palermo all'epoca della falsificazione. Inoltre il cognome era particolarmente assonante con il mio e VOLO era facilmente correggibile in VAILATI. Anche Alberto si correggeva facilmente con Adelfio. "


Queste ultime dichiarazioni sono state sostanzialmente ribadite in giudizio (251); in particolare, è stato confermato che la scelta del cognome sarebbe dipesa da una duplice associazione mnemonica: letteraria e calcistica al tempo stesso.


Il VOLO mente su tutta la linea. E' arrivato ad affermare d'aver personalmente contraffatto le originarie generalità, con una tecnica che sarebbe eufemistico definire rudimentale: avrebbe prima inumidito e poi lasciato asciugare la patente, sovrapponendo ai dati originari, non completamente cancellati, quelli attualmente visibili. Una simile operazione non può esser stata realizzata se non con

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(251) - Cfr. vu 15/1/88, pp. 1 ss.


mezzi chimici, da chi aveva specifica competenza.


Che Alberto sia facilmente falsificabile in Adelfio è già affermazione ardita; che VOLO sia agevolmente correggibile in VAILATI lo è assai di più. A tutto concedere, poi, la modificabilità delle generalità originarie in quelle sovraimpresse potrebbe spiegare come l'operazione sia stata possibile, ma non darebbe ancora conto delle ragioni della scelta (di VAILATI rispetto, ad esempio, agli altri cognomi indicati dallo stesso VOLO; e di Adelfio rispetto a nomi più diffusi e di diversa origine). Resterebbe poi sempre da chiarire la scelta di Roma come falso Comune di nascita.


Si deve ancora rilevare che, in un primo tempo, il VOLO non ricordava neppure quale cognome figurasse sul documento; poi, presane visione, nell'affermare che non ricordava le ragioni della scelta, collegò il cognome VAILATI, ma solo in via d'ipotesi, a quello di uno scrittore contemporaneo. Risentito dopo tre anni, il VOLO si è trovato a dover riprendere, questa volta positivamente affermandola, la versione della reminiscenza letteraria, ma, avendo nel frattempo avuto la possibilità di verificarne l'inconsistenza (252), le è venuto affiancando l'ulteriore spiegazione, che fa prova soltanto del suo solerte, ma infruttuoso tentativo, di dar conto dei motivi della scelta: in effetti, la Corte ha accertato (253) che un giocatore col cognome di VAILATI approdò alla squadra del Palermo, ma soltanto nella stagione calcistica 1980-81, cioè in epoca posteriore a quella cui il VOLO fa risalire la falsificazione.


E' lecito formulare l'ipotesi -già suggerita dall'Istruttore- che le generalità VAILATI Adelfio provengano da Francesco MANGIAMELI, dal momento che lo stesso VOLO ha attribuito all'amico la richiesta di documenti falsi e che un indirizzo assai simile a quello presente sulla falsa patente del VOLO era annotato sull'agenda del MANGIAMELI (254).


E' certo, comunque, che il VOLO è costretto a mentire in


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(252) - Non consta che esista alcuno scrittore contemporaneo a nome VAILATI. Il Dizionario Bompiani degli Autori (Milano, 1987), registra un unico VAILATI: l'ingegnere e matematico Giovanni VAILATI, nato a Crema nel 1863 e morto nel 1909.
(253) - Cfr. AAD, V4, C34.
(254) - Cfr. la nota del Giudice Istruttore di Roma in data 29/1/1981, in EA, V10/a-3, C134/1, p1. Nell'agenda del `leader' siciliano di Terza Posizione era annotato, accanto alla sigla RL, l'indirizzo "Viale R. Siciliana 2551" (cfr. RA, V3, C82/1, p66).


maniera spudorata. Ma anche il PICCIAFUOCO non ha fatto chiarezza sulla provenienza della patente sequestratagli a Merano. Dopo l'iniziale reticenza, egli aveva indicato (255) il fornitore del documento in tale Antonio SMEDILE, titolare di un negozio di cine-foto-ottica in Roma. Lo SMEDILE, sentito (256) dal Giudice Istruttore, negò fermamente la circostanza e, tra l'altro, dichiarò: "...Voglio dire la verità poiché mi rendo conto che la spiegazione dei miei rapporti con il PICCIAFUOCO non è convincente. In effetti sapevo che il PICCIAFUOCO era latitante perché lo stesso mi aveva detto che era stato condannato in contumacia per cose di piccolo conto (furti). Per tali ragioni avendogli prestato la macchina" (257) "non potevo dire che glielaavevo data, ma vedendo che non me la restituiva mi risolsi a denunciare il furto. Effettivamente il PICCIAFUOCO mi parlò della necessità di avere dei documenti falsi, ma io dissi che si trattava di un campo nel quale non potevo aiutarlo anche perché non avrei saputo a chi rivolgermi. E' vero che


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(255) - Cfr. IA, V9/a-2, C40, p39 recto e verso.
(256) - Cfr. EA, V10/a-6, C297, pp. 13-14. In giudizio, lo SMEDILE non è comparso, essendo irreperibile (vu 25/2/88, pp. 12 e 72). (257) - Si tratta dell'auto a bordo della quale viaggiava il PICCIAFUOCO quando fu fermato dai Carabinieri di Merano.


il PICCIAFUOCO è stato ospitato a casa mia ma non è vero che egli abbia da me ricevuto i documenti falsi. Ribadisco che sulla circostanza del documento dico la verità. A questo punto io ho detto veramente tutto dei miei rapporti con il PICCIAFUOCO e sono pronto anche a dichiarargli che egli mi procurava del materiale fotografico ed è per questo che io intrettenevo con lui dei rapporti. Se sono stato reticente prima è perché non volevo ammettere dei fatti che implicavano delle responsabilità di ordine penale. A questo punto come vedete vi ho detto tutto e se dico che i documenti falsi trovati a PICCIAFUOCO non provengono da me, come qualunque altro tipo di documento devo essere creduto perché non vedo quale ragione avrei di non ammettere anche questo particolare..."


Nel successivo confronto (258), fermo restando lo SMEDILE sulle sue posizioni, l'imputato negava persino di conoscerlo; e si spingeva ad escludere di aver mai reso le dichiarazioni consacrate nel verbale nel quale aveva indicato lo SMEDILE come il fornitore del documento.

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(258) - EA, V10/a-6, C297, p17 recto e verso.


Nell'interrogatorio (259) del 22/12/1985, il prevenuto mutava versione, e ricorreva allo stereotipo giudiziario di chiamare in causa persone decedute. Affermava che il documento `VAILATI' gli era stato fornito dopo la sua evasione del 1970 dal Carcere di Ancona da parte di tale Mario LORIA (260). Il nome del LORIA gli sarebbe stato fatto in carcere da tale LUDOVIGHETTI (261). Aggiungeva l'imputato che credeva di poter collocare i fatti nel settembre del 1970. Quest'ultima circostanza è certamente falsa, dal momento che la data di rilascio impressa sulla patente `VAILATI' era quella dell'8/4/1971 (262). Inoltre, il PICCIAFUOCO ed il LORIA -se fosse vero quanto riferito dal prevenuto- si dovevano conoscere bene, per essere stati detenuti insieme nel Carcere di Ancona: tant'è che il LORIA -a detta del PICCIAFUOCO- non avrebbe preteso compensi per la prestazione, ma soltanto il rimborso delle spese. Così stando le cose, non si comprenderebbe il ruolo del


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(259) - Cfr. IA, V9/a-2, C40, pp. 62 ss. In giudizio, l'imputato ha rettificato il tiro, spostando in avanti la consegna del documento: appunto al 1971.
(260) - Ucciso con un colpo di pistola alla testa, e trovato cadavere il 18/9/83 (cfr. RA, V9 bis, C383/A, p229).
(261) - Ucciso con un colpo di pistola al cuore, e trovato cadavere il 19/5/74 (cfr. RA, V9 bis, C383/A, p227). (262) - Cfr. RA, V9 bis, C383/A, p93 retro.


LUDOVIGHETTI. Ma il punto è che il PICCIAFUOCO ha atteso la fine dell'istruttoria per chiamare in causa due persone decedute, con ciò adottando una ben collaudata tecnica che rende vana ogni possibilità di verifica. In giudizio, ha così giustificato la tardività dell'indicazione (263): "Non avevo mai fatto prima i loro due nomi (LORIA e LUDOVIGHETTI) perché seppi che erano morti. Finché mi è stato possibile, non ho voluto dire i loro due nomi perché erano morti, pensai che poteva essere creduto un espediente". La debolezza di tale difesa è macroscopica; avendo a disposizione una giustificazione che egli temeva potesse non esser creduta, il PICCIAFUOCO si sarebbe determinato ad utilizzarla solo `in extremis': quasi che, in simili frangenti, fosse preferibile -com'egli ha fatto- dapprima rifiutare di fornire spiegazioni, e quindi fornirne di false e accusare un innocente, per poi scagionarlo, puerilmente sostenendo di non aver mai reso talune dichiarazioni consacrate in un atto pubblico.


In sostanza, il PICCIAFUOCO, pur rendendosi conto della

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(263) - Cfr. vu 8/4/87, p14.


gravità della sua posizione, si è rifiutato, prima tacendo e poi fornendo indicazioni false e di comodo, di palesare la reale provenienza del documento. Deve la Corte condividere il giudizio dell'Istruttore, secondo cui tale ostinazione non può essere spiegata con la mera omertà: lo escludono, infatti, il tempo trascorso (con ciò che esso comporta in termini di prescrizione) e l'elevatezza della posta in gioco (la responsabilità per il delitto di strage). La conclusione è dunque a senso unico: l'imputato non può rivelare la provenienza del documento, perché ciò consentirebbe di porlo in collegamento certo con l'organizzazione od il gruppo terroristico-eversivo nel cui ambito maturò l'ideazione della strage.


2.1.2.6.2.4) Il passaporto intestato a PIERANTONI Enrico


Il PICCIAFUOCO è stato in possesso di un ulteriore documento

in grado di ricollegarlo al gruppo FIORAVANTI. Si è dato conto sub 1.12.1) del contenuto del rapporto della DIGOS di Bologna in data 20/8/1987.


Occorre in proposito sgomberare subito il campo da un equivoco. Il tenore del rapporto testé citato può dar luogo ad una lettura travisante. Si deve escludere che il passaporto sequestrato al prevenuto al valico di Tarvisio sia il documento a suo tempo rilasciato a Riccardo BRUGIA. E' vero invece che il falso passaporto sequestrato a Tarvisio recava lo stesso numero (E 213730) di quello regolarmente rilasciato al BRUGIA dalla Questura di Roma. La circostanza è ormai definitivamente chiarita dal rapporto DIGOS 30/7/1987 (264).


Anche così ridimensionata, la circostanza conserva un'evidentissima valenza indiziaria a carico dell'imputato. Si è posto l'accento, da taluno, sul fatto che il BRUGIA avesse riferito essergli stato sequestrato il passaporto in originale, e non la fotocopia dello stesso. Ai fini che qui interessano, la circostanza apparirebbe priva di rilievo, atteso che il sequestro risale al 5 aprile del 1982, e quindi il documento sarebbe comunque sfuggito alla disponibilità del BRUGIA soltanto in epoca posteriore rispetto a quella in cui il PICCIAFUOCO risulta aver utilizzato un passaporto recante il medesimo numero di

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(264) - Cfr. AAD, V8, p5.


emissione. E' comunque stata cura della Corte, in accoglimento di un'istanza difensiva, acquisire agli atti la fotocopia di passaporto sequestrata al BRUGIA, che giaceva presso l'Ufficio Corpi di Reato del Tribunale di Roma (265).


Va qui segnalato un passo dell'interrogatorio reso dal BRUGIA al Procuratore della Repubblica in altro procedimento penale, acquisito in copia agli atti del giudizio (266): "...Sono stato imputato di partecipazione alla banda armata NAR e di aver favorito il coimputato ALIBRANDI Alessandro che risultò essere espatriato in Libano con un passaporto falsificato recante i dati anagrafici miei e se non erro il numero del mio passaporto. Per tali reati sono stato condannato a pena di anni 7 e mesi 8 di reclusione. In tale pena sono comprese anche le condanne per due rapine, commesse in Roma...Ignoro come l'ALIBRANDI sia venuto in possesso dei miei dati anagrafici e del numero del mio passaporto. Non so come mai anzi preciso volevo dire che ALIBRANDI era un conoscente ma non un amico. Non ricordo chi e quando me lo hanno presentato..."



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(265) - Trovasi in AAD, V9, C2.
(266) - Cfr. AAD, V8, pp. 239 ss.


In altro passo dell'interrogatorio, si legge: "...Prendo atto che il teste ANSALDI Mauro (deposizione 17/11/87 a
questo P.M.) afferma che io con NISTRI e PETRONE detenevo le attrezzature per falsificare documenti tra cui una IBM a testina rotante, moduli di patenti, carte di identità, libretti di circolazione, bolli per rinnovo di patenti e timbri vari, materiale sequestrato dai CC. di Torino nel 1982. Prendo atto altresì ...che io, unitamente a PETRONE e NISTRI, vengo indicato come persona che `falsificava documenti per conto della organizzazione nella quale siriconosceva e quindi TP Nar'. Tutto ciò non corrisponde alla realtà..."


Davanti alla Corte (267), il BRUGIA ha negato di conoscere il PICCIAFUOCO, anche come VAILATI o PIERANTONI; ha negato altresì di conoscere Valerio FIORAVANTI e d'aver falsificato documenti. Ha viceversa dovuto ammettere d'aver conosciuto Cristiano FIORAVANTI, con il quale avrebbe coabitato soltanto per pochi giorni in una casa di Pescasseroli; ed ha aggiunto essergli stato poi contestato che in tale casa

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(267) - Cfr. vu 26/1/88, pp. 24-28.


avevano dimorato -in epoca che egli indica come posteriore alla sua partenza- Francesca MAMBRO e Giorgio VALE.


Ancora una volta una prova documentale lega Sergio PICCIAFUOCO a formazioni dell'eversione di destra; e lo lega più precisamente al gruppo FIORAVANTI. Il numero ancora `pulito' del passaporto regolarmente rilasciato ad un terrorista viene messo a disposizione di altre persone, nel cui novero figurano anche Alessandro ALIBRANDI e Sergio PICCIAFUOCO. L'ALIBRANDI è a sua volta un terrorista, collegato, come il BRUGIA, al gruppo FIORAVANTI. E ancora una volta il PICCIAFUOCO non sa come difendersi. Si è dato conto, sub 1.12.4.4), delle risposte che, in giudizio, egli ha fornito di fronte alla contestazione del rapporto DIGOS in data 20/8/1987. In sostanza, la linea difensiva adottata sembra attribuire ad una coincidenza non voluta dall'imputato l'identità del numero `di serie' fra il passaporto falso che egli avrebbe ricevuto sin dalla metà degli anni '70 e quello regolarmente ottenuto dal BRUGIA nel 1978. Prima di rispondere sul punto alla Corte, il PICCIAFUOCO era già stato interrogato dal PUBBLICO MINISTERO nell'ambito del separato procedimento di cui si è fatto cenno sub 1.12.4.4). Nell'occasione, a proposito della provenienza di tutti i documenti intestati ad Enrico PIERANTONI sequestratigli al valico di Tarvisio (268), si era così espresso (269): "...Insisto nel dire che i documenti intestati a PIERANTONI Enrico mi furono consegnati completamente in bianco e senza timbri, ad eccezione del timbro a secco anzi di parte del timbro che finisce sul modulo, mentre la parte residua del timbro che va sulla foto, mancava. Tali documenti mi vennero consegnati tra il 1971 e '74 dal LORIA Mario..." Ancora una menzogna. La carta d'identità n. 44913683 sequestrata all'imputato a Tarvisio, apparentemente rilasciata dal Comune di Roma il 10/10/1979, è in realtà provento del furto di uno `stock' di documenti in bianco (dal n. 44913683 al n. 44913686) perpetrato nel Comune di Roma il 9/2/1981 (270): falso quindi che il PICCIAFUOCO possa averla ricevuta dal LORIA fra il '71 ed il '74.



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(268) - Alla frontiera gli eran state sequestrate anche una patente di guida ed una carta d'identità con la medesima intestazione.
(269) -Cfr. AAD, V8, pp. 228-229.
(270) - Cfr. AAD, V8, pp. 2 e 14-15.


Di nuovo l'imputato mente sulla provenienza di documenti da lui utilizzati e si trova anche qui a doversi arroccare su una posizione insostenibile; ma non ha alternativa, perché una spiegazione veritiera dei fatti costituirebbe la confessione del suo collegamento con quegli ambienti nei quali la strage venne organizzata ed eseguita.


2.1.2.6.3) La questione del tatuaggio


Il Giudice Istruttore ha ritenuto (271) che l'imputato abbia sovrapposto il tatuaggio attualmente visibile sul suo braccio destro ad altro tatuaggio precedentemente impressovi, che avrebbe ricollegato il PICCIAFUOCO a formazioni eversive di destra: ed ha attribuito alla circostanza rilievo accusatorio a carico del prevenuto.


Reputa la Corte di non dover fare altrettanto. Le acquisizioni processuali, e quelle dibattimentali in particolare, certamente non consentono di condividere tale assunto. E'necessario ricordare quanto segue. Con telegramma del Questore di Sondrio in data 6/2/1981 (272), diretto alle varie autorità di Polizia, si indicava, fra l'altro, la

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(271) - SO, p429.
(272) - RA, V9 bis, C383, p76.


presenza sul braccio destro del PICCIAFUOCO di un tatuaggio raffigurante la rosa dei venti e due lettere "C" ad essa sottostanti. Il 1° aprile 1981, l'imputato veniva arrestato al valico di Tarvisio, perché "identificato, senza alcun dubbio per PICCIAFUOCO Sergio da un tatuaggio a forma di rosa dei venti con sotto due lettere: C.C. che ha sul braccio destro e da una cicatrice sul naso" (273). Il 15 maggio dello stesso anno, agli ufficiali di Polizia Giudiziaria che lo sentivano a titolo di sommarie informazioni testimoniali, l'odierno imputato faceva le seguenti dichiarazioni (274): "...Il tatuaggio che porto sul braccio destro e che vi mostro situato all'altezza della spalla è formato da una mezza luna con sottostante" (sic) "cinque punti inframezzati da due consonante" (sic) "C e C, il tutto risale all'età di 16 anni e ricordo di una passione giovanile di cui indico solo il nome Claudia..."


Nel verbale di esame testimoniale reso dal PICCIAFUOCO al Giudice Istruttore il 6 ottobre 1983, si legge (275):



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(273) - RA, V9bis, C383/A, p195. Trattasi del rapporto già citato sub 1.2.22), lettera e), nota (92). (274) - IA, V9/a-2, C40, p5.
(275) - IA, V9/a-2, C40, p14.


"...Effettivamente avevo un tatuaggio con cinque punte e con


la lettera CC sul braccio destro. Esaminato il braccio il G.I. nota che il tatuaggio è stato interamente ricoperto da

un nuovo tatuaggio contenente un'ancora. Richiesto di dichiarare perché abbia ricoperto il precedente tatuaggio, il teste dichiara: quello di prima non era la `ROSA DEI VENTI' ma i cinque punti della malavita. Le lettere CC. sono le iniziali della mia ragazza CECCHINI Claudia, ma si tratta di una cosa che risale a molti anni fa . Ho voluto ricoprire il tatuaggio perché non volevo più portare i cinque punti della malavita..."


Il 15 novembre 1985, la teste Carla CURATO riferiva (276) al Giudice Istruttore: "Sono stata la ragazza di PICCIAFUOCO Sergio -da me conosciuto come VAILATI Eraclio- nel periodo di tempo dal giugno 1978 all'Aprile 1979...Quando il PICCIAFUOCO cominciò a frequentarmi aveva già una croce celtica con le iniziali C.C...."


Della versione resa in dibattimento dal prevenuto si è dato conto sub 1.11.4.3).




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(276) - EA, V10/a-6, C301, p1, recto e verso.


Il 18/12/1987 la Corte escuteva il teste Lorenzo MONTORIO, indicato dall'imputato come colui che, molti anni addietro, in riformatorio, gli aveva tatuato i `cinque punti della malavita', le iniziali C.C. ed il `baffo'. Il MONTORIO riconosceva d'aver impresso un tatuaggio all'odierno imputato e, invitato a descriverlo, così si esprimeva (277): "non posso essere molto sicuro...mi pare che si trattasse di un'ancoretta o qualcosa del genere, di un'ancora". Il teste eseguiva anche un disegno, nel quale è agevolmente riconoscibile appunto un'ancora (278). Prendeva poi visione del tatuaggio attualmente impresso sul braccio del PICCIAFUOCO, nell'occasione presente in aula. L'imputato affermava non essere quello attualmente visibile (raffigurante un'ancora) il tatuaggio a suo tempo impressogli dal MONTORIO e descriveva la figura precedentemente tatuata sul suo braccio. Il teste, nell'escludere che fosse opera sua il tatuaggio mostratogli, affermava a quel punto di averne effettivamente impresso uno al PICCIAFUOCO, ma di non poter indicare con sicurezza



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(277) - Vu 18/12/87, p12.
(278) - Vu 18/12/87, p38.


che cosa esso raffigurasse.


Nel corso della medesima udienza, tanto la CURATO (279) quanto Cristina PARACCHINI (280) escludevano, dopo averne presa visione, che il tatuaggio attualmente visibile sul braccio destro del prevenuto fosse quello da loro conosciuto in precedenza. Dalle parole della prima emergeva che ella aveva sostanzialmente memoria soltanto della presenza delle lettere "CC", in quanto corrispondenti alle sue iniziali, e non era in grado di ricordare se, nel tatuaggio, fossero presenti altri segni. La donna affermava altresì che ella non sapeva cosa fosse una croce celtica prima di averla sentita nominare dal Giudice (evidentemente il Giudice Istruttore) e che, anche in istruttoria, aveva sostenuto di non ricordare altro che la presenza delle due "C".


La versione della PARACCHINI, direttamente dal verbale d'udienza: "La teste: `non ricordo su quale braccio avesse il tatuaggio. So che erano dei puntini, se dopo erano stelle


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(279) - Cfr. vu 18/12/87, pp. 19-21.
(280) - Cfr. vu 18/12/87, pp. 22-23. La PARACCHINI aveva avuto una relazione col PICCIAFUOCO fra il '74 ed il '77. Il 6/2/81 (RA, V9 bis, C383, p83) aveva dichiarato alla Polizia Giudiziaria, a proposito dell'odierno imputato: "...ho notato su una delle sue braccia un tatuaggio consistente in tre o quattro stelle a tre o quattro punte di piccola dimensione..."


o...erano dei puntini interspaziati l'uno dall'altro.' Il Presidente: `solo puntini?'. La teste: `puntini, a distanza direi che possono essere dei puntini, non lo so, se erano stelle o meno.' Il Presidente: `tre o quattro stelle, ma di piccole dimensioni, quindi dice che non sa se erano stelle o puntini.' La teste interviene: `erano punti neri, dell'inchiostro penso.' Il Presidente:`ricorda che ci fossero delle C?' La teste: no, questo no.' Il Presidente: `ricorda che ci fosse una croce in quel tatuaggio?' La teste: `solo puntini, ricordo.' Il Presidente: `esclude che ci fosse qualsiasi altra cosa?' La teste: `assolutamente sì'..."


Delle risultanze della perizia d'ufficio disposta dalla Corte e depositata il 19/2/1988 si è dato conto sub 1.12.4.5).


Il 22 febbraio 1988 la Corte provvedeva ad escutere il personale della Polizia di frontiera che aveva a suo tempo provveduto ad arrestare il PICCIAFUOCO. Dal verbale d'udienza:


deposizione Maresciallo Arrigo NERI (281):




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(281) - Vu 22/2/88, pp. 58-59.


"...Il teste: `per quello che mi ricordo assomigliava senz'altro a una rosa dei venti, un cerchio e due lettere CC con un puntino in mezzo. Non era molto chiaro ma a noi è sembrato così'.


Il Presidente: `per rosa dei venti lei cosa intende?' Il teste: `come un cerchio con delle punte, una specie di bussola anche, con tante punte.'...Il Presidente: `lei parlò di rosa dei venti perché nella segnalazione si parlava di rosa dei venti o perché lei la definì così?' Il teste: `no, perché nel telegramma si parlava di rosa dei venti. Poi siamo andati anche a vedere come era fatta la rosa dei venti per essere certi di che si trattasse e per quanto mi ricordo assomigliava alla rosa dei venti.'...Il Presidente:`lei ricorda che ci fosse una circoscrizione intorno ?' Il teste: `non molto netta precisa, ma per quanto ricordo era circolare con dei punti o delle punte'. Il Presidente: `una cosa è dire che la forma sia circolare , un'altra cosa è dire che era circoscritta, cioè che c'era una linea esterna che racchiudeva tutto il disegno.' Il teste:`di preciso non potrei dirlo.'..."


Deposizione Brigadiere Sergio FRIGO (282):


"...Il Presidente: `è in grado di ricordare come era fatto questo tatuaggio che aveva sul braccio?' Il teste: `era il segno caratteristico della rosa dei venti, un cerchio con dentro una stella a più punte , adesso non saprei ricordare quante.' Il Presidente: `lei ricorda il cerchio?' Il teste: `sì, il cerchio grosso modo me lo ricordo'. Il Presidente: `e ricorda le due C.' Il teste: `le due C, quelle sì, le ricordo benissimo.'...Il Presidente: `perché la chiamò rosa dei venti, lei conosceva già il disegno che viene denominato...?' Il teste: `no, siccome avevamo...cioè non lo conoscevo sì, ma siccome avevamo la segnalazione della Questura di Sondrio che diceva che questo PICCIAFUOCO aveva il tatuaggio sul braccio destro, sono andato a documentarmi per vedere come era fatta, proprio per essere sicuri di quello che era, da fare.'..."


Deposizione Appuntato Domenico TOGNONI (283):


"...Il teste: `era come una bussola, una rosa dei venti con delle lancette e aveva sotto due lettere: CC.' Il

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(282) - Vu 22/2/88, p61.
(283) -Vu 22/2/88, p66.


Presidente: `ricorda quante erano le punte?' Il teste: `le punte erano quattro, più qualcuna piccola che si vedeva.'..."


I tre testimoni non avevano del tatuaggio un ricordo sufficientemente nitido, da metterli in grado di riprodurlo graficamente. Il solo TOGNONI ha eseguito un disegno (284), che tuttavia rappresenta ciò che egli intende per rosa dei venti, e non il suo ricordo del tatuaggio (285).


Il quadro complessivo formato dalle acquisizioni processuali passate in rassegna è piuttosto confuso, ma non del tutto indecifrabile. Si può ragionevolmente affermare che il sul braccio dell'imputato, sotto quello attualmente visibile, non sia mai stato impresso un tatuaggio a forma di croce celtica o di rosa dei venti. Nel verbale del 15 maggio 1981 il tatuaggio è descritto dall'imputato sotto gli occhi di due ufficiali di polizia giudiziaria. E la descrizione che se ne fa (corrispondente al disegno che l'imputato sostiene di aver avuto tatuato sin da ragazzo) è tale da escludere che la figura allora visibile potesse * * ** *
(284) - Vu 22/2/88, p69
(285) - Vu 22/2/88, p67, righi 42-45. esser stata sovrapposta, occultandole, ad una croce celtica o ad una rosa dei venti.


Il verbale trae conforto dalla relazione di perizia in atti. Infatti, sembra da escludere che precedenti tatuaggi siano stati cancellati o abrasi; le vestigia ancora visibili del precedente tatuaggio sono compatibili con la descrizione fornitane dall'imputato; non sono stati rilevati segni che invece lo possano assimilare ad una croce celtica; e, per di più, la figura attualmente visibile sul braccio del prevenuto ètale per cui essa sarebbe idoneaad inglobare soltanto una croce celtica minuscola (che potrebbe, infatti, essere occultata solamente in due settori dell'ancora non eccedenti i due centimetri di lato). (286)


Pervenuti a questo risultato, resta aperta la diversa questione di ciò che, di volta in volta, nel corso degli anni, poteva apparire agli occhi di chi vedeva il braccio dell'imputato. Pone il problema proprio il complessivo stato di confusione del quadro delle acquisizioni probatorie: mentre è possibile che la figura descritta il 15 maggio 1981

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(286) - Cfr. relazione di perizia, p12.


si sia formata per effetto di più operazioni di tatuaggio eseguite in tempi diversi, è ipotizzabile anche che la figura tatuata venisse dal PICCIAFUOCO modificata con mezzi diversi dal tatuaggio, con esso in qualche modo confondibili, ma, a differenza di esso, facilmente rimuovibili (si può pensare, ad esempio, a disegni eseguiti con la china). La testimonianza MONTORIO non è valsa in alcun modo a far chiarezza sull'assetto originario del tatuaggio. Peraltro, non può sfuggire il fatto che, mentre la PARACCHINI ha escluso la presenza di segni diversi dai puntini, la CURATO ha affermato di ricordare le lettere "CC".


Poiché la relazione del prevenuto con la PARACCHINI precede quella con la CURATO, si deve concludere che le lettere "CC" furono tatuate in un periodo intermedio. Le due donne non hanno memoria della mezza luna di cui al verbale 15 maggio 1981. Poiché di tale mezza luna o `baffo' non è fatta menzione neppure nel rapporto della Polizia di confine di Tarvisio, é ragionevole ipotizzare che si tratti di un'aggiunta risalente al periodo 1° aprile 15-maggio 1981.


E' dunque assai probabile che, negli ultimi anni di latitanza e fino al momento dell'arresto, il prevenuto avesse tatuati sul braccio destro -sovrastanti alle due "CC"- alcuni puntini disposti a croce (287) o lungo un'ideale circonferenza (288). Tenuto conto della sua internità -ampiamente dimostrata sopra- rispetto a formazioni della destra eversiva, è possibile che egli usasse, con altri mezzi, unendo i punti e tracciando linee, conferire provvisoriamante alla figura tatuata una conformazione diversa, che la avvicinasse a simboli utilizzati da esponenti delle formazioni di destra. Ciò potrebbe spiegare le dichiarazioni rese dalla CURATO al Giudice Istruttore e le testimonianze -che posson dirsi corali- del personale della Polizia di frontiera. Si tratta, tuttavia di un' ipotesi indimostrata ed indimostrabile. Ve n'è una alternativa, che non è -ad avviso della Corte- meno probabile. Escludendo che il PICCIAFUOCO usasse modificare il tatuaggio, è dato comunque congetturare che, in base alle descrizioni avute dalla PARACCHINI e dalla CURATO (289),

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(287) - Cfr. il disegno -eseguito dal MONTORIO- in vu 18/12/87, p39. (288)-Cfr. il disegno eseguito dalla PARACCHINI, in vu 18/12/87, p40. (289) - Dalle quali appunto erano state attinte le indicazioni sul tatuaggio: cfr. AAD, V4, C37.


personale della Questura di Sondrio, credendo di

interpretare il significato del tatuaggio -forse anche sotto


la suggestione della circostanza che il PICCIAFUOCO appariva in qualche modo legato alle indagini sulla strage di Bologna- l'abbia definito come raffigurante una rosa dei venti. Nell'ottica di questa ricostruzione, da parte della Polizia di frontiera di Tarvisio potrebbe esservi stato un burocratico allineamento all'indicazione contenuta su un telegramma che recava l'autorevole sottoscrizione del Questore: in sostanza, una volta riscontrata l'effettiva presenza di un tatuaggio, lo si sarebbe ritenuto -dopo la frettolosa consultazione di qualche testo su cui era raffiguratala rosa dei venti- in qualche modo sussumibile, con molta approssimazione, sotto la definizione datane nel telegramma. Tale supino adeguamento avrebbe potuto esser favorito dal fatto che il tatuaggio non era l'unico elemento di identificazione: nel rapporto si cita anche una cicatrice sul naso; e, in ogni caso, il bollettino delle ricerche, recava l'immagine dell'imputato.


Seguendo fino in fondo questa congettura, si può ritenere che la CURATO, persona semplice e di modesti mezzi espressivi, in preda all'emozione, abbia involontariamente indotto in equivoco il Giudice Istruttore, lasciando intendere d'aver visto, a suo tempo, ciò di cui ella, sino al momento in cui le fu posta una certa domanda, ignorava persino l'esistenza. La disamina dei fatti è valsa, da un lato, a spiegare perché la Corte non utilizza in senso accusatorio le acquisizioni processuali relative alle figure -completamente o parzialmente tatuate- che sono state presenti sul braccio del PICCIAFUOCO, prima che vi fosse impresso il tatuaggio attualmente visibile;dall'altro, ad individuarei possibili sviluppi storici, tra loro alternativi, attraverso i quali si è potuti approdare a determinate risultanze. Questo secondo aspetto ha dovuto essere approfondito anche perché si è sostenuto che in danno del PICCIAFUOCO si sia tentato di realizzare una frode processuale (290): tesi che meritava la più attenta considerazione.


Orbene, reputa la Corte che le due ipotesi ricostruttive

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(290) - Cfr. brm n.3 del 9/6/88, giri 230 ss.


sopra formulate esauriscano la gamma di quelle sostenibili sulla scorta degli atti. Non è viceversa sostenibile che si sia teso a criminalizzare il PICCIAFUOCO. Anche a prescindere dai motivi per i quali dovrebbe essere stata posta in atto una congiura in danno del PICCIAFUOCO, bisognerebbe ipotizzare legati dal patto scellerato il Questore di Sondrio, il personale della Polizia di confine di Tarvisio e, a ben vedere, un'indefinita moltitudine di funzionari edagenti di Polizia, dal momento che nulla garantiva il passaggio del PICCIAFUOCO attraverso il valico di Tarvisio o, più in generale, il suo passaggio attraverso un valico di frontiera. Ma -e questo sembra in sé risolutivo- non si riuscirebbe a capire il senso di una simile macchinazione: perché la notizia, `dolosamente' diffusa, della presenza della rosa dei venti sul braccio del PICCIAFUOCO, e la successiva `falsa' attestazione di riconoscimento del tatuaggio sarebbero state destinate a trovare in qualsiasi momento clamorosa ed irrefutabile smentita da parte dell'imputato, il quale, come fece il 15 maggio del 1981, avrebbe poi potuto continuare a mostrare, scoprendo il braccio destro, la prova vivente della frode in suo danno. Dipese soltanto dal prevenuto, che fece sovrapporre al precedente l'attuale tatuaggio, la scomparsa di tale prova vivente. Ad ogni modo, prima della sovrapposizione, la figura visibile sul braccio del PICCIAFUOCO veniva descritta nel verbale 15 maggio 1981 e così consegnata alla memoria del processo: processo nel cui dibattimento il verbale in questione, nella parte relativa al tatuaggio,veniva letto all'udienza del 13/4/1987 (291).


2.1.2.6.4) Le conclusioni della Corte in ordine alle circostanze di cui sub 2.1.2.6.2)


Si è visto che due documenti, utilizzati dal PICCIAFUOCO in tempi diversi, ricollegano costui al FIORAVANTI ed al suo gruppo: l'uno attraverso il VOLO, che, essendo l'unica persona al mondo autoaccusatasi della strage, è, al tempo stesso,interno algruppo palermitano che fa capo al MANGIAMELI, assassinato da FIORAVANTI e sodali perché divenuto inaffidabile dopo l'attentato, ed indicato da persone a lui vicine come l'85ª vittima della strage; l'altro, attraverso il BRUGIA, che è personaggio legato a



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(291) - Cfr. brm n.1 del 13/4/87, giri 199-204.


Cristiano FIORAVANTI,a Francesca MAMBRO, a Giorgio VALE, che è già stato condannato per aver fatto parte dei NAR, e che ebbe a suo tempo a mettere lo stesso numero di passaporto utilizzato dal PICCIAFUOCO anche a disposizione di Alessandro ALIBRANDI, altro terrorista strettamente legato a Valerio FIORAVANTI.


La valenza indiziaria del possesso da parte del PICCIAFUOCO di ciascuno dei due documenti, isolatamente considerati, è elevatissima, se riguardata dal punto di vista statistico. Con il moltiplicarsi delle coincidenze diminuisce in ragione geometrica la probabilità che esse siano frutto di mera casualità (292). Ove si prendano simultaneamente in considerazione i due documenti, ogni eventuale residuo dubbio in ordine all'effettiva esistenza dei collegamenti cui essi rinviano viene meno. Ma non basta. In questo quadro si innesta un riscontro, anch'esso di natura documentale: Sergio PICCIAFUOCO, che certamente non è noto per essere un militante neofascista, è però indicato fra i

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(292) - Si è detto, ad esempio, sub 2.1.2.6.2.3), dell'aumento in misura esponenziale della significatività dei vari elementi in comune fra le patenti sequestrate al PICCIAFUOCO ed al VOLO, per effetto del loro reciproco combinarsi.


detenuti della destra nell'agenda di Gilberto CAVALLINI, che, nel periodo a cavallo della strage, divide fraternamente la latitanza con Valerio FIORAVANTI, e ne conosce con precisione i movimenti e le frequentazioni.Le conclusioni cui si perviene sulla base di valutazioni di ordine statistico ricevono dunque inequivoca ed irrefutabile conferma. La conclusione è una ed una sola: gli imputati Sergio PICCIAFUOCO e Valerio FIORAVANTI sono tra loro in stretto collegamento all'interno della medesima cellula terroristico-eversiva.


E, attraversole notizie fornite da Leonardo GIOVAGNINI ai Carabinieri di Ancona, è persino possibile rendersi conto dell'`iter' che, attraverso l'avvicinamento ad un gruppo marchigiano di Terza Posizione, ha condotto il latitante PICCIAFUOCO sino al gruppo MANGIAMELI-FIORAVANTI.


2.1.2.7)Valutazioni d'insieme in ordine alle posizioni FIORAVANTI, MAMBRO e PICCIAFUOCO


Sergio PICCIAFUOCO è personaggio assai diverso da come ha inteso apparire. Durante gli oltre dieci anni di latitanza non vive affatto di espedienti, di piccoli furti, di piccole truffe. Viaggia continuamente attraverso la penisola,


servendosi anche del mezzo aereo, e varca sovente il confine.Frequenta luoghi come Saint-Moritz, Vienna, Taormina. Conduce vita dispendiosa, avendo notevole disponibilità di denaro. La teste CURATO (293): "...Il
PICCIAFUOCO aveva buona disponibilità di danaro e non si

tirava indietro, quando si trattava di pagare per divertimenti o altro..."


La teste PARACCHINI (294): "...Il VAILATI durante il periodo che mi frequentava aveva disponibilità di molto denaro liquido frutto, a suo dire, della sua attività commerciale e di eredità avuta dai genitori..."


Escussione dibattimentale di Claudia Mirella PARISI (295): "...Il Presidente: `è uscita più volte con PICCIAFUOCO? L'ha portata al ristorante..' La teste interviene: `sì, andavamo fuori a mangiare, a ballare.' Il Presidente: `pagava lui il conto.' La teste: `sempre'..."


Nel rapporto dei Carabinieri di Bologna in data 19/2/1986 sono annotati undici pernottamenti del PICCIAFUOCO in alberghi bolognesi: in due casi soltanto egli alloggiò in


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(293) - EA, V10/a-6, C301, p1 recto.
(294) -RA, V9 bis, C383, p83. (295) -vu 18/12/87, p27.


alberghi di seconda categoria; negli altri nove casi, presso il Crest Hotel, di prima categoria (296). Non occorre aggiungere altro. In assenza di attività lecite altamente remunerative, che il PICCIAFUOCO, per la sua


condizione di latitante, non avrebbe neppure potuto

svolgere, il tenore di vita dell'imputato durante la latitanza sta a dimostrare l'elevatezza del livello del suo inserimento in attività ed ambienti criminali. Il dato si armonizza perfettamente con i collegamenti di cui si sono esaminate le prove sub 2.1.2.6.2). Il PICCIAFUOCO ha un passato di delinquente comune, ma dopo l'evasione sa dimostrare di non essere un `povero diavolo' né un balordo. Conduce dieci anni di latitanza dorata, muovendosi con sconcertante disinvoltura attraverso la penisola. I suoi collegamenti, di rispettabile livello, lo pongono in contatto, negli ultimi anni, con ambienti della destra eversiva non impermeabili alla criminalità comune. Si avvicina all'ambiente di Terza Posizione ed entra in collegamento -come si è visto essere ampiamente provato- con

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(296) -RA, V9 bis, C383 bis, pp. 259-260.


il gruppo VOLO-MANGIAMELI-FIORAVANTI.


Orbene, Valerio FIORAVANTI è raggiunto da pesantissime prove di coinvolgimento nella strage ed è indicato, in particolare, come presente alla stazione di Bologna in occasione dell'attentato. In questa situazione, mentre la presenza del PICCIAFUOCO alla stazione rappresenta
un formidabile ed irresistibile riscontro obiettivo rispetto alle indicazioni d'altra natura che vogliono il FIORAVANTI responsabile della strage, è vero altresì, in virtù dei collegamenti di cui si è ripetutatamente detto, che le prove `aliunde' raccolte a carico del FIORAVANTI vengono a ripercuotersi in capo al PICCIAFUOCO.


Per chiarire sino in fondo il senso di quanto si viene dicendo, vale la pena di ricorrere ad un esempio. Si immagini che taluno riferisca al giudice d'aver appreso da una persona della partecipazione di quest'ultima ad un furto. Si immagini ancora che altra persona, apparentemente priva di collegamenti con l'autore della confessione stragiudiziale, sia stata sorpresa, subito dopo il delitto, nelle immediate adiacenze del luogo ove esso è stato consumato, e non soltanto non sia in grado di giustificare la propria presenza in quel luogo, ma fornisca sul punto versioni contraddittorie ed inverosimili.


Si immagini infine che, nel corso delle indagini, a distanza di tempo, sia possibile accertare, per altra via e in modo
incontrovertibile, lo strettissimo collegamento che unisce,
all'interno della medesima organizzazione criminale, l'autore della confessione stragiudiziale all'individuo sorpreso nei pressi del luogo del delitto.


Non è chi non veda la risolutività diun siffatto accertamento ai fini dell'individuazione della responsabilità dell'uno e dell'altro individuo per il delitto in questione.


La decisività dell'accertamento potrebbe essere svalutata soltanto ove il collegamento fra i due fosse stato notorio prima della perpetrazione del reato: perché in tal caso si tratterebbe di verificare che l'indicazione proveniente dalla persona che assume di aver ricevuto la confessione stragiudiziale sia genuina e non frutto di un'iniziativa calunniosa, artatamente predisposta perché idonea a trovare apparente riscontro nella circostanza -già nota al calunniatore ed ai suoi eventuali ispiratori- della presenza, sul luogo del delitto, di un sodale del calunniato.


Ma l'irresistibilità del compendio probatorio costituito dalla chiamata dello SPARTI, dall'ingiustificata presenza
del PICCIAFUOCO alla stazione di Bologna e dagli accertati collegamenti tra il FIORAVANTI ed il PICCIAFUOCO sta proprio in questo: nel fatto che il PICCIAFUOCO non è conosciuto, neppure come VAILATI, negli ambienti romani in cui gravita il FIORAVANTI. Si è visto, in particolare, sub 2.1.2.6.2.3), che il PICCIAFUOCO era sconosciuto a Walter SORDI. Ma dello imputato (e, quindi, del suo legame col FIORAVANTI) non
si hanno notizie neppure da altri personaggi dell'eversione romana sfilati, con varie vesti processuali, davanti a questa Corte. Ed è naturale che sia così: perché la strage è delitto di cui il FACHINI, il FIORAVANTI e la MAMBRO rifiuteranno sempre la responsabilità; è delitto inconfessabile anche negli ambienti terroristici ed eversivi, estranei alla banda armata oggetto di giudizio, in cui essi si muovono abitualmente; risponde ad un disegno che è proprio soltanto di una ristretta cerchia di individui facenti parte della banda armata che qui si giudica, emergendo esso -secondo quanto si è visto- come incontrollata ed improvvisa impennata, frutto di un violento colpo d'acceleratore, dalla progettualità in gestazione in quel periodo negli ambienti dell'eversione neofascista, della quale travalicava decisamente i limiti.


Sergio PICCIAFUOCO ha tutte la carte in regola per entrare nel selezionatissimo `staff' operativo che si occupa della realizzazione dell'attentato. Autentico maratoneta della latitanza, che sa gestire con grande oculatezza, gravita in quella zona grigia che si colloca all'incrocio fra criminalità comune ed eversione neofascista; la sua `politicizzazione', attraverso contatti con l'ambiente marchigiano di Terza Posizione e legami assai stretti con il gruppo VOLO-MANGIAMELI-FIORAVANTI-CAVALLINI, rappresenta soltanto un modo per ampliare ed articolare la rete dei suoi collegamenti in ambienti criminali, senza farne mai un individuo significativamente ideologizzato; quest'ultimo requisito lo rende idoneo -agli occhi del FACHINI e del FIORAVANTI- ad essere associato, verosimilmente dietro opportuno compenso, ad un'impresa cui altri si rifiuterebbero di collaborare per motivi `politici'; la grande `professionalità' e riservatezza ne fanno un individuo di sicura affidabilità, assolutamente indisponibile ad infrangere i vincoli omertosi.


Quanto precede riempie di significative valenze una circostanza che, isolatamente considerata, potrebbe apparire irrilevante, ma che, valutata assieme ed attraverso le altre, ne viene illuminata, e a sua volta le corrobora. Il PICCIAFUOCO è in Sicilia nel luglio del 1980. In data 3, quando ancora non alloggiava presso l'`Atlantis Bay', scrive da Taormina, alla CURATO, una cartolina che reca il timbro postale del giorno successivo (297). Fra il 5 ed il 10 luglio alloggia all' `Atlantis Bay' (298). Sarà di nuovo ospite di quell'albergo fra il 19 ed il 25 luglio (299), prima di rientrare a Modena. Non ha chiarito l'imputato dove eglisi sia venuto a trovare fra il 10 ed il 19 luglio; in

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(297) - Cfr. RA, V9 bis, C383/A, p204 quater.
(298) - Cfr. RA, V9 bis, C383 bis, p239.
(299) - Cfr. RA, V9 bis, C383 bis, p238. giudizio ha così risposto sul punto (300): "...Dal 10 al 19
dove sono stato? E' assurdo, non ricordo dove sono stato. Sono sempre le stesse domande..."


Orbene, proprio nella seconda decade di luglio arrivano in
Sicilia il FIORAVANTI e la MAMBRO, che, avendo alloggiato prima all' `Hotel Politeama di Palermo', sono, nei giorni successivi, dal 14 in avanti, fin verso la fine del mese, ospiti del MANGIAMELI in Tre Fontane (301).


Se si pensa che il PICCIAFUOCO entra in contatto con la destra eversiva tramite Terza Posizione, di cui il MANGIAMELI è un `leader', che fra il PICCIAFUOCO ed il FIORAVANTI v'è uno stretto legame, e che una delle prove del collegamento, il `documento VAILATI', indica come tramite il duo VOLO-MANGIAMELI, allora emerge in tutta la sua evidenza come il quadro probatorio in cui si vengono a fondere -come si è detto- le prove raccolte a carico del FIORAVANTI e l'ingiustificata presenza del PICCIAFUOCO alla stazione di Bologna riceva ulteriore, concreto, preciso conforto dall'essersi entrambi gli imputati (e la MAMBRO) recati in



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(300) - Cfr. vu 8/4/87, p22.
(301) - Cfr. RA, V9, C382, pp. 8-9.


Sicilia, nel luglio, dall'aver il FIORAVANTI alloggiato

proprio presso il MANGIAMELI, dal non aver il PICCIAFUOCO fatto chiarezza in ordine ai suoi spostamenti nell'isola
proprio nelladecade coincidente con quella dell'arrivo del FIORAVANTI e dell'inizio del suo soggiorno presso il MANGIAMELI, dall'essersi gli imputati trattenuti in Sicilia fin verso la fine del mese, e dal non essere infine mai stato chiarito con quale mezzo e in compagnia di chi il FIORAVANTI e la MAMBRO (che non furon visti partire in aereo), abbiano lasciato l'isola.


Di un ulteriore elemento di prova gravante in capo al FIORAVANTI ed alla MAMBRO si dirà, ad evitare ripetizioni e per comodità espositiva, trattando la posizione FACHINI, cui occorre fare rinvio (302).



















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(302) - Cfr. infra, sub 2.1.2.8.4).


2.1.2.8) La posizione di Massimiliano FACHINI


2.1.2.8.1) Il ruolo del FACHINI nella destra padovana ed i suoi rapporti con Roberto RINANI


Dalle dichiarazioni istruttorie di Luigi VETTORE PRESILIO, nelle parti che qui interessano (303), emerge che Roberto RINANI apparteneva all'organizzazione facente capo al FACHINI, con la quale aveva contatti ancora all'epoca della carcerazione nel corso della quale fece le note rivelazioni al VETTORE.


Giova riprendere un passo del verbale 13/11/1980 (304): "...Egli" (il RINANI) "mi disse che era rimasto sempre in contatto con l'ambiente dell'estrema dx padovana ed in particolare con la cellula veneta già facente capo a FREDA e VENTURA e di cui è attualmente principale esponente a Padova FACHINI Massimiliano.


Commentando poi il fatto che era stato fissato il processo d'appello per la strage di Catanzaro mi disse che tuttavia STIZ non avrebbe avuto il piacere di conoscere l'esito del processo, ed alla mia domanda di spiegarmi perché, disse che stavano preparando un attentato nei confronti del


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(303) - Cfr. supra, sub 1.1.3.1), 1.1.9) e 1.2.5).
(304) -EA, V10/a-1, C30, p65 recto e verso. suddetto Magistrato..."


Dal RINANI il VETTORE aveva appreso altresì che l'attentato al dott. STIZ sarebbe stato preceduto da altro attentato (agevolmente identificabile `a posteriori' nelle strage di Bologna), che avrebbe dovuto esser posto in essere dal medesimo gruppo.


Si è visto ancora, in narrativa, come il VETTORE avesse riferito agli inquirenti della pregressa attività dinamitarda del FACHINI.


Si tratta di verificare se il ruolo e l'attività del FACHINI nell'ambito dell'eversione neofascista padovana ed i suoi collegamenti con Roberto RINANI restino affidati soltanto alle dichiarazioni del VETTORE PRESILIO, ovvero siano provati attraverso conferme `aliunde' provenienti.


Per ciò che attiene all'antica vocazione eversiva e dinamitarda del FACHINI, ed alla sua risalente `operatività' all'interno della cellula veneta, la conferma viene dalle dichiarazioni rese il 1° novembre 1980 da Sergio TONIN al PUBBLICO MINISTERO di Padova (305).

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(305) - EA, V10/a-6, C279, pp. 3 verso ss. Le dichiarazioni del TONIN, deceduto, sono state dichiarate utilizzabili: cfr. vu 26/2/88, p30. Nel verbale (segue)


Si avrà occasione di menzionare, in altra parte della




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(segue) si legge, tra l'altro: "...L'ascendente dello SWICH sui giovani si manifestò in modo evidente fin dal 1969. A quel tempo apparivano a lui particolarmente legati, nell'ambito della federazione, Massimiliano FACHINI, Gustavo BOCCHINI,
Giancarlo PATRESE, Nicolò PEZZATO, Alberto e Nicola SCATTOLIN, Giorgio MUNARI, Marco FIORONI, Michele FIORETTA, Loris LOMBRONI, Presilio VETTORE. Tutti costoro erano aderenti al movimento giovanile e in parte ne erano anche dirigenti.
A.D.R. Particolarmente significativo mi sembrò, nel senso che ho appena accennato, l'episodio avvenuto una sera dell'aprile 1969 davanti alla sede comunale di Padova, che la stampa definì con la locuzione `notte di fuoco del Municipio'.
Era allora federale e capo gruppo missino al Consiglio comunale di Padova l'Avv. Lionello LUCI, il quale da qualche tempo non riusciva a parlare in consiglio per l'ostruzionismo dei seguaci del PCI che, provenienti anche dalla provincia, affollavano sistematicamente l'aula.
In occasione del Consiglio comunale dell'aprile 1969 le forze giovanili del Partito che facevano capo -oltre che allo SWICH- al FACHINI e al BOCCHINI decisero di intervenire in massa presso il Municipio con l'intento di affrontare l'opposto schieramento politico edi consentire al capogruppo del MSI di svolgere il suo intervento in seno al Consiglio.
Io ero allora vicefederale e mi trovavo nell'aula consiliare quando udii provenire dall'esterno il rumore ripetuto e fragoroso di spari di armi da fuoco. Corsi all'esterno e constatai che gli spari erano stati provocati da pistole lanciarazzi che vidi in mano a numerosi giovani del MSI che si erano scontrati con gruppi contrapposti del PCI.
Fra i giovani missini riconobbi il FACHINI, il BOCCHINI, il PATRESE, il VETTORE e un certo BORDIGNON. Notai anche lo SWICH che, prima di uscire dalla federazione per recarsi davanti al Municipio con i suddetti giovani, mi aveva confidato che aveva organizzato gli scontri unitamente al FACHINI...
Ricordo che il FACHINI indossava quella sera una tenuta da battaglia, con tuta da paracadustista di color grigio verde e stivaletti anfibi.
Ricordo inoltre la presenza nel gruppo di un certo MARIGA di Mestre, che era armato -a quanto appresi successivamente da alcuni dei partecipanti agli scontri, che adesso non rammento più- con alcuni involucri contenenti materiale esplosivo e provvisti di miccia...
Soltanto dopo qualche tempo mi accorsi che lo SWICH usava metodi e perseguiva obiettivi politici che erano radicalmente opposti ai miei e compresi, purtroppo tardivamente, che egli aveva usato di me per radicarsi e imporsi nel Partito." (segue)


trattazione, ulteriori tappe del `curriculum vitae' del




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(segue) "Infatti, pur essendo entrato a far parte della federazione, egli continuò a far lega con FREDA e VENTURA, di cui non faceva mistero di condividere metodi e strategie e il cui operare politico andava sviluppandosi al di fuori e in contrasto con il MSI, essendo entrambi fra i massimi esponenti del `Gruppo di AR' che costituiva la principale articolazione di `Ordine Nuovo' nel Veneto.
A.D.R. Più precisamente, mi risulta che di tale gruppo facevano parte FREDA, VENTURA, FACHINI, TRINCO, POZZAN, DE ECCHER, MERLO, DE CANIO, BRANCATO...
Si trattava di un gruppo paramilitare che si proponeva di realizzare attentati per sovvertire l'ordine costituito.
Esso aveva la disponibilità di esplosivo, che si procurava rubandolo dalle cave in attività nella zona dei Colli Euganei: ciò appresi, confidenzialmente, dal PARNIGOTTO...e, se non ricordo male, da un giovane iscritto al `Fronte della Gioventù' che mi pare si chiamasse PARISOTTO...
Il gruppo si rese responsabile, per quanto ne so, di alcuni episodi avvenuti in Padova nel 1968/69, fra cui rammento:
1) l'attentato alla Chiesa degli Ebrei in prossimità del teatro Verdi, di cui fu danneggiato -mi sembra- il portone d'ingresso con ordigni incendiari e sporcato il muro esterno con svastiche e scritte antisemitiche;
2) la deflagrazione di una carica di esplosivo sulla terrazza della federazione in via Zabarella, verificatasi mentre io e altri componenti della federazione stavamo partecipando ad una manifestazione in piazza Pedrocchi;
3) l'attacco ad una sezione del PSIUP di via S.Sofia.
Per quanto riguarda il primo attentato...
Per quanto riguarda gli altri due fatti, avvenuti lo stesso giorno, venni a sapere da un dirigente del gruppo giovanile del Partito, che adesso non sono in grado di ricordare, che gli autori di esso erano stati FACHINI, BRANCATO e alcuni giovani della federazione giovanile di Vicenza e il loro scopo era stato quello di farne ricadere la responsabilità sull'estrema sinistra...
A.D.R. Qualche giorno dopo l'esplosione dell'ordigno che distrusse l'ufficio del Rettore di Padova Prof. OPOCHER, nell'aprile 1969, Giuseppe MAZZOLA mi confidò di aver sentito parlare tra loro, in federazione, un gruppetto di 7/8 giovani fra cui il FACHINI, il BRANCATO, il BOCCHINI, il PEZZATO e -mi sembra- il DE ECCHER i quali, rievocando l'attentato e congratulandosi l'un l'altro per la buona" (segue)


FACHINI. Lo si troverà nel 1973 in Ispagna, assieme a Stefano DELLE CHIAIE. Lo si ritroverà nel 1975 ad Albano Laziale, in occasione del tentativo di riunificazione di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale.


Che la sua vocazione eversiva e dinamitarda non si fosse affievolita ad un decennio di distanza dai fatti riferiti dal TONIN emerge da quanto si verrà dicendo nel capitolo relativo al delitto di banda armata. Si vedrà come e attraverso quali fonti restino complessivamente provate una serie di circostanze: la centralità della figura del FACHINI nell'ambito della cellula veneta (o `gruppo del Nord'), che, attraverso di lui, nell'ambiente di Costruiamo l'Azione era autorevolmente rappresentata; la sua funzione di procacciatore di armi ed esplosivo; il suo ruolo di esperto di tecnica esplosivistica e di promotore di una campagna di attentati. Non deve sfuggire che l'esperienza di Costruiamo

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(segue) "riuscita di esso, se ne erano attribuita implicitamente la paternità...Chiamai il BRANCATO e, dopo averlo messo al corrente di quanto mi era stato riferito, senza peraltro rivelargliene la fonte, gli chiesi espressamente di confermare o di smentire che egli, il FACHINI, il BOCCHINI, il PEZZATO e -mi pare- il DE ECCHER avessero compiuto l'attentato.
Il BRANCATO tergiversò e alla fine confermò che la notizie era vera..." l'Azione si colloca fra il 1978 ed il 1979 e si esaurisce nella primavera di tale ultimo anno, costituendo, quindi, l'antecedente immediato della banda armata di cui al presente procedimento, formatasi, con le caratteristiche che si vedranno, alla fine del 1979. E all'interno di tale esperienza è dato rinvenire fra il FACHINI, il SIGNORELLI ed il SEMERARI un legame eversivo cui proprio il VETTORE -come si è avuto modo di rilevare- era stato in grado difar riferimento prima che le vicende di Costruiamo l'Azione fossero ricostruibili attraverso i contributi processuali di chi in quell'ambiente aveva gravitato (306).


In ordine all'indicazione relativa ai collegamenti FACHINI-



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(306) -Si rilegga quanto riferito in narrativa sub 1.1.9), lettera b). Il fatto che la circostanza della riunione al `Pino Verde' di Camposampiero non ha trovato conferma (cfr. RA, V5, C172) e che il VETTORE indica presenti alla riunione, oltre a quelle citate in narrativa, anche altre persone per le quali -a differenza del FACHINI, del SIGNORELLI e del SEMERARI- non è stato poi rinvenuto alcun riscontro di collegamento con l'ambiente nel quale germinarono gli attentati del '79, se impone di riaffermare la necessità di utilizzare accusatoriamente quelle sole parti dei contributi provenienti dal VETTORE che resistono alla più rigorosa verifica processuale, non vale a scalfire il nucleo delle dichiarazioni che qui interessa: quello che attiene, appunto ai legami eversivi, in epoca significativa, tra il FACHINI ed il SIGNORELLI, e che ha trovato ampia conferma `ab externo'.


RINANI, si deve rilevare quanto segue. Gli imputati hanno


escluso persino di essersi personalmente conosciuti. Tanta e


tale era la preoccupazione di allontanare da sé il sospetto di rapporti di natura terroristica, che essi hanno preferito arroccarsi su una posizione logicamente inaccettabile: inaccettabile tanto con riferimento all'attività politica lecita ed ufficiale, quanto con riferimento all'attività eversiva.


Per quanto attiene al primo aspetto, basti rammentare che entrambi gli imputati sono stati politicamente attivi in Padova nelle file del Movimento Sociale Italiano: il FACHINI -per sua stessa ammissione, come si è visto- è stato iscritto al partito sino al 1973, ricoprendo anche la carica di consigliere comunale, fino alla naturale scadenza del
mandato, nel 1975; il RINANI si iscrisse al M.S.I. nel 1975
(dopo aver incominciato a frequentare il partito -a suo dire- in quello stesso anno) e fu segretario delle Sezione Arcella di Padova dall'autunno '76 al dicembre '77 (307).


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(307) -La debolezza della linea difensiva adottata dai due imputati non sfugge allo stesso RINANI, che pure si ostina a sostenerla. Interrogatorio dibattimentale, in vu 7/4/87, p13: "...A.D.P.R.: FACHINI non l'ho neanche mai visto per strada; sembra impossibile che due Padovani in una città, che hanno svolto attività politica non si siano conosciuti..."


Ma è soprattutto con riferimento al secondo aspetto che la linea difensiva adottata dagli imputati si scontra con una
serie di acquisizioni processuali che confortano le indicazioni provenienti dal VETTORE PRESILIO. Posta la centralità della figura del FACHINI rispetto all'eversione neofascista veneta ed a quella padovana in particolare, e la sua posizione di comando rispetto ad un gruppo, ad una cellula terroristica (come si vedrà meglio in sede di trattazione del delitto di banda armata), occorre qui valutare una serie di elementi probatori dalla cui complessiva valutazione è dato desumere l'internità del RINANI alla medesima organizzazione clandestina.

Delle dichiarazioni rese il 2/11/1980 da Sergio TONIN al PUBBLICO MINISTERO di Padova si è dato conto in narrativa

sub 1.2.6). Traggono esse conforto anche da quanto riferito
da GHEDINI Niccolò (308): "...Preciso, anche se non ho

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(308) - Dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria il 27/9/80 (EA, V10/a-2, C82, p2) e confermate in giudizio (vu 1/2/88, p26). In tale ultima sede, peraltro, il teste ha precisato il contenuto delle sue conoscenze personali: "...Il Presidente interviene: `per quanto è a sua conoscenza, questa violenza si limitava a degli scambi di pugni, a scontri di piazza, diciamo così, anche senza uso di armi, oppure a uso di armi o addirittura di esplosivi?' Il teste: `per quanto ne so io era semplicemente...si bastonavano per le piazze. Dopo, da quello che si era appreso per esempio dai giornali, si sapeva che o si presupponeva che facessero anche uso di armi ma questo ovviamente lo si sapeva de relato.' Il Presidente: `non ha mai sentito parlare di esplosivi?' Il teste: `no'."


nessuna prova che CONTIN allora faceva parte di un gruppo violento della Sez. Arcella, almeno presumo. Il gruppo del quale faceva parte CONTIN era formato da: RINANI, BENELLE, BERTOCCO, FASOLATO ed altri conosciuti da me solo di vista che frequentavano p.zza Cavour, il Pedrocchi. Il CONTIN con il gruppo summenzionato faceva capo a RINANI, unica persona che secondo me aveva un'ascendenza su questi ragazzi, capace di trascinarli e di indottrinarli secondo il suo volere. Preciso che da quando RINANI si è dato alla latitanza il gruppo anzidetto mi è sembrato che fosse sbandato, che non
avesse più un capo carismatico. Il predetto gruppo era formato da circa 20 unità..."


Marco AFFATIGATO, al Giudice Istruttore di Bologna, in altro


procedimento, ha riferito (309) d'aver partecipato, fra il '73 ed il '74, in Padova, ad una riunione cui era presente anche il RINANI: riunione "nella quale si parlò dell'acquisto o del passaggio a titolo gratuito di armi che


avrebbero dovuto esserci consegnate dagli Ustascia".




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(309) - EA, V10/a-5, C215, p24. Le dichiarazioni dell'AFFATIGATO, assente dalla Repubblica quando avrebbe dovuto essere escusso dalla Corte, sono state dichiarate utilizzabili (vu 3/12/87, p13).


Maurizio CONTIN ebbe a sua volta a rendere, in forma alquanto prudente e guardinga, timide ma eloquenti dichiarazioni (310): "...Successivamente dopo le sue dimissioni dall'Arcella ho avuto la sensazione che" (il RINANI)"sia entrato a far parte di un ristretto gruppo che forse rappresenta la continuità rispetto ad `Ordine Nuovo' disciolto. Io dirigo i giovani di Piazza Cavour e il RINANI

rappresenta il tramite tra me ed il gruppo cui egli appartiene..." Si legge, nello stesso verbale: "...Un'altra volta alcuni manifesti li ebbi direttamente da FACHINI che incontrai casualmente alla stazione FF.SS e col quale" (li) "andai a prendere direttamente a casa sua in via Annibale da


Bassano..."


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(310) - Al PUBBLICO MINISTERO il 2/9/80 (EA, V10/a-2, C66, p3): dichiarazioni lette in dibattimento (cfr. vu 23/11/87, p14) essendo il CONTIN, citato come teste, assente dalla Repubblica. Il motivo della circospezione del CONTIN in occasione della testimonianza istruttoria è reso palese dal seguente passo del verbale: "...Si dà atto che invitato il CONTIN a chiarire i propri rapporti con il FACHINI ed il RINANI nonché a specificare l'attività svolta dagli stessi egli dichiara, senza fare alcun riferimento preciso a dette persone di essere stato già minacciato di aver paura di loro più che per un mandato di cattura, aggiunge di non sapere niente, di volersene stare fuori e basta, che non sono cose perlui dal momento che egli è solo un ragazzo di piazza. Si dà atto altresì che il CONTIN scoppia in lacrime e invitato a riferire quanto sa con l'assicurazione che le cose da lui dette rimarranno coperte dal segreto istruttorio, dichiara che Padova non c'entre niente, è tutto a Roma..."


Si son riportate, sub 1.8.8), le dichiarazioni di Gianluigi NAPOLI circa la consegna, da parte del FACHINI al RINANI, di manifesti raffiguranti una colomba bianca su fondo grigio. In giudizio, all'udienza del 26/11/1987 (311): "Il P.M.: `se conferma le proprie dichiarazioni in ordine ai rapporti tra FACHINI e RINANI.' NAPOLI: `questo senz'altro, comunque non posso dire nulla di particolare; però FACHINI disse espressamente che lo conosceva, che gli aveva dato i manifesti con la colomba e le inferriate di ferro sullo sfondo.'" Circa la provenienza dei manifesti raffiguranti la colomba, soccorrono le seguenti dichiarazioni (312) di Sergio CALORE, confermate in giudizio (313): "Il 7 maggio 79 se mal non rammento si doveva tenere una manifestazione al

cinema Holliwod di Roma sul tema dei carceri speciali e dei manicomi criminali: per tale manifestazione SEMERARI si era reso disponibile a tenere una relazione di carattere tecnico...Per propagandare tale manifestazione furono stampati due manifesti, uno riproducente un fotomontaggio


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(311) - Vu 26/11/87, p858.
(312) - AA, V4, C24, p167.
(313) - Vu 9/12/87, p61. raffigurante le sbarre, due mani, una colomba recante la


dicitura `Libertà per i detenuti politici Comitati Popolari contro la repressione'...Preparai ambedue i manifesti dal punto di vista grafico, il primo fu stampato presso la tipografia che stampava anche C.L.A." (cioè, Costruiamo l'Azione).


Si è visto, sub 1.12.4.4), come al RINANI, nel 1978, fossero state sequestrate (314) 4 copie di un altro manifesto, che si è appreso da Sergio CALORE essere stato allegato al n. 1 di Costruiamo l'Azione del marzo 1978. Orbene, sempre il CALORE, all'udienza del 9/12/87 ha confermato (315) le seguenti dichiarazioni rese in istruttoria (316): "Sui rapporti che FACHINI aveva con l'ambiente padovano, non so quasi nulla poiché egli gestiva in modo rigorosamente

personale tutti i rapporti con l'ambiente veneto. Egli era talmente esclusivista in questo senso che rifiutò di stabilire contatti diretti tra Roma e il Veneto anche per
normali attività politiche come la distribuzione del



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(314) - Cfr. PQA, V2, C55, p20. (315) - Vu 9/12/87, p26.
(316) - IA, V9/a-1 bis, C6, pp. 5-6. giornale. Tutto il materiale di Costruiamo l'Azione destinato al nord passava esclusivamente per le sue mani."


Gli elementi di prova sin qui passati in rassegna sono idonei a corroborarsi vicendevolmente, in quanto convergono, in modo corale, nella medesima direzione. E' idonea a
confermarli, ricevendone a sua volta conforto, un'ulteriore indicazione, proveniente da Paolo ALEANDRI. Nel verbale in atti in data 5/11/1981 si legge, tra l'altro (317) "... Certo è che del gruppo veneto ho conosciuto anche" (318) "il RAO, certo Vittorio mi pare LE PENNE, Marino GRANCONATO, sentito da loro parlare di RINANI come appartenente al loro gruppo..." Successivamente, il 4/10/1985, l'ALEANDRI riferiva ancora all'Istruttore (319): "...Il nome di RINANI l'ho sentito fare da FACHINI come uno che apparteneva al

loro gruppo , insieme a RAHO e gli altri del Veneto che io


conoscevo. Peraltro di RINANI non saprei dire altro..."


In giudizio (320): "Il Presidente: `lei ha mai conosciuto


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(317) - EA, V10/a-4, C190/3/2, p1 verso.
(318) - L' "anche" è giustificato dal contesto: si tratta di conoscenze ulteriori rispetto al `leader' del gruppo veneto: rispetto, cioè, a Massimiliano FACHINI.
(319) - EA, V10/a-4, C190/3/2, p71. (320) - Cfr. vu 7/1/88, pp. 22-23. RINANI?' ALEANDRI: `di RINANI...il nome, quando mi fu


chiesto, non mi diceva molto, ho il dubbio di averlo incontrato, ma in ogni caso non c'è mai stata frequentazione.' Il Presidente: `ne ha mai sentito parlare in quel periodo?' ALEANDRI: `probabilmente sì, ma non saprei dirlo con precisione.' Il Presidente: `lei in uno degli interrogatori che ha reso ha dichiarato di aver sentito parlare di RINANI come componente del gruppo del nord da FACHINI? Ricorda questo?' ALEANDRI: `in questo momento non lo ricordo, c'è anche un discorso, che per questi ricordi un pò marginali, cioè di persone che ho conosciuto molto poco, a volte l'evoluzione del discorso porta a certi ricordi che in quel momento sono precisi; ora non ricordo, è molto probabile che l'abbia sentito, ma comunque in ogni caso posso averlo soltanto sentito.' Il Presidente:`si tratta di cose che lei avrebbe recepito di seconda mano?' ALEANDRI:
`non ho assolutamente avuto una frequentazione di nessun


tipo.'..."


Il giorno successivo (321), l'ALEANDRI, che pure ribadiva la


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(321) - Cfr. vu 8/1/88, p32. vaghezza dei suoi attuali ricordi, specificamente interpellato sul punto, confermava le dichiarazioni rese nel verbale dell'81, così motivando: "certo, confermo il verbale perché evidentemente ci sono due elementi che vorrei mettere in evidenza. Intanto l'elemento temporale penso sia chiaro per tutti, è chiaro che a distanza di anni posso ricordare meno, ma c'è un altro elemento ancora. Quando si sostiene un interrogatorio e questo va avanti per ore, si concentra l'attenzione su una serie di fatti e, inevitabilmente, si arriva anche a ricordare di più, perché la concentrazione non è come quella che ci può essere in aula, a distanza di anni, relativa a una sola domanda; c'è una serie di fatti che io riporto alla mente e che mi riportano un flusso di ricordi maggiore. Comunque confermo il verbale."


L'ALEANDRI veniva a quel punto posto i fronte al fatto che il 21/10/1981, al Giudice Istruttore di Roma aveva
dichiarato (322) cosa diversa, e cioè che il nome RINANI


Roberto non gli suggeriva alcun ricordo, che egli poteva


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(322) - cfr. EA, V10/a-4, C190/3/1, p65.


averlo sentito, ma, essendo accanito lettore di giornali, non escludeva di averlo letto in qualche occasione in cui era comparso sulla stampa. L'ALEANDRI, nel confermare anche quel verbale, così spiegava: "...Come le ho già fatto presente, evidentemente in quell'altra occasione ho avuto modo di sviluppare un discorso più ampio che mi ha portato quest'altro ricordo, ma io non presento mai tesi precostituite, se ho dichiarato questo può anche darsi che abbia fatto questa confusione. Io riferisco solo le cose che mi appaiono, non studio gli atti."


Così prosegue il verbale d'udienza: "Il Presidente: `dalle risultanze di questo verbale lei oggi che cosa può dire? Che non ricorda se il nome di RINANI l'ha sentito sui giornali o meno?' ALEANDRI: `ma quello che avrà percepito anche lei, cioè che è un ricordo assolutamente confuso quindi può darsi che l'abbia sentito da FACHINI, adesso non ricordo, può darsi che l'abbia sentito in questo ambiente, può anche
darsi che l'abbia appreso dai giornali, non lo escludo. Non è sicuramente una persona che ho conosciuto quindi non è un
particolare molto importante, secondo me.'..."


L'ALEANDRI dà prova, con le dichiarazioni che si son volute diffusamente riportare, di profonda onestà intellettuale. Già prima di ricevere lettura di quanto riferito al Giudice Istruttoredi Roma, aveva mostrato di non avere alcuna intenzione di calcare la mano, di forzare il ricordo in senso accusatorio. Poi, con distacco e lucidità, ha tenuto ben distinti il piano del ricordo attuale da quello delle conoscenze affidate, in tempi diversi, ai verbali istruttori, ed ha saputo dar conto, in modo efficace e perfettamente attendibile, di come determinate circostanze possano affiorare o non alla memoria in relazione all'ordine ed al grado di approfondimento con cui un certo argomento viene affrontato.


Tanto premesso, osserva la Corte: l'ALEANDRI non ha attualmente ricordi specifici sulla circostanza in esame e si tratta quindi di rifarsi a quanto egli ricordava nelle varie sedi istruttorie; l'ipotesi che egli possa aver
appreso il nome del RINANI dalla stampa è residuale rispetto a quella più specifica dell'aver attinto la notizia
direttamente da esponenti del `gruppo del nord'; tale secondo ricordo è emerso due volte, a distanza di quattro anni l'una dall'altra; che nell'ambiente di Costruiamo l'Azione-M.R.P. il FACHINI o persone a lui vicine possano aver comunicato all'ALEANDRI il nome di un loro sodale è cosa non soltanto credibile, ma assai probabile; la militanza del RINANI all'interno della cellula eversiva facente capo al FACHINI trova conferma nelle dichiarazioni del VETTORE PRESILIO ed in tutti gli elementi probatori sopra passati in rassegna per verificare l'attendibilità del VETTORE PRESILIO stesso in relazione alla specifica questione che si sta esaminando.


Conclusivamente: da tutto quanto precede risulta complessivamente provata in modo certo non semplicemente la conoscenza tra il RINANI ed il FACHINI, ma l'internità del primo rispetto alla cellula veneta capeggiata dal secondo. Alla luce di questa prova, l'assenza di contatti ufficiali tra i due imputati -che emerge dalla lettura degli atti- è
idonea a definire ulteriormente la natura dei loro rapporti. Occorre all'uopo rileggere alcune illuminanti dichiarazioni di NAPOLI che si sono già riportate sub 1.8.8): "...Poiché ho parlato di FACHINI, voglio precisare che i miei rapporti con lui prima della detenzione comune si riducono a due incontri fugaci ed occasionali. Bisogna comprendere che FACHINI è un maniaco della sicurezza e della compartimentazione e per nessuna ragione egli deroga alla regola di non incontrare mai persone appartenenti all'area della destra al di fuori dei contatti programmati e con le persone a ciò appositamente preposte..."


2.1.2.8.2) L'esplosivo


E'dimostrato che: Roberto RINANI fu in grado di anticipare a Luigi VETTORE PRESILIO la perpetrazione della strage di Bologna ad opera di un gruppo di cui egli stesso faceva parte; capo della cellula veneta cui apparteneva il RINANI era Massimiliano FACHINI; quest'ultimo, all'esito dell'inchiesta condotta dal `commissario politico' Edgardo BONAZZI, che attinse notizie da qualificatissime fonti nel periodo immediatamente susseguente la strage, venne indicato
come colui che, assieme al SIGNORELLI, per l'esecuzione dell'attentato aveva avuto il torto, o l'imprudenza, di affidarsi a dei "ragazzini". Si tratta di vedere se altre acquisizioni confortino tale complesso di indicazioni, convergenti nel senso della responsabilità del FACHINI per la strage del 2 agosto 1980. Orbene, una significativa e puntuale conferma viene dalle emergenze processuali in ordine alla natura dell'esplosivo usato per la strage ed alla sua provenienza.


Si è visto, sub 1.2.8), che la relazione di perizia in atti indica il T4 tra i costituenti principali della carica esplosiva utilizzata per l'attentato del 2 agosto. Nondimeno, sull'effettiva presenza del T4 nel composto esplosivo sono state espresse delle riserve. Si è sostenuto che tale presenza potrebbe ricollegarsi al fatto che la stazione ferroviaria di Bologna è stata, in periodo bellico, bersaglio di bombardamenti aerei. Ma siffatto rilievo non ha evidentemente pregio, dal momento che il T4 è stato rinvenuto anche sotto le carrozze e sui carrelli del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea (323), interessato dall'esplosione. Si è poi fatto leva sul fatto che il T4 non compare nei campioni repertati nell'immediatezza


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(323) - Cfr. prospetto n. 5, alla pagina 41 della relazione peritale, in PA, V1. dell'esplosione, ma soltanto in campioni prelevati a distanza di tempo. Non si vede a quali conclusioni processualmente utili si possa pervenire sulla base di tale ulteriore rilievo: infatti, di fronte al dato obiettivo del rinvenimento del T4, resterebbe una mera illazione, priva del supporto del benché minimo principio di prova e di ogni verosimiglianza, quella secondo cui taluno, eludendo i controlli, avrebbe potuto, dopo la strage ed i primi prelievi, disseminare tracce di T4 sulla carrozze del treno Ancona-Basilea e nel cratere dell'esplosione.

Tanto premesso, occore dar conto di quanto segue. Così i periti chimico-esplosivistici (324): "...Per ciò che riguarda il T4 è da notare che, nelle attuali formulazioni Nazionali, il particolare tipo di esplosivo non viene più richiamato esplicitamente. La sua presenza è quindi conseguente all'impiego di tritolo di recupero, ossia derivante da sconfezionamento di cariche di esplosivo; tale

tipo di tritolo contiene, molto frequentemente, un'aliquota





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(324) - Cfr. relazione di perizia, pp. 47-48.


di T4...sulla riscontrata presenza del T4 potrebbe essere formulata l'ipotesi che, per rendere migliore la innescabilità della carica di esplosivo da mina, sia stato usato un detonatore secondario confezionato con T4, flemmmatizzato o plastico. La predetta ipotesi non è peraltro molto probabile, considerato che gli esplosivi gelatinati sono sicuramente innescabili anche con un semplice detonatore del numero 6;..."


Tecnicamente parlando, dunque, per quanto concerne il T4, due sono le alternative: o con esso fu confezionato un detonatore secondario, ovvero esso entrò a far parte della miscela esplosiva, in quanto frammisto al tritolo che della miscela stessa era un componente principale. In tale ultima ipotesi, il tritolo sarebbe stato proveniente da recupero, cioè da sconfezionamento di cariche esplosive. Così la perizia chimico-esplosivistica comparativa (325): "...In proposito è però da considerare" (che) "il T4 è un esplosivo che in genere non compare nelle formulazioni riportate per




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(325) - Cfr. relazione di perizia, pp. 26-27, in PA, V1.


gli esplosivi per impieghi civili, considerato anche il suo costo. Nella fabbricazione degli esplosivi anzidetti, per motivi di economia, viene quasi sempre utilizzato tritolo di recupero da sconfezionamento di munizioni militari. In tal caso, a seconda del materiale caricato in dette munizioni, il tritolo di recupero sarà costituito da tritolo puro (caso di munizionamento caricato a tritolo) o da tritolo inquinato da altri esplosivi (ad es. come nel caso di munizionamento caricato con COMPOUND B, per cui il tritolo contiene del T4). In pratica quindi si può verificare che un determinato tipo di esplosivo gelatinato, fabbricato in tempi o stabilimenti diversi, contenga T4 o meno a seconda delle disponibilità momentanee della fabbrica e quindi dell'impiego di Tritolo puro o di Tritolo di recupero da sconfezionamento di munizioni caricate a Tritolo-T4..."


Quindi, meglio precisando i termini dellla questione: o innesco secondario al T4 o T4 proveniente da recupero di munizionamento militare.


Orbene, non soltanto il T4 `tout court', ma l'una e l'altra delle due alternative sopra individuate riconducono a Massimiliano FACHINI. Udienza 10/12/1987, interrogatorio di Sergio CALORE ex art. 450 bis C.P.P.: "...Il P.M.: `conferma quanto ha dichiarato il 10/3/85: <>, cioè Veneto e cioè FACHINI.' CALORE: `sì, lo confermo.'" (326)


Udienza 9/12/1987 (327): "CALORE interviene: `quello di provenienza di FACHINI era di tipo militare e c'era sia dell'esplosivo che assomigliava a dei pezzi di parmigiano, per essere precisi...' Il Presidente: `e che esplosivo era?' CALORE:`FACHINI riferiva che questo proveniva da recuperi fatti da materiale bellico in un laghetto veneto e poi c'era dell'altro esplosivo, che era dell'anfo, che in particolare fu la causa del fallimento di alcuni attentati dimostrativi, perché era un esplosivo particolarmente sordo all'innesco, ossia richiedeva l'applicazione di un innesco secondario, cioè di una piccola carica di esplosivo più sensibile che rendesse possibile la detonazione della carica principale'..."




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(326) - Vu 10/12/87, p55. Le dichiarazioni 10/3/85 cui si fa riferimento in detto verbale trovansi in Cal., V5, C12, p63.
(327) - Vu 9/12/87, p19.


Così Paolo ALEANDRI, il 7/8/1981, al Giudice Istruttore di Roma (328): "...Io nel frattempo mi ero messo in contatto con quelli del gruppo di Padova ed in particolare con FACHINI e RAO, giacché dai discorsi fatti mi era sembrato di capire che il gruppo di Padova fosse ben organizzato e disponesse di esplosivo. Fu così che Roberto RAO mi portò una borsa contenente una decina di chili di esplosivo di tipo speciale: si trattava infatti di un composto cristallino compatto diviso parte in pezzi aventi la forma di tocchi di parmigiano e parte in forme circolari con un buco in mezzo. Non sono sicuro delle presenza delle forme circolari complete mentre sono certo delle forme che ho chiamato tocchi di parmigiano (mi è venuta in mente quest'ultima definizione perché mia madre casualmente rinvenne l'esplosivo nel mio appartamento a Roma e lo scambiò appunto per pezzi di parmigiano avariato) detto esplosivo aveva una particolarità tecnica: infatti, per il suo corretto impiego doveva essere preinnescato nel senso che accanto al detonatore doveva essere collocata un'altra

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(328) - EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 7-8.


sostanza esplosiva più sensibile all'azione del detonatore stesso. Infatti, tra il materiale portatomi dal RAO vi era oltre al detonatore anche alcuni cilindri di esplosivo da utilizzare a tale scopo fatti di sostanza che non so precisare..." (329)


La precisazione è stato in grado di farla il CALORE (330):


"... l'esplosivo di FACHINI comprendeva oltre quello a forma di parmigiano, l'ANFO e delle `pizzette' di T4 da usare come innesco per gli esplosivi più sordi..."


Ancora l'ALEANDRI sul modo in cui il FACHINI provvedeva ad approvvigionarsi (331): "...FACHINI diceva che questo esplosivo veniva recuperato da un lago da una persona chiamata da loro il `sub' ed era un esplosivo di provenienza bellica, erano delle bombe che poi venivano disattivate e veniva estratto questo esplosivo, recuperato da materiale bellico..."


Dall'interrogatorio dibattimentale dell'ALEANDRI (332), a



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(329) - L'esplosivo fornito dal RAHO era di pertinenza del FACHINI; ad ogni modo, l'ALEANDRI ha riferito d'aver ricevuto esplosivo direttamente anche dal FACHINI: cfr. vu 7/1/88, p25.
(330) -Cfr. confronto CALORE-ALEANDRI 13/12/84, in Cal., V5, C12, p27.
(331) - Vu 7/1/88, p26.
(332) - Vu 7/1/88, p25.


proposito dell'innesco secondario o preinnesco: "Il Presidente: `FACHINI ebbe modo di spiegarle come doveva essere usato l'esplosivo?' ALEANDRI: `certo'. Il Presidente: `e spiegò la necessità del preinnesco? fu lui o fu una vostra deduzione?' ALEANDRI: `per essere precisi la questione del preinnesco fu spiegata la prima volta che scese con esplosivo di provenienza FACHINI, RAHO, e ci spiegò lui la faccenda del preinnesco insieme ad altre'..."


Dall'interrogatorio dibattimentale di Gianluigi NAPOLI, ex art. 450 bis C.P.P. (333): "...Il Presidente: `conferma di aver sentito fare dal MELIOLI il discorso del laghetto veneto come luogo dove potevano essere recuperati dei materiali esplosivi?' NAPOLI: `il MELIOLI accennava d'aver sentito -questo si riferiva sicuramente al FACHINI- che avvenivano recuperi di esplosivo in acqua, in un laghetto si parlava.' Il Presidente: `parlava di un laghetto?' NAPOLI continua: `anche se lui non ha mai detto di aver praticamente partecipato...Si dice...così, insomma sempre nel solito modo, piuttosto..."




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(333) - vu 26/11/87, p857.


Più avanti (334): "L'Avv. MENARINI: `vorrei porre al NAPOLI questa domanda, che nasce dalla lettura di questa deposizione e in sostanza la tipologia dell'esplosivo proveniente dal recupero di munizioni militari.' Il Presidente: `lasciamo dire tutto quello che ricorda di questo discorso.' NAPOLI: `quello che mi ricordo di questo discorso è il discorso della tipologia, cioè di esplosivo di tipologia militare è riferito al fatto che era esplosivo, da quello che si diceva, recuperato dal fondo di un lago, o di un laghetto. E quindi era sicuramente di tipo militare. Per ciò che riguarda il discorso di MELIOLI con riferimento al FACHINI, non ricordo esattamente se ho fatto esplicitamente il nome del MELIOLI o se ho addebitato il fatto al FACHINI, perché l'uno me ne parlò dettagliatamente anche con il discorso dei detonatori, mentre MELIOLI ne parlava, ma con il suo solito modo di affermare le cose, ma sinceramente mai in maniera dettagliata che avesse potuto vedere o provare di persona il tutto.' Il Presidente: `secondo le sue precedenti dichiarazioni, FACHINI non le avrebbe parlato

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(334) - vu 26/11/87, pp. 871.


della provenienza, cioè laghetti, di questo esplosivo, mentre di questo avrebbe parlato MELIOLI. Se lo ricorda?' NAPOLI: `probabilmente è così come lei me lo riferisce. Però probabilmente il discorso portato avanti dal MELIOLI, cioè del possibile recupero di esplosivi da un lago, era qualcosa che già da tempo circolava nell'ambiente di destra.'..."


Un altro passo del medesimo interrogatorio (335): "Il Presidente: `le parlò anche del confezionamento di esplosivi FACHINI?' NAPOLI: `ma sì, parlò in altre discussioni, quella che si parlava.....e fu in quel frangente che parlò del discorso dell'esplosivo sordo e quindi aveva bisogno di essere mischiato con doppio detonatore' Il Presidente: `Perché?' NAPOLI: `per avere una migliore deflagrazione'. Il Presidente: `cioè le disse che c'era un modo di fabbricare l'esplosivo?....Vuole ripetere?' NAPOLI: `no di fabbricare l'esplosivo' Il Presidente: `voglio dire di confezionarlo'. NAPOLI: `di confezionare l'esplosivo...cioè la bomba...ecco, e quindi venivano immessi due detonatori, nel caso

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(335) - Vu 26/11/87, pp. 853-854.


elettrici,per avere una migliore deflagrazione poiché, essendo esplosivo sordo, necessitava di questo, altrimenti esplodeva in parte..."


Quantunque -come si è testé visto- il NAPOLI abbia in qualche modo tentato in giudizio di `alleggerire' la posizione del MELIOLI, le dichiarazioni precedentemente rese sul conto del FACHINI sono state sostanzialmente confermate. D'altronde, attesa la natura dei rapporti MELIOLI-FACHINI, quale sarà illustrata in sede di trattazione della banda armata, non è lecito dubitare del fatto che il MELIOLI fosse fonte degna del massimo credito, in possesso di notizie di prima mano, del tutto genuine, che attingeva non già in conversazioni salottiere intrecciate con esponenti militanti neofascisti a lui vicini, ma direttamente dal `leader' della cellula veneta. Non a caso, infatti, il contenuto delle informazioni ricevute dal NAPOLI era in tutto analogo a quanto appreso dal CALORE e dall'ALEANDRI direttamente dalla voce del FACHINI e del RAHO.


Complessivamente quindi, attraverso l'esame delle dichiarazioni del CALORE, dell'ALEANDRI e del NAPOLI, in larga parte sovrapponibili, ed idonee, in virtù dei rispettivi apporti, a fornire una ricostruzione coerente di talune circostanze, è dato ricavare che: il FACHINI ed il gruppo a lui facente capo disponevano di notevoli quantitativi di esplosivo di recupero militare; il FACHINI ed i suoi fedelissimi indicavano tale esplosivo come proveniente dallo sconfezionamento di materiale bellico giacente in un laghetto del Veneto; fra le altre sostanze esplosive di recupero militare figurava anche il T4; il gruppo facente capo al FACHINI adottava la tecnica del preinnnesco o innesco secondario (tecnica poi trasmessa anche al `gruppo M.R.P.'); quale innesco secondario potevano essere usate `pizzette' di T4.


Va rilevato che `pizzette' di T4 furono utilizzate da Marcello IANNILLI come detonatore secondario in uno degli attentati M.R.P.: precisamente, nell'attentato a Regina Coeli (336).




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(336) - Cfr. CALORE, confronto CALORE-ALEANDRI 13/12/84, in Cal., V5, C12, p27, e interrogatorio dibattimentale, in vu 9/12/87, p37. Lo IANNILLI, che è autore confesso dell'attentato, si è ben guardato dall'ammettere la circostanza riferita dal CALORE. "...Del detonatore al T4 non ho mai sentito parlare..." (vu 30/4/87, p25).


E va rilevato ancora che il Giudice Istruttore di Treviso procede (337) oggi nei confronti di Massimiliano FACHINI per il reato di cui agli artt. 56 e 280 C.P. in danno dell'On. Tina ANSELMI, commesso in Castelfranco Veneto l'8/3/1980 (attentato ricompreso nel programma terroristico della banda armata che qui si giudica e sul quale si dovrà tornare in prosieguo). In quel procedimento è stata disposta una perizia (338) tecnica, la quale, tra l'altro, doveva servire ad acclarare se l'esplosivo utilizzato in occasione di detto fallito attentato fosse "della stessa natura" di quello, descritto dal CALORE, dall'ALEANDRI e dal NAPOLI, che sarebbe stato -secondo costoro- nella disponibilità del FACHINI, nonché se le caratteristiche di innesco e di mancato funzionamento dell'ordigno corrispondessero a quanto riferito negli interrogatori delle persone sopra indicate. Le conclusioni in ordine alla natura del materiale esplosivo: "...Per quanto sopra visto, accertato che l'esplosivo usato per l'attentato di Castelfranco era

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(337) - Cfr. vu 13/6/88, p225. (338) - Cfr. vu 13/6/88, pp. 226 ss. La relazione è stata acquisita agli atti con ordinanza ex art. 469 C.P.P. (cfr. vu 17/6/88, pp. 12-13).


tritolo, proveniente da una mina anticarro e quindi


sicuramente di provenienza militare (recupero e scaricamento
di ordigni bellici rinvenuti? provenienza furtiva da cantieri di scaricamento?), si può affermare che la natura di questo esplosivo ben si accorda con le descrizioni fornite dall'ALEANDRI e dal NAPOLI." Le conclusioni in ordine alle caratteristiche di innesco: "...In definitiva, punti di corrispondenza fra le caratteristiche di innesco dell'ordigno di Castelfranco e le descrizioni degli interrogati si riscontrano: - nell'impiego di un detonatore secondario; - nell'impiego di un detonatore elettrico."


Si è dato conto in narrativa, sub 1.12.4.2), delle acquisizioni processuali attraverso le quali gli elementi di prova sin qui passati in rassegna hanno trovato una formidabile complessiva conferma di carattere oggettivo: sulla base delle dichiarazioni del NAPOLI, attinte da Dario FIGNAGNANI (339), è stato possibile individuare i luoghi ove era sommerso il materiale bellico dal cui sconfezionamento proveniva l'esplosivo utilizzato dalla cellula di

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(339) - Costui,citato a comparire in giudizio, si è avvalso della facoltà di non rispondere all'interrogatorio ex art. 450 bis C.P.P. (cfr. vu 15/2/88, p16).


Massimiliano FACHINI. Più specificamente, dal rapporto dei Carabinieri in data 2/11/1987: "...La prima immersione dei CC subacquei aveva luogo nello specchio antistante il forte San Nicolò di Riva, ove i militari, su una scarpata a fondo fangoso, a circa otto metri di profondità e ad otto/dieci metri dalla linea di battigia a partire dall'angolo -versante di Torbole- di detto fortino,localizzavano alcuni proiettili di grosse dimensioni, verosimilmente di mortaio e di cannone, riportandone a riva due di mortaio...infine, in prossimità dell'isolotto di Malcesine, altre immersioni venivano effettuate lungo una scarpata con sedimento fango- roccioso, ad una profondità di circa trenta metri. Nel corso di tale ispezione, venivano notati proiettili di grosso calibro sparsi sul fondale, che non venivano recuperati per difficoltà tecniche..."


Osserva la Corte che la significatività del riscontro costituito dai ritrovamenti di cui si è detto non è scalfita dal fatto che essi siano avvenuti non in un `laghetto' (secondo l'indicazione proveniente dalle fonti sopra menzionate), ma nel più vasto lago italiano. Innanzitutto, il lago ed i punti di rinvenimento si collocano, geograficamente, sotto la `giurisdizione' del FACHINI. Quanto al fatto che al CALORE ed all'ALEANDRI non fosse stata fornita un'indicazione topograficamente precisa, esso si spiega agevolmente con l'impostazione assolutamente esclusivistica adottata dal FACHINI nella gestione della cellula veneta. Anche dopo il suo ingresso nell'area di Costruiamo l'Azione-M.R.P., egli continuò a gestire in modo personale i contatti con i componenti della cellula veneta, al punto che -come si è visto trattando altro argomento- tutto il materiale di Costruiamo l'Azione destinato all'Italia settentrionale doveva passare necessariamente per le sue mani. Il fatto di considerare proprio `feudo' la cellula veneta e le sua risorse comportava per il FACHINI, coerentemente, che la chiave d'accesso all'arsenale dovesse rimanere riservata al `leader' ed ai suoi fedelissimi veneti. Non a caso, all'individuazione dell'arsenale subacqueo si è pervenuti soltanto grazie alle informazioni indirettamente provenienti dal neofascista veneto Dario FIGNAGNANI.


Osserva ancora il Collegio che il recupero di materiale bellico dal fondo di un bacino idrico è operazione assai delicata, ma tecnicamente realizzabile; e che la lunga permanenza in acqua di ordigni bellici non necessariamente ne comporta l'inutilizzabilità. Tanto discende anche dal parere scritto del Prof. Aurelio GHIO, perito di balistica ed esplosivistica, interpellato dalla stessa difesa del FACHINI. Si riporta di seguito, nelle parti che interessano, il parere in questione (340): "...Premetto che il recupero di `proiettili' -e quindi si intende munizionamento inesploso impiegato dalle artiglierie terrestri o bombe lanciate da aeroplani- prevede


- il disinnesco delle stesse


- lo svuotamento ed il recupero della carica di scoppio.


Che nel caso non si può parlare di `cariche di lancio' bensì solo ed unicamente di cariche di scoppio.


Il disinnesco non è operazione per dilettanti. Sappiamo tutti quanti artificieri sono rimasti uccisi pur avendo pratica di questo tipo di lavoro.



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(340) - Parere inserito nel corpo di note d'udienza dell'Avv. BEZICHERI (cfr. vu 14/6/88, pp. 28-30).


Il recupero poi se in acqua prevede idonea attrezzatura non


solo per il ritrovamento (metal detector, ecc.) ma altresì per il sollevamento dal fondo.


Tutte operazioni cioè complesse, delicate che non si possono eseguire senza adeguatapreparazione, cognizione, esperienza...


...c) - per il recupero vale quanto già detto: sono fin stati fatti dei films sulla pericolosità del recupero stesso e sulle varie tecniche. Quindi nozioni specifiche sulle singole `spolette', sui congegni interni delle stesse, attrezzatura per il recupero da fondali (in massima le munizioni sono immerse nel fango del fondo quindi appositi strumenti rivelatori), e tutta la attrezzatura per il recupero fisico del munizionamento. Sovente sono di peso notevole specie quelle di aereo e ne consegue una macchinosità del recupero. Infatti i `tecnici' non le recuperano ma le fanno esplodere sul posto.


d) - lo stato di conservazione varia molto dall'ambiente, dall'involucro (se sottile o meno) dall'impatto che pur senza esplosione può aver incrinato l'involucro, ecc. Si hanno peraltro munizioni con polveri ben conservate anche dopo decenni in quanto il caricamento avviene con particolari cure ed in massima per compressione o per fusione sia si tratti di tritolo che di T4 flemmatizzato.


In sostanza: tutto si può fare. Basta esserne capaci, avere la attrezzatura e la tranquillità necessarie. Ma non è cosa semplice.


Si potrebbe scrivere dei romanzi e fare tutte le illazioni che si vogliono. Ma un conto è fare dei progetti su carta un conto è la pratica.


Ripeto: tutto si può fare ma all'atto pratico -e basta pensare le `prove' che si devono fare per vedere se l'esplosivo è ancora attivo- è cosa assai complicata..."

Che l'operazione di recupero sia tecnicamente realizzabile, con riferimento allo specifico contesto che qui viene in considerazione, è poi dimostrato -come si è avuto modo di vedere poco sopra- dall'avvenuto recupero, ad opera dei Carabinieri subacquei, di due proiettili di mortaio nello specchio d'acqua antistante il forte di San Nicolò di Riva.

Né mancavano al FACHINI preparazione ed esperienza adeguate

in materia esplosivistica.


Si pensi poi che lo stesso gruppo FIORAVANTI, dotato di esperienza, mezzi ed organizzazione di livello assai inferiore rispetto alla cellula veneta, era stato in grado di realizzare operazioni analoghe. Così Cristiano FIORAVANTI (341): "Di procacciamento di esplosivo posso solo dire che gli attentati fatti dal nostro gruppo (tre al PSI uno al PCI-zona Alberone) furono fatti con esplosivo procurato nei seguenti modi: con balestite granulare ricavata da proiettili di contraerea pescati in più riprese nell'estate e inverno 1979 a Ponza su un relitto di nave americana. Mio fratello provvedeva a predisporlo ed a preparare l'ordigno che esplodeva con semplice miccia. A pescarlo provvedevamo io, mio fratello, ALIBRANDI e TIRABOSCHI..."


Non soltanto dunque l'esplosivo veniva ripescato, ma, a dispetto dell'ambiente e del tempo trascorso, si era conservato in condizioni tali da poter poi essere utilmente impiegato in una serie di attentati dinamitardi.




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(341) - EA, V10/a-3, C140 bis, p10.


2.1.2.8.3) L' `avvertimento' del FACHINI a Jeanne COGOLLI


Si è dato conto, sub 1.5.9) ed 1.6.3), rispettivamente delle dichiarazioni rese da Mauro ANSALDI al Procuratore della Repubblica di Torino il 28/10/1982, e dallo stesso ANSALDI e da Paolo STROPPIANA al Giudice Istruttore del presente procedimento il 9/5/1983, in merito all'incontro avvenuto prima della strage tra Massimiliano FACHINI e Jeanne COGOLLI.


Va segnalato che sia l'ANSALDI che lo STROPPIANA (342), nel dicembre '85, ebbero a confermare all'Istruttore le dichiarazioni precedentemente resegli sul punto.


Nel dicembre del 1984 erano stati sentiti anche nel procedimento cosiddetto `della calunnia': ed in quella sede avevano reso dichiarazioni (343) sostanzialmente in linea con le precedenti.


In giudizio, mentre lo STROPPIANA non ha avuto indecisioni nel confermare (344) quanto già dichiarato sull'episodio, l'ANSALDI (345) ha introdotto qualche elemento di


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(342) - Cfr., rispettivamente, EA, V10/a-5, C230 bis, p5, ed EA, V10/a-5, C226 bis, p14.
(343) - Cfr., rispettivamente, Cal., V5, C4, pp. 5-6, e Cal., V5, C54, pp. 3 verso e 4 recto.
(344) - Cfr. vu 19/11/87, pp. 58-59.
(345) - Vfr. vu 18/11/87, pp. 49 ss.


confusione. Ma si tratta di titubanze che non scalfiscono il nucleo delle sue dichiarazioni. Infatti, è vero che l'ANSALDI ha affermato di non essere in grado di precisare se il FACHINI -secondo il racconto della COGOLLI- avesse detto alla donna che sarebbe potuto "succedere" o che sarebbe potuto "succederle" qualcosa; ma ciò, a ben vedere, non introduce alcun dubbio circa il vero contenuto del messaggio trasmesso dal FACHINI alla COGOLLI; non dà adito ad interpretazioni alternative rispetto all'unica plausibile, cioè a quella dell'amichevole avvertimento ad allontanarsi per tempo, onde evitare di rimanere coinvolta negli arresti degli estremisti di destra che sarebbero verosimilmente seguiti alla strage. Quale che sia stata l'espressione letterale adottata, essa non poteva suonare come minaccia: ciò resta escluso dalla conferma (346), da parte dell'ANSALDI, del contenuto complessivo del discorso fattogli dalla donna. E quel discorso era tale per cui, se anche l'espressione usata fosse stata "succederle", essa non avrebbe potuto riferirsi che alle conseguenze, per

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(346) - Cfr. vu 18/11/87, p72.


l'interlocutrice del FACHINI, dell'ondata di repressione
in danno dei militanti della destra che sarebbe eventualmente scaturita dall'attentato.

Le dichiarazioni dell'ANSALDI e dello STROPPIANA sono dunque tra loro coerenti ed idonee a corroborarsi a vicenda. Non appaiono dettate da intenti gravatori nei confronti del FACHINI: manca, nel generico avvertimento attribuito all'imputato, ogni riferimento diretto alla strage, che pure, da chi avesse velleità calunniatorie, o, comunque, la volontà di forzare la mano, avrebbe potuto essere inserito nel riferire il racconto della COGOLLI. Non deve sfuggire che l'ANSALDI, anche nel dar conto dei commenti della donna a proposito dell'episodio, anziché caricare le tinte, ebbe ad esprimersi in termini alquanto distaccati, riferendo semplicemente aver ella detto che avevano trovato conferma certi sospetti, suoi e dello ZANI, in ordine alle responsabilità per la strage.


Neppure si può dire che le dichiarazioni in esame siano viziate da un sospetto `volontarismo': l'ANSALDI, lungi dal mettersi in contatto con i giudici bolognesi che indagavano sulla strage, per rilasciare clamorose rivelazioni in vista di benefici processuali, disse quanto sapeva, per la prima volta alla fine del 1982, rispondendo ad una specifica domanda del PUBBLICO MINISTERO di Torino, che lo interrogava su delega del Giudice Istruttore di Roma. Quest'ultimo provvide poi a trasmettere gli atti, ai sensi dell'art. 165 bis C.P.P., al Giudice Istruttore del presente procedimento. Lo STROPPIANA fu in seguito sentito sui fatti in esamesolo in quanto indicato dall'ANSALDI.


Si è messa in risalto la circostanza che i due hanno subito un periodo di carcerazione comune: ora, a meno di non cedere alla logica del `post hoc, ergo propter hoc', non è dato in alcun modo, in assenza di diversi concreti elementi in merito, far discendere da un fraudolento accordo la conferma che alle dichiarazioni dell'ANSALDI è venuta da parte del suo ex sodale.


Si è fatto leva su due ulteriori circostanze. Nelle prime dichiarazioni, rese al PUBBLICO MINISTERO di Torino, l'ANSALDI aveva riferito che -secondo il racconto della COGOLLI- destinatario dell'avvertimento era stato anche Fabrizio ZANI, che sarebbe stato presente in occasione dell'incontro con il FACHINI. Ora, è risultato che lo ZANI nei mesi a cavallo della strage era detenuto (347). Osserva la Corte che non soltanto non v'è più traccia della presenza dello ZANI all'incontro con il FACHINI nelle dichiarzioni dell'ANSALDI successive alle prime, ma che la circostanza in questione non compare nei verbali dello STROPPIANA. Poiché l'ANSALDI ebbe rapporti di frequentazione di apprezzabile durata con la COGOLLI e lo ZANI, dagli stessi ricevendo numerose confidenze, è comprensibile che le prime dichiarazioni al PUBBLICO MINISTERO di Torino in ordine alla presenza dello ZANI siano state frutto della sovrapposizione di due diversi ricordi, ovvero che, richiamando alla memoria i fatti, l'ANSALDI, prima di mettere meglio a fuoco i suoi ricordi, abbia fatto confusione, per esser stato lo ZANI presente in occasione del racconto della donna (si è visto che era presente quando lo STROPPIANA ne chiese conferma dopo qualche tempo).




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(347) - Cfr. AAD, V4, C31, p3. La circostanza era stata prontamente rilevata dal PUBBLICO MINISTERO: cfr. RI, C4, p280.


La seconda circostanza sulla quale si è fatto leva (348) riguarda un particolare riferito dall'ANSALDI al Procuratore della Repubblica nel procedimento `della calunnia'. Dopo aver ripreso il racconto dell'avvertimento, l'ANSALDI nell'occasione soggiungeva (349): "...Fu così che COGOLLI mi disse di avere lasciato precipitosamente la sua abitazione e di essersi nascosta con NALDI, per un breve periodo, in una cascina molto fredda perché priva di riscaldamento, ubicata in una campagna emiliana..." Dell'allontanamento del NALDI e della COGOLLI da Bologna si dirà in prosieguo. Qui si osserva come si debba ritenere che il particolare dell'aver la COGOLLI trovato rifugio nella cascina e l'ulteriore particolare dell'esser la cascina stessa fredda perché priva di riscaldamento non fossero collegati tra loro nel racconto della donna, nel senso che costei non poteva aver indicato il soggiorno estivo come in qualche modo caratterizzato dall'assenza di riscaldamento. E in effetti, a ben vedere, l'ANSALDI non dice che la COGOLLI gli abbia riferito d'aver

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(348) - Cfr. appunti dell'imputato FACHINI inseriti nelle note difensive 22/6/88 dell'Avv. BEZICHERI, in vu 22/6/88, p413.
(349) - Cal., V5, C4, p5 recto.


sofferto il freddo in quell'occasione. L'incongruenza è
quindi, verosimilmente, soltanto apparente: e tale apparenza
deriva dalla giustapposizione, nel verbale, di due particolari logicamente scollegati. Ma se pure l'ANSALDI avesse inteso porli in relazione ed indicare quindi il soggiorno emiliano di piena estate funestato dal freddo, ciò, lungi dal incidere negativamente sulla sua credibilità, finirebbe paradossalmente per rafforzarla. Si intende dire che la grossolanità dell'incongruenza dimostrerebbe non esser stato affatto il racconto predisposto `a tavolino' con fini calunniatori, ma esser lo stesso invece frutto della meccanica ed acritica narrazione di circostanze effettivamente apprese dalla fonte indicata. Sarebbe tale incongruenza garanzia di genuinità, anche perché presente in dichiarazioni rese ad oltre due anni di distanza dalle prime, quando, cioè, chi fosse stato animato dall'intento di appesantire maliziosamente le proprie rivelazioni, aggiungendo particolari, avrebbe avuto tutto il tempo per non incorrere in banali incidenti di percorso.


E' a chiedersi a questo punto se sia verosimile che la COGOLLI possa aver fatto determinate confidenze all'ANSALDI ed allo STROPPIANA. Di ciò non sembra sia ragionevole dubitare, atteso il rapporto di conoscenza e frequentazione all'interno degli ambienti dell'eversione neofascista (350); rapporto protrattosi per vario tempo, dopo che lo STROPPIANA e l'ANSALDI, referenti torinesi del FIORE e dell'ADINOLFI, ebbero provveduto, per incarico di costoro, nell'autunno del 1981, a far rimpatriare lo ZANI e la COGOLLI dalla Francia (351).


Alla stregua di quanto precede -e nonostante la scontata smentita proveniente dalla COGOLLI e dallo ZANI, delle cui ragioni si dirà in prosieguo- resta dunque provato che: agli inizi dell'82 la COGOLLI rivelò all'ANSALDI d'esser stata amichevolmente avvertita dal FACHINI, in epoca prossima alla strage, di allontanarsi da Bologna, per evitare noie, dal momento che sarebbe dovuto accadere `qualcosa di grosso'; l'ANSALDI, dal canto suo, mise lo STROPPIANA a parte di tale

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(350) - La stessa COGOLLI ha dovuto ammettere d'aver conosciuto l'ANSALDI e lo STROPPIANA: cfr. vu 17/12/87, p40. E lo ZANI, dal canto suo, ha riferito non soltanto d'averli frequentati nell' '81-'82, ma d'aver con loro parlato del FACHINI: cfr. vu 11/2/88, p17. (351) - EA, V10/a-5, C226 bis, p3.


confidenza; di lì a qualche tempo, lo STROPPIANA, presente


lo ZANI, chiese alla COGOLLI la conferma di quanto la donna aveva precedentemente riferito all'ANSALDI, e si sentì rispondere "che era tutto vero".


Ci si deve ora chiedere se la COGOLLI potesse aver

effettivamento ricevuto l'avvertimento dal FACHINI e se ella, comunque, non abbia inteso porre l'odierno imputato in cattiva luce presso i due militanti torinesi di Terza Posizione, inventando di sana pianta l'episodio dell'avvertimento. Che all'epoca della strage di Bologna la COGOLLI potesse aver già maturato una sorta di avversione politica -interpretata dall'ANSALDI come vero e proprio odio- nei confronti del FACHINI, in quanto rappresentante della `vecchia destra', è certamente possibile. Peraltro, la donna e lo ZANI erano confluiti soltanto da poco in Terza Posizione, e, poiché negli anni precedenti avevano avuto rapporti con personaggi dell'area da cui venivano in qualche modo prendendo le distanze, è del tutto naturale e, quindi, perfettamente credibile, che con costoro mantenessero rapporti, almeno a livello personale. E' bene ricordare in proposito che la COGOLLI, per conto di Massimiliano FACHINI, aveva provveduto a diffondere il giornale `Costruiamo l'Azione'. In giudizio, la donna aveva significativamente negato d'aver conosciuto il FACHINI (352) e di aver diffuso il giornale (353). Poi, posta di fronte a talune dichiarazioni rese in proposito dall'odierno imputato in sede di interrogatorio dibattimentale (354), ebbe a dichiarare quanto segue (355): "...io non posso che confermarle quanto ho detto prima, ossia, io non ho mai distribuito il giornale e perlomeno....posso aver incontrato questa persona senza sapere che era lui, però....secondo me può essere avvenuto soltanto in occasione di comizi o conferenze..." Il FACHINI è, sul punto, fonte assolutamente insospettabile, dal momento che avrebbe avuto tutto l'interesse a negare ogni rapporto di conoscenza e collaborazione con la COGOLLI. Eppure costei, anche così smascherata e pur mostrando l'affanno, si sforza di non ceder terreno.



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(352) - Vu 17/12/87, p39.
(353) - Vu 17/12/87, p40.
(354) - Per la sintesi dell'interrogatorio dibattimentale dell'imputato, cfr. supra, sub 1.11.4.1).
(355) -Vu 17/12/87, p43.


Non deve sfuggire che anche lo ZANI, davanti a questa Corte,

ha negato (356) recisamente che la COGOLLI (357) abbia mai distribuito della stampa per conto del FACHINI o su suo incarico.


La COGOLLI e lo ZANI mentono spudoratamente, per allontanare dalla donna il sospetto della persistenza di contatti operativi -in epoca relativamente vicina alla strage- con coloro che, nel gergo delle nuove generazioni dell'eversione neofascista, vengon definiti `vecchi tramoni'. Senonché, per avere la misura dell'inserimento della COGOLLI in certi ambienti, occorre por mente al fatto che ella potrebbe esser stata raccomandata al FACHINI, quale possibile distributrice di Costruiamo l'Azione, nientemeno cheda Paolo SIGNORELLI (358).
La preoccupazione che spinge la COGOLLI e lo ZANI a negare
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(356)- Cfr.vu11/2/88,pp.17-18. (357)- I rapporti fra la COGOLLI e lo ZANI sono assai stretti: o di coniugio, o -in libertà- di convivenza.
(358) - Si è visto -sub 1.11.4.1)- che il FACHINI, nell'interrogatorio dibattimentale, ha riferito che il nominativo della COGOLLI gli fu fornito dal SIGNORELLI o da altri. Visto che la conoscenza avvenne nell'ambito dell'esperienza di Costruiamo l'Azione, gli "altri" erano comunque persone vicine al SIGNORELLI. Ad ogni buon conto, ai fini che qui rilevano, decisivo è il fatto che -secondo lo stesso FACHINI- l'indicazione potrebbe essere venuta, appunto, da Paolo SIGNORELLI.


il ruolo di distributrice del giornale ed i contatti all'uopo avuti dalla donna con il FACHINI impone ai due, a maggior ragione -se l'episodio dell'avvertimento ha avuto realmente luogo- di sostenere con decisione la falsità di quanto riferito dall'ANSALDI e dallo STROPPIANA a proposito


del racconto che questi ultimi avrebbero ricevuto. E la preoccupazione in tanto si acuisce, in quanto l'episodio dimostra che, all'epoca della strage, non erano ancora stati recisi definitivamente i legami con determinati ambienti.


Conclusivamente: la verosimiglianza del fatto che il FACHINI,in ossequio a pregressi e non remoti legami, possa aver dato alla COGOLLI il noto avvertimento si misura sui collegamenti operativi certi fra il FACHINI e la donna all'epoca di Costruiamo l'Azione, nonché sul fatto che la COGOLLI godeva di favorevoli referenze da parte del SIGNORELLI o di persone a lui vicine; e riceve conforto dallanegativadello ZANI e della COGOLLIsulpunto:negativa


che offre la spiegazione dell'interesse -certamente maggiore- ad escludere anche la circostanza dell'avvertimento.


Si potrebbe ancora sostenere che l'episodio, pur verosimile, non è accaduto, ed il racconto della COGOLLI all'ANSALDI ed allo STROPPIANA fu frutto del malanimo della donna verso il

FACHINI: malanimo che sarebbe maturato nel periodo di avvicinamento agli ambienti di Terza Posizione.
L'ipotesi è del tutto inattendibile, giacché, ove si fosse trattato di diffondere nell'ambiente dell'eversione neofascista notizie calunniose sul conto del FACHINI, non si vede perché si sarebbe fatto ricorso ad un espediente così indiretto, che, isolatamente considerato, a ben vedere, stava a dimostrare soltanto che il FACHINI era preventivamente a conoscenza della programmazione dell'attentato.


Ma v'è molto di più: Jeanne COGOLLI lasciò precipitosamente Bologna poco prima della strage..


Così Elio NALDI ai Carabinieri, il 4/8/1980 (359): "Sono fratello di NALDI Mario Guido, nato a Bologna, con me residente. Mio fratello, Mario Guido, in atto si trova in Corsica, almeno così ha detto che andava con mia madre; poi

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(359) - EA, V10/a-1, C17, p1.


si sarebbe diretto in Francia.


Mio fratello è partito Sabato Mattina 2/8/1980 all'alba a mezzo di autostop e per quanto mi risulta è partito insieme ad un suo vecchio amico tale MANCINI Claudio da Bologna via Scipione del Ferro n. 13 e credo insieme ad una amica a nome COGOLI Giovanna da Bologna.


Mio fratello è partito attrezzato con zaino di colore verde militare e tenda; sconosco come egli sia vestito in quanto al momento della sua partenza io dormivo.


Credo che faccia rientro in Bologna per la fine del mese di Agosto.


A.D.R. l'appartamento occupato da me e mio fratello è composto da due camere tinello e cucina e vi abitiamo da circa due mesi; periodicamente mio fratello riceve amici e amiche nella sua stanza tra questi suppongo che riceva anche la COGOLI Giovanna.


A.D.R. Conosco la COGOLI Giovanna solo di vista avendola incontrata solo due volte..."


Il teste, il 22/1/1985, al Giudice Istruttore (360):

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(360) - EA, V10/a-1, C17, pp. 2-3.


"A.D.R.: In effetti, così come dichiarai ai CC 4/8/80, mio fratello, Mario Guido, partì da Bologna sabato mattina 2/8/80 all'alba.


Ciò fece insieme al suo amico Claudio MARTINI, col quale si recò in vacanza in Corsica. Dissi ai CC. che ritenevo fosse partita insieme a mio fratello anche la sua amica COGOLLI Jeanne. Ciò perché in quel periodo la COGOLLI dormiva, anzi aveva dormito, in casa nostra perché il suo ragazzo ZANI Fabrizio era detenuto in San Giovanni in Monte. Per tale ragione avendomi mio fratello detto che partiva con una ragazza pensai che fosse partito con la COGOLLI.


So invece che la COGOLLI non partì con mio fratello.


Infatti qualche giorno dopo il mio esame dinanzi ai Carabinieri, essendo stata disposta una perquisizione in casa, mi misi in contatto con mio fratello...il quale mi disse che era partito insieme a Claudio MARTINI ed a due ragazze Sofia e Fiorenza da me non meglio conosciute." (361) "Se non ricordo male la COGOLLI lasciò la nostra abitazione il giorno in cui ZANI Fabrizio fu scarcerato...


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(361) - Le due donne, comparse avanti a questa Corte, hanno confermato la circostanza: cfr. vu 12/12/87. pp. 30 ss. e 35 ss.


...A.D.R.: Durante il periodo in cui la COGOLLI rimase nostra ospite io la vedevo anche il sabato e la domenica e non mi risulta che viaggiasse fuori Bologna. Va detto però che io stavo fuori dalla mattina alla sera lavorando anche 15 ore al giorno e quindi spesso non la vedevo neppure..."


In giudizio, la deposizione di Elio NALDI, dopo la conferma sia delle dichiarazioni rese ai Carabinieri che di quelle rese all'Istruttore (362), si è così sviluppata (363): "...L'Avv. BEZICHERI: `se la Giovanna COGOLLI ha pernottato e si è fermata nella loro abitazione solo nel periodo in cui aveva bisogno di fermarsi a Bologna per andare a trovare Fabrizio ZANI in carcere.' Il teste: `che io ricordi sì, perché ricordo che lei dormiva lì perché la mattina andava a San Giovanni in Monte. Io la vidi un paio di volte prima perché frequentava mio fratello così, però non so se la vedeva spesso o meno. Io l'ho vista un paio di volte. Poi, quando ho visto che dormiva in casa, era perché aveva detto che andava a trova" (sic) "Fabrizio che era a San Giovanni in Monte.' Il Presidente: `glielo aveva detto lei o suo

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(362) - Con la sola precisazione che il cognome del compagno di viaggio del fratello era "MANCINI".
(363) - Vu 23/11/87, p17. fratello?' Il teste: `no, l'ha detto mio fratello'. L'Avv. BEZICHERI: `se ricorda quale è stato il periodo in cui la COGOLLI si fermò presso la loro abitazione per andare a trovare Fabrizio ZANI in carcere.' Il teste: `potrebbe essere stato ottobre-novembre, adesso di preciso non ricordo.' L'Avv. BEZICHERI: `dell'anno?' Il teste: `del 1980.'..."


Osserva la Corte: l'idea che la COGOLLI fosse partita assieme a Mario Guido NALDI poté esser suggerita al fratello di costui soltanto da un soggiorno della donna in casa NALDI nel periodo immediatamente precedente la strage. E non e possibile che il teste abbia fatto confusione, riferendo al periodo di fine luglio-inizio agosto un precedente soggiorno della COGOLLI, in occasione di un periodo di detenzione dello ZANI in Bologna. Infatti, l'ultimo periodo di carcerazione patito da Fabrizio ZANI in Bologna prima dell'attentato si viene a collocare fra il 15 ed il 20 maggio 1980 (364) e precede quindi la strage di oltre due mesi. Le prime dichiarazioni del teste sono di due giorni soltanto posteriori all'attentato. E' ben possibile -come




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(364) - Cfr. AAD, V4, C31, p4.


traspare dalle parole di Elio NALDI- che questi non incrociasse la donna anche per vari giorni, durante i periodi in cui la stessa alloggiava nella camera di Mario Guido. Ed è quindi possibile che, alla data del 2 agosto, la COGOLLI si fosse allontanata già da qualche giorno, senza che il teste se ne fosse accorto, al punto da essere indotto a crederla partita la mattina del 2 assieme a Mario Guido. Ma non è ragionevolmente sostenibile che, soltanto 48 ore dopo la partenza del fratello, Elio NALDI possa aver posto tale partenza in relazione con un soggiorno della COGOLLI di oltre due mesi precedente. Un simile appiattimento della prospettiva diacronica del ricordo è invece giustificabile soltanto ad anni di distanza e spiega le successive dichiarazioni del teste.


Le prime dichiarazioni di Elio NALDI sono di estrema importanza, perché rappresentano anche l'unica testimonianza raccolta sulla partenza da Bologna di Mario Guido nell'immediatezza dei fatti: dunque, in epoca non sospetta. Orbene, il teste riferì essere il fratello partito all'alba del 2 agosto, ed ha poi sempre confermato la circostanza. Dell'indicazione, puntuale e proveniente da persona che non si ha certo motivo di ritenere sfavorevolmente orientata nei confronti di colui sul cui conto è chiamata a deporre, non è dato in alcun modo dubitare. Chi ricorda male è dunque la teste IORI Fiorenza, una delle compagne di viaggio di Mario Guido NALDI, la quale, escussa in istruttoria per la prima volta il 15/11/1985 (365), non ebbe a precisare l'orario della partenza, e soltanto in giudizio (366), a distanza di oltre sette anni dai fatti, ha indicato le ore 8 e 3/4 - 9.


Quanto poi a Mario Guido NALDI, si è visto che egli aveva riferito al CALIPATTI un orario ancora diverso (367). Ma su tale indicazione non è dato fare, evidentemente, alcun affidamento, provenendo essa da persona condizionata da varie ed opposte esigenze. Il NALDI, esponente dell'ultradestra legato a pericolosi terroristi, in contatto con quel Luca DE ORAZI coivolto nell'inchiesta sin dalle prime battute, aveva interesse, da un lato, a sostenere d'aver lasciato Bologna prima della perpetrazione dell'attentato, e, dall'altro, a collocare la partenza in

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(365) - EA, V10/a-6, C294, p9.
(366) - Vu 12/12/87, pp. 35-36. (367) - Cfr. supra, sub 1.1.3.3)


orario tale da non farla apparire precipitosa.


La partenza all'alba -che resta quindi provata attraverso la deposizione di Elio NALDI- non era legata ad esigenze di viaggio, pacifico essendo che il gruppo viaggiò in `autostop' sino a La Spezia e che il traghetto per la Corsica non era stato prenotato. Altre dunque erano le ragioni che avevano imposto la `levataccia'. E' lecito quindi supporre che il NALDI avesse urgenza di lasciare Bologna.


Non ci si potrebbe sospingere al di là delle ipotesi, se la precipitosa partenza non si inserisse coerentemente nel quadro sin qui passato in rassegna, ricevendone conforto, e corroborandolo a sua volta. Si intende dire che la
circostanza non può essere considerata e valutata se non unitamente a quella della partenza della COGOLLI da Bologna il 2 agosto o pochi giorni prima, e che entrambe debbono poi venire ad inserirsi -come parte essenziale del compendio- nella costellazione degli indizi a carico di Massimiliano FACHINI.


Prima di chiudere l'argomento, occorre soltanto rilevare come la circostanza dell'avvertimento lanciato dal FACHINI alla COGOLLI sia cronologicamente compatibile con gli spostamenti dell'imputato nel periodo a cavallo della strage.


Risulta dagli atti (368) che il FACHINI, fra il 26 luglio ed il 7 agosto del 1980, avrebbe alloggiato, con moglie e figlio, presso il campeggio `Riviera', sito in Ugento, in provincia di Lecce. Anche a prescindere dalla possibilità che il prevenuto, durante il periodo di soggiorno della famiglia in Puglia, sia risalito nel settentrione per uno o più giorni, va comunque rilevato che l'incontro con la COGOLLI in Bologna si può collocare, in data 26 luglio o prossima al 26 luglio, lungo il percorso fra Padova ed Ugento. Sin dal 9/5/1983, chiarendo le precedenti dichiarazioni, Mauro ANSALDI aveva affermato (369) quanto segue: "...In realtà la COGOLLI non mi disse con precisione quanto tempo prima del 2 agosto incontrò il FACHINI; ma ripeto mi disse di averlo incontrato `quasi casualmente' a Bologna prima della strage del 2 agosto 1980..."



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(368) - Cfr. RA, V2, C30, p2.
(369) - EA, V10/a-5, C230 bis, p3.


2.1.2.8.4) La testimonianza di Stefano NICOLETTI


Si tratta, in questa sede, di fare un semplice rinvio, essendo stato l'argomento esaminato sub 2.1.2.3.6) e 2.1.2.3.7). Occorre ricordare come dalle dichiarazioni, indubitabilmente genuine, del NICOLETTI, attinte da quella fonte di assoluta autorevolezza che si identifica in Edgardo BONAZZI, emerga la responsabilità del FACHINI, per essersi
egli affidato, per l'esecuzione del massacro, ai cosiddetti "ragazzini".


Quest'ultimo dato è di primaria importanza: il NICOLETTI, deliquente comune privo di spessore `politico' e di adeguate conoscenze del mondo dell'eversione, senza fornire indicazioni nominative circa i "ragazzini" e sapere a chi tale definizione si attagli (e dunque, indubbiamente, senza propositi gravatori nei confronti del FIORAVANTI e della MAMBRO), testimoniando oltre sei mesi prima dello SPARTI, introduce nel processo un preciso collegamento fra il FACHINI ed i due coimputati testé nominati. Invero, tenuto conto delle prove raccolte a carico del FIORAVANTI e della MAMBRO e dei collegamenti FIORAVANTI-FACHINI (dei quali si dirà `in sede materiae'), non è chi non veda in chi si identifichino i "ragazzini", tali qualificati per la differenza generazionale che li separa dal capo della cellula veneta. Il dato è singolarmente consonante con quello evidenziato sub 2.1.2.5.5), dove, nel dar conto di quanto il VOLO è venuto riferendo circa le allusioni che il MANGIAMELI faceva alla strumentalizzazione di giovani estremisti, addirittura di 16-17 anni, da parte di personaggi esperti per la perpetrazione di atti delittuosi, si è posto l'accento sul fatto che il CIAVARDINI, ospite del MANGIAMELI dopo la strage, ed il FIORAVANTI e la MAMBRO, suoi ospiti sino a pochissimi giorni prima dell'attentato, benché `militarmente' capaci, erano, rispetto a personaggi d'altra levatura, `politicamente' e anche anagraficamente dei `ragazzini'. Ma la consonanza non si limita a questo: perché, attraverso le parole con cui il VOLO è venuto, pur frammentariamente e reticentemente, riferendo quanto il MANGIAMELI gli diceva, è possibile ricostruire il filo unitario che, nelle confidenze del MANGIAMELI, con riferimento alla strage di Bologna, legava il FACHINI ed il SIGNORELLI ai "giovani estremisti". Il VOLO,in giudizio,


sentito in una veste che non lo vincolava alla verità storica, ha avuto cura -come s'è visto- di puntualizzare che


certi discorsi erano espressione di opinioni del MANGIAMELI, manifestate nel corso di chiacchierate informali. E già prima, in istruttoria, nel 1984, aveva sostenuto che il MANGIAMELI non gli aveva esternato precisi sospetti sul conto di chicchessia in ordine alle responsabilità per la strage di Bologna, limitandosi a sostenere la tesi della `strage di Stato'.


Ma nel 1980 aveva dapprima, nel settembre, affermato che l'amico sosteneva esser la strage opera dei servizi segreti diretta a provocare una reazione contro la destra e che il SIGNORELLI, il FACHINI e l'AFFATIGATO erano in effetti agenti dei servizi; poi, nel novembre, pur annacquando il contenuto delle affermazioni del MANGIAMELI col presentarle come espresse in forma suppositiva ed in occasione di letture di brani giornalistici in cui comparivano i nomi dei vari TILGHER, FACHINI, AFFATIGATO, aveva riferito di allusioni dell'amico all'infiltrazione, sui resti di Avanguardia Nazionale, di provocatori dei servizi segreti, che operavano attraverso la perpetrazione di gravi delitti, tra cui "forse anche la stessa strage di Bologna", nonché alla strumentalizzazione dei giovani estremisti da parte di personaggi esperti. Non era lecito aspettarsi di più dal VOLO, non solo comprensibilmente timoroso delle conseguenze delle proprie affermazioni, ma necessariamente ambiguo e reticente, per via del rapporto, allo stato degli atti non definitivamente chiarito, che lo legava al MANGIAMELI. Si tratta comunque di indicazioni di grande rilievo. Il MANGIAMELI nulla doveva apprendere dalla lettura dei giornali, e nulla doveva affidare all'immaginazione, per esser strettamente legato ad un responsabile della strage, che ospitò sino a pochi giorni prima dell'attentato, per essere legato altresì al SIGNORELLI (370) e per esser stato personalmente al centro del programma terroristico da cui la strage germogliò, assumendo poi caratteristiche tali che il MANGIAMELI venne da essa dissociandosi, al punto da rendersi inaffidabile e da dover essere eliminato. Il




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(370) - Cfr. infra, sub 2.2.5.2), nota (104).


MANGIAMELI riferiva dati di fatto di cui aveva qualificata e diretta conoscenza. Le dichiarazioni del VOLO vanno quindi idealmente depurate da ciò che egli vi ha inserito per stemperarne la valenza. Vanno altresì depurate dalla valutazione politica che vuole la strage come frutto dell'iniziativa dei servizi per provocare una reazione contro la destra. Non è chi non veda come, in tal modo, ponendo in collegamento il dato dell'attribuzione della responsabilità della strage a personaggi collegati ai servizi, quello del ruolo di agenti dei servizi attribuito al FACHINI ed al SIGNORELLI, nonché quello della strumentalizzazione dei giovani estremisti, le qualificatissime indicazioni provenienti dal MANGIAMELI attraverso il VOLO, appaiano, nella sostanza, significativamente sovrapponibili a quelle provenienti dal BONAZZI attraverso il NICOLETTI.


Si è visto ancora come già negli spezzoni di conversazione captati nel carcere di Ferrara alla fine dell'agosto 1980 si facesse dipendere l'enormità delle conseguenze dell'attentato dall'affidamento di taluno a dei "ragazzini".


Il peso dell'indicazione non va enfatizzato, giacché è ben possibile che con l'espressione "ragazzini" si intendesse alludere al DE ORAZI, perché lo si riteneva responsabile
della strage. Ma tale peso non va nemmeno sottovalutato. Infatti, se pure si è inteso alludere al DE ORAZI, resta comunque dimostrato che personaggi contigui alla banda armata oggetto di giudizio non trovavano affatto inverosimile, ma, al contrario -secondo le loro esperienza e conoscenze- perfettamente credibile che, all'interno del gruppo responsabile della strage, avessero cooperato diverse componenti generazionali: con il che l'assunto del concorso nella strage del FACHINI da un lato, e del FIORAVANTI e della MAMBRO dall'altro, riceve ulteriore, seppure indiretto e generico, conforto (371).



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(371) - Non altrettanto si può affermare, viceversa, con riferimento all'ulteriore indicazione rinvenibile in atti a proposito dei "ragazzini": vale a dire quella proveniente da Raffaella FURIOZZI. A prescindere dalla valutazione che di tale indicazione si farà in ordine alla posizione del TADDEINI da parte del giudice competente, nella presente sede, mentre è dato trarne -come si vedrà- argomento di prova a carico del FIORAVANTI e della MAMBRO, non è lecito inferirne alcunché a carico del FACHINI. E' vero peraltro, ai fini che qui rilevano, che l'esser il FIORAVANTI in ipotesi riuscito a "manovrare" i "ragazzini" TADDEINI e DE ANGELIS (aspetto sul quale la Corte non è chiamata a pronunciarsi) non contrasta in alcun modo con l'assunto del concorso nella strage del FIORAVANTI e del FACHINI. 2.1.2.8.5) Il ruolo del FACHINI nella banda armata ed il quadro d'insieme


Si è già detto altrove come dall'appartenenza di un


individuo ad una banda armata non sia lecito far discendere


automaticamente la responsabilità dello stesso per i singoli delitti riferibili all'organizzazione. Ciò è vero anche per chi, all'interno della formazione armata, occupi posizioni di vertice. E' peraltro indubitabile che tale posizione di vertice e lo svolgimento di un particolare ruolo

costituiscano, in capo al singolo, un indizio di per sé inidoneo a fondare alcun convincimento, ma da utilizzare necessariamente assieme agli altri specifici elementi

d'accusa, con valenza tanto più pregnante quanto più la gravità e le ulteriori caratteristiche del delitto da giudicare tendano ad individuare il delitto stesso come frutto di un'iniziativa maturata agli alti livelli decisionali dell'organizzazione ed a sue specifiche
componenti.


Ora, nel rilevare come la strage di Bologna rappresenti, in termini `militari', la massima e `politicamente' più impegnativa espressione della strategia della banda armata oggetto di giudizio (strategia su cui ci si dovrà soffermare `in sede materiae'), occorre anticipare quanto si verrà dimostrando in altra parte della trattazione: che in tale
banda, sinché essa ebbe vita, il FACHINI occupò, con continuità, una posizione di primissimo piano. Rivestì egli, più specificamente, il ruolo di capo gerarchico della cellula veneta o `gruppo del Nord'. Nella banda armata formatasi alla fine del 1979, investì il patrimonio di esperienze terroristico-eversive, di competenza esplosivistica, di capacità organizzative maturate negli anni precedenti, sino al 1978-1979, quando egli partecipò,
come ideologo, organizzatore, promotore di una campagna di attentati da non rivendicare, fornitore di esplosivo, alle vicende del gruppo coagulatosi attorno a Costruiamo l'Azione.


Tanto premesso, si osserva che la strage di Bologna rappresentava un fatto di gravità tale da comportare necessariamente una decisione a livello di `direzione strategica'; essa costituiva l'espressione più qualificata di una determinata strategia; richiedeva, per la sua natura

stessa, grande esperienza `militare'; non avrebbe potuto essere realizzata senza un'adeguata organizzazione ed i necessari supporti logistici. Si tratta di circostanze che,
unitariamente considerate, nel loro interagire, vengono evidentemente a riempire di contenuti pesantemente indizianti, rispetto al delitto di strage, quella posizione di vertice e quello specifico ruolo che il FACHINI -in virtù dell'esperienza, della competenza e della disponibilità di mezzi, delle quali si è fatto cenno e più ampiamente si dovrà dire- venne a svolgere all'interno dell'organizzazione armata.


In questo quadro indiziario si innestano coerentemente gli specifici elementi d'accusa esaminati nei paragrafi precedenti: elementi d'accusa che, per la valenza di ciascuno di essi e l'idoneità a corroborarsi vicendevolmente, in ragione dell'obiettiva convergenza, formano un compendio probatorio irresistibile.


2.1.2.9) Le dichiarazioni di Raffaella FURIOZZI


Si è ritenuto -nell'ordine della trattazione- discorporare quest'elemento di accusa dalle posizioni FIORAVANTI e MAMBRO -alle quali, per la parte che qui interessa, si riferisce- e di trattarne separatamente in questa sede, perché ci si trova di fronte ad un' acquisizione intervenuta all'esito dell'istruttoria e dopo l'emissione del mandato di cattura del dicembre 1985 nel quale aveva già preso corpo l'ipotesi accusatoria portata a giudizio: acquisizione che, compiute le necessarie valutazioni, si viene a porre quale ulteriore elemento di conforto rispetto ad un convincimento di colpevolezza già ampiamente giustificato dalle prove `aliunde' raccolte, valutate nel loro complesso e nel loro interagire logico.


E' venuta meno quello che si era presentato -subito dopo le dichiarazioni istruttorie della FURIOZZI- come il più serio motivo di perplessità in ordine all'attendibilità della donna. Cisiriferisce alle dichiarazioni (372)di Ivano BONGIOVANNI: costui, ristretto come l'IZZO nel carcere di

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(372) - Cfr. EA, V10/a-7, C311.


PALIANO,avevaattribuito al compagno di detenzione un progetto di evasione:progetto in cui si sarebbero inseriti strumentalmente degli ammaestramenti impartiti dall'IZZO alla FURIOZZI, la quale sarebbe stata imbeccata in ordine alle circostanze rivelate agli inquirenti bolognesi. La totale inaffidabilità del BONGIOVANNI emerge con ogni evidenza dall'aver egli reso, in un breve volger di tempo, fra l'aprile ed il maggio del 1986, una molteplicità di versioni diverse in ordine ai pretesi ammaestramenti (373). In aula, di fronte a questa Corte, il BONGIOVANNI ha approfittato della facoltà di non rispondere



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(373) - Cfr., rispettivamente, EA, V10/a-7, C311/1, p6; EA, V10/a-7, C311/1, p16; EA, V10/a-7, C311, p6. Nel corso dell'esame reso al Giudice Istruttore del presente procedimento, al BONGIOVANNI fu contestata (EA, V10/a-7, C311, p8) la molteplicità delle versioni fornite; egli ebbe a giustificarsi col dire che le contraddizioni erano "solo apparenti"; ma ciò contro evidenza: infatti, aveva dapprima riferito, al Direttore del Carcere di Paliano, d'aver anticipatamente saputo che l'IZZO e la FURIOZZI concordavano dichiarazioni atte a coinvolgere il MUSUMECI, il BELMONTE, il GELLI ed altri nei fatti criminosi più oscuri del recente passato; poi, al PUBBLICO MINISTERO di Roma, che l'IZZO non gli aveva precisato cosa la FURIOZZI dovesse rivelare ai giudici di Bologna; infine, al Giudice Istruttore del presente procedimento -ad un mese di distanza dalle prime dichiarazioni e dopo esser stato già più volte sentito in altre sedi- d'aver, saputo, in anticipo rispetto alle dichiarazioni della FURIOZZI, che costei, su suggerimento dell'IZZO, avrebbe dovuto dire d'aver appreso dal MACCIO' che la strage era stata commessa dal FIORAVANTI, dalla MAMBRO e da altri.


all'interrogatorio (374). Va segnalato che, con sentenza di primo grado in data 1/7/1986 (375), il Tribunale di Frosinone non soltanto ha assolto l'IZZO, la FURIOZZI ed altri dalle accuse relative ad un precedente tentativo di evasione loro attribuito dal BONGIOVANNI, e risalente al dicembre 1985-gennaio 1986, ma, con specifico riferimento al progetto della primavera 1986, nell'ambito del quale sarebbero state costruite a tavolino le rivelazioni in ordine alla strage, ha rilevato (376): "...stranamente il
BONGIOVANNI non è riuscito a fornire il benché minimo elemento di prova...il BONGIOVANNI nulla ebbe a dire di concreto sul 2° progetto di evasione che potesse guidare gli inquirenti nelle indagini..." E ancora (377): "...la segnalazione di tale secondo progetto, la cui imminenza tanto lo aveva spaventato, è assistita da così pochi elementi di prova da non consentire al P.M. neppure l'inizio delle indagini preliminari..."


Non occorre aggiungere altro, potendosi fare rinvio, per

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(374) - Cfr. vu 17/11/87, p223.
(375) - Cfr. vu 17/11/87, pp. 18-45.
(376) - Cfr. vu 17/11/87, p26.
(377) - Cfr. vu 17/11/87, p34.


ciò che riguarda il possibile movente del BONGIOVANNI alle lucide considerazioni svolte dall'Istruttore (378). Tanto premesso, va osservato che i rapporti FURIOZZI-MACCIO' erano certamente tali da giustificare la rivelazione, dall'uno all'altra, di notizie anche assai scottanti. Non soltanto i due erano sentimentalmente legati,ma militavano nella medesima organizzazione armata: al punto che la donna fu tratta in arresto a seguito del conflitto a fuoco con le forze dell'ordine nel quale il MACCIO' perse la vita (379).


Quanto poi all'esistenza di rapporti CAVALLINI-MACCIO' ed alla loro idoneità a spiegare il passaggio di confidenze dal primo al secondo, va segnalato come le dichiarazioni della FURIOZZI e dell'IZZO siano tutt'altro che prive di conforto in atti.Occorre osservare, in proposito, che il MACCIO', il quale capeggiava un gruppo collocantesi a cavallofra Terza Posizione e N.A.R.,dimorava in Milano da diversi anni. Orbene, non soltanto il CAVALLINI è di Milano, ma su quella piazza egli si trovò ad operare, nell'ambito dell'attività delittuosa da lui svolta in epoca



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(378) - Cfr. SO, pp. 747-749.
(379) - Cfr. RA, V12, C437, p8.


successiva alla strage e fino alla cattura, avvenuta appunto in Milano, nel settembre del 1983. L'estrazione politica e l'ambito territoriale di attività accomunano dunque significativamente il CAVALLINI ed il MACCIO'. Aggiungasi che quest'ultimo, per il ruolo egemone che rivestiva all'interno del gruppo di appartenenza (ove si trovava ad essere l'elemento politicamente più preparato), aveva titolo per entrare in rapporto con personaggio del prestigio e dello spessore terroristico del CAVALLINI. Non solo; va segnalato ancora che, assieme a Gilberto CAVALLINI fu arrestato anche Andrea CALVI. Orbene, è stato costui un militante milanese del Fronte della Gioventù, ove il MACCIO' ebbe un ruolo di primo piano (380).


In giudizio, le rispettive dichiarazioni istruttorie in ordine ai fatti riferiti dal MACCIO' alla FURIOZZI hanno trovato conferma da parte di quest'ultima (381) e di Angelo IZZO (382), che dalla donna tali fatti aveva appreso. In

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(380) - La FURIOZZI (EA, V10/a-7, C306, p2) ebbe a riferire che il MACCIO' era stato Vicesegretario del Fronte della Gioventù di Milano. La notizia risulta confermata in RA, V13, C427, pp. 8-9, ove si legge che il MACCIO' "risultava aver ricoperto cariche dirigenziali nel `Fronte della Gioventù' di Milano".
(381) -Cfr. vu 25/11/87, pp. 21-22.
(382) -Cfr. vu 25/11/87, p95.


aula, la FURIOZZI, lungi dal mostrare animosità o intenti gravatori nei confronti delle persone coinvolte dalle sue dichiarazioni, ha viceversa mostrato grande senso di
responsabilità, ribadendo puntigliosamente i limiti delle sue conoscenze e non facendo mistero del travaglio interiore generato dal confermare accuse di cui ella non conosceva la fondatezza, per aver appreso le notizie da persona deceduta (e quindi non in grado di confermarle), la quale, a sua volta le aveva attinte da altra persona. Un siffatto atteggiamento processuale è parso alla Corte ispirato ad accenti di sincerità e depone nel senso della genuinità delle dichiarazioni della donna.


Così valutate, le dichiarazioni della FURIOZZI, anche attraverso la conferma dell'IZZO, vengono a corroborare il quadro probatorio riferibile alla posizioni MAMBRO e FIORAVANTI, per essere esse coerenti con gli altri elementi d'accusa già altrove esaminati a carico di detti prevenuti; indirettamente, per via dell'interagire -di cui si è detto e si dirà- fra gli elementi raccolti a carico dei vari imputati di strage, le suddette dichiarazioni si riverberano sull'assunto accusatorio nel suo complesso.


2.1.2.10) Le dichiarazioni di Giuseppe RIZZO


Reputa la Corte di non dover utilizzare accusatoriamente la testimonianza di Giuseppe RIZZO di cui si è dato conto in narrativa, sub 1.9.4). Invero, ci si trova, per ciò che attiene alla valutazionedella testimonianza, in una situazione di insuperabile perplessità.


Depongono,`prima facie', nel senso della genuinità, le seguenti circostanze:


a) ilRIZZO non ha precedenti che autorizzino a ritenerlo un mitomane;


b) il suo contributo processuale, che lo esponeva ad evidenti quanto seri pericoli (si pensi all'accoltellamento subito dal VETTORE), non era finalizzato all'ottenimento di benefici, essendo il teste, nel marzo del 1986, ormai prossimo ad ottenere comunque la semilibertà;


c) le dichiarazioni, assai particolareggiate e complessivamente coerenti, hanno trovato conferma in dibattimento;


d)in occasione della deposizione istruttoria,il RIZZO, cui fu mostrata una serie di fotografie e fu richiesto di indicare se fra le stesse riconoscesse le sembianze di una o più persone incontrate nella villa ove lo condusse il MAZZIERI, dichiarò che gli sembrava di riconoscere il padrone di casa alternativamente nell'una o nell'altra di due fotografie, recanti l'immagine di persone fra loro alquanto somiglianti, una delle quali era effettivamente il SEMERARI (383);


e)è agli atti un rapporto (384), redatto ad opera del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Bologna, dal quale emerge-come si è visto- una serie di sorprendenti riscontri alle dichiarazioni del teste; ci si riferisce, fra le altre, alle seguenti circostanze:


- il MAZZIERI, per esser nativo di Osimo ed ampiamente pregiudicato, ben poteva aver conosciuto e frequentato il PICCIAFUOCO;


- il MAZZIERI ed il RIZZO subirono effettivamente, nel 1979, un periodo di comune detenzione nel carcere di

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(383) - Cfr. EA, V10/a-7, C309, pp. 7-8.
(384) - Trovasi in CP, C6.


Jesi;


- il RIZZO ed il RINANI patirono, nel 1985, un periodo di comune detenzione nel carcere di Rimini, e, per essersi succeduti nell'incarico di addetto alla biblioteca, "avevano avuto, benché si trovassero in sezioni talvolta diverse, varie possibilità di incontro";


- il SEMERARI era stato proprietario di una villetta che, per ubicazione e caratteristiche, poteva, con ragionevole approssimazione, attribuibile all'imprecisione del ricordo, corrispondere a quella di cui aveva riferito il RIZZO;


Agli elementi di valutazione passati in rassegna sembrano, in prima approssimazione, contrapporsene altri, di segno contrario e di notevole peso specifico; in particolare:


f) è alquanto inverosimile che il RINANI si sia lasciato andare a confidenze tanto compromettenti con un detenuto per reati comuni; si potrebbe obiettare che, se fosse veritiera la prima parte della deposizione RIZZO, il RINANI, per aver incontrato l'odierno teste nella villa del SEMERARI, avrebbe potuto scambiarlo per un camerata; senonché, dopo esser stato `scottato' dalla precedente esperienza delle rivelazioni fatte al VETTORE, ben difficilemente si sarebbe indotto ad indulgere ad ulteriori confidenze con qualcuno che non avesse l'autorevolezza del `commissario politico' Edgardo BONAZZI;


g) è poco verosimile la circostanza, riferita dal teste in giudizio (385), secondo cui egli ed il RINANI si sarebbero parlati non nell'intimità di un ambiente chiuso, ma, stando il RIZZO alla finestra della cella, ed il RINANI nell'area dei `differenziati', su cui la finestra si affaccia;


h) la deposizione, resa all'esito dell'istruttoria, ha la singolare quanto macroscopicamente sospetta caratteristica di coinvolgere in un'unica trama tutti i principali imputati già raggiunti dal mandato di cattura del dicembre 1985: vi compaiono il PICCIAFUOCO ed il RINANI, indicati come esecutori materiali della strage, assieme ad alcune altre persone, fra cui una donna

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(385) - Cfr. vu 29/1/88, p63.


coraggiosissima, che è fin troppo facile identificare; vi compare il FACHINI, indicato come il fornitore dell' esplosivo; e vi compare, ancora, il SIGNORELLI, che sarebbe stato frequentatore della carrozzeria di Milano frequentata anche dal CAVALLINI (nella quale si deve riconoscere la carrozzeria ove rimase ucciso il Brigadiere LUCARELLI);


i) mentre il RIZZO ebbe a dichiarare d'aver appreso dal RINANI che il PICCIAFUOCO, dopo la strage, si era sottratto all'arresto, andandosi a riparare su un'autoambulanza "della MUGELLO-PARMA", ha trovato smentita la circostanza che un automezzo con tale denominazione sia stato utilizzato per i soccorsi apprestati ai feriti della strage;


l)ha trovato smentita, attraverso un testimoniale (386) assolutamente corale, la circostanza della presenza del RINANI in Bologna la mattina del 2 agosto 1980.


Alla stregua di quanto precede, e tenuto conto, in particolare, del dimostrato alibi del RINANI per la mattina

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(386) - Cfr. vu 24/2/88, pp. 13-14 e 17-20.


del 2 agosto 1980, è ipotizzabile una molteplicità di antefatti della deposizione RIZZO, tutti possibili, anche se certamente non equiprobabili; è cioè possibile:


A) che il RINANI, avendo incontrato il RIZZO nella villa del SEMERARI, si sia poi effettivamente indotto a fargli determinate confidenze, con l'esclusione del particolare della sua partecipazione materiale all'attentato, in ordine al quale il RIZZO potrebbe esser stato tradito dalla memoria o animato da volontà gravatoria nei confronti del RINANI; si tratta di ipotesi poco probabile, non soltanto per le ragioni di cui sub f), g), ed i), ma perché difficilmente un cattivo ricordo -che avrebbe potuto giustificare l'indicazione del particolare di cui sub i)- sarebbe potuto cadere su una circostanza di primario rilievo, ed altrettanto difficilmente il RIZZO, entrato in possesso di notizie di tale importanza e risoltosia collaborare conla giustizia, vi avrebbe aggiunto un particolare falso, destinato a compromettere la credibilità dell'intera testimonianza;


B)che la testimonianza sia stata costruita a tavolino dal RIZZO: congettura ancora meno probabile, non solo per la
ragione indicata sub a), ma perché il teste, per la sua estraneità agli ambienti della destra eversiva, non sembra potesse essere autonomamente in possesso del patrimonio conoscitivo necessario per elaborare il racconto fatto al Giudice Istruttore;


C) che il contenuto della deposizione sia stato artatamente predisposto da terzi, animati da volontà gravatoria nei confronti degli odierni imputati, ed insufflato al RIZZO; in questo caso si tratterebbe in primo luogo di spiegare come e perché costui, prossimo ad ottenere la semilibertà, si sarebbe prestato al gioco; di spiegare ancora da chi e perché si sarebbero costruita a tavolino una testimonianza aggiuntiva -peraltro manifestamente sospetta per la ragione di cui sub h) e contenente indicazioni come quella di cui sub i)- contro imputati già raggiunti dal compendio probatorio che supportava il mandato di cattura del dicembre 1985; e si tratterebbe, infine, di ipotizzare che chi si muoveva dietro le quinte, conoscitore necessariamente profondo della posizione degli odierni imputati, ignorasse che il RINANI era in grado di smentire clamorosamente il teste in ordine alla circostanza del ruolo, al RINANI stesso attribuito, di esecutore materiale della strage; che questa possa esser stata la genesi della testimonianza è dunque ipotesi estremamente remota;


D) che il contenuto della deposizione sia stato artatamente predisposto da terzi, animati da volontà di intossicare le risultanze istruttorie; l'ipotesi ha il pregio di sciogliere l'apparente contrasto fra quasi tutte le circostanze indicate da a) ad l); troverebbero così spiegazione la natura particolareggiata della deposizione, la sua `tenuta' dibattimentale e la presenza di una serie di riscontri idonei a corroborarla, e, al tempo stesso, l'inserimento di circostanze volte a minare la credibilità della testimonianza, ivi compresa quella della ruolo asseritamente avuto dal RINANI in occasione della strage, destinata ad essere, all'occorrenza, clamorosamente smentita; il coinvolgimento di vari imputati in una trama unitaria sarebbe poi stato destinato, una volta caduta la testimonianza RIZZO, a lanciare ombre di dubbio e perplessità anche sulle acquisizioni genuine a carico dei prevenuti; si tratta di una ricostruzione tutt'altro che improbabile, allo stato degli atti contrastata soltanto dall'obiezione, peraltro non certamente insuperabile, relativa all'apparente mancanza d'interesse del RIZZO a farsi coinvolgere in una simile operazione;


E)infine, che il RINANI, avendo incontrato il RIZZO nella villetta del SEMERARI (il viaggio del RIZZO in compagnia del MAZZIERI si colloca nel periodo della pregressa latitanza del RINANI), ed avendolo reincontrato in carcere, si sia determinato -in ossequio alla strategia processuale di cui sub D)- a raccontare al compagno di detenzione i fatti negli identici termini in cui questi ebbe poi a riferirli al Giudice Istruttore; una simile scelta, per l'ipotesi che il RIZZO avesse assunto veste di testimone nel processo, sarebbe stata tesa a screditare anche la parte della sua eventuale deposizione relativa all'incontro nella villa del SEMERARI, ed, indirettamente, attraverso l'individuazione di un falso confidente del RINANI, ad ingenerare dubbi sulla testimonianza VETTORE; è questa una non improbabile genesi dellatestimonianza,allaquale è dato contrapporre la circostanza dicui sub g):obiezione tuttavia non insuperabile, atteso che la situazione ambientale descritta, se non era certamente la più idonea all'uopo, era comunque tale da consentire, a chi si comportasse con la dovuta circospezione e adottasse i necessari accorgimenti, lo scambio di notizie in forma riservata.


All'esito di questa rassegna, appare dunque assai più probabile, rispetto ad altre,la genesi della testimonianza RIZZO come tentativo di inquinamento, posto in essere personalmente dal RINANI, o da terzi rimasti ignoti. In inquest'ultimo caso, si tratterebbe -come si avrà occasione diverificare attraverso l'esame dei fatti relativi al delitto di calunnia- della reiterazione di un trito e tristo copione processuale. Ai fini che qui rilevano, va tuttavia osservato come l'attuazione di manovre intossicanti non si traduca necessariamente in una prova di colpevolezza a carico di coloro in favore dei quali le manovre sono poste in essere. Comunque, se pure le suddette manovre fossero provate in termini di certezza, la testimonianza RIZZO non potrebbe essere utilizzata in sé, per il delitto di strage, proprio perché, in tal caso, il teste (avendone o non la consapevolezza) sarebbe stato strumentalizzato. Potrebbe viceversa, nel caso di cui sub E) esser utilizzata a carico del RINANI per il delitto di partecipazione a banda armata (con riferimento all'incontro nella villa del SEMERARI).


Le ipotesi di cui sub B) e C), in quanto verificate, condurrebbero all'inutilizzabilità in senso accusatorio della testimonianza.


Le sole ipotesi ricostruttive che porterebbe ad utilizzare contro gli odierni imputati la deposizione del RIZZO sono dunque quella di cui sub A) e quella di cui sub E), ma limitatamente -quest'ultima- alla responsabilità del RINANI per il delitto del capo 2) della rubrica.


Peraltro, di fronte al ventaglio delle ipotesi prospettate, ed all'impossibilità, allo stato degli atti, di optare in termini di certezza processuale, per una specifica alternativa, resta quella situazione di insuperabile perplessità di cui si è fatto inizialmente cenno: al che deve conseguire la scelta di non utilizzare la testimonianza ai fini della decisione.


2.1.2.11) Il movente


L'individuzione del movente funge da ulteriore e chiarificatrice verifica del quadro accusatorio formato dagli specifici elementi di prova gravanti in capo agli imputati e passati in rassegna nei paragrafi che precedono.


Orbene, tale movente va individuato facendo riferimento al programma `politico-militare' della banda armata oggetto di giudizio: nel senso che la strage, come altri attentati, fu realizzata per dar esecuzione a quel programma, di cui rappresentò il momento di massima espansione. Si vedrà, `in sede materiae', come la banda armata perseguisse una strategia che era, al tempo stesso, di ricompattamento del frastagliato arcipelago e di riunificazione delle componenti vecchie e nuove dell'eversione neofascista (aspetto questo rilevabile dalla stessa composizione soggettiva della banda),di massima espansione militare -nell'ambito di un'ipotesi di lotta armata contro le Istituzioni che prevedesse la moltiplicazione degli obiettivi e la realizzazione di azioni via via più gravi- nonché, mediatamente, di condizionamento degli equilibri politici del paese. Tra i molteplici strumenti tattici idonei al perseguimento di siffatta strategia si collocava l'attentato,eclatante, anonimo, di carattere indiscriminato, idoneo ad evidenziare in maniera clamorosa la presenza operativa della destra eversiva, a proporre l'immagine di un'incontenibile potenzialità `militare', a prospettare le possibilità di successo della lotta armata, facendo conseguentemente accedere alla clandestinità gli indecisi, nonché, sull'altro versante, a sgomentare e disorientare l'opinione pubblica, a porre in difficoltà sempre maggiori gli apparati dello Stato, impegnati in indagini complesse ed estenuanti, a creare uno scollamento fra il corpo sociale e le istituzioni, diffondendo la sensazione della ingovernabilità del fenomeno con i mezzi ordinari. Restano così agevolemente identificate le causali della strage. Ve n'è certamente una ulteriore, che con esse si amalgama, inquadrandosi nel medesimo disegno. Si allude all'intento celebrativo, che ricollega l'attentato del 2 agosto 1980 alla strage del treno `Italicus': intento evidenziato dalla scelta di Bologna come città da colpire, di un obiettivo ferroviario, nonché della data del 2 agosto, che cadeva immediatamente a ridosso del 6° anniversario della strage dell' `Italicus' (risalente al 4/8/1974) ed attorno alla quale era previsto -e di fatto ebbe luogo- ildeposito del provvedimento conclusivo dell'istruttoria a carico di Mario TUTI, Luciano FRANCI e Piero MALENTACCHI (387).


2.1.2.12) Considerazioni e valutazioni conclusive


Resta dimostrato, in virtù di tutto quanto precede, il coinvolgimento degli imputati FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO e PICCIAFUOCO nella strage del 2 agosto 1980 e dei delitti di cui ai capi 4), 5), 6), 7) ed 8) della rubrica, nel procedimento n. 12/86 R.G.C.A.


In capo al FACHINI, sulla scorta degli elementi di prova a suo carico raccolti e passati in rassegna, è dato


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(387) - L'ordinanza di rinvio a giudizio fu emessa dall'allora Consigliere Istruttore dott. VELLA in data 31/7/1980 (cfr. AA, V9, C50, p107) e depositata il giorno stesso.


individuare un ruolo penalmente apprezzabile nella fase dell'ideazione, dell'organizzazione e della predisposizione
dei mezzi.


Valerio FIORAVANTI, Francesca MAMBRO e Sergio PICCIAFUOCO convennero alla stazione di Bologna. La loro presenza esime la Corte dall'individuazione del compito specifico da ciascuno svolto sul luogo del delitto -che non sarebbe comunque individuabile allo stato degli atti- poiché tale presenza `in loco' si spiega soltanto con un ruolo esecutivo dei suddetti tre imputati: invero, data la natura dell'operazione, a ridurre al minimo le possibilità di riconoscimento, si imponeva la presenza sul luogo dell'azione delle solo persone materialmente necessarie alla buona riuscita della stessa. Tanto basta ai fini dell'accertamento della penale responsabilità, essendo ogni ruolo esecutivo idoneo ad integrare la figura del concorso materiale. In concreto si intende dire che, essendo alternativamente attribuibili al FIORAVANTI ed alla MAMBRO -l'uno in funzione di copertura dell'altra o viceversa- il ruolo di corrieri dell'esplosivo ed al PICCIAFUOCO quello di collocatore materiale dell'ordigno, oppure a quest'ultimo il trasporto ed a quelli la collocazione dell'ordigno, ovvero al PICCIAFUOCO il compito del trasporto, al CIAVARDINI, al TADDEINI ed al DE ANGELIS (in quanto costoro -come si dovrà verificare in altra sede- siano stati presenti alla stazione di Bologna) quello della collocazione dell'ordigno, ed al FIORAVANTI ed alla MAMBRO quello della "copertura militare" (da intendersi come intervento armato per assicurare la ritirata ai complici in caso di imprevisti), ovvero ancora al PICCIAFUOCO il compito di controllore non visto dell'operato dei giovanissimi collocatori materiali (388), dopo l'allontanamento dalla stazione del FIORAVANTI e della MAMBRO non appena consegnato l'esplosivo, in ogni caso gli odierni imputati si troverebberoad aver posto in essere una condotta idonea ad integrare il concorso nel delitto di strage.


Va osservato, con specifico riferimento alla posizione della MAMBRO, che, anche a prescindere dallo svolgimento di una condotta strettamente operativa (la quale sola -come si è

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(388) - E'questo il ruolo attribuito al PICCIAFUOCO dal patrono di parte civile Avv. MONTORZI, in sede di discussione, all'udienza del 16/3/1988.


detto- giustifica la sua presenza alla stazione, ed è perfettamente in linea con la partecipazione materiale della donna ad innumerevoli altre azioni delittuose), la sua penale responsabilità sarebbe fuori discussione. Infatti, il


il FIORAVANTI e la MAMBRO, dal momento in cui si venne a formare il loro sodalizio terroristico ed esistenziale e fino al forzato scioglimento, non soltanto vissero un `curriculum' assolutamente parallelo, ma concorsero, con ruolo paritario, prima e dopo la strage, nell'ideazione, progettazione ed organizzazione di un'innumerevole serie di crimini di cui la loro carriera eversiva è costellata: ciò -una volta dimostrato che la donna fu comunque coinvolta nella strage- rende assolutamente impensabile che ella non abbia attivamente concorso, già nelle fasi prodromiche rispetto all'esecuzione, proprio al crimine che rappresenta l'espressione più pregnante della strategia della banda armata oggetto di giudizio. Comunque, l'esser la donna convenuta a Bologna assieme al FIORAVANTI, travestito per non esser riconosciuto, e l'essergli stata al fianco sul luogo del delitto -pur prescindendo da ogni concorso nelle fasi della progettazione ed organizzazione collocantisi a monte- dimostrerebbero non soltanto la previa conoscenza dell'azione delittuosa, ma anche la piena adesione alla stessa, così come già progettata. E in tal caso, la presenza della donna, proprio in quanto non le fossero stati affidati compiti materiali, avrebbe avuto l'unica evidente funzione di rafforzare il proposito criminoso del correo o dei correi, fornendo stimolo all'azione e maggior senso di sicurezza: esigenze psicologiche riconducibili all'efferatezza dell'impresa ed alla sua pericolosità, e specificamente destinate ad esser soddisfatte, nei confronti del FIORAVANTI, dal sentirsi costui appoggiato e non abbandonato, in un'impresa assolutamente eccezionale, da colei che rappresentava un sicuro punto di riferimento, per aver col FIORAVANTI stesso condiviso, in quel periodo, nel contesto di un legame sentimentale e in regime di comunione di vita, ogni esperienza umana, politica e criminale.


Vuole una consolidata giurisprudenza di legittimità che la presenza non casuale sul luogo del delitto integri la compartecipazione criminosa, quando sia dimostrativa dell'adesione all'azione e serva a rafforzare il proposito criminoso dei concorrenti (389).


Per ciò che attiene alla posizione del PICCIAFUOCO, doveroso essendo vagliare la sussumibilità sotto le fattispecie contestate di tutti gli antefatti storicamente ipotizzabili, la Corte si è posta il problema se ciascuno dei ruoli esecutivi attribuibili all'imputato per essere egli convenuto alla stazione di Bologna in collegamento con il FIORAVANTI e la MAMBRO comporti necessariamente una sua responsabilità per la strage e non soltanto per reati minori. `Nulla quaestio' per le ipotesi della collocazione materiale della valigia nella sala d'aspetto (od altra sostanzialmente equivalente, quale l'innesco dell'ordigno) e del controllo dell'operato dei "ragazzini" (al fine di assicurare la buona riuscita dell'operazione o l'eventuale recupero dell'esplosivo in caso di mancata collocazione o

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(389) - Cfr. Cass., Sez.VI, sent. n. 6631 del 2/7/82 -udienza 4/3/82- Pres. Marucci, imp. Bertoli; Sez. I, sent. 447 del 21/1/83 -udienza 12/10/82- Presidente Fasani, imp. Manfreda; Sez. V, sent. n. 1328 del 15/2/83 -udienza 30/11/82- Presidente Crimaldi, imp. De Biasi; Sez. 5, sent. n. 4416 del 17/5/83 -udienza 9/4/83- Presidente Moffa, imp. Malaponti; Sez. 5, sent. n. 1428 del 16/2/84
-udienza 16/12/83- Presidente Gallo,imp.Modica.


o mancato innesco). Per il caso in cui il prevenuto PICCIAFUOCO sia stato invece il trasportatore dell'esplosivo e l'abbia consegnato ai complici, è a chiedersi se ciò sia potuto avvenire indipendentemente dalla finalizzazione di una tale condotta alla strage: ignorando, cioè, che l'esplosivo sarebbe stato utilizzato per l'attentato che qui si giudica. Una siffatta ipotesi -che potrebbe apparentemente porsi all'attenzione per via della non marcata `politicizzazione' del PICCIAFUOCO- dev'essere esclusa. Militano in tal senso una serie di argomenti di segno convergente, idonei a fondare un convincimento di certezza.


A ben vedere, proprio la mancanza di una profonda ideologizzazione, in quanto abbinata ad un'incondizionata disponibilità a delinquere, eventualmente dietro compenso, rendeva il PICCIAFUOCO idoneo a concorrere in un'impresa che altri avrebbero rifiutato appunto per motivi `politici'. Si son viste, sub 2.1.2.7), e non occorre dunque ripetere, le ulteriori ragioni per le quali, agli occhi del FACHINI e del FIORAVANTI, aveva il PICCIAFUOCO tutte le carte in regola per entrare nel selezionatissimo `staff' degli esecutori della strage.


Occorre inoltre tener presente che gli elementi di prova compiutamente esaminati sub 2.1.2.6.2) -quale che fosse il grado di ideologizzazione del PICCIAFUOCO- attestano la profondità del livello di inserimento del prevenuto nel gruppo MANGIAMELI-VOLO-FIORAVANTI-CAVALLINI. In particolare, l'annotazione nell'agenda del CAVALLINI -valutata alla stregua degli altri elementi- costituisce una sorta di investitura: comprova, grazie all'autorevolezza della fonte, che il PICCIAFUOCO non era un semplice `uomo di servizio', contiguo all'organizzazione, ma aveva a tutti gli effetti il rango di militante, come tale idoneo ad essere associato a pieno titolo ad imprese terroristiche.


Ilsottacere la destinazione dell'esplosivo al corriere in tanto avrebbe avuto senso, in quanto, ponendosi una significativa cesura cronologica fra consegna ed impiego, ed essendo diversi i luoghi delle due azioni, il corriere non fosse stato in grado di individuare detta destinazione: nel caso di specie, l'identità del luogo e l'immediata contiguità temporale fra lo scambio e l'utilizzo, non avrebbero lasciato dubbi a chi si fosse occupato del trasporto. In realtà, l'importanza e la delicatezza dell'operazione, e la conseguente assoluta necessità di evitare pregiudizi di qualsiasi natura, comportavano, nei confronti di chiunque venisse mobilitato nell'impresa, un'aspettativa di efficienza, e dunque un livello di responsabilizzazione tale da non potersi pretendere se non da chi fosse stato associato al disegno stragista. A ben vedere, la disinformazione del corriere non soltanto non avrebbe avuto senso, ma avrebbe costituito un gravissimo rischio per la buona riuscita dell'operazione. Ciò è tanto
più vero in quanto al PICCIAFUOCO, che, per essere interno al gruppo, aveva piena consapevolezza della vocazione e dell'attività terroristica del FIORAVANTI, non avrebbe comunque potuto non esser chiara la destinazione dell'esplosivo. Il trasporto di decine di chilogrammi di esplosivo da un luogo ad un altro per conto di pericolosissimi eversori che si sanno impegnati a tempo pieno in attività terroristiche che non risparmiano la vita umana è operazione che già di per sè, con alto grado di probabilità, prelude ad un attentato dinamitardo. Quando poi l'esplosivo viene trasportato verso il centro di una città quelle probabilità salgono a dismisura. Uno scambio di decine di chilogrammi di esplosivo è infatti operazione che -in situazioni ordinarie- le più elementari regole di prudenza impongono di compiere in luoghi isolati, in tempo di notte o comunque in condizioni tali da garantire l'assoluta riservatezza. Lo scambio in pieno giorno, nel più trafficato scalo ferroviario italiano, dove più probabili erano i controlli, si spiegava solo in quanto il rischio fosse necessitato: e la necessità poteva venire solo dal proposito di utilizzare l'esplosivo per un attentato da compiersi in quel luogo. Ciò avrebbe amplificato, per l'organizzazione, il pericolo dell'insuccesso, rendendolo inaccettabile: giacché la consapevolezza necessariamente subentrante dell'enormità di ciò che si andava a compiere avrebbe potuto scoraggiare il PICCIAFUOCO e farlo desistere dal trasporto. Soltanto la previa verifica della reale disponibilità del PICCIAFUOCO, tramite un atto di espressa adesione al disegno stragista, o addirittura la stessa partecipazione alla fase organizzativa, poterono -se il PICCIAFUOCO fu il trasportatore- consentire l'affidamento dell'esplosivo nelle sue mani.


Restano da esaminare due ulteriori questioni. Innanzitutto, la circostanza che il PICCIAFUOCO rimase ferito nell'esplosione: circostanza che, nella sua obiettività, merita considerazione, ma non scalfisce lo schiacciante compendio probatorio gravante in capo all'imputato.


In prima approssimazione ed in linea generale, ad esorcizzare facili suggestioni, va detto che il ferimento o la morte di attentatori nel corso di operazioni terroristiche, o comunque di individui intenti a manipolare od a trasportare sostanze esplosive è tutt'altro che eccezionale. Si tratta di conseguenze legate -molto semplicemente- all'elevato coefficiente di pericolosità dell'attività dinamitarda: genericamente, in relazione all'intrinseca natura di tale attività, e, specificamente, sotto vari profili, quali la possibilità di esplosioni accidentali, di un scarto fra il tempo previsto e quello reale dal momento dell'innesco al momento della conflagrazione, di effetti dell'esplosione più devastanti di
quelli programmati, con conseguente interessamento di aree che, rispetto all'epicentro, apparivano `a priori' situate a distanza di sicurezza.


Si è visto, ad esempio, sub 2.1.2.2.2), essere in atti la sentenza a carico di Nico AZZI ed altri relativa all'attentato al treno Torino-Roma dell'aprile 1973: in quell'occasione, l'AZZI, mentre ultimava le operazioni di innesco, rimase ferito per via dell'accidentale scoppio anticipato di uno dei detonatori.


Attenendosi a ciò di cui v'è traccia in atti, va ricordato ancora l'episodio di Prospero CANDURRA, morto il 31/12/1977 mentre trasportava esplosivo sull'Etna (390).


Non deve sfuggire che, ad identificare il PICCIAFUOCO, si pervenne proprio procedendo ad un `monitoraggio' delle vittime, per l'ipotesi, tutt'altro che infrequente sulla base della comune esperienze, che fra le stesse potessero trovarsi degli attentatori.



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(390) - Della morte del CANDURRA "per l'esplosione sull'Etna" fa cenno il CALORE, in vu 9/12/87, p15.


Né deve sfuggire che l' `appunto MUSUMECI' di cui si è detto sub 1.2.9) era -come si vedrà in seguito- frutto di
manipolazione: orbene, chi architettò le false notizie, vi inserì anche quella della morte nell'esplosione del giovane attentatore francese "Philippe", che non appariva affatto inverosimile.


Va poi fatta chiarezza su un altro punto. L'imputato, nel corso del procedimento, ha sempre sostenuto di essersi trovato, al momento dell'esplosione, seduto sul muretto del marciapiedi del terzo binario. E se ne comprende il senso. Tale circostanza tende ad accreditare l'assunto secondo cui il prevenuto, per non essersi allontanato o posto al riparo,e per essersi invece posto in tranquilla attesa del treno per Milano, sarebbe stato inconsapevole di ciò che stava per accadere.


Va rilevato in proposito che il treno Ancona-Basilea, fermo al 1° binario al momento dello scoppio, si poneva come un massiccio schermo fra l'ordigno e chi sostava ai binari diversi dal primo, e che soltanto l'eccezionale violenza degli effetti dell'esplosione poté far sì che essa producesse conseguenze drammatiche per le persone anche al terzo binario.


Ma il fatto è che la presenza del PICCIAFUOCO al terzo
binario costituisce una mera allegazione difensiva, del tutto sfornita di dimostrazione, e contraddetta da quanto il prevenuto aveva riferito la sera stessa del 2 agosto al teste Gianni MARI, cui aveva detto d'aver visto "la stazione saltare in aria, mentre si trovava casualmente al sesto binario" (391).


Dove esattamente il PICCIAFUOCO si trovasse al momento dell'esplosione è circostanza che avrebbe potuto essere chiarita soltanto dall'indicazione di un testimone oculare. In assenza di essa, non resta che attenersi ai dati
obiettivi ed alle risultanze tecniche. Orbene, dal referto in atti (392) risulta che l'imputato riportò una ferita lacero-contusa alla regione parieto-occipitale sinistra, una contusione escoriata alla faccia esterna della coscia destra, ed una contusione al 3° medio superiore della coscia sinistra. Giudicato guaribile in 10 giorni, dopo la

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(391) - Cfr.dichiarazioni in EA,V10/a-6, C299,pp. 3-4, dibattimentalmente confermate in vu 18/12/87, p29.
(392) -Cfr. RA, V9 bis, C383 bis, p3. medicazione e l'applicazione dei punti di sutura al capo, fu immediatamente dimesso. Si trattava, dunque, di lesioni
lievi e superficiali.


Dalle indagini peritali (393) emerge altresì che, diminuendo la capacità lesiva dell'esplosione con l'aumentare della distanza dall'epicentro, danni lievi alle persone si
registrarono ad oltre 20 metri di distanza dall'epicentro stesso. E' questo un primo dato. Va poi rilevato che, nello scoppio, riportarono lesioni numerose persone che si trovavano nel piazzale antistante la stazione. In particolare, il teste Domenico BUSA', attuale Comandante della Stazione Carabinieri di Cambiano, ha riferito (394) d'esser stato colpito da un sasso ad una gamba, riportando un grosso ematoma, quando si trovava ad una distanza di 60-80 metri "prima di entrare in stazione". Tenuto conto della necessaria approssimazione di siffatta valutazione, e ancorandola all'ulteriore dato fornito dal teste, secondo cui egli si trovava, al momento dell'esplosione, "dove attualmente ci sono i taxi", la si deve prudentemente

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(393) - Cfr. p124 della relazione di perizia chimico- esplosivistica, in PA, V1. (394) - Cfr. vu 24/9/87, p106.


dimezzare. Se ne deduce che il PICCIAFUOCO, per la

natura delle lesioni riportate, ben poteva trovarsi, quando

l'ordigno esplose, ad una distanza di 30-40 metri dalla facciata della stazione. Se si aggiunge che l'ordigno era collocato a ridosso della parete della sala d'aspetto ubicata dalla parte opposta (cioè la parte che dà verso i
binari) e che quindi tale distanza va aumentata di tutta la
profondità della sala d'aspetto di 2ª classe, pari ad una quindicina di metri, e che, inoltre, fra l'ordigno ed il piazzale si frapponeva la parete della sala d'aspetto chesi affaccia sul piazzale stesso, non appare valutazione di inverosimile imprudenza quella di un PICCIAFUOCO che, trovandosi all'incirca dove venne a trovarsi il teste BUSA', si fosse ritenuto al sicuro dagli effetti dello scoppio.


Non deve sfuggire che la posizione della carica esplosiva


-secondo quanto affermato dai periti (395)- può esaltare gli effetti distruttivi e che, nella fattispecie, il particolare posizionamento dell'ordigno "nell'angolo, a ridosso dell'incrocio di due muri abbastanza robusti, ha


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(395) - Cfr. p112 delle relazione di perizia chimico- esplosivistica, in PA, V1.


giocato un ruolo importante, poiché ha certamente influito, essendo ambiente chiuso, a convogliare la maggior parte dell'energia in una direzione abbastanza concentrata. Appare inoltre probabile che all'interno della sala di aspetto si siano formate delle onde riflesse, con potere distruttivo maggiore di quello delle onde semplici (la pressione sale al
doppio o più): anche tale fattore può aver influito nel senso di un maggiore effetto distruttivo". E' dunque probabile che gli effetti della conflagrazione -per fattori la cui incidenza non era ragionevolmente calcolabile `a priori'- siano stati ancora più devastanti di quelli preventivati dagli attentatori, sorprendendo in qualche misura anche questi ultimi. L'ipotesi trae conforto da un'affermazione fatta da uno dei responsabili della strage: Valerio FIORAVANTI. Così Angelo IZZO (396): "...In tempi recenti Cristiano FIORAVANTI a Paliano, presente la FURIOZZI, mi ha riferito che il fratello gli aveva detto, a proposito della strage di Bologna, la seguente circostanza: `se a Bologna non fosse crollato il tetto della stazione il


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(396) - EB, V3, C68, p71; cfr. anche vu 25/11/87, p99.


numero delle vittime sarebbe stato sicuramente minore'...." E Raffaella FURIOZZI (397): "...E' vero. Io ero presente ad

una conversazione tra Cristiano FIORAVANTI e Angelo IZZO, a Paliano, nel corso della quale Cristiano aveva riferito ad IZZO delle valutazioni di Valerio sul crollo del tetto della stazione quale fatto che aveva aggravato gli effetti dell'attentato..."


In ogni caso, l'ubicazione delle lesioni sul corpo dell'imputato è tale da esser compatibile con l'ipotesi che egli, quando rimase ferito, si stesse allontanando dalla stazione, dando le spalle all'edificio.


Da ultimo, va segnalato come non si possa escludere che il PICCIAFUOCO fosse una vittima designata dai complici, nel senso che, secondo i piani di costoro, egli sarebbe dovuto perire nell'esplosione. Se così fosse, potrebbe esser stato malinformato sui tempi intercorrenti fra l'innesco e la
deflagrazione, e, per essersi all'ultimo momento insospettito, aver abbandonato la stazione, raggiungendo il piazzale antistante in tempo utile per salvarsi, riportando soltanto lesioni superficiali. L'ipotesi non è peregrina: il

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(397) - EA, V10/a-7, C306, p6; cfr. anche vu 25/11/87, p22. ritrovamento del cadavere dell'imputato, latitante da anni e apparentemente non legato all'ambiente politico dei
complici, avrebbe convogliato le indagini in una direzione non preoccupante per i correi del PICCIAFUOCO.


Conclusivamente: in tanto la circostanza del ferimento vanificherebbe lo schiacciante compendio di prove sfavorevoli gravante in capo al PICCIAFUOCO, in quanto tale circostanza fosse necessariamente incompatibile con la previa consapevolezza dell'attentato da parte del prevenuto. Ma così non è. Come si è visto, nel ricostruire gli antefatti della strage, l'esser l'imputato rimasto ferito per effetto dell'esplosione ed il suo ruolo di corresponsabile dell'esecuzione materiale dell'attentato sono conciliabili non solo in termini di concreta possibilità, ma di ragionevole verosimiglianza.


V'è poi l'ultima questione: rientrato a Modena dopo la
strage, il PICCIAFUOCO, la sera stessa, riferì ad alcuni conoscenti, fra cui i testi COPPARONI (398) e MARI (399), di esser effettivamente rimasto ferito nell'esplosione. In


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(398) -Cfr. EA, V10/a-6, C297, p5 e vu 18/12/87, p30. (399) -Cfr. EA, V10/a-6, C297, pp. 3-4 e vu 18/12/87, p29.


prima approssimazione, la circostanza potrebbe prestarsi ad
esser interpretata in senso favorevole al prevenuto: nel senso che il non aver il PICCIAFUOCO fatto mistero della sua
presenza in stazione, potrebbe stare a dimostrare che nulla aveva da nascondere in proposito. Ma le cose stanno diversamente. In effetti, l'imputato, la cui ferita al capo era coperta da un vistoso cerotto, si trovò a dover in qualche modo dar conto ai conoscenti di come se la fosse procurata: e riferì in un primo tempo al MARI di esser accidentalmente caduto dalla bicicletta. Soltanto più tardi, quand'egli ed il MARI si misero a tavola al ristorante per la cena, e la televisione diede la notizia dell'attentato, il PICCIAFUOCO -secondo il racconto dello stesso MARI- confidò "che in realtà lui era stato a Bologna e che aveva visto la stazione saltare in aria..."


In sostanza, l'imputato tentò dapprima di tener celata la sua presenza alla stazione; dopodiché, resosi conto del
pericolo che la sua immagine potesse comparire in filmati televisivi o sulle pagine dei giornali e di come ciò avrebbe reso sospetta la sua reticenza in ordine alla presenza a Bologna, preferì rivelare la circostanza.


A ben vedere, dunque, non soltanto l'averla rivelata non gioca a favore del PICCIAFUOCO, ma l'iniziale menzogna circa
l'accidentale caduta in bicicletta -che, isolatamente considerata, potrebbe apparire semplice sintomo della esigenza di un latitante di rimanere comunque estraneo alle indagini- una volta inserita nel contesto degli elementi a carico dell'imputato sopra esaminati, può agevolmente, attraverso di essi, essere interpretata nel suo reale significato: la volontà, da parte di uno degli autori materiali dell'attentato, di sottacere la circostanza della suapresenza sul luogo del delitto.


2.1.2.13) Le responsabilità individuali


2.1.2.13.1) Massimiliano FACHINI


Per quanto precede, nella parte in cui lo riguarda, va dichiarato responsabile dei delitti di cui ai capi 3), 4) 5), 6) ed 8) della rubrica del procedimento n. 12/86
R.G.C.A. La finalità stragista di cui al capo 2), è resa evidente dalla potenzialità dell'ordigno, dal luogo e dall'ora dell'esplosione; gli stessi elementi, e la scelta dell'obiettivo ferroviario, se rapportati alla strategia della banda armata -di cui si dirà in prosieguo- evidenziano altresì la volontà di attentare alla sicurezza dello Stato: essi comprovano, invero, la volontà di recare offesa alla personalità dello Stato, aggredendone la compagine, mediante un'azione volta a suscitare enorme allarme e disordine nell'organizzazione politico-sociale, e ad incidere, conseguentemente, sull'ordinato svolgimento delle attività e dei servizi, pubblici e della collettività. Sussiste l'aggravante di cui all'art. 1 D.L n. 625/79, contestata ai capi 4), 5) e 6). Invero, il porto e la collocazione dell'ordigno da un lato, ed i ferimenti e le morti che ne seguirono dall'altro, rappresentano, rispettivamente, il mezzo attraverso il quale la strage fu perpetrata e le forme cruente che essa venne assumendo. Vanno dunque ad essi riferite -secondo la strategia della banda armata- le medesime finalità -proprie della strage- di diffusione del terrore nella collettività nazionale e di condizionamento degli equilibri politici mediante la violenza armata ed organizzata: obiettivi che si ponevano con un'intensità misurabile attraverso la gravità dei risultati preventivati, in termini di vite umane e di danni materiali alla pubbliche strutture.


Il delitto di danneggiamento di cui al capo 7) della rubrica
è ormai improcedibile, per essersi prescritto dopo 7 anni e 6 mesi dal fatto. Tale è infatti il termine massimo di prescrizione, avuto riguardo al massimo della pena edittale di cui all'art. 635 III comma n. 3), pari ad anni 3 di reclusione, ed all'aumento di un terzo ex art. 61 n. 7 Codice Penale.


2.1.2.13.2) Giuseppe Valerio FIORAVANTI


Avuto riguardo a tutto quanto si è venuto illustrando in ordine alla sua posizione, ed a quanto si è testé detto sub 2.1.2.13.1), vanno adottate, per il FIORAVANTI, in ordine al delitto di strage ed a quelli contestuali, le medesime statuizioni adottate per il FACHINI.


2.1.2.13.3) Francesca MAMBRO


La sua posizione è in tutto analoga a quella del FIORAVANTI.
Anche a costei, dunque, occorre estendere le statuizioni relative al FACHINI.


2.1.2.13.4) Sergio PICCIAFUOCO


Avuto riguardo a tutto quanto si è venuto illustrando in ordine alla sua posizione, ed a quanto si è detto sub 2.1.2.13.1), anche a costui vanno estese le statuizioni
adottate in relazione alla posizione del FACHINI.


2.1.2.13.5) Roberto RINANI


Era a conoscenza del progetto della strage: al punto che fu in grado di anticiparne la perpetrazione, nel corso delle confidenze carcerarie che fece al VETTORE PRESILIO.


Attribuì il progetto al gruppo facente capo al FACHINI, del quale egli faceva parte.


Ne parlò in termini che non soltanto non manifestavano una dissociazione, ma tradivano una sostanziale adesione ideale al progetto: né avrebbe potuto essere diversamente, perché di un programma di tal fatta potevano essere messi a parte soltanto coloro che avessero già precedentemente manifestato un orientamento di massima favorevole ad atti terroristici di quella natura.


Si tratta di vedere se, sulla base di queste premesse certe, sia dato evincere, in termini di altrettale certezza, una condotta del RINANI che riconduca ad una sua responsabilità, tecnicamente apprezzabile, per il concorso nel delitto di strage.


L'imputato non ebbe compiti esecutivi.


Inoltre, il non essere emersi elementi che autorizzino ad attribuirgli un ruolo di spicco all'interno della banda armata non autorizza, se non sul piano delle ipotesi, ad attribuirgli una qualsiasi veste nella fase ideativa dell'attentato. E' a chiedersi tuttavia se l'adesione del RINANI al progetto possa integrare gli estremi del concorso morale, sotto il profilo del rafforzamento del proposito criminoso altrui. Che il concorso sia sia verificato in questi termini non può essere dimostrato: giacché, dato il ruolo gregario del prevenuto all'interno dell'organizzazione, non appare probabile che la sua adesione al progetto possa aver inciso sulla concreta determinazione a realizzarlo da parte di coloro che, con ruolo di vertice e con lucida coerenza rispetto ad una
strategia generale, erano i responsabili dell'ideazione. E' viceversa altamente probabile che il prevenuto abbia concorso nella fase della progettazione o dell'organizzazione. Militano convergentemente in tal senso le circostanze sopra indicate: invero, non soltanto l'eccezionale gravità dell'attentato consigliava cautele
altrettanto eccezionali, ma la stessa strategia della non trasparenza che ispirerà le azioni della banda armata, inducono a ritenere che ben difficilmente il FACHINI, vero teorico della sicurezza, avesse messo a parte del progetto persone diverse da quelle destinate a svolgere un ruolo utile nella preparazione della strage. Altrettanto difficile sarebbe spiegare, in assenza di tale ruolo, come il RINANI potesse essere al corrente non solo del programma di massima, ma addirittura, con ottima approssimazione, della data in cui l'attentato sarebbe stato commesso. Lo stesso atteggiamento di sostanziale adesione al progetto ben si concilia con lo svolgimento di compiti preparatori.


Dal piano delle probabilità non è dato tuttavia attingere quello delle certezze: giacché resta pur sempre ipotizzabile
che la pregressa militanza del RINANI all'interno della cellula veneta e la grande affidabilità di cui egli aveva dato prova negli anni precedenti -affidabilità venuta clamorosamente meno soltanto per essere egli `scoppiato' a seguito della mancata rapida concessione della libertà provvisoria, su cui faceva affidamento- gli avessero acquisito, agli occhi del FACHINI, meriti tali da consentirgli di accedere comunque alla conoscenza dei progetti terroristici del gruppo.


Il prevenuto va dunque assolto con la formula del dubbio dai delitti dei capi 3), 4), 5), 6 ed 8) della rubrica. Quanto al danneggiamento aggravato del capo 7), la declaratoria di improcedibilità per prescrizione prevale, ex art. 152 del Codice di rito, sull'assoluzione per insufficienza di prove.


2.1.2.13.6) Paolo SIGNORELLI


Ribadendo, qui, ancora una volta, che l'internità ad una banda armata non comporta automaticamente, neppure per chi abbia posizione di vertice, la responsabilità per i delitti riferibili all'organizzazione, occorre per converso richiamare quanto si è detto sub 2.1.2.8.5) in ordine
all'utilizzabilità in capo al singolo, sul piano indiziario, di detta posizione di vertice e dello svolgimento di un particolare ruolo all'interno dell'organizzazione armata, nonché alla diretta relazione fra la valenza di tali elementi e le caratteristiche del delitto da giudicare, con riferimento alla gravità o ad altri aspetti specifici.


Riaffermato poi -come si è detto sempre sub 2.1.2.8.5)- che la strage del 2 agosto rappresentava un fatto di gravità tale da comportare necessariamente una decisione a livello di `direzione strategica' e che essa -secondo quanto meglio emergerà `in sede materiae'- rappresentava l'espressione più qualificata di una strategia che prevedeva l'impiego, fra gli altri, dello strumento tattico dell'attentato indiscriminato, si tratta di vedere se e come, in concreto, tali elementi si riverberino sulla posizione del SIGNORELLI.


Orbene, da quanto si verrà argomentando in sede di trattazione del delitto di banda armata, emerge -e va qui anticipato- che: in tale banda, sinché essa ebbe vita, il SIGNORELLI occupò,con continuità, una posizione di
primissimo piano, in essa investendo il patrimonio di esperienze eversive maturate negli anni precedenti, in particolare come ideologo, ispiratore `politico', corresponsabile della linea strategica di Costruiamo l'Azione, ma anche come procacciatore di esplosivo; v'è una linea di assoluta coerenza e continuità nel ruolo svolto dal
SIGNORELLI fino all'esaurimento dell'esperienza di Costruiamol'Azione e quello da lui rivestito all'interno della banda armata oggetto di giudizio, dove, in particolare, la riferibilità all'imputato della linea strategica emerge con ogni evidenza dall'aver egli continuato a propugnare la lotta armata e dall'avere indicato agli `operativi', quale preciso obiettivo, il dott. Mario AMATO; come corresponsabile della linea strategica di Costruiamo l'Azione, il SIGNORELLI -a prescindere da rilievi penalistici, che non sono qui in questione- non è estraneo, quantomeno sul piano dell'astratta progettazione `politica', alla svolta stragista impressa alla linea dinamitarda del M.R.P. con l'attentato alla sede del Consiglio Superiore della
Magistratura: attentato che costituisce un preciso antecedente storico-politico della strage del 2 agosto; all'interno della banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione, il SIGNORELLI è in diretto collegamento con il FIORAVANTI ed il FACHINI, entrambi raggiunti da prove tali da imporre la loro condanna per il delitto di strage;
in particolare, il legame di natura eversiva con il FACHINI, che risale addietro negli anni e attraversa tutta l'esperienza di Costruiamo l'Azione, si prolunga per la durata della vita della banda armata oggetto di giudizio, al punto che, all'esito di un percorso che ben può dirsi simbiotico, i due prevenuti, nell'agosto del 1980, si ritrovano presso la villa del SIGNORELLI sul Lago di Bolsena: incontro nel quale, evidentemente, a livello di `direzione strategica', si tratta di fare il punto della situazione, dopo che l'organizzazione ha realizzato, all'acme di una spaventosa `escalation', l'attentato alla stazione ferroviaria di Bologna.


Per apprezzare fino in fondo il peso del perdurare, nell'estate del 1980, dell'annoso stretto collegamento con
il FACHINI,si debbon tener presenti le seguenti circostanze, per le quali s'impone una valutazione unitaria: "la casta dei togati" -come si vedrà `in sede materiae'- era già stata indicata come obiettivo da colpire sulle pagine di `Costruiamo l'Azione', giornale che era espressione del gruppo eversivo facente capo, fra gli altri, al FACHINI ed
al SIGNORELLI; v'è la prova che quest'ultimo, fra la fine di maggio e l'inizio di giugno del 1980, era ancora impegnato in un'opera di istigazione all'omicidio del dott. AMATO: opera che raccoglierà i suoi frutti la mattina del 23 giugno; proprio nel mese di giugno, nel carcere di Padova, il VETTORE PRESILIO apprende dal RINANI del progetto -messo a punto dal gruppo facente capo al FACHINI- di esecuzione di un altro esponente della "casta dei togati", il dott. STIZ: progetto che, essendo coevo a quello di assassinio del dott. AMATO, colpisce un obiettivo `politico' comune al FACHINI ed al SIGNORELLI fin dall'epoca di Costruiamo l'Azione; l'attentato al dott. STIZ -come si evince dal racconto del RINANI al VETTORE- si collega intimamente, nell'ambito di una progettazione unitaria, alla strage di
Bologna, dalla quale dovrà esser preceduto. A ciò aggiungasi che l'assassinio del dott. AMATO e l'attentato alla stazione di Bologna, cronologicamente sovrapponentisi nella fase della progettazione, e posti in esecuzione a breve distanza di tempo l'uno dall'altro, sono indissolubilmente collegati per esser stato corresponsabile di entrambi Valerio
FIORAVANTI, legato al SIGNORELLI da una parte ed al FACHINI dall'altra, in funzione di cerniera operativa; e che il FIORAVANTI, per bocca del MELIOLI, già da tempo era stato messo a parte dell'esistenza di quel progetto di attentato ad un magistrato veneto che poi, prendendo via via corpo, fu collegato, nell'ambito di un più vasto disegno, con la strage che qui si giudica.


In questo tessuto indiziario si innesta lo specifico elemento di prova costituito dalle dichiarazioni di Stefano NICOLETTI di cui si è dato conto sub 1.2.2), per la cui valutazione occorre rinviare a quanto si è argomentato sub 2.1.2.3.6), 2.1.2.3.7) e da, ultimo, nell'esaminare la posizione del FACHINI, sub 2.1.2.8.4). In tale ultimo paragrafo, in particolare, si è visto quale singolare
consonanza vi sia fra il contenuto di ciò che il NICOLETTI apprese dal BONAZZI e di ciò che il VOLO è venuto reticentemente dicendo in ordine alla confidenze avute dal MANGIAMELI, delle quali si è dato conto sub 2.1.2.5.5).


Ne risulta un quadro di assoluta coerenza, idoneo a supportare vigorosamente l'assunto accusatorio, ed a
restringere enormemente gli spazi per un convincimento diverso da quello di colpevolezza. A comprimerli soltanto, tuttavia, e non ad annullarli. Occorre considerare, in proposito, che la banda armata di cui all'imputazione non si configura secondo un modello rigidamente piramidale e non prevede che le decisioni più impegnative sul fronte strategico-`militare' siano demandate ad organi a ciò istituzionalmente preposti, la cui composizione personale sia predeterminata. Talché, se la deliberazione relativa alla strage impegnò necessariamente -come si è detto- gli alti livelli decisionali della banda, non altrettanto necessariamente impegnò il SIGNORELLI, per il sol fatto d'aver egli avuto posizione di vertice all'interno dell'organizzazione. Il suo personale coinvolgimento nelle fase deliberativa dell'attentato resta dunque affidato agli ulteriori elementi indiziari che si sono evidenziati, il cui rilievo, estremamente significativo, non è tuttavia decisivo. Né basta, a renderlo tale, l'indicazione proveniente dal NICOLETTI attraverso il BONAZZI, confortata nel modo che si è visto. Tale indicazione, a differenza di quanto accade per il FACHINI, non trova specificazione e conforto in ulteriori e concrete acquisizioni che riconducano ad un intervento del SIGNORELLI, con ruolo penalmente rilevante, nella fase formativa del progetto, od anche in un momento successivo lungo l'`iter' che condusse alla perpetrazione dell'attentato. In assenza di ciò, l'indicazione proveniente dal NICOLETTI, pur coerente con il quadro complessivo ed idonea a corroborarlo, non consente di approdare a certezze: ben si può,in ipotesi, ritenere che l'addebito -mosso al FACHINI ed al SIGNORELLI dal BONAZZI all'esito dell'inchiesta- di essersi affidati a dei "ragazzini" per l'esecuzione della strage, accomunasse, nella logica di un `commissario politico', la diretta responsabilità del FACHINI, oggi accertata, sul piano organizzativo e, specificamente, dell'approntamento dei mezzi materiali, e la responsabilità `politica' del SIGNORELLI, colpevole d'esser l'elaboratore di una strategia in ossequio alla quale "ragazzini" a lui legati -e del cui operato doveva appunto `politicamente' rispondere- avevano posto in essere una strage di gravità tale da sortire effetti controproducenti per il movimento.


Il SIGNORELLI va dunque assolto per insufficienza di prove dai delitti di cui ai capi 3), 4), 5), 6) ed 8) delle rubrica. Quanto al capo 7), ai sensi dell'art. 152 del Codice di rito, la declaratoria di estinzione per prescrizione prevale sulla formula assolutoria dubitativa.


2.2) Il delitto di banda armata


2.2.1)La valutazionedelle chiamate in correità ed `in reità'


Si pone per la Corte il problema di valutare, in vista dell'utilizzazione a carico degli imputati, le dichiarazioni provenienti da quei soggetti processuali che, avendo in passato militato nelle file dell'eversione neofascista e commesso attività delittuosa, hanno successivamente preso le distanze da un certo passato ed iniziato a collaborare con la giustizia, fornendo contributi per la ricostruzione delle vicende delle organizzazioni armate nelle quali hanno operato.


Si tratta di vedere che uso fare delle chiamate in correità e di quelle che dovrebbero a rigore definirsi chiamate `in reità' (intendendo, con queste ultime, le dichiarazioni accusatorie a carico di un prevenuto, provenienti da un coimputato o da un imputato di procedimento connesso, nell'ipotesi in cui il dichiarante non sia confesso sul fatto specifico che viene attribuendo all'accusato).


Escluso che la questione possa trovare risposte processualmente adeguate sul terreno dei giudizi di valore, occorre andare alla ricerca di criteri scientifici di valutazione della `chiamata'.


Ponendosi per la strada indicata, è dato fissare un primo punto fermo. Sotto il profilo classificatorio, la chiamata in correità va inquadrata fra le prove rappresentative (1), e, più specificamente, nel sottoinsieme delle testimonianze.

Invero, la dichiarazione con la quale X descrive l'attività delittuosa di Y cui avrebbe assistito non è concettualmente diversa, a seconda che X abbia, nel processo, veste di testimone o di prevenuto o di imputato in procedimento connesso, e che, non essendo testimone, ammetta o neghi la propria responsabilità.


Non possono pertantocondivedersi quelle pronunce che degradano la chiamata in correità a mero indizio. E' infatti
l'indizio quel `segno' che, cadendo sotto i sensi del



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(1) - "...la accuse formulate dai coimputati, siano esse disgiunte da ammissione di proprie responsabilità o siano solo integranti chiamate di correità, costituiscono, dal punto di vista ontologico e strutturale, dei veri e propri elementi di prova. Le dichiarazioni accusatorie, invero, rappresentano esse stesse direttamente ed immediatamente al giudice il fatto cui esse si riferiscono, sicché il giudice non deve ricavare da esse, in base a regole di esperienza od ad ulteriori valutazioni, le prove del fatto oggetto del giudizio" (Cass., Sez. I, sent. n. 7370 del 12/6/87 -udienza 4/11/86- Presid. Carnevale, imp. Adamoli; cfr. anche Cass., Sez. I, sent. n. 9153 del 20/8/87 -udienza 26/2/87- Presid. Dolce, imp. Ruga).


giudice, non gli rappresenta il fatto oggetto di giudizio, né glielo richiama direttamente, ma gli consente di pervenirvi secondo determinate regole d'inferenza, tra cui, principalmente, le massime d'esperienza.


E' vero, peraltro, che, se la chiamata in correità non è concettualmente separabile dalla testimonianza, il codice di rito vieta di utilizzarla processualmente come tale. Vengono in considerazione in proposito le norme poste dagli articoli 348 III comma e 465 II comma.


La `ratio' del divieto è perspicua: la chiamata in correità e, `a fortiori', la chiamata `in reità', sono, per loro natura, meno affidabili della testimonianza, in quanto provenienti da soggetto non terzo, e quindi, virtualmente portatore di interessi propri nell'atto di rendere dichiarazioni in ordine ai fatti oggetto di giudizio.


Ma -si badi- l'inutilizzabilità della chiamata come testimonianza in senso tecnico si traduce non già nella sua inutilizzabilità `tout court' come mezzo per la formazione del convincimento, ma nell'impiego di criteri di valutazione diversi -e necessariamente più rigorosi- per quelloche, seppure riguardato con cautela dal legislatore, resta pur sempre un elemento di prova rappresentativa. Che i divieti legislativi di cui si è fatto cenno riducano la chiamata al rango di `notitia criminis' -come pure un certo orientamento giurisprudenziale vorrebbe- resta escluso dalla presenza nell'ordinamento vigente della norma posta dall'art. 450 bis C.P.P. Il fatto che le persone imputate dello stesso reato per il quale si procede o di un reato connesso possano essere esaminate in dibattimento, cioè in una fase processuale nella quale, esauritesi le indagini, ogni atto è teso alla formazione del convincimento del giudice ed eventuali appendici istruttorie ex artt. 457 e 469 C.P.P. rappresentano situazioni eccezionali, sta a significare che la chiamata in correità od `in reità' non resta relegata nel limbo degli atti di mero impulso processuale (2).



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(2) - V'è da considerare anche un dato di ordine testuale. L'art. 402 C.P.P., nel prevedere i casi di riapertura dell'istruzione, annovera fra le nuove prove in base alle quali si può procedere a carico del prosciolto, anche le nuove dichiarazioni di persone che hanno commesso il reato: dunque le chiamate in correità sono nuove "prove", che possono giustificare la cattura ex art. 404 C.P.P., e, comunque possono alterare immediatamente la situaziomne cristallizzatasi per effetto del proscioglimento istruttorio.


Dunque, potrà incidere direttamente sulla formazione della


decisione. Ma -lo si è anticipato- dovrà essere sottoposta alle opportune verifiche. A ben vedere, l'approccio del giudice dovrà essere in qualche modo ribaltato rispetto alla alla valutazione della testimonianza. Stabilisce l'art. 348 II comma C.P.P. che -con l'esclusione dei soggetti processuali indicati dal III comma- "ogni persona ha capacità di testimoniare, salvo al giudice di valutarne la credibilità". Come giustamente è stato osservato dalla miglior dottrina, poiché nulla il legislatore dice circa i modi con cui il giudice deve compiere la valutazione, l'intreccio delle due proposizioni sta a significare che ogni persona è idonea a riferire i fatti per cui si procede e che il giudice può crederle o non: ma, per non crederle, deve avere qualche specifica ragione (3).

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(3) - Cioè qualche particolare motivo per non affidarsi a quei principi -definiti come una sorta di postulato della ragion pratica- in base ai quali è ordinariamente indotto a credere al teste; principi che sono stati così individuati: di affidabilità, in forza del quale si ritiene che una persona, quando comunica con un' altra,sia normalmente veritiera; di responsabilità, per il fatto che al teste viene prospettato un male etico e giuridico per il caso del mendacio; di normalità (che è un corollario del primo), il quale predica che, se un soggetto che comunica ordinariamente dice il vero, per contravvenire a questa regola deve avere un qualche specifico movente, non emergendo il quale, esce rafforzato il principio di affidabilità.


Non così per le chiamate in correità od `in reità'. Il


chiamante non va creduto sol per il fatto di avere reso certe dichiarazioni. Qui l' `adprobatio' della fonte (4) è


scevra da ogni automatismo: in tanto il chiamante potrà esser creduto, in quanto le sue dichiarazioni abbiano superato l'esame di attendibilità, che dovranno necessariamente affrontare, per essere in partenza meno affidabili e, come tali, dal legislatore declassate a mezzi di provanon utilizzabilicometestimonianze. E' a chiedersi, dunque, come vada condotta dal giudice la verifica di attendibilità della chiamata in correità od `in reità'.


Posto che resta legislativamente esclusa per il coimputato e per l'imputato di reato connesso quella sorta di `presunzione' -pur vincibile- di credibilità che si è vista valere per la testimonianza, sembra siano insufficienti, per una positiva verifica, quei criteri che la prassi giudiziaria ha elaborato, mutuandoli dai canoni di

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(4) - Che bene è stata definita come la possibilità, logicamente approvata, di predicare l'esistenza di un fatto in virtù di quella traccia sensibile che è la prova in senso materiale (cioè come oggetto o fatto significante).


valutazione della testimonianza: si allude alla spontaneità,


alla reiterazione, alla coerenza, all'analiticità, alla costanza, che si riferiscono all'intrinsecità delle dichiarazioni (5).


Se la verifica di credibilità della chiamata deve appoggiarsi necessariamente sull'estrinseco, si tratta di individuare quali possano essere gli elementi che, agendo `ab externo' rispetto al corpo delle dichiarazioni del chiamante,sono idonei a rafforzarle al punto che il giudice possa su di esse fondare il convincimento di colpevolezza. Va escluso che essi debbano essere obiettivi elementi di prova, diversi ed estranei rispetto alla chiamata, ed idonei di per sè a provare la responsabilità dell'imputato: perché, in quanto tali, costituirebbero essi la dimostrazione della colpevolezza, relegando la chiamata alla funzione di mera


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(5) - Si è osservato dalla miglior dottrina che l'analiticità, la precisione, la costanza e gli attributi similari valgono come rafforzamento della credibilità del testimone, perché più intensi sono tali caratteri, meno è probabile l'artificio mentale che dovrebbe sorreggere il mendacio intenzionale, in unapersona che è presunta indifferente;echeciò non vale per la chiamata in correità: una volta esclusa, per dettato di legge, l'affidabilità intrinseca del coimputato, questi, se menzognero, può ben essere analitico, costante e spontaneo, sufficiente essendo che egli abbia strutturato mentalmente il suo racconto, prefigurandosi obiezioni e domande, ed organizzando con coerenza le sue linee interne.


premessa o stimolo per il conseguimento della prova


effettiva (6). E si è visto come ciò contrasti con la spirito delle norme di rito.


Quanto si è venuti sin qui dicendo trova una lapidaria consacrazione nella seguente massima del Suprema Corte (7): "La chiamata in correità appartiene concettualmente alla classe delle prove rappresentative, e fra esse alla specie delle testimonianze, dalle quali si distingue solamente per ragioni giuridico-formali; la stessa, se non può assumere il valore probatorio della testimonianza, per espresso divieto di legge (ex artt. 348, comma terzo e 465, comma secondo, Cod. Proc. Pen.), non è del tutto priva di significato

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(6) - "Come per la chiamata in correità, anche per la testimonianza `de relato'il giudice deve accertare l'attendibilità avendo riguardo ad elementi di riscontro intrinseci ed estrinseci, che possono essere positivi o negativi ai fini della credibilità del testimone. I primi (intrinseci) concernono la genuinità della fonte, con riferimento alla personalità dell'autore, nonché ai motivi ed alle dichiarazioniche hanno determinato la dichiarazione accusatoria, e il contenuto stesso della dichiarazione del testimone, con riferimento alla coerenza logica, alla precisione,alla costanza. I secondi (estrinseci) concernono circostanze risultanti `aliunde', come accertamenti obiettivi ed altre testimonianze; con l'avvertenza che riscontri positivi estrinseci non debbono intendersi soltanto quelli che di per se stessi, pur senza la testimonianza `de relato', sono idonei anche da soli a provare la responsabilità dell'imputato perché in tal caso a formare il libero convincimento del giudice sono sufficienti detti diversi elementi probatori..." (Cass. Sez. I, sent. n. 3610 del 21/3/88 -udienza 16/12/87- Pres. Carnevale, imp. Tuti).
(7) - Cass., Sez. II, sent. n. 1101 del 30/1/88 -udienza 7/5/87- Pres. Pieri, imp. Barone.


probatorio poiché le è stata riconosciuta una sia pur limitata efficacia da norme di legge (art. 450 bis Cod. Proc. Pen.), per cui il suo valore non può essere circoscritto a mera `notitia criminis', né ridotto a supporto di prove per sé sufficienti."


Discende dagli argomenti svolti che, se le dichiarazioni dei cosiddetti `pentiti' non sono utilizzabili in quanto
sorrette unicamente da attributi intrinseci di credibilità e
non pretendono, al tempo stesso, un supporto probatorio di
natura esclusivamente reale, o documentale, o testimoniale
in senso proprio, allora esse possono essere sorrette `ab
extrinseco' o da altre dichiarazioni di coimputati (8)
ovvero da argomentazioni di ordine logico (9).


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(8) -"L'utilizzabilità probatoria della chiamata di correo (cosiddetto `pentito')è subordinata ad un suo controllo `intrinseco', per accertarne l'attendibilità e ad un riscontro `estrinseco', da compiere attraverso elementi obiettivi o attraverso dichiarazioni di testimoni o di altri imputati." (Cass. Sez. I, sent. 8944 del 10/8/87 -udienza 7/10/86, Pres. Carnevale, imp. Alunni).
(9) - "Il giudice di merito, nell'esercizio dei suoi poteri istituzionali in tema di scelta e di apprezzamento delle prove, può attribuire, ai fini del giudizio di colpevolezza, concreto valore probatorio alla chiamata in correità per le sue caratteristiche e per il suo contenuto intrinseco; detta chiamata acquista valore decisivo in presenza di circostanze obiettive e di elementi, anche di ordine logico, di riscontro, che valgano a confermare la veridicità e l'attendibilità dell'accusa" (Cass., Sez. I, sent. n. 1095 del 30/1/87 -udienza 13/11/86- Pres. Piccininni, imp. Leveni). E ancora: "La chiamata di correo (cosiddetto pentito) è valido elemento di accusa e prova della" (segue)


Quanto alle dichiarazioni dei coimputati, è stato correttamente osservato, con argomenti che la Corte condivide e fa propri, quanto si viene qui di seguito dicendo. Se un determinato fatto è riferito da due o più persone in termini di sovrapposizione, le spiegazioni possibili sono solamente due: o quelle persone hanno realmente percepito il fatto e lo riferiscono secondo verità; o quelle persone si sono accordate per enunciare la stessa menzogna. Un'intuitiva regola d'esperienza ci dice che le probabilità di una convergenza casuale dei dichiaranti, in assenza del fatto reale da essi riferito, sono praticamente nulle, o comunque inversamente proporzionali al numero dei dichiaranti ed alla specificità delle dichiarazioni. Del pari minima è la probabilità che varie persone accusino falsamente e identicamente un individuo per moventi autonomi e senza concertazione. Dunque, le varie `debolezze' probatorie, rappresentate dalle

plurime chiamate in correità, possono anche costituire una


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(segue) "colpevolezza quando la sua spontaneità e reiterazione ed il suo contenuto intrinseco, in presenza di argomenti anche di ordine logico, ne confermino la veridicità e l'attendibilità" (Cass. Sez. III, sent. n. 9820 del 15/9/87 -udienza 5/8/87- Pres. Battimelli, imp. Mammoliti). forza, in virtù della regola che la convergenza del molteplice sottende o la verità delle dichiarazioni o la
realtà di una congiura. E se si esclude la prima ipotesi, la seconda esige un movente, una causale, almeno una congettura da verificare. In difetto di questa verifica, si può correttamente affermare che la chiamata in correità si sorregge sull'estrinseco: il fatto viene ritenuto provato non semplicemente perché un individuo lo ha riferito (come è consentito fare a proposito della testimonianza), ma perché il coimputato lo riferisce in concordanza con altre fonti, sia pure di pari livello, e non vi sono apprezzabili elementi per configurare un mendacio collettivo.


Quanto alle argomentazioni di ordine logico che pure possono supportare una chiamata in correità od `in reità', si deve pensare, a titolo meramente esemplificativo, a quelle ipotesi in cui il dichiarante, nell'accusare, si riveli anche in possesso della conoscenza di specifiche circostanze -processualmente accertate per altra via e non notorie- che non può aver appreso se non come spettatore del fatto criminoso oggetto di giudizio o come destinatario delle confidenze dei responsabili: si immagini il caso in cui il dichiarante sia in grado di indicare l'esatta
localizzazione delle ferite sul corpo della vittima di un accoltellamento, prima del ritrovamento del cadavere da parte della Polizia Giudiziaria. Si è ipotizzato, ancora, che il dichiarante confessi d'aver commesso un delitto in concorso con gli accusati, e costoro, nel professarsi innocenti, proprio per rafforzare la dichiarazione di estraneità, soggiungano d'essersi trovati, in quelle precise circostanze di tempo, nelle vicinanze del luogo del delitto, e di essere stati sottoposti, con esito per loro favorevole, ad un controllo di polizia: una volta accertato che il crimine effettivamente fu perpetrato con le modalità indicate dal `pentito', nella parziale sovrapponibilità delle due versioni, la preferenza per la ricostruzione del segmento differenziale può essere accordata al chiamante in correità, ove gli accusati non offrano una plausibile spiegazione alternativa della loro presenza nel luogo da essi indicato, in occasione dei fatti. Inquesto casoil conforto logico `ab extrinseco' viene alla chiamata da parziali ammissioni degli accusati, che, lungi dall'avere contenuto confessorio, avrebbero, nelle intenzioni, effetto
liberatorio.


Si potrebbe obiettare -con specifico riferimento alla situazione, sopra individuata, in cui la chiamata in correità od `in reità' trae conforto dalle dichiarazioni di altro o di altri `pentiti'- che l'impostazione accolta dalla Corte postula un dovere di collaborazione del chiamato, per portare in luce il possibile complotto ai suoi danni. A ben vedere -è stato osservato- non è esatto affermare che si richieda all'accusato un'indebita collaborazione, né che si inverta l'onere della prova. Infatti, nel contestare al chiamato plurime convergenti chiamate, lo si pone di fronte ad una situazione dotata di intrinseca forza probatoria, non diversamente da quando gli si contesta un fatto indiziante di natura reale o documentale (l'esempio proposto è quello del versamento di un'ingente somma sul conto corrente, in un contesto di impossidenza): se il chiamato è in grado di sciogliere la residua ambiguità dell'indizio portandone in luce l'asetticità (cioè, nell'esempio addotto, spiegando e dimostrando la causale lecita del versamento), l'indizio si svuota; nel caso contrario, esso si consolida nel suo
significato normale.


Ma -si potrebbe ancora obiettare- la convergenza di chiamate calunniose non è necessariamente frutto di complotto generato da ostilità, da spirito di vendetta, o da intenti di regolamento di conti. Potrebbero taluni chiamanti essersi accodati ad altri -da questi ultimi e non dalla diretta esperienza dei fatti riferiti traendo le informazioni travasate nei verbali d'interrogatorio- semplicemente per lucrare benefici, processuali o penitenziali. Reputa la Corte che il pericolo in questione, pur sussistente, sia stato spesso enfatizzato e vada in qualche misura ridimensionato. In primo luogo, l'esperienza giudiziaria degli ultimi anni ha insegnato che la stragrande maggioranza dei `pentiti' si è rivelata veritiera, e che il margine di errore non è superiore a quello delle altre prove convenzionalmente accettate. L'argomento, se non può essere tranquillante con riferimento al singolo caso giudiziario, per la sua indole squisitamente statistica, deve servire, tuttavia, a rimuovere forme di pregiudiziale preclusione per questo tipo di apporto probatorio.


Ma v'è di più. Il chiamante che si ripromette di lucrare dei vantaggi dalle proprie rivelazioni ha tutto l'interesse a riferire fatti veri per un duplice ordine di ragioni: perché un'accusa calunniosa, se scoperta, porterebbe inevitabilmente alla perdita dei benefici sperati; e perché
il rischio per l'incolumità personale, già esistente e grave nel caso di denunce di fatti veri (si pensi ai numerosi omicidi di delatori o presunti tali nelle carceri), nel caso del mendacio diventerebbe certamente maggiore, dilatandosi le probabilità di ritorsioni. Con riferimento alla prima delle indicate ragioni, osserva la Corte che il rischio del mendacio è poi inversamente proporzionale al grado di inserimento del `pentito' nell'organizzazione criminale sulle cui attività criminosa egli rende le rivelazioni ed all'elevatezza del suo ruolo personale all'interno dell'organizazione stessa: e ciò in quanto colui che, per la sua posizione, è certamente in possesso di un vasto ed articolato patrimonio di notizie utili per l'indagine alla quale si offre di collaborare, saprà di poter su di esse fondare la sua aspettativa di benefici, senza essere indotto a fare ricorso a dichiarazioni non veritiere, o ad esorbitare comunque in qualche modo, per accreditarsi, dai limiti delle sue reali conoscenze.


Si dirà che le argomentazioni sopra svolte ridimensionano il pericolo che le chiamate in correità, e soprattutto certune di esse, siano frutto di calunniose iniziative volte a lucrare benefici, ma non lo scongiurano; e che, d'altra parte, quando il movente è di tal natura, non può addossarsi all'accusato -diversamente che nelle ipotesi di cui si è dianzi detto- l'onere di portarlo a galla e di dimostrare la strumentalità ad esso delle false dichiarazioni. Non v'è dubbio che qui la funzione `euristica' resta principalmente affidata alla verifica del giudice, al paziente lavorio, all'indagine filologica della camera di consiglio: che dovrà tendere a stabilire, con ogni possibile strumento, anche di analisi comparativa, se manchino alle dichiarazioni del `pentito' i necessari requisiti di genuinità, a ciò impegnandosi con tutto il rigore raccomandato da tante pronunce della Suprema Corte. E' vero, peraltro, e non va sottaciuto, che, talora, l'aver `smascherato' un `pentito' nell'atto di contrabbandare come frutto della sua esperienza diretta circostanze che egli ha appreso per altra via, accodandosi poi ad altre precedenti chiamate in correità, non comporta necessariamente la caduta dell'ipotesi accusatoria. Ben possono le precedenti chiamate essere genuine e trovare conferme `ab extrinseco' tali da supportare il convincimento di colpevolezza e da individuare il successivo apporto di altro soggetto come elemento separato ed inquinante, che va bensì scorporato, senza tuttavia indulgere ad operazioni di chirurgia radicale, che travolgano anche la parte `sana' del compendio probatorio. Operazioni totalizzanti di tal fatta sono frutto di macroscopici paralogismi, in applicazione dei quali si può essere indotti -come recita l'adagio- a gettare, con l'acqua sporca, anche il bambino.


Da ultimo,va qui decisamente riaffermato, a sgomberare il
campo da ogni equivoco, che non sono certamente i motivi del `pentimento' o della decisione di collaborare a stabilire se il fatto rivelato sia vero o falso. Ben può il chiamante essere veritiero anche se mosso esclusivamente dall'intento
di ottenere benefici, e persino se dietro quell'intento si celino anche sentimenti ostili nei confronti degli accusati:
motivazioni tutte che debbono interessare il giudice (10), al solo fine di accertare se ed in che misura possono aver


inciso sulla sincerità della chiamata, ma non certo per


escludere automaticamente, ove sussistano, l'attendibilità


della chiamata stessa. Se così non fosse, non si comprenderebbe, fra l'altro, l'introduzione nell'ordinamento di norme premiali, volte a promuovere la dissociazione dall'attività terroristico-eversiva e la collaborazione con
la giustizia, e quindi idonee a suscitare o ad incrementare il fenomeno cosiddetto del `pentitismo': giacché, opinando


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(10) - "La chiamata di correo deve avere riscontri certi ed attendibili e deve essere connotata da serietà ed inconfutabilità. Non è necessario che essa sia anche disinteressata, poiché è pur sempre una denuncia -anche se proviene da un imputato confesso- e non è da attendersi che la denuncia provenga sempre da chi non sia interessato o promani dalla spontanea volontà di collaborazione interiormente sostenuta da un sincero anelito di giustizia. Infatti, si può essere indotti soltanto dalla prospettiva di ottenere il `premio' -nella specie la circostanza attenuante prevista dal dal quinto comma dell'art. 630 Cod. Pen.- e, se a monte dell'intento di lucrare lo `sconto' della pena vi è rancore, invidia, risentimento, ciò non è argomento che possa interessare il giudice se non in quanto valga ai fini della verità." (Cass., Sez. II, sent. n. 2329 del 20/2/87 -udienza 7/11/86- Pres. Longo, imp. Mula).


nel modo che qui si contrasta, si finisce per ritenere che il legislatore si sia adoperato per favorire l'ingresso nel
procedimento penale di apporti probatori intrinsecamente viziati, al punto da renderli per ciò solo inutilizzabili.


La verità è che se il legislatore -come si è sopra chiarito- ha inteso cautelativamente escludere che la chiamata in correità possa assumere il valore di testimonianza, non esiste tuttavia nel sistema giuridico italiano alcun principio che autorizzi la formulazione di una presunzione di inattendibilità e di sospetto nei confronti di determinate categorie di soggetti in quanto tali. Pertanto, pur essendovi specifiche situazioni oggettive e soggettive rispetto alle quali, con riferimento ad una determinata persona e ad una corrispondente situazione di fatto, può apparire indispensabile effettuare riscontri di maggior rigore, va escluso che l'attendibilità di un soggetto e correlativamente la valutazione che il giudice deve formulare possano essere influenzate dall'appartenenza della


persona ad una particolare categoria come, ad esempio, quella dei `pentiti' o dei `confidenti'. Si tratta di proclamazioni che promanano dal Supremo Collegio a Sezioni

Unite (11). Ancora una volta si viene ad affermare che, in termini tecnici, il problema della chiamata in correità è un problema di corretta verifica in vista di una legittima utilizzazione processuale, e non altro.


In definitiva, e per meglio chiarire: il teste gode di una presunzione, naturalmente vincibile, di attendibilità, che resta viceversa legislativamente esclusa per il `pentito', in ossequio ad ovvie ragioni di cautela; non grava tuttavia in capo al `pentito', in quanto tale, una presunzione di inattendibilità; le cautele da adottare, quando si versi in tema di utilizzazione, ai fine della decisione, di quell'elemento di prova rappresentativa che sono le sue dichiarazioni accusatorie, consistono nelle verifiche, che, per consentire l' `adprobatio', debbono essere condotte con con il necessario rigore e ricercando gli elementi di conforto `ab extrinseco' di cui si è ampiamente detto.









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(11) -Cfr. Cass., Sez. Unite, sent. n. 3592 del 19/3/88
-udienza 18/2/88- Pres. Zucconigalli, imp. Rabito.


2.2.2)Degli elementi costitutivi del delitto di banda armata


Come già ha fatto l'Istruttore (12), occorre soffermarsi preliminarmente ad indicare quali siano gli elementi costitutivi del delitto di banda armata, onde poter poi verificare se le condotte degli imputati -così come accertate in fatto- siano sussumibili nella fattispecie astratta di cui all'art. 306 del Codice Penale. Correttamente è stato scritto nel provvedimento di rinvio a giudizio: "Innanzitutto è necessaria una pluralità di persone, una struttura organizzativa permanente, una adeguata dotazione di armi, lo scopo di commettere uno o più reati contro la personalità interna o internazionale dello Stato. Importanza centrale assume il requisito della organizzazione della banda, proprio perché l'organizzazione trasforma il vincolo associativo in dato di struttura coessenziale del reato."


Quanto alle caratteristiche dell'organizzazione stessa, la giurisprudenza più recente ha escluso che essa debba necessariamenteessere di tipo militare. "La`banda

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(12) - SO, pp. 480-482.


armata' non si caratterizza necessariamente nella struttura quale organizzazione di tipo militare con capi e gerarchie di vertice e con gregari armati e disciplinati, ma anche per il vincolo di semplice collegamento che si stabilisce fra i suoi componenti, idoneo a realizzare il fine specifico che, in presenza dei connotati propri del reato associativo, quali la permanenza e l'autonomia del vincolo dalle concrete operazioni delittuose, e assieme alla disponibilità, ma non necessariamente al possesso, delle armi, qualifica il reato di cui all'art. 306 del Codice penale." (13) Vanno dunque condivise le seguenti affermazioni dell'Istruttore: "...il delitto di banda armata presuppone una struttura articolata e qualificata secondo modelli certamente non militari, ma secondo modelli disciplinari funzionali alla dipendenza da un vertice operativo singolo o collettivo. E' difficile invero negare che `una banda può costituirsi anche per impulsi spontanei ed autonomi di più soggetti che si


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(13) - Cass., Sez. I, sent. n. 8952 del 10/8/87 -udienza 7/4/87- Pres. Piccininni, imp. Angelini. In termini sostanzialmente identici Cass., Sez. I, sent. n. 11382 del 5/11/87 -udienza 11/7/87- Pres. Molinari, imp. Benacchio. Cfr. anche Cass., Sez. I, sent. n. 2643 del 3/3/87 -udienza 14/10/86- Pres. Vella, imp. Baschieri.


riconoscono, attraverso meccanismi a volte neppure ben identificabili, nello scopo comune che intendono realizzare'. La struttura organizzativa, che non è possibile ipotizzare per la molteplicità delle forme che può assumere, deve essere finalizzata al raggiungimento dei suoi scopi, a quelli propri, cioè, per i quali l'organizzazione è sorta."


Si soggiunge nel provvedimento di rinvio a giudizio: "Va poi rilevato che l'associazione della quale si sono delineati sommariamente i requisiti essenziali deve essere armata; se pure è lecito prescindere dalla dotazione di armi ai singoli componenti, è necessario che per tutti i membri sia possibile un facile accesso all'armamento del quale l'organizzazione è in possesso." Anche quest'ultima proposizione trova il conforto di recenti pronunce della Suprema Corte: "In tema di banda armata, ai fini della sussistenza dell'elemento specializzante del possesso delle armi, non è necessario che ciascun partecipante sia armato, ma è sufficiente che le armi in dotazione della banda, come ente, siano in quantità adeguata al perseguimento dello scopo comune e siano nella concreta possibilità di utilizzazione da parte degli associati." (14)


Così conclude quindi l'ordinanza sull'argomento in esame: "E' pertanto compito di questo G.I. verificare se, in concreto, l'organizzazione criminosa descritta al capo B) del mandato di cattura" (15) "abbia i seguenti requisiti che la possano qualificare, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, quale banda armata:


a) pluralità di persone;


b) armamento adeguato al raggiungimento dello scopo comune;


c) scopo comune, tale cioè da unificare i propositi dei consociati;


d) stabilità del vincolo associativo."


Con riferimento allo scopo comune, si rende opportuna una

puntualizzazione. Se alcune pronunce di merito l'hanno individuato come elemento costitutivo della fattispecie, esso deve pur sempre venire in considerazione quale

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(14) - Cass., Sez. I, sent. n. 2643 del 3/3/87 -udienza 14/10/86- Pres. Vella, imp. Baschieri. Cfr. anche Cass., Sez. I, sent. n. 10821 del 13/10/86 -udienza 17/6/86- Pres. Molinari, imp. Ceriani.
(15) - Il mandato di cattura cui si fa riferimento è il n. 119 del 10/12/85, per il quale cfr. supra, sub 1.9.1.1.)


profilo necessario del requisito centrale concordemente richiesto, cioè dell'esistenza di una struttura organizzativa capace di qualificare un gruppo come "banda". Invero, nel definire "banda" la figura criminosa di cui all'art. 306 del Codice Penale, il legislatore non ha fatto riferimento ad una qualsiasi fattispecie associativa (come quando ha formulato la norma dell'art. 270), ma ha tenuto presente la particolare struttura suggerita dall'etimologia stessa della parola, che è sinonimo di gruppo ristretto caratterizzato, più che da un generico vincolo associativo, da un vero e proprio vincolo organizzativo: il che richiede un momento unificante più intenso, una maggiore coesione fra i membri ed una più pregnante unità di propositi e di azione. Ciò, peraltro -si badi bene- se implica almeno l'adesione dei consociati ad un programma di violenza non ancora definito nella scansione dei singoli attentati e la loro disponibilità ad approvare od anche a partecipare alla realizzazione di attentati che vengano di volta in volta organizzati ed eseguiti quale espressioni di scelte politico-strategico-militari tendenzialmente comuni, non comporta viceversa l'adesione di tutti i consociati, `ab initio' ad una campagna di attentati già definita nella sua materialità. In linea con questa impostazione si vengono a porre tutte le recenti pronunce che, traendone le conseguenze tecnico-giuridiche, escludono l'automaticità dell'attribuzione agli associati a banda armata, per il solo fatto dell'essere associati, dei delitti attuati da singoli componenti dell'organizzazione in esecuzione dello scopo comune (16). E ciò è vero indipendentemente dal ruolo -anche

di primaria importanza nella banda- rivestito dal singolo

associato. (17)


Ben può accadere -e normalmente accade- che il programma di attentati si definisca e specifichi `in itinere', durante la




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(16) - "La responsabilità dell'associato a banda armata, in ordine ai singoli reati attuati da componenti della stessa, non può essere legittimamente ritenuta qualora non risulti che egli, ai fini della commissione di tali reati, non abbia svolto una ulteriore specifica attività integrante un contributo, efficiente e causale, di natura materiale o morale" (Cass., Sez. I, sent. n 7370 del 12/6/87 -udienza 4/11/86- Pres. Carnevale, imp. Adamoli).
(17) - "Dalla partecipazione ad un'associazione delittuosa (nella specie banda armata) ed anche da un particolare ruolo nell'associazione non discende automaticamente la responsabilità per reati (nella specie detenzione di armi) riferibili all'associazione medesima: vanno infatti accertati sempre quegli elementi di condotta e di dolo sui quali si deve fondare la responsabilità personale" (Cass., Sez. I, sent. 8944 del 10/8/87 -udienza 7/10/86- Pres. Carnevale, imp. Alunni).


vita della compagine armata; e che il singolo attentato, per la pecularità dell'obiettivo, per l'eccezionale gravità delle conseguenze (che può esorbitare dai limiti messi in conto da taluno dei partecipi all'atto dell'adesione alla banda), o per motivi di carattere tattico, non soltanto non trovi l'approvazione di tutti i sodali, ma sia visto con sfavore da alcuni di essi, senza che ciò implichi il venir meno del vincolo associativo, che resta saldo attorno al nucleo del `pactum sceleris'. Il rilievo ha specifica attinenza con la banda armata che qui si giudica. Emblematica la figura di Gilberto CAVALLINI: costui, inseparabile sodale di Valerio FIORAVANTI nella frenetica attività del primo semestre 1980, a lui associato in crimini efferati (quale l'omicidio del dott. Mario AMATO), divide con il FIORAVANTI la latitanza; poi prende le distanze dal crimine che rappresenta la massima espressione `militare' della banda armata: la strage del 2 agosto, cui non partecipa e rispetto alla quale rigetta ogni sospetto di coinvolgimento; ma, anche nel periodo a cavallo della strage, non abbandona la comunione di vita con il FIORAVANTI, con il quale tornerà a delinquere già il giorno 5 agosto, in occasione della rapina all'armeria di Piazza Menenio Agrippa, e con il quale continuerà a predisporre i preparativi per la progettata evasione di Pierluigi CONCUTELLI: impresa già concepita in epoca anteriore alla strage e che viene ad inscriversi, almeno in rapporto di strumentalità rispetto ad ulteriori sviluppi, nella complessiva progettualità della banda armata oggetto di giudizio. La quale, con le caratteristiche che si verranno in prosieguo individuando, verrà a dissolversi soltanto alla fine dell'agosto 1980, a seguito dell'emissione dei primi ordini di cattura, che si abbatterono con effetti dirompenti sugli ambienti dell'eversione neofascista romano-veneta.


2.2.3) I prodromi della banda armata oggetto di giudizio


E' necessario ripercorrere brevemente -anche qui sulla falsariga dell'ordinanza di rinvio a giudizio (18)- le vicende della destra eversiva italiana, e romana in particolare, dalla fallita riunificazione fra Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, risalente agli anni 1975-76, al

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(18) - Cfr. SO, pp. 486-512.


sorgere di alcune esperienze organizzative di carattere
nuovo, quali il gruppo coagulatosi intorno a Costruiamo l'Azione, ed il movimento Terza Posizione, nonché di spontanee aggregazioni eversive come i Nuclei Armati Rivoluzionari o N.A.R.: sigla, quest'ultima, designante un'area al centro della quale si venne a trovare -in un certo periodo- il gruppo eversivo-terroristico del Fronte Universitario di Azione Nazionale (F.U.A.N.) di Roma.


Tanto, non perché sia questa la sede per una dettagliata esposizione della vicenda giudiziaria e politica degli anni '70-'80, che del resto è stata oggetto di numerosi procedimenti celebratisi a Roma ed in altre sedi giudiziarie (di cui è amplissima documentazione tra gli atti acquisiti al presente procedimento), ma perché sia possibile cogliere il substrato politico, storico ed umano dell'organizzazione eversiva armata creatasi alla fine del 1979, con l'esaurirsi, a breve distanza di tempo le une dalle altre, delle esperienze dei gruppi sorti dopo la crisi delle tradizionali organizzazioni della destra eversiva italiana.


E' opportuno prendere qui posizione, una volta per tutte, rispetto ad un problema che, nella presente decisione, si viene reiteratamente a porre.


Premesso che non è compito di questa Corte valutare responsabilità penali per fatti diversi da quelli specificamente oggetto delle imputazioni dedotte in giudizio, va tuttavia affermato che rappresenta un potere-dovere di questo, come di ogni altro giudice, valutare liberamente i fatti storici -anche laddove sugli stessi, penalmente riguardati, si sia formato in altra sede il giudicato- ogniqualvolta l'apprezzamento di detti fatti storici venga ad incidere sull'apprezzamento di quelli per i quali pende l'attuale giudizio. Si intende, in altri termini, affermare che la preclusione di cui all'art. 90 del codice di rito attiene esclusivamente alla possibilità di sottoporre nuovamente un individuo a giudizio penale per il medesimo fatto-reato per il quale sia già stato giudicato in via definitiva; e, più in generale, anche a prescindere dalla sussistenza di pronunce definitive, che, nel giudizio penale, non devono trovare ingresso limitazioni di sorta -oltre a quelle testualmente enunciate da norme processuali-


al potere del giudice di accertare la verità (19).


"E' noto" -scrive il Giudice Istruttore- "che nel settembre 1975, dopo numerosi contatti fra i `leaders' dei due movimenti, vi fu in una villa di Albano, in provincia di Roma, un incontro tra esponenti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale che avrebbe dovuto sancire


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(19) - "Il principio dell'inammissibilità di un secondo giudizio, sancito dall'art. 90 Cod. Proc. Pen., impedisce al giudice di procedere contro lo stesso imputato per il medesimo fatto già giudicato con sentenza irrevocabile, ma non gli impedisce di prendere in esame lo stesso fatto storico valutandolo liberamente ai fini dell'indagine relativa a un distinto reato." (Cass., Sez. VI, sent. n. 3253 del 17/7/87 -udienza 2/12/86- Pres. Mastursi, imp. Piras). L'indirizzo è consolidato (cfr. anche Cass., Sez. III, sent. n. 11722 del 3/12/85 -udienza 18/10/85- Pres. Gambino, imp. Pennestri). In Cass., Sez. I, sent. n. 589 del 12/8/68 -udienza 8/4/68- Pres. Colli, imp. De Angelis, oltre al principio sopra riportato, si legge: "...Deve pertanto ritenersi che, per effetto del limitato divieto di cui all'art. 90 Cod. Proc. Pen., l'autorità del giudicato penale non si estenda mai al di là del caso deciso (assoluzione o condanna di un determinato imputato per un determinato fatto) e che non si possa, nel giudizio penale, introdurre alcuna limitazione, oltre quelle esplicitamente e tassativamente enunciate da norme processuali, al potere del giudice di accertare la verità. Va riconosciuta per conseguenza al giudice del merito la facoltà ed il dovere di valutare i fatti sottoposti al suo esame, anche se l'accertamento storico di essi siastato oggetto di altro giudizio e si sia formato il giudicato in ordine ad altri reati." E in Cass., Sez. V, sent. n. 7950 del 10/9/85 -udienza 21/5/85- Pres. Gallo, imp. Finardi: "...Il fatto che ha costituito presupposto di precedente condanna divenuta irrevocabile non può, infatti, considerarsi accertato in modo irretrattabile: irretrattabile è la verità legale del fatto reato, non la verità reale del fatto storico. Pertanto, nella materia penale, l'autorità del giudicato -salvo casi espressamente previsti anche per particolari effetti (efficacia del giudicato in tema di calunnia, ex art. 368, ultimo comma, Cod. Pen.), non può essere invocata al di fuori delle ipotesi di inammissibilità di un secondo giudizio, ai sensi dell'art. 90 Cod. Proc. Pen."


l'unificazione delle due organizzazioni. Su tale riunione tra gli altri, ha riferito ampiamente Sergio CALORE negli interrogatori del 15/12/82 e del 28/12/82 (vol. IX/a-1 bis

interr. A, cart. 13) resi al G.I. di Firenze e acquisiti a


questi atti). Nella riunione di Albano," (20) "alla quale, tra gli altri, parteciparono Stefano DELLE CHIAIE, Adriano TILGHER, Maurizio GIORGI, Giuseppe PUGLIESE, Pierluigi CONCUTELLI, Massimiliano FACHINI e Paolo SIGNORELLI, venne

tracciato un programma politico (parlarono, rispettivamente, per A.N.ed O.N., DELLE CHIAIE e SIGNORELLI), apparentemente approvato anche dagli ordinovisti riparati all'estero, e nominato un vertice unitario che si articolava in una direzione politica, di cui facevano parte SIGNORELLI e DELLE CHIAIE, sotto la quale operavano dei `settori' nazionali: uno informativo, uno operativo, l'altro logistico, nonché

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(20) - Pregevoli e documentate argomentazioni in ordine alla riunificazione di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale ed, in particolare, alla riunione di Albano Laziale, trovansi nella monumentale requisitoria del PUBBLICO MINISTERO di Roma 22/7/1983, in AA, V1, C1/2, pp. 442 ss., ove si dà anche ampiamente conto delle fonti di prova raccolte. Non è questa la sede per riprendere nel dettaglio le vicende ivi trattate. Va ricordato tuttavia, per quanto attiene al presente giudizio, che Sergio CALORE ha confermato in dibattimento le dichiarazioni precedentemente rese a proposito della riunione di Albano (vu 10/12/87, p52). Cfr. anche le dichiarazioni di Giorgio COZI, in vu 21/1/88, pp. 65 ss., e di Aldo Stefano TISEI, in vu 19/1/88, pp. 12 ss.


due altri settori, quello propaganda e quello `collegamenti'.


Non solo, ma la struttura venne articolata in zone geografiche, e destinata ad adattarsi al concreto sviluppo


del movimento, che si sarebbe presentato sotto la facciata, nel '75 ancora legale, di Avanguardia Nazionale," (21) "ma che in effetti era stato costituito al fine di svolgere attività clandestina ed eversiva per `disarticolare' il potere statale, colpendo le cinghie di trasmissione degli apparati istituzionali. Difatti la strutturazione clandestina degli organismi dirigenti, l'uso di nomi di copertura, le particolari cautele e misure di sicurezza programmate ad Albano non lasciano dubbi sul fatto che tutti i partecipi alla riunione erano assolutamente consapevoli di aver costituito un organismo illegale ed eversivo che si proponeva esplicitamente di guidare la lotta armata in Italia negli anni prossimi a venire.


Peraltro, nonostante gli accordi di Albano, che pure avevano

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(21) -L'associazione Avanguardia Nazionale fu sciolta con decreto del Ministero dell'Interno in data 8/6/1976 (cfr. AA, V9, C58, p20). Il Movimento Politico Ordine Nuovo era stato sciolto con decreto in data 23/11/73 (cfr. AA, V1, C1/2, p273).


visto come protagonisti uomini di primo piano dei due movimenti, come SIGNORELLI, FACHINI, DELLE CHIAIE, CONCUTELLI, il processo di riunificazione entrò rapidamente in crisi (v. interrogatori di Sergio CALORE, citati supra);
e ciò anche in presenza di `successi operativi' verificatisi
nel 1976 quali acquisizioni di armi ed esplosivi, rapine
(tra cui, clamorosa per entità della somma sottratta, quella al Ministero del Lavoro)," (22) "l'omicidio del giudice romano Vittorio OCCORSIO," (23) "PUBBLICO MINISTERO del procedimento penale contro Ordine Nuovo. Accadde infatti che le tematiche ideali e politiche del Movimento non ebbero la capacità di adattarsi ad una situazione sociale e politica del paese che, specie a livello di masse giovanili, andava rapidamente mutando e spostandosi, anche a destra, su posizioni radicali e di ribellismo diffuso molto lontane dalle concezioni gerarchizzate e tradizionaliste di O.N. e A.N.


Non solo, ma la progettata unificazione, ben presto naufragata, lasciò un pesante strascico di risentimenti,

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(22) -Per tale episodio, cfr. AA. V1, C1/2, pp. 299-352.
(23) - Assassinato in Roma il 10/7/1976: cfr. AA, V3, C12, p12.


reciproche accuse di delazione a favore di organismi statuali, divenute sempre più pesanti anche in ragione della crisi politica intervenuta fra i militanti di O.N. dopo
l'arresto a Roma di Pierluigi CONCUTELLI," (24) "figura
carismatica di `Comandante Militare' della organizzazione.
E' in questo arco di tempo, e precisamente dopo l'aprile 1977, che Sergio CALORE, il quale in precedenza aveva tentato di riorganizzare quanto rimaneva di Ordine Nuovo, dopo un ultimo inutile incontro a Londra con Clemente GRAZIANI, decide di `rifondare' l'ambiente di destra, e porlo in sintonia con i tempi nuovi che maturano."


Prende il via quella nuova fase storica della destra eversiva, costituita dal sorgere, sulle ceneri delle disciolte tradizionali organizzazioni, delle nuove formazioni che si agiteranno, nel panorama del neofascismo, soprattutto della Capitale, negli ultimi anni '70 e nei primissimi anni '80. Per quanto riguarda Costruiamo l'Azione,organizzazione alle cui vicende si dovrà sovente far richiamo, una puntuale e completa ricostruzione


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(24) -Il CONCUTELLI fu catturato nel febbraio del 1977 (cfr. AA, V1, C1/2, p441).


è stata resa possibile soprattutto attraverso i riferimenti di SergioCALORE e PaoloALEANDRI, che hanno portato il contributo delle loro dirette, personali esperienze.


Nell'iniziativa di pubblicare un giornale, `Costruiamo l'Azione' (25), si trovano aggregati vecchi e prestigiosi ordinovisti come Paolo SIGNORELLI e Fabio DE FELICE, nonché intellettuali come il criminologo Aldo SEMERARI ed il giovane allievo del DE FELICE, Paolo ALEANDRI. Si legge nel provvedimento terminativo dell'istruttoria: "Il giornale in un primo tempo fu espressione di mediazione o quanto meno di `convivenza' di tre tendenze:" (26) " quella di Fabio DE FELICE, ancora legata alle tradizionali tematiche ordinoviste; quella di SIGNORELLI e FACHINI che pur fermi ideologicamente in una posizione tradizionale di destra, erano attenti, specie il primo, alle nuove realtà giovanili emergenti; quella di Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI, subito entrati tra loro in sintonia, tesa al superamento



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(25) -Delle vicende di Costruiamo l'Azione si occupa `ex professo' il procedimento penale il cui dibattimento si celebrerà prossimamente in Roma e la cui requisitoria scritta trovasi in AA, V1, C1 (procedimento contro ADDIS Mauro + altri). Cfr., in particolare, AA, V1, C1/3, pp. 614-652. (26) - Definite le "tre anime" di Costruiamo l'Azione. dell'ideologismo `fascista' e che rivolgeva il proprio interesse alle masse studentesche e sottoproletarie.


In un secondo tempo la pubblicazione si adeguò quasi


totalmente alla linea politica e culturale di CALORE e ALEANDRI, contraria allo scontro con i `rivoluzionari' di

sinistra, ai quali anzi si proponeva una torbida e ambigua
alleanza", che avrebbe dovuto essere diretta contro le forme istituzionali dello Stato borghese, ritenute oppressive. Così prosegue ulteriormente l'ordinanza di rinvio a giudizio: "La pubblicazione, sostanzialmente, rivolge un pressante appello alle masse...perché maturate dall'azione e dalla `politica dei fatti' si trasformino in Popolo. Sotto la guida politica di CALORE e ALEANDRI, ma anche con l'ispirazione di Paolo SIGNORELLI, `Costruiamo l'Azione' diviene non solo l'organo teorico di un gruppo che rappresentava bensì continuità con Ordine Nuovo, ma anche un punto di riferimento, con respiro nazionale (si pensi alla presenza di personaggi come Gilberto CAVALLINI e Massimiliano FACHINI, leader del gruppo `Nord'), per azioni terroristiche di tipo relativamente nuovo per l'ambiente di destra: non più rivolte contro i tradizionali avversari politici di sinistra, ma contro i simboli e gli uomini degli apparati istituzionali dello Stato."


Fondamentalmente, "ClA" (Costruiamo l'Azione) viene a costituire una copertura di comodo di una organizzazione clandestina armata, articolata, cui vanno ricondotti numerosie gravi fatti eversivi, fra cui due campagne di attentati dinamitardi. E il gruppo che si muove nella direzione della rivista,in definitiva, `gestisce politicamente' le attività, e, segnatamente, gli attentati compiuti dagli `operativi' che gravitano nell'ambiente della pubblicazione.


"In particolare Paolo ALEANDRI" -scrive ancora l'Istruttore-"ha descritto con ampiezza di particolari e circostanze di fatto, tutti riscontrati dalle indagini effettuate dai magistrati inquirenti le varie fasi del gruppo armato, denominatosi `Movimento Rivoluzionario Popolare' collegato e ispirato dai `politici' di `Costruiamo l'Azione'...


Dalla fase degli attentati non rivendicati del 1978, posti in essere allo scopo di fornire un momento di verifica `operativa' alle tesi politiche di `Costruiamo l'Azione' si passa a quelli rivendicati del 1979...esauritisi...con il fallito attentato al Consiglio Superiore della Magistratura in Piazza Indipendenza a Roma.


In tale occasione l'ordigno esplosivo, stipato in una autovettura non deflagrò per un difetto del timer...fatto che fortunatamente impedì una vera e propria strage. Infatti...il congegno a tempo della bomba era stato regolato in modo da provocare l'esplosione nella affollatissima piazza, non in ora notturna come era stato originariamente programmato, ma in pieno pomeriggio, quando doveva svolgersi una manifestazione nazionale degli Alpini..."


I `politici', quali CALORE, SIGNORELLI, Fabio DE FELICE ed altri, pur non partecipando in modo esplicito alla organizzazione ed esecuzione degli attentati e delle ulteriori attività illegali, certo non disapprovavano l'attività eversiva svolta dagli `operativi' del gruppo: che appunto -come si è detto- ispiravano e `gestivano politicamente'. Non solo: Fabio DE FELICE addirittura lamentava il fatto di non poter gestire personalmente i proventi delle rapine,mentreil SIGNORELLI partecipava
direttamente all'attività di procacciamento dell'esplosivo.


Dalle parole dell'ALEANDRI, oltre al ruolo dei personaggi più propriamente interni all'ambiente di Costruiamo l'Azione, emergono altresì i collegamenti operativi tra esponenti di quell'area ed Egidio GIULIANI ed il suo gruppo: emblematica, in proposito, la rapina della Banca del Mattatoio di Roma (27), nella quale si trovano a concorrere esecutori di attentati M.R.P. e membri della `Banda GIULIANI'.


Ancora l'ordinanza di rinvio a giudizio: "in sostanza, quindi,...il gruppo che si riconosce nelle tesi politiche di `Costruiamo l'Azione' è veramente un momento di `saldatura' tra il vecchio ambiente di Ordine Nuovo (o quanto meno di coloro che di O.N. sono rimasti attivi in Italia), e la banda armata che si costituirà verso la fine del 1979", quando, entrata in crisi l'esperienza della rivista e del

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(27) - L'episodio risale al 21/8/1979. Se ne resero responsabili, fra gli altri, oltre all'ALEANDRI, a Marcello IANNILLI e Bruno MARIANI, anche Egidio GIULIANI, Armando COLANTONI e Marco GUERRA (cfr. AA, V1, C1/4, pp. 802-812). Tale rapina precede di poco più di un mese il sequestro di Paolo ALEANDRI ad opera di Marcello IANNILLI e di altri: sequestro che segnò la definitiva uscita dell'ALEANDRI da un certo ambiente (cfr. AA, V1, C1/4, pp. 813-817). del gruppo che vi faceva riferimento, nonché quella del gruppo N.A.R., si registrerà altresì un grave sbandamento in Terza Posizione. "Quando ciò accade" -osserva poi il Giudice Istruttore- "è già in fase di costruzione una nuova realtà organizzativa, perché il patrimonio di esperienze, di capacità militari, di legami intersoggettivi, di appoggi logistici cresciuto con l'attività del gruppo di `Costruiamo l'Azione' non viene certo meno, ma diventa il sostrato essenziale della banda armata descritta nel mandato di cattura 119/85 di questo Giudice Istruttore..."


Né, d'altra parte, desistono dalla loro attività `leaders'
politici del gruppo quali Paolo SIGNORELLI e Aldo SEMERARI, cioè coloro che, con altri, hanno accortamente tirato le
fila degli `operativi, suggerendo un programma di azione in sintonia con il disegno da sempre portato avanti di
condizionare con il terrore la vita politica del paese.

Il provvedimento conclusivo dell'istruttoria prende poi in
considerazione l'esperienza del F.U.A.N. di Roma (28),


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(28) -Per la quale, cfr. sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio 27/5/82, emessa nel procedimento contro ALES Fabrizio + 81, in AA, V4, C22, passim, e sentenza III Corte Assise Roma 2/5/83, emessa nel procedimento contro ANGELINI Fulvia + 56, in AA, V13, C74, passim.


"presso la cui sede, in via di Siena, si riuniscono e progettano gravi delitti con finalità terroristiche personaggi che diventeranno ben presto tristemente noti: Valerio e Cristiano FIORAVANTI, Alessandro ALIBRANDI, Francesca MAMBRO, Walter SORDI, Dario PEDRETTI e vari altri delle cui vicende si è interessata l'A.G. romana...


Il gruppo che si riunisce in via Siena è sicuramente eterogeneo e non strutturato secondo moduli organizzativi: la sede del FUAN è solo un centro di raccolta di esperienze, soprattutto delittuose e terroristiche, portate avanti da giovani uniti dall'impazienza rivoluzionaria, privi di un progetto politico globale, ma uniti dal desiderio di praticare `azioni militari' di contenuto e di rilievo ben superiore al semplice `pestaggio' degli avversari politici di sinistra.


Non è un caso che in questo ambiente emergano le personalità di Alessandro ALIBRANDI, Dario PEDRETTI e Valerio FIORAVANTI", coinvolti in molteplici gravissime attività criminali di stampo terroristico-eversivo. Nell'ambiente si progettano e si pongono poi in esecuzione azioni che culminano in fatti di sangue, attentati terroristici e rapine (tra le quali alcune molto gravi ad armerie).


Dalla sentenza di 1° grado del procedimento cosiddetto `NAR 1' (29): "...La confluenza dei FIORAVANTI e del gruppo da loro capitanato (specialmente dal FIORAVANTI Valerio) nel FUAN, in coincidenza con quel fermento giovanile del quale...lo stesso Valerio ha più volte parlato, dava vita ad un nuovo, più numeroso, più organizzato, più armato ed ideologicamente più motivato gruppo eversivo, nel quale hanno militato, con diverso ruolo, la gran parte degli imputati di questo processo.


Taluni di essi, non certo disponibili allacollaborazione, hanno avuto modo...di parlare del FUAN del 1979 come di un'esperienza di vita `comunitaria' esaltante e non ripetibile, nella quale si erano loro aperte prospettive nuove sotto il profilo umano e politico, in rottura con la linea del partito, che li aveva sino ad allora `ghettizzati' e cotretti in un'ottica ideale e operativa di semplice anticomunismo squadristico.




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(29) - AA, V13, C74, pp. 481-483.


Quale in realtà fosse questa esperienza di vita `comunitaria' carica di `altruistici' valori umani e di nuovi `ideali' politici lo hanno detto i fatti criminosi compiuti...


Il gruppo eversivo del FUAN esordiva certamente con l'assalto a radio `Città Futura' del 9/1/79 e con l'episodio di guerriglia urbana di Centocelle," (30) "del giorno successivo, nel quale peraltro si verificavano anche un attentato alla sez.ne del PCI di via del Boschetto" (31) "delle ore 14,31 e un altro attentato a `Il messaggero' in in via dei Serviti," (32) "delle 18,10, anche questi rivendicati con la sigla NAR, designante un'area eversiva al centro della quale era indiscutibilmente allora proprio il gruppo eversivo-terroristico del FUAN.


Questi fatti dimostrano l'esistenza nel gruppo di due linee diverse: una rigorosamente `militarista' ispirata da FIORAVANTI Valerio, seguito da ALIBRANDI, DE FRANCISCI Gabriele ed altri, e una più `politica' portata avanti dal PEDRETTI, che non disdegnava azioni di massa come quella

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(30) - Cfr. AA, V13, C74, pp. 140 ss. (31) -Cfr. AA, V13, C74, p10.
(32) -Cfr. il passo di cui alla nota che precede.


appunto di Centocelle...


L'azione articolata del FUAN si qualificava, oltre che nell'assalto a radio `Città Futura', negli attentati al cinema Ambra Iovinelli" (33) "e alla sede del `circolo culturale femminista autonomo', del 7/3/79" (34) "...e nell'attentato alla sede del PCI/Esquilino di via Cairoli, del 16/6/79.


Trovava il suo indispensabile approvvigionamento di armi oltre che nelle bombe SRCM cedute in parte dal FIORAVANTI Valerio e trasferite al deposito del quartiere Talenti" (35) "e poi a via Alessandria," (36) "nel furto di armi e bombe SRCM consumato nella notte tra il 14/15.12.78 nella capitaneria di porto di Ravenna" (37) "...nella rapina all'armeria `Omnia Sport'," (38) "esaltata...come momento
forte del percorso delinquenziale ed eversivo del gruppo da più imputati;nella rapina ai danni della soc. CAB,


del'8/2/79." (39)


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(33) - cfr. AA, V13, C74, pp. 101 ss.
(34) - cfr. il passo citato alla nota che precede.
(35)-cfr. AA. V13, C74, pp. 253 ss.
(36) - cfr. RA, V11, C424; AA, V2/6, C3, pp. 62-304; AA, V10, C60 (rapporto DIGOS Bologna).
(37) - cfr. AA, V13, C74, pp. 218 e 238-239.
(38) -cfr. AA, V13, C74, pp. 105 ss.
(39) - Cfr. AA. V13, C74, pp. 90 ss.


"L'autofinanziamento era assicurato, sempre con la collaborazione preziosa dello SPARTI, mediante rapine fruttuose...


Una certa attenzione era dedicata all'istruzione nelle armi dei possibili nuovi, giovani aderenti..."


Richiama poi la sentenza sin qui citata il progetto politico rivoluzionario del FUAN, ispirato dalla `filosofia' dello `spontaneismo armato', nonché la strategia della tregua con i `rossi', per portare avanti un'azione eversiva autonoma, ma convergente, da destra e da sinistra, con l'obiettivo ultimo della distruzione dello Stato nell'insurrezione e/o nella morsa della guerra civile.


Il rapporto fra l'esperienza del FUAN e quel più vasto e magmatico fenomeno `spontaneista' che adottò sovente, per rivendicare le sue azioni militari, la sigla `N.A.R.', è chiarito dal passo della sentenza -che si è trascritto
sottolineandolo- nel quale il gruppo FUAN viene identificato
come centro di una più vasta area genericamente designabile, appunto, con l'indicata sigla.


Lo stesso Valerio FIORAVANTI definisce i N.A.R. "una sigla sotto cui operano diverse persone, spesso tra loro non collegate." (40) In effetti, con l'espressione `N.A.R.' non si identifica un'organizzazione unitaria, stabile e strutturata, responsabile di attentati: si identifica soltanto la matrice fascista degli attentati stessi, riferibili, di volta in volta, all'uno o all'altro dei gruppi del variegato arcipelago spontaneista. E ciò perché la stessa filosofia dello spontaneismo armato non aveva di mira la formazione di un'organizzazione unitaria, con una centrale direttiva e articolazioni relativamente autonome sul piano decisionale e operativo, ma di un arcipelago di gruppi sovversivi e terroristici relativamente autonomi, spinti ad organizzarsi e ad operare dall'attività esemplare dei gruppi meglio organizzati e più attivi.


Naturalmente, un simile patrimonio di esperienza potrà
opportunamente essere messo a frutto, qualora, con


l'evolversi della situazione storico-politica e per effetto di prese di posizione personali, eventualmente suggerite da ragioni tattiche, chi ha militato nelle formazioni

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(40) - IA, V9/a-2, C29, p15.


spontaneistiche si orienti verso scelte decisamente diverse, stringendo nuove alleanze, con uomini certamente non insospettabili sul piano della `purezza rivoluzionaria'; così conclude l'Istruttore a proposito del gruppo FUAN: "E' un coagulo di energie e di esperienze militari, di acquisizioni di armi e di esplosivi, che ben presto finirà per essere messo a disposizione di organizzazioni che tenderanno a riunire e a centralizzare dietro un progetto politico unitario una molteplicità di persone che, proprio attraverso l'esperienza del FUAN romano, hanno affinato la capacità `militare' e compiuto, ormai in modo irreversibile, la scelta terroristica."


Occorre far cenno, infine, del Movimento `Terza Posizione' (41). Nata nel 1977 dall'esaurirsi

dell'esperienza di `Lotta Studentesca', Terza Posizione è un organismo gerarchizzato, dotato di struttura minutamente
organizzata: la cellula fondamentale è il CUIB, composto da

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(41) - Per il quale, oltre a SO, pp. 498 ss., cfr. anche: AA, V6, C39; AA, V12, C71, pp. 1-11, l'ordinanza del `Tribunale della Libertà' di cui sub 1.7.11), pp. 42 ss., in AR, V5, C40, pp. 132 ss.; e la sentenza di 1° grado del procedimento cosiddetto `di Terza Posizione', in AAD, V10, C4 bis, passim. un numero ristrettissimo di militanti, diffuso nelle scuole


e nei quartieri; il CUIB fa riferimento al Comandante del Nucleo Territoriale, che a sua volta fa parte, assieme ad elementiparticolarmente rappresentativi del Movimento, del Nucleo Centrale. A fianco di tali strutture si collocano la `Legione', composta dall'aristocrazia del Movimento, dalla quale sarebbe dovuta emergere la futura classe dirigente, ed il Nucleo Operativo, che compie le attività illegali necessarie per finanziare il Movimento.


Dal punto di vista ideologico, Terza Posizione rifiuta tanto il capitalismo, quanto il comunismo, mira al rovesciamento dell'esistente, per imporre un proprio modello di Stato, all'interno del quale sorgeranno gradualmente, educati dalle `élites' rivoluzionarie, gli `uomini nuovi'.


"Sul piano interno, quindi," -scrive l'Istruttore- "lotta ai partiti, ai sindacati, alle multinazionali e alle banche; sul piano internazionale, lotta tanto all'`imperialismo'
americano, quanto a quello sovietico, e appoggio alle forze `terzomondiste', quali l'`IRA' irlandese, i Libici, gli Iraniani..."


Si è detto che all'attività clandestina è preposto un
`Nucleo Operativo': in esso agiscono stabilmente Stefano SODERINI, Pasquale BELSITO, Luigi CIAVARDINI e Giorgio VALE, subentrato al vertice del Nucleo stesso dopo l'arresto, avvenuto il 14/12/1979 (42), del precedente capo, Roberto NISTRI, catturato assieme ad Alessandro MONTANI e a Giuseppe DIMITRI. Quest'ultimo, capo della `Legione', era unanimemente ritenuto, dagli aderenti all'organizzazione, l'esempio vivente di quella avanguardia militante deputata a guidare la rivoluzione, ed il suo arresto comportò, per i vertici politici del Movimento (precipuamente Roberto FIORE, Gabriele ADINOLFI e Francesco MANGIAMELI) il grave problema della sua sostituzione: per tale motivo viene contattato Valerio FIORAVANTI, l'unico personaggio in grado, per carisma e capacità `militari', di `educare' i giovani militanti.


Pur senza aderire organicamente a Terza Posizione, della
quale egli, paludandosi della veste di profeta dello
spontaneismo, non avrebbe condiviso la struttura rigidamente



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(42) - Cfr. gli atti citati alla nota (36). gerarchica, Valerio FIORAVANTI incomincia proprio da

quell'epoca -fine 1979/inizi 1980- a fornire un formidabile supporto operativo al Movimento, contribuendo, con Francesca MAMBRO e Gilberto CAVALLINI, a lui profondamente legati, alla verticalizzazione dell'organizzazione ed al coinvolgimento dei militanti in azioni sanguinose e di contenuto chiaramente armato ed in funzione apertamente antiistituzionale. Il continuativo contributo offerto da Valerio FIORAVANTI determina la prima crisi all'interno del Movimento e la frizione fra le sue due `anime', quella spontaneista e quella `strutturalista'.


Commenta il Giudice Istruttore: "...dopo l'arresto di Roberto NISTRI e Beppe DIMITRI, i due più capaci leaders militari del movimento, il nucleo operativo di Terza Posizione...passa sotto il controllo di Valerio FIORAVANTI e dei suoi accoliti, nell'ambito di una strategia sedicente `spontaneista' che afferma il ruolo rivoluzionario del `soldato politico' nella lotta contro il `sistema': vengono compiute azioni terroristiche di grande risonanza (si pensi all'omicidio ARNESANO o dell'Agente di P.S. EVANGELISTA davanti al Giulio Cesare)" (43), che, attraverso
l'aggressione diretta ai simboli del `sistema', evidenziano la volontà di radicalizzare la lotta, riuscendo in pari tempo ad orientare verso tale scelta politica gruppi di giovani in quegli anni facilmente influenzabili da un discorso radicale, di `guerra' al sistema."


Ciò che qui precipuamente rileva è il descritto progressivo sganciamento del Nucleo Operativo di Terza Posizione dal controllo dei massimi dirigenti politici del Movimento, Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, ed il conseguente suo gravitare nell'orbita del FIORAVANTI. Il che giustifica ampiamente l'affermazione, contenuta nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria, secondo cui il Nucleo Operativo, già dopo l'omicidio ARNESANO, diviene una struttura autonoma, che solo formalmente rimane collegata

alla direzione politica del FIORE e dell'ADINOLFI.









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(43) - Cfr., per l'omicidio ARNESANO, commesso il 6/2/80, rapporto DIGOS Bologna 28/4/86, in RA, V13, C437, p112; e, per l'omicidio EVANGELISTA, perpetrato il 28/5/80, l'ordinanza di rinvio a giudizio 3/2/83 del Giudice Istruttore di Roma, in AS, C16.


2.2.4)Teoria e prassi dell'attentato dinamitardo come strumento di lotta `politica'


Primadella brusca accelerazione dell'attività criminosa verificatasi nel primo semestre del 1980 -e che è espressione precipua della banda armata oggetto del presente giudizio- la lotta armata ed il terrorismo neofascista si erano sviluppati secondo moduli sui quali è necessario soffermarsi brevemente.


Tanto i N.A.R. (44) quanto il gruppo coagulatosi intorno a Costruiamo l'Azione fanno ampio uso, a fini di lotta politica, di attentati realizzati mediante l'impiego di ordigni esplosivi. Se anche dopo la fine del 1977, nello stillicidio degli attentati di matrice neofascista a Roma, numerosi di essi si connotano per una contenuta gravità delle conseguenze sugli obiettivi colpiti con bombe incendiarie ed ordigni, tuttavia, negli anni '78 e '79, progressivamente si alza il tiro: in taluni casi, gli episodi si fanno più gravi, e viene conseguentemente e correlativamente riducendosi, per forza di cose, la preoccupazione di evitare i danni che eventualmente possano


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(44) - Cfr. RA, V3, C80; cfr. anche supra, sub 2.1.2.5.4). derivare alle persone, anche estranee alle vicende della lotta politica.


Gli attentati compiuti a Roma nel 1978 e riferibili al gruppo facente capo a Costruiamo l'Azione (45) ebbero a bersaglio simboli, centrali e periferici, del potere istituzionale. Nessuno di questi attentati -alcuni dei quali particolarmente gravi per la quantità dell'esplosivo utilizzato- venne rivendicato. Gli autori materiali di tali delitti verranno poi individuati molto tempo dopo, quando Paolo ALEANDRI inizierà a collaborare con l'autorità giudiziaria romana, rendendo dichiarazioni che troveranno poi clamorosa e puntualissima conferma allorché Marcello IANNILLI, interrogato il 15/12/1985 dal Giudice Istruttore del presente procedimento (46), ammetterà (senza peraltro coinvolgere i correi) ogni sua personale responsabilità.


Sono oggi note anche le ragioni sottese agli attentati del


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(45) -Cfr. requisitorie del PUBBLICO MINISTERO nel proc. pen. contro ADDIS Mauro + 140, in AA, V1, passim; cfr. anche l'ordinanza del `Tribunale della Libertà' di cui sub 1.7.11), in AR, V5, C40, pp. 115-116.
Il 22 maggio venne colpito il Ministero di grazia e Giustizia; il 15 giugno l'Autoparco Comunale di via San Teodoro a Roma; il 20 giugno la Direzione regionale della S.I.P. di Roma; il 20 luglio la Prefettura di Roma.
(46) - Cfr. IA, V9/a-1, C4 bis, pp. 9 ss. Le assunzioni di responsabilità hanno poi trovato conferma avanti a questa Corte.


'78 (inseriti, tra l'altro, in una campagna di rapine e di acquisizioni illegali di armi ed esplosivi), perché ne parla diffusamente una delle menti `politiche' del gruppo: Sergio CALORE. Si è riportata -sub 1.6.8)- parte delle dichiarazioni da lui rese il 1° marzo 1984 al PUBBLICO MINISTERO di Firenze. Così il CALORE in giudizio (47): "...Più che altro si trattava di operare una verifica della disponibilità dell'ambiente neofascista romano a rispondere a delle sollecitazioni in termini di proposizione di obiettivi e di realizzazione di vari attentati. Da questo punto di vista la cosa ebbe un notevole successo e in quel periodo, nel periodo di un paio di mesi, noi come gruppo realizzammo direttamente una quindicina di attentati al massimo, ma in realtà ne furono compiuti da altri gruppi che si accodarono alla campagna e colpendo anche obiettivi abbastanza omogenei ad essa, almeno una sessantina. Quindi sostanzialmente verificammo la disponibilità di un certo tipo di area di seguire delle direttive che arrivavano anche in maniera così indiretta..."




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(47) - Vu 9/12/87, p59.


Si trattava dunque di verificare -e positivamente si verificò- nella pratica dell'azione militare, in un ambiente particolarmente ricco di potenzialità come quello romano, la forza aggregante di una strategia non più classicamente `fascista', ma rivolta esplicitamente contro i `segni' esterni del potere statuale.


Per raggiungere tale obiettivo, il FACHINI -come si è visto e si vedrà- non lesina mezzi, rifornendo il gruppo romano di Costruiamo l'Azione delle armi e dell'esplosivo necessari per porre in essere gli atti delittuosi, e teorizza l'opportunità di non rivendicare gli attentati. Da un lato, si trattava di diffondere le idee politiche portate avanti da Costruiamo l'Azione anche in ambienti che le avrebbero rifiutate, ove gli attentati, con la rivendicazione, fossero stati, nella vasta e variegata area cui si proponevano come paradigma, individuabili quale espressione di un certo gruppo di persone; dall'altro, la mancata rivendicazione non poteva che tendere ad evitare di agevolare le indagini delle autorità inquirenti, e rispondeva quindi ad una logica provocatoria di camuffamento.


Non v'è dubbio che dietro gli attentati, dietro l'attività terroristica del gruppo, vi fossero le menti del FACHINI, del SIGNORELLI, del DE FELICE. Essendo le vicende di Costruiamo l'Azione, degli attentati del '78, e dei successivi attentati siglati `M.R.P.' oggetto di procedimenti di competenza di altra autorità giudiziaria, non è questa la sede per accertare se le condotte del DE FELICE, e, per i fini che qui principalmente rilevano, del FACHINI e del SIGNORELLI, siano state tali da comportare la loro penale responsabilità per i singoli attentati. Ciò che ai `dirigenti' di Costruiamo l'Azione può essere attribuito in termini di certezza è l'ispirazione `politica' degli attentati, la conoscenza della loro provenienza dal gruppo e l'approvazione -almeno postuma- dei medesimi (48). Con


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(48) - Così significativamente il PUBBLICO MINISTERO di Roma, con riferimento alla posizione SIGNORELLI (AA, V1, C1/4, p742): "In sintesi, SIGNORELLI ha gettato tutte le premesse per la realizzazione degli attentati M.R.P., secondando indirettamente l'iniziativa attraverso una malcelata approvazione fatta di `sogghigni' ambigui, frutto di un personaggio che a nostro avviso si commenta da solo. Ma è proprio attraverso questa ambiguità globale che sfugge e si nebulizza il ruolo penalmente apprezzabile che l'imputato ha svolto in merito al M.R.P.: enfatizzando questo o quell'aspetto, tracciando un improponibile collegamento diretto tra `mandante politico' ed esecutori materiali si potrebbe senz'altro affermare che SIGNORELLI `stia dietro' al M.R.P. così come, in definitiva, è `dentro' o `dietro' dieci anni di eversione neofascista. Ma è proprio la realtà" (segue)


specifico riferimento alle figure del FACHINI e del SIGNORELLI, va peraltro detto come da parte di costoro vi sia stata anche una materiale predisposizione di mezzi.


Gli attentati del 1978 rappresentarono una sorta di verifica della capacità della destra eversiva di intraprendere, in quel particolare momento storico, un discorso apertamente antiistituzionale attraverso una campagna terroristica che, tra l'altro, si venne ad inserire in una situazione di grave tensione, dovuta al terrorismo di sinistra, allora dilagante nel Paese. La campagna ha quindi, in sostanza, lo scopo di coagulare intorno ai dirigenti di sempre dell'eversione neofascista, usciti dalla crisi di logore formazioni, le forze nuove e le capacità militari che il ribellismo diffuso di quegli anni andava evidenziando.




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(segue) "parcellizzata di Costruiamo l'Azione...che ci impedisce di formulare l'ipotesi propria delle strutture organizzate rigidamente su base gerarchica, secondo la quale i `quadri' rispondono di tutta l'attività dell'organizzazione. Così come uno iato separa il generale anelito alla violenza, di cui l'imputato si è reso pugnace propalatore, rispetto agli atti che di quell'anelito hanno costituito la naturale risultante..."
Sulla natura di Costruiamo l'Azione come realtà parcellizzata e poliedrico circuito fra momento operativo (militare) e momento politico -espressione di `spontaneismo organizzato'- e non come struttura gerarchica, articolata su un doppio livello (palese ed occulto), si sofferma anche l'ordinanza 8/1/85 del `Tribunale della Libertà' (AR, V5, C40, pp. 113 ss.).


Non può sfuggire che nei Fogli d'Ordini di Ordine Nuovo, pubblicazione clandestina circolante negli ambienti di destra proprio nel 1978 e sequestrata nell'abitazione di Gianluigi NAPOLI (49), sono riconoscibili varie posizioni teoriche di Costruiamo l'Azione (50), tra cui, segnatamente e precipuamente, appunto la ricerca di una strategia comune con aree rivoluzionarie di diversa matrice, di una strategia dell' `arcipelago', volta alla creazione di poli di aggregazione per la lotta rivoluzionaria raccordati solo a livello politico, e non più limitata dagli steccati ideologici della destra (51).


Di indubbio ed inequivoco rilievo è il fatto che, nelle pubblicazioni sequestrate al NAPOLI, accanto alle indicazioni riguardanti la strategia `politica' generale, compaiono le norme comportamentali relative alle condotte ed alle cautele che il militante di un organismo clandestino

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(49) - Per il testo delle pubblicazione, cfr. RA, V6, C275, pp. 95-101; RA, V11, C428, pp. 4 ss.; e AA, V2, C5, pp. 108 ss.
(50) - I 5 numeri della rivista trovansi in vu 14/4/87, pp. 27-73.
(51) - Cfr. il passo del Foglio d'Ordini del marzo 1978 riportato nell'ordinanza 8/1/85 del `Tribunale della Libertà' (AR, V5, C40, pp. 105-106). Nell'ordinanza si citano anche i passi di Costruiamo l'Azione in cui il tema è ripreso in termini analoghi.


deve seguire. D'altronde, nel Foglio d'Ordini del marzo 1978 si afferma a chiare lettere: "...Il Movimento si è dato una struttura organizzativa la cui caratteristica principale deve essere la clandestinità..." (52)


Orbene, anche la paternità dei Fogli d'Ordini è stata definitivamente chiarita. Le precise indicazioni di Sergio CALORE sul punto: "...alla redazione di Fogli d'ordine, oltre me, ha collaborato SIGNORELLI, DE FELICE, ALEANDRI e FACHINI" (53), trovano il conforto di Paolo ALEANDRI, il quale, se in dibattimento non conservava più un ricordo preciso (54), in precedenza aveva tuttavia dichiarato (55): "...Prendo visione dei `fogli d'ordine'...e circa gli autori degli stessi posso dire che essi vennero redatti in comune tra il gruppo del Nord, me, CALORE, SIGNORELLI e DE FELICE..."


Occorre ora richiamare il contenuto del rapporto dell' UIGOS di Rovigo in data 24/11/80 di cui si è detto sub 1.2.7). Va sottolineato in primo luogo il fatto -di per sé già assai

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(52) - Cfr. RA, V6, C275, p100.
(53) - Cfr. vu 9/12/87, p56.
(54) - Cfr. vu 7/1/88, p36.
(55) - Cfr. EA, V10/a-4, C190/3/1, p120.


eloquente- che i due attentati del 22 gennaio 1979, essendo


avvenuti in Rovigo, cioè nella `giurisdizione' del FACHINI,

capo indiscusso della cellula veneta, furono rivendicati
dal `Movimento Popolare Rivoluzionario'. Si è fatto cenno
poi -sub 1.8.8)- delle dichiarazioni rese da Gianluigi
NAPOLI sulla matrice di tali attentati e di quello compiuto
l'anno successivo in danno della Camera del Lavoro (56):
dichiarazioni che vanno lette alla luce del rapporto di
strettissimo collegamento fra il FACHINI ed il MELIOLI,

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(56) - Testualmente il NAPOLI (IA, V9/a-1, C7, p18): "...Per tali motivi chiesi conto a MELIOLI degli attentati suddetti, ricevendo inizialmente, com'era costume del MELIOLI, la risposta consueta: `IO NON SO NULLA'. Soltanto in seguito, e quando per motivi inoppugnabili...fu dimostrato che gli attentati erano da ascriversi alla destra nella logica di una campagna di provocazione, MELIOLI, sia pure in modo allusivo e mai esplicitamente, ammise che la cosa ci riguardava e fece capire che l'organizzazione risaliva alla destra..." In dibattimento (cfr. vu 26/11/87, pp. 860-861), il NAPOLI, costantemente preoccupato di `alleggerire' la posizione del MELIOLI, ha tentato una maldestra retromarcia, sostenendo semplicemente che l'odierno imputato aveva detto di non sapere niente. Se questa fosse la versione veritiera, il NAPOLI avrebbe dovuto dar conto del perché, in istruttoria, aveva riferito del successivo abbandono, da parte del MELIOLI, della posizione di totale chiusura, e delle ammissioni fatte in forma implicita ed allusiva: ma non l'ha fatto. Peraltro, il quadro delle dichiarazioni istruttorie del NAPOLI sul punto appare particolareggiato e di grande coerenza: si veda la circostanza della messa in stato d'accusa dell'autonomo RIMBANO, sospettato dai compagni, perchè amico del NAPOLI, di essere un delatore, evidentemente in quanto ritenuto responsabile d'avere, riferendo al NAPOLI i progetti dinamitardi dell'Autonomia, consentito ai neofascisti d'inserirsi provocatoriamente nella campagna di attentati.


costantemente depositario di notizie di primissima mano,


nonché del ruolo incondizionatamente egemone del FACHINI
rispetto al `gruppo del Nord', militarmente organizzato
secondo una struttura rigidamente gerarchica, al punto da
rendere ben difficilmente ipotizzabili iniziative
dinamitarde di tale gravità da parte dell'area neofascista,
al di fuori del controllo del FACHINI stesso.


Nella primavera del 1979 venivano posti in essere in Roma


gli attentati rivendicati a nome del `Movimento Rivoluzionario Popolare' con la sigla M.R.P. ed il suo simbolo grafico, e riferibili, ancora una volta, al gruppo facente capo a Costruiamo l'Azione (57).


Per tutti questi atti di terrorismo, dei quali particolarmente gravi sono stati quelli contro il carcere di Regina Coeli per i danni prodotti e quello, fallito, contro il Consiglio Superiore della Magistratura, si conoscono tanto gli autori materiali, quanto l'ambiente politico che


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(57) - Per i quali, cfr. RA, V6, C297; AA, V1, C1, passim; AR, V5, C40, pp. 117 ss.
Il 20 aprile fu colpita la sala consiliare del Campidoglio; il 14 maggio la casa Circondariale di Regina Coeli; il 24 maggio la sede del Ministero degli Affari Esteri. Il 20 maggio aveva avuto luogo il fallito attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura. li ha ispirati. A fronte delle risultanze dell'istruttoria svolta dall'autorità giudiziaria romana sulle vicende in questione e delle dichiarazioni di Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI, nulla rileva il fatto che Marcello IANNILLI, coautore confesso degli attentati, tenda a negare l'esistenza di significativi rapporti fra sé ed i `politici' di Costruiamo l'Azione e abbia persino fatto mostra di aver ignorato i rapporti politico-eversivi del suo complice materiale Paolo ALEANDRI con i vari SIGNORELLI, FACHINI, DE FELICE, RAHO, CALORE, SEMERARI. L'ispirazione `politica' del terrore, infatti -lo si ripete- era nelle mani del nucleo dirigente di Costruiamo l'Azione, e lo scopo dei vari attentati era fondamentalmente rivolto ad ingenerare meccanismi di scollamento nelle Istituzioni dello Stato, e, ad aggregare su obiettivi ambiguamente unificanti il ribellismo giovanile anche in settori non di destra.


In proposito appare molto significativa -come rileva
l'Istruttore (58)- la manifestazione organizzata il 07/05/79

dal gruppo di Costruiamo l'Azione" al cinema Hollywood di Roma sul tema dei carceri speciali e manicomi criminali:

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(58) - Cfr. SO, p510.


argomento che avrebbe dovuto attirare la partecipazione di ambienti dell'Autonomia Operaia.


D'altra parte lo stesso CALORE, che pure non concorse, in termini penalisticamente rilevanti, ad alcuno degli attentati del 1979 riconducibili al suo gruppo, ammette di averne gestito politicamente gli effetti e di aver partecipato alla redazione del volantino con il quale il Movimento Popolare Rivoluzionario rivendicava l'attentato al ministero degli Affari Esteri.


Occorre qui, infine, richiamare le dichiarazioni rese dall'ALEANDRI al PUBBLICO MINISTERO di Roma il 18/9/1981, nella parte che si è testualmente riportata sub 1.3.9): dichiarazioni le quali efficacemente illustrano il contenuto delle riunioni che si svolgevano a casa del SIGNORELLI e la consapevolezza dei partecipanti a tali riunioni circa la paternità degli attentati posti in essere dagli `operativi'.


2.2.5) La banda armata oggetto del presente giudizio


2.2.5.1) I contributi processuali dei neofascisti


L'impianto accusatorio è precipuamente costituito dalle dichiarazioni provenienti da persone che hanno appartenuto ad ambienti neofascisti e che se ne sono poi distaccate. Si pone, in concreto, la valutazione dei contributi accusatori
da costoro forniti, alla stregua dei criteri astratti di cui si è detto sub 2.2.1). Per ciascun fatto che si prenderà in esame, si renderà necessario, di volta in volta, nel prosieguo della trattazione, indicare la fonte ed i relativi supporti. Qui, ad evitare ripetizioni, occorre passare in rassegna i principali `dichiaranti', per svolgere le opportune considerazioni in ordine alle singole personalità ed alle ragioni dell'atteggiamento collaborativo.


Naturalmente, il contributo fornito da ciascuno è diverso per quantità e qualità d'informazioni, così come diverse sfumature assumono le motivazioni individuali che hanno indotto ciascuno a rendere dichiarazioni. Ciò che tuttavia accomuna le differenti posizioni è il desiderio di chiarire la propria vicenda politica, rendendo manifesta la propria prospettiva di inserimento nelle attività illegali. Nell'ambito di questo comune denominatore, è emersa una diffusa presa di coscienza del ruolo sostanzialmente subalterno svolto dalle formazioni armate mediante il compimento di attività terroristica, rispetto a disegni politici apparentemente oscuri e di livello superiore,
coltivati da personaggi interni o contigui rispetto ai gruppi armati: presa di coscienza che ha sovente generato la determinazione di spezzare il vincolo dell'omertà.


Nel dettaglio:


a) Sergio CALORE: partito da posizione di totale rifiuto di ogni collaborazione e quindi schematicamente classificabile come irriducibile, ha col tempo preso coscienza della necessità di far luce su alcuni episodi non chiariti, tra cui, all'epoca, anche la strage di Bologna, per la quale era stato formalmente incriminato ed èstato, all'esito dell'istruttoria, prosciolto con formula ampia. Va quindi rimarcato che il movente dell'atteggiamento di collaborazione assunto dal CALORE dev'esser ricondotto alla ricerca della verità in ordine alla strage di Bologna. Tale movente potrebbe farlo apparire, in astratto, interessato. Ma i fatti hanno provato il contrario: lungi dall'accusare direttamente altri per scagionare se stesso, il CALORE ha invece offerto il suo prezioso contributo per la ricostruzione degli ambienti e delle esperienze eversive che si
collocano a monte dell'attentato del 2 agosto, e che ne costituiscono il necessario retroterra conoscitivo.


Peraltro, ripercorrendo, attraverso la lettura dei verbali degli interrogatori resi alle varie autorità giudiziarie, i tempi ed i modi della collaborazione processuale del CALORE, e tenuto conto dell'epoca di entrata in vigore delle norme premiali, è dato constatare come da parte del CALORE non vi sia certo stata una corsa ai benefici (59).


Individuo di notevole spessore intellettuale, era il CALORE, significativamente, una delle `menti politiche' dell'organizzazione di cui ha fatto parte. Portatore di una lunga esperienza all'interno di formazioni eversive, è stato in grado, in virtù di un'intelligenza lucida e di


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(59) - Il 24/11/1982, Sergio CALORE, dopo quasi tre anni dall'ultimo ingresso in carcere, dichiarava ancora al Giudice Istruttore di Firenze (IA, V9/a-1 bis, C13/12, p21): "...così come non ho intenzione di ottenere vantaggi processuali non ho neppure intenzione di fare affermazioni che possono essere usate nei confronti di altre persone. Risponderò quindi in parte alle domande che mi vengono fatte e risponderò in maniera da evitare il coinvolgemento di altre persone..." Dovrà passare dell'altro tempo, prima che intervenga il massiccio contributo alla ricostruzione dei fatti oggetto del presente procedimento.


notevole capacità espressive, di restituire un'immagine


plastica delle realtà di cui è stato coprotagonista.


Le sue dichiarazioni hanno il pregio delle completezza, e della puntualità; ed hanno ricevuto innumerevoli conferme `ab externo'. Non è stato dato cogliere elementi idonei a dar corpo al sospetto che il CALORE sia stato mosso da volontà di vendetta. Il fatto che egli abbia riferito sui fatti di cui era a conoscenza, diretta od indiretta, per via della sua collocazione politica o della sua esperienza carceraria, e che non abbia offerto verità precostituite in ordine alla strage è, in sé, garanzia di misura e di assenza di protagonismo.


A fronte di questo quadro complessivo, non si vede che spazio si debba dare alla circostanza che Sergio CALORE si è reso autore di molteplici delitti, anche gravissimi. Non si tratta qui di formulare giudizi di valore sull'uomo. E l'indagine sulla moralità -indagine che può comunque condurre a risultati diversi se abbia ad oggetto epoche diverse della vita di una persona- in tanto può trovare ingresso in questa sede, in quanto incida, in misura significativa o decisiva, sulla generale
attendibilità. Ma -a prescindere dall'ovvia considerazione, certamente tenuta presente dalla legislazione premiale, che solo individui profondamente interni all'eversione possono fornire importanti contributi per combatterla- le valutazioni cui si pervenga in punto alla moralità devono cedere il passo, una volta che la generale attendibilità di un individuo comunque emerga dall'esame della sua personalità complessiva e dall'articolarsi del suo contegno processuale.


b) Paolo ALEANDRI: l'importanza del suo contributo è fuori discussione. Decisivo, in ordine alla sua generale credibilità, il rilievo che egli interruppe la sua esperienza eversiva, di fatto dissociandosi da essa in modo del tutto autonomo, fin dal 1979, dunque molto tempo prima della cattura e della decisione di collaborare con la giustizia. L'ALEANDRI, per aver preso le distanze rispetto a determinati sviluppi dell'attività eversiva del gruppo, subì addirittura, ad opera dei suoi ex sodali, un sequestro, il cui fausto esito appariva, `a
priori', tutt'altro che scontato. La genuinità e spontaneità del ravvedimento sono pertanto prive di ombre. Sull'onestà intellettuale dell'ALEANDRI è inutile spendere altre parole, dopo quanto si è detto sub 2.1.2.8.1).


Il fatto che, per molti aspetti, i verbali più ricchi ed eloquentisiano i primiin ordine cronologico sta a dimostrare che, anche in progresso di tempo, l'ALEANDRI non ha inteso indulgere a logiche collaborative intese in senso deteriore: ha cioè continuato a riferire quanto ricordava all'atto del singolo interrogatorio, senza forzature od amplificazioni gratuite.


Tutto il quadro delle dichiarazioni è improntato a precisione e rigore estremi, consentendo di distinguere la natura diretta o mediata di quella parte del proprio patrimonio di conoscenze che l'ALEANDRI trasfonde di volta in volta nei verbali.


La misura e la prudenza con cui i vari episodi vengono riferiti, e la lucidità nel cogliere le sfumature di una realtà variegata e dinamica sono, al tempo stesso, indice
di fedeltà ai fatti e di assenza di quella velleità di fornire comunque contributi `decisivi', il cui più frequente e manifesto sintomo sta nel fare di ogni erba un fascio e nell'attribuzione generica ed indiscriminata di gravi responsabilità a tutte le persone con le quali si è venuti a contatto nell'ambito di un'esperienza eversiva.


La grande coerenza del quadro complessivo offerto dalle dichiarazioni dell'ALEANDRI è essa stessa garanzia di genuinità, se rapportata all'ampiezza e molteplicità dei riferimenti,ed all'ingente numero dei verbali resi nel corso di sette anni davanti a svariate autorità giudiziarie. Peraltro, le conferme esterne sono state numerosissime ed hanno spaziato in tutta l'area dei riferimenti offerti dall'ALEANDRI.


c)Vanno riportate qui, perché comuni alle posizioni CALORE ed ALEANDRI, le seguenti dichiarazioni di Marcello IANNILLI (60), la cui eloquenza non necessita di commenti, per il fatto di provenire da un chiamato in

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(60) - Cfr. interrogatorio 15/12/85, in IA, V9/a-1, C4 bis, p14.


correità: "...Poiché CALORE e ALEANDRI, benché mi abbiano

rovinato, parlo più esattamente di ALEANDRI, hanno però detto sempre la verità, almeno per quanto riguarda me, credo che possano essi stessi dire qual è stato il mio ruolo nella banda armata dal '79 in poi..."


d) Walter SORDI: imputato in altri procedimenti, ha ammesso le proprie responsabilità per numerosi e talora gravissimi reati. Ha assunto un atteggiamento di collaborazione piena, aperta ed incondizionata.


Il suo passato lo dipinge come persona idonea a ricevere le confidenze che egli ha trasfuso nei verbali d'interrogatorio con notarile meticolosità. Anche a prescindere infatti da una considerazione di carattere generale, e cioè dalla diffusività delle informazioni riguardanti i fatti criminosi ed i loro autori tipica del terrorismo di destra, notoriamente meno `compartimentato' del suo omologo di sinistra, considerazione che da sola varrebbe già a giustificare l'apprendimento da parte del SORDI delle informazioni di cui egli è in possesso, va detto che lo specifico ruolo da lui rivestito nell'ambito dell'eversione di destra fornisce il supporto più plausibile al ricco patrimonio di conoscenze di cui si è rivelato provvisto. Viene in considerazione, in proposito, la sua posizione di centralità e preminenza, in un certo periodo, all'interno dell'area terroristica. Dal settembre 1981 (vale a dire dall'epoca del suo rientro in Italia dopo il lungo soggiorno in Libano nei campi di addestramento della Falange), il SORDI è stato forse il principale protagonista di un lungo anno di sangue, che l'ha visto partecipare ad una serie di innumerevoli delitti, tra cui taluni omicidi. E' dunque perfettamente congruente con il ruolo da lui svolto nella campagna terroristica posta in essere fra il settembre 1981 ed il settembre 1982 (epoca della cattura), e con i suoi stretti collegamenti di sodalità e di azione, in particolare con il CAVALLINI, che il SORDI abbia ricevuto confidenze, anche dettagliate e diffuse, in merito ad una serie di vicende terroristico-eversive.


Peraltro, le notizie da lui provenienti si vengono convincentemente ad amalgamare con lo sfondo cui ineriscono, traendo e restituendo forza probatoria agli elementi acquisiti per altra via.


La generale credibilità del SORDI, oltre che sull'interna coerenza e sulle varie conferme esterne (61), riposa anche -e non secondariamente- sul fatto che il giovane ex militante di Terza Posizione non aveva interessi processuali da coltivare nella presente sede, essendosi egli assicurato i benefici in cui poteva sperare mediante l'atteggiamento collaborativo tenuto in altri procedimenti, nei quali -come si è accennato- ha contribuito, in maniera diretta, e anche assumendosi la parte di responsabilità che gli competeva, alla ricostruzione di numerosissimi, e talora gravissimi fatti delittuosi.


Non è dato cogliere, in atti, elementi idonei ad alimentare il sospetto che il SORDI fosse mosso da sentimenti ostili, e, comunque, dalla volontà di nuocere alle persone coinvolte dalla sue dichiarazioni.




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(61) - Segnala il Giudice Istruttore (SO, p567), per i riscontri delle dichiarazioni del SORDI, esemplarmente, i rapporti di cui in RA, V11, C429. Cfr. supra, in narrativa, sub 1.8.7.4).


e) Mauro ANSALDI e Paolo STROPPIANA: tali posizioni possono essere considerate unitariamente, essendo i due ex
militanti torinesi di Terza Posizone a conoscenza sostanzialmente delle medesime circostanze ed avendo ciascuno di essi fatto riferimento all'altro per la conferma delle rispettive dichiarazioni. Debbono
ripetersi per costoro considerazioni identiche o analoghe a quelle già svolte a proposito del SORDI: in ordine alla pienezza della collaborazione con la giustizia, una volta imboccata la strada della collaborazione; ai contributi già positivamente prestati in altre sedi giudiziarie; al ruolo svolto nell'ambito dell'eversione, che -seppure non paragonabile a quello centrale del SORDI- fu comunque tale, soprattutto per quanto attiene ai rapporti con lo ZANI e la COGOLLI, da giustificare lo scambio di notizie anche di estrema delicatezza; alla sostanziale `terzietà' rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento; all'assenza di motivazioni di ordine psicologico riconducibili a posizioni di ostilità nei confronti degli accusati.


V'è da aggiungere che, per misurare attendibilmente il disinteresse dei due `pentiti', non può non tenersi conto della circostanza che il loro carico processuale, in altre sedi, è enormemente inferiore a quello del SORDI e comunque, neppure paragonabile alla gravità dei fatti che qui si giudicano; e che, quindi, avrebbe costituito un atteggiamento suicida il pescare nel torbido nel presente procedimento -con i rischi che un' accusa calunniosa comporta- quando un corretto contegno collaborativo in altre sedi -tenuto conto della relativa `modestia' degli addebiti- consentiva ai due di dare un esito più che soddisfacente alle loro vicende processuali.


f) Angelo IZZO: non è, tecnicamente, un imputato di procedimento connesso. Aveva inizialmente assunto, davanti a questa Corte, la veste di testimone (62) e solo in corso di deposizione, avendo egli incominciato a riferire fatti che lo esponevano a responsabilità penali, siè reso necessario provvedere diversamente,ai sensi dell'art. 304 del Codice di rito (63).



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(62) - Cfr. vu 25/11/87, p75.
(63) - Cfr. vu 25/11/87, p91.


Condannato all'ergastolo e a lunga pena detentiva, non aveva l'IZZO benefici processuali da conseguire in questa sede.


E' stato raggiunto da molteplici strali per via dei suoi trascorsi: si rese autore, con altri, dell'orrendo episodio noto attraverso le cronache come "il massacro del Circeo". Si è visto peraltro (si richiamino qui le argomentazioni svolte trattando la posizione CALORE) come le considerazioni che ne discendono non siano idoneee a tradursi, di per sé, in un giudizio di generale inattendibilità.


Oggi l'IZZO appare circondato, negli ambienti dell'eversione neofascista, da un generale discredito. Ma non è sempre stato così. A ben vedere, in taluni specifici contesti, la sua cattiva reputazione -come per molti `pentiti'- nasce a seguito della sua decisione di collaborare. Nel numero di `QUEX' del maggio 1979 si leggeun'eloquentissima premessa(64) ad un articolo

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(64) - Cfr. vu 27/11/87, p28: "La firma di questo articolo, sconvolgerà le vestali di quart'ordine della morale e dell'etica `fascista' di quelli che identificano l'uomo `esistenzialmente qualificato', di cui parla Evola, con buon padre di famiglia. Per questi imbecilli non abbiamo giustificazioni da" (segue) firmato dallo stesso IZZO: premessa nella quale si tributa al camerata un attestato di stima. E nel numero del marzo 1981, a seguito della pronuncia della sentenza d'appello per i fatti del Circeo, in un brano dal titolo "Giustizia è fatta...", si attesta solidarietà all'IZZO, riconosciuto "come camerata in virtù del suo comportamento quotidiano." (65) Ciò rileva non perché i giudizi di `QUEX' costituiscano patenti di attendibilità,



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(segue) "dare. Ai rivoluzionari facciamo presente che non è il sistema democratico che può accusare o condannare i camerati. Le affermazioni della giustizia borghese non ci riguardano e che dunque per noi camerati sono da considerare per ciò che sono e ciò che valgono, non per ciò che li ha portati dinnanzi ai tribunali di regime, qualunque siano le accuse che vengono mosse loro.
Ad Angelo IZZO va tutta la nostra stima, nessuno di noi ha intenzione di giudicarlo e di ritenerlo amico o meno se non per il suo comportamento rivoluzionario. QUEX"
(65) - Vu 27/11/87, p30: "Quest'autunno, è stata emessa la sentenza di appello nei confronti di Angelo IZZO. Come tutti sanno, l'ergastolo gli è stato confermato. Il dibattimento ha dimostrato che non c'è stata violenza carnale, e non ha chiarito minimamente il perché dell'improvviso momento di violenza che è costato la vita alla ragazza.
Del resto, CAPIRE non interessava a nessuno.
Il NAZISTA Angelo IZZO, il mostro del Circeo, non aveva diritto che ad un giudizio sommario, con orde di femministe scatenate, che in aula e nei cortei scandivano `fascisti del Circeo, venite fuori adesso, ve lo facciamo noi un bel processo'...
Gli avvocati di parte civile, che in sede politica affermano la necessità di abolire l'ergastolo, per Angelo l'hanno belluinamente invocato.
Noi prendiamo atto di tutto questo, ribadiamo che Angelo ha la nostra più completa solidarietà, perché lo riconosciamo come camerata in virtù del suo comportamento quotidiano.
I camerati che si accodano al giudizio dei suoi e dei nostri carnefici, senza conoscere né Angelo né i fatti, si abbiano tutto il nostro disprezzo. QUEX"


ma perché dimostra in maniera inequivoca come l'IZZO avesse tutte le carte in regola per divenire effettivamente il depositario dell'imponente massa di confidenze che egli ha raccolto in anni di carcerazione, trasfondendole poi, a partire da una certa data, nei verbali delle dichiarazioni rese a varie autorità inquirenti. D'altronde, prima della carcerazione oramai ultradecennale, l'IZZO, giovanissimo, era stato attivo negli ambienti neofascisti della capitale, ed in seguito fu collaboratore di `QUEX'.


Individuo dalla tentacolare memoria, l'IZZO è una sorta di enciclopedia vivente dell'eversione neofascista. Nonostante la mole e la complessità, il suo panorama di conoscenze mostra un'organica coerenza.


Il vero limite delle sue dichiarazioni sta nel fatto che esse, nella quasi totalità, riportano conoscenze `de auditu': offrono -come si è detto- il racconto di confidenze carcerarie. Ma ciò non si traduce nella loro inutilizzabilità: bensì,piuttosto, nell'esigenza di individuare, attraverso una rigorosa verifica, da quali ulteriori acquisizioni processuali esse traggano eventuale conforto.


g) Gianluigi NAPOLI: coinvolto -come si è visto in narrativa- nella prima tornata di ordini di cattura, era uscito di scena dall'istruttoria sin dal 30/4/1981, cioè dalla data della sentenza d'incompetenza per territorio di cui si è detto sub 1.2.21). Vi rientrò soltanto, con diversa veste, cioè iniziando a collaborare, dall'ottobre del 1985, a seguito della cattura in altro procedimento, nel quale rispondeva di traffico di sostanze stupefacenti. All'atto dell'inizio della sua collaborazione, non aveva dunque più interessi da difendere nel presente procedimento. Peraltro, anche la sua posizione nel'istruttoria romana aperta a seguito della sentenza d'incompetenza si stava favorevolmente definendo: sin dal 28/11/1981 il NAPOLI era stato scarcerato per mancanza di indizi, ed il 25/2/1986 sarà poi prosciolto con formula ampia. (66)


Sulla decisione di collabore, cui la cattura in altro

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(66) - Cfr. AA, V20, C96.


procedimento fornì l'occasione, incise in misura

determinante l'aver il NAPOLI, nel corso del tempo, preso progressivamente le distanze dagli ambienti della "vecchia destra". (67)


L'internitàagli ambientidel neofascismo venetogli consentì, in particolare grazie al periodo di comune carcerazione con il FACHINI ed in virtù di un annoso stretto collegamento con il MELIOLI, di entrare in possesso di una serie di notizie riservatissime.


La semplice lettura del complesso delle sue dichiarazioni, che certamente peccano per difetto e non per eccesso, e sono resein forma oltremodo prudente,rivelal'assenzadi protagonismo e di ostilità nei confronti degli accusati.



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(67) - Dal verbale 28/10/85, in IA, V9/a-1, C7, p14: "...da diverso tempo io ero in posizione critica nei confronti dell'ambiente che definisco `la vecchia destra'. Con tale termine definisco persone appartenenti all'area dell'estrema destra per età e condizione, distanti da me, tra i quali indico FACHINI, SIGNORELLI, FREDA, DE FELICE, SEMERARI, ecc.
Infatti, dopo la strage di Piazza Fontana, si diffuse nel nostro ambiente il convincimento che in qualche modo a tale strage avessero partecipato proprio quegli elementi della vecchia destra suddetta, facenti parte del gruppo padovano-veneto...
...a più riprese, parlando con MELIOLI, tanto io che FRIGATO, mio intimo amico esprimemmo riserve sulla persona di FACHINI e sul ruolo dallo stesso svolto negli ambienti di destra, posto che era ormai opinione diffusa e certezza soggettiva di tutti noi che FACHINI fosse anche legato ad ambienti dei Servizi Segreti..."


L'Istruttore ha segnalato (68) gli atti processuali nei quali è dato rinvenire puntuali riscontri alle dichiarazioni del NAPOLI, la cui collaborazione, peraltro -comesi è ampiamente avuto modo di vedere- è valsa a consentire il rinvenimento dell'arsenale subacqueo del FACHINI e del suo gruppo. Siamo di fronte, in conclusione, ad un `pentito' della cui complessiva
genuinità ecredibilità non è dato dubitare.


h) Cristiano FIORAVANTI: fratello dell'odierno imputato, profondamente e lungamente inserito negli ambienti terroristico-eversivi in merito ai quali ha poi reso dichiarazioni a varie autorità giudiziarie, ha in altra sede, nel confessare una quantità impressionante di delitti, fornito altresì contributi eccezionali per l'accertamento delle altrui responsabilità in ordine ad innumerevoli e gravissimi episodi delittuosi, rendendo dichiarazioni che hanno trovato ampie conferme e riscontri (69), anche di natura oggettiva.


Il suo contributo, nel presente procedimento, pecca per

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(68) - Cfr. gli atti citati in SO, pp. 558, 616 e 621 ss.
(69) - Cfr., per tutte,la sentenza in AA, V13, C74, passim.


difetto nella parte che attiene alle responsabilità del fratello nella strage. Cristiano non ha fatto mistero di non saper accettare in cuor suo l'idea di tale responsabilità. Solo stentatamente, e con grande ritardo, in varie sedi istruttorie, ha incominciato a rivelare quanto a sua conoscenza in ordine ad altri episodi delittuosi che alla strage sono suscettibili di essere logicamente ricollegati.


i) Stefano SODERINI: bene ha scritto l'Istruttore (70): "Le dichiarazioni di Stefano SODERINI sono particolarmente attendibili in quanto provengono da uno dei protagonisti della lotta armata in Italia, da una persona legata da vincoli di solidarietà a CAVALLINI e FIORAVANTI... Inoltre hanno il pregio di essere `dirette', immediatamente legate al ricordo, scevre di mediazioni di carattere politico o di successive meditazioni.


SODERINI è un semplice, coinvolto perché trascinato da altri intellettualmente superiori a lui in vicende di terrorismo sanguinario..."




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(70) - Cfr. SO, pp. 544-545.


Nell'ambito di un incipiente e ancora confuso atteggiamento cautamente collaborativo, il SODERINI ha reso dichiarazioni che hanno l'accento complessivo della sincerità: le reticenze e le mezze verità ancora rilevabili rivelano semplicemente le difficoltà psicologiche nell'affrontare l'ardua scelta processuale. Indice assai significativo della personalità del SODERINI sono i contributi processuali con i quali egli, assolto in primo ed in secondo grado nel procedimento per l'omicidio del dott. Mario AMATO, e prima della definitività della sentenza, ha finito per evidenziare elementi di responsabilità a proprio carico in ordine a tale delitto (71).


l) Aldo Stefano TISEI: in aula, è stato, assieme all'IZZO, il `pentito' più bersagliato. Ha subito una recentissima condanna per calunnia in altro procedimento (72). Trattasi di condanna non definitiva, in ordine a fatti che la Corte non ha gli strumenti per valutare

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(71) - Cfr., sul punto, la memoria dell'Avvocatura dello Stato, in vu 14/6/88,pp.105 ss., e gli attiivi citati.
(72) - Cfr. memoria Avv. BEZICHERI 22/6/88, in vu 22/6/88, p408.


autonomamente. Nondimeno, la circostanza deve destare


serio allarme. Peraltro, estrema cautela è consigliata dalla semplice lettura degli atti legittimamente formati nel presente procedimento od acquisiti allo stesso, che non evidenzia certamente spunti calunniosi, ma individua tuttavia il TISEI come persona diversa da altri `pentiti', ed inidonea a fornire le medesime garanzie di affidabilità. Culturalmente meno attrezzato ed intellettualmente meno dotato del CALORE e dell'ALEANDRI, il TISEI, se può riferire fedelmente ed attendibilmente fatti materiali, mostra un approccio rozzo e tendenzialmente appiattente rispetto a realtà astratte e più complesse.


Tutto ciò comporta -evidentemente- l'utilizzo costante dei necessari `filtri' interpretativi e la rigorosa ricerca di conferme `ab extrinseco'.


All'esito della rassegna di cui sopra, va segnalato, infine, che le dichiarazioni dei `pentiti' rese in istruttoria o acquisite all'istruttoria, hanno, con rare eccezioni non di sostanza, globalmente retto alla verifica dibattimentale.


2.2.5.2) Il formarsi della banda e le linee strutturali


Per quanto attiene al delitto in esame, condivide in larga parte la Corte le argomentazioni svolte nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria, le cui linee essenziali saranno ampiamente riprese nel prosieguo della trattazione, anche per il fatto che la verifica dibattimentale, con specifico riferimento alla banda armata, se ha ampiamente confermato -e talora corroborato- l'impianto accusatorio, non lo ha peraltro sostanzialmente modificato.


L'anno 1979 segna il raggiungimento di un livello assai elevato della lotta armata condotta da formazioni che, con differenze di carattere tattico, sono impegnate in una comune strategia di rifiuto dell'ordinamento democratico dello Stato. Si registra il passaggio netto da una precedente situazione di illegalità diffusa al succedersi incessante, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, di episodi criminosi di volta in volta più gravi e mirati, che dimostrano non soltanto il crescere delle capacità militari, l'arricchirsi delle dotazioni di armi e strutture logistiche, l'aumento anche in termini numerici delle persone disposte a passare alla clandestinità piena, ma anche l'avanzare di un'ipotesi generale di lotta al sistema che risulta avere una trascinante capacità di aggregazione.


In tale contesto complessivo, il meccanismo di avvicinamento `politico' di persone che già in passato avevano avuto tra loro contatti personali non saltuari subisce un'accelerazione per effetto della crisi delle varie organizzazioni della destra eversiva e dell'arresto di personaggi dotati di notevolissimoprestigio `militare'e `politico'. Il 5/12/1979 verrà arrestato Dario PEDRETTI (73), mente `politica', dirigente ed organizzatore della banda del FUAN; il 14/12/1979 analoga sorte toccherà a Giuseppe DI MITRI e Roberto NISTRI (74), capi, rispettivamente, della `Legione' e del Nucleo Operativo di Terza Posizione; il 17/12/1979 finirà nuovamente in carcere Sergio CALORE, il quale, in quell'anno, era già stato detenuto dal 22 maggio al 13 novembre;fra il giugno e l'ottobre era stato detenuto Valerio FIORAVANTI.


La crisi all'interno dell'ambiente facente capo a Costruiamo


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(73) - Cfr. RA, V1, C7, p15.
(74) - Cfr. AA, V2/6, fascicolo 3, pp. 62 ss.


l'Azione era stata generata, oltre che dall'arresto del CALORE, dalla posizione assunta dall'ALEANDRI, che aveva incominciato a prendere le distanze rispetto al gruppo e che tale distacco accentuerà dopo l'attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura (75). Non occorre qui riprendere le argomentazioni svolte dall'Istruttore -che la Corte condivide e fa proprie- in ordine alla natura stragista dell'attentato in questione, potendosi a tali argomentazioni fare rinvio (76). Va invece rimarcato che alle richieste di spiegazioni di Paolo ALEANDRI, il quale, per parte sua, non condivideva il proposito -fortunosamente e fortunatamente non coronato da successo- di far deflagrare la vettura stipata di esplosivo in ora diurna, il MARIANI e lo IANNILLI, autori materiali dell'attentato, rifiutarono di dare risposta (77).


Tale rifiuto è estremamente significativo, perché dimostra l'esistenza, all'interno del gruppo di Costruiamo l'Azione,




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(75) - ALEANDRI, in giudizio (vu 7/1/88, p27): "...In realtà già da tempo era iniziata una scissione molto profonda tra me e tutti gli altri; era già iniziato il percorso che mi avrebbe portato al distacco con questi gruppi e con queste attività..."
(76) - Cfr. SO, pp. 714 ss.
(77) - Cfr. supra, sub 1.3.9), e vu 7/1/88, p27.


di un settore legato non alla strategia ufficiosa -che predicaval'impiego dell'attentato come fatto simbolico, organizzato in modo da non provocare vittime, con lo scopo di aggregare i consensi su obiettivi determinati- ma invece dedito ad una strategia di provocazione e condizionamento della vita politica del Paese, attraverso l'uso del terrore indiscriminato.


Non si dica che la scelta stragista dell'attentato va ricondotta ad un'iniziativa esclusiva di Marcello IANNILLI. Se così fosse -e se non vi fossero state superiori direttive la cui paternità andava celata all'ALEANDRI, elemento `politicamente' oramai inaffidabile- non si spiegherebbe il riserbo dello IANNILLI e del MARIANI, che certamente non erano mossi dalla necessità di nascondere loro personali responsabilità proprio all'ALEANDRI, con il quale avevano condiviso le precedenti imprese criminose, e che dunque appariva loro ancora legato, a quell'epoca, da un vincolo di solidarietà criminale ai loro occhi del tutto tranquillante.


Marcello IANNILLI è figura diversa da quella, che egli ha in qualche modo teso ad accreditare, del terrorista `romantico', il quale agirebbe per motivazioni personali, in forza di una sorta di individuale ribellismo e avversione per le istituzioni, prescindendo da realtà politiche ed organizzative più complesse e più profondamente ed articolatamente ideologizzate. Basterebbe ricordare che quando Paolo ALEANDRI, all'inizio dell'autunno '79, fu sequestrato da suoi ex sodali (78), Marcello IANNILLI e Bruno MARIANI gli riferirono d'aver interpellato il FACHINI circa l'opportunità di eliminarlo (79). Ma contatti IANNILLI-FACHINI risultano anche dalle dichiarazioni di Sergio CALORE (80). Peraltro, lo stesso IANNILLI, in giudizio, ha timidamente riconosciuto una suo pur marginale


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(78) - Il sequestro, riferito dall'ALEANDRI, è stato ammesso dallo IANNILLI. Per una compiuta ricostruzione dei fatti, cfr. AA, V1, C1/4, pp. 813 ss.
(79) -Cfr. vu 7/1/88, p30.
(80)- Cfr. vu 10/12/87 p41 e IA,V9/a-1 bis,C13/6, p3. La natura dei contatti è inequivoca e assai significativa: "Il FACHINI, come è stato più volte detto, partecipò a tutte le attività che facevano riferimento a questa sigla" (Costruiamo l'Azione) "e tra queste anche agli attentati M.R.P. Il FACHINI conobbe pertanto IANNILLI Marcello. Posso dirlo con sicurezza perché ho assistito personalmente ad un incontro cui parteciparono entrambi nel giugno '78. Infatti era avvenuto che un attentato non riuscì per il mancato funzionamento dei detonatori e IANNILLI venne a casa di ALEANDRI, dove presente anche FACHINI spiegò che l'ordigno non era esploso. Fu poi DANTINI a chiarire la ragione tecnica di ciò (uso di detonatori ad alta tensione)..."


inserimento nell'attività editoriale di Costruiamo l'Azione,


così come ha ammesso di essere stato a casa del SIGNORELLI e, sia pure non in termini di certezza, d'aver incontrato un paio di volte il FACHINI a casa dell'ALEANDRI. Quest'ultimo, con l'onestà intellettuale che lo contraddistingue, ebbe a dichiarare in istruttoria (81), a proposito dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura: "...Che poi l'attentato sia stato indirizzato verso una strage per iniziativa dello stesso IANNILLI...ovvero per ordine ricevuto da altri, non posso saperlo. Infatti tanto l'una che l'altra ipotesi sono possibili. Invero se da un lato IANNILLI lo ritengo capace di qualunque gesto, anche il più pazzesco d'altro lato ho già spiegato che la nostra organizzazione non era ripartita in modo chiaro e rigidamente compartimentato, ma per scelta organizzativa si articolava su livelli molteplici e spesso sovrapposti fino ad essere contraddittori..."


Si è visto, sub 1.6.2), nel riportare parte delle dichiarazioni istruttorie del SORDI, come il CAVALLINI fosse in possesso degli elementi per risolvere il dubbio


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(81) - EA, V10/a-4, C190/3/2, p62. manifestato dall'ALEANDRI. Occorre ricordare che, deponendo di fronte al PUBBLICO MINISTERO, nel procedimento `della
calunnia', il SORDI ebbe ancora a riferire (82): "...In maniera più dettagliata CAVALLINI mi spiegò che la bomba al CSM l'aveva voluta il SIGNORELLI per intenti stragisti..."


In giudizio (83): "Il Presidente: `lui'" (il CAVALLINI) "`fece una identificazione personale delle presenze stragiste?' SORDI: `sicuramente mi pare che mi parlò di
SIGNORELLI, DE FELICE, di questa gente, che erano poi i personaggi che erano sulla bocca di tutti in relazione a questi fatti'...Il Presidente: ...`Cosa disse'" (il CAVALLINI) "`a proposito di una responsabilità di DE FELICE nell'organizzazione dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura?' SORDI: `lui disse che giacché loro non erano sicuramente intenzionati a fare una strage, giacché in realtà si trattava di fare una strage, la direttiva non era sicuramente partita da quelli operativi in senso stretto, ma da quelli che tenevano le fila dell'organizzazione, e lui

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(82) - Cfr. Cal., V5, C52, p5.
(83) - Cfr. vu 20/1/88, pp. 207-208.


sicuramente fece riferimento a DE FELICE'" (84).


All'inizio dell'autunno del 1979, Paolo ALEANDRI pagherà il fio del contrasto `politico', divenuto oramai insanabile principalmente proprio a seguito dell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura: e lo pagherà, subendo il sequestro di cui si è fatto cenno. Con accuse
per un verso pretestuose e per l'altro generiche, i suoi camerati lo tennero prigioniero e lo liberarono dopo una dozzina di giorni, avendo rinunciato, per ragioni non chiare, ma certamente non per spirito umanitario, all'originario progetto di far seguire al sequestro

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(84) -Indiretto conforto agli elementi di giudizio sin qui indicati, di per sé più che sufficienti ai fini del convincimento, viene anche dalle dichiarazioni di Aldo Stefano TISEI in data 7/5/82, di cui si è dato conto sub 1.5.2); cfr. anche Cal., V5, C56, p7, e, per il dibattimento, vu 19/1/88, pp. 17 e 25. Rileva il `Tribunale della Libertà' (AR, V5, C40, p131) che il TISEI, fonte sul punto tra le meno dirette, tende ad interpretare il fenomeno M.R.P. alla luce delle sue passate esperienze in movimenti non parcellizzati, ma strutturati secondo il criterio del `doppio livello', palese ed occulto. Depurate da elementi travisanti, le dichiarazioni del TISEI -a giudizio della Corte- vengono tuttavia a loro volta a supportare la tesi secondo cui l'ispirazione politica degli attentati siglati M.R.P. veniva dai vertici di Costruiamo l'Azione; vertici che -almeno sul piano della generica progettualità `politica', e dunque senza la necessaria implicazione di ciascuno in termini penalisticamente rilevanti- non possono quindi essere rimasti estranei ad una svolta strategica qualitativamente impegnativa e qualificante come quella che trovò poi materiale espressione nell'attentato al Consiglio Superiore della Magistratura.


l'esecuzione rituale di un camerata che era divenuto oramai, all'interno del gruppo, un corpo estraneo.


A proposito della crisi di Terza Posizione, va osservato che, con la scoperta del covo di via Alessandria a Roma -come si è già visto- vengono arrestati e ovviamente scompaiono dalla lotta politica attiva Roberto NISTRI e Beppe DI MITRI, `leader' militare, quest'ultimo, di grande prestigio e capacità, nonché elemento di raccordo essenziale tra Terza Posizione e ciò che rimane attivo di Avanguardia Nazionale; e che, inoltre, da Terza Posizione progressivamente tendono ad allontanarsi, rifiutando le mediazioni politiche di Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, altri validi esponenti del vecchio nucleo operativo quali Giorgio VALE, Pasquale BELSITO e Stefano SODERINI, che si avvicineranno ai fratelli FIORAVANTI e alla galassia N.A.R., così come farà, provenendo da esperienze politiche diverse, Gilberto CAVALLINI.


V'è da segnalare ancora come, durante la comune carcerazione del 1979, si fossero conosciuti Sergio CALORE e Valerio FIORAVANTI, intessendo un rapporto personale e politico che li porterà, dopo la scarcerazione, nel dicembre, a preparare insieme, in concorso con altri, l'azione punitiva nei confronti dell'Avv. ARCANGELI, sfociata poi nell'uccisione dell'incolpevole LEANDRI (85). Anche l'esperienza carceraria -fenomeno non inusuale- propizia nuovi legami di sodalità.


"E'...sufficientemente chiaro" -si legge nell'ordinanza di rinvio a giudizio (86)- "che, a causa di una serie di
rapporti personali preesistenti, e...di progetti comuni già preparati anche da tempo, dall'autunno del 1979 viene a formarsi un gruppo profondamente determinato a condurre la lotta politica con scelte strategiche essenzialmente rivolte alla strutturazione di un organismo associativo armato in `guerra' perenne con lo Stato..." (87) "pronto a compiere scelte tattiche differenziate, ma comunque funzionalmente rivolte ad una strategia comune che può essere rilevata limpidamente se si vanno ad esaminare con attenzione alcune tappe fondamentali di questa strategia di `aggregazione' e di riunificazione in chiave `rivoluzionaria' della vecchia


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(85) - Cfr. AA, V13, C72.
(86) - SO, pp. 517-518.
(87) - Qui l'Istruttore fa rinvio agli interrogatori di Valerio FIORAVANTI.


destra e dei nuovi fermenti giovanili. Si vedrà allora che certe radicali affermazioni di distacco, anzi di vera e propria ostilità nei confronti dei capi storici della destra,..." (88) "la pretesa di aver condotto una `guerra' personale di `puri', contro le Istituzioni oppressive dello Stato borghese, è contraddetta dai fatti..."
La strategia comune che lega le varie -e apparentemente assai diversificate- componenti della banda armata oggetto di giudizio èdisvelatadal filo conduttore che unisce una serie di azioni delittuose, portate ad esecuzione o solamente progettate, riferibili all'area politica ed umana da cui la banda armata si è venuta formando.


Emblematico il fatto che a tale area siano ascrivibili i piani -l'uno riuscito e l'altro non portato a compimento- per la liberazione di due `leaders' storici della destra eversiva: quello che portò alla fuga di Franco FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro, e quello -lungamente coltivato da taluni degli odierni imputati, all'interno della progettualità specifica della banda armata in esame-


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(88) - L'istruttore fa ancora rinvio agli interrogatori di Valerio FIORAVANTI, ed anche a quelli di Francesca MAMBRO. che mirava a procurare l'evasione di Pierluigi CONCUTELLI, già `comandante militare' di Ordine Nuovo, e assassino del dott. Vittorio OCCORSIO.


Inequivoca la valenza politica di un'azione volta alla liberazione di FREDA: si tratta, da parte di camerati, di un esplicito riconoscimento di `leadership' al `priore' della vecchia destra, il quale si trovava, all'epoca, in una situazione ancora non giudiziariamente definita in relazione alla `strage di Piazza Fontana' (89).


Le responsabilità per la fuga di FREDA (90) sono emerse con chiarezza in altra sede giudiziaria (91), ove ebbero a rendere dichiarazioni ampiamente confessorie non solo Paolo ALEANDRI (92),ma anche Ulderico SICA e Pancrazio SCORZA (93):

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(89) -La posizione del FREDA si è cristallizata, in ordine alla strage, nella formula dell'insufficienza di prove, a seguito della sentenza della Suprema Corte n. 182 del 27/1/1987 (AAD, V5, C14). Nell'ambito del procedimento definitivamente conclusosi con tale pronuncia, erano precedentemente passate in giudicato a carico del FREDA statuizioni di condanna per altri reati, tra cui diciassette attentati con ordigni esplosivi: delitti per i quali la pena era stata fissata complessivamente in 15 anni di reclusione (cfr. AAD, V5, C14, p7).
(90) -Episodio risalente al 5 ottobre 1978.
(91) - Cioè, nell'istruttoria del procedimento romano a carico di ADDIS Mauro + 140, il cui dibattimento avrà inizio nel prossimo settembre.
(92) -Il quale ha riferito della vicenda in questione anche nel presente procedimento: cfr., in particolare, vu 7/1/88, pp. 29-30.
(93) - Costui, interrogato il 12/10/81 dal Giudice Istruttore di Roma (AAD, V13, cartella atti pervenuti tra il 30/11 ed il 7/12/87, f3), aveva tra (segue)


alla luce delle stesse, complessivamente risultò (94)che


l'allontanamento del FREDA dal soggiorno obbligato era stato deliberato ed organizzato da Massimiliano FACHINI, Roberto
RAHO, Sergio CALORE e Paolo ALEANDRI, mentre, per la fase di attuazione, si era fatto ricorso all'opera di Benito ALLATTA, Fausto LATINO, Ulderico SICA e Pancrazio SCORZA. Sono poi sopravvenute anche le dichiarazioni di Sergio
CALORE (95) "...In questo periodo, verso la fine del mese di settembre 78, a casa di ALEANDRI a Roma, mi incontrai con FACHINI, che mi informò che era in fase esecutiva il


progetto di permettere l'allontanamento di FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro. ALEANDRI e FACHINI mi


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(segue) l'altro dichiarato: "...Ritornando alla fuga di FREDA posso dire che venni chiamato, forse da CALORE, e a seguito della chiamata mi recai a casa di Paolo ALEANDRI, detto Triangolo. Giunti da ALEANDRI, questi mi portò in un altro appartamento sito nella via parallela ove si trovava una persona che credo sia Massimiliano FACHINI. Quivi si cominciò a parlare di aiutare un certo Giorgio" (trattasi di uno pseudonimo del FREDA) "e ricordo che la persona che identifico in Massimiliano FACHINI consegnò una carta d'identità del suddetto Giorgio, credo falsa..." Aggiungeva poi i particolari dell'esecuzione del piano, chiamando in causa anche Ulderico SICA. In giudizio, avanti a questa Corte (cfr. vu 17/2/87, pp.
21 ss.), nel confermare l'episodio, ha tentato una maldestra retromarcia in relazione alla posizione del FACHINI: secondo un trito copione, ha sostenuto d'aver fatto il nome del FACHINI per assecondare i giudici. Senonché, le sue dichiarazioni rese al Giudice Istruttore di Roma trovano conforto in quelle -ad esse sovrapponibili- provenienti da vari altri responsabili dell'episodio.
(94) - Cfr. AA, V1, C1/4, p900.
(95) -AA, V4, C24, p176. dissero che già da diversi giorni stavano cercando di mettere a punto l'operazione ma che le persone che intendevano utilizzare per portarla a termine, si trattava di persone dell'ambiente di Vigna Clara, da quanto mi dissero, si erano dichiarate all'ultimo momento indisponibili..." In giudizio, riprendendo il filo di tali dichiarazioni, di cui gli era stata data lettura, e rispondendo alla domanda volta a conoscere cosa fosse poi accaduto, riferiva ancora il CALORE (96): "mi dissero che nel giro di 48 ore al massimo bisognava reperire delle persone e delle automobili e allora io contattai Benito ALLATTA, Pancrazio SCORZA e Ulderico SICA, che erano tre persone più in contatto con me del gruppo e si resero disponibili. Andarono giù con la macchina di Fausto LATINO, che aveva una 127 di colore azzurro e con una 124 che mi feci prestare da una persona vicino a Tivoli a titolo personale. Andarono giù con questi mezzi e praticamente poi la cosa fu portata a termine."


Tra la `liberazione' di FREDA ed il progetto di far evadere



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(96) - Cfr. vu 9/12/87, p60.


Pierluigi CONCUTELLI si colloca un altro episodio criminoso del quale è necessario far menzione. Il 17/12/1979 veniva ucciso in Roma Antonio LEANDRI (97). E' stato giudiziariamente accertato che lo sventurato incolpevole giovane fu colpito, per un errore di persona, in luogo della vittima designata, l'Avv. Giorgio ARCANGELI, al quale -in

determinati ambienti della destra- si attribuiva la veste di delatore e si addebitava, tra l'altro, la cattura di Pierluigi CONCUTELLI. Responsabili dell'omicidio sono risultati essere, in concorso con altri, Sergio CALORE e Valerio FIORAVANTI. L'intento di vendicare il `comandante militare' di Ordine Nuovo, punendo il suo presunto traditore, seppure non determinò in via esclusiva l'azione delittuosa, rientrava tuttavia nel movente (98) dei responsabili: al di là delle proclamazioni ufficiali degli



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(97) - Cfr. AA, V13, C72. (98)- Così la sentenza di 1° grado per l'omicidio LEANDRI (AA, V13, C72, p240): "...Traspare chiaramente dagli atti del processo che la scelta dell'obiettivo ARCANGELI non fu determinata -o meglio non lo fu soltanto- dall'episodio CONCUTELLI, ma ebbe radici più vaste: da un lato si volle colpire ARCANGELI in base ad un'attribuzione generica della qualità di spia, dall'altro l'azione contro di lui servì come elemento aggregante, sul quale tutti coloro che gravitavano nell'ambito della destra eversiva potevano trovarsi d'accordo..."


imputati di quel procedimento (99), occorre ricordare che di lì a qualche mese FIORAVANTI e sodali si troveranno attivamente impegnati in un rischiosissimo progetto di procurare l'evasione del CONCUTELLI.


Di tale ultima vicenda -pacifica nella sostanza dei fatti-
si dirà in prosieguo di trattazione. Qui occorre rilevare -tirando le fila di quanto precede- che persone comunque legate all'area politicadella banda armata oggetto di giudizio hanno concorso, sia pure in tempi e con modalità diverse, in reati o progetti delittuosi che avevano una comune finalità strategica: `liberare' e `portare in clandestinità' (100) un `leader' storico della destra eversiva dalla personalità carismatica quale è Franco FREDA;


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(99) - In particolare, con riferimento al CALORE ed al FIORAVANTI, cfr. la sentenza citata alla nota che precede, pp. 63, 85, 154.
(100) - Sergio CALORE al PUBBLICO MINISTERO di Firenze (AA, V4, C24, pp. 176-177: "...L'operazione riuscì e FREDA fu consegnato nei pressi di Villa San Giovanni a un certo ROMEO, se ben ricordo il nome e fu ospitato da questi o da suoi amici fino a che non andò in Costarica, non so precisare in qual periodo. FREDA, a quanto mi disse FACHINI, avrebbe preferito restare in Italia essendo però assistito per tutte le sue necessità da 4 o 5 persone che avrebbero dovuto essere a sua disposizione. Noi facemmo sapere che tale soluzione non era praticabile e che se FREDA fosse restato in Italia avrebbe dovuto sottoporsi alle norme che disciplinavano la vita dei latitanti secondo quanto era stato esposto nello opuscolo NORME DI SICUREZZA e PER IL RECLUTAMENTO che era stato diffuso a primavera con il secondo dei FOGLI d'ORDINE..."
Cfr. anche vu 9/12/87, pp. 60-61.


vendicare l'arresto del `Comandante Militare' di Ordine Nuovo, sopprimendo colui che nell'ambiente era indicato come il responsabile della sua `prigionia'; infine, procurare l'evasione del `Comandante Militare', anche a costo di enormi rischi.


Va osservato -riprendendo le parole dell'ordinanza di rinvio a giudizio (101)- essere "innegabile che tutte le azioni qui descritte non possono trovare inquadramento che in una strategia rivolta a riunificare l'ambiente della destra eversiva, galvanizzandone le energie attraverso atti che in qualche modo rappresentano un esplicito riconoscimento della `leadership' dei capi storici e delle tesi politiche delle quali questi sono portatori. Al di là, quindi, degli articoli pubblicati su `Costruiamo l'Azione', dei vari volantini di rivendicazione dei N.A.R....,delle stesse dichiarazioni, più volteribadite da Valerio FIORAVANTI,GilbertoCAVALLINI, Francesca MAMBRO e da altri esponenti del sedicente `spontaneismo armato', i fatti dimostrano l'esistenza di


di un legame profondo tra l'ambiente della vecchia destra




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(101) - SO, pp. 525-527. ordinovista e l'area `giovanile' in qualche modo rappresentata da Valerio FIORAVANTI e dal suo gruppo; di più, una subordinazione `nel concreto' di costoro alle tesi politiche e agli indirizzi di azione dettati da personaggi come Paolo SIGNORELLI e Massimiliano FACHINI, organicamente collegati con l'ambiente della eversione di destra che era stato proprio di Ordine Nuovo.


Vi è, sostanzialmente, una insanabile contraddizione fra le idee e le proposizioni esternate pubblicamente dagli aderenti a `Costruiamo l'Azione' e alla galassia dello `spontaneismo armato' con la realtà di un'azione politica e militare che è invece di segno affatto diverso, e che si muove sulle concrete linee del terrore indiscriminato e della provocazione politica in funzione di pesante condizionamento degli equilibri politici del Paese.


In questo contesto, il ruolo di personaggi come Valerio FIORAVANTI (il quale pure si è assunto la paternità del volantino `N.A.R.-chiarimento'" (102) "con il quale era



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(102) - Copia del documento trovasi in AA, V2, C5, p157. Per l'assunzione di paternità del medesimo, cfr. AA, V4, C17, pp. 17, 18 e 23. rivendicato l'omicidio del giudice Mario AMATO e che
costituisce il condensato dei principi-guida dello `spontaneismo armato'), Sergio CALORE, Gilberto CAVALLINI, Egidio GIULIANI, Marcello IANNILLI, diviene effettivamente comprensibile solo se si tiene un conto relativo delle proclamazioni verbali o puramente teoriche, e si guarda alla prassi, al concreto effetto della azioni progettate o portate a termine.


E il ruolo di queste persone diviene finalmente chiaro non soltanto se si fa riferimento alla storia politica di ciascuno degli aderenti alla banda armata qui considerata, ma anche e soprattutto se si vanno a considerare i legami esistenti fra gli imputati e la loro comune partecipazione ad un'articolata strategia del terrore, conclusasi con il tragico attentato del 2 agosto 1980."


Significativa traccia del ricompattamento dell'ambiente eversivo neofascista intorno ad una medesima progettualità che doveva essere idonea ad aggregare le varie formazioni armate si trova nelle dichiarazioni dello SPIAZZI e in quel documento scritto (la nota SISDE 28/7/1980) in cui le informazioni dallo SPIAZZI raccolte si cristallizzarono in data anteriore alla strage. Dopo quanto si è argomentato sub 2.1.2.3.2), non occorre spendere altre parole -ma semplicemente richiamare, per ulteriore conforto, il rapporto del Direttore del SISDE in data 21/11/1983 di cui si è detto in narrativa (103)- per dimostrare che il viaggio effettivamente ebbe luogo e si svolse nella data indicata dallo SPIAZZI, e che il colonnello raccolse le notizie poi trasfuse nell'informativa. Quanto poi al fatto che il `Ciccio' sul conto del quale le informazioni furono attinte fosse Francesco MANGIAMELI, esso discende, oltre che dalle molteplici circostanze di cui si è dato conto sub 2.1.2.3.2), lettera b), da quella ulteriore che, nella nota SISDE 28/7/1980, il `Ciccio' viene indicato come subordinato a Stefano DELLE CHIAIE, `leader' storico ed indiscusso di Avanguardia Nazionale. Orbene, si vedrà qui di seguito come tale connotazione identifichi con certezza il MANGIAMELI.


Che il coordinatore delle attività eversive neofasciste della Capitale, in quel periodo, fosse Francesco MANGIAMELI,

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(103) - Cfr. supra, sub 1.6.12).


è dato la cui importanza non deve assolutamente essere sottovalutata. Il MANGIAMELI, in effetti, rappresentava l'espressione vivente della convergenza politico-militare-operativa -realizzatasi a seguito della crisi delle varie formazioni, della quale si è ampiamente detto- fra ambienti della vecchia destra, politicamente sopravvissuti allo sfaldamento delle tradizionali organizzazioni, e nuove leve dell'eversione neofascista. `Leader' di Terza Posizione, legato a doppio filo, anche operativamente, a spontaneisti eminenti come Valerio FIORAVANTI e Francesca MAMBRO, il MANGIAMELI è, al tempo stesso, espressione di Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo (104).


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(104) - Sui rapporti del MANGIAMELI con le due storiche formazioni del neofascismo, vengono in considerazione una molteplicità di dichiarazioni. Giulia RACANIELLO (EB, V2, C42, p8): "...Confermo di avere saputo da LEDA PAGLIUCA MINETTI" (la consorte di Stefano DELLE CHIAIE) "che CICCIO MANGIAMELI era alle dipendenze di DELLE CHIAIE, anche se non ricordo in quale periodo esattamente ella mi fece questa confidenza". In giudizio (cfr. vu 6/11/87, p5) la donna, avuta lettura di tali dichiarazioni e invitata a riferire se ricordasse la circostanza, affermava: "se questo l'ho detto può darsi che allora me lo abbia detto. Io purtroppo, ripetto non ho purtroppo la stessa memoria di allora". Cfr. supra sub 2.1.2.3.2), nota (71).
Sergio CALORE (IA, V9/a-1 bis, C13/16, pp. 4-5): "...posso dire che sicuramente MANGIAMELI è di estrazione ordinovista legato ai vari INCARDONA e TOMASELLI, ma che successivamente alla riunione del settembre '75 ad Albano il MANGIAMELI divenne referente di A.N. per la Sicilia, tanto è vero che prese contatti a Roma con la struttura di A.N. e credo che addirittura abbia aperto una sede di A.N. a Palermo. Queste cose me le ha riferite"(segue) Altro emblematica traccia del ricompattamento degli ambienti della destra eversiva attorno ad obiettivi politicamente aggreganti è il progetto di attentato ad un magistrato


-diverso ed ulteriore rispetto all'attentato al dott. AMATO-


che fu a lungo coltivato e fortunatamente non portato ad esecuzione per via delle rivelazioni del VETTORE PRESILIO e dell'ondata di arresti che colpì l'eversione neofascista a seguito della strage del 2 agosto.


Sullo specifico argomento si dovrà necessariamente

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(segue) "CONCUTELLI il quale mi disse che A.N. in Sicilia non era mai entrata fino a quando Francesco MANGIAMELI non era diventato un punto di riferimento nell'isola per detta organizzazione". In giudizio, per quanto riguarda lo specifico aspetto dell'adesione del MANGIAMELI ad Avanguardia Nazionale, il CALORE non è stato soccorso dalla memoria. Ha comunque confermatole precedenti dichiarazioni (vu 9/12/87, p65 ): "...le confermo, se l'ho dichiarato lo confermo, ma ora non ricordo..."
Angelo IZZO (AA, V4, C24, p86 ): "...il SIGNORELLI mi ha detto che Francesco MANGIAMELI era un suo uomo: di quest'ultimo, da CONCUTELLI, so che era il capo di AVANGUARDIA NAZIONALE in Sicilia."
Marco AFFATIGATO (EA, V10/a-6, C215, p24): "...Il MANGIAMELI mi risulta fosse subordinato al SIGNORELLI..." Ancora (Cal., V5, C2, pp. 16-17): "...Mi risulta che MANGIAMELI, al quale andai a far visita nel 77 nella sua casa alla periferia di Palermo, era il referente di SIGNORELLI in Sicilia. Non posso dire che MANGIAMELI fosse di O.N. o di A.N., posso però dire che egli rappresentava l'insieme di questi due movimenti e di Lotta di Popolo poiché egli si è posto da sempre come momento di collegamento politico ed operativo di A.N.-O.N. e Lotta di Popolo..." (verosimilmente l'AFFATIGATO equivoca fra Lotta di Popolo e Lotta Popolare: movimenti attivi in epoche diverse, e non sovrapponibili per i contenuti ideologici e l'estrazione politica dei rispettivi aderenti).


ritornare. Qui occorre rilevare -richiamando argomenti già svolti (105)- come i poli romano e veneto dell'eversione neofascista, che si assumono essere stati le componenti della banda armata oggetto di giudizio, avessero, nell'estate del 1980, trovato una propria unità strategica attorno ad un programma di azione che comprendeva tanto attentati contro obiettivi selezionati, quanto una campagna di terrore indiscriminato che sfocerà nell'impennata costituita dall'attentatodel 2 agosto 1980. In sostanza: dalla fine del 1979, a seguito della crisi di Costruiamo l'Azione e di Terza Posizione, nonché dell'incipiente, ma progressivo sottrarsi del `Nucleo Operativo' di Terza Posizione alla `leadership' di Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI, nel panorama della destra eversiva, sul quale `prima facie' si apprezza il dissolversi in mille rivoli del sovversivismo, impegnato in forme spontaneistiche in una `guerra senza strategia' contro lo Stato, è dato cogliere, ad una più attenta analisi, il dipanarsi di un filo unitario che collega tutti coloro i

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(105) - Cfr. supra, sub 2.1.2.3.2), lettera c).


quali dalla crisi delle varie organizzazioni di origine non fanno discendere una scelta di disperazione o di resa, ma, invece, l'impegno a costituire un nuovo agguerritissimo organismo eversivo.


Naturalmente, un'aggregazione del tipo di quella delineata dal capo d'imputazione, una convergenza politico-operativa fra `vecchi' eversori e nuove leve del terrorismo, presuppone una strategia di controllo dei fermenti giovanili da parte delle tradizionali cariatidi del neofascismo, ispirata dall'obiettivo di convogliare le forze disperse verso un unico organismo armato. Non è qui in discussione se tale obiettivo non sia stato mai completamente raggiunto e se determinati ambienti giovanili si siano costantemente mantenuti diffidenti verso il FACHINI, il SIGNORELLI e gli altri `vecchi tramoni'. Ciò che rileva è che la strategia di controllo del mondo giovanile, a fini di eventuale arruolamento ed indottrinamento, ma anche, più subdolamente, di strumentalizzazione `politica' della sua azione militare -strategia che deve necessariamente costituire una componente programmatica di una banda armata strutturata come quella in esame- emerge con chiarezza da una serie di acquisizioni processuali sostanzialmente consonanti.


Stefano SODERINI (106): "...In particolare ebbi modo di conoscere Luca SIGNORELLI, Manlio DENARO e Pierluigi SCARANO,ragazzi tutti più grandi di me, i quali... mi chiesero di rinunciare all'attivismo di tipo tradizionale al fine di evitare di evidenziarmi con la polizia e nell'ambiente. Mi proposero in sostanza di tenere una vita privata la più riservata possibile, inserendomi in un normale posto di lavoro, in attesa di futuri sviluppi rivoluzionari. Al contempo veniva promosso nei miei confronti un vero e proprio indottrinamento: da una parte mi si diceva di evitare contatti di qualsiasi tipo con gli attivisti missini...;d'altra parte mi si impartivanoda parte dei tre nominati lezioni di carattere teorico sui principi immanenti del fascismo.


Comunque dietro ai ragazzi che avevano contatto con me emergeva sicuramente la figura di Paolo SIGNORELLI, il quale girava spesso per il quartiere perché insegnava in una

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(106) - EA, V10/a-6, C264 bis/3, pp. 27 ss. Dichiarazioni confermate in giudizio: cfr. vu 2/11/87, p61.


scuola vicina. Dopo un po' di tempo, circa un paio di mesi dopo i miei rapporti con Luca SIGNORELLI e i suoi amici, mi fu detto che in realtà facevo parte della struttura di Ordine Nuovo e che per tale ragione mi erano state indicate norme di comportamento particolari, proprie di una organizzazione segreta.


Mi esembra di ricordare che sia stato proprio ilprofessore Paolo SIGNORELLI a rivelarmi che io appartenevo alla formazione clandestina Ordine Nuovo.


Sempre in quel periodo, nel dicembre '77, partecipai alla festa del solstizio che ebbe luogo sui monti di Tivoli e alla quale presero parte più di trenta persone, fra le quali il gruppetto di Vigna Clara, l'intero gruppo di Tivoli e il professore Paolo SIGNORELLI.


Nel corso del soslstizio oltre ai sacrifici rituali vennero cantati inni di Ordine Nuovo. Non ricordo il nome delle altre persone adulte presenti, ma ricordo che c'erano Sergio CALORE e Italo IANNILLI.


Già al momento del solstizio si era realizzata una selezione nell'ambito del gruppo di persone che come me gravitavano l'ambiente " (sic) "di SIGNORELLI e, mentre altri ragazzi si erano man mano defilati, o pur presenti alla festa vennero poi esclusi da incontri successivi come da altre attività di genere politico,io rimasi invece nel gruppo ristretto e, a dimostrazione dell'avere ormai piena fiducia e quindi di essere inserito a livello di militante effettivo, fui invitato ad una festa che si tenne a capodanno del 1978 in casa di Fabio DE FELICE a Poggio Catino. La festa del Capodanno ebbe natura conviviale, ma rappresentò ai miei occhi una sorta di definitiva immissione, posto che ero stato portato a contatto con persone di età e condizione molto diversa dalla mia, cosa che in effetti mi colpì. Era infatti presente, oltra a DE FELICE ed al SIGNORELLI, anche il criminologo SEMERARI. Vi era inoltre Paolo ALEANDRI con la fidanzata ed il giornalista del `Tempo' SALOMONE...in in occasione della festa a casa di DE FELICE mi fu consentito di sparare alcuni colpi con una pistola 357 di proprietà di SEMERARI...mi pare dopo i fatti di Acca Larentia, ricevetti una copia dei cosiddetti fogli d'ordine di Ordine Nuovo...Come ho già detto è in quel periodo di tempo che leggo i fogli di Ordine Nuovo consegnatimi da Paolo SIGNORELLI o da persone del suo gruppo..."


Di nuovo il SODERINI (107), a proposito di riunioni avvenute in Tivoli:"...si parlava dell'uso degli esplosivi in termini tali che io seguivo con difficoltà perché chi ne parlava si dimostrava effettivamente esperto. Chi parlava era soprattutto Sergio CALORE il quale dimostrava una particolare competenza in materia. Veniva suggerito a chi non avesse ancora fatto il militare di cercare di militare in reparti specializzati nell'uso di materiale esplodente...


Io partecipavo alle riunioni col solito gruppo di Vigna Clara composto fondamentalmente da me e da Paolo SIGNORELLI..." (108)


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(107) - EA, V10/a-6, C264 bis/3, p34.
(108) -In giudizio (cfr. vu 2/11/87, pp. 63-64), sono poi intervenute le seguenti precisazioni: "...Il Presidente: `in queste riunioni quando si parlava di addestrarsi all'uso di esplosivi si diceva anche con quale finalità?' SODERINI: `no, perlomeno a me non lo dicevano. Era sottinteso che, nell'ambito del loro discorso rivoluzionario, si dovesse fare uso delle armi o dell'esplosivo.' Il Presidente: `si è mai detto che questo esplosivo potesse essere usato contro le persone?' SODERINI: `non si è mai parlato di una finalità specifica, si parlava dell'opportunità di fare una cosa del genere, perché il resto era sottinteso.' Il Presidente: `ma si sarà pure detto dove si doveva collocare questo esplosivo.' SODERINI: `non mi hanno mai portato a conoscenza di quelli che erano i programmi di questa organizzazione. Mi hanno sempre detto di stare lì e aspettare che la rivoluzione si sarebbe fatta e intanto di darmi da fare per non farmi conoscere dalla polizia, ma non conoscevo i loro programmi, anche probabilmente per l'età che avevo..."


Sempre il SODERINI (109): "...Non partecipai agli scontri che avvennero subito dopo la morte dei due giovani di destra avvenuta il 7 gennaio del '78 proprio perché il mio ruolo era di rimanere aderente alle indicazioni di clandestinità che mi erano state impartite...in quel periodo SIGNORELLI e tutto il gruppo che gravitava intorno al gruppo di `Costruiamo l'Azione' portava avanti la linea di incoraggiare il più possibile iniziative atte a polarizzare l'interesse nell'ambiente giovanile, non più limitato ai soli giovani di destra ma con ambizioni maggiori. Si cercava cioè anche con il proliferare delle sigle -vedi ad esempio le Comunità Organiche di Popolo- che facevano capo allo stesso gruppo che gravitava intorno a Costruiamo l'Azione, di attirare anche giovani che erano su posizioni di sinistra. D'altra parte questo era ricercato anche con l'uso di sigle che potessero non apparire come dell'area ideologica della destra..."


Infine (110): "...Avevo cominciato a maturare l'idea a



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(109) - Cfr. EA, V10/a-6, C264 bis/3, pp. 29-30, e, per la conferma dibattimentale, vu 2/11/87, p64.
(110) -EA, V10/a-6, C264 bis/3, p35. Cfr. vu 2/11/87, pp. 61-63.


seguito del rapporto col NISTRI di entrare in Terza Posizione della quale NISTRI era aderente. Anzi della cosa
avevo parlato anche a Paolo SIGNORELLI, al figlio Luca e a SCARANO i quali non si erano opposti a questa mia idea ma anzi mi avevano detto che era una buona cosa perché così sarebbe stato possibile per loro in un certo modo controllare dall'interno attraverso me le attività di quel movimento. Comunque io non mi resi conto subito della valenza del discorso di SIGNORELLI Paolo che però mi fu chiara in seguito..."


Altro momento esemplare della strategia -precipuamente perseguita dal FACHINI e dal SIGNORELLI- di cooptare giovani della destra da utilizzare per fini propri, sfruttandone le capacità militari, è rappresentato dall'inserimento di Gilberto CAVALLINI nel gruppo di Costruiamo l'Azione (111). Tale inserimento fu richiesto ed ottenuto dal FACHINI, cui il CAVALLINI era stato `passato' da Marco BALLAN, al quale ultimo il CAVALLINI si era `appoggiato' dopo essere evaso,
nel '77,mentre si trovava detenuto sotto l'accusa di

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(111) - Per la quale vicenda, cfr. Cal., V5, C12, p30; IA, V9/a-1 bis, C13/6, pp.2-3; vu 9/12/87, pp. 22-23; vu 8/1/88, pp. 42-43. omicidio.


V'è poiin atti una testimonianza estremamente eloquente in ordine all'opera di proselitismo ed ai contenuti del messaggio `politico' del professor SIGNORELLI. Il teste Luigi FRATINI, davanti alla Corte, ha confermato (112) le seguenti dichiarazioni rese sin dal 18/8/1980 (113): "...Io sono venuto a contatto con detti gruppi" (114) "tramite il professor Paolo SIGNORELLI che è stato mio professore di Storia e Filosofia al Liceo Classico `DE SANCTIS', sito in viadell'Acqua Traversa,quando frequentavo il 2° e il 3° Liceo. In particolare, durante l'ultimo anno di scuola, iniziai a frequentare la casa del prof. SIGNORELLI, sita in via G. Mussi, ed egli a più riprese affrontava con me problemi di politica. Inizialmente il professore faceva discorsi teorici sul fascismo, sul nazismo, sulla purezza della razza e sulle prospettive di un nuovo fascismo in Italia. Successivamente, quando egli capì che io condividevo

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(112) - Cfr. vu 23/1/88, pp. 13-15.
(113) -Cfr. EA, V10/a-1, C42, pp. 9-10.
(114) -Il FRATINI aveva immediatamente prima fatto menzione di `Lotta di Popolo' e delle `C.O.P.' (Comunità Organiche di Popolo). L'indicazione `Lotta di Popolo', che si riproporrà nel seguito del verbale, è frutto di confusione terminologica, chiaro essendo -dal contesto- che il teste intendeva riferirsi al movimento `Lotta Popolare'.


tali teorie passò a parlarmi di `Lotta di popolo' e quando


questa organizzazione si sciolse (mi sembra che avvenne a seguito del suo arresto) delle Comunità Organiche di Popolo.
In più occasioni il professore richiese un mio impegno attivo in detta organizzazione, ma io mi limitai all'affissione di alcuni manifesti. Nei suoi discorsi si parlava sovente della necessità della lotta armata e in più occasioni mi riferì che `Lotta di Popolo' e `C.O.P.' altro non erano se non organizzazioni clandestine che si prefiggevano scopi rivoluzionari da attuarsi con la guerriglia urbana.


Anche con il professore sono riuscito a non impegnarmi in prima persona, per cui nulla so degli attentati che in concreto sono stati posti in essere dalle due organizzazioni. Ricordo che il prof. SIGNORELLI propugnava essenzialmente nell'attuale fase della lotta l'eliminazione di magistrati ed in primo luogo del dott. AMATO," (115) " da

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(115) - Circa i propositi del SIGNORELLI sul conto del dott. AMATO, il FRATINI, specificamente interpellato in merito,ha precisato (cfr.vu 23/1/88, p16), confermando quanto già dichiarato all'Istruttore (cfr. EA, V10/a-1, C42, p15), che l'opportunità di sopprimere il magistrato veniva dal professore rappresentata in forma generica e non come espressione di un preciso proposito delittuoso. In particolare, il SIGNORELLI disse che il dott. AMATO avrebbe "fatto la stessa fine del giudice OCCORSIO".


lui ritenuto il nemico n. 1 della destra. Non so se poi, in


concreto, egli abbia attuato tali propositi. Tra la fine di


maggio e i primi di giugno andai a casa dal prof. SIGNORELLI
ed in quella circostanza mi chiese se io personalmente o qualche amico potevamo conservargli dei documenti e delle armi. Risposi negativamente per le armi e gli chiesi di farmi vedere i documenti. Egli mi rispose che non li aveva in casa e il discorso finì lì. Dopo circa una settimana rividi il professoree gli chiesi dei documenti. Egli mi rispose che aveva già provveduto sia per le armi che per i documenti. Quella sera, a cena, eravamo io, lui, la moglie e la figlia. So che faceva parte di `Lotta di Popolo' il figlio del professore a nome Luca, il...SODERINI, ultimamente passato a `Terza Posizione', ed un giovane sui 25 anni, probabilmente nobile, chiamato `Il Principe'. Non so invece chi aderisce attualmente alle Comunità Organiche di Popolo, di recente costituzione. La propaganda ufficiale di tali movimenti era attuata attraverso il giornale `Costruiamo l'Azione', che il prof. SIGNORELLI faceva distribuire innanzi al DE SANCTIS. Alcuni articoli di tale gionale erano scritti dallo stesso prof. SIGNORELLI. Su tale giornale, ad ogni modo, scrivevano anche alcune personalità quali il prof. Aldo SEMERARI."


Alla stregua di quanto precede, appaiono pienamente credibili anche le seguenti dichiarazioni rese da Sergio LATINI (116): "...PISO mi disse esplicitamente che sia FACHINI che SIGNORELLI avevano minacciato lui come gli altri di Terza Posizione che se non fossero entrati nelle C.O.P. li" (sic) "avrebbero tagliato le gambe. PISO disse che avevano resistito alla minaccia, tranne i cd. `cani sciolti' e i gruppi operativi che agivano al di fuori della facciata legale di Terza Posizione..." Vincenzo PISO, davanti alla

Corte (117), ha escluso d'aver ricevuto le minacce, così come ha escluso d'aver fatto le confidenze al LATINI, con il quale ha peraltro dovuto ammettere di esser stato codetenuto. Senonché, le affermazioni attribuitegli dal LATINI si armonizzano perfettamente con il quadro d'insieme -emergente dalle acquisizioni sopra passate in rassegna-


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(116) - EA, V10/a-5, C241, p6. Cfr. anche AA, V2, C4, p8. In giudizio, il LATINI si è avvalso della facoltà di non rispondere all'interrogatorio (cfr. vu 17/2/88, pp. 19-20). Circa la scaturigine della scelta collaborativa del LATINI, cfr. AA, V2, C4, p6.
(117) - Cfr. vu 18/2/88, p112.


della strategia di `controllo' e `arruolamento' dei giovani della destra, perseguita dai vertici di `Costruiamo l'Azione'. Inoltre, se la collocazione `politica' del LATINI era tale da renderlo idoneo a ricevere determinate confidenze (118), e se la comune detenzione ne fornì occasione adeguata, è altresì vero che la posizione PISO, per la sua militanza politica e per il particolare ruolo assunto all'interno del movimento di appartenenza (119), era tale da giustificare la scelta della sua persona, da parte del FACHINI e del SIGNORELLI, per l'intervento di cui si è detto.


D'altronde, della volontà del SIGNORELLI e del FACHINI di "controllare egemonicamente i vari gruppi di destra" ebbe



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(118) - Entrato in carcere per delitti comuni, il LATINI vi stabilì relazioni con esponenti della destra eversiva, come risulta ampiamente dagli atti del procedimento `QUEX' (cfr. EA, V10/a-5, C241, p9 e AA, V7, C41, passim).
(119) -Nel procedimento romano cosiddetto `di Terza Posizione', il PISO, imputato di vari reati, è stato da essi assolto, in primo grado, con formule varie. In particolare, è stato assolto con formula dubitativa dal delitto di banda armata. Ad ogni modo, quantunque non siano state individuate penali responsabilità a suo carico, resta fermo che egli militò in Terza Posizione ed assunse, dopo l'arresto del DIMITRI, il ruolo -di eccezionale rilievo e prestigio- di dirigente della Legione. Per la sua posizione, cfr. AA, V10, C4 bis, passim, e, in particolare, p761. notizia anche Paolo STROPPIANA per bocca dei vari ZANI, ADINOLFI, SPEDICATO, COGOLLI (120). E Mauro ANSALDI -per averlo appreso dall'ADINOLFI- ha fatto cennodel sottrarsi di Terza Posizione,chestava rapidamente ampliandosi, "al controllo politico di A.N. ed O.N." (121).









































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(120) - Cfr. EA, V10/a-5, C226 bis, p14 e vu 19/11/87, p59.
(121) - Cfr. Cal., V5, C3, p5 verso e vu 18/11/87, p62. In particolare, apprese l'ANSALDI dall'ADINOLFI che Terza Posizione non aveva accettato l'invito a partecipare alla nota riunione presso il cinema Hollywood.



2.2.5.3) I legami intersoggettivi


La dimostrazione dell'esistenza della banda armata oggetto di giudizio passa necessariamente attraverso la verifica della sussistenza dei collegamenti tra i soggetti accusati di averne fatto parte. E la relativa indagine conduce -come di seguito si vedrà- all'individuazione di profondi legami -ancora in atto nel periodo cui si riferisce l'imputazione- tra vari prevenuti, che appaiono accomunati dalle finalità di terrore indiscriminato perseguite: finalità emergenti dall'analisi dei fatti criminosi riferibili all'organizzazione o di quelli soltanto progettati e poi non portati ad esecuzione.


Di centrale importanza -per il ruolo di vero e proprio comandante militare che il FIORAVANTI verrà assumendo nella banda armata in esame- è la cooptazione di Valerio FIORAVANTI nel gruppo, facente capo a Sergio CALORE, costituito dagli operativi dell'ambiente di Costruiamo l'Azione sopravvissuti alla crisi dell'organizzazione: gruppo che, da un lato, si era venuto ampiamente sfaldando sotto il profilo organizzativo, e, dall'altro, era venuto mutando fisionomia, per effetto dei legami assai intensi stretti con altro gruppo, facente capo ad Egidio GIULIANI.


Così Sergio CALORE al PUBBLICO MINISTERO di Bologna (122),
il 14/2/1985: "Venni arrestato nel maggio del 1979 su ordine di cattura della Procura della Repubblica di Rieti che mi accusava di ricostituzione del disciolto partito fascista. Nel luglio di quell'anno, nel carcere di Rebibbia, conobbi Valerio FIORAVANTI, arrestato per porto di pistola al valico di Ponte Chiasso. Stringemmo subito amicizia. In quello stesso periodo erano detenuti con me a Rebibbia Paolo SIGNORELLI, Claudio MUTTI e Renato ALLODI. Venni prosciolto in istruttoria e scarcerato il 13 novembre 1979. Ripresi immediatamente i contatti con esponenti del gruppo di `Costruiamo l'Azione', che si era praticamente dissolto come struttura durante la mia detenzione. In particolare rivedo Bruno MARIANI e con lui mi reco in un cascinale sulla via Prenestina dove erano custodite le armi del nostro gruppo; mescolate con esse vi erano le armi del gruppo GIULIANI-COLANTONI...Vi erano non meno di cento pistole, una


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(122) - Cal., V5, C12, pp. 34 ss. Per il dibattimento, cfr. vu 9/12/87, pp. 38-41.


quindicina di mitra, bombe a mano SRCM ed ananas, lanciarazzi americani M72 ed esplosivo vario. Vi era questa comunione di armi tra il nostro gruppo e quello di Egidio GIULIANI poiché tra i due gruppi si erano stretti rapporti durante la mia detenzione; in particolare, tra Bruno MARIANI ed Egidio GIULIANI.


Circa sette giorni dopo la mia scarcerazione, venne a casa mia Paolo SIGNORELLI con tutta la famiglia..." (123) "Alcuni giorni dopo rividi Valerio FIORAVANTI, scarcerato alla fine


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(123) -Il contenuto di tale incontro conviviale risulta dalle precisazioni fornite in dibattimento (vu 9/12/87, pp. 38-39):
"Il Presidente: `ricorda di cosa si parlò?' CALORE: `nelcorso della cena praticamente di niente, solo del fatto che eravamo stati ambedue scarcerati, lui nel mese di agosto, io nel mese di novembre, che eravamo fuori e queste cose. Poi con SIGNORELLI, appartatamente, parlai del fatto che...lui mi disse se avevo intenzione di riprendere i contatti con lui, se avevo intenzione di iniziare di nuovo la nostra collaborazione. Gli spiegai che ormai le nostre posizioni erano distinte proprio sul piano politico, quindi...' Il Presidente: `vuole spiegare perché c'era stata questa...' CALORE: `i motivi della spaccatura tra me e le persone che mi erano più vicine, il gruppo di SIGNORELLI, erano sostanzialmente di natura politica, ossia erano dovute al fatto, come ho già detto, che sia io che ALEANDRI puntavamo a una convergenza di tipo teorico anche con i gruppi della sinistra e conseguentemente i contatti con SIGNORELLI, oltre che controproducenti sul piano della nostra immagine, nel contatto con gli ambienti della sinistra, erano anche insostenibili, dato che SIGNORELLI continuava a svolgere un tipo di attività e aveva un tipo di collocazione ideologica che era quella sua tradizionale, cioè nell'area dell'estrema destra, di tipo extraparlamentare.'"


di ottobre..." (124) "Gli feci presente che, volendo, poteva


entrare a far parte del nostro gruppo, che aveva in programmainiziative politico-militari. Valerio mi rispose che preferiva per il momento restare nel suo ambiente, gravitante attorno al FUAN di Roma..." Nel giro di poco tempo il FIORAVANTI maturò una diversa decisione; riferisce ancora infatti il CALORE, nel medesimo verbale: "...Tornando al periodo compreso tra la mia scarcerazione ed il successivo arresto (13 novembre- 17 dicembre 1979), appresi, da Valerio, che intendeva passare nel nostro gruppo, anche in considerazione della sottrazione di armi che aveva subito


ad opera di DIMITRI." (125) "Dunque, a far tempo dal 6-7 dicembre, Valerio entra a far parte del gruppo che faceva capo a me. Il giorno 10 ed 11 dicembre, Valerio partecipò ad una rapina ai danni di un orefice di Tivoli insieme a Bruno MARIANI, Mario ROSSI, Gilberto CAVALLINI ed un `comune' amico di MARIANI del quale non so il nome...Fu in questa


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(124) - Il CALORE, in giudizio, ha precisato il numero ed il contenuto degli incontri col FIORAVANTI precedenti l'ingresso di quest'ultimo nel gruppo (vu 9/12/87, p39).
(125)-Per tale episodio, cfr. l'atto citato alla nota che precede.


occasione che presentai FIORAVANTI a CAVALLINI..."


Per quanto attiene all'ingresso operativo del FIORAVANTI nel gruppo, decisivo conforto alle dichiarazioni del CALORE viene dalle risultanze di altri procedimenti, nei quali è è emersa la prova della partecipazione dell'odierno imputato alla rapina in danno dell'orefice di Tivoli e, sei giorni più tardi solamente, all'attentato contro l'Avv. ARCANGELI, sfociato nell'uccisione del giovane LEANDRI (126).


Né sono mancate le conferme a quella parte delle dichiarazioni che concerne i legami fra gli `operativi' di Costruiamo l'Azione ed il `gruppo GIULIANI' sotto lo specifico profilodella commistione dei rispettiviarmamenti, che Sergio CALORE ebbe modo di constatare `de visu'(127).


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(126) - Di quest'ultimo episodio, di cui si resero responsabili, tra gli altri, Sergio CALORE, Valerio FIORAVANTI e Bruno MARIANI, si è già detto altrove. Per quanto riguarda l'altro crimine, si tratta della rapina consumata in Tivoli, l'11/12/79, in danno dell'oreficeria di Amelia D'AMORE (cfr. AA, V1, C1/4, pp. 865-876). Ai fini che qui interessano, va rimarcata la responsabilità nella vicenda di Sergio CALORE, Bruno MARIANI, Valerio FIORAVANTI e Gilberto CAVALLINI.
(127) - Cfr., per l'arsenale di via Prenestina nella disponibilità del GIULIANI, la sentenza in AAD, V10, C5 bis, pp. 37 ss. e 101 ss.; per un episodio di affidamento di armi - che furono poi depositate in via Prenestina- da Bruno MARIANI ad Armando COLANTONI, e da quest'ultimo `girate ad Egidio GIULIANI', cfr. la medesima sentenza, pp. 49 ss. e 109 ss. Per le dichiarazioni citate in tali ultimi passi, limitatamente a quelle rese nell'istruttoria del relativo procedimento, cfr. AA, V8, C46. Gli autori di dette dichiarazioni sono comparsi (segue)


Il momento certamente più significativo dell'avvenuta unificazione operativa fra i resti di Costruiamo l'Azione e la centrale figura di Egidio GIULIANI è dato dal rapporto strettissimo fra quest'ultimo e Gilberto CAVALLINI. Tale rapporto perdurerà e si rinsalderà nel tempo. Ai fini che qui rilevano, giova però osservare come esso fosse già in atto nell'autunno del 1979. Dall'interrogatorio dibattimentale di Sergio CALORE (128): "Il Presidente: `lei ha parlato anche di un certo oro che doveva essere piazzato a Roma proveniente da una rapina compiuta ad un libico. Vuol dire?' CALORE:`la rapina è avvenuta nel periodo della mia detenzione per ricostituzione del Partito fascista,

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(segue) anche avanti a questa Corte: cfr., per la LAURICELLA, il COLANTONI, la CENTI ed il GUERRA, vu 6/10/87; per l'HASSEMER, vu 2/11/87. Per la vicenda di un bazooka rinvenuto nel covo di via Prenestina, rimesso in funzione da Franco SCORZA e fatto pervenire da Pancrazio SCORZA al `gruppo di via Prenestina', cfr. AA, V1, C1/4, p883.
(128) - Cfr. vu 9/12/87, p24. La rapina in questione è quella commessa in Roma, in danno del gioielliere Fadlun MARDOCHAI, nella notte fra l'8 ed il 9/10/79: cfr. AAD, V10, C5 bis, pp. 16 ss. e 79 ss., e ,in particolare, per l'aspetto del riciclaggio in Padova per mezzo del CAVALLINI, p85. Per quest'ultimo aspetto, conforto alle parole del CALORE è venuto, direttamente nel presente giudizio, da parte di Laura LAURICELLA (cfr. vu 6/10/87, p84), attraverso la conferma delle dichiarazioni rese al Giudice Istruttore il 2/6/82 (EA, V10/a-4, C163/1, p56), e da Marco GUERRA (cfr. vu 6/10/87, p30), attraverso la conferma di dichiarazioni rese il 7/5/81 (AA, V8, C46, p46): per l'individuazione della parte di tali ultime dichiarazioni letta e confermata in udienza, cfr. brm n. 2 del 6/10/87, giri 40-56.


comunque quando io fui scarcerato c'era CAVALLINI che faceva la spola fra Roma e FACHINI perché GIULIANI, che era


l'autore materiale della rapina, doveva riciclare questa grossa quantità di oro e FACHINI provvedeva al riciclaggio presso persone su nel Veneto. Quindi CAVALLINI faceva la spola fra Roma e il Veneto trasportando quantitativi che equivalevano a un valore approssimativo di un centinaio di milioni per volta. Si trattava di una rapina di circa un 3
miliardi.' A.D.P.R.: `l'ho saputo da CAVALLINI direttamente.'"


La presentazione del CAVALLINI al GIULIANI, ad opera di Bruno MARIANI (129), se fu di fondamentale importanza in relazione agli sviluppi futuri della banda armata oggetto del presente giudizio, rappresentò comunque il momento conclusivo della fusione `operativa' fra i resti di Costruiamo l'Azione e la `banda GIULIANI'. Si è già fatto cenno della rapina della Banca del Mattatoio di Roma, avvenuta il 21/8/1979. Occorre ancora ricordare la rapina ai danni della filiale di Vitinia della Cassa di Risparmio di


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(129) - Cfr. dichiarazioni Marco GUERRA, in AA, V8, C46, p52 e vu 6/10/87, pp. 29-30.


Roma -consumata il 6/11/1979- che vide la partecipazione di Egidio GIULIANI, Armando COLANTONI, Marco GUERRA, Bruno
MARIANI e Marcello IANNILLI (130).


Il rilievo di tutte le dichiarazioni del CALORE sopra riportate -`aliunde' suffragate nel modo che si è visto- non può sfuggire ad alcuno. Resta dimostrato che, sulle ceneri di Costruiamo l'Azione, si era venuto formando, verso la fine del 1979, un nuovo gruppo (alla cui attività Sergio CALORE e Bruno MARIANI verranno sottratti solo per via dell'arresto in relazione all'omicidio LEANDRI); che in tale gruppo, il cui retroterra politico va ricercato nella precedente esperienza terroristico-eversiva (della quale si è fatto ampio cenno), si trovavano a collaborare -come si è sopra rilevato- gli `operativi' superstiti di Costruiamo l'Azione, ed Egidio GIULIANI, personaggio -collocantesi al vertice di una sua `banda'- in grado di assicurare un formidabile supporto logistico; che al gruppo aderì, a far tempo dal dicembre 1979, lo `spontaneista' Valerio FIORAVANTI, il quale entrò immediatamente in contatto


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(130) - Cfr. AA, V1, C1/4, pp. 858-860, e vu 6/10/87, p26. operativo con Gilberto CAVALLINI: circostanza questa il cui peso è di tutta evidenza, per il fatto che il binomio


FIORAVANTI-CAVALLINI diverrà, sotto il profilo militare, l'asse portante della banda armata oggetto di giudizio, e quindi, essendo il CAVALLINI -come in parte si è visto e come meglio si vedrà- una `creatura' del FACHINI, ed essendo il FIORAVANTI -come pure si vedrà- in istretto collegamento con il SIGNORELLI, attraverso il rapporto di collaborazione FIORAVANTI-CAVALLINI si verrà cementando, sul piano squisitamente operativo, quella convergenza fra i poli romano e veneto della banda armata, che, sul piano della strategia, trova espressione nelle figure del SIGNORELLI e del FACHINI, legati da molto tempo in un simbiotico percorso `politico' e reduci dalla recentissima esperienza di Costruiamo l'Azione.


I rapporti fra Gilberto CAVALLINI e Massimiliano FACHINI, nati in ambiente veneto dopo l'evasione del CAVALLINI e proseguiti con l'inserimento del primo ad opera del secondo nel gruppo di Costruiamo l'Azione, sono sempre stati solidi e profondi, e non sono certamente venuti meno con la crisi di tale gruppo. Essi anzi, grazie al collegamento stabilitosi fra il CAVALLINI ed il FIORAVANTI, propiziarono contatti diretti fra quest'ultimo ed il FACHINI. Tutto ciò emerge dall'esame sinottico di molteplici acquisizioni probatorie. Si sono viste le dichiarazioni di Sergio CALORE che attribuiscono un ruolo attivo al FACHINI nella vicenda del `riciclaggio' dell'oro rapinato al cittadino libico. Non è qui in gioco,naturalmente, la penale responsabilità del FACHINI per tale episodio; ma tali dichiarazioni sono ugualmente rilevanti, nella misura in cui, se soddisfacentemente suffragate, attestano il perdurare di determinati rapporti in epoca significativa ai fini dell'imputazione di banda armata oggetto del presente procedimento. Orbene, dalle dichiarazioni rese da Marco GUERRA (131) emerge non soltanto che l'attività di riciclaggio dell'oro si protrasse almeno fino al febbraio 1980, ma che il CAVALLINI era inserito nel `gruppo di Padova', di cui il GIULIANI aveva sempre parlato in termini elogiativi.




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(131) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota (128).


Ancora Sergio CALORE (132), in un diverso contesto, e con riferimento ad altre circostanze: "...In seguito ebbi modo di parlare con CAVALLINI della cosa ed il CAVALLINI mi disse che avrebbe meditato sulla posizione di FACHINI e che avrebbe preso le distanze da lui se avesse accertato che...Ricordo che con CAVALLINI ne parlai l'11/12/1979 in occasione della rapina a Tivoli alla gioielleria D'AMORE.


Il 17 dicembre io fui arrestato e quindi non ho più potuto seguire le vicende dei rapporti tra FIORAVANTI, CAVALLINI e FACHINI che però so essere continuati...CAVALLINI ha continuato a mantenere stretti legami con FACHINI anche durante la detenzione. So che quando FACHINI fu aggredito a Rebibbia nell'81 CAVALLINI si pose a sua disposizione. CAVALLINI ribadì anche questa sua disponibilità nella primavera dell'anno successivo..."


Dall'interrogatorio dibattimentale di Walter SORDI (133): " SORDI:`...CAVALLINI era in strettissimi rapporti con


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(132) - IA, V9/a-1 bis C13/7, p39. Per il dibattimenmto, cfr. vu 9/12/87, p41 e vu 10/12/87, pp. 55-56. In quest'ultimo passo il CALORE ha chiarito che sua fonte,circa la disponibilità del CAVALLINI verso il FACHINI durante la detenzione di quest'ultimo, fu Paolo SIGNORELLI. Il CAVALLINI spedì anche denaro in carcere al FACHINI, tramite vaglia.
(133) -Cfr. vu 20/1/88, p208.


FACHINI, da moltissimo tempo, e per la precisione dal


periodo della sua evasione nel corso di una traduzione,


praticamente dall'inizio della sua latitanza. Lui mi disse
che nei suoi confronti FACHINI si era sempre comportato molto bene e che era una persona degna di fiducia...' Il Presidente: `le parlò mai di un possesso di armi o esplosivo da parte di FACHINI? Cosa sapeva CAVALLINI di questo?' SORDI: `io so che lui aveva un amico nel Veneto che era detenuto e che aveva un sacco di armi, tanto che una volta andò a Padova e tornò giù con una marea di armi, prevalentemente armi belliche, della seconda guerra mondiale,cioè Mauser, Sten, Mab, ma c'erano anche delle SRCM. Mi disse che queste armi erano di un suo amico, veneto, padovano, detenuto...'" (134)


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(134) - Che si trattasse del FACHINI è di tutta evidenza, alla stregua delle altre emergenze processuali. Tuttavia il CAVALLINI non lo indicò nominativamente; e il SORDI ne ha spiegato la ragione: "...bisogna tenere presente che rispetto a queste circostanze tra me e CAVALLINI c'era una differenza sia generazionale, perché lui ha otto anni più di me, e territoriale perché io ero nato e cresciuto a Roma, avevo seguito tutto il corso tipico di un militante dei N.A.R. rispetto allo spontaneismo, mentre lui era entrato in contatto con i N.A.R. molto tempo dopo e prima aveva avuto tutti questi rapporti che ai nostri occhi erano abbastanza ambigui; perché per noi FACHINI voleva dire FREDA, FREDA voleva dire imputazione per strage e quindi non era un personaggio che poteva apparirci pulito. Anche perché noi non avevamo bisogno di fare approfondite indagini, tutto si basava su un discorso di amicizia."


Anche Gianluigi NAPOLI, personaggio da lunga data profondamente inserito negli ambienti veneti della destra extraistituzionale,la cui fonte principale, certamente ben informata, era Giovanni MELIOLI, ha riferito dello stretto legame fra il FACHINI ed il CAVALLINI: ed ebbe a definire il secondo "figlio putativo" del primo, dal quale era stato sia politicamente che militarmente costruito (135).


Si è anticipato come sul rapporto CAVALLINI-FACHINI si sia innestato un collegamento diretto FIORAVANTI-FACHINI. Ha riferito Sergio CALORE d'aver appreso da Mario ROSSI di due appuntamenti fra il FIORAVANTI ed il FACHINI, nella zona del quartiere africanodiRoma,intorno alla metà del1980 (136). La notizia, doppiamente `de relato', sarebbe in sé

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(135) - Cfr. IA, V9/a-1, V7, p22 e vu 26/11/87, pp. 853-859. Ha riferito ancora il NAPOLI che fra il FACHINI ed il CAVALLINI sarebbe intervenuta una rottura, a seguito dell'accasamento del secondo con la SBROIAVACCA. Che, tuttavia, il contrasto abbia avuto conseguenze meno radicali di quelle descritte al NAPOLI dal MELIOLI è dimostrato dal fatto che i rapporti FACHINI-CAVALLINI -come risultadalle altre acquisizionidi cui si è dato conto- proseguirono anche durante la gravidanza della donna e dopo la nascita del bambino.
(136) - Cfr. vu 10/12/87, p42. Mario ROSSI, che il SODERINI (cfr. vu 2/11/87, p58) colloca nel "gruppo dei 7" in cui militava il FIORAVANTI, ha avuto cura di inviare al Presidente di questa Corte una missiva (cfr. AAD, V13, C15, punto 2), nella quale riferisce essergli stato mostrato dal FIORAVANTI il verbale contenente le dichiarazioni del CALORE e sostiene esser falso, gratuito e senza fondamento quanto dal CALORE stesso affermato sul punto.


inidonea a suffragare qualsiasi convincimento: ma essa, supportata dalle parziali ammissioni del FIORAVANTI in ordine a personali contatti con il FACHINI in epoca


processualmente significativa, vale, a sua volta, a riempirle di apprezzabili contenuti. Valerio FIORAVANTI al Giudice Istruttore, il 14/12/1985 (137): "...Quanto ai rapporti con FACHINI, non ho avuto con lui direttamente alcun rapporto, e l'ho visto soltanto un paio di volte di sfuggita senza che egli neppure sapesse esattamente chi ero. Ciò non corrisponde ad un'ottica di compartimentazione all'interno di una medesima banda armata, ma esprime una totale estraneità della mia persona all'attività di FACHINI. I fugaci contatti di cui sopra si sono verificati perché io ero legato a CAVALLINI e in un paio di occasioni nella casa di Padova dove il CAVALLINI si appoggiava saltuariamente, passò il FACHINI...Che io sappia questi incontri non servivano a mettere a punto nessuna azione; ma rientravano nei tentativi del FACHINI di mantenere buoni rapporti con il CAVALLINI in vista della divaricazione che nel frattempo si


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(137) - IA, V9/a-2, C29, pp. 39-41.


stava delinendo tra loro...A precisazione della data degli incontri CAVALLINI-FACHINI ai quali ho assistito, anche se non sono stato presente alle loro discussioni, mi sembra di ricordare che si siano verificati verso la fine del '79,
inizi dell'80..." (138)


E' semplicemente impensabile che, in occasione di tali incontri -se pure essi furono i primi tra il FIORAVANTI ed il FACHINI- il FIORAVANTI, senza farsi riconoscere, se ne sia stato in disparte, non prendendo neppure parte ai colloqui fra i suoi odierni coimputati. Basti pensare che il FIORAVANTI aveva piena consapevolezza del fatto che determinate armi di cui egli stesso si serviva provenivano dal FACHINI. Così il FIORAVANTI, il 16/1/86, al Giudice Istruttore (139): "...In proposito debbo dire che solo in


seguito capii che i mitra che giravano nel nostro ambiente


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(138) - Massimiliano FACHINI, suo malgrado, non ha potuto ignorare le dichiarazioni del coimputato. Dal verbale dell'interrogatorio dibattimentale del FACHINI (vu 6/4/87, p20):"...`Il FIORAVANTI non lo avevo mai conosciuto; lui dice che una o due volte l'ho visto; me l'hanno presentato con nome diverso; io non l'ho conosciuto col nome di FIORAVANTI.'
L'Avv. MONTORZI fa presente che il FIORAVANTI è in aula e c'è oggi la conoscenza fisica.
A.D.P.C.R.: `non ricordo di averlo visto. Se sette anni fa un tizio, una o due volte, si è fatto vedere, non sono fisionomista, non ricordo, non so, non l'ho mai visto; se un tizio si presenta sotto altro nome, può darsi, non so.'"
(139) - IA, V9/a-2, C29, p56. provenivano dal Veneto; e ciò perché venimmo a sapere dei contatti di CAVALLINI con FACHINI e l'ambiente veneto.

Poiché i mitra ce li aveva procurati FACHINI" (140) "fu


ovvio dedurre che tali armi provenivano da FACHINI e dal suo gruppo."


Si vedrà in seguito come il FIORAVANTI si sia spinto ad ammettere anche che il FACHINI, agli inizi del 1980, cercò di contattarlo per il tramite del SIGNORELLI.


Peraltro -e concludendo sul punto- osserva la Corte che il

FACHINI ed il FIORAVANTI erano indirettamente collegati anche per altra via. Se, da un lato, pacifico è il legame
operativo fra il FIORAVANTI e Franco GIOMO, provati,
dall'altro, sono i contatti fra il GIOMO ed i `fedelissimi'
del FACHINI Giovanni MELIOLI e Roberto RINANI (141).


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(140) - Si tratta, all'evidenza, di un refuso: logica vuole che qui sia stato erroneamente verbalizzato "FACHINI" in luogo di "CAVALLINI". Cfr. anche le precisazioni dibattimentali del FIORAVANTI, in vu 6/4/87, p22.
(141) - Cfr. AA, V13, C74, pp. 13, 16, 49-50, 564-565; vu 7/4/87, p15; vu 15/4/87, p14; IA, V9/a-1, C3, pp. 1 e 15 ss. Il RINANI, dal canto suo, ha sostenuto che v'era antipatia fra lui ed il GIOMO e che, se si incontravano per la strada, nemmeno si salutavano. Senonché, il teste Antonio BENELLE ebbe a rendere le seguenti dichiarazioni (EA, V10/a-6, C269, p2), poi confermate in dibattimento (vu 23/1/88, p21): "...Egli" (il RINANI) "aveva invece rapporti abbastanza stretti e frequenti con GIOMO Franco, il quale essendo segretario giovanile a Rovigo veniva spesso a Padova dove si incontrava con RINANI segretario giovanile del M.S.I. dell'Arcella..."


Circa i rapporti FIORAVANTI-SIGNORELLI, va subito rilevato che i due imputati non negano di essersi conosciuti e


frequentati. Essi, peraltro, hanno presentato i loro rapporti come privi di contenuto politico e semplicemente ispirati a simpatia ed amicizia, nate a seguito della


conoscenza, in occasione della comune carcerazione dell'estate 1979 (142).


Walter SORDI, per parte sua, venne ad apprendere che già nella seconda metà del '79 il FIORAVANTI aveva allacciato "strettissimi rapporti" col SIGNORELLI; e le intensissime


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(142) - FIORAVANTI, il 14/12/85 (IA, V9/a-2, C29, p39): "...Per quanto concerne i miei rapporti con SIGNORELLI è falso definirmi il braccio armato di SIGNORELLI, poiché, pur avendo avuto con lui dei rapporti di amicizia, non ho mai agito politicamente in collegamento con lui, anzi da diverso tempo prima della strage di Bologna avevo rotto definitivamente con lui. Sarebbe più esatto dire che non avevo neppure iniziato perché aver fatto con lui qualche cena rientrava solo in rapporti tra persone conosciutesi in carcere..."
SIGNORELLI, il 30/12/80 (IA, V9/a-1, C4/1, p3): "...Ho visto un paio di volte SODERINI assieme al FIORAVANTI Valerio nella zona di Vigna Clara. Preciso peraltro che gli stessi erano assieme ad altri giovani che frequentavano la zona. Ciò è avvenuto nel periodo successivo a quello in cui il FIORAVANTI Valerio frequentò la mia casa, dopo la sua scarcerazione. Come ho già detto in precedenza, il FIORAVANTI venne varie volte a mangiare a casa mia, spesso autoinvitandosi, in un periodo di tempo di circa un mese o poco più dopo la sua scarcerazione..." Ancora, il 15/12/85 (IA, V9/a-1, C4, p26): "...in merito ai miei rapporti con Valerio FIORAVANTI mi riporto a quanto innumerevoli volte ho spiegato alle varie AA.GG., puntualizzando che l'ultima volta che l'ho visto, anzi che l'ho sentito è stato in occasione del notissimo pranzo organizzato allo scopo di riconciliare il MASSIMI con la moglie ai primi di febbraio del 1980..."


frequentazioni tra i due fra il gennaio ed il marzo del 1980 -delle quali già aveva avuto notizia- gli furono poi confermate da Gilberto CAVALLINI e Francesca MAMBRO (143).


Rileva il Collegio che le dichiarazioni del SORDI,


mentre da un lato, quanto alla materialità del rapporto di frequentazione, trovano conferma insospettabile proprio nelle ammisssioni degli imputati, per altro verso, quanto alla natura di quel rapporto, si riempiono automaticamente di contenuti in via logica, dal momento che non avrebbe avuto senso alcuno, nell'ambito dei contatti `politici' fra il SORDI da una parte, ed il CAVALLINI ela MAMBRO dall'altra, riferire di amene esperienze conviviali in comune fra il FIORAVANTI ed il SIGNORELLI.


Peraltro, indiretto conforto a tali conclusioni viene dalle dichiarazioni del SODERINI e del FRATINI, delle quali si è detto: da esse emerge con tutta evidenza il tipo d'approccio del SIGNORELLI verso le nuove leve del neofascismo. Indiretto conforto viene altresì dalla circostanza (144) che,presentandosi a cena a casa del CALORE dopo la


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(143) - Cfr. Cal., V5, C52, pp. 3-4 e vu 20/1/88, p216.
(144) - Cfr. supra, nota (123). scarcerazione diquest'ultimo, il SIGNORELLI gli abbia immediatamente proposto di riprendere la collaborazione.


La verità è che la carcerazione dell'estate 1979 non aveva certo tarpato le ali alle velleità del SIGNORELLI, ai suoi
propositi di lotta armata, come appunto emerge dalle dichiarazioni del FRATINI: e il FIORAVANTI rappresentava, ai suoi occhi, un formidabile combattente da utilizzare nell'agone terroristico.


V'è in proposito, da porre l'accento su un aspetto specifico sul quale ci si dovrà nuovamente soffermare. Si tratta dell'omicidio del dott. AMATO. A prescindere dalle penali responsabilità del SIGNORELLI, che sono ancora `sub iudice' in altra sede, va rimarcato che l'episodio -ai limitati fini che qui interessano- accomuna, con inscindibile nesso, il FIORAVANTI, condannato in via definitiva, ed il SIGNORELLI, profeta, ispiratore `politico', assertore sino all'ultimo dell'opportunità di eliminare il dott. AMATO. Basterebbe questo a definire la natura dei collegamenti fra i due imputati nel periodo abbracciato dal capo d'imputazione. Ma -a ben vedere- dove avrebbe potuto svilupparsi un denominatore comune tra due personaggi che, all'apparenza, si presentavano così abissalmente diversi dal punto di vista umano? Tra il professore in età non più verde, ideologizzato, latore di messaggi culturali ad ampio
respiro, incline alle tendenze bucoliche, ed il ventunenne `spontaneista', essenzialmente ed incondizionatamente dedito -prima e dopo la conoscenza con il SIGNORELLI- alla violenza armata, quale strumento di una guerra a tempo pieno contro lo Stato? Il legame non poteva che nascere sul piano `politico': laddove, essendo il SIGNORELLI -come s'è visto- tutt'altro che un semplice ideologo disponibile solamente alla lotta condotta con meri strumenti culturali, ed essendo il FIORAVANTI uno `spontaneista' assai meno `puro' di come pretenderebbe d'accreditarsi, le distanze -per grandi che fossero sul piano umano- tendevano a ridursi, sino a consentire la praticabilità di un progetto comune: che è poi il generico programnma eversivo sulle cui linee si muove la banda armata oggetto di giudizio.


Non occorre spendere molte parole a proposito dei rapporti FACHINI-SIGNORELLI, che costituiscono un asse portante dell'organizzazione in esame. Si tratta di un legame che affonda le radici in tempi non recenti e che, attraverso varie esperienze, si è protratto sino alla cattura dei due imputati, nel corso dell' istruttoria del presente

procedimento. Provenienti dalla comune esperienza ordinovista (145), il FACHINI ed il SIGNORELLI partecipano alla riunione di Albano Laziale (146) del settembre '75, con la quale si intese darcorso alla fusione di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale. Dopo il fallimento dell'unificazione, li ritroviamo al centro della vicenda eversiva di Costruiamo


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(145) - Gli imputati hanno negato d'aver fatto parte del Movimento Politico Ordine Nuovo, ma la loro internità a tale organizzazione -e certo non con vestedi gregari- discende in maniera inequivocabile dalla partecipazione alla riunione di Albano Laziale, ove si trattava di adottare decisioni di fondamentale importanza sull'avvenire del movimento, ormai clandestino sin dal 1973. Per la posizione del FACHINI, cfr. anche il documento citato sub 1.11.4.1), testo e nota (21).
(146) - La partecipazione del SIGNORELLI alla riunione è ammessa dal prevenuto. Ma anche quella del FACHINI è provata. Ne ha parlato Sergio CALORE (cfr., per tutti, vu 9/12/87, p15), facendo anche cenno dei contrasti -peraltro non drammatici, atteso che l'obiettivo era la riunificazione- sorti per via della doppia delega del FACHINI: come rappresentante per il Veneto tanto di Ordine Nuovo che di Avanguardia Nazionale. Della partecipazione del FACHINI aveva appreso, dal CALORE, anche il TISEI, che ne riferì, nel presente procedimento, fin dal verbale 7/5/82, in EA, V10/a-5, C217 bis, p4 (cfr. anche vu 19/1/88, p12). Il SIGNORELLI, dal canto suo, in giudizio, nel dar manforte al FACHINI, non solo ha escluso la partecipazione di quest'ultimo, ma si è spinto ad escludere anche quella del(segue)


l'Azione, che -pur nell'immutazione delle forme e delle

tematiche, peraltro parziale, e, per una certa componente


del composito gruppo, più apparente che reale- rappresenta un momento di sostanziale continuità rispetto ad esperienze veteroordinoviste e diviene centro propulsore delle due campagne di attentati del 1978 e del 1979.


Che il simbiotico percorso `politico' dei due imputati si prolunghi anche dopo la crisi di Costruiamo l'Azione e anche nel periodo cui si riferisce l'imputazione di banda armata resta provato non solo dai contatti che essi mantengono con elementi fra loro indissolubilmente collegati della componente `spontaneistica' dell'organizzazione (il SIGNORELLI col FIORAVANTI, ed il FACHINI col CAVALLINI e lo stesso FIORAVANTI), ma anche dal fatto che v'è la prova di un contatto diretto in epoca addirittura successiva alla

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(segue) CALORE (vu 6/5/87, pp. 22-23). Senonché, la presenza del CALORE ad Albano è attestata da Giorgio COZI, il quale non ha mancato di evidenziare che vi fu un interessamento proprio da parte del SIGNORELLI per consentire la partecipazione di Sergio CALORE (vu 21/1/88, pp. 80-81).
D'altronde, va notato che il SIGNORELLI, in istruttoria (cfr. IA, V9/a-1, C4, p27), aveva reso, a proposito della partecipazione del FACHINI al progetto di riunificazione del '75, dichiarazioni diverse da quelle poi fornite in dibattimento. In quest'ultima sede, posto di fronte alla discrepanza, ha vistosamente annaspato (cfr. vu 14/5/87, p21). strage: di ritorno in `roulotte' dal campeggio della Puglia

ove aveva soggiornato nei giorni a cavallo dell'attentato, il FACHINI, con la famiglia, nella seconda decade di agosto, è per alcuni giorni ospite del SIGNORELLI, presso la villa di costui, a Marta, sul Lago di Bolsena. La circostanza è
pacifica (147).


Se si pone mente a tutto quanto precede, nonché ad una serie impressionante di ulteriori acquisizioni processuali -fra le quali si possono ricordare, a titolo esemplificativo, le dichiarazioni di Sergio LATINI, di Alberto VOLO, di Stefano NICOLETTI- è dato apprezzare appieno quella singolare situazione di circolarità -sottolineata dal PUBBLICO MINISTERO- in virtù della quale è ben difficile rinvenire, nelle carte processuali, un dato significativo che, riguardando la posizione di uno dei due imputati in parola, non richiami anche la posizione dell'altro.


L'ingresso di Egidio GIULIANI nell'area della banda armata oggetto di giudizio è propiziato -lo si è visto- dal


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(147) - Oltre alle dichiarazioni del NAPOLI (cfr. IA, V9/a-1, C7, p22),cfr. gli interrogatori dibattimentali dei due imputati (rispettivamente vu 26/3/87, pp. 23-24 e vu 14/5/87, p19).


rapporto di collaborazione stabilitosi, durante la prima carcerazione del CALORE, fra il gruppo facente capo allo
stesso GIULIANI e gli `operativi' superstiti di Costruiamo l'Azione. In tale contesto nasce e si sviluppa il legame fra il GIULIANI ed il CAVALLINI, che rimarrà sempre
il canale privilegiato attraverso il quale il GIULIANI metteràil formidabile apparato logistico di cui è titolare anche a disposizione della banda che qui si giudica, entrando a farne parte a pieno titolo.


Collegamenti operativi GIULIANI-CAVALLINI sono emersi nel procedimento romano celebrato a carico della cosiddetta `banda GIULIANI' (148). Dall'esame complessivo degli atti acquisiti da tale procedimento e di quelli autonomamente raccolti nel presente (149) emerge con tutta evidenza quel particolare profilo, quello specifico contenuto dei rapporti GIULIANI-CAVALLINI che rileva ai fini del giudizio demandato a questa Corte. Per evitare ripetizioni e per meglio cogliere in che modo, anche alla stregua di tali rapporti,

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(148) - Cfr. AA, V8, C46, passim, e AAD, V10, C5 bis, passim.
(149) -Cfr., in particolare, EA, V10/a-4, C163/1, pp. 3 retro e 4, e p55; EA, V10/a-5, C246, pp. 4-5; EA, V10/a-6, C285, pp. 2-3, e C286, p8; vu 9/12/87, p47; vu 20/1/88, p226. sia dato apprezzare l'internità del GIULIANI alla banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione, appare opportuno trattare l'argomento più avanti, in chiusura, in sede di esame delle responsabilità del GIULIANI stesso.


Quanto alla posizione dell'imputata MAMBRO, v'è


semplicemente da rilevare come sia del tutto pacifico che la solidarietà criminale e la sintonia operativa che l'hanno legata al FIORAVANTI, suo compagno, ed al CAVALLINI, si sono tradotte, proprio nell'arco di tempo che copre la fase più tumultuosa della vita della banda armata (e anche successivamente), in un regime di vera e propria comunione di vita e nel concorso, assieme ai due sodali, nella progettazione ed esecuzione di molteplici e gravissime attività delittuose.


I collegamenti FACHINI-RINANI -che vanno interpretati, nel contestomilitarizzato e fortemente verticistico del `gruppo del Nord', in termini di subalternità del secondo rispetto al primo- sono stati analizzati sub 2.1.2.8.1), in tema di responsabilità del FACHINI per il delitto di strage. Va altresì rammentato il comune collegamento del RINANI e del FIORAVANTI con Franco GIOMO.


Per quanto attiene, infine, alla posizione di Sergio PICCIAFUOCO, sono stati compiutamente passati rassegna, sub 2.1.2.6.2) tutti gli elementi di prova che, unitariamente considerati, dimostrano in maniera inequivoca il suo
strettissimo collegamento con il gruppo FIORAVANTI-MANGIAMELI-VOLO-CAVALLINI.



2.2.5.4) I fatti criminosi riferibili alla banda armata ed il loro complessivo significato


Strumento principe per cogliere i lineamenti strutturali della banda armata contestata agli imputati è -accanto all'analisi dei rapporti intersoggettivi, delle vicende politiche ed eversive che accomunano gli imputati stessi- l'individuazione del progetto terroristico-eversivo che è possibile ricostruire attraverso l'esame complessivo dei fatti criminosi riferibili all'organizzazione.


Va qui riaffermato che se -con la sola eccezione della strage del 2 agosto- esula dalla cognizione di questa Corte l'accertamento delle penali responsabilità dei singoli in ordine ai vari delitti riconducibili all'area della banda armata oggetto di giudizio, nondimeno l'indagine di questo Collegio deve cadere su tali episodi, `incidenter tantum', ai limitati fini di evidenziarne la programmazione unitaria complessiva. L'unitarietà del progetto riflette lo `scopo comune' dell'organizzazione, da intendersi come requisito essenziale dell'art. 306 del Codice Penale.


Nella progettualità complessiva, si coglierà l'affollarsi, in un impressionante crescendo, di azioni selettive contro obiettivi simbolici delle Istituzioni e di atti o progetti di natura indiscriminata, rivolti, attraverso la pratica del terrore, contro l'intero corpo sociale, con l'obiettivo di minarne alla base l'assetto civile e gli equilibri politici.


Vanno citate qui le dichiarazioni di Stefano SODERINI, rese al PUBBLICO MINISTERO di Roma (150), e confermate nel dibattimento (151) del presente giudizio: "L'intento(di Valerio e del suo gruppo) di restare `occulti' anche a coloro che facevano parte dell'ambiente di destra era motivato dalla volontà di compiere un gran numero di fatti criminosi di notevole gravità ma di assai difficile `riferibilità personale'.


Ciò avrebbe creato grosse difficoltà di indagine ed avrebbe preoccupato sempre di più, perché, come era nei programmi di Valerio, l'escalation militare sarebbe stata `micidiale'..." Si tratta di parole la cui attendibilità riposa sul fatto di provenire da persona vicinissima al FIORAVANTI e, a far tempo da una certa data, inserita nel suo gruppo di fuoco, e di rappresentare quindi, la conferma, dall'interno del

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(150) - EA, V10/a-6, C264 bis/2, p5.
(151) - Cfr. vu 2/11/87, p59.


gruppo stesso, delle conclusioni cui l'osservatore esterno deve necessariamente pervenire, sulla scorta dell'esame sinottico dei fatti, letti in prospettiva diacronica.


Il FIORAVANTI ed il VALE non parteciparono materialmente all'assassinio del dott. AMATO, per evitare che la riferibilità dello stesso ai NAR coinvolgesse non solo una sigla, ma delle persone e, in specie, proprio quelle `trainanti'.


"Diversamente" -ebbe a riferire il SODERINI (152)- "era accaduto per l'omicidio ARNESANO e per quello EVANGELISTA in quanto la mancata rivendicazione (o addirittura la rivendicazione depistante) rendeva impossibile od improbabile la riferibilità dell'episodio alla destra. Infatti ove fossero stati predisposti degli identikit i giovani di destra e tutto l'ambiente non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere il VALE dal colorito olivastro e il Valerio dalla statura e dalla particolarità dei caratteri somatici. Proprio per questo ed anche per l'assenza di `materiale umano' militarmente capace, si fece ricorso" (153)


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(152) - Nello stesso atto di cui alla nota (150).
(153)- Qui il SODERINI fa riferimento all'uccisione del dott. AMATO.


"al CAVALLINI il cui volto non era noto nell'ambiente. Fu infatti il solo CAVALLINI a mostrare il volto in occasione del fatto. Il CIAVARDINI, invece, aveva il casco..."


E ancora: "...Lui" (Valerio FIORAVANTI) "diceva che occorreva muoversi `agili e snelli'. Il suo intento era quello di commettere fatti sempre più rilevanti che, per un lato evidenziassero la presenza della destra e dall'altro facessero `venir fuori' gli elementi più preparati e disponibili alla lotta armata mimetizzandoli fra i `farfalloni' assai numerosi nell'ambiente. In tal modo il discorso spontaneista si sarebbe diffuso a macchia d'olio rendendo difficile la repressione e sempre più complessa la comprensione di ciò che stava effettivamente accadendo all'interno dell'ambiente. Era il discorso del c.d. `spontaneismo diffuso'..."


Si progettadunque -e a far tempo dai primi mesi dell'80 si comincia a porre in essere- una micidiale `escalation' militare, che deve evidenziare la presenza della destra, al massimo livello possibile, nella lotta armata contro le Istituzioni dello Stato -nelle sue articolazioni centrali e periferiche-: con l'evidente ulteriore finalità di seminare nella collettività il terrore e l'insicurezza.


I fatti -come di seguito si vedrà- parlano da sé, e in essi appunto trovano piena rispondenza le affermazioni del SODERINI.


Il 6 febbraio 1980 viene assassinato a Roma l'Agente della Polizia di Stato ARNESANO, in servizio presso l'ambasciata libanese (154). Di tale delitto risultano imputati Valerio FIORAVANTI e Luigi CIAVARDINI. Giustamente osserva l'Istruttore (155) che l'omicidio, ingiustificato da ogni altro punto di vista, si comprende soltanto ove lo si collochi all'interno di quella strategia di provocazione e terrore diffuso che si assume teorizzata dal FIORAVANTI.


Il 28 maggio, meno di tre mesi dopo, davanti al Liceo romano Giulio Cesare, viene ucciso un altro poliziotto, l'Appuntato EVANGELISTA (156). Dell'episodio -nel corso del quale riportano lesioni gravissime anche l'AppuntatoMANFREDA e l'Agente LOREFICE- si rendono responsabili, tra gli altri,

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(154) - Cfr. supra, sub 2.2.3), nota (43), nonché EB, V3, C68, p72.
(155) - Cfr. SO, p605. (156) - Per i riferimenti, cfr. la nota citata alla nota (154), nonché EA, V10/a-3, C113, pp. 19-20.


Valerio FIORAVANTI, Francesca MAMBRO, Gilberto CAVALLINI,

Luigi CIAVARDINI e Giorgio VALE.


Così come per l'omicidio ARNESANO, non è ragionevolmente pensabile che l'aggressione fosse esclusivamente finalizzata al procacciamento delle armi che i poliziotti avevano in dotazione. In virtù di rapine compiute in precedenza in armerie di Roma (157), e grazie ai rifornimenti dal Veneto che il CAVALLINI era in grado di assicurare, il gruppo aveva ampia disponibilità di armi: e comunque, per acquisire armi, non era necessario sacrificare la vita di poliziotti e correre gravi rischi operativi (158). Rileva correttamente il Giudice Istruttore (159): "La verità, come già si è in precedenza rilevato, è che si tratta di azioni terroristiche aventi finalità politiche di carattere generale, tese a creare insicurezza e grave preoccupazione tra la gente, e a condizionare le scelte politiche..." Si vedono, "per la prima volta, operare insieme, al di là delle sigle e dei `fumi ideologici' esponenti dei N.A.R. come Valerio

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(157) - Cfr., fra l'altro, la sentenza di 1° grado del procedimento cosiddetto `N.A.R. 1', in AA, V13, C74, passim.
(158)- Nel corso del drammatico episodio svoltosi davanti al `Giulio Cesare' il CIAVARDINI rimase ferito.
(159) -SO, pp. 606-607.


FIORAVANTI, del F.U.A.N. di Roma come Francesca MAMBRO, e `operativi' di Terza Posizione quali Giorgio VALE e Luigi
CIAVARDINI. Con costoro compare Gilberto CAVALLINI, il latitante milanese, che come in precedenza si è riferito, era stato`appoggiato' da FACHINI a Roma presso i dirigenti di ClA, entrando cosìin sintonia operativa con Valerio FIORAVANTI e i suoi sodali.


D'altro canto, la `micidiale' progressione di attentati della quale Valerio FIORAVANTI parlava a Stefano SODERINI, continua in una spirale di violenza sempre maggiore: dopo gli omicidi dei due poliziotti, all'interno della banda armata vengono programmati almeno due attentati ad esponenti della magistratura, uno purtroppo attuato e l'altro rimasto fortunatamente allo stato di progetto."


Il 23 giugno viene ucciso a Roma, in viale Jonio, Mario AMATO (160), Sostituto Procuratore della Repubblica di quella città, ed unico magistrato, all'epoca, ad occuparsi stabilmente di procedimenti penali concernenti l'eversione di destra. Per tale omicidio sono già stati condannati in



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(160) - Cfr. AA, V11, C68.


via definitiva il FIORAVANTI, la MAMBRO ed il CAVALLINI,
mentre attendono di essere giudiziariamente definite altre posizioni, tra cui, in particolare quella di Luigi CIAVARDINI, Stefano SODERINI e di Paolo SIGNORELLI (161).


Il dott. AMATO ha il `torto' di rappresentare un eccezionale pericolo per l'eversione neofascista della capitale; gli vengono delegati tutti i procedimenti aventi una qualche attinenza con il terrorismo `nero' e si trova ed essere l'unico in grado di opporvisi; ciò che fa con acume, con non comuni preparazione e capacità tecniche, e, all'esito di un certosino lavoro, con un oramai insostituibile patrimonio di conoscenze.Tantobasta a renderlo bersaglio privilegiato degli estremisti: ed a lui, come ad un obiettivo da colpire, si pensa già da tempo. Perdipiù, nella tarda primavera dell'80, il dott. AMATO si accinge a tirare le fila della paziente opera di indagine sino ad allora svolta: dalla



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(161) - La posizione del CIAVARDINI, infradiciottenne all'epoca dei fatti, pende avanti al Tribunale dei Minori di Bologna.Il SODERINI è stato assolto per insufficienza di prove in primo grado, con sentenza confermata in sede di gravame, mentre il SIGNORELLI, condannato in primo grado, è stato assolto per insufficienza di prove in appello; ma, a seguito di annullamento da parte della Cassazione della sentenza di secondo grado, entrambi gli imputati vengono in questi giorni di nuovo giudicati dalla Corte d'Assise d'Appello di Bologna.


quale -tra l'altro- dovrà emergere, immancabilmente, il tessuto eversivo che lega Paolo SIGNORELLI all' `autonomia nera', agli `spontaneisti'.


"L'omicidio di AMATO..." (162) "...intende raggiungere un duplice scopo: da un lato eliminare dalla scena giudiziaria di Roma l'unico magistrato allora in grado di condurre con efficacia i procedimenti penali riguardanti l'eversione di destra, dall'altro proseguire, con un attentato di grande clamore e gravido di conseguenze, la strategia di terrore e di provocazione. Non solo, ma con l'omicidio di un magistrato inviso a tutta la destra si intendeva compiere un ulteriore e decisivo passo per riuscire ad `aggregare' l'ambiente di destra disponibile alla lotta armata, intorno ai progetti e ai temi dell'organizzazione guidata da SIGNORELLI e FACHINI."


Raffaella FURIOZZI (163): "...con l'uccisione del giudice romano ci si riprometteva di sconvolgere l'ambiente di destra attraverso la esaltazione che quel gesto avrebbe

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(162) - SO, pp. 608-609. (163) - EA, V10/a-7, C306, p4 (cfr. anche p6). In giudizio, la donna ha confermato d'aver appreso tali notizie da Diego MACCIO' (cfr. vu 25/11/87, p22). Fonte del MACCIO' era stato, a sua volta, Gilberto CAVALLINI.


prodotto e la repressione che avrebbe innescato spingendo molti incerti alla latitanza e ad un programma preciso di lotta armata..."


Angelo IZZO (164): "...Raffaella seppe anche dal MACCIO' -che aveva come fonte CAVALLINI- che l'omicidio del dott. AMATO venne realizzato dai NAR per scuotere l'ambiente e provocare repressione su un ambiente disgregato, che, costretto alla latitanza, si sarebbe aggregato attorno ad un preciso progetto di lotta armata..."


Tipica espressione della strategia della banda armata oggetto di giudizio è poi il progetto di attentato ad un magistrato veneto: progetto la cui incubazione copre un arco di tempo di molti mesi, a cavallo fra il '79 e l'80, e che, all'epoca delle rivelazioni del RINANI al VETTORE, era stato ormai messo a punto, e avrebbe dovuto essere realizzato dopo la strage di Bologna. Della programmazione dell'attentato riferiscono, in forma complessivamente concorde, una molteplicità di fonti processuali.




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(164) - EB, V3, C68, p64 (cfr. anche p71). In giudizio, l'IZZO ha confermato tutto quanto aveva dichiarato in istruttoria a proposito delle dichiarazioni fattegli dalla FURIOZZI (cfr. vu 25/11/87, p95).


Si è avuto modo di soffermarsi, in altra parte della trattazione, sulle rivelazioni del VETTORE PRESILIO. Occorre qui riprendere un passo delle dichiarazioni 13/11/1980 che si segnalano per essere, fra le tante, le più lucide e le meno divaganti (165): "...Ripeto alla S.V. quello che appresi dal RINANI. Egli mi disse che era rimasto sempre in contatto conl'ambiente dell'estrema dx padovana ed in particolare con la cellula veneta già facente capo a FREDA e VENTURA e di cui è attualmente principale esponente a Padova FACHINI Massimiliano.


Commentando poi il fatto che era stato fissato il processo d'appello per la strage di Catanzaro mi disse che tuttavia STIZ non avrebbe avuto il piacere di conoscere l'esito del processo, ed alla mia domanda di spiegarmi perché, disse che stavano preparando un attentato nei confronti del suddeetto Magistrato.


Alle mie obiezioni in ordine alla difficoltà di realizzare una azione del genere, posto che ritenevo che anche STIZ aveva una scorta armata, RINANI mi precisò che in realtà

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(165) - EA, V10/a-1, C30, p65 recto e verso.


l'attentato sarebbe stato fatto da persone travisate da
`Carabinieri' a bordo di una macchina camuffata che era già in corso di preparazione presso una carrozzeria..."


L'azione -secondo quanto il VETTORE aveva riferito al Magistrato di Sorveglianza di Padova già nel luglio- avrebbe dovuto esser compiuta nell'immediato futuro: dopo l'altro attentato di eccezionale gravità, ma entro settembre.


Davanti a questa Corte, Paolo ALEANDRI ha ribadito (166) d'aver a suo tempo ricevuto dal FACHINI e dal RAHO una richiesta di divise da Carabiniere, che egli, di fatto, tramite Pancrazio SCORZA, si procurò con l'intento di farle pervenire ai destinatari (167).


Dell'iniziativa di attentato ad un magistrato veneto

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(166) -Cfr. vu 7/1/88, p32.
(167) - Le divise furono affidate in custodia a tale Giancarlo ROCCHI, ma non furono poi consegnate ai destinatari: circostanza, quest'ultima della mancata consegna, di cui l'ALEANDRI non aveva più memoria in giudizio, ma che aveva riferito in precedenza. Per la vicenda, cfr. EA, V10/a-4, C190/3/1, pp. 76-77 e 122, nonché C190/3/2, p63. Non fu detto all'ALEANDRI che le uniformi dovevano essere utilizzate per l'attentato: "...Le divise da carabiniere mi furono richieste da FACHINI...mi pare per compiere una rapina, se ben ricordo quello che loro mi dissero..." (EA, V10/a-4, C190/3/2, p63); "...Per quanto mi è dato ricordare pur non avendo notizie precise penso che le divise servissero per un autofinanziamento. Il gruppo veneto era molto spesso ermetico nelle richieste e quindi non so offrire maggiori ragguagli..." (AA, V10/a-4, C190/3/1, p77).
Cfr. anche l'interrogatorio di Pancrazio SCORZA all'autorità giudiziaria romana in data 20/10/81, in AAD, V13, C7, punto 3).


l'ALEANDRI aveva appreso direttamente dal FACHINI (168):

"...intorno agli inizi del 79 mi sono ricordato che, all'interno dei miei rapporti politici e operativi con Massimiliano FACHINI, questi mi riferì che era suo radicato proposito quello di realizzare un attentato contro un giudice veneto che si era occupato o si stava occupando di processi contro la destra e la sinistra. Mi fece il nome di
questo giudice ma in questo momento non lo ricordo. In altra occasione vidi RAHO, stretto collaboratore di FACHINI e seppi da lui che era in possesso di informazioni più dettagliate con" (sic) "questo Magistrato che aveva certamente pedinato o comunque controllato..."


Si è dato conto sub 1.8.7.2) delle dichiarazioni con le quali Sergio CALORE ebbe a riferire in che modo era entrato a conoscenza del progetto di attentato ad un magistrato veneto. L'argomento è stato ripreso in giudizio (169). L'attentato avrebbe dovuto essere rivendicato a nome delle Brigate Rosse. "...si parlava di persone che dovevano praticamente fare una specie di posto di blocco con divise

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(168) - Cfr. Cal., V5, C3, p95. Per il giudizio, cfr. vu 7/1/88, pp. 48-49. (169) -Cfr. vu 9/12/87, pp. 39-40.


da carabinieri, poi si parlava dell'uso di un fucile Garant
o di armi di questo genere..."


Per quanto attiene alla notizie raccolte da Amos SPIAZZI, non occorre qui spendere parole, dopo quanto si è riferito sub 1.6.4) ed argomentato sub 2.1.2.3.2). Basterà ricordare che il Colonnello, nel luglio '80, apprese essere in preparazione, dopo l'omicidio del dott. AMATO, che risaliva al mese precedente, un altro attentato nei confronti di un magistrato, e che il progetto stava maturando nell'ambiente dei N.A.R.


Marco GUERRA (170): "...Non rammento in quale periodo, MARIANI mi disse che Massimo FACHINI e Gigi CAVALLINI avevano progettato di commettere un attentato ai danni del Giudice FAIS di Padova. Mi spiegò che detto Magistrato stava indagando sul conto della autonomia operaia, sostenendo che la stessa costituiva la naturale riserva delle Brigate Rosse. L'attentato doveva poi essere rivendicato proprio con un volantino siglato `Brigate Rosse', al fine di avallare la tesi seguita dal Giudice FAIS. Era loro intendimento,

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(170) - AA, V8, C46, p98. Per la conferma dibattimentale, cfr. vu 6/10/87, p25.


infatti, fare in modo che l'autonomia operaia fosse

criminalizzata e costretta alla latitanza, ciò al fine di ingenerare una reazione rivoluzionaria a catena e determinare il sorgere di uno stato forte e poliziesco; quest'ultima conseguenza avrebbe consentito il facile inserimento di vari camerati all'interno dell'apparato statuale..."


Del progetto di attentato ha poi riferito anche Stefano SODERINI (171).


Il numero delle indicazioni, e la loro sostanziale


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(171) - Dal verbale d'interrogatorio dibattimentale del SODERINI ex art. 450 bis C.P.P.: "SODERINI: `io so che era stata programmata un'eliminazione di un giudicenel Veneto però non so se esattamente da FIORAVANTI o da CAVALLINI o dal suo gruppo.' Il Giudice a latere: `da chi lo seppe?' SODERINI: `me lo disse FIORAVANTI'. Il Presidente: `le disse anche le modalità con cui doveva essere svolto questo attentato?' SODERINI: `no, me ne parlò come un programma generico che poi non poté andare in porto.' Il Presidente: non le disse se già c'erano idee precise su come si doveva operare?' SODERINI: `no, non credo da come diceva che fosse già entrato nella fase operativa.' Il Presidente: `fece il nome del magistrato?' SODERINI: `lui in realtà mi sembra che lo fece con riferimento a un discorso di CALORE perché nel frattempo CALORE aveva fatto alcune dichiarazioni e lui sosteneva che CALORE si era sbagliato nell'indicare l'effettivo nome di questo magistrato. Io però attualmente non me lo ricordo, adesso ricordo un nome straniero ma potrebbe essere anche quello con cui si sono sbagliati.' Il Presidente: `poteva essere STIZ?' SODERINI:`sì, poteva essere, però non so se è quello...' Il P.M.: però l'unica correzione al racconto di CALORE era sul nome. Dice che si può essere sbagliato sul nome.' SODERINI: `sì.' FACHINI: `in che periodo sarebbe avvenuto questo attentato?' SODERINI: `non ricordo con esattezza, credo nell'80'..."


convergenza, non lasciano adito a dubbi. Il progetto nasce, -in un momento in cui l'ALEANDRI non si è ancora allontanato definitivamente dall'ambiente di Costruiamo l'Azione- nell'ambito del `Gruppo del Nord'; diviene, in progresso di tempo, uno dei cardini della comune progettualità terroristica dei poli veneto e romano dell'eversione neofascista, dalla cui aggregazione sorge la banda armata oggetto di giudizio; come tale, entra nel programma di detta banda armata, e, coerentemente con uno dei principi ispiratori dello stesso, dovrà avere natura provocatoria; nell'estate dell'80, il progetto è stato ormai messo a punto e la scelta del magistrato da colpire sembra ormai definitiva (172).


L'unità di intenti fra la componente romana e quella veneta, unità sopravvissuta alla crisi di Costruiamo l'Azione, si manifesta -una volta eliminata dall'organizzazione


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(172) - Sembra che la scelta si fosse ormai consolidata nella persona del dott. STIZ. Non è peraltro da escludere che egli fosse stato la vittima designata sin dal momento in cui il progetto era sorto. In effetti, in istruttoria, Sergio CALORE ebbe ad indicare più di un nome, non perché il FIORAVANTI gliene avesse fatto più d'uno, ma perché non ricordava con precisione se il FIORAVANTI gli avesse indicato l'uno o l'altro. Quest'ultimo, poi, chiarì al SODERINI -che non ne serba memoria precisa- quale nominativo avesse effettivamente riferito al CALORE. Quanto al GUERRA, ben può aver egli fatto confusione fra `STIZ' e `FAIS', cognomi entrambi monosillabici e terminanti con una sibilante.


l'opposizione interna- attraverso una decisa strategia, che prevede anche -quale strumento privilegiato di lotta- l'uso di attacchi mirati a delicati centri dell'apparato istituzionale, quali Polizia e Magistratura. Si è detto, sub 2.1.2.5.4), di come il NAPOLI abbia appreso dal MELIOLI del progetto, coltivato da Valerio FIORAVANTI, di collocare una bomba in un `bar' di Roma frequentato da personale della Questura (173). E si è riportata altresì la sorprendente risposta fornita dal FIORAVANTI, allorché gli fu chiesto se tale progetto avesse effettivamente coltivato. Qui va
segnalato che, nel corso dello stesso interrogatorio (174),


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(173) - Indagini di polizia hanno consentito di individuare il `bar' in questione. Così il rapporto 16/12/85, in RA, V12, C431, p37: "...Il bar indicato da NAPOLI è il bar Aureli, sito in via IV Fontane n. 37, distante qualche ventina di metri dall'adiacente via S. Vitale, dove ha sede la Questura di Roma. E' un pubblico esercizio frequentato da personale della suindicata Questura..."
(174) -IA, V9/a-2, C29, p42. Per afferrare il discorso del FIORAVANTI, occorre precisare che esso si cala in un contesto in cui l'imputato, negando di aver mai progettato, con quelli del suo gruppo o con persone del Veneto, l'assassinio di un magistrato (si riferiva, evidentemente al progetto di assassinio di un magistrato veneto di cui si è ampiamente detto), dichiarava di essersi effettivamente recato a Rovigo in compagnia di alcuni elementi del suo gruppo, "per incontrare delle persone che...avevano messo in allarme GIOMO rimproverandogli un comportamento processuale da `infame'...". Non vi sarebbe stato il dissidio che l'imputato si aspettava ed i suoi interlocutori si sarebbero convinti a lasciare in pace il GIOMO. Il FIORAVANTI avrebbe utilizzato la sua partecipazione all'episodio di Radio Città Futura come biglietto di presentazione, per significare che era persona decisa.


FIORAVANTI ebbe altresì a dichiarare: "...In effetti loro criticavano l'episodio di Radio Città Futura in quanto ritenevano deviante la lotta anticomunista, anzi come un po' tutti quelli di Costruiamo l'Azione, ritenevano l'assalto una vera e propria provocazione. In effetti spiegammo che con quell'azione si era chiuso un capitolo e che anche noi eravamo interessati ad un discorso diverso e alla ricerca di nuove tematiche. Queste persone ci parlarono del fatto che avevano buoni rapporti con l'Autonomia veneta e probabilmente ce l'avevano con noi proprio perché la nostra azione rischiava di compromettere quei rapporti. D'altra parte era anche evidente che una volta interrotta la guerra ai compagni non restava che l'attacco alla Polizia e alla Magistratura e su tale linea eravamo tutti d'accordo anche se nessuno di noi lo disse specificamente. Io peraltro manifestai la mia disponibilità a portare avanti un discorso senza preclusioni morali e senza preclusioni sul tipo di obiettivo scelto..."


Si tratta di dichiarazioni che, pur rese in un'ottica difensiva, eloquentemente -e certo assai al di là delle intenzioni del FIORAVANTI- esprimono il progressivo assottigliarsi -fino all'annullamento- delle distanze `politiche' fra la componente tradizionale e la nuova generazione `spontaneistica' che vengono ad incontrarsi all'interno dell'organizzazione. "In buona sostanza" -scrive l'Istruttore (175)- "sono gli `spontaneisti' ad aderire alle tesi dei Fogli d'Ordine di O.N.": tesi elaborate, tra gli altri -lo si è visto- dai soliti FACHINI, SIGNORELLI, DE FELICE.


Si è fatto cenno, sub 2.2.4), degli attentati avvenuti in Rovigo il 22/1/79 e di quello alla Camera del Lavoro della stessa città, compiuto l'anno successivo (e rientrante quindi nell'arco temporale cui si riferisce l'imputazione di banda armata). La decisione di inserirsi in una campagna di attentati progettati dall'Autonomia presupponeva conoscenza dei programmi degli Autonomi, nonché ambigue finalità di provocazione: e non perché l'abbia affermato il NAPOLI in istruttoria, ma perché ciò è `in re ipsa', discende con tutta evidenza dai fatti, una volta appurata la matrice


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(175) - SO, p617. Cfr. supra, sub 2.2.4), testo e note (49) e (51).


degli attentati.


Il NAPOLI ha riferito altresì di un attentato con valenza `istituzionale', che viene ad inscriversi a pieno titolo nella progettualità della banda armata che qui si giudica. Interrogatorio 13/11/1985, ex art. 348 bis C.P.P. (176): "So che nell'anno 1980, prima della strage è avvenuto a Catelfranco Veneto un attentato contro l'abitazione dell' On. Tina ANSELMI. L'attentato fallì per puro caso poiché la tapparella tranciò la miccia. So anche che la bomba era sufficientamente potente per uccidere la parlamentare ove non fosse avvenuto un incidente tecnico che impedì l'esplosione. Ricordo che fu la sorella della parlamentare manovrando la tapparella a provocare la rottura delle micce dell'ordigno collocato sulla finestra. L'attentato fu sicuramente di destra. Fu infatti MELIOLI a dirmelo prima del suo arresto avvenuto nell'80, usando il suo solito modo di fare allusivo, dicendo: `qualcuno ha voluto festeggiare la festa della donna'. L'attentato ricordo che avvenne in prossimità della festa della donna e cioè il giorno 8 marzo

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(176) - IA, V9/a-1, C7, pp. 27-28.


di notte. So che la bomba non esplose e quindi si può esaminare come fu confezionato l'ordigno. Infatti dovrebbe trattarsi di esplosivo di recupero militare, così come per altri attentati tra cui quello alla Democrazia Cristiana di Rovigo del gennaio 1979.


Preciso anche che in entrambi i casi la bomba fu collocata in una scatola di scarpe. Ricordo che mi colpì questa circostanza. L'esplosivo di recupero militare era quello di cui disponeva in grande quantità il FACHINI, una parte del quale fu da lui inviato a Roma.


L'attentato non ricordo come venne rivendicato, ma si inseriva in un contesto ambiguo, perché FACHINI aveva detto chegli attentati non vanno rivendicati o vanno rivendicati con sigle fuorvianti. Per essere precisi, non è vero che FACHINI abbia mai detto ciò esplicitamente, ma questa era la teoria esposta nei `fogli d'ordine'..."


Si è visto, sub 1.11.4.4), che il MELIOLI, prudentemente, nell'interrogatorio dibattimentale, non ha escluso d'aver descritto l'ordigno al NAPOLI e di aver fors'anche fatto un commento circa la volontà di qualcuno di celebrare la festa della donna: ma ha asserito che l'una e l'altra cosa potevano essere avvenute soltanto a seguito della lettura dei giornali. Il NAPOLI, in giudizio, coerente con la strategia di `alleggerire' la posizione dell'amico, si è prontamente accodato; peraltro, pur sfumando quanto più possibile la circostanza -e rappresentandola come espressione non di una certezza, ma di un'ipotesi- ha tenuto fermo il particolare dell'indicazione del MELIOLI circa la matrice di destra dell'attentato. Dall'interrogatorio dibattimentale ex art. 450 bis (177): "...Il Presidente: `a proposito dell'attentato presso l'abitazione dell'on. Tina ANSELMI cosa può dire? Risulta che lei ha avuto dei colloqui anche con MELIOLI su questo punto. Cosa può dire?' NAPOLI: `ma io parto dal presupposto che escludo categoricamente che MELIOLI possa aver partecipato a qualche attentato; lo escludo perché lo conosco abbastanza bene. Lui comunque, il discorso della Tina ANSELMI lo fece il giorno dopo, cioè lo disse così...aveva il giornale in mano, quindi dicendo che poteva trattarsi di un attentato di destra. Però lo disse

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(177) - Cfr. vu 26/11/87, pp. 854-855.


così, con il giornale in mano, sempre con il suo solito modo...in questo contesto.' Il Presidente: `lei però ha precisato che in questo caso la bomba fu collocata in una scatola da scarpe e che l'innesco era fatto con una miccia che fu troncata dalla serranda. Da chi ha appreso questi particolari?' NAPOLI: `li disse MELIOLI, però ho l'impressione che questi particolari lui li lesse sul giornale. Questo è un elemento nuovo che non ho mai detto, ma a onore della verità bisogna che lo dica. E si può comunque verificare, dal Gazzettino di allora o Il Resto del carlino'..." (178)


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(178) -E' agli atti (RA, V12, C431 ter, p3) una copia del Gazzettino del 9/3/80. Alle pagine 1 e 2 vi compare l'articolo relativo al fallito attentato, ove, tra l'altro, si legge: "...Incastrato fra il muro e la serranda, proprio davanti ad una grande veranda, c'era un pacco piuttosto voluminoso. Pensando che lo avesse lasciato lì qualcuno di casa," (il cognato dell'On. ANSELMI) "lo ha svolto: si è trovato davanti a una specie di orologio al quale erano attaccati due fili elettrici. Si è subito reso conto di avere fra le mani un ordigno esplosivo...Sembra che" (l'ordigno) "fosse confezionato con circa 3 chili di tritolo compresso, già innescati con un timer che segnava le 12,30..." Nessuna indicazione circa la causa del fallimento dell'attentato. Sul Gazzettino del giorno 10 marzo (RA, V12, C431 ter, p4/2), si legge ancora: "...Il blocco di tritolo è stato portato via dagli artificieri. Probabilmente se fosse scoppiato i danni sarebbero stati inferiori alle previsioni perché non era stato posto in un contenitore, ci èstato detto. Nell'esaminare l'apparecchiatura elettrica ci si è resi conto che lo scoppio non è avvenuto per un caso fortuito. Il congegno, anche se molto semplice, era stato confezionato con cura. Era composto da una sveglietta da tavolo quadrata di 7-8 centimetri di lato, collegata col nastro isolante ad" (segue)


Va qui ricordato essere risultato (179) che: l'attentato di cui parla il NAPOLI ebbe effettivamente luogo l'8 marzo 1980, presso l'abitazione del cognato dell'On. ANSELMI, ove la parlamentare alloggiava; l'ordigno, munito di congegno a tempo, era stato predisposto per lo scoppio; "il contatto

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(segue) "una pila quadrata da 4,5 volts. Dal congegno partivano due fili che erano collegati al detonatore che doveva innescare il tritolo. Proprio uno di questi fili era staccato. Se il filo si sia staccato quando l'ordigno è stato messo sul posto dove doveva esplodere o se si sia staccato quando il cognato della parlamentare, rag. Mario GUIZZON, lo ha maneggiato, non è stato possibile stabilirlo..."
Non sono dunque riprese dagli articoli in questione le circostanze dell'uso della scatola da scarpe come contenitore, né quella del tranciamento della miccia (che miccia, in verità, non era) ad opera della tapparella. E poiché tali circostanze non hanno trovato riscontro in atti (cfr, RA, V12, C431 bis/1), dalla loro enunciazione si è preteso di inferire l'inattendibilità del NAPOLI. Ma, a ben vedere, le cose stanno diversamente. Infatti, essendo provato che il MELIOLI parlò al NAPOLI dell'attentato (non soltanto il secondo lo ha affermato in istruttoria e ribadito in giudizio, ed il primo non l'ha escluso, ma la circostanza è perfettamente verosimile, data la collocazione `politica' dei due e tenuto conto del fatto che molteplici furono le occasioni in cui le loro conversazioni ebbero ad oggetto argomenti scottanti), non si vede perché, se il MELIOLI avesse comunicato all'amico le notizie riprese dalla stampa -che riflettevano il contenuto delle primissime indagini- il NAPOLI avrebbe poi dovuto travisarle nel riferirle all'autorità giudiziaria, esponendosi ad una smentita, attraverso il controllo degli atti raccolti nel corso di quelle prime indagini. La spiegazione è, molto semplicemente, un'altra: il NAPOLI ricevette dal MELIOLI informazioni da costui raccolte non sulla stampa, ma attraverso i canali di cui disponeva grazie al suo profondo inserimento nell'area dell'ultradestra veneta, ed al suo rapporto privilegiato con esponenti di spicco del terrorismo neofascista. In effetti, le discrepanze sono spiegabili con l'approssimazione dei riferimenti che spesso accompagna i passaggi delle notizie di bocca in bocca: èin questo modo, che, ad esempio, i fili elettrici possono diventare "micce".
(179) - Cfr. RA, V12, C431 e C431 bis/1.


era avvenuto ma la corrente elettrica non era pervenuta al detonatore a causa del non completo inserimento degli elementi della presa"; "l'esplosivo effettivamente è di recupero da granata e...sia la capsula sia il cilindretto di tritolo sono del tipo in uso all'esercito"; l'attentato era stato rivendicato, il giorno 9, a nome dell'Autonomia Operaia Organizzata, con una telefonata al Gazzettino di Vicenza; già nell'aprile del '78 all'On. ANSELMI era pervenuta una lettera contenente minacce di morte a firma "Avanguardia Neofascista".


In istruttoria, al NAPOLI furono rammostrate immagini fotografiche dell'esplosivo utilizzato per l'attentato all'On. ANSELMI, ed egli ebbe a dichiarare (180): "...Prendo visione delle fotografie allegate al rapporto giudiziario dei CC. di Catelfranco Veneto del 6/5/80 e dichiaro che l'esplosivo ivi raffigurato è sicuramente quello che mi è stato descritto proprio dal FACHINI; corrispondono alle descrizioni del FACHINI anche le modalità di confezionamento così come appaiono nelle fotografie..." (181)



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(180) - IA, V9/a-1, C7, pp. 60-61.
(181) -Cfr. RA, V12, C431 bis/1, pp. 14-19.


Si tratta di dichiarazioni che hanno trovato conferma in dibattimento (182).


Occorre qui,infine, richiamare -senza ripetersi- quanto si è detto sub 2.1.2.8.2), a proposito delle conclusioni della perizia esplosivistica disposta dal Giudice Istruttore di Treviso sul materiale impiegato nell'attentato in questione. E' necessario soffermarsi soltanto brevemente su un particolare aspetto evidenziato in tali conclusioni: ci si riferisce all'impiego di un detonatore elettrico. Orbene,
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(182) - Cfr. vu 26/11/87, p872. Va in proposito sgomberato il terreno da un possibile equivoco. Per quanto riguarda specificamente l'aspetto dell'esplosivo, si legge nel verbale: "...Il Presidente: `le sono state fatte vedere delle fotografie di un rapporto giudiziario dei CC. di Castelfranco Veneto, che riguardava esplosivo ivi raffigurato. Si ricorda di averlo visto?' NAPOLI: `le foto dell'esplosivo non corrispondevano a quello che si andava dicendo, cioè il discorso che assomigliavano......tipo formaggio, tipo....pezzo di roccia, quindi aveva tutte le caratteristiche di quell'esplosivo lì.'..." La risposta, in tali termini testuali, appare contraddittoria: giacché all'affermazione di non corrispondenza delle caratteristiche dell'esplosivo raffigurato con quello che al NAPOLI era stato descritto segue l'ulteriore affermazione secondo cui l'esplosivo raffigurato "aveva tutte le caratteristiche di quell'esplosivo lì". Il riascolto della registrazione magnetofonica (cfr. brm n. 4 del 26/11/87, giri 195-199) restituisce coerenza alla risposta del NAPOLI. In realtà egli ebbe ad affermare: "le foto dell'esplosivo -no?- corrispondevano...", dove il "no?" è l'interrogativa retorica usata come intercalare nel linguaggio confidenziale. Ma che il "non" della verbalizzazione figuri per mero errore in luogo di "no?" emerge dalla semplice lettura del passo trascritto: la parte finale di esso è introdotta da un "quindi", che preannuncia una conclusione sulla base di quanto appena affermato. Pacifica essendo la conclusione, non residuano dubbi -a rigor di logica- sul senso di quanto precede.


sin dal 5/12/1985 (183), il NAPOLI aveva riferito


della disponibilità, da parte del FACHINI, di detonatori elettrici: disponibilità ingente, continua e, nell'ambiente, esclusiva. In giudizio (184): "Il Presidente: `lei ha dichiarato di essere al corrente che FACHINI era in possesso di detonatori elettrici. Chi glielo ha detto questo?' NAPOLI: `di questo ne parlò lui.'"


Sergio CALORE, per parte sua, ha riferito (185) d'aver a suo tempo ricevuto dei detonatori elettrici proprio dal FACHINI.


L'attentato contro l'On. ANSELMI, che è compiuto con l'intento di farne ricadere la responsabilità sugli Autonomi, è -così come quello progettato nei confronti del Giudice STIZ- una forma di attacco diretta contro un rappresentante delle Istituzioni: e, quali che siano le responsabilità individuali degli attentatori -su cui, lo si ripete ancora, la Corte non è chiamata a pronunciarsi- esso promana fuor di dubbio da quel polo veneto dell'eversione neofascistache costituisceuna componente essenziale della

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(183) - IA, V9/a-1, C7, p60.
(184) - Cfr. vu 26/11/87, p858. (185) - Cfr. vu 9/12/87, p19.


banda armata di cui all'imputazione.


Accanto alla strage del 2 agosto per la quale si procede, all'interno della banda armata viene concepito e realizzato
un altro grave attentato di marca certamente stragista. Si è
detto, sub 1.3.5), dell'attentato a Palazzo Marino di Milano e delle dichiarazioni di Laura LAURICELLA, rese sin dal 20/5/1981. Il 14/6/1983, la donna aveva ulteriormente dichiarato (186), al Giudice Istruttore del presente procedimento: "...Confermo che Egidio dopo la strage del 2 agosto effettivamente si preoccupò per la circostanza dell'esplosivo dato ad ALLATTA e a POMPEI;so che chiese a costoro quale uso avessero fatto del materiale e so che questi gli dissero di averlo utilizzato per un attentato al Comune di Milano. Meglio: il POMPEI e l'ALLATTA non avevano utilizzato direttamente l'esplosivo, ma lo avevano dato a gente di Milano che poi lo aveva utilizzato per l'attentato.


Egidio GIULIANI si preoccupò perché il quantitativo dato ad ALLATTA e POMPEI era rilevante...."




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(186) - EA, V10/a-5, C231 bis, p4.


Sulla base delle dichiarazioni della LAURICELLA, il
GIULIANI, l'ALLATTA ed il POMPEI erano stati originariamente imputati di devastazione, di illegale fabbricazione
detenzione e porto di ordigni esplosivi, di aver fatto esplodere i medesimi, nonché di ricettazione di esplosivo e
della vettura su cui era stato collocato un ordigno; all'esito dell'istruttoria, i tre prevenuti erano stati rinviati a giudizio per la ricettazione dell'esplosivo e per fabbricazione, detenzione e porto di ordigni (sull'assunto che il GIULIANI era stato concordemente indicato da più fonti come persona particolarmente esperta nella confezione di ordigni esplosivi e di `timers', che preparava con grande facilità e dimestichezza), ma prosciolti dalle imputazioni strettamente pertinenti all'attentato di Palazzo Marino (sull'assunto dell'insufficienza degli elementi raccolti, e puntualizzando che l'indicazione fornita dall'ALLATTA circa la sua presenza, il 30/7/1980, presso il carcere di Poggioreale, per far visita al padre detenuto, aveva trovato riscontro in atti). (187)




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(187) - Cfr. AA, V8, C46, pp. 470-471.


In dibattimento (188), i tre sono stati definitivamente assolti anche dalle imputazioni per la quali erano stati rinviati a giudizio, poiché "la dichiarazione della

LAURICELLA -informata `de relato' dal GIULIANI- essendo priva di specifici riscontri sul fatto particolare riferito, pur avendo un apprezzabile rilievo indiziario (anche per i più volte citati rapporti dell'ALLATTA con il GIULIANI), non ha tuttavia rilievo di prova".


Ma oggi quella della LAURICELLA (189) non è più una voce isolata. Raffaella FURIOZZI (190): "...Vi fu allora l'episodio della carica esplosiva collocata in un furgone
davanti al Palazzo Marino a Milano. L'azione fu ideata da
CAVALLINI e da persona soprannominta il `Capro'" (191)
"certamente di Roma, che non so meglio precisare..."


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(188) - Cfr. AAD, V10, C5 bis, p116.
(189) - Circa la credibilità intrinseca della LAURICELLA non è lecito nutrire dubbi. Non v'è traccia di malanimo nelle sue dichiarazioni. E proprio nel procedimento romano cosiddetto `della Banda GIULIANI' (cfr. AAD, V10, C5 bis) -ove ben più cospicuo è stato il suo contributo- la donna ha mostrato la trasparenza del processo psicologico chel' ha condotta ad un'irreversibile rottura con il passato, ed ha reso, oltre a quelle confessorie, una serie di dichiarazioni accusatorie non solo coerenti, circostanziate e scevre di intenti gravatori, ma anche in larga misura riscontrate.
(190) - EA, V10/a-7, C306, p4. Cfr. anche pp. 8-9. Per il dibattimento, cfr. vu, 25/11/87, p22. La donna apprese le notizie da Diego MACCIO', la cui fonte era stata Gilberto CAVALLINI.
(191) - Trattasi dello pseudonimo di Egidio (segue)


Angelo IZZO (192): "Devo dire che Raffaella mi ha detto che
l'attentato a Palazzo Marino era stato realizzato da


CAVALLINI e da persona soprannominata `CAPRO', che ella non


sa essere il soprannome di Egidio GIULIANI..."


Ma v'è di più: a circa 20 metri dal luogo dell'esplosione venne rinvenuto e sequestrato un tubo di piombo, di circa 60 centimetri di lunghezza, contenente polvere bianca, e, poco distante, una tanica in metallo contenente circa 8 chilogrammi della stessa sostanza (193). Orbene, Marco GUERRA ebbe a rendere al Giudice Istruttore (194) le seguenti dichiarazioni poi confermate in giudizio davanti a questa Corte (195): "Egidio GIULIANI che era molto abile sul

piano tecnico aveva confezionato artigianalmente già nel 1978 dei rudimentali ordigni costituiti da tubi di piombo


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(segue) GIULIANI. Walter SORDI (EA, V10/a-5, C225 bis, p20), ebbe a chiarire che la dicitura "CAPRO" rinvenuta sull'agenda sequestrata al CAVALLINI corrispondeva appunto al GIULIANI. Cristiano FIORAVANTI (EA, V10/a-4, C163/1, p33) riferì che il GIULIANI si faceva chiamare Osvaldo CAPRI. Così poi testualmente Sergio CALORE (IA, V9/a-1 bis, C13/15. p2): "Nella destra Egidio GIULIANI era conosciuto come Egidio CAPRI al punto che Cristiano quando lo accusò nelle sue confessioni lo indicò con quel cognome, fu solo perché Cristiano indicò con precisione l'abitazione che il GIULIANI venne catturato..."
(192) - EB, V3, C68, p66. Per il dibattimento, cfr. vu 25/11/87, p95.
(193) - AA, V8, C46, p8.
(194) - EA, V10/a-5, C246, p4.
(195) - Cfr. vu 6/10/87, p24. riempiti con polvere da mina. Io vidi i contenitori vuoti e lui mi spiegò a che cosa servivano anzi a che cosa avrebbero dovuto servire. So anche che Egidio aveva fatto dei timers ma non so dove siano stati utilizzati."


Non è privo di rilievo neppure il fatto che, essendo stato l'attentato compiuto in Milano, l'autovettura su cui fu collocato l'ordigno fosse stata rubata nella notte fra il


23 ed il 24 luglio ad Anzio (196): dunque, in provincia di Roma, ad una quindicina di chilometri di distanza da Aprilia, ove aveva la residenza Benito ALLATTA (197). Così come non deve sfuggire l'ulteriore circostanza che l'attentato fu rivendicato a nome dei Gruppi Armati per il Contropotere Territoriale, sigla del tutto simile a quella di "Gruppi Comunisti per il Contropotere Territoriale", utilizzata per rivendicare un attentato simulato, che si voleva far apparire compiuto in danno del SIGNORELLI (198).


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(196)- Cfr. AA, V8, C46, p9.
(197) -Cfr. AA, V8, C46, p435.
(198) -Cfr. AA, V1, C1/4, p820. Cfr. anche AA, V11, C67, passim e Cal., V5, C12, pp. 25-26. L'episodio risale al 5/3/79 e fu posto in essere al fine di farne ricadere la responsabilità su gruppi dell'estrema sinistra, onde scoraggiare la realizzazione di un attentato ad opera degli autonomi, circa il quale erano state raccolte voci nell'ambiente. Della simulazione di reato furono imputati il SIGNORELLI, il figlio di costui, Luca, nonché il CALORE e l'ALEANDRI.Secondol'accordo simulatorio, (segue) Alla stregua di tutto quanto precede, si possono trarre tranquillanti conclusioni circa la paternità dell'attentato, nulla rilevando, ai fini della presente decisione, l'identità, rimasta ignota, dei terroristi cui Benito ALLATTA, uno degli organizzatori della fuga di FREDA,


diede, perlamateriale esecuzionedel crimine,l'esplosivo ricevuto dal GIULIANI. Non deve sorprendere che quest'ultimo, per comprensibili motivi di prudenza, avesse riferito alla LAURICELLA di non aver saputo, se non `a posteriori', la destinazione dell'esplosivo. Estremamente significativo, invece, è il timore, manifestato dal GIULIANI, che l'esplosivo potesse essere stato utilizzato per la strage di Bologna, di tre giorni soltanto posteriore all'attentato di Palazzo Marino. La circostanza la dice lunga sulle responsabilità del CAVALLINI per tale ultimo episodio: perché soltanto la partecipazione del CAVALLINI alla vicenda -alla stregua del suo indissolubile collegamento col FIORAVANTI- poteva far temere al GIULIANI


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(segue) il SIGNORELLI scese dalla sua vettura, fingendo di gettarsi a terra per evitare i colpi: dopodiché taluni colpi -che sarebbero stati esplosi proprio dal figlio dell'odierno imputato, l'unico dei complici di cui il professore si fidava- furono effettivamente sparati in direzione dell'automobile. che l'esplosivo fosse stato dirottato verso Bologna, per essere impiegato nella perpetrazione di quel crimine che lo stesso GIULIANI riteneva potesse esser stato commesso "solo da quel folle di Valerio FIORAVANTI".


Benché abbia avuto scarsissima risonanza sulla stampa, l'attentato -realizzato con la medesima tecnica del fallito attentato alla sede del Consiglio Superiore della
Magistratura- fu di estrema gravità, ed avrebbe potuto costare la vita di molte persone. Rappresentò un tragico annuncio della strage del 2 agosto, perfettamente inquadrandosi nella logica strategica della banda armata oggetto di giudizio: aggrediva un centro del potere democratico, i partiti chiamati a far parte del Consiglio Comunale, le persone dei Consiglieri, e, al tempo stesso, tendeva a vulnerare pesantemente la sicurezza e l'ordinato assetto della vita sociale.


Il capo d'imputazione annovera ancora l'attentato alla Libreria Feltrinelli di Padova del 25/7/1980 (199). La

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(199) - Per il quale, cfr. RA, V12, C431, pp. 10-22, ed, in particolare, p14, ove trovasi la relazione di servizio del M/llo MENEGHETTI, in data 25/7/80, nella quale si legge: "Alle ore 2,30 circa lo scrivente unitamente alla Volante Arcella si portava in questavia S.Biagio n.8,da dove era" (segue)


sua riferibilità alla componente veneta della banda armata oggetto di giudizio discende, oltre che dall'obiettivo


prescelto, dalla rivendicazione a nome dei NAR, dalla perpetrazione nel cuore della `giurisdizione' del capo


indiscusso della cellula veneta, dalla prossimità temporale rispetto all'attentato di Palazzo Marino ed alla strage della stazione di Bologna, anche dalla consapevolezza, da parte di persona qualificatissima, perché interna alla banda armata, della riconducibilità dell'attentato a persone


il cui referente era, ancora una volta, Massimiliano FACHINI. Roberto RINANI, infatti, sin dal 30 agosto 1980 ebbe a dichiarare (200): "...Dopo la mia scarcerazione nel luglio dell'80 vi fu un attentato alla libreria Feltrinelli rivendicato dai NAR. BERTOCCO Massimo mi riferì



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(segue)"stato segnalato un assordante botto. In luogo si accertava che ignoti avevano deposto un ordigno esplosivo, probabilmente tritolo, a ridosso della serranda, ovvero dalla parte dell'angolo sinistra della libreria FELTRINELLI. L'esplosione danneggiava la suddetta serranda provocando un buco nonché un'autovettura...che era parcheggiata di fronte a detta libreria. Lo spostamento d'aria inoltre provocava la rottura di alcuni vetri delle finestre dei locali sopra alla Feltrinelli nonché alcuni del palazzo dell'Intendenza di Finanza. All'uopo si precisa altresì che una scheggia della saracinesca perforava un basculante dell'anzidetto palazzo che si trova di fronte a detta libreria...Non vi sono stati danni a persone." (200) - IA, V9/a-2, C2/2, pp. 1 verso e 2 recto.


dell'accaduto e mi fece osservare che nella rivendicazione

era compresa la frase: `Occhio per occhio, dente per dente", tipica del CONTIN. Io insieme a BERTOCCO, una sera, il 20 o il 21 agosto 80 o uno dei giorni prossimi a quella data affrontai il CONTIN in p.zza Cavour, lo portai insieme al BERTOCCO vicino al cinema `Eden' e feci le mie rimostranze nel timore che egli avesse commesso l'attentato ed io ne
venissi coinvolto. Intendo precisare che il mio richiamo al CONTIN era determinato solo da un antico rapporto di conoscenza. Andai deciso affermando categoricamente: `lo so che sei stato tu' e lui dopo aver inizialmente negato, alle mie insistenze mi disse `io faccio quello che voglio'. Io gli raccomandai di non frequentare più il nostro ambiente per non comprometterci..." (201)
V'è poi da prendere in esame il progetto di liberare Pierluigi CONCUTELLI, coltivato, in seno alla banda armata,



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(201) - Sorprendente conferma alle parole del RINANI venne proprio dal CONTIN (EA, V10/a-2, C66, p4), il quale, pur non assumendosi ovviamente la responsabilità dell'attentato, ammise tuttavia, di esser stato "affrontato" dal RINANI e dal BERTOCCO (i quali gli avevano mosso la stessa contestazione già mossagli giorni prima dai Carabinieri), nonché l'ulteriore circostanza che gli è solita l'espressione "occhio per occhio dente per dente".


per un lungo arco di tempo che va dall'aprile del 1980 agli inizi dell'81. L'idea di far evadere l'ex `comandante militare' di Ordine Nuovo (202) si fa seriamente strada, negli ambienti dell'eversione neofascista, verso la fine del '79, come, del resto, l'idea dell'attentato all'avvocato romano ARCANGELI (sfociato per errore di persona -come si è detto e ripetuto- nell'omicidio del giovane LEANDRI),

consideratoil responsabile della cattura del CONCUTELLI.


Del progetto di fuga, patrimonio di una più vasta area, si impadronì operativamente, a far tempo da un certa data, il gruppo di Valerio FIORAVANTI (203). Il teatro dell'azione, che prima avrebbe dovuto essere in Milano, poi in Palermo si trasferisce in Taranto, città presso la cui Casa Circondariale il CONCUTELLI, detenuto prima in Trani e poi



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(202) - Per la genesi del progetto, cfr.IZZO, in Cal., V5, C32, pp. 1-2 e 9-11, EB, V3, C68, pp. 54-55, e vu 25/11/87, p19.
(203) -Sulle vicende legate al progetto di procurare l'evasione del CONCUTELLI hanno reso ampie dichiarazioni gli stessi protagonisti. Cfr., fra le altre, quelle di Valerio FIORAVANTI al PUBBLICO MINISTERO di Roma in data 25/10/85, in IA, V9/a-2, C29/C, pp. 2-13 e 19-24; di Francesca MAMBRO al Giudice Istruttore il 25/8/84, in IA, V9/a-2, C38, p28, ed il 26/10/84, in IA, V9/a-2, C38, p39; di Cristiano FIORAVANTI, delle quali si è dato conto sub 1.3.4). Cfr. anche Stefano SODERINI, in vu 2/11/87, p72.


in Novara, doveva essere tradotto per presenziare alla celebrazione di un giudizio penale a suo carico (204).


Fin dal marzo, tramite Francesco MANGIAMELI, suo amico fraterno, e Mauro ADDIS, il CONCUTELLI aveva posto le basi di un piano che prevedeva la sua liberazione. Nel luglio, in vista del trasferimento del `comandante militare' a Taranto, si provvide a prendere in locazione (205)

l'appartamento di Gandoli di Leporano -il cosiddetto `covo

di Taranto'- destinato a fungere da base operativa per l'audace progetto di assaltare il carcere tarantino. L'appartamento fu preso in locazione dall'ADDIS a nome di Angelo PAGI, e per tutta l'estate e l'autunno del 1980, e sino alla prima decade del gennaio 1981, rimase nella disponibilità dei vari FIORAVANTI, Valerio e Cristiano,
MAMBRO, CAVALLINI, VALE, SODERINI, BELSITO. Attorno alla metà di gennaio dell'81, il covo fu sgomberato ed il progetto di evasione definitivamente accantonato, essendo

stata disposta dal Ministero la traduzione del CONCUTELLI,

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(204) -Per gli spostamenti carcerari del CONCUTELLI fra l'inizio del 1980 ed il 25/2/81, cfr. AAD, V6, C7, p5. (205) -Cfr. AAD, V6, C7, pp. 36-44. per ragioni di sicurezza, anziché presso il carcere di

Taranto, presso quello di Brindisi (206).


L'esame della vicenda -che è possibile ricostruire nei dettagli anche e soprattutto attraverso le dichiarazioni, in definitiva sostanzialmente non dissonanti, di molti di


coloro che vi presero parte- impone di riprendere e di metteremeglio a fuoco talune considerazioni già precedentemente svolte. Valerio FIORAVANTI e sodali, nel corso del 1980 e fino al gennaio del 1981, coltivano un progetto, altamente rischioso e di esito incerto (207), per liberare un personaggio di prestigio della `vecchia destra', ancora pienamente collegato all'ambiente di Ordine Nuovo, che, a parole, la `nuova generazione' -precipuamente nella


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(206) - E'in atti (cfr. RA, V13, C443, p3) copia del fonogramma trasmesso la mattina dell'8/1/81 alla Direzione della Casa Circondariale di Novara dalla Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena, con il quale si comunicava la destinazione provvisoria del CONCUTELLI, in vista del celebrando dibattimento, fissato, avanti al Tribunale di Taranto, per l'udienza del 15/1/81. Si disponeva che il detenuto fosse tradotto da Brindisi a Taranto soltanto il giorno 15, e quindi, ad incombente ultimato, provvisoriamente trasferito al carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso, per poi essere definitivamente ritradotto all'istituto di provenienza, cioè alla Casa Circondariale di Novara.
(207) - Cristiano FIORAVANTI, 15/3/85, in EA, V10/a-4, C163/1, pp. 120-121: "...Il piano dell'assalto al carcere di Taranto era preparato nelle grandi linee: prevedeva infatti che dai giardini pubblici antistanti l'edificio uno di noi con un fucile di precisione a silenziatore abbattesse la Guardia che era in servizio sul muro di cinta; poi" (segue) sua componente spontaneistica- intende rinnegare (208). A




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(segue) "avremmo atteso il cambio della Guardia, una volta saliti sul muro di cinta. Quindi avremmo costretto questa guardia a portarci nell'interno del carcere. Sapevamo anche che CONCUTELLI sarebbe stato ospitato in una cella vicino alla Direzione. Mi sembra infatti che già un'altra volta il CONCUTELLI a Taranto era stato messo in quella cella. Naturalmente l'azione sarebbe dovuta avvenire di notte e contavamo sul fattore sorpresa e sul fatto che sapevamo essere le guardie del carcere disarmate -parlo naturalmente delle guardie all'interno del carcere-. Naturalmente l'operazione si presentava rischiosa perché le nostre informazioni erano sommarie, ma era nel nostro stile di non studiare in modo dettagliato le nostre operazioni, ma di vedere sul momento quello che c'era da fare. Il piano non era ancora pronto in tutti i particolari tanto è vero che ancora non c'eravamo procurati l'esplosivo che avevamo intenzione di portare con noi ove fosse stato necessario far saltare qualche porta del carcere. In precedenza avevamo pensato ad un piano diverso di più semplice esecuzione: attaccare al casello dell'autostrada di Taranto il pulmino blindato con il quale si sarebbe dovuta effettuare la traduzione di CONCUTELLI..."
(208) - Emblematiche le dichiarazioni (cfr. IA, V9/a-2, C38/1, pp. 20-21) con le quali, il 12/4/84, Francesca MAMBRO ancora si affannava maldestramente nel tentativo di giustificare la sua partecipazione al progetto di procurare l'evasione del CONCUTELLI: "...col marzo del 1980 decisi di passare in clandestinità con Valerio e CAVALLINI. La prima azione cui partecipai dopo il mio inserimento nel gruppo fu l'assalto al Distretto Militare di Padova. L'azione doveva servire al reperimento di armi pesanti da utilizzare per l'attacco al furgone blindato che doveva portare CONCUTELLI dall'Ucciardone all'aula del Tribunale di Palermo. La azione al distretto non riuscì in quanto l'autista del furgone a bordo del quale eran state caricate le armi non si incontrò con quello che aveva la macchina pulita sulla quale le armistesse dovevano esser trasbordate, ragion per cui il furgone e le armi furono abbandonate. L'azione venne rivendicata come BRIGATE ROSSE in quanto non volevamo che l'attenzione si accentrasse su di noi anche perché il Veneto non lo avevamo toccato in precedenza. All'epoca non sapevo quale era stato il percorso politico di CONCUTELLI, percorso che poi mi è stato noto a seguito di notizie giornalistiche: oggi mi sembra chiaro, a differenza di allora, che CONCUTELLI è persona che ha avuto un percorso politico diametralmente opposto al mio. Mi indussi a partecipare all'azione ed al successivo" (segue) questo progetto è interessato, e vi partecipa a pieno


titolo, il CAVALLINI (209), vera e propria creatura del


FACHINI.


L'azione che si programma è espressione di una strategia unificante, che tende ad `aggregare' le componenti disperse


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(segue) "progetto di evasione di CONCUTELLI principalmente perché ritenevo che la galera dovesse essere evitata a chiunque e perché allora mi eran noti solo alcuni fatti commessi da CONCUTELLI..."
Non deve sfuggire che dell'episodio dell'assalto al Distretto Militare di Padova si rese responsabile, fra gli altri, anche Francesco MANGIAMELI: cfr. Cristiano FIORAVANTI, in vu 1/12/87, p37.
Il 27/4/82 (cfr. IA, V9/a-2, C38, p8) la MAMBRO aveva addirittura dichiarato: "...l'evasione di CONCUTELLI era un sogno di Valerio. Prendo atto che certo SANFILIPPO Salvatore ha dichiarato di aver saputo da CONCUTELLI che era stata progettata la sua evasione nel corso di un trasferimento dal carcere di Palermo a quello di Trani nell'aprile dell'80, ma dichiaro chela permanenza mia e di Valerio a Palermo nell'aprile dell'80 fu solo determinata da motividi piacere...In quel periodo non vedemmo MANGIAMELI. Neanche a Taranto seppi del progetto di evasione di CONCUTELLI. Escludo che nella casa che ci ospitava ci fossero armi od esplosivi. Posso dire che dell'evasione di CONCUTELLI se ne è parlato a gennaio del 1981 a titolo di discussione, ma credo che nessuno fosse più intenzionato a realizzare questo progetto..."
(209) - Il CAVALLINI fu certamente presente a Taranto nel gennaio dell'81: vale a dire nel momento in cui si sarebbe dovuti passare alla fase esecutiva e si finì invece per desistere dal progetto, per esser stato il CONCUTELLI destinato al carcere di Brindisi. Nei mesi precedenti il CAVALLINI si era comunque attivamente interessato al progetto, come risulta dalle seguenti dichiarazioni di Cristiano FIORAVANTI (cfr. EA, V10/a-4, C163/1, p35): "...Il fratello di CONCUTELLI che lavora in un ospedale, al quale il CAVALLINI telefonava spesso in quel periodo, ci teneva informati sulle date previste per il trasferimento di Gigi CONCUTELLI al carcere di Taranto. Ricordo che in un primo momento si parlò di settembre, poi rinviavano sempre. CAVALLINI poi ci informò che CONCUTELLI aveva avuto un processo per minacce, ma non era transitato per il carcere di Taranto..." della destra eversiva, assicurando la ripresa della `leadership' da parte di una persona dotata di esperienza militare e di indiscutibile carisma. Costituisce l'ideale seguito dell'operazione promossa dai vari FACHINI, CALORE, ALEANDRI, SICA, SCORZA, ALLATTA, allorché si prestarono a `liberare' Franco FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro: operazione i cui esiti si erano rivelati solo parzialmente soddisfacenti, per il rifiuto del FREDA di darsi alla clandestinità in Italia.


"Il progetto si inserisce a pieno titolo" -scrive il


Giudice Istruttore (210)- "nella progressione di attentati terroristici culminati nella strage del 2 agosto 1980, ed è concepito come un momento di accelerazione della progettualità e della strategia eversiva, è un momento di centrale importanza all'interno di una scelta di lotta armata che prevede un'utilizzazione di più strumenti tattici: l'attentato al singolo esponente delle Istituzioni, l'attentato a carattere indiscriminato con diffusionedi terrore, l'operazione militare che dà prestigio e `morale'


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(210) - SO, p634.


all'ambiente eversivo, convincendolo della presenza di possibilità di successo e riempendolo, anche emulativamente, di ammirazione per coloro che più direttamente di altri agiscono sul piano militare."


A ben vedere, si tratta di strumenti tattici assai diversificati, la cui complessiva finalizzazione ad una strategia unitaria -intesa come programma `politico' di un'unica banda armata- è dato che, se può essere compreso oggi, alla luce dei contributi forniti da ex aderenti alle formazioni armate della destra eversiva e di una visione
d'insieme delle innumerevoli acquisizioni processuali, era
assai meno perspicuo, all'epoca dei fatti, per i militanti di base del frastagliato arcipelago neofascista.


2.2.5.5) La dotazione di armi e di esplosivi


L'argomento merita soltanto un cenno, perché vari spunti, pur in modo frammentario, sono stati necessariamente anticipati in altre parti della trattazione, a proposito di argomenti diversi ma, ovviamente, collegati.


La prova emerge da una quantità imponente di acquisizioni processuali.


Va ricordato qui, in particolare, quanto si è detto:


a) sub 2.1.2.8.2), a proposito della disponibilità di esplosivo di recupero militare da parte del FACHINI e dell'individuazione dell'arsenale della cellula veneta nel Lago di Garda;


b) sub 2.2.5.2), nel riportare le dichiarazioni del teste FRATINI, dalle quali emerge che, tra la fine di maggio ed i primi di giugno del 1980, il SIGNORELLI era alla ricerca di persone disponibili a conservargli armi;


c)sub 2.2.5.3), a proposito dell'arsenale di via Prenestina, ove venivano custodite, in comune, le armi del `gruppo GIULIANI' e del gruppo già gravitante attorno a Costruiamo l'Azione: arsenale veramente imponente, in cui Sergio CALORE poté contare non meno di cento pistole e una quindicina di mitra, oltre a varie bombe a mano SRCM e ad ananas, e in cui non mancava l'esplosivo;


d) ancora sub 2.2.5.3), nel riportare le dichiarazioni di Valerio FIORAVANTI a proposito dei mitra provenienti dal Veneto;


e)sub 2.2.5.4), a proposito dell'attentato a Palazzo Marino, per il quale fu utilizzato esplosivo proveniente da Egidio GIULIANI.


Va sottolineato altresì che:


f) il FACHINI, oltre che di esplosivo, disponeva anche di armi, ed in particolare di mitra `MAB', che provvedeva a modificare o a far modificare, per renderli più funzionali, in un'officina o laboratorio veneto pure nella sua disponibilità (211);


g)Valerio FIORAVANTI, durante il servizio militare, nel 1978, aveva rubato, in provincia di Pordenone, 72 bombe a

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(211) - Cfr., in particolare, CALORE, in Cal. V5, C12, p10 e vu 9/12/87, pp. 21-22; ALEANDRI, in Cal. V5, C3, pp. 68-69, vu 7/1/88, p40 e vu 8/1/88, pp. 30-31; NAPOLI, in IA, V9/a-1, C7, p23-24 e vu 26/11/87, p853; ma cfr. anche Valerio FIORAVANTI, in IA, V9/a-2, C29, p56, assai eloquente pur tenendo conto del refuso segnalato alla nota (140). Cfr. ancora il rapporto DIGOS Bologna 2/2/85, in Cal. V4, C1.


mano S.R.C.M. (212);


h) nel covo di Taranto -cioè nella piena ed esclusiva disponibilità del gruppo del FIORAVANTI- erano custodite armi in grande quantità (213).


L'elencazione potrebbe continuare, ma ciò sarebbe pleonastico. Ai fini che qui rilevano, era necessario verificare -secondo quanto si è argomentato a proposito degli elementi costitutivi del delitto in esame- che la banda, in quanto ente, fosse complessivamente dotata dell'armamento necessario e sufficiente al raggiungimento dello `scopo sociale', e che le armi e gli esplosivi costituenti la dotazione comune fossero concretamente e facilmente accessibili ai singoli consociati. Orbene, è risultato provato che la banda possedeva in abbondanza armi qualitativamente ottime e tali da ricavarne armamenti individuali eccellenti, nonché esplosivo di vario tipo: materiali custoditi in larga parte, ma non esclusivamente, in arsenali nella disponibilità del FACHINI e del GIULIANI;


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(212) - Cfr. RA, V15, passim.
(213) - Cfr., in particolare, EA, V10/a-3, C140 bis, p12, ove Cristiano FIORAVANTI, tra l'altro, riferisce: "...Le armi che vi erano a Taranto erano due M12, delle pistole 92 in numero di quattro, ed altro (erano molte armi)..."


che armi ed esplosivi furono reiteratamente utilizzati in una serie di imprese criminose, sovente coronate da successo, le quali costituiscono -nella loro tragica evidenza- la miglior riprova della sufficienza degli armamenti rispetto allo `scopo sociale'. Peraltro, nell'ambiente della banda armata oggetto di giudizio, già prima del suo formarsi e lungo tutto il suo arco di operatività, si assiste -coerentemente con il programma di `micidiale escalation' militare- ad un'incessante attività volta allo scopo di procacciarsi armamenti sempre più cospicui.


2.2.5.6) Considerazioni conclusive


Con riferimento alle ultime proposizioni del paragrafo che precede, si deve rilevare -usando le parole del Giudice Istruttore (214)- che tali "elementi, in sé considerati, non costituiscono soltanto il requisito dell'armamento adeguato che è uno degli elementi costitutivi del delitto di banda armata previsto dall'art. 306 del Codice Penale, ma anche un segno della pericolosità del gruppo, e dei suoi disegni di

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(214) - SO, p642.


espansione qualitativa e quantitativa all'interno di un progetto di incremento costante dell'attività terroristica, e di aggregazione di tutte le forze che a destra erano disponibili per la lotta armata."


Che tale gruppo fosse costituito in banda armata, come tale qualificabile ai sensi della norma incriminatrice di cui all'imputazione, è dimostrato da quanto si è venuti sin qui argomentando. In particolare, è provato che una pluralità di persone (otto di quelle raggiunte dall'imputazione -come si vedrà meglio nel paragrafo sulle responsabilità individuali- alle quali se ne devono peraltro verosimilmente aggiungere altre, tuttora non lambite dalle indagini) aveva un'organizzazione ed un armamento adeguati al conseguimento dello scopo comune.


L'organizzazione si struttura come una sorta di `superbanda', nella quale confluiscono personaggi provenienti da esperienze eterogenee, il cui comune denominatore va individuato nella volontà di riempire gli spazi lasciati vuoti dalla crisi delle formazioni armate neofasciste verificatasi nel 1979, e di tentare il ricompattamento di un ambiente disgregato e sbandato non con un messaggio ideologico palese -che sarebbe immediatamente screditato per il fatto di provenire da un'aggregazione `politicamente' improponibile di sedicenti spontaneisti e di `vecchi tramoni', la cui alleanza, anzi, deve rimanere occulta agli occhi degli ignari camerati dell'arcipelago- ma con una strategia non dichiarata di incalzante e progressivamente ingravescente operatività.


L'asse portante militare della banda armata è costituito dal gruppo di fuoco FIORAVANTI-MAMBRO-CAVALLINI: personaggi emblematicamente provenienti da esperienze diverse, quantunque tutti collocabili nella componente `giovanile' dell'organizzazione.


Alle spalle di costoro -e, al momento opportuno, anche al fianco di costoro- si pongono il FACHINI ed il SIGNORELLI, reclutatori ed ispiratori `politici' di elementi militarmente validi, trascelti negli ambienti giovanili in fermento. Ben si può interpretare la storia della banda armata in esame come il naturale sviluppo della `scoperta' e del `lancio' nell'agone `politico-militare' del FIORAVANTI e del CAVALLINI da parte del SIGNORELLI e del FACHINI. I due giovani non erano certo digiuni di esperienze terroristico-eversive (fra cui, per il CAVALLINI, quella di Costruiamo l'Azione, vissuta grazie all'inserimento nel gruppo proprio ad opera del FACHINI); ma essi espressero al massimo grado le loro potenzialità `militari' in virtù della cooptazione a fungere da `nucleo operativo' e quindi da braccio esecutivo della `superbanda' e della sua strategia: strategia nella quale, con i necessari adattamenti ai tempi nuovi ed alla mutate esigenze tattiche, si veniva manifestando una linea di tendenza da lungo tempo riconducibile ai programmi `politici' del FACHINI e del SIGNORELLI.


Formidabile supporto logistico all'attività del gruppo era assicurata da Egidio GIULIANI. Fra i gregari si collocavano il RINANI ed il PICCIAFUOCO, presenze entrambe assai significative: l'una perché è la prova vivente del permanere -anche dopo la crisi di Costruiamo l'Azione ed il formarsi della banda armata in esame- di un gruppo satellite dell'organizzazione -territorialmente circoscritto e fortemente gerarchizzato- alle strette dipendenze di Massimiliano FACHINI; l'altra, perché riflette i lineamenti torbidi di un gruppo in cui si muove e collabora un personaggio non profondamente ideologizzato, ma disposto a tutto, dotato di discrezione altamente `professionale', e pressoché sconosciuto negli ambienti della destra eversiva.


Dal punto di vista organizzativo in senso stretto, la banda non ripete i moduli gerarchizzati e compartimentati del gruppo veneto. Essendo il generico programma di violenza antiistituzionale riconducibile ad un vertice strategico collettivo, in cui -esclusi i gregari- si collocano sia i `politici' che gli `operativi', in rapporto sostanzialmente paritetico, le singole operazioni nascono poi, di volta in volta, dallo spontaneo aggregarsi di taluni consociati -in virtù dei profondi vincoli di collegamento- attorno ad un progetto che è espressione concreta della comune strategia e al cui realizzarsi ciascuno fornisce il proprio personale contributo: così si vedono il SIGNORELLI, il FIORAVANTI, la MAMBRO e il CAVALLINI convergere e raccogliersi, con ruoli diversificati, attorno all'obiettivo di eliminare il dott. AMATO; il duo GIULIANI-CAVALLINI muoversi dietro le quinte dell'attentato a Palazzo Marino; il FACHINI, il FIORAVANTI e la MAMBRO, con il contributo operativo del PICCIAFUOCO, concorrere nell'attentato che rappresenta la massima e più qualificata espressione del programma terroristico della banda armata.


Il vincolo associativo si stabilizza alla fine del '79, si mantiene e si consolida nei primi otto mesi dell'80, e perdura nel tempo, al punto che i collegamenti interpersonali si conserveranno anche dopo la cessazione dell'attività della banda, dando spesso luogo ad ulteriori sviluppi operativi. Anche dopo l'agosto del 1980 continueranno a collaborare il FIORAVANTI, la MAMBRO ed il CAVALLINI: ed il vincolo si scioglierà soltanto per effetto della cattura del primo, nel febbraio dell'81, e della seconda, oltre un anno più tardi. Allo stesso modo si manterranno e, per un certo aspetto, si intensificheranno i rapporti col GIULIANI, al punto che -come si vedrà- Armando COLANTONI, con riferimento al primi mesi dell'81, definirà il gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI come "il cliente esclusivo o comunque più importante di Egidio". Il FACHINI ed il SIGNORELLI si incontreranno, significativamente, quasi a fare il bilancio dell'attività dell'organizzazione, dopo la strage del 2 agosto. Il CAVALLINI, dal canto suo, presterà assistenza al FACHINI anche dopo l'incarcerazione di costui.


La riprova dell'esistenza di una solida ed efficiente organizzazione riposa, fra l'altro, e non secondariamente, sul numero e la gravità dei delitti commessi (215): il cui `successo' è il miglior termometro per la verifica dell'adeguatezza dell'organizzazione medesima al raggiungimento dello `scopo sociale'.


Su tale `scopo sociale' si è avuta occasione di soffermarsi altrove. Qui va dunque semplicemente richiamato il fine di


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(215) - Fra i quali, tenendosi presente che l'elencazione di cui al capo d'imputazione è soltanto esemplificativa, vanno annoverati gli ulteriori delitti di cui si è detto in precedenza. Occorre altresì considerare che il progetto di attentato al dott. STIZ, pazientemente e `professionalmente' coltivato, non si concretizzò non per inefficienza organizzativa, ma solo per cause esterne ed incontrollabili: cioè per il fatto che la banda fu travolta dagli ordini di cattura di fine agosto. Lo stesso progetto di far evadere il CONCUTELLI prevedeva fin dall'origine una clamorosa azione `militare'; e tale progetto,attorno a cui ilgruppo facente capo al FIORAVANTI si mosse per lungo tempo anche dopo la cessazione della banda armata in esame, fu poi accantonato principalmente per via del trasferimento del CONCUTELLI a Brindisi anziché a Taranto.


aggregazione, in funzione rivoluzionaria, intorno ad obiettivi unificanti e mobilitanti, delle forze disgregate della destra, soprattutto in ambito giovanile, nonché quello ulteriore di scollamento delle istituzioni democratiche, attraverso il disorientamento della collettività nazionale e la conseguente progressiva erosione degli equilibri sociali. In che misura e in che termini il perseguimento di quel fine sia stato funzionale alla strategia di personaggi collocantisi ad un livello superiore, miranti a condizionare le scelte politiche delle forze istituzionali, sottoposte al ricatto del terrore, è cosa che dovrà essere esaminata nella parte della trattazione riservata al delitto di associazione eversiva. Ai fini che qui rilevano, va invece osservato che lo `scopo sociale' di cui si è detto è, nella sua articolata ampiezza, specifico della banda armata oggetto di giudizio e costituisce un elemento di sicura differenziazione di tale banda da altre, per le quali pendono o sono stati celebrati, in sedi diverse, procedimenti penali anche a carico di vari degli odierni imputati. Va peraltro osservato come l'autonoma configurabilità (216) della banda armata in esame discenda da una molteplicità di elementi: dall'assoluta specificità del programma criminoso, nelle tre componenti dell'attentato selettivo, dell'attentato indiscriminato, e dell'azione militare eclatante, volta a galvanizzare l'ambiente; dalla torbida pratica della non rivendicazione a nome della`superbanda', che, come tale, deve rimanere occulta, o, in talunicasi, della rivendicazionecon sigle fuorvianti di sinistra,riferibiliadorganizzazioni reali o fittizie; dalla composizione soggettiva dell'organizzazione, in cui confluiscono elementi provenienti da eterogenee esperienze ed appartenenti a generazioni diverse della
eversione neofascista,etuttavia capaci ditrovare uncomune denominatore strategico; dalla segretezza del sodalizio, nella sua complessiva fisionomia, rispetto alle varie organizzazioni di base dell'arcipelago: ai cui esponenti




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(216) - L'ovvio rilievo di tale autonoma configurabilità discende dal fatto che un individuo può e deve essere chiamato a rispondere della sua partecipazione a più formazioni armate, anche cronologicamente accavallantisi, ogniqualvolta, appunto, le formazioni in cui egli, a titolo personale, ha militato, si siano costituite ed abbiano operato l'una indipendentemente dall'altra. determinate alleanze sarebbero risultate sospette ed improponibili, e di fatto apparvero censurabili, allorché di esse in determinati ambienti -ma solo in seguito- si ebbe
sentore; dall'ulteriore circostanza, infine, che -come si è visto- è storicamente ricostruibile un momento di cesura fra l'esperienza delle varie organizzazioni entrate in crisi nel 1979, ed il formarsi, a seguito delle scarcerazioni e della ripresa dei contatti, del nuovo gruppo, costituitosi alla fine dello stesso anno.


2.2.5.7) Le responsabilità individuali


Prima di trattare partitamente le singole posizioni, occorre spenderesoltanto pochissime parole di ordine generale in merito alla questione dell'elemento soggettivo. Posto che il dolo del delitto di cui all'art. 306 Codice Penale deve consistere nella consapevolezza del vincolo inerente alla banda e del suo carattere armato, e nell'ulteriore e specificavolontà di commettere o far commettere uno o più delitti tra quelli di cui all'art. 302,va subito detto che la prova dell'elemento soggettivo discende sovente in modo lineare ed irrefutabile dal tipo di apporto -di cui si verrà dicendo in appresso- fornito dai vari imputati all'organizzazione ed alla sua attività. Si pensi alle posizioni del FACHINI e del SIGNORELLI, cioè delle vere e proprie menti politiche della formazione armata, le cui espressioni operative rappresentano la concreta realizzazione di una strategia terroristico-eversiva che dai quei due imputati promana. Si pensi ancora al FIORAVANTI, alla MAMBRO ed al CAVALLINI, costituenti un nucleo operativo che, con funzioni ideative, organizzative e direttamente esecutive, con lucida coerenza e gelida `professionalità', ha datopratica attuazione alprogramma`politico-militare' della banda. Per quanto attiene al GIULIANI, le necessarie argomentazioni saranno svolte in sede ditrattazione della relativa posizione.


E' necessario sottolineare come spesso la prova della volontàdicommettere delitti di cui all'art. 302 riposi, semplicemente ed inconfutabilmente, sulla prova del coinvolgimento in taluno di essi. Si pensi, in particolare, al PICCIAFUOCO, corresponsabile del più atroce degli attentati perpetrati da membri dell'organizzazione. Si è visto inoltre quale compendio probatorio gravi in capo al GIULIANI per l'attentato di Palazzo Marino. Paolo SIGNORELLI, dal canto suo, propugnatore e ispiratore `politico' dell'omicidio del dott. AMATO, ebbe, rispetto a quel delitto, la veste penalmente rilevante di istigatore.


Roberto RINANI non è raggiunto da prove sufficienti di colpevolezza in ordine al delitto di strage, nel senso che


-come si è visto- non è pacificamente dimostrato, rispetto al suddetto crimine, lo svolgimento, da parte sua, di un ruoloidoneo a farlo ricadere sotto i rigori della legge penale. E' vero peraltro, ai fini che qui rilevano, che il RINANI, lungi dal prender le distanze rispetto alla strage e al progetto di attentato ad un magistrato veneto, ne riferì al VETTORE in termini che tradivano la sua almeno ideale adesione: d'altronde, non sarebbe mai stato messo al corrente dell'imminente attuazione della strage se, da fedelissimo del FACHINI, non si fosse precedentemente riconosciuto nel programma terroristico della banda armata.


Ciascuno degli imputati che vengono qui riconosciuti colpevoli ha poi un passato `politico' che qualifica la sua partecipazione alla banda armata,e offre la misura della rispettiva consapevolezza in ordine alla natura, alla struttura ed ai fini dell'organizzazione: a tacer degli
altri, va puntualizzato che Egidio GIULIANI aveva gravitato nella vasta e composita orbita dell'ambiente riconoscentesi in Costruiamo l'Azione; che Roberto RINANI apparteneva da anni alla cellula veneta capeggiata dal FACHINI e già all'epoca di Costruiamo l'Azione era un esponente del `gruppo del Nord'; che lo stesso PICCIAFUOCO, il meno marcatamente politicizzato tra i prevenuti, non era propriamente un `parvenu', essendo transitato nel gruppo del FIORAVANTI attraverso l'ambiente di Terza Posizione.


2.2.5.7.1) Giuseppe Valerio FIORAVANTI


E' costui una sorta di terrorista a tempo pieno che, in virtù dell'audacia e dell'efferatezza, assurge al ruolo di un vero e proprio `comandante militare'. Entrato
nel gruppo già facente capo al CALORE in occasione della rapina alla gioielleria di Tivoli da taluno indicata come momento iniziale della vita della banda, vivrà in prima persona tutti gli episodi più significativi -ad eccezione dell'attentato di Palazzo Marino e dei delitti o progetti
riferibili in via esclusiva alla componente veneta
dell'organizzazione- sino al disgregarsi della banda, a
seguito degli ordini di cattura dell'agosto 1980. Sulla correttezza della contestazione dello svolgimento, nella banda armata, di un ruolo rilevante ai sensi del 1° comma dell'art. 306 del Codice Penale, non occorre spendere parole, se solo si pone mente al fatto che il FIORAVANTI è, al tempo stesso, fautore della `micidiale escalation', propugnatore di obiettivi `militari', vertice operativo, propulsore e animatore del gruppo di fuoco, instancabile procacciatore di armi e documenti per l'organizzazione, e, nella sua doppiezza, elemento essenziale di raccordo fra la componente tradizionale della banda e quella `giovanile', che dovrebbe essere spontaneistica.


2.2.5.7.2) Francesca MAMBRO


Complice del FIORAVANTI già il 15/3/1979 in occasione della rapina all'Armeria Omnia Sport, si lega a lui anche sentimentalmente dopo l'arresto di Dario PEDRETTI. Nel novembre-dicembre del 1979, cioè nel periodo in cui la banda si forma, la si trova di nuovo impegnata in attività delittuosa per conto del FIORAVANTI, del quale condivide
praticamente ogni esperienza dal marzo '80 (217) sino al
febbraio '81, cioè sino alla cattura del FIORAVANTI stesso. Anche nel suo caso non si pongono dubbi in ordine alla contestazione di un ruolo sussumibile sotto la norma di cui al 1° comma dell'art. 306. In posizione tutt'altro che gregaria, la donna partecipa alle determinazioni del gruppo di fuoco (218), collabora nelle operazioni destinate allo approvvigionamento di armi (219), prende parte all'attività rivendicativa (220).


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(217) - Così l'imputata al PUBBLICO MINISTERO di Roma, il 12/4/84 (IA, V9/a-2, C38/1, pp. 19-20): "...La prima azione cui partecipai fu la rapina all'armeria OMNIA SPORT (15/3/1979): io forzai la mano a Valerio per poter partecipare alla rapina...Dopo l'arresto di Dario PEDRETTI inizia il mio percorso comune con Valerio anche se per gradi...Chiusi i miei rappoti con il FUAN nel periodo in cui venni operata di tonsille (febbraio 1980)...Già nel novembre/dicembre 1979 io avevo svolto una certa attività per Valerio tenendogli delle armi e della refurtiva in quanto ero `pulita', però col marzo del 1980 decisi di passare in clandestinità con Valerio e con CAVALLINI..."
(218) - Dall'interrogatorio dibattimentale di Valerio FIORAVANTI nel giudizio di 1° grado per l'omicidio del dott. AMATO (AA, V4, C17, p19): "...Debbo dire che nel periodo iniziale della nostra aggregazione ognuno del gruppo lavorava su obiettivi particolari, poi si proponeva l'obiettivo, per poi decidere tutti insieme, cioè con CAVALLINI e la MAMBRO. La MAMBRO era d'accordo sull'obiettivo AMATO..."
(219)- La prima azione cui la MAMBRO prende parte, dopo il suo definitivo inserimento nel gruppo del FIORAVANTI, è l'assalto al Distretto Militare di Padova, che doveva servire a procurare armi pesanti da utilizzare nell'attacco al furgone blindato con cui il CONCUTELLI avrebbe dovuto essere tradotto dal carcere dell'Ucciardone al Palazzo di Giustizia di Palermo ( cfr. IA, V9/a-2, C38/1, pp. 20-21).
(220)- Per la rivendicazione dell'assassinio del dott. AMATO, cfr. la stessa MAMBRO, in AA, V4, C17, p40.


Concorre, con ruolo di coprotagonista, oltre che in una molteplicità di ulteriori attività delittuose, anche nell'attentato in cui si esprime, nella sua massima e più atroce espansione, la progettualità terroristica della banda armata.


2.2.5.7.3) Gilberto CAVALLINI


Proveniente da un'esperienza omicida, dopo l'evasione viene `appoggiato' dal BALLAN al FACHINI, e da quest'ultimo inserito nel gruppo e nelle attività di Costruiamo l'Azione. Si segnala, per la fredda determinazione criminale, come un elemento in grado di esprimere enormi potenzialità sul piano `operativo'. E i risultati non si fanno attendere. Nell'ambiente romano viene in contatto, fra gli altri, con Egidio GIULIANI, con il quale inizia un rapporto di proficua collaborazione. L'11/12/1979 è al fianco di Valerio FIORAVANTI, in occasione della rapina alla gioelleria D'AMORE di Tivoli. Si viene così a saldare un rapporto destinato a sciogliersi soltanto il 5/2/1981 (221). La sua partecipazione alla progettazione od all'esecuzione di

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(221) - Cfr. supra, sub 1.2.17), nota (60).


molteplici crimini riferibili alla banda armata emerge da quanto si è detto sub 2.2.5.4). Di sicuro affidamento sul piano militare (è il `killer' del dott. AMATO), il CAVALLINI, oltre ad operare sovente in prima persona, con ruolo di comprimario, nella fase esecutiva, partecipa alle determinazioni del gruppo di fuoco (222). E' anch'egli un solerte procacciatore di armi (223); e partecipa all'attività di rivendicazione (224). Per esser stato preparato e `lanciato' ad opera del FACHINI, e grazie ai rapporti che -dopo la presentazione ai camerati di Costruiamo l'Azione- viene intrecciando nell'ambiente della capitale, rappresenta la cerniera operativa fra la componenti veneta e romana della banda armata oggetto di giudizio.


Va dunque il CAVALLINI dichiarato responsabile del delitto di cui al capo 2) dell'imputazione, così come contestatogli.


2.2.5.7.4) Paolo SIGNORELLI


Per valutare la posizione di costui, non è necessario

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(222) - Cfr. l'atto citato alla nota (218). (223) - Basterà ricordare, a titolo di esempio, la rapina in danno dell'armeria FABRINI, di cui si è detto sub 1.2.17), testo e nota (64).
(224) - Per la rivendicazione dell'omicidio del dott. AMATO, cfr. lo stesso CAVALLINI, in AA, V4, C17, p17. ripercorrerne nel dettaglio le pregresse vicende `politiche', ma è sufficiente richiamarne alcune tappe. Intervenuto, nel settembre del 1975, alla riunione di Albano Laziale, dei cui contenuti si è fatto cenno sub 2.2.3), il SIGNORELLI, nel novembre successivo, dà vita, con altri, al Movimento Lotta Popolare: iniziativa che gli costò l'espulsione dal Movimento Sociale Italiano (225). La strategia di Lotta Popolare si muove lungo tre direttrici fondamentali: la canalizzazione e l'aggregazione dei settori giovanili più oltranzisti del mondo missino, connotati dalla rabbia per l'atteggiamento morbido e non rivoluzionario del partito; la proposizione di temi populisti in funzione antiborghese e con l'intento di sollecitare le spinte ribellistiche, specie degli strati sociali territorialmente ghettizzati; il superamento dei particolarismi ideologici con conseguente rifiuto di strutture rigidamente organizzate e la creazione di poli di dibattito intesi a ricongiungere elementi rivoluzionari di diversa estrazione (226). Le tematiche di Lotta Popolare, pur non rappresentandone una


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(225) - Cfr. vu 6/5/87, p18.
(226) - Cfr. AA, V1, C1/3, pp.478-479.


pedissequa riedizione, si pongono lungo una linea di sostanziale continuità rispetto a quelle del disciolto Movimento Politico Ordine Nuovo (227).


Intorno all'8/12/1975, il SIGNORELLI incontra a Nizza Stefano DELLE CHIAIE, Clemente GRAZIANI, Elio MASSAGRANDE, Pierluigi CONCUTELLI e Giuseppe PUGLIESE (228): la riunione ha evidentemente ad oggetto questioni relative alla struttura nata dalla fusione deliberata tre mesi prima ad Albano Laziale, dal momento che ad essa partecipano tutti i dirigenti di massimo livello di tale struttura, nonché i quadri operativi. Accompagnano il SIGNORELLI e la moglie da Genova a Nizza Mauro MELI e la consorte Mirella ROBBIO, la quale apprende che il SIGNORELLI e gli altri si riuniscono per concordare un'azione eclatante di Ordine Nuovo che possa


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(227) -Cfr. AA, V1, C1/3, pp. 494 ss. e, in particolare, pp. 499-501. Assai significativa, per quanto attiene alla progettualità del SIGNORELLI all'epoca dell'iniziativa di Lotta Popolare, la tematica del `soldato politico', proiettato verso la figura del `latitante operativo'. Cfr. anche AA, V1, C1/3, 476-478, dove sulla base di dichiarazioni provenienti dall'imputato in ordine ai contenuti del messaggio politico di Lotta Popolare, si evidenzia l'assonanza del concetto -in tali dichiarazioni espresso- di steccati ideologici che hanno evirato iniziative di lotta al sistema, con altri, provenienti anche dalla maschia penna del SIGNORELLI, e rinvenibili in documenti di impostazione ordinovista.
(228) -Cfr. AA, V1, C1/4, pp. 454 ss., nonché COZI, in vu 21/1/88, pp. 69 ss. e ROBBIO,in AA, V5, C26, passim e vu 16/2/88, pp. 76 ss.


controbilanciare la risonanza delle azioni delle Brigate Rosse (229).


Il 10 luglio 1976 Pierluigi CONCUTELLI assassina il dott. Vittorio OCCORSIO (230). Per la sua corresponsabilità nell'omicidio, il SIGNORELLI è raggiunto da prove tali che hanno giustificato la sua condanna all'ergastolo in primo grado, in sede di gravame e, dopo l'annullamento della


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(229) - Cfr. AA, V5, C26, p43 e vu 16/2/88, p77. Cfr. anche AA, V5, C26, pp. 4-5 e 13-14. La donna captò conversazioni tra il SIGNORELLI ed il MELI.
(230) -La motivazione ufficiale è espressa in alcune copie -abbandonate sul corpo del magistrato- del volantino il cui testo è riprodotto in AA, V1, C1/2, pp. 436-437:
"La giustizia borghese si ferma all'ergastolo, la giustizia rivoluzionaria va oltre. Il Tribunale speciale del M.P.O.N. ha giudicato Vittorio OCCORSIO e lo ha ritenuto colpevole di avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi sono portatori.
Vittorio OCCORSIO ha, infatti, istruito due processi contro il M.P.O.N. Al termine del primo, grazie alla complicità dei giudici marxisti BATTAGLINI e COIRO e del barone D.C. TAVIANI, il movimento politico è stato sciolto e decine di anni di carcere sono stati inflitti ai suoi dirigenti.
Nel corso della seconda istruttoria numerosi militanti del M.P.O.N. sono stati inquisiti e incarcerati e condotti in catene dinanzi ai Tribunali del sistema borghese. Molti di essi sono ancora illegalmente trattenuti nelle democratiche galere, molti altri sono da anni costretti ad una dura latitanza.
L'atteggiamento inquisitorio tenuto dal servo del sistema OCCORSIO non è meritevole di alcuna attenuante. L'accanimento da lui usato per colpire gli ordinovisti lo ha degradato al livello di un boia. Ma anche i boia muoiono!
La sentenza emessa dal Tribunale del M.P.O.N. è di morte e sarà eseguita da uno speciale nucleo operativo. Avanti per l'Ordine Nuovo!"


sentenza d'appello, di nuovo in sede di rinvio (231).


Dalla fine del 1977, il SIGNORELLI si trova al centro dell'esperienza terroristico-eversiva di Costruiamo l'Azione. L'essere soprattutto una `mente politica' non impedisce al SIGNORELLI di attivarsi anche sul piano logistico. Emblematico in proposito l'episodio di procacciamento di esplosivo presso tale Rino da Foggia: il SIGNORELLI mise in contatto l'ALEANDRI e Severino CIAMPI, amico pugliese del SIGNORELLI stesso, che avrebbe potuto avere disponibilità di esplosivo. Paolo ALEANDRI, Marcello IANNILLI e tale Arnaldo PASCUZZO si recarono in Puglia, ove effettivamente prelevarono una valigia di esplosivo gelatinoso, cedendo in cambio una o due pistole (232).

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(231) - Per il compendio probatorio a carico del SIGNORELLI, cfr., oltre ad AA, V1, C1/2, pp. 437 ss., l'ordinanza di rinvio a giudizio del Giudice Istruttore di Firenze, in AA, V3, C12. In AAD, V3, rispettivamente C21 e C20, trovansi la sentenza d'appello e la sentenza della Suprema Corte.
(232) - Cfr. sul punto, ALEANDRI, in EA, V10/a-5, C190/3/1, pp. 85 e 102, e vu 8/1/88, p46. Il fatto è preso in esame in AA, V1, C1/4, pp. 688-689, ove fra l'altro si legge: "...CIAMPI, in sede di interrogatorio e di confronto, ha ammesso di aver ricevuto la visita dell'ALEANDRI ad Apricena, visita nel corso della quale (chissà perché) lo stesso ALEANDRI gli chiese dell'esplosivo, ricevendo però risposta negativa. PASCUZZO, a sua volta, ha confermato di aver fatto con l'ALEANDRI il viaggio in Puglia ove venne prelevata una valigia della quale ignorava il contenuto che, poi, a dire dello stesso PASCUZZO, venne da lui consegnata ad uno sconosciuto presso un appartamento che per le indicazioni fornite coincide conquellooccupatoall'epoca dall'ALEANDRI" (segue) La vicenda si colloca nel 1978 (233) e, dunque, nel cuore


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(segue) "...SIGNORELLI, buon ultimo, ha negato ovviamente ogni responsabilità ammettendo però candidamente i suoi rapporti con un certo `Rino' sul conto del quale ha puerilmente fornite indicazioni tanto dettagliate che hanno permesso l'identificazione del CIAMPI...Spendere altre parole sul piano della prova sembra francamente superfluo". Il giudizio del PUBBLICO MINISTERO di Roma non può che essere condiviso, dovendosi semplicemente ricordare come in giudizio, davanti a questa Corte (cfr. vu 29/4/87, p13), anche lo IANNILLI abbia ammesso il viaggio in Puglia, in compagnia di ALEANDRI, a fini di approvvigionamento di esplosivo. Il SIGNORELLI, nell'interrogatorio dibattimentale (vu 14/5/88, pp. 15-16), ha affermato, dolendosene, d'aver fatto involontariamente arrestare il suo amico Rino CIAMPI, a causa delle indicazioni fornite ai magistrati romani che gli chiedevano notizie su costui. Ed è arrivato a sostenere: "...io non desidero che le persone che mi sono amiche vengano coinvolte in questioni che non le riguardano e così fornii io l'indicazione che condusse poi all'arresto di Rino. Era capitato che Paolo ALEANDRI, il furbo, aveva conosciuto Rino da Foggia a casa mia, lo aveva adescato chiedendogli delle cose di cui io non ho saputo nulla, che poi ho saputo solo quando lo feci arrestare. Dopo seppi che ALEANDRI con IANNILLI erano stati in quel del foggiano a prelevare dell'esplosivo che fu utilizzato. Questa è la storia dell'esplosivo che avrei fornito io. Questo è costatola detenzionedi circa un anno di Rino CIAMPI..." Dunque, atteso che la consegna dell'esplosivo da parte del CIAMPI -per quanto si è detto sopra- è ampiamente provata, la linea difensiva del SIGNORELLI si dovrebbe reggere sui seguenti passaggi: che, essendo l'imputato un galantuomo, la sua casa fosse frequentata da gente che aveva dimestichezza con gli esplosivi; che "ALEANDRI, il furbo", trattasse affari di un certo tipo con gli amici del SIGNORELLI a casa sua ed a sua insaputa; che, non avendo con loro confidenza, affacciasse `ex abrupto' richieste di esplosivo; che fosse tanto fortunato da imbattersi in un possessore di materia esplodente, disposto a cederlo in cambio di pistole. `Sunt certi denique fines'.
(233)-L'ALEANDRI, che, nei primi interrogatori, aveva fatto riferimento, sia pure dubitativamente, all'estate del '78, in giudizio ha poi retrodatato i fatti al '76-'77. Evidentemente, a distanza di tanti anni, il ricordo lo ha tradito. Infatti, Marcello IANNILLI, che peraltro conosce ALEANDRI solo nei primi mesi del '78, ha dichiarato (vu 29/4/87, p13): "...Per gli ultimi attentati del '78 andai con ALEANDRI a procacciare l'esplosivo in un paese delle Puglie portandolo a Roma e poi lo utilizzammo insieme..."


delle attività di Costruiamo l'Azione.


Ma v'è un altro episodio, di poco precedente, in cui il SIGNORELLI ebbe un ruolo più strettamente operativo. Così ALEANDRI al Giudice Istruttore di Roma, il 24/2/1983, a proposito dell'attentato al Ministero di Grazia e Giustizia del 22/5/1978 (234): "...preciso che la richiesta di esplosivo venne fatta da DANTINI a SIGNORELLI il quale ultimo si rivolse a me facendo il nome del DANTINI. Io portai l'esplosivo ed alcuni detonatori in una borsa a casa di SIGNORELLI il quale ultimo poi mi disse di aver consegnato detto materiale allo IANNILLI che all'epoca io non conoscevo nel corso di un incontro avvenuto tra il SIGNORELLI e lo IANNILLI in una traversa nei pressi di Piazzale delle Muse. Fu lo stesso SIGNORELLI a dirmi le modalità di cessione dell'esplosivo a IANNILLI e ne ebbi successivamente conferma dallo stesso DANTINI. L'esplosivo che io diedi a SIGNORELLI era quello procuratomi da FACHINI e RAHO..."


Marcello IANNILLI, pur negando -come s'è visto- d'aver


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(234) - EA, V10/a-4, C190/3/1, p118. Dichiarazioni confermate in giudizio:cfr.vu 8/1/88,pp.28 e 42. ricevuto esplosivo dal SIGNORELLI, ha tuttavia

significativamente ammesso d'aver ricevuto, nel '78, una

prima fornitura non direttamente dall'ALEANDRI, ma da altra persona, che non ha inteso nominare (235): "... io utilizzai nel '78 e '79 due partite di esplosivo. La prima del '78 che servì per quattro attentati mi fu data da ALEANDRI. Voglio dire che la prima fornitura in tempo cronologico non mi fu data personalmente da ALEANDRI, ma da altra persona che non voglio nominare. Le altre forniture le presi io a casa sua, di ALEANDRI, avendo instaurato un rapporto di amicizia. La seconda parte di attentati che furono quelli del '79 e furono quattro attentati, furono utilizzati materiali per doppia provenienza..."


Il SIGNORELLI fa parte del vertice strategico al quale -almeno sul piano della generica progettualità `politica', e a prescindere dalle responsabilità penali, che qui non sono in gioco- deve esser fatta risalire la svolta stragista impressa alla campagna di attentati del M.R.P., in occasione dell'attentato alla sede del Consiglio Superiore


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(235) - Cfr. vu 29/4/87, p13.


della Magistratura.


E' il SIGNORELLI solerte arruolatore di giovani, con i quali viene facilmente in contatto anche in virtù della sua professione di insegnante; all'indottrinamento nel nome della violenza e della sovversione, all'incitamento alla
lotta armata, si accompagna l'obiettivo di piazzare opportunamente le nuove reclute, onde controllare, attraverso di loro, l'attività delle formazioni giovanili del composito arcipelago: emblematica, in proposito, l'esperienza di Stefano SODERINI. E quando gli ambienti giovanili sembrano in qualche modo sottrarsi al controllo, il professore non esita ad assumere atteggiamenti che sarebbe eufemistico definire intransigenti: si pensi alla
minacce che il PISO ebbe a subire, perché entrasse a far parte delle Comunità Organiche di Popolo (236).


Costantemente al centro di una fittissima trama di rapporti sulla cui natura non è necessario spendere altre parole, il SIGNORELLI pone in collegamento tra loro persone


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(236) -Sulle Comunità Organiche di Popolo (C.O.P.), cfr., oltre alla dichiarazioni del SODERINI e del FRATINI riportate sub 2.2.5.2), anche AA, V1, C1/3, pp. 644-646. dell'ambiente (237), ospita nella sua abitazione riunioni del gruppo di Costruiamo l'Azione, si sposta di frequente per l'Italia, onde stabilire o mantenere contatti (238).


La breve parentesi carceraria dell'estate '79 non è certamente, per il professor SIGNORELLI, occasione di ripensamento sul suo passato eversivo e non produce alcun effetto di `normalizzazione'. Al contrario, gli incontri carcerari propizieranno pericolosi rapporti, che saranno proficuamente coltivati una volta che il SIGNORELLI ed i suoi compagni di detenzione saranno tornati in libertà: ci si riferisce non tanto al MASSIMI, quanto a Valerio FIORAVANTI. Si è visto ancora come, dopo la scarcerazione del CALORE nel novembre del '79, il SIGNORELLI gli avesse



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(237) - Grazie al SIGNORELLI, Paolo ALEANDRI -per citare un esempio- entra in contatto con Enzo Maria DANTINI (vu 8/1/88, p42), con Marcello IANNILLI e Lele MACCHI (EA, V10/a-4, C190/3/1, p118).
(238) - ALEANDRI, in EA, V10/a-4, C190/3/2, p1 verso: "...Il SIGNORELLI, quasi una volta al mese o ogni due mesi, si recava in giro perl'Italia per mantenere i rapporti." Vale la pena di ricordare il viaggio dell'estate '78 in Sicilia, ove il SIGNORELLI e l'ALEANDRI furono ospiti di INCARDONA (cfr. vu 7/1/88, p43): viaggio non solo ricreativo, ma destinato a "ristabilire o comunque approfondire contatti con gruppi locali che facevano riferimento a INCARDONA"; ancora, la visita `pastorale' a radio Mantakas di cui si è detto sub 2.1.2.6.2.1); infine, l'incontro ad Arquà Petrarca col FACHINI, nella primavera dell'80, nel periodo in cui il SIGNORELLI era nel Ferrarese, ospite di Gianni ANDREOTTI (cfr. vu 26/3/87, p23 e vu 14/5/87, p19). proposto di riprendere i contatti. E, dalle dichiarazioni del FRATINI, è dato sapere come, in epoca che si colloca nel periodo di piena attività della banda armata oggetto di giudizio, l'odierno imputato proseguisse indefessamente l'attività eversiva: sul piano del proselitismo; della propaganda della lotta armata, con l'indicazione di

specifici obiettivi, quali la persona del dott. AMATO; della concreta operatività, attesa la richiesta, rivolta al FRATINI, di conservare armi e documenti.


La centralità della figura del SIGNORELLI rispetto alla tramadei rapporti che si intrecciano nella banda armata in esame si evince, sorprendentemente, dalle parole di Valerio FIORAVANTI. Così quest'ultimo al PUBBLICO MINISTERO di Roma, il 25/10/1985 (239): "...FACHINI non mi conosceva anche se ai primi del 1980, per il tramite del SIGNORELLI cercò di contattarmi..." Poco importa che il FIORAVANTI, mentendo, neghi d'aver avuto rapporti operativi col FACHINI. Ciò che qui rileva è l'ammissione della circostanza che quest'ultimo, per ragioni sulle quali sarebbe superfluo

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(239) - IA, V9/a-2, C29/c, pp. 11 e 22.


indugiare -vista l'abissale diversità dei due personaggi dal punto di vista umano e culturale, e la loro capacità di convergere invece sul piano operativo in azioni come la strage del 2 agosto- cercasse il contatto con il giovane `spontaneista' e che tramite del contatto avrebbe dovuto essere Paolo SIGNORELLI.


Ma che il SIGNORELLI fosse in grado di porsi come punto di
sicuro riferimento rispetto ad una complessa ed articolata realtà eversiva, e che sia improponibile ogni interpretazione riduttiva del ruolo del personaggio, volta a privilegiarne la teatralità e l'ambiguità, a dispetto della reale capacità di incidere sulle scelte concrete, è dimostrato dalla vicenda dell'omicidio del dott. AMATO.


Occorre qui ricordare che già nel 1978, su Costruiamo l'Azione, comparivano le seguenti proposizioni (240): "...Basta quindi di considerare la casta dei togati come formata da vittime: essa è popolata della peggior specie di


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(240) - Cfr. RA, V6, C275, p85. Il brano è inserito in un articolo intitolato "MAGISTRATURA" e sottotitolato "La legge non è apolitica ma espressione della classe dominante". Vi si legge ancora: "...attraverso il processo borghese, la magistratura, attua la repressione contro gli oppositori del regime, e con il consenso di tutti i cosiddetti benpensanti..."


servi e lacché, che più collaborano alla repressione dei rivoluzionari tanto crescono di grado e di prestigio. Contro servi di tale risma, i rivoluzionari, sanno cosa c'è da fare! Ed, in molti, si sono accorti che, questa, non è solo un'oscura minaccia..."


Non è chi non colga in queste parole l'esplicita
affermazione ed esaltazione dell'attività terroristica e dell'omicidio, ed il riferimento all'assassinio del dott. OCCORSIO (241). Il passo in questione, della cui riconducibilità al SIGNORELLI -quantomeno nel senso che egli, che comunque lo lasciò pubblicare sulla rivista, ne condivideva il contenuto- non è lecito dubitare (242), costituisce, al tempo stesso, un formidabile riscontro documentale alla testimonianza del FRATINI, ed un punto fermo per datare -con un `terminus post quem'- un certo tipo di predicazione, anche se, dato il veicolo di diffusione,

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(241) - Della posizione processuale del SIGNORELLI in relazionea tale vicenda si è già detto.
Non possono sfuggire le analogie di contenuto fra il brano di Costruiamo l'Azione sopra riportato ed il volantino con cui fu rivendicato l'omicidio del dott. OCCORSIO.
(242) -Cfr. le argomentate motivazioni -che questa Corte fa proprie- di cui in AA, V11, C68, pp. 281-285, a dimostrazione dell'assunto che il SIGNORELLI condividesse appieno il contenuto del brano di stampa.


non in forma mirata contro il singolo magistrato.


Si è detto altrove delle ragioni per cui un certo ambiente, opportunamente sensibilizzato, venne focalizzando le sue
attenzioni sul dott. AMATO. Qui va rilevato che l'omicidio
fu consumato dal gruppo del FIORAVANTI. Ora, costui, che in seguito provvide anche ai pedinamenti, si era personalmente
adoperato per l'identificazione dell'autovettura del magistrato sin dal febbraio 1980 (243): e che nel febbraio del 1980 egli fosse ancora in contatto con il SIGNORELLI è ammesso -lo si è visto- da quest'ultimo imputato (244). Ma v'è un altro gruppo che conduce un'`inchiesta' sul dott. AMATO, e cioè, fuor di metafora, effettua pedinamenti in vista dell'assassinio. Ed è un gruppo che -in questo caso senza misteri- fa riferimento al SIGNORELLI. Dall'interrogatorio reso in aula da Stefano SODERINI (245): "...Io ho saputo informalmente da CIAVARDINI che mi confidò che anche il gruppo di SIGNORELLI, SCARANO e il suo gruppo stavano svolgendo un inchiesta per acquisire delle



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(243) - Cfr. IA, V9/a-2, C29/a, pp. 6, 23 verso e 24 recto e verso, 115 e 116, 134.
(244)- Cfr. supra, sub 2.2.5.3), nota (142).
(245) -Cfr. vu 2/11/87, pp. 66/67. informazioni sul giudice Mario AMATO...Nel nostro ambiente il termine inchiesta voleva significare l'assumere informazioni su di una persona per portare a compimento l'attentato...lui" (il CIAVARDINI) "faceva particolare riferimento a Pierluigi SCARANO che lui soprannominava Zeffirino e fece la battuta come per dire: `arriveremo prima
noi' o qualcosa del genere..." (246)


Sui collegamenti SIGNORELLI-SCARANO nulla di più esplicito delle parole degli interessati. Paolo SIGNORELLI (247): "...SCARANO lo considero come un figlio..."; Pierluigi SCARANO (248): "...Sono dieci anni che frequento Paolo SIGNORELLI e la sua famiglia, anche attualmente ho rapporti con la famiglia..."


E' lo SCARANO -personaggio al centro dell'esperienza delle Comunità Organiche di Popolo (249)- una creatura del SIGNORELLI (250). Era dunque un destinatario ideale delle direttive `strategiche' dell'odierno imputato.




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(246) - Dicendo "noi" il CIAVARDINI alludeva evidentemente al gruppo FIORAVANTI, del quale già faceva parte.
(247) - Cfr. vu 12/5/87, p35.
(248) - Cfr. vu 26/11/87, p840.
(249) - Cfr. AA, V1, C1/3, p644.
(250) - Cfr. anche NAPOLI, in IA, V9/a-1, C7, p20.


Le dichiarazioni del SODERINI, quelle del FRATINI, la responsabilità del FIORAVANTI nell'assassinio del dott. AMATO interpretata alla stregua dei rapporti FIORAVANTI-SIGNORELLI, nonché il brano di Costruiamo l'Azione sopra citato si fondono in un mosaico probatorio (251) i cui

elementi sono idonei a corroborarsi a vicenda: si coglie in esso non solo la diffusività del messaggio di morte lanciato


dal SIGNORELLI nell'ambiente che a lui fa capo, ma anche tutta la sua decisiva incidenza. L'istigazione produce i suoi frutti perversi: sotto la nefasta influenza del professore, alla fine due gruppi sono in corsa verso il traguardo dell'assassinio del dott. AMATO. Solo la superiore efficienza `militare' e la maggior determinazione del gruppo FIORAVANTIfarà sì che il magistrato cada sotto il piombo di Gilberto CAVALLINI.


Non v'è soluzione di continuità nel percorso eversivo di Paolo SIGNORELLI, prima e dopo il formarsi della banda

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(251) - A tale compendio non resta estraneo neppure il contributo di Paolo ALEANDRI (cfr. vu 8/1/88, p29), le cui residue incertezze circa l'identità del magistrato sul conto del quale il SIGNORELLI aveva affidato l'`inchiesta' allo SCARANO sono superabili attraverso le altre acquisizioni, e, segnatamente, attraverso le dichiarazioni del SODERINI e la tragica eloquenza dell'obiettivo effettivamente attinto dal gruppo che seppe colpire prima.


armata oggetto di giudizio. Politicamente sopravvissuto alle
varie vicende di cui si è detto, costui investe nella nuova organizzazione che nasce alla fine del '79 tutto il suo
patrimonio di esperienze, l'ascendente di cui -a dispetto di
molte proclamazioni- è ancora dotato, la capacità di mediare fra generazioni diverse, di vestire di nuove tattiche le vecchie strategie, nonché la `felice' intuizione circa le formidabili attitudini militari di Valerio FIORAVANTI.


L'ipotesi accusatoria formulata ex art. 306 I comma del Codice Penale resta pienamente verificata.



2.2.5.7.5) Massimiliano FACHINI


Si è avuta occasione di vedere, sub 2.1.2.8.1), come la vocazione eversiva e dinamitarda del FACHINI affondi le radici in epoca lontana. A far tempo da una certa data, poi, la parabola `politica' del prevenuto si snoda con andamento tendenzialmente parallelo a quella del coimputato SIGNORELLI. Presente alla riunione di Albano Laziale, il FACHINI si viene in seguito a trovare al centro dell'esperienza di Costruiamo l'Azione, la cui natura -anche a prescindere dall'attività `operativa' del gruppo che in essa si riconosce- già emerge dalla semplice lettura della rivista (252).


Ma il FACHINI ha un ruolo di tutt'altro spessore: fornisce esplosivo (253) ed armi (254). Con l'esplosivo di sua diretta provenienza viene realizzato l'attentato al


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(252) - Cfr. vu, 14/4/87, pp. 27-73. Un florilegio di citazioni trascelte dai vari numeri della rivista trovasi in RE, pp. 76-79.
(253)- Cfr. le fonti citate in proposito sub 2.1.2.8.2).
(254) -Occorre richiamare qui quanto detto sub 2.2.5.5), lettera f) e le fonti citate alla nota (211). In quella sede si sottolineava la disponibilità di armi da parte del FACHINI. Qui va evidenziato, l'ulteriore aspetto, desumibile dalle medesime fonti, della fornitura di armi da parte del'imputato ai suoi accoliti romani.


Campidoglio siglato M.R.P. (255). Dispone di un'officina o laboratorio per la modifica delle armi.


In seno a Costruiamo l'Azione, partecipa all'attività didattica in materia esplosivistica (256).


E' tra i redattori dei `Fogli d'ordini' di Ordine Nuovo.


Promuove (257) la campagna di attentati non rivendicati del 1978.


Introduce il latitante Gilberto CAVALLINI nell'ambiente di Costruiamo l'Azione, presentandolo ai camerati romani.


Divide con il SIGNORELLI l'obiettivo di egemonizzare


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(255) - Così Paolo ALEANDRI, in vu 7/1/88, p24: "...posso dire sicuramente che per quello al Campidoglio, l'esplosivo usato era di provenienza FACHINI, che era un esplosivo particolare che ho già descritto, che aveva bisogno di preinnesco..." L'esplosivo in questione fu ritirato dall'ALEANDRI, in Padova, direttamente dalle mani del FACHINI (cfr., per questa ed ulteriori precisazioni, vu 8/1/88, pp. 141-142). La fornitura costò al FACHINI le imputazioni di cui ai capi da 345) a 349) nel proc. pen. n. 1364/81/A R.G.G.I. Roma (AA, V1, C1/1, pp. 200-202), imputazioni relative all'attentato alla Sala Consiliare del Campidoglio.
(256) -Cfr. ALEANDRI, in vu 8/1/88, pp. 159-160 e CALORE, in vu 9/12/87, p50.
(257) -Le indicazioni circa la sollecitazione, da parte del FACHINI, a mettere in atto una campagna di attentati da non rivendicare, a fini di campionatura dell'ambiente, provengono da Sergio CALORE, ma trovano conforto logico in una serie di circostanze che vanno unitariamente valutate: le veste di stratega `politico' del FACHINI; la fornitura di esplosivo da parte del FACHINI, attraverso la persona del RAHO, anche nel 1978; la partecipazione del FACHINI all'attività didattica in materia esplosivistica nell'ambito di Costruiamo l'Azione; l'esser stata effettivamente posta in essere, da parte di membri del gruppo, la campagna di attentati non rivendicatinell'estate del 1978.


l'ambiente giovanile di Terza Posizione.


E' al centro del progetto di attentato ad un magistrato veneto, da rivendicare falsamente a nome delle Brigate Rosse: progetto che, coltivato già nel 1979, viene ulteriormente perseguito e messo a punto nell'ambito della strategia della banda armata oggetto di giudizio e nell'arco di tempo di attività della medesima. Esso rappresenta il versante `selettivo' della medesima progettualità terroristica la cui `facies' indiscriminata trova espressione nella strage del 2 agosto 1980. Roberto RINANI, infatti, parla a Luigi VETTORE PRESILIO dell'attentato al dott. STIZ e di quello di eccezionale gravità che l'avrebbe preceduto come di due attentati contestualmente progettati dal medesimo gruppo.


Conserva la sua veste di capo indiscusso del `gruppo del
Nord' (258) sino al momento della cattura, e, nel periodo

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(258) - Assai eloquente, circa il ruolo egemone del FACHINI rispetto all'ambiente veneto dell'eversione di destra è la sua partecipazione, come rappresentante del Veneto, alla riunione di Albano Laziale, attesa l'importanza della posta in gioco in quella sede. Che tale ruolo non fosse mai venuto meno neppure in seguito discende da una molteplicità di acquisizioni processuali: cfr. VETTORE PRESILIO, in EA, V10/a-1, C30, p65; ALEANDRI, in vu 8/1/88, p28; NAPOLI, in IA, V9/a-1, C7, pp. 18, 19 e 22.


cuisi riferisce l'imputazione,mantiene i legami conPaolo SIGNORELLI (che incontra nella primavera e dopo la strage,


ed al quale si era rivolto già agli inizi del 1980, per esser messo in contatto con Valerio FIORAVANTI) e con
Gilberto CAVALLINI, entrando in collegamento con lo stesso Valerio FIORAVANTI (che incontra nel covo padovano del CAVALLINI e con il quale fissa un paio di appuntamenti in Roma attorno alla metà del 1980).


Sul conto dell'imputato, accanto ad altre innumerevoli acquisizioni, si segnalano le seguenti dichiarazioni di Valerio FIORAVANTI (259), che certamente non è sospetto di essere un `pentito': "...Il CAVALLINI...lo conosceva assai bene anche perché se non vado errato aveva fatto con lui un paio di rapine in Veneto...il FACHINI gestiva anche la casa editrice di FREDA e quindi poteva contare anche su un'attività palese non illecita...In carcere ho appreso dal CALORE di timer consegnati dal FACHINI e di esplosivo. Mi è sembrato chiaro che il FACHINI tendeva ad implicare anche il
CALORE e gli altri in una riedizione della strategia della


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(259) - Cfr. IA, V9/a-2, C29/c, pp. 11-13 e 22-23.


tensione.


Ne parlai con il CALORE ma questi mi disse che si trattava a sua avviso di una pura coincidenza...il CALORE dovrebbe ammettere di essersi lasciato fuorviare lui stesso da `un certo tipo di rivoluzionari'..."


Simili affermazioni possono indurre sconcerto, per il fatto
di provenire da colui che proprio con il FACHINI concorre nella più sanguinosa strage posta in essere in Europa in tempo di pace. Ma il FIORAVANTI deve rivendicare sino all'ultimo il suo ruolo di spontaneista, impegnato in una guerra di `puri' contro lo Stato e le dichiarazioni sopra trascritte vanno lette, depurandole idealmente dalla presa di distanze del FIORAVANTI rispetto al FACHINI, presentato come uno pseudorivoluzionario. Ciò che rileva, tuttavia, al di là dell'atteggiamento di condanna, che suona strumentale, è il contenuto intrinsecamente accusatorio delle parole di Valerio FIORAVANTI.


A far tempo dall'esperienza di Costruiamo l'Azione e fino alla cattura, non v'è soluzione di continuità nell'`iter' eversivo del FACHINI. All'epoca del sequestro di Paolo ALEANDRI, la `leadership' dell'imputato è ancora indiscussa,
se a lui si rivolge Marcello IANNILLI, per sapere se il sequestrato debba sopravvivere o essere giustiziato.


In epoca collocabile attorno agli inizi dell'80 si pongono sia la ricerca del FIORAVANTI tramite il SIGNORELLI, sia gli incontri in Padova con il CAVALLINI e lo stesso
FIORAVANTI: fatti assai significativi, nella misura in cui evidenziano l'adoperarsi del FACHINI per intrecciare determinate relazioni, proprio nell'epoca in cui la banda armata si viene formando. Tale attività, in quanto rientrante in un ampio concetto di arruolamento e di creazione dei quadri, va sussunta, sotto il profilo della promozione e della costituzione, nella fattispecie di cui al 1° comma dell'art. 306.


Il progetto di attentare alla vita del dott. STIZ -progetto di cui il FACHINI è fautore- proprio in quanto coltivato già nel 1979 e soltanto nel giugno del 1980 ormai messo a punto per essere eseguito entro il settembre, attraversa tutta la vita della banda armata.


Ritroviamo il FACHINI, all'acme dell'attività terroristica della banda armata, coinvolto nell'attentato che della

strategia della banda rappresenta la massima espressione; attentato per la cui realizzazione si rivela indispensabile la figura del prevenuto, che interviene nella fase dell'ideazione e della preparazione, che procaccia esplosivo e gestisce l'arsenale: che svolge dunque
molteplici ruoli tecnicamente inquadrabili nell'attività dell'organizzatore.


Il FACHINI va dichiarato responsabile del delitto di cui al capo 2) della rubrica, così come contestatogli.


2.2.5.7.6) Egidio GIULIANI


Ebbe a suo tempo a riferire Paolo ALEANDRI (260), a proposito dell'atteggiamento di Costruiamo l'Azione verso gli altri gruppi: "...si tentava di costituire un'area di consensi il più estesa possibile al fine di evitare inutili doppioni e coordinare l'attività dei singoli gruppi da un punto di vista esclusivamente politico lasciando mano libera per le singole azioni. Prova della riuscita di tale progettualità, che era comune a tutti...è costituita

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(260) - EA, V10/a-4, C190/3/1, p110.


dall'attentato alla Honeiwell realizzato, come mi riferì
Bruno MARIANI, dal gruppo di Egidio GIULIANI, il quale ultimo malgrado avesse in quel momento totale autonomia operativa, utilizzò per rivendicare il gesto, un simbolo grafico apparso su Costruiamo l'Azione, e cioè una mano che impugnava un mitra..."


Va detto che l'attentato (261), per il quale il GIULIANI,

nel relativo dibattimento, si rese confesso (262), fu effettivamente rivendicato con un volantino redatto su fogli di carta recanti in calce il disegno di "un mitra stretto da una mano" (263).


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(261) - Per il quale, cfr. la sentenza in AAD, V10, C5 bis, capi d'imputazione 11), 12) e 13), pp. 2 ss. e 69 ss. della parte motiva. Il fatto risale al 3/12/1978
e fu rivendicato con la sigla M.A.A.: Movimento Armato Antiimperialista. Se ne resero responsabili, oltre al GIULIANI, Armando COLANTONI, Paola CENTI, Bruno HASSEMER, Marco GUERRA ed altri. La mattina di domenica 3/12/78, verso le sei, due persone arnate di pistole, vestite di camici in tutto simili a quelli indossati dai tecnici dell'Honeywell, con il volto coperto da passamontagna, facevano irruzione nei locali del centro dove immobilizzavano, sotto la minaccia delle armi, i due tecnici dipendenti della Honeywell presenti in quel momento, GIULIANI Egidio (che poi risulterà esser partecipe del piano delittuoso) e LOBBERTO Salvatore, legandoli con manette e nastro adesivo. Coadiuvati da un terzo, sopraggiunto qualche minuto dopo, disarmato ma indossante anch'egli camice e passamontagna, gli aggressori sottraevano 8.504 moduli di patenti per autoveicoli e 13.830 moduli per carte di circolazione. Quindi, allontanati dagli impianti i due tecnici, cospargevano di benzina macchinari e arredi, dando fuoco a tutto.
Il testo del volantino di rivendicazione è trascritto in AAD, V10, C5 bis, p4.
(262) - Cfr. AAD, V10, C5 bis, p14 (263) - Cfr. AAD, V10, C5 bis, p4.


All'epoca, il GIULIANI era dipendente della Honeywell, ed il movente dell'azione fu certamente anche quello di coprire il furto di moduli per patenti e carte di circolazione commesso precedentemente dal GIULIANI all'interno dell'azienda (264), nonché quello di acquisire altra documentazione di questo tipo. Ma che il movente primario fosse quello politico, secondo un'ispirazione assonante con quella di Costruiamo l'Azione, è emerso con tutta chiarezza nel procedimento cosiddetto `della banda GIULIANI'(265).


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(264) - Cfr. AAD, V10, C5 bis, capo d'imputazione n. 14).
(265)- Cfr. la sentenza della Corte d'Assise di Roma in AAD, V10, C5 bis, pp. 69-78 e, in particolare, nella parte che qui di seguito si trascrive, tratta dalle pp. 75-77: "...Sta di fatto che il GIULIANI -venuto allo scoperto nel dibattimento- non solo ha rivendicato asé l'organizzazione e la promozione dell'attentato, ma ha affermato, senza mezzi termini, il suo senso politico, dichiarando di avere condiviso allora e di condividere ancora oggi in pieno le proposizioni politiche della rivendicazione allora divulgata...Quanto all'attentato alla Honeywell, esso si era collocato in questa strategia di lotta allo Stato, alle sue istituzioni e alla sua organizzazione di controllo della gente...certo è che la sua linea politica" (del GIULIANI) "e quella della rivendicazione dell'attentato alla Honeywell trovavano puntuale corrispondenza e richiamo in quella che veniva espressa nel n. 5 di quel foglio" (si allude a Costruiamo l'Azione) "...con l'articolo intitolato `Chiarezza'." In tale articolo (cfr. vu 14/4/87, p35) testualmente si affermava: "...Non sono deficienti, sono luridi servi di questo sistema. Su questi episodi di provocazione se ne inseriscono altri che con criminale determinazione perseguono lo scopo di far riesplodere la violenza a doppio segno. E mentre lo Stato si vede colpire direttamente, mentre le scorte vengono attaccate ed i calcolatori bruciati, ecco che muore ZINI che fa ricordare ROSSI, CIAVATTA e tutti gli altri macellati da questa logica che ancora ostinatamente si tenta di contrabbandare per rivoluzione. E non muoiono più poliziotti ed i bei calcolatori" (segue)


Ebbe ancora a dichiarare l'ALEANDRI (266): "...GIULIANI si riconosceva nel 1979 all'interno di `Costruiamo l'Azione' ed aveva rapporti anche con me, anche se manteneva una sua autonomia..." Si tratta di affermazioni riscontrate dal fatto della comune partecipazione dell'ALEANDRI, di Marcello IANNILLI e Bruno MARIANI da una parte, e di Egidio GIULIANI, Armando COLANTONI e Marco GUERRA dall'altra, alla rapina della Banca del Mattatoio di Roma, perpetrata il 21/8/1979.


Che tale rapina non abbia rappresentato un episodio

sporadico, ma che il legame tra il GIULIANI e gli `operativi' di Costruiamo l'Azione si sia rinsaldato e protratto nel tempo, anche dopo l'estromissione dal gruppo dell'ALEANDRI, e che, attraverso il collegamento privilegiato -creatosi in tale contesto- fra il CAVALLINI ed



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(segue) "lucidi marciano a tutto vapore schedando e preparando il Cile..." Argomenta la Corte romana: "...Il brano riportato non ha necessità di commento, ma la perfetta coincidenza della linea politica della rivendicazione dell'attentato, di quella rivendicata a sé dal GIULIANI e riportata anche a quella data, e di quella del movimento`Costruiamo l'Azione', non può essere casuale. Essa mostra quale linea politica il GIULIANI perseguiva e nella quale egli intendeva inserire quel gruppo armato, politicamente non ancora ben definito e non omogeneo, ma nel quale la sua personalità si imponeva riuscendo -anche in grazia dei vincoli amicali- a farlo coagulare attorno a un'impresa di rilevante senso politico-eversivo..." (266)- Cfr. Cal., V5, C3, p13.


GIULIANI, si siano venute ponendo le premesse di dell'ingresso del GIULIANI nella banda armata oggetto di giudizio, è dimostrato da una serie di circostanze il cui rilievo probatorio nel senso testé indicato discende dalla loro valutazione globale e dall'apprezzamento della loro interazione. Il 6/11/1979 Egidio GIULIANI ed altri componenti del gruppo a lui facente capo commettono la rapina in danno della filiale di Vitinia della Cassa di Risparmio di Roma in concorso con Bruno MARIANI e Marcello IANNILLI. Il 13 novembre viene scarcerato Sergio CALORE, che di lì a poco viene condotto a visionare il covo di via Prenestina, ove la fusione del `gruppo GIULIANI' e dei resti degli `operativi' di Costruiamo l'Azione ha trovato la sua materiale espressione nella messa in comune dei rispettivi armamenti. Sempre nell'autunno Bruno MARIANI pone in contatto, presentandoli l'uno all'altro, Egidio GIULIANI e Gilberto CAVALLINI. Ne nasce un proficuo rapporto di collaborazione, al punto che, nel breve periodo di libertà del CALORE, fra il novembre ed il dicembre, il CAVALLINI, per riciclare l'oro rapinato dal GIULIANI all'orefice MARDOCHAI, faceva la spola tra Roma e Padova, ove il CAVALLINI era in contatto con il gruppo di cui il GIULIANI aveva sempre parlato ai suoi sodali in termini elogiativi. L'attività di riciclaggio si protrasse almeno sino al febbraio del 1980.


In questo quadro si innestano unaserie di dichiarazioni provenienti da una molteplicità di soggetti processuali. Cristiano FIORAVANTI (267): "...per quanto concerne documenti soltanto io avevo fatto ricorso a SPARTI, dato che Valerio, non fidandosi di affidarsi a delinquenti comuni, usava rivolgersia Egidio GIULIANI tramite il CAVALLINI; forse, soltantoin caso di estrema necessità poteva andare dallo SPARTI..."


Laura LAURICELLA (268): "Mi risulta che il GIULIANI abbia conosciuto il CAVALLINI come GIGI, persona facente parte degli ambienti di destra. Io lo conobbi due o tre anni fa e non so se Egidio lo conoscesse da maggior tempo. Egidio forniva a CAVALLINI documenti falsi e le targhe false necessarie per la carrozzeria di Milano e per altri scopi.

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(267) - EA, V10/a4, C163/1, p4 recto. Cfr. anche vu 1/12/87,
p20.
(268) - Cfr. EA, V10/a-4, C163/1, p55, e vu 6/10/87, p84. Non mi risulta che Egidio sia andato a Milano per tale
scopo, mentre, quando CAVALLINI aveva bisogno, o veniva personalmente o mandava Mario ROSSI. Vi fu un periodo durante il quale il CAVALLINI si rivolse ad altro falsario di CENTOCELLE per le targhe, dato che la macchina stampatrice di Egidio non funzionò per alcuni mesi, in un periodo che si colloca tra la seconda metà del 1980 e gli inizi del 1981..."


Marco GUERRA (269): "Ho conosciuto Egidio GIULIANI e Luca ONESTI nel 1974-75 presso la Sezione del M.S.I. di via Noto...Intorno al 1976 mi allontanai dagli ambienti del M.S.I. per dissidi di carattere ideologico e per ragioni personali. Nel luglio-agosto 1978 venni avvicinato dal GIULIANI, da Armando COLANTONI e da Luca ONESTI...ad un certo punto GIULIANI mi prese in disparte facendomipresente che era sua intenzione dar vita a più gruppi tra loro autonomi ma pur sempre collegati sul piano operativo al fine di rendere più incisiva la lotta politica...Mi fece presente

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(269) - AA, V8, C46, pp. 43-46. Il GUERRA, già componente della `Banda GIULIANI', dopo il fermo "ha reso confessione dei reati commessi e ha prestato agli inquirenti la sua collaborazione", meritandosi l'attenuante di cui all'art. 3 I comma L. 304/82 (cfr. AAD, V10, C5 bis, p132).


che era sua intenzione collocarsi in un'area di `autonomia


fascista', disancorata da qualsiasi movimento più o meno ufficiale quali anche Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Mi disse in sostanza che occorreva realizzare due fasi di lotta: una strumentale, volta a finanziare i diversi gruppi anche con azioni delittuose e a procacciare documenti falsi; l'altra più squisitamente politica, senza peraltro fornirmi precisazioni circa quest'ultima fase che doveva chiaramente essere di carattere rivoluzionario...Egidio commentò favorevolmente l'azione che doveva colpire l'Avv. ARCANGELI in quanto quest'ultimo era un infame perché aveva consentito l'arresto di CONCUTELLI" (270)


Ancora il GUERRA: "...Secondo quanto fattomi capire dallo stesso Egidio, la rapina ai danni dell'arabo era stata studiata da un altro gruppo e lui era stato invitato a partecipare all'azione proprio perché doveva fornire armi e silenziatori...Malgrado l'ingente quantitativo di denaro e di armi ed esplosivo che Egidio all'epoca già aveva, lo stesso ci disse che non eravamo ancora pronti alla seconda

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(270) - Di tale ultima circostanza il GUERRA non serbava memoria in giudizio: cfr. vu 6/10/87, pp. 26-27.


fase di lotta di cui ho già fatto cenno...Egidio aveva


procurato al suo gruppo un notevole quantitativo di armi ed esplosivo. Per quanto riguarda le armi esse provenivano dal citato gruppo di Latina" (271) "che in cambio pretendeva o esplosivo o denaro contante; altre armi erano state procurate dal Gigi citato " (272) "...Lo stesso Egidio ebbe anche a riferirmi che nell'ambito dell'attività preparatoria della seconda fase rivoluzionaria era entrato in contatto anche con elementi dell'eversione di sinistra...Egidio era molto esperto in materia di armi ed esplosivi...Egidio era molto abile nel confezionare silenziatori...Egidio ci disse che Gigi gli aveva richiesto silenziatori; ciò nel periodo marzo aprile 1980..."


Di nuovo il GUERRA, in altro interrogatorio (273): "...Il MARIANI stesso mi ha riferito che il GIULIANI preparò per suo conto un ordigno esplosivo ed un timer che venne poi utilizzato per la consumazione di uno degli attentati

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(271) -In altra parte del verbale, il GUERRA aveva fatto cenno di altri gruppi, cui il GIULIANI avrebbe dovuto fonire "l'indispensabile copertura", da intendersi come fornitura di mezzi operativi: il gruppo di Luca ONESTI, un gruppo di "fascisti di Latina", un altro di Aprilia. Rispetto agli stessi, il GIULIANI veniva dunque a porsi come un coordinatore logistico
(272) -Si tratta di Gilberto CAVALLINI.
(273) -Cfr. AA, V8, C46, p89, nonché vu 6/10/87, p28.


rivendicati come M.R.P...."


Bruno HASSEMER (274): "...Per quanto concerne l'inserimento di CAVALLINI, quando tornai da militare sapevo che erano stati posti in essere dei contatti con il gruppo CAVALLINI. Per essere più precisi ho appreso in un secondo momento che vi erano dei rapporti e che questi rapporti risalivano ad un periodo di tempo anteriore al 30 luglio 1980, data del mio ritorno dal militare. Pertanto io solo dopo il mio arresto ho avuto notizie su questi rapporti che prima non mi erano noti..."


Armando COLANTONI (275), il 16/4/1981: "...Ad un certo punto, a partire da tre o quattro mesi fa, Egidio -che in virtù della sua militanza di destra aveva rapporti con tali



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(274) - Cfr. EA, V10/a-6, C285, pp. 2-3 e vu 2/11/87, p34. Anch'egli giudicato nel procedimento romano `della Banda GIULIANI',l'HASSEMER, colà "apertosi alla collaborazione, ha successivamente ritrattato le informazioni date nei confronti di complici e altri, tenendo ferma l'ammissione della sua responsabilità e affermando la sua ferma dissociazione dall'eversione" (cfr. AAD, V10, C5 bis, p133). (275) - AA, V8, C46, p250. In giudizio, il COLANTONI si è avvalso della facoltà di non rispondere all'interrogatorio: vu 6/10/87, p87. A sua volta giudicato nel procedimento `della Banda GIULIANI', il COLANTONI, nell'ammettere "specifiche attività inquadrabili nell'adesione a una formazione sovversiva armata", ha tenuto "comportamenti di ripudio dell'eversione e della violenza come strumento di lotta politica" (cfr. AAD, V10, C5 bis, p129).


ambienti- iniziò a lavorare sempre più per elementi eversivi di destra, ed in particolare per il gruppo CAVALLINI- FIORAVANTI. Questo divenne in tal modo il cliente esclusivo o comunque più importante di Egidio..."


Valerio FIORAVANTI (276): "...Effettivamente nell'assalto al
Distretto Militare di Padova fu usata una macchina che veniva da Roma e non escludo che le targhe false


provenissero da Egidio GIULIANI o per meglio dire dalla medesima fonte da cui si serviva GIULIANI. Dico questo perché non avevo collegamenti operativi con GIULIANI il quale faceva parte del giro di amicizie di CAVALLINI e non mie..."


Sergio CALORE, in giudizio (277), rispondendo alla domanda se gli risultasse che il GIULIANI forniva documenti falsi al FIORAVANTI ed al CAVALLINI: "Sì, mi risulta da quanto mi hanno detto sia GIULIANI che CAVALLINI."


Dall'interrogatorio dibattimentale di Paolo ALEANDRI (278): "Il Presidente:`...lei parlò di una funzione logistica di GIULIANI, vuole precisare a che cosa si riferiva?' ALEANDRI:

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(276) -IA, V9/a-2, C29, p41.
(277) - Cfr. vu 9/12/87, p47.
(278) - Cfr. vu 7/1/88, p36. `ma quella era un'area abbastanza strana...Nei primi momenti MARIANI ci indicava questi gruppi del Prenestino, questo di GIULIANI soprattutto, come gruppi di sinistra, poi noi scoprimmo che avevano un trascorso ben diverso, però erano operativi anche per l'area della sinistra, nel senso che
GIULIANI costituiva una specie di centro servizi, quindi aveva la possibilità di avere targhe false, documenti falsi, armi, pezzi di ricambio per armi' Il Presidente: `che forniva a voi?' ALEANDRI: `anche a noi, però era...anche esplosivo, comunque era a disposizione anche di gruppi della sinistra di cui io non so moltissimo.'..."


Sulla scorta di tutto quanto precede, si deve affermare che: proveniente dalla destra istituzionale, poi collegato con l'ambiente di Costruiamo l'Azione, nella cui strategia `aperta', tesa al superamento degli steccati ideologici, fondamentalmente si riconosce, il GIULIANI, negli anni 1979-80, e fino all'aprile dell'81, è l'animatore di un gruppo terroristico che l'Istruttore giustamente definisce "dall'ideologia confusa e dai lineamenti torbidi" (279).

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(279) - Significativo, in tal senso, anche il passaggio di Armando COLANTONI e Paola CENTI da posizioni di destra a posizioni di sinistra: cfr. CALORE, in vu 11/12/87, pp. 20-21.


Nello stesso periodo, si pone come coordinatore logistico
di una serie di gruppi chea lui fanno capo,e viene acquisendo enormi quantitativi di armi, munizioni, denaro, documenti e targhe false. In quest'ottica, si lega stabilmente anche al gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI, e cioè


all'asse `militare' della banda armata oggetto di giudizio, mantenendo i collegamenti e fornendo la necessaria collaborazione per il tramite di Gilberto CAVALLINI, con il quale conserva e sviluppa un rapporto personale nato nell'ambiente di Costruiamo l'Azione e corroboratosi dopo l'esaurimento di quell'esperienza. Al gruppo CAVALLINI- FIORAVANTI fornisce targhe e documenti falsi, essendo costoro abbondantemente dotati di armi, al punto che il CAVALLINI ne cede una parte al GIULIANI, e gliene affida in
custodia altre (280). Peraltro, il CAVALLINI, nel marzo-




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(280) -Per quest'ultimo aspetto, cfr. la sentenza 13/5/87 della 3ª Corte d'Assise di Roma (AAD, V10, C5 bis, pp. 44-45),ove si legge:"...CAVALLINI Gilberto (ud. 31/3/87) ammetteva di avere avuto rapporti di scambio di documenti e di armi con il GIULIANI e specificava che nei primi mesi del 1980 aveva avuto da CONCUTELLI, detenuto...,notizie di armi (un FAL e quattro o cinque pistole P/38) seppellite nei pressi di Roma. Per recuperarle aveva chiesto e ottenuto l'aiuto del GIULIANI, al quale poi ne aveva affidato la custodia. GIULIANI, quanto alle armi confermava l'episodio riferito dal CAVALLINI...In merito alla detenzione di armi riferiva anche," (segue) aprile del 1980, rivolge una richiesta di silenziatori

all'odierno coimputato, che ne è ha disponibilità e provvede


anche personalmente a confezionarli. Il rapporto di fornitura di targhe e documenti falsi in favore del gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI si andrà via via intensificando, al punto che nei primi mesi del 1981 -e cioè in epoca posteriore alla cessazione della banda armata in esame- tale rapporto assumerà addirittura carattere di esclusività o comunque di priorità nell'ambito di quella vera e propria attività imprenditoriale di distribuzione di servizi terroristici che il GIULIANI svolge indefessamente. L'internità del GIULIANI rispetto alla banda armata che qui si giudica va misurata in questi termini: l'imputato fornisce stabilmente un servizio essenziale per l'attività terroristico-eversiva dell'organizzazione; e non vi provvede -come pure si è sostenuto- nell'ottica esclusiva di un


rapporto d'affari. Ha affermato Armando COLANTONI (281),



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(segue) "brevemente, FIORAVANTI Cristiano (udienza 7/4/87) il quale ricordava che dall'estate del 1980 egli era entrato a far parte del gruppo formato dal fratello Valerio, dal CAVALLINI e altri, e che le loro armi erano affidate, tramite il CAVALLINI che teneva i contatti, al GIULIANI, dal momento che in quel periodo essi avevano difficoltà logistiche..." (281) - Cfr. AA, V8, C46, p250. nello stesso contesto in cui ebbe a riferire come il rapporto del GIULIANI con il gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI si fosse venuto evolvendo verso l'esclusività: "...tra l'altro queste persone" (il gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI) "pagavano
molto più della delinquenza comune e dimostravano di avere una enorme disponibilità di denaro..." Che il GIULIANI fosse compensato per determinati servizi non sposta i termini della questione, decisivo e sufficiente essendo invece il rilievo che egli, con piena consapevolezza, pose il suo apparato logistico -durante la vita della banda armata- al servizio di persone che sapeva associate in un programma di violenza eversiva del quale egli era a sua volta partecipe: con ciò stesso venendosi a collocare, in termini penalisticamente rilevanti, all'interno dell'organizzazione. Circa la consapevolezza del vincolo associativo sottostante all'organizzazione, basterebbe rilevare come lo stesso COLANTONI, personaggio gravitante attorno al GIULIANI, vedesse il CAVALLINI ed il FIORAVANTI uniti in un binomio, al punto che proprio il COLANTONI ebbe ad usare la significativa espressione "il gruppo CAVALLINI-FIORAVANTI"; rilevare ancora che il GIULIANI, del resto -come si è visto- non mancava di esprimere apprezzamento nei confronti del "gruppo di Padova"; ed, infine, che anche un subalterno del GIULIANI qual era Marco GUERRA non ignorava come il gruppo
di Padova, del quale faceva parte il CAVALLINI, fosse "capeggiato da Massimo FACHINI" (282). E per quanto attiene alla consapevolezza e volontà, da parte del GIULIANI, di partecipare, con la proprio contributo operativo, ad un'attività terroristico-eversiva, basterebbe osservare che egli, interno da anni agli ambienti dell'eversione neofascista della Capitale, già gravitante nell'orbita di Costruiamo l'Azione, si prodigava nella fornitura di targhe e documenti falsi, e si prestava a custodire armi per conto di personaggi come il CAVALLINI, a sua volta proveniente dall'esperienza di Costruiamo l'Azione e profondamente legato a Massimiliano FACHINI, e come il FIORAVANTI, le cui vocazione ed indole non erano certo ignote al GIULIANI, che ne stigmatizzava gli eccessi. Ma non è necessario percorrere tragitti indiretti. La responsabilità del




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(282) - AA, V8, C46, p89. GIULIANI per l'attentato di Palazzo Marino attesta, con macroscopica evidenza, la piena adesione dell'imputato al programma terroristico-eversivo della banda armata. La verità è che il prevenutocoltivava, almeno a far


tempo dall'attentato alla Honeywell, un programma politico eversivo singolarmente assonante con la linea dell'area di Costruiamo l'Azione; e che in tale programma ancora si riconosceva all'epoca della celebrazione del giudizio, nel procedimento romano cosiddetto `della banda GIULIANI'. Ciò, anche a prescindere dal dato -in sé decisivo- della responsabilità dell'imputato nell'attentato di Palazzo Marino, vale ad inquadrare nella giusta prospettiva la condotta materiale di fornitura di targhe e documenti e di custodia di armi, ed a cogliere il ruolo sostanziale svolto dall'imputato, e lo spirito del suo rapportarsi agli altri membri della banda.


A fronte di tutto quanto precede, non assume alcun rilievo scagionante il fatto che il GIULIANI, nell'82, in un periodo di comune detenzione nel carcere di Novara, abbia aggredito Franco FREDA, con un rudimentale punteruolo, procurandogli leggere lesioni (283): aggressione ufficialmente rivendicata sostenendo essere il FREDA uno di coloro che, "collocandosi parallelamente alle forze spontanee di dissenso svolgono

l'infame compito governativo di screditarne le idee e
l'operato" (284). A ben vedere, l'episodio, sul piano della `ufficialità', non esprime che la volontà di colpire un personaggio sul conto del quale si sono venuti addensando -masiamo al 28 maggio 1982- sospetti di collusione con apparati dello Stato (285) ed il cui carisma, all'epoca, veniva sgretolandosi (286). L'attribuzione al FREDA di un

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(283) - Cfr.la sentenza del Tribunale di Novara prodotta dall'Avv. NASO in sede di discussione (vu 26/4/88, pp. 29-33).
(284) -Il passo tra virgolette, riportato in AAD, V10, C5 bis, p76, è testualmente tratto dal foglio, sequestrato all'epoca al GIULIANI, con il quale egli rivendicava l'aggressione.
(285)- Cfr. anche la sentenza della Suprema Corte, in AAD, V5, C14, p79.
(286) - Così il NAPOLI,in IA,V9/a-1, C7, pp. 31-32: "...So per certo che è intervenuta ad un certo punto tra FREDA e FACHINI una rottura grave e definitiva. MELIOLI infatti, che FREDA aveva incaricato di tenere i contatti con FACHINI per tentare una riconciliazione, mi ha rivelato questi fatti. Non so dire esattamente quando e perché FREDA e FACHINI siano venuti a contrasto. MELIOLI me ne parlò agli inizi del 1982, ma già nel 1981, all'epoca in cui io ero detenuto a Belluno con FACHINI, egli parlava di FREDA come `di un benemerito testa di cazzo' e lo definiva `teorico da salotto'. Tali frasi dette da FACHINI sono inequivocabili. FACHINI alluse anche alla circostanza che FREDA non si era comportato bene nel corso dei suoi interrogatori facendo delle ammissioni. MELIOLI mi disse che FREDA nel cercare una riconciliazione con FACHINI gli spiegò i motivi della rottura e si mostrava preoccupato per la propria incolumità a causa del contrasto con FACHINI..." Cfr. anche vu 26/11/87, pp. 866-867.


ruolo di provocazione politica in danno delle "forze spontanee di dissenso", lungi dal dimostrare l'assenza di una vocazione terroristico-eversiva del GIULIANI, tenderebbe piuttosto a rivendicare la presunta `purezza' della scelta


rivoluzionaria dell'imputato. In ogni caso -lo si ripete- siamo nel maggio del 1982. Prima che il prestigio del FREDA si incrinasse agli occhi dei militanti della destra eversiva, il GIULIANI non aveva certo arricciato il naso nell'intrattenere strettissimi rapporti operativi con quel Benito ALLATTA che, assieme a Massimiliano FACHINI e ad altri, aveva procurato l'allontanamento del FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro.


La presenza del GIULIANI nella banda fin dal suo formarsi e la natura dell'attività svolta durante la vita dell'organizzazione, dalla contraffazione di documenti di circolazione e di identità personale, alla custodia di armi, alla fornitura di esplosivo (per l'attentato di Palazzo Marino) impongono di ritenere verificata l'ipotesi accusatoria che vuole la condotta dell'imputato sussunta sotto la norma di cui al 1° comma dell'art 306 Codice Penale.


2.2.5.7.7) Roberto RINANI


Come si è visto in altra parte della trattazione (287),

già prima del formarsi della banda armata oggetto di giudizio, è legato a doppio filo al FACHINI all'interno della cellula veneta o `gruppo del Nord' che il FACHINI capeggia. Nel giugno dell'80 fu in grado di anticipare al VETTORE PRESILIO (288) che il gruppo cui apparteneva avrebbe compiuto l'attentato al giudice STIZ entro settembre, e, prima ancora, avrebbe posto in essere altro attentato di eccezionale gravità, pacificamente identificabile, `a posteriori', con la strage del 2 agosto. Con specifico riferimento all'attentato al dott. STIZ, ebbe a fornire indicazioni anche in ordine alle modalità esecutive. Era dunque a conoscenza dei programmi della banda armata oggetto di giudizio, della quale il `gruppo del Nord', in cui egli si riconosceva, costituiva un'articolazione.


La previa conoscenza dei fatti riferiti al VETTORE colloca

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(287) - Cfr. supra, sub 2.1.2.8.1).
(288) - Cfr. supra, sub 2.1.2.3.1).


con certezza il RINANI all'interno della banda armata, in quanto -anche a prescindere dal fatto che il prevenuto ne parlò in termini che tradivano la sua adesione al programma
terroristico- non avrebbe potuto altrimenti essere a conoscenza di dettagli esecutivi e addirittura dei periodi per i quali si programmava l'esecuzione degli attentati e dell'ordine nel quale sarebbero stati posti in essere, ma, soprattutto, non avrebbe potuto altrimenti essermesso a parte di un progetto di attentato -quale la strage alla stazione di Bologna- la cui paternità non avrebbe dovuto trapelare al di fuori della strettissima cerchia di persone che in tale progetto si riconoscevano. La natura stessa dell'attentato, l'obiettivo prescelto, l'efferatezza del gesto lo rendevano inconfessabile anche all'interno dell'ambiente dell'eversione neofascista: esso costituiva tipica espressione di quella strategia della non trasparenza, della sorda `escalation', che è peculiare della banda armata in esame. Soltanto un RINANI `scoppiato' poté commettere l'imperdonabile leggerezza di mettere a parte del programma della banda un personaggio come VETTORE PRESILIO, in passato legato agli ambienti dell'eversione padovana, ma comunque estraneo al ristrettissimo novero di coloro che potevano accedere alle informazioni che l'imputato si lasciò

sfuggire.


L'adesione del prevenuto alla banda armata che qui si giudica rappresenta il naturale sviluppo -all'interno della nuova organizzazione nata sul finire del 1979- del suo collegamento eversivo, mai venuto meno, con Massimiliano FACHINI, del quale il RINANI è fedele gregario.


Non emerge dagli atti alcuna attività del RINANI qualificabile ai sensi del 1° comma dell'art. 306 Codice Penale. Neppure risulta provato un suo ruolo di capo. S'impone la derubricazione della fattispecie contestata nel delitto di semplice partecipazione a banda armata. Per effetto di tale derubricazione -tenuto conto dell'assoluzione per il delitto di strage ed i delitti contestuali- deve farsi luogo alla scarcerazione del RINANI, ove egli non sia detenuto per altra causa. Invero, con riferimento al delitto (diverso da quello originariamente contestato) peril qualeil RINANI viene riconosciuto colpevole, i termini massimi di custodia cautelare relativi alla fase processuale compresa fra la chiusura dell'istruttoria e la sentenza di 1° grado sono ormai decorsi; e il Collegio reputa di dover accedere a quell'orientamento della Suprema Corte (289) secondo cui la derubricazione o la diversa qualificazione del fatto operata con sentenza incide immediatamente, non soltanto con riferimento alla successive fasi processuali, ma anche a quella che con la sentenza stessa si chiude. Lo impongono il chiaro disposto letterale dell'art. 275 I comma del Codice di rito e la considerazione che, essendo i termini di custodia rapportati alla gravità del reato attribuito all'imputato, non si vede perché l'intervenuto accertamento giudiziale -sia pure soggetto a gravame da parte dell'accusa- di un reato meno grave di quello originariamente contestato non dovrebbe immediatamente incidere sullo `status libertatis'.


2.2.5.7.8) Sergio PICCIAFUOCO


L'internità del prevenuto alla banda armata oggetto di

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(289) - Cfr., per tutte, Cass., Sez. I, sent. n. 3040 del 14/1/86 -cam. cons. 2/12/85- Pres. Carnevale, imp. Monni. giudizio emerge dalla sinottica valutazione delle
circostanze di cui si è detto sub 2.1.2.6.2), in forza delle quali resta dimostrato il confluire del PICCIAFUOCO, attraverso ambienti di Terza Posizione, nel gruppo
CAVALLINI-FIORAVANTI-MANGIAMELI-VOLO, e della responsabilità del PICCIAFUOCO per la strage di Bologna, che della progettualità della banda rappresenta la suprema
espressione. In sostanza, la dimostrata internità dell'imputato all'area della destra eversiva e, specificamente,i suoi strettissimi legami con il gruppo di fuoco della banda armata in esame, consentono di interpretare la partecipazione all' attentato come espressione di consapevole adesione alla strategia di un gruppo armato in cui il prevenuto si è venuto ad inserire. A fronte di ciò nulla vale obiettare che non emergono tracce di una profonda politicizzazione del PICCIAFUOCO: una volta provata la consapevolezza, da parte dell'imputato, del proprio inserimento in una formazione armata, e la volontà di concorrere a far commettere o -come nel caso di specie- a commettere, all'interno di quella formazione, un crimine come la strage di Bologna, rientrante tra quelli di cui all'art. 302 del Codice Penale, non sposta i termini della questione il fatto che il PICCIAFUOCO possa aver compensato con un'incondizionata disponibilità criminale il divario
che, sul piano della determinazione, si poneva tra lui ed i sodali più marcatamente ideologizzati.


Allo stesso modo che per il RINANI, manca la prova di

condotte idonee a qualificare il PICCIAFUOCO come promotore, costitutore od organizzatore della banda: l'ipotesi contestata va dunque derubricata in quella di cui al 2° comma dell art. 306 Codice Penale.



2.2.5.7.9) Roberto RAHO


E' stato il luogotenente di Massimiliano FACHINI, svolgendo funzioni vicarie nella cura delle relazioni fra il `gruppo del Nord' e gli ambienti della Capitale (290). Con il capo riconosciuto della cellula veneta si è trovato a dividere l'esperienza di Costruiamo l'Azione (291), prendendo parte attiva nella vicenda dell'allontanamento del FREDA (292) dal soggiorno obbligato di Catanzaro, nelle forniture di esplosivo dal `gruppo del Nord' ai camerati romani (293), nei preparativi dell'attentato al dott. STIZ (294), nell'attività didattica in materia esplosivistica (295).


Ai fini che qui rilevano, si tratta di verificare se l'internità del RAHO al `gruppo del Nord' si sia protratta sino all'epoca cui si riferisce l'imputazione di cui al capo


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(290) - Cfr. NAPOLI, in IA, V9/a-1, C7, p61: "...Mi risulta che FACHINI andava spesso a Roma e a Trento; quando non andava personalmente utilizzava RAHO che quantomeno fino al '79 era il suo uomo di fiducia..." Cfr. anche CALORE, in vu 9/12/79, p26, ove fa menzione di un gruppo, formato da RAHO, GRANCONATO e PENNA, "tutti e tre di stretta fiducia di FACHINI".
(291) - Cfr. AA, V1, C1/5, pp. 1131-1135. Il RAHO è addirittura tra i fondatori del movimento identificantesi in Costruiamo l'Azione: cfr. ALEANDRI, in Cal., V5, C3, p83.
(292) -Cfr. supra, sub 2.2.5.2), testo e nota (94).
(293) -Cfr., in particolare, ALEANDRI, in vu 7/1/88, p25, e CALORE, in vu 9/12/87, p20.
(294) -Cfr. supra, sub 2.2.5.4).
(295) -Cfr. ALEANDRI, in vu 8/1/88, p159. Cfr. anche vu 7/1/88, p25. 2) della rubrica, o se il RAHO sia comunque entrato, indipendentemente dal perdurare della sua militanza nella cellula veneta, a far parte della banda armata che qui si giudica. La prima verifica porta alla constatazione della assenza di positivi elementi di prova, mentre la seconda conduce ad un giudizio di insufficienza probatoria. Vengono in considerazione, in proposito, le dichiarazioni di Gianluigi NAPOLI e di Cristiano FIORAVANTI. Così il primo in istruttoria (296): "...Gli uomini più legati al FACHINI erano, oltre a MELIOLI, CAVALLINI,....RAHO che peraltro ho sentito dire si sia distaccato già prima della strage di Bologna per motivi ideologici, anche se era rimasto amico di CAVALLINI col quale ha continuato ad agire..." Ancora (297), dopo aver riferito che il RAHO era stato l'uomo di fiducia del FACHINI quantomeno fino al '79: "Dopo la data indicata il RAHO ha rotto con FACHINI, credo che sia all'estero e che abbia avuto una crisi ideologica". In giudizio (298): "...so che FACHINI era molto amico di Roberto RAHO, a parte che RAHO, ancora prima della strage di Bologna, siccome non gli

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(296) - Cfr. IA, V9/a-1, C7, p22.
(297) - Cfr. IA,V9/a-1, C7, p61.
(298) - Cfr. vu 26/11/87, p870.


stava più bene un rapporto come aveva con FACHINI, ma anche penso per motivi politici, lui si era distaccato da quello
che era il gruppo. Questo ancora prima della strage di Bologna. Che poi dopo sia stato ripescato per episodi vecchi, questo non lo so, comunque questo lo posso dire con estrema certezza..."


Cristiano FIORAVANTI, in istruttoria (299): "...Non ho conosciuto RAO," (sic) "ne ho sentito parlare da CAVALLINI che mi disse che aveva un deposito di armi, murato, da qualche parte. Mi disse che erano armi `nostre' e che RAO" (sic) "le teneva in consegna. A quanto mi disse CAVALLINI, le conservava solo perché era suo amico." Dal verbale dell'interrogatorio dibattimentale dello stesso Cristiano FIORAVANTI (300): "Il Presidente: `cosa le ha detto CAVALLINI a proposito di RAHO e di un certo deposito di armi?' FIORAVANTI Cristiano: `lui parlava, facendo un paragone fra FACHINI e RAHO, dicendo che invece RAHO lo aveva aiutato molto.' Il Presidente: `CAVALLINI diceva che RAHO lo aveva aiutato moltissimo.' FIORAVANTI Cristiano:


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(299) - Cfr. EA, V10/a-4, C163/1, p34.
(300) - Cfr. vu 1/12/87, p22. `sì. E l'aiutava., stava con la moglie e quindi l'aiutava......siccome la moglie era in giro per l'Europa, dice che stava con la moglie quindi l'aiutava tantissimo. E in più aveva questo deposito di armi che aveva murato da

qualche parte.' Il Presidente: `di che armi si trattava? Non come tipo di armi, armi a disposizione di chi?' FIORAVANTI Cristiano: `a disposizione nostra, erano una riserva nostra. Erano tutte le armi rapinate che non utilizzavamo perché erano tante, quindi era un deposito che aveva questo RAHO.'..."


V'è tra le dichiarazioni del NAPOLI e del FIORAVANTI una notevole consonanza. Dal loro complessivo esame emerge che il RAHO si venne progressivamente distaccando dal `leader' del `gruppo del Nord' e dal gruppo stesso, mantenendosi in contatto col solo CAVALLINI. Il particolare della custodia di armi nel deposito murato, in ordine al quale il CAVALLINI non aveva certamente motivo di mentire al sodale FIORAVANTI, trova conforto nella dichiarazione del NAPOLI secondo cui il RAHO continuò "ad agire" col CAVALLINI, ed è logicamente supportato dalla natura dei pregressi rapporti fra il RAHO ed il CAVALLINI nell'ambito di Costruiamo l'Azione.


In sostanza, il distacco del RAHO dal FACHINI e dal gruppo veneto resta ancorato alla dichiarazione del NAPOLI secondo cui tale distacco è avvenuto "già prima della strage di Bologna": dichiarazione generica, riferibile -così come è formulata- anche ad un allontanamento dal gruppo anteriore alla formazione della banda armata in esame.


Il rapporto con il CAVALLINI, fondato sulla perdurante amicizia, ma di contenuto `militare', si protrae invece per tutta la durata della banda armata e anche oltre: basti pensare, in proposito che Cristiano FIORAVANTI potè ricevere determinate informazioni dal CAVALLINI soltanto dopo il 2 agosto 1980, data di scarcerazione dello stesso FIORAVANTI, e che tale rapporto era ancora in essere dopo che la SBROIAVACCA riparò all'estero.


E' a chiedersi se il permanere del collegamento `operativo' che si è visto con un personaggio come il CAVALLINI implichi, in termini di certezza, l'internità anche del RAHO alla banda armata. Va osservato, in proposito, che la pregressa militanza del RAHO all'interno dell'organizzazione e il perdurare del collegamento col CAVALLINI rendevano il RAHO stesso del tutto consapevole dei programmi di coloro per i quali egli custodiva le armi; e che, a ben vedere, una presa di distanze, sul piano ideologico, dal FACHINI non implicava necessariamente il rifiuto `tout court' del disegno eversivo della banda armata, che era la composita risultante di vari apporti, e rappresentava il frutto di un'alleanza nata da esigenze fondamentalmente tattiche. Peraltro, va debitamente evidenziato come sia il NAPOLI che il FIORAVANTI pongano l'accento -quanto al perdurare del rapporto RAHO-CAVALLINI- sul vincolo della solidarietà amicale.


In questo quadro, se l'obiettività del legame e, specificamente della natura dell'attività svolta dal RAHO in favore del CAVALLINI, letta alla luce delle pregresse comuni esperienze, grava pesantemente in capo al RAHO quale probabile espressione di una sua militanza, a fianco del CAVALLINI, nella banda armata, e di una sua almeno parziale adesione al programma eversivo della banda stessa, nondimeno è lecito ipotizzare, in alternativa, che il RAHO abbia tenuto in piedi con l'amico un rapporto di contenuto illecito, ma esclusivamente personale, e prescindente dalla volontà di concorrere a compiere o far compiere all'organizzazione armata attività delittuosa ricadente sotto il dettato dell'art. 302 Codice Penale.


Per quanto precede, va adottata la formula assolutoria dubitativa.


2.2.5.7.10) Giovanni MELIOLI


L'imputato ha scelto una linea difensiva, con la quale, anziché arroccarsi dietro una negativa stereotipa, è sostanzialmente venuto ponendo un diaframma fra il ruolo -nel quale si riconosce- di radicale oppositore del sistema a livello ideologico e culturale, e quello -che gli sarebbe stato infondatamente attribuito- di militante attivo nell'ambito di un'organizzazione armata.


Si tratta di una linea che tiene accortamente conto delle risultanze processuali.In effetti, si rinvengono agli atti una molteplicità di elementi probatori in forza dei quali è dato collocare con certezza il MELIOLI nell'ambiente dell'ultradestra veneta e non soltanto veneta, al centro di una fitta trama di rapporti e in posizione di stretta contiguità politica rispetto a personaggi di indiscusso rilievo eversivo, militanti all'interno di formazioni armate: elementi che, tuttavia, non consentono di formulare -se non in termini di alta probabilità e non di certezza processuale- un giudizio di internità del MELIOLI rispetto alla banda armata oggetto di giudizio. Non è certamente casuale il fatto che in altra sede il prevenuto sia già stato assolto per insufficienza di prove dal reato di ricostituzione del disciolto Partito Fascista (301) e che, nel procedimento romano contro ADDIS + 140, la posizione del MELIOLI si sia presentata, in relazione alle vicende di Costruiamo l'Azione, in termini significativamente assonanti(302) con la posizione dell'imputatonel presente

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(301) - Cfr. RA, V5, C189, pp. 4-5.
(302) - In quel procedimento, il MELIOLI era stato imputato dei delitti di cui agli artt. 270 bis e 306 C.P. Così il PUBBLICO MINISTERO nelle requisitorie scritte rassegnate all'esito dell'istruzione (AA, V1, C1/5, pp. 952-953): "MELIOLI Giovanni Particolarmente delicata è la posizione del MELIOLI per avervi fatto riferimento l'ALEANDRI (cfr. interrogatorio del 10/8/1981) come persona collegata al `gruppo del nord' e da lui stesso conosciuta a Rimini durante un incontro al quale ebbero a partecipare anche FACHINI e CALORE. Incontro che ovviamente si inseriva nel progetto di Costruiamo l'Azione che aveva proprio nel `gruppo del nord' referenti di indiscutibile livello. Il MELIOLI, personaggio di spicco dell'ambiente rodigino,non ha fatto mistero dei suoi rapporti con FACHINI (cfr. l'interrogatorio del 12/11/1982) e non ha" (segue) procedimento.


Al fondo di questa complessiva situazione sta la profonda ambiguità del personaggio MELIOLI, a più riprese efficacemente descritta dal NAPOLI e giustamente definita "strutturale" dal PUBBLICO MINISTERO concludente: ambiguità che nasce dal collocarsiil prevenuto permanentemente al


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(segue) "neppure escluso di aver avuto l'incontro cui ha fatto riferimento l'ALEANDRI. Ha anche riferito di aver ricevuto diverse copie del Giornale Costruiamo l'Azione inviategli a suo dire da Roma perchéritenuto potenzialmente vicino alle tesi del giornale. Il MELIOLI, inoltre, ha tranquillamente ammesso i non recenti rapporti avuti col SIGNORELLI riconoscendo l'immagine del CALORE per quella di una persona da lui conosciuta a Roma. Rovigo è certo stata piazza privilegiata per la diffusione di Costruiamo l'Azione visto che proprio quella è stata l'unica città in cui si verificarono attentati rivendicati con una sigla (Movimento Popolare Rivoluzionario) praticamente identica all'M.R.P. ed in epoca coincidente con gli attentati romani (cfr. rapporto UCIGOS di Rovigo del 24/11/1980). Rovigo è ancora la città in cui presso l'abitazione del NAPOLI vennero rinvenuti gli ormai notissimi `Fogli d'Ordini' del M.P.O.N. e, d'altra parte, la vecchia cellula ordinovista veneta, in persona soprattutto del leader FACHINI, aveva affondato solide radici. Gli elementi d'accusa, quindi, sotto il profilo del quadro d'insieme e sotto quello che più specificamente attinge la posizione dell'imputato, " (sono) "indubbiamente apprezzabili ma a nostro avviso insufficienti per disporre il rinvio a giudizio del MELIOLI. Null'altro se non quell'incontro è emerso dagli interrogatori dell'ALEANDRI e malgrado lo stesso fosse certamente significativo per la qualità dei convenuti ed il periodo in cui ebbe a verificarsi, viene a perdere di univocità probatoria in assenza di ulteriori elementi che valgano a tracciare un ruolo stabile dell'imputato in seno all'associazione. MELIOLI, quindi, pur se colpito da molteplici indizi sfugge ad un'esatta connotazione, restando collocabile in quell'evanescente area di contorno alla iniziativa di Costruiamo l'Azione alla quale non pare aver contribuito in modo apprezzabile. Se ne impone, quindi, il proscioglimento per insufficienza di prove."


centro di un'area politica i cui confini con l'eversione sono assai sfumati, all'incrocio di varie componenti, in posizione privilegiata rispetto al flusso delle notizie anche di estrema riservatezza, avendo cura tuttavia di non impegnarsi mai in attività `operative' in senso stretto e talora prendendo anche le distanze rispetto a determinate azioni e a specifiche espressioni strategiche di un programma politico, senza peraltro mai distaccarsi, in modo risoluto e definitivo, da uomini che egli sa coinvolti in attività terroristiche: attività che quindi, in sostanza, non rinnega.


A proposito dei suoi rapporti col FACHINI, il MELIOLI ha tra l'altro dichiarato (303): "...Con Massimo FACHINI ci conosciamo da 10 anni, erano rapporti di amicizia, di discussione, di collaborazione in altri casi..." Ha ammesso l'imputato la conoscenza del FREDA (304), e -come già si è visto sub 1.11.4.4)- anche del SIGNORELLI,del CALORE, del NAPOLI, del FRIGATO, del GIOMO, di Cristiano DE ECCHER, Roberto RAHO, Carlo Maria MAGGI e Roberto ROMANO.



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(303) - Cfr. vu 14/4/87, p17.
(304) -Cfr. vu 14/4/87, p75.


Ha riferito altresì d'esser stato in collegamento per un certo periodo con il Centro Studi di Ordine Nuovo di Roma, di esser stato in contatto con "amici" di Terza Posizione, di aver conosciuto SALVARANI ed INGRAVALLE, da lui definiti "referenti politici nel Veneto" di quel Movimento, di aver collaborato alla distribuzione delle riviste `Terza Posizione' e `Costruiamo l'Azione'. Si è visto, sub 2.1.2.5.4), come, dopo averlo negato, si sia trovato suo malgrado, in sede di confronto istruttorio con il FIORAVANTI, a dover ammettere d'aver incontrato anche quest'ultimo.


Si tratta di vedere quali specifiche circostanze di fatto siano idonee a riempire di contenuti -significativi ai fini dell'imputazione in esame- il quadro di riferimento, lo sfondo eversivo, la rete di collegamenti che si è venuta così individuando per bocca dello stesso imputato.


Occorre subito chiarire, in proposito, come, fra le indicazioni provenienti dall'accusa non sia utilizzabile -a prescindere dalla questione della sua rispondenza al vero- quella secondo cui il MELIOLI sarebbe stato in qualche misura coinvolto, interessato, o comunque a conoscenza di un progetto di fuga di terroristi -e segnatamente di Gilberto CAVALLINI- da un carcere romano (305). Si tratta, invero, di fatti risalenti alla seconda metà del 1985: separati, dunque, da quelli oggetto di giudizio, da una cesura cronologica tale da non poter essere agli stessi comunque ricollegati in una trama unitaria, e inidonei, quindi, a trarre utili conclusioni sulla posizione dell'imputato all'epoca cui l'imputazione si riferisce.


Neppure è provatoche il prevenuto abbia avuto parte nel trasferimento di una bomba a mano dalla cellula veneta ad ambienti terroristici romani. Della vicenda hanno parlato l'IZZO ed il CALORE. Quest'ultimo non ha affatto nominato il MELIOLI (306). L'IZZO, dal canto suo, ebbe a riferire quanto segue (307): "...Difatti, che un collegamento di vecchia data coinvolga FIORAVANTI con gli ambienti di FACHINI e SIGNORELLLI è provato dal sequestro ad Andrea LITTA MODIGLIANI" (308) "-gravitante nell'area di Costruiamo

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(305) - Cfr. IA, V9/a-1, C7, p33-34 e vu 26/11/87, p856.
(306) -Cfr. IA, V9/a-1 bis, C13/7, p40 e vu 9/12/87, pp. 48-49.
(307) - EB, V3, C68, p64; per il giudizio, cfr. vu 25/11/87, p96.
(308) -Trattasi di Andrea LITTA MODIGNANI.


l'Azione che faceva capo a CALORE e a Bruno MARIANI- di due pistole e di una bomba a mano SRCM che gli era stata consegnata da Bruno MARIANI, che a sua volta l'aveva ricevuta da MELIOLI e FACHINI. La bomba a mano proviene dal furto commesso presso una caserma di Pordenone dal FIORAVANTI..." La notizia circa il coinvolgimento del MELIOLI, appresa dall'IZZO attraverso i passaggi che si son visti, resta disancorata da ogni concreto riferimento, e non riceve il conforto di chi -come il CALORE- è al corrente del medesimo episodio.


E' vero invece che il prevenuto cedette al NAPOLI, perché li leggesse, i `Fogli d'ordini di Ordine Nuovo'. Quanto riferito dal NAPOLI sul punto (309), trae conforto, oltre che dalla circostanza dell'effettivo rivenimento nella sua abitazione dei `Fogli d'ordini' (310), dalla partecipazione del FACHINI alla redazione di tali documenti, dall'esclusiva del FACHINI nella distribuzione in Veneto del materiale proveniente dall'ambiente di Costruiamo l'Azione, dallo strettissimo collegamento FACHINI-MELIOLI, dal ruolo del


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(309) - Cfr. IA, V9/a-1, C7, pp. 14-16 e vu 26/11/87, pp.
850-851.
(310) - Cfr. RA, V1, C7, p6.


MELIOLI di fiduciario del coimputato in Rovigo, dall'estrema delicatezza del contenuto dei documenti (311), nonché dallo stretto rapporto di amicizia e di affinità `politica' fra il MELIOLI ed il NAPOLI. Peraltro, lo stesso MELIOLI, in giudizio (312), non ha negato con decisione la circostanza addebitatagli, ma, dopo aver sostenuto che tendeva ad escludere di aver passato i `Fogli d'ordini' all'amico, ha poi finito per affermare: "...Io non escluderei di averli consegnati al NAPOLI. Io ricevevo dei materiali vari in libreria e a casa, li diffondevo in genere..."


Il MELIOLI era altresì al corrente del progetto di attentato ad un magistrato veneto,ed ebbe a parlarne con Valerio FIORAVANTI. Si è visto, sub 1.8.7.2), in che termini il CALORE abbia riferito d'esser stato reso edotto del progetto da parte del FIORAVANTI (313). Orbene, Stefano

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(311) - Delicatezza tale per cui in calce ai 2 `Fogli d'ordini' (RA, V11, C428, rispettivamente pp. 9 e 14) si legge: "N.B.: il presente foglio d'ordini va bruciato subito dopo la lettura".
(312) -Cfr. vu 14/4/87, p21.
(313)-Va detto che -come il CALORE ha avuto modo di puntualizzare- il FIORAVANTI gli riferì che suo interlocutore era stato un tale che si faceva chiamare "Federico"; lo stesso FIORAVANTI ebbe poi a dirgli che si trattava in realtà del MELIOLI, ma il CALORE se ne era già reso conto sulla basedelle indicazioni che il FIORAVANTI gli aveva dato sul conto del sedicente Federico (cfr. Cal., V5, C12, p35 e vu 9/12/87, pp. 39-40).


SODERINI ha poi spiegato (314) d'aver saputo dallo stesso


FIORAVANTI che il CALORE, nelle dichiarazioni rese agli inquirenti, aveva sbagliato soltanto nell'indicazione del nome del magistrato (315). Attraverso tale contributo del SODERINI, resta provata la circostanza -appresa dal CALORE per bocca del FIORAVANTI- che l'attentato al magistrato fu oggetto di discussione fra quest'ultimo ed il MELIOLI. Rilievo centrale e discriminante assume tuttavia, ai fini chequiinteressano,l'ulteriore questione se il MELIOLI ne abbia parlato all'interlocutore in termini propositivi, come emergedal racconto del CALORE. Reputa la Corte che questo ulteriore aspetto della vicenda sia insufficientemente provato: perché, in assenza delle puntualizzazioni che solo dai protagonisti FIORAVANTI o MELIOLI potrebbero provenire, se deve ritenersi dimostrata, nel suo nucleo essenziale, la circostanza storica dell'abboccamento fra i due odierni coimputati in merito a quel progetto, non è lecito -data la natura indiretta degli elementi di prova-

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(314) -Cfr. supra, sub 2.2.5.4), nota (171). (315) - Il CALORE non era stato in grado diricordare con precisione il nome del giudice prescelto come obiettivo. Escludendo che si trattasse del dott. CALOGERO, aveva indicato, alternativamente, il dott. STIZ o il dott. PALOMBARINI.


trarne, in termini di certezza, ulteriori conclusioni in ordineall'atteggiamento tenuto dal MELIOLI nell'occasione.


Se l'ipotesi di una proposta `operativa' al FIORAVANTI -fattadal MELIOLI per conto del FACHINI- resta la più probabile (non solo per l'attestazione di veridicità del racconto del CALORE resa dal FIORAVANTI al SODERINI, ma anche, più in generale, per il ruolo di fiduciario del FACHINI ricoperto dal MELIOLI), è tuttavia possibile congetturare che il MELIOLI, collocantesi all'incrocio di ambienti della cui progettualità non veniva tenuto all'oscuro, abbia inteso verificare se e in che termini fosse in atto una convergenza operativa fra il FACHINI ed ambienti del cosiddetto spontaneismo romano: in un siffatto contesto, un sondaggio in ordine alla generica disponibilità da parte del FIORAVANTI rispetto ad un progetto terroristico nato e coltivato all'interno della cellula veneta ben avrebbe potuto esser scambiato come una proposta operativa, come una richiesta di pratica collaborazione.


V'è poi l'episodio del contrasto intervenuto tra il MELIOLI ed il FIORAVANTI a proposito del progetto, da quest'ultimo coltivato, di collocare una bomba in un `bar' frequentato da personale della Questura di Roma. Se le conversazioni
`politiche' tra il MELIOLI ed il FIORAVANTI avevano ad oggetto attentati a magistrati, è perfettamente credibile che si riempissero di tali ulteriori contenuti. D'altronde, in quale considerazione il FIORAVANTI tenesse l'odierno coimputato, emerge dal fatto che, allorché egli si recò a Rovigo per prendere posizione in favore del GIOMO, si rivolse per l'appunto al MELIOLI (316). Significativamente, proprio in occasione del viaggio a Rovigo, il FIORAVANTI utilizzò come "biglietto di presentazione" la sua partecipazione all'assalto a Radio Città Futura e dichiarò la sua "disponibilitàa portare avanti undiscorso senza preclusioni morali e senza preclusioni sul tipo di obiettivo scelto". Non si vede poi da chi, se non appunto dal MELIOLI, il NAPOLI avrebbe potuto apprendere di un progetto sulla cui gravità e delicatezza non occorre spendere parole. Resta comunque il fatto che il MELIOLI si manifestò contrario all'attentato progettato dal FIORAVANTI: e che ** * * *
(316) - Cfr. MELIOLI, in sede di confronto col FIORAVANTI: IA, V9/a-2, C29, p57.


quindi l'episodio, se conferma ancora una volta il disinvolto accompagnarsi delprevenuto,su un piano di

di contiguità politica, ad individui manifestamente compromessi in attività terroristica, non è certo idoneo a provare l'adesione del medesimo al programma della banda armata oggetto di giudizio, ma dimostra, piuttosto, il dissenso del MELIOLI rispetto ad una parte di tale programma.


L'accusa ha evidenziato ancora il sorprendente patrimonio di dettagliate conoscenze del MELIOLI in ordine agli aspetti che potrebbero definirsi `operativo-militari' dell'attività della cellula veneta. Si pensi, ad esempio, alle indicazioni fornite dall'imputato al NAPOLI (317) in ordine all'esplosivo di recupero militare ed alla sua provenienza, ed alle stupefacenti conferme che tale indicazioni hanno ricevuto `aliunde'; ancora, si pensi, sempre a titolo esemplificativo, alla competenza con la quale egli era in gradodi soddisfare la curiosità del NAPOLI, attribuendo un attentato ad una determinata area anziché a quella

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(317) - Cfr. IA, V9/a-1, C7, p19 e vu 26/11/87, p857, nonché supra, sub 1.12.4.2.2).


dell'opposto colore politico. Il peso probatorio di siffatte circostanze è di tutta evidenza e non può in alcun modo essere sottovalutato. Le stesse, peraltro, non sortiscono certezze ai fini dell'imputazione che qui si esamina, compatibili essendo le qualificate ed approfondite conoscenzedel MELIOLI con il suo possibile ruolo di personaggio `politicamente' contiguo alla cellula veneta, e, come tale,in virtù del rapporto privilegiato con il `leader' FACHINI, titolare di una messe di informazioni di notevole riservatezza: il che -lo si ripete- non implica necessariamente il coinvolgimento dell'imputato nellabanda armata ai cui vertici il FACHINI si collocava.


Reputa la Corte che la sinottica valutazione finale degli elementi d'accusa non conduca, nel caso di specie, a risultati decisivamente diversi da quelli parziali cui si perviene in base all'analisi degli stessi, isolatamente considerati. Non è possibile affermare infatti che la coesistenza delle circostanze di fatto sin qui passate in rassegna (di quelle, naturalmente, cui il Collegio attribuisce comunque valenza accusatoria) rimandi ad un'unica ricostruzione della parabola `politica' del MELIOLI, collocandolo necessariamente all'interno della banda armata. Quantunque l' interagire degli elementi a carico abbia un valore altamente selettivo, erodendo gli spazi alle ipotesi alternative a quella accusatoria, resta possibile pensare al MELIOLI come ad un individuo gravitante in "un'evanescente area di contorno" della banda armata oggetto di giudizio.


L'imputato va assolto con la formula del dubbio.


2.2.5.7.11) Marcello IANNILLI


Il prevenuto ha gravitato nell'ambiente di Costruiamo l'Azione ed è stato al centro della campagna di attentati
del 1978, nonché di quella degli attentati del 1979, siglati "M.R.P.".


Il problema consiste nel verificare se e fino a quando egli sia rimasto interno al gruppo, dalla cui ceneri -come si è visto- si è venuta formando, con l'apporto di Valerio FIORAVANTI, un'ala della banda armata oggetto di giudizio.


Il Procuratore della Repubblica, nel rassegnare le conclusioni, ha chiesto l'assoluzione dello IANNILLI con

formula dubitativa.


Osserva la Corte, in primo luogo, che l'esser stato
l'imputato coautore materiale dell'attentato di marca stragista alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura, se connota lo IANNILLI come un potenziale aderente al programmma terroristico-eversivo della banda armata in esame, non ha in concreto alcuna significatività, ove non si rinvengano in atti inequivoci elementi d'accusa, riferibili al prevenuto e collocabili nel periodo di operatività della banda armata che qui si giudica, e quindi idonei a colmare lo iato temporale che divide quell'episodio, risalente al 20 maggio 1979, dagli attentati alla sede del Consiglio Comunale di Milano ed alla stazione ferroviaria di Bologna, di oltre un anno posteriori.


L'imputato, che nell'agosto del 1979 prende parte alla rapina in danno della Banca del Mattatoio di Roma, è ancora pienamente coinvolto nelle vicende eversive del gruppo già riconoscentesi in Costruiamo l'Azione all'inizio dell'autunno successivo, quando non solo concorre nel sequestro dell'ALEANDRI, ma, da fedele gregario, si rimette, circa la sorte del sequestrato, alle decisioni di Massimiliano FACHINI. Partecipa poi lo IANNILLI alla rapine
del 6/11/1979 in danno della filiale di Vitinia della cassa di Risparmio di Roma e dell'11/12/1979 in danno dell'oreficeria D'AMORE di Tivoli. Non si rilevano in atti altri episodi criminosi rivelatori della perdurante internità dello IANNILLI al gruppo. Non ha trovato infatti conferma l'ipotesi della sua partecipazione ad una tentata rapina in Veneto nella primavera del 1980, in concorso col GIULIANI, il CAVALLINI ed altri (318). Pertanto, se l'ultimo episodio che ricollega lo IANNILLI, sul piano dell'operatività, ai personaggi (il CAVALLINI ed il


* * * * *


(318) - Il Giudice Istruttore, in SO, p586, ha citato il seguente passo della deposizione 1/2/85 di Marco GUERRA (EA, V10/a-5, C246, pp. 4-5): "...Dopo l'arresto di MARIANI e CALORE e l'allontanamento di Paolo ALEANDRI, GIULIANI ha mantenuto tuttavia i rapporti con IANNILLI. Questo posso dirlo perché COLANTONI mi riferì che aveva saputo dallo stesso GIULIANI di una rapina tentata ma non riuscita e nel corsodella quale furono esplosi dei colpi di arma da fuoco avvenuta nel Veneto nella primavera del 1980 edallaqualeavevanopartecipato CAVALLINI, IANNILLI e lo stesso MARIANI e forse la stessa Laura LAURICELLA..." In dibattimento, ove il GUERRA ha confermato le precedenti dichiarazioni (vu 6/10/87, p24), il COLANTONI (vu 6/10/87, p87) ed il MARIANI (vu 22/1/88, p13) si sono avvalsi della facoltà di non rispondere all'interrogatorio,e la LAURICELLA (vu 6/10/87, p84), nell'escludere la propria partecipazione al fatto riferito dal GUERRA, ha dichiarato altresì di non saper nulla in proposito e di non aver comunque notizia di rapine in Veneto cui abbia partecipato IANNILLI. L'ipotesi accusatoria resta quindi affidata soltanto ad un'indicazione doppiamente `de relato' e del tutto `svestita'. FIORAVANTI) che daranno vita al gruppo di fuoco della banda

armata in esame, è quello della rapina all'oreficeria


D'AMORE, allora si deve concludere che -processualmente parlando- l'imputato esce di scena proprio nel momento in cui la banda armata si viene formando.


Né induce un diverso convincimento l'episodio del carcere di Ferrara, indicato dall'Istruttore (319) fra gli elementi e carico del prevenuto. Si è già visto, sub 2.1.2.2.3), lettera A), quale interpretazione si possa e si debba dare delle conversazioni svoltesi in quel carcere, sulla base della ricostruzione che è stato possibile farne utilizzando gli spezzoni captati dai testimoni. Non è possibile trarne l'ulteriore conclusione -dall'Istruttore rimessa al vaglio dibattimentale- dell'internità dello IANNILLI alla banda armata oggetto di giudizio. A ben vedere, la sorpresa dell'imputato -che si chiedeva: "Come hanno fatto a prenderci tutti?"- per il fatto che la prima tornata di ordini di cattura aveva colpito così a fondo nell'ambiente, se rivela il suo riconoscersi in una

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(319) - SO, pp. 583-585.


determinata area eversiva, nella quale fino ad un passato assai recente aveva certamente militato, non può essere

viceversa interpretata, inequivocamente, come sintomo di appartenenza a quella più ristretta cerchia di persone che diedero vita alla banda armata in esame. Quanto poi alla consapevolezza della riferibilità della strage ad una determinata area, va osservato che l'incubazione, nell'ambiente neofascista romano, di una generica progettualità terroristica, se poté esser riferita allo SPIAZZI, era fatto certamente percepibile da parte di chi -comelo IANNILLI- in quell'ambiente aveva operato da protagonista fino a tutto il 1979, e non era poi certo venuto recidendo da un giorno all'altro ogni collegamento. E' necessario ricordare, in proposito, di quali notizie fossero venuti in possesso, in epoca precedente la strage, gli stessi Mario Guido NALDI e Leonardo GIOVAGNINI. Non fu difficile per lo IANNILLI, a strage avvenuta, vedere nell'attentato la concreta realizzazione di quella progettualità di cui aveva evidentemente avuto notizia. Allo stesso modo, il riferimento ai "ragazzini", al cui impiego andava ascritta l'enormità delle conseguenze dell'attentato, tradisce la consapevolezza, da parte dello IANNILLI, in virtù delle pregresse esperienze e, comunque della perdurante contiguità all'ambiente, della coesistenza, nella formazione armata responsabile della strage, di una componente `tradizionale' e di una `giovanile', la quale ultima si riteneva avesse travalicato rispetto ai programmi, ponendo in essere un attentato più sanguinoso del previsto. Infine, l'aver lo IANNILLI escluso la responsabilità del FURLOTTI, costituisce elemento tutt'altro che univocamente interpretabile a suo carico: che siffatta esclusione dipendesse non già dalla conoscenza, da parte dello IANNILLI, dell'identità dei veri attentatori, ma piuttosto dalla considerazione che egli aveva del FURLOTTI come di un personaggio di mediocre spessore eversivo, è non soltanto possibile, ma è in qualche modo avvalorato dall'effettiva `modestia operativa' del personaggio FURLOTTI (320), attestata anche dall'affermazione, proveniente da Valerio FIORAVANTI, secondo cui il FURLOTTI "da tempo non faceva

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(320) - Cfr. RA, V1, C10, p32.


più nulla" (321).


Mancando dunque la prova che lo IANNILLI abbia commesso il
fattoaddebitatogli al capo 2) dell'imputazione, egli va
assolto con la conseguente formula ampiamente liberatoria.

















































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(321) - Cfr. IA, V9/a-2, C29, p18.


2.3) Il delitto di calunnia pluriaggravata


Nella sentenza n. 45 in data 29/7/1985, aprendo la trattazione della vicenda `Operazione terrore sui treni', ha così scritto (1) la Corte d'Assise di Roma:


"La diacronica ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali e sulle dichiarazioni degli stessi imputati fa emergere una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini sulla strage di Bologna. Sgomenta che forze dell'apparato statale, sia pure deviate, abbiano potuto così agire, non solo in violazione della legge, ma con disprezzo della memoria di tante vittime innocenti, del dolore delle loro famiglie, e con il tradimento delle aspettative di tutti i cittadini a che giustizia si facesse."


La cosiddetta `Operazione terrore sui treni' non è che un capitolo delle molteplici manovre poste in essere da spezzoni deviati degli apparati di sicurezza, a copertura dei reali autori dell'attentato del 2 agosto 1980. Ha scritto (2) il Giudice Istruttore:



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(1) - AA, V11, C63, p113.
(2) - SO, pp. 260-261.


"L'accertamento della verità opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiunto un livello talmente elevato da costituire una costante. Il compito del Giudice Istruttore mai come in questo caso è apparso improbo e, sia consentito dirlo, contrastato da manovre tali da suscitare profonda amarezza. Ai problemi, già di per sé estremamente complessi, che discendono dal tipo stesso di delitto per il quale si procede si sono aggiunti infatti comportamenti, di cui solo a distanza di anni è stato possibile appurare l'effettiva portata, tesi ad impedire l'accertamento della verità attraverso il ricorso ad una tecnica ben precisa:


1) fornire ai Magistrati materiale probatorio inquinato;


2) demolire la loro immagine attraverso ben orchestrate campagne di stampa;


3) fomentare dissidi e fratture all'interno degli ambienti giudiziari bolognesi sfruttando gli inevitabili limiti, le contraddizioni e la disastrosa situazione organizzativa esistenti.


Tali comportamenti, cui sarà dedicato un apposito capitolo, hanno contrassegnato pesantemente l'andamento del processo e certamente impedito maggiori progressi."


Anche proprio per poter esattamente valutare come si sia venuto di volta in volta presentando agli occhi degli inquirenti, in progresso di tempo, il complesso quadro istruttorio, si è voluta la parte in fatto della presente sentenza particolarmente analitica ed improntata ad un criterio rigorosamente cronologico.


L'attenzione della Corte si è dovuta soffermare sulle varie manovre depistanti poste in essere rispetto all'indagine per la strage del 2 agosto, in quanto solamente attraverso una visione d'insieme delle condotte deviate è possibile cogliere appieno il senso di quel segmento di condotta che è caduto sotto i rigori della legge penale per esser stato ritenuto sussumibile sotto la fattispecie della calunnia pluriaggravata, così come contestata nel procedimento n. 2/87 R.G.C.A. Occorre avvertire -come ha fatto l'Istruttore- che la trattazione necessariamente separata (per ragioni di chiarezza) delle varie attività inquinanti non deve far perdere di vista la loro complessiva unitarietà, intesa come riconducibilità all'unico schema, all'unico filone della `pista internazionale', destinato, nelle intenzioni di chi l'aveva lanciato, a soppiantare la pista dell'eversione interna neofascista, che gli inquirenti avevano inizialmente battuto, emettendo, già a partire dallo stesso agosto del 1980, numerosi provvedimenti di cattura nei confronti di esponenti di formazioni dell'eversione di destra.


Tali, appunto, gli intenti dei mestatori. Senonché, per effetto dell'intossicazione delle indagini, l'istruttoria è stata rallentata, ma non è stata stravolta, né si è arenata; quantunque lo stato di confusione, ai limiti dell'indecifrabilità, minacciasse di vanificare ogni sforzo, mai ha prevalso l'accattivante logica della rinuncia, il fatalismo consolatorio dell'`habent sua sidera lites'. A distanza ditempo, gli inquirenti si sono potuti definitivamente sbarazzare del peso delle manovre inquinanti: il che ha consentito la rivisitazione e l'approfondimento critico della pista del neofascismo interno, ed ha portato all'individuazione di una banda armata -momento di aggregazione dei poli romano e veneto dell'eversione di destra- all'interno della quale è maturato il progetto della strage del 2 agosto.


2.3.1) La `pista libanese'


L'aver dato particolareggiatamente conto in narrativa (3) degli sviluppi di questa pista, e l'esser stata la stessa oggetto di lunga disamina (4) da parte dell'Istruttore, consentono alla Corte una più succinta trattazione dell'argomento in questa sede.


Riprendendo, appunto, l'analisi contenuta nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria, va rilevato quanto segue.


E' dimostrabile che l'appunto trasmesso il 30/1/1981 -di cui si è detto sub 1.2.3)- concernente le risultanze degli "accertamenti condotti dal SISMI", è frutto di manipolazione, ed era dotato di elevato potere inquinante. Emergeva in esso, per la prima volta, il nome di `Alfredo', mai citato in precedenza. Si potrebbe obiettare che era proprio quello del 30 gennaio il primo appunto con cui, da

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(3) -Cfr. supra, sub: 1.1.13);1.2.3); 1.2.13); 1.2.15); 1.2.19); 1.3.6); 1.3.7), nella sola parte relativa al viaggio in Libano del Giudice Istruttore; 1.3.12).
(4) - Cfr. SO, da p783 rigo 6, a p834 rigo1.


parte del SISMI, si riferivano notizie in ordine alla pista libanese. Senonché, tali notizie erano già in possesso del Servizio sin dal 1° novembre 1980. Di fronte a siffatto rilievo,il Servizio non trovò miglior giustificazione della seguente (5): "...il periodo dal novembre '80 al gennaio successivo è stato necessario per ulteriori approfondimenti delle notizie con riscontri anche in loco." Intanto non si comprende perché la notizia non potesse essere inoltrata immediatamente, con riserva di svolgere ulteriore attività investigativa di verifica. Poi, quali siano stati gli approfondimenti, non è dato capire, atteso che le notizie trasmesse alla fine del gennaio '81 sono le medesime che emergono dall'appunto redatto a seguito dello `interrogatorio' dei "due Tedeschi" da parte di un funzionario del SISMI che -si vedrà- era il Col. Stefano GIOVANNONE (6). Va rilevato che il nome `Alfredo', riferito ad un personaggio che non è mai stato possibile identificare, era uno dei falsi nominativi usati da Stefano

DELLE CHIAIE. Inoltre, mentre le prime dichiarazioni di ABU

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(5) - Cfr. RD, V1, C4, p108.
(6) - L'appunto ed i `verbali d'interrogatorio', acquisiti
a seguito dell'interrogatorio del GIOVANNONE, trovansi
in EA, V10/a-6, C295, pp. 9-19.


AYAD avevano fatto riferimento ad episodi risalenti ad undici mesi addietro, nell'appunto si posticipavano i fatti al luglio del 1980, in epoca eloquentemente prossima alla stragedella stazione di Bologna (7);si indicavano quindii luoghi di provenienza degli Italiani in addestramento e si faceva cenno di esplosivi, specificandone il tipo. Significativamente -come s'è visto in narrativa- le indagini disposte per addivenire all'identificazione dei Tedeschi che avrebbero fatto le presunte rivelazioni e degli Italiani presenti in Libano davano esito negativo. Peraltro, il 29 aprile dell'81 fu comunicato che le notizie di cui all'appunto in questione erano state acquisite sin dal 1° novembre 1980, a seguito di colloquio diretto con i Tedeschi, ma che il contatto era avvenuto tramite intermediari e non erano noti né le generalità né il recapito dei due.


In sostanza, ciò che veniva somministrato erano indicazioni vaghe ed insuscettibili di verifica, tali da porre


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(7) - Nell'appunto -lo si è visto in narrativa- si legge che la discrepanza, negli ambienti dell'OLP, era stata attribuita ad involontaria confusione fatta da ABU AYAD all'epoca dell'intervista: quasi che, alla metà del settembre '80, ci si potesse sbagliare, nel senso di riferire all'anno precedente fatti in realtà accaduti soltanto un mese e mezzo o due mesi prima. l'inquirente nella delicata condizione di dover valutare l'attendibilità non di precisi e concreti elementi di indagine, ma di semplici spunti informativi.


Si è visto ancora che, a seguito delle notizie di stampa diffuse a proposito del viaggio di parlamentari italiani in Libano e del contenuto di quanto loro riferito da ABU AYAD, era stato interpellato il SISDE circa eventuali contatti fra il Servizio stesso e l'OLP; e che la risposta era stata negativa.


Osserva il Giudice Istruttore come, già dalla fine dell'80, fosse stato possibile acquisire, per altra via, la notizia che vari neofascisti italiani ricercati avevano trovato rifugio in Libano , e come, nel giro di qualche mese, si fosse venuta tracciando una mappa discretamente precisa della situazione dei neofascisti che si addestravano nei campi falangisti (8). Appare dunque sorprendente la constatazione della diversità dei risultati: mentre i giudici, stando in Italia, sia pure con difficoltà, pervenivano ad accertare con precisione l'identità dei

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(8) - Cfr. supra, sub 1.2.3), testo e nota (12).


rifugiati in Libano, tale identità sarebbe stata sconosciuta al SISMI, che pure disponeva di un osservatorio privilegiato a Beirut, ed agli stessi Palestinesi. La cosa appare del tutto comprensibile, una volta individuata la tecnica adottata per il confezionamento delle informative: tecnica consistente nell'indicazione di circostanze vere (nel caso di specie,la presenza di Italiani in Libano) percatturare l'attenzione degli inquirenti, ma inserite in un contesto falso e fuorviante.


Non mancò, ad alimentare la pista, il supporto giornalistico: si è dato conto dell'articolo comparso il 23/3/1981 sul settimanale `Panorama'. Quanto all'individuazione di un flusso di notizie fra i vertici deviati del SISMI e l'autore dell'articolo, ha rilevato l'Istruttore che nel brano di stampa si fa cenno anche del `Vmo', formazione paramilitare indicata dal SISMI in informative depistanti.


A seguito delle notizie di stampa, il Giudice Istruttore si rivolse all'autorità giudiziaria della Germania Federale, perché provvedesse ad interpellare i quattro Tedeschi di cui era stato riportato il nominativo, onde saggiare la fondatezza delle notizie pubblicate.


Si è visto ancora che, il 7 maggio, facendo riferimento alla nota CESIS del 29 aprile, l'Istruttore si era rivolto a tale Comitato, perché provvedesse ad interessare il SISMI, al fine di raccogliere notizie utili per l'identificazione dei due Tedeschi, dei loro intermediari, e dei cittadini italiani che avevano frequentato nel corso del 1980 il campo di Aqoura; e che soltanto il 9 giugno venne trasmesso un appunto SISMI in cui si fornivano vaghi elementi di identificazione dei due Tedeschi, consistenti in una descrizione esteriore, con l'aggiunta di qualche superficiale notazione psicologica.


Dietro le quinte, si agiva in perfetta malafede. E' emerso, infatti, a distanza di anni, attraverso l'interrogatorio ex art. 348 bis C.P.P. (9) del Col. Stefano GIOVANNONE -dalla morte soltanto sottratto alle sue responsabilità penali- che il SISMI era perfettamente a conoscenza dell'identità delle persone cui si riferiva l'intervista di ABU AYAD. Ebbe


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(9) - L'interrogatorio porta la data del 5/7/1985. Il relativo verbale trovasi in EA, V10/a-6, C295, pp. 3-4.


infatti a dichiarare il GIOVANNONE: "...effettivamente ABU

AYAD rilasciò l'intervista a Rita PORENA perché aveva un rapporto di buona conoscenza con la giornalista che all'epoca operava presso l'ambasciata italiana a Beirut. E' vero che ebbi la possibilità di interrogare due Tedeschi, i cui nomi ora non ricordo, ma che sono senz'altro due dei quattro fermati dai Palestinesi all'aeroporto di Beirut..." I Tedeschi che sarebbero stati `interrogati' dal GIOVANNONE erano dunque due giovani facenti parte del quartetto indicato nell'articolo di `Panorama' del marzo, il cui nominativo era noto al SISMI già da tempo (10), e, verosimilmente, dall'epoca della loro `cattura'. Le dichiarazioni del GIOVANNONE sono valse a far chiarezza in ordine alla conoscenza dell'identità dei giovani. Eppure ancoraalla data del9/6/1981 venivano fatti pervenire soltanto vaghi elementi di identificazione di cui il SISMI era in possesso almeno dal 1° novembre 1980.


L'identità dei due fu accuratamente sottaciuta per impedire agli inquirenti di risalire alla fonte primigenia e di


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(10) - Cfr.,in proposito, gli allegati alla nota CESIS del 29/4/81: RD, V1, C5, pp. 155-159. scoprire sin dall'inizio che l'intera operazione consisteva


in una manovra propagandistica. Nel medesimo interrogatorio di cui si è testé fatto cenno, il GIOVANNONE ebbe ancora a riferire: "...che l'intera operazione fosse frutto di una manovra propagandistica dei Palestinesi fu da me esplicitamente affermato nel trasmettere al Servizio gli interrogatori di cui ho detto..." Senonché, l' avvertimento mai era emerso dagli atti del SISMI; né mai tale valutazione fu esposta agli inquirenti. Soggiunge l'Istruttore che solo alla fine, e dopo varie insistenze, fu adombrata la possibilità che la notizia fosse appunto frutto di manovre propagandistiche. Per meglio comprendere i fatti, occorre a questo punto aprire una parentesi. Già nell'intervista di ABU AYAD al Corriere del Ticino si riferiva che i Tedeschi del `Gruppo HOFFMANN' si erano addestrati nei campi falangisti. Ora, la Polizia tedesca, nell'estate del 1981, fuin grado di comunicare al nostro Ministero dell'Interno, il quale ne riferì (11) al Giudice Istruttore, che il gruppo in questione, formato dall'HOFFMANN e da altri tredici



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(11) - RD, V1, C2, pp. 12-14. Il


elementi (12), era stato addestrato in un campo di `Al-Fatah' e messo al corrente dei "compiti logistici" della medesima organizzazione. L'HOFFMANN aveva preso contatti con l'OLP, in vista dell'addestramento sin dal gennaio '80. I giovani che poi furono indicati come catturati il 24 settembre, erano in realtà nel campo palestinese, volontariamente, sin dal 30 luglio. Ora, che il 24 settembre essi siano stati fermati dagli stessi Palestinesi all'aeroporto della capitale libanese (13) - evidentemente mentre tentavano di allontanarsi- e ricondotti al campo, è ben possibile; ma non è certamente vero quanto risulta dall'articolo comparso nel marzo su `Panorama': cioè che i quattro sarebbero stati catturati a fine agosto, appena usciti dai campi falangisti.


Il GIOVANNONE, dal suo osservatorio privilegiato di Beirut, al centro di un'efficiente rete informativa ed in contatto con i personaggi chiave della vicenda, non poteva non sapere tutto ciò. Invero, il Col. GIOVANNONE, nell'appunto (14)


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(12) - Tra cui, anche, i quattro `fermati' dai Palestinesi il 24/9/1980.
(13) - Cfr. interrogatorio GIOVANNONE in EA, V10/a-6, C297, p4 retro.
(14) -Cfr. EA, V10/a-6, C297, p18.


poi acquisito a seguito del suo interrogatorio, aveva

riferito d'aver appreso dai Tedeschi citati nell'intervista

di ABU AYAD le notizie che furono poi trasfuse nell'appunto allegato alla nota del 30/1/1981. Poiché lo stesso

GIOVANNONE riferisce che gli `interrogati' facevano parte del gruppo dei `fermati' del 24 settembre, egli finisce con l'ammettere, implicitamente, d'aver sempre saputo che il quartetto si trovava, già prima, presso i Palestinesi. E il

GIOVANNONE sapeva che neppure prima i quattro -come gli

altri del `Gruppo HOFFMANN'- si trovavano nel campo palestinese per essere stati catturati: egli ha ammesso -lo si è visto- d'esser stato a conoscenza del fatto che i Palestinesi venivano imbastendo una manovra propagandistica.


Le menzogne e la reticenza hanno ispirato la condotta del
SISMI dal primo all'ultimo atto della pista libanese. Non deve sfuggire l'esordio: mentre il SISDE, nella nota del 9/10/1980, aveva riferito che, attraverso una fonte di elevato livello, era sembrata emergere la conferma delle dichiarazioni attribuite ad ABU AYAD, ancora alla data del 31/10/1980 veniva fornita agli inquirenti la notizia che il SISMI non era mai stato messo al corrente del contenuto delle dichiarazioni rese dal `leader palestinese': notizia
semplicemente risibile, se si pensa, da un lato, ai buoni rapporti da sempre intercorsi tra il GIOVANNONE ed i Palestinesi, e, dall'altro, ai rapporti intercorsi tra lo stesso GIOVANNONE e la giornalista Rita PORENA (15). Va ricordato, in proposito, che alla nota del 30/10/1980 erano allegati vari documenti. Fra essi, note di agenzie giornalistiche, italiane e straniere, dalle quali emerge che il `leader' palestinese aveva spiegato che al Governo Italiano non erano ancora state fornite le notizie in suo possesso, per via della mancanza di regolari canali diplomatici e di coordinamento a livello dei servizi di sicurezza. Ma, fra gli allegati, figurava anche una dichiarazione dello stesso ABU AYAD, acquisita e trasmessa per asseverare l'assunto del SISMI. La singolarità non era sfuggita al PUBBLICO MINISTERO, che, nella missiva del 4 novembre, aveva sottolineato l'importanza di accertare per

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(15) - Il 17/11/84 (cfr. EA, V10/-6, C280, p10), il Gen. NOTARNICOLA ebbe a dichiarare: "...mi risulta che tra il Col. GIOVANNONE e Rita PORENA, redattrice o meglio corrispondente del Corriere del Ticino, vi fosse, quanto meno, un rapporto di conoscenza..."


quali canali la dichiarazione di ABU AYAD fosse stata

acquisita. Ad ogni buon conto -secondo le stesse informative provenienti dal SISMI- alla data del 1° novembre le `fonti' tedesche sarebbero state presentate a funzionari del Servizio, per essere interrogate.Il fatto è che ABU AYAD e Stefano GIOVANNONE, per porsi,all'occorrenza, in contatto, disponevano, se non di altri canali, almeno del tramite certo della PORENA: è noto -come s'è visto- attraverso il Gen. NOTARNICOLA, il rapporto, almeno di conoscenza, tra il funzionario del SISMI e la giornalista; ed è noto, attraverso l'interrogatorio dello stesso GIOVANNONE, il rapporto di buona conoscenza fra la donna ed il `leader palestinese'.


Né deve sfuggire l'ultimo intervento ufficiale sulla pista libanese da parte del SANTOVITO, il quale, fugacemente rientrato in servizio per riordinare le carte, nel medesimo rapporto di cui si è già fatto cenno sub 1.3.7) così riassumeva l'intera vicenda: "a seguito di richiesta della Procura della Repubblica di Bologna n. 2117/A/80 R.G.P.M. del 20/9/1980, in relazione a dichiarazioni fatte alla stampa dal noto ABU AYAD in cui, tra l'altro, si asseriva che le Autorità Italiane erano state informate preventivamente di un possibile progetto criminoso ad opera di estremisti di destra addestrati in campo falangista in Libano, fu appurata l'infondatezza di tale ultima
affermazione che, peraltro, venne smentita, sempre a mezzo stampa, dallo stesso ABU AYAD. Tali risultanze furono


riferite, per il tramite del CESIS, con foglio nr.
2113.13/714 in data 31/10/1980;


- le ricerche circa l'addestramento di estremisti di destra nel campo falangista subirono approfondimenti che portarono ad acquisire le dichiarazioni di due cittadini tedeschi. Costoro fornirono notizie sugli italiani frequentatori del campo di addestramento di MAIRUBA situato nella zona cristiana del Libano.


Da tali dichiarazioni si acquisì che:


- gli italiani presenti nel luglio del 1980 nel campo di addestramento erano cica 6-8 provenienti probabilmente da Palermo, da Bologna (due), e Milano;


- il capo del gruppo italiano era certo `Alfredo' probabilmente bolognese, alto 1,75-1,80, snello curato, ben rasato, baffi neri e folti; parlava l'inglese;


- detto `Alfredo' in un discorso di commiato avrebbe affermato di voler tradurre presto in pratica gli insegnamenti ricevuti e, in tale contesto, avrebbe citato
Bologna quale esempio di città `in mano ai comunisti', e, quindi, di situazione da combattere.


Le suddette risultanze vennero inviate al CESIS in data 23/1/1981 con foglio n. 651/30-G/053;


- nel contesto dello specifico accertamento si inserirono altre dichiarazioni che l'ABU AYAD aveva rilasciato a parlamentari italiani recatisi in Libano nel marzo del 1981. Tali dichiarazioni (riportate dalla stampa) indicavano nuovamente possibili connessioni degli italiani addestrati in campo falangista (non più MAIRUBA ma AQURA) con la strage del 2/8/1980 e la presenza di un `posto di blocco' costituito da italiani in località prossima a Tel el ZAATAR. Nel mentre le prime affermazioni sostanzialmente ricalcavano quanto già acquisito e riferito al CESIS, per verificare la fondatezza dell'indicazione circa l'esistenza di un `posto di blocco' gestito da italiani, se ne richiesero le prove che non furono mai fornite. Ciò lasciò intendere che l'affermazionefosse destituita di fondamento. Nel senso venne informato in data 7/3/1981 il CESIS con foglio n. 2334/30-G/053;


- su richiesta della S.V., pervenuta dal CESIS venivano
fornite tramite quest'ultimo con foglio n. 3025/30/G/053 del 17/4/1981 precisazioni sulla vicenda;


- le notizie dei due tedeschi erano state acquisite il 1°/11/1980;


-funzionari del SISMI avevano avuto un colloquio diretto con i due tedeschi ma il contatto era stato stabilito tramite intermediari;


-le generalità ed il recapito dei due tedeschi non erano noti;


- i cittadini tedeschi fermati il 24/9/1980 da elementi dell'OLP mentre erano in procinto di lasciare Beirut erano: Peter HAMBERGER; Steffan DUPPER; Abfreid HEPP; Kap Uwe BERGMAN.


Al riguardo venne altresì trasmessa la traduzione di un articolo apparso sul `THE TIMES' del 19/11/1980 che
presentava un quadro articolato ed interessante della vicenda;


- sulla scorta di quanto acquisito dal Servizio il Comando
Generale Arma Carabinieri in data 9/5/1981, ipotizzò che il sedicente `Alfredo' potesse identificarsi in FORCILLO
Alfredo dimorante in Teramo o in Alfredo RAIMONDI MOLINARI entrambi noti alla S.V.;


-in relazione alle ripercussioni in ambienti falangisti sull'arresto" (sic) "del noto CAMILLE TAWIL" (16) "sono stati raccolti elementi sia a seguito di colloqui con esponenti delle Forze Libanesi che tramite il Servizio Collegato tedesco. Il complesso di tale attività è stato sintetizzato in informativa inoltrata al CESIS in data 8/7/1981 con foglio n. 324/30-G/053.


Da tale informativa emerge come tra le opposte fazioni


* * * * *


(16) - Il 18/6/1981 (cfr. RD, V1, C3, pp. 104-105), il Giudice Istruttore aveva sentito come testimone Camille TAWIL, rappresentante in Italia e presso il Parlamento Europeo delle Forze della Resistenza Libanese; avendo costui escluso essere a sua conoscenza che cittadini europei potessero essersi addestrati in campi militari cristiani del Libano, era stato tratto in arresto per reticenza. libanesi sia in atto un'azione di reciproca disinformazione tendente a discreditarsi a vicenda. Comunque, appare prendere consistenza la possibilità di connessione tra l'estrema destra tedesca e la fazione palestinese di ABU AYAD;


- infine, da accurati e più approfonditi accertamenti, è emerso che:


- i due cittadini tedeschi presentati a funzionari del SISMI in data 1°/11/1980, non facevano parte del gruppo dei quattro tedeschi catturati dall'OLP il 24/9/1980 in Beirut;


- il gruppo dei quattro è stato rilasciato. Due di essi OD FRIED e Peter HAMBERGER sono stati tratti in arresto nella R.F.G. perché accusati di altri reati."


Occorre ricordare che, nell'appunto trasmesso il 30/1/1981, si affermava che le notizie di cui all'appunto stesso, raccolte dal SISMI, provenivano "dai due tedeschi citati nell'intervista" . Una volta posta tale identità tra le fonti di ABU AYAD e quelle del Servizio, si comprende la preoccupazione del Servizio stesso -ad evitare un macroscopico anacronismo- di escludere i Tedeschi `interrogati' dal novero dei fermati in data 24 settembre. Ciò che riesce singolare -e involontariamente umoristico- è che si faccia discendere tale esclusione da "accurati e più approfonditi accertamenti", quando, se identiche fossero
state le fonti di ABU AYAD e del SISMI, sarebbe stata all'uopo più che sufficiente la consultazione di un comune calendario. Naturalmente, il pericolo dell'anacronismo in tanto sorgeva, in quanto, ancora alla data del 7/8/1981, il SANTOVITO si ostinava ad indicare l'HEPP, l'HAMBERGER, il DUPPER ed il BERGMAN come catturati dall'OLP il 24 settembre, e dunque non precedentemente presenti presso campi palestinesi.


In buona sostanza -come ha rilevato l'Istruttore, e prima di lui il PUBBLICO MINISTERO- la tecnica utilizzata per la `gestione' della pista libanese ricalca schemi che -lo si vedrà- sono tipici dell'organizzazione `piduista' infiltrata nei servizi di sicurezza. La tecnica, abbondantemente
collaudata, consiste in questo: far pervenire al magistrato


una massa di informazioni di difficile approfondimento e che


lo costringono ad impegnarsi in estenuanti, quanto improduttive ricerche; dosare attentamente e per gradi successivi le informazioni, verificando di volta in volta la `presa' delle notizie fornite, e aggiungendo di volta in volta particolari; orchestrareunacampagna di stampa che
valorizzi gli elementi offerti, svalutando quelli acquisiti sino a quel momento dal giudice; inserire nelle informative fatti veri e falsi, ovvero elementi in sé veri, ma tra loro falsamente collegati, costringendo il magistrato a percorrere la pista indicata, lungo la quale rinverrà precisi riscontri, senza mai pervenire ad alcun risultato utile.


Per quanto attiene, specificamente, alla pista libanese, l'esser stata puntualmente adottata la tecnica consueta emerge da quanto segue: è vero che in Libano si addestravano neofascisti italiani e neonazisti tedeschi del gruppo HOFFMANN; è falso il collegamento operato tra questo dato, in sé veritiero, e la strage di Bologna: collegamento per il quale non è stato rinvenuto alcun riscontro; è falsa
l'indicazione del sedicente Alfredo, persona della quale non è stata trovata alcuna traccia, che avrebbe indicato Bologna come obiettivo da colpire; è falso che i membri del `Gruppo HOFFMANN si siano addestrati in campi falangisti; ed è falso anche che Tedeschi ed Italiani si siano addestrati nello stesso campo, poiché, mentre è stato accertato dalla Polizia
della Germania Federale che i primi si trovavano, appunto, in un campo di `Al-Fatah', sappiamo da Walter SORDI (17) che il gruppo dei neofascisti italiani si addestrava presso i Falangisti in una zona presso Beirut Est.


Lemanovre poste in essere da chi agiva dietro le quinte non possono qui essere giustificate -come in altri casi si è preteso di fare- adducendo che si sarebbe trattato di un tentativo, sia pure forzato e maldestro, di offrire in qualche modo una risposta alle sollecitazioni che venivano dagli uffici giudiziari bolognesi: in questo caso, l'iniziativa è partita dal Servizio, che ha operato come organo di disinformazione. E la disinformazione ha sortito i suoi effetti: la pista suggerita è stata effettivamente battuta dall'Istruttore, che è stato costretto a distogliere

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(17) - Cfr. EA, V10/a-6, C225 bis/1, pp. 4 e 6.


l'attenzione dai personaggi chiave dell'indagine, sprecando tempo ed energie. Al tempo stesso -si osserva nel
provvedimento di rinvio a giudizio- il Col. GIOVANNONE,
figura centrale nell'ambito delle relazioni intessute nello
scacchiere mediorientale, veniva acquisendo titoli di merito
presso l'OLP. Il funzionario del SISMI assecondò la manovra propagandistica dell'OLP volta ad accreditare il coinvolgimento falangista nella strage di Bologna. Ma ciò, da altro angolo visuale, andava letto come riferibilità dell'attentato al terrorismo internazionale. L'avere la morte sottratto il GIOVANNONE alle sue responsabilità penali non significa, naturalmente, che le surriferite circostanze non debbano essere valutate nel quadro complessivo degli elementi a carico degli odierni imputati. E' necessario, in proposito, fermarsi a riflettere su talune circostanze. In primo luogo, la pista libanese si inserisce coerentemente in una più vasta ed articolata manovra depistante, le cui ramificazioni convergono tutte verso il filone del terrorismo internazionale, alternativo a quello delle formazioni terroristiche neofasciste italiane. E' dato cogliere punti di contatto e di incrocio fra la pista libanese ed altre piste lanciate dalle varie informative provenienti da MUSUMECI e soci: si è già fatto cenno -da un lato- della presenza della formazione paramilitare `Vmo' tanto nell'articolo di `Panorama' del marzo '81, con riferimento al Libano,quantoo in altre informative (18);va rilevato, dall'altro, che il nominativo del tedesco BEHELE, presente in Libano e catturato dai Falangisti (19), figura -indicato tra i responsabili della strage- anche nel cosiddetto `appunto MUSUMECI' (20), cioè nell'informativa consegnata `brevi manu' dal MUSUMECI al Giudice Istruttore nel gennaio '81: ciò a riprova, se pure ve ne fosse bisogno, del fatto che le notizie provenienti da Beirut, e quindi dal GIOVANNONE, furono utilizzate in funzione di sviamento delle indagini in ossequio ad un disegno unitario. Va poi ricordato che il GIOVANNONE ha ammesso d'esser stato consapevole fin dall'inizio di trovarsi di fronte ad una manovra propagandistica dell'OLP. Peraltro, l'internità del

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(18) - Cfr. RA, V5, C211, pp. 7 e 10.
(19)- Cfr. supra, sub 1.3.6).
(20) -Cfr. RA, V8, C355, p2. I nomi di battesimo del BEHELE, Walter ed Ulrich, vi compaiono storpiati, rispettivamente, in Alter e Verich.


GIOVANNONE, con elevato rango, rispetto al gruppo di personaggi dai quali è promanata la macchinazione posta in essere per depistare gli inquirenti può essere desunta anche da un ulteriore elemento preso in esame dalla Corte d'Assise

di Roma nella sentenza del 29/7/1985. Scrive in proposito il

giudice romano (21), nel passare in rassegna alcuni

documenti di pugno del PAZIENZA: "...in un altro documento

si fa cenno alle finalità operative di un ufficio del Servizio da aprirsi in via Germanico, dietro lo schermo di una società finanziaria e di assistenza aziendale, che avrebbe dovuto svolgere, con autonoma disponibilità di fondi, `operazioni speciali', `distaccate' gerarchicamente dalle `divisioni' del SISMI e su cui in particolare si sarebbero dovute accentrare le seguenti operazioni:


`a) Rapporti con la stampa e il mondo politico.


b) Rapporti con Z1 e Z2.


c)Rapporti con il mondo industriale, finanziario ed imprenditoriale.


d) Operazioni speciali preventivamente concordate con il

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(21) - Cfr. AA, V11, C63, pp. 35-36.


Direttore e distaccate gerarchicamente dalle Divisioni. I risultati raccolti e sintetizzati saranno successivamente presentati al Direttore che ne farà l'uso voluto.'


Al suddetto ufficio avrebbero fatto riferimento, dal punto


di vista operativo: `P.M, S.G., DM, V.A., F.P., D.C.'."


Individuare i nominativi che si celano sotto le varie iniziali non è difficoltoso per chi conosca la composizione dei vertici del Servizio Segreto militare e l'identità dei personaggi che vi gravitavano attorno all'epoca dei fatti. Qui basti osservare che, se P.M. sta ad indicare Pietro MUSUMECI e F.P. Francesco PAZIENZA (o Francesco POMPO'), S.G. altri non è che Stefano GIOVANNONE.


Il Giudice Istruttore ha posto efficacemente in rilievo la pesantezza del condizionamento subito dall'indagine per effetto delle manovre inquinanti di cui si è detto. Occorre ricordare che furono sostanzialmente `sponsorizzati' e si svolsero sotto la regia del SISMI anche i due viaggi in Libano dell'Istruttore di cui si è fatto cenno in narrativa, l'ultimo dei quali ebbe luogo nel novembre del 1981: viaggi

che non potevano, evidentemente, sortire alcun utile risultato istruttorio. Era noto al GIOVANNONE -si torna a ripeterlo- chefosse stata posta in essere da ABU AYAD una manovra propagandistica: manovra che il SISMI deviato assecondò; né poteva sfuggire, a chi disponeva di un osservatorio privilegiato nella capitale libanese, che l'iniziativa adottata dai Falangisti nel giugno del 1981 altro non era che una contromanovra, con la quale, approfittando della cattura di due neonazisti del gruppo HOFFMANN che si erano addestrati nel campo di Bir Hassan, si veniva gratuitamente accusando ABU AYAD di coinvolgimento nelle stragi di Bologna e di Monaco.Conclusivamente: se il SISMI avesse prestato la dovuta collaborazione, mettendo a disposizione del giudice, in forma genuina, il patrimonio informativo di cui era in possesso, non sarebbe nata e non si sarebbe sviluppata una pista libanese; opportunamente filtrate, secondo la competenza funzionale del Servizio, le notizie provenienti dal Libano sarebbero apparse immediatamente agli inquirenti per quello che erano: un balletto di accuse infondate e di ritorsioni altrettanto gratuite, mere espressioni di propaganda, volte al reciproco discredito, promananti dalle opposte fazioni in lotta.


2.3.2)Le altre manovre depistanti: dal 2 agosto alla cessazione della gestione `piduista' del SISMI


I dati di fatto su cui si fonda la presente parte della decisione sono già stati esposti, nella quasi totalità (tranne alcuni di cui si darà conto in questa sede), nella parte narrativa, cui occorre fare rinvio (22).


Occorrerà qui tenere costantemente presenti, perché attraverso di essi si è precipuamente sviluppata l'articolata manovra deviante, gli allegati al rapporto a firma del SANTOVITO in data 14/10/80, l'appunto SISMI trasmesso dai Carabinieri il 2/11/80, il cosiddetto `appunto MUSUMECI', le informative relative all' `operazione Terrore sui treni', nonché gli ulteriori rapporti a firma del SANTOVITO del 24 febbraio e del 7 agosto 1981.


Prezioso supporto al lavoro ricostruttivo della Corte hanno rappresentato, nella presente materia, le pregevoli analisi di cui alle sentenze 30/4/1985 del Giudice Istruttore di Bologna (procedimento cosiddetto `della valigia') e 29/7/1985 della Corte d'Assise di Roma (procedimento

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(22) -Si richiamano,specificamente,i §§: 1.1.10); 1.1.11); 1.1.15), lettere e), g) ed h); 1.2.4); 1.2.9); 1.2.10); 1.2.11); 1.2.12); 1.2.22), lettere a) e c); 1.3.2); 1.3.7); 1.3.10); 1.4.2); 1.7.3); 1.7.9); 1.8.2); 1.8.4); 1.8.6).


cosiddetto `del Supersismi').


2.3.2.1) Le informative sulla strage


Si è visto che, il 14/10/1980, il Direttore del SISMI aveva trasmesso 22 "riepiloghi delle notizie acquisite dal SISMI nel contesto della sua attività di ricerca informativa" in ordine alla strage del 2 agosto. Avvertiva il SANTOVITO: "Al momento, nessun riscontro positivo si è avuto in ordine ai presumibili nessi con organizzazioni estremiste straniere o con elementi comunque operanti all'estero, nonostante gli accertamenti avviati e rilevabili dagli anzidetti riepiloghi". Oggi ben si comprende perché quei riscontri non si trovassero. Sottolineava infine il firmatario della nota "la natura squisitamente fiduciaria ed il valore puramente informativo delle notizie la cui pubblicizzazione, comunque," presentava "un potenziale rischio di possibili strumentalizzazioni". Del contenuto di taluni "riepiloghi" si è fatto cenno in narrativa. Dei restanti, non pochi si segnalano per la caratteristica -assai singolare, dato il contesto- di non indicare il benché minimo collegamento fra i nominativi riportati e l'attentato alla stazione di Bologna. A proposito di tali FINOCCHIARO Filippo, D'ANGELA Antonio, SAVONI Luca e TEOFILATTO Gabriele, indicati come aderenti alla destra extraparlamentare, si legge (23) che avrebbero avuto "presunti contatti con cellula terroristica di estrema destra operante in Toscana"; a proposito di DANTINI Enzo, indicato come elemento di estrema destra, ingegnere, esperto di esplosivi, "si rappresenta l'opportunità" di controllarlo (24); Gabriele ADINOLFI, Giulia RACANIELLO e Ferruccio MONTELLA vengono segnalati essere in contatto con "il noto TUTI" (25). Spesso, ciò che si rileva `ictu oculi' è la sconcertante vaghezza, o la assoluta inconsistenza informativa. I soli "riepiloghi" che, per la qualità delle persone indicate, e per i riferimenti topografici e cronologici, si pongono significativamente in relazione con la strage, sono quelli citati in narrativa, nonché quello in cui si menziona la "tesi sostenuta dall'estremista NALDI nel contatto con elemento del Servizio". Orbene, dei riepiloghi citati in narrativa, uno riguarda il Prof. ROSSI di Arezzo: e si vedrà come anche


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(23) - cfr. RA, V5, C211, p5.
(24) - cfr. RA, V5, C211, p6.
(25) - cfr. RA, V5, C211, p16. tale nominativo sia poi stato opportunamente inserito nella `pista internazionale'; gli altri indicano nominativi di Italiani coinvolti in attività criminose in concorso con aderenti ad organizzazioni terroristiche di altri paesi, ovvero nominativi di terroristi stranieri legati, che vengono posti in vario modo in collegamento con Marco AFFATIGATO. Non deve sfuggire che l'AFFATIGATO imperversa: compare complessivamente in ben cinque "riepiloghi" e tre volte il suo nome è accostato a quello di terroristi di formazioni armate estere (vuoi del V.M.O., vuoi della F.A.N.E., vuoi di altre organizzazioni). Quanto alla presenza del "riepilogo" in cui si riferisce -peraltro distorcendola, come si rileverà in prosieguo- la "tesi" del NALDI, si deve ricordare che il Servizio non poteva permettersi di sottacere il contatto con costui, dal momento che -come si è visto- sin dal 21 agosto il NALDI si era presentato al Procuratore della Repubblica, riferendogli di essere stato contattato da "un asserito agente segreto". Si vedrà in seguito che il SISMI si guardò bene, poi,
dall'approfondire la pista indicata dal NALDI; anzi, fu

scrupolo di MUSUMECI e soci non soltanto creare artatamente la `pista internazionale', ma anche smentire direttamente -in forma di risposta ai quesiti da parte della fantomatica `fonte', cui essi davano voce- le indicazioni provenienti dal NALDI.


Seguendo la cronologia, va rilevato che, già alla data del 2 novembre, i Carabinieri trasmettevano al Giudice Istruttore l'appunto SISMI di cui si è dato conto sub 1.2.4). Nell'ambito del Servizio, le notizie erano scaturite dall'Ufficio Controllo e Sicurezza: cioè dall'ufficio del MUSUMECI e del BELMONTE. La circostanza è pacificamente ammessa dagli imputati, i quali però si ostinano nell'affermare d'aver attinto le notizie dalla `fonte' del BELMONTE. L'accusa, dal canto suo, ha sostenuto che sarebbero state elaborate dagli imputati. Perché l'accusa sia fondata si vedrà in seguito. Qui giova rilevare che, nell'appunto in questione, la `pista internazionale' riceve un lancio clamoroso, con dovizia di ingredienti e vertiginosi intrecci: vi compaiono estremisti italiani

opportunamente collegati con terroristi delle più varie

nazionalità, aderenti alla F.A.N.E. ed all'ETA.

L'organizzazione è addirittura intercontinentale, perché il "capo che dirige gli attentati e che li studia nei particolari" è William APIKIAN, nato in Iraq, ma naturalizzato canadese, che "mette a disposizione la sua organizzazione solo per denaro". Si tratta di realizzare due grossi attentati in Europa: quanto a Bologna, vi avrebbe provveduto Maurizio BRAGAGLIA, mentre all'altro attentato avrebbe dovuto provvedere `Jacques', alias Paul DURAND, il quale però avrebbe preso contatti con altri, perché "la licenza stava per scadere". Inutile aggiungere che, nello stesso periodo, Jacques aveva incontrato anche il Prof. ROSSI da Arezzo, il quale molti attentati "li ha diretti lui a tavolino": ecco come un eversore italiano di cui al rapporto 14 ottobre viene riciclato nella `pista internazionale'. Altrettanto scontata l'identità dei depositari delle armi e dell'esplosivo: si tratta di Antonio MACCA ed Edoardo MORLETTA (tale divenuto, da MARLETTA che era), i quali -guarda caso- figuravano già a loro volta nei
"riepiloghi" allegati al rapporto del 14 ottobre. Degli aderenti all'ETA, loro complici nel furto di esplosivo in
Ispagna, questa volta la fonte è in grado di indicare anche due nomi: MUNIOZ GUREN e TARNA SORANO. L'attentato di Bologna non è che l'inizio -ha avvertito la fonte-; la quale, a scanso di equivoci, spiega che "gli eversivi di destra italiani, che al momento non hanno una sigla convenuta, sono uniti con la FANE e l'ETA nonché con molti eversivi di destra tedeschi."


La lettura sinottica dell'appunto e dei "riepiloghi" di cui sopra la dice lunga sulla tecnica di confezionamento dell'appunto stesso: che è un `collage' di vecchie notizie riciclate e di nuove menzogne, assemblate a formare la pista del terrorismo internazionale. Ma -si badi- la dice lunga ora, a chi può rivisitare i fatti a parecchi anni di distanza, alla luce di tutte le altre acquisizioni processuali, sino all'individuazione dei veri responsabili e della vera matrice dell'attentato, nel mutato clima che si è venuto a creare per effetto della cessazione della gestione piduista del SISMI e dopo che le attività di settori deviati
del Servizio sono state oggetto di iniziative del magistero punitivo.


Nel gennaio del 1981, il MUSUMECI consegnò `brevi manu' al
Giudice Istruttore l'appunto che, per gli addetti ai lavori, ha preso il nome del `tradens'. La circostanza non è controversa; anche in questo caso, però, secondo il Generale, le notizie sarebbero provenute dal suo subalterno, che le avrebbe attinte dalla consueta `fonte'.


L'appunto è più corposo del precedente e ne costituisce una `sofisticata' elaborazione. Si apprende a quale organizzazione appartenga il BRAGAGLIA: il "Nucleo Combattenti Rivoluzionari",operante nel centro-sud, cui fanno da `pendant', nel nord, le "Squadre Popolari Rivoluzionarie". Dietro queste organizzazioni si staglia l'ombra sinistra di un direttorio in cui si trovano riuniti tutti i più eterogenei personaggi dell'ultradestra. Si apprende altresì che il secondo attentato in cantiere, dopo la strage di Bologna, doveva essere realizzato a Monaco. E così di seguito: si coinvolge Pino RAUTI, si riesuma Marco AFFATIGATO, e si attribuisce il ruolo operativo al "Gruppo
HOFFMANN", con il quale "i grandi capi avevano stretto alleanza". I componenti di detto gruppo sono nominativamente
indicati. Viene individuata la strategia da attuare e
vengono precisate le motivazioni della scelta di Bologna quale città da colpire. Assieme ai Tedeschi sarebbe venuto a Rimini, in `camper', il 30 luglio, un giovane Francese, a nome Philippe, il quale avrebbe avuto il compito di depositare la valigia contenente l'esplosivo al bagagliaio della stazione. Compiuta la missione, questi terroristi a tempo pieno sarebbero forse dovuti correre a Monaco, per un altro attentato; ciò dipendeva da una telefonata. In alternativa, la meta sarebbe stata la riviera ligure. L'esplosione nella sala d'aspetto era "stata addebitata ad un errore tecnico dei `timers'". Nella destra italiana però si aveva "il dubbio che i Tedeschi lo avessero fatto di proposito". Ciò avrebbe anche determinato l'eliminazione fisica dell'unico testimone e cioè del giovane Francese
incaricato di depositare l'esplosivo al bagagliaio: infatti
"Philippe è stato coinvolto nell'esplosione".


Quello che preme in questo momento segnalare è, al di là

delle grossolanità che traspaiono già da una prima lettura, puntualmente segnalate dall'Istruttorenell' ordinanza di


rinvio a giudizio (26), il fatto che, utilizzando qualche dato veritiero (la presenza del DURAND in Italia, i nominativi di alcuni appartenenti al `Gruppo HOFFMANN'), inserito in un contesto artefatto, e frammischiandolo ad un cumulo di menzogne (in quanto frutto, ancora una volta -lo si vedrà- delle invenzioni, dei riciclaggi, degli assemblaggi del duo MUSUMECI-BELMONTE), si torna a proporre al giudice la `pista internazionale', riveduta e rimpolpata, al completo dei suoi ingredienti.


Ma gli interventi del MUSUMECI in tema di informative sulla strage non si esaurirono qui. V'è la questione dei `quesiti', solo apparentemente ingarbugliata, ma, ad un più attento esame, suscettibile di essere spiegata con chiarezza. Non è questa la sede per valutare le eventuali responsabilità penali dell'ex Procuratore della Repubblica di Bologna, dott. Ugo SISTI, per la cui posizione -lo si è visto- il Giudice Istruttore, all'esito della sua fatica,
dispose la trasmissione di determinati atti al PUBBLICO

MINISTERO, per le determinazioni di competenza. Qui giova

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(26) - SO, p851.


soltanto rilevare il dato, pacifico (27), che il SISTI, quando aveva già abbandonato la carica di Procuratore della Repubblica, sottopose ai vertici del SISMI, per iscritto, dei quesiti in ordine alla matrice dell'attentato, all'identità degli attentatori, alla natura dell' esplosivo e ad altre circostanze relative alla strage (28). E' altrettanto certo che, in un secondo tempo, furono dal Giudice Istruttore sottoposti al SISMI ulteriori, più specifici quesiti, che ottennero le risposte riportate in un dattiloscritto (29) consegnato dal MUSUMECI `more solito', `brevi manu'.


Sul punto conviene soffermarsi brevemente. In dibattimento, il dattiloscritto in questione è stato sottoposto al


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(27) - Il SISTI, in giudizio (cfr. vu 17/11/87, pp. 236-261) ha ammesso d'aver consegnato un appunto contenente quelle che egli ha definito delle "ipotesi di lavoro". L'appunto manoscritto è stato poi acquisito in copia presso il SISMI con ordinanza dibattimentale: e trovasi in AAD, V5, C8.
(28) - Nell'appunto manoscritto, vergato dal SISTI, i quesiti sono così testualmente formulati: "Tipo di esplosivo - Chi ha provveduto a stabilizzarlo - Provenienza dell'esplosivo - Chi l'ha trasportato - Come è stato trasportato - Esplosione predisposta a telecomando o a tempo? - Quali i motivi del collocamento dell'esplosivo nella stazione di B. - Chi ha progettato l'attentato ? - Dove e quando è stato progettato l'attentato - Perché è stata scelta quella data? - Gli ideatori sono tutti italiani? - I Francesi che parte hanno avuto nell'azione terroristica? - Quanti sono stati gli esecutori materiali - Dopo l'esplosione come si sono dileguati? - Dove sono andati? - Chi li ha nascosti? "
(29) - Trovasi in RA, V8, C355, pp. 4 e 6.


MUSUMECI (30). Sembra necessario trascrivere il relativo passo del verbale d'udienza: "Il P.M.: `Presidente, questa è la risposta, quesito per quesito a quelli posti dal dott. SISTI" (31)"e dal gen. MUSUMECI alla fonte, se la può contestare.'


Il Presidente mostra in visione all'imputato il documento citato dal P.M. Si dà atto che l'imputato ne prende visione e chiede: `questi due fogli solo? ma ce ne sono altri no?'


L'imputato:`questa è la risposta ai quesiti? se questa è la risposta ai quesiti, fa certamente parte dell'appunto consegnato ai Giudici, sotto banco, in modo informale.'


IlP.M.:`questi sono19, èlarisposta aiquesiti questa..'"


Il MUSUMECI ricorda male o cerca di intorbidare le acque. Il dattiloscritto fu certamente consegnato da lui `brevi manu', ma è posteriore all'`appunto MUSUMECI' e costituisce una sorta di supplemento,di appendice di quest'ultimo: tant'è che vi si forniscono chiarificazioni anche in ordine a certi passi dello stesso `appunto MUSUMECI' (a proposito ad

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(30) - Nel corso dell'interrogatorio: cfr. vu 20/7/87, p59.
(31) - Il PUBBLICO MINISTERO, equivocando, reputava che il dattiloscritto contenesse le risposte ai quesiti del dott. SISTI.


esempio,dei`campers', di Philippe, del FREDA, ecc.).


Con ordine: in epoca collocabile nel novembre del 1980, e dunque posteriore al confezionamento dell'appunto che già il 2 novembre i Carabinieri girarono al Giudice Istruttore, il dott. SISTI formulò i quesiti di cui si è dato conto sopra. L' `appunto MUSUMECI', edizione riveduta, corretta ed ampliata di quello trasmesso dall'Arma, avrebbe rappresentato la risposta ai quesiti ed alle varie sollecitazioni che, nelle more della compulsazione della `fonte', sarebbero venute dall'Ufficio Istruzione del Tribunale di Bologna.


Ora, v'è in atti (32) un formulario contenente 19 quesiti che trovano puntuale risposta nel dattiloscritto sottoposto in aula al MUSUMECI: e le chiarificazioni richieste dall'Istruttore e fornite dalla fantomatica fonte presuppongono -come s'è accennato- la conoscenza dell'`appunto MUSUMECI'. Che anche il dattiloscritto sia stato consegnato dal MUSUMECI discende già, in maniera tranquillante, dalle parole di quest'ultimo, sopra

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(32) - Trovasi in RA, V8, C355, pp. 28-29.


riportate. D'altronde non potrebbe essere diversamente, atteso che si tratta di documento consegnato `brevi manu' e che era appunto il MUSUMECI ad aver rapporti informali con il Giudice Istruttore; in ogni caso, si trattava di notizie che non potevano esser richieste se non alla consueta `fonte' del BELMONTE.


La preoccupazione del MUSUMECI, una volta presa visione del dattiloscritto, di qualificarlo come "parte" dell'appunto, nasce dall'esigenza difensiva di escludere che, dopo la consegnadell'`appunto MUSUMECI', egli abbia svolto altri interventi sul medesimo versante delle informative in ordine alla strage. Ma -si torna a ripeterlo- il Giudice Istruttore non poté formulare i quesiti se non dopo aver preso conoscenza dell'appunto stesso. E' addirittura possibile collocare nel tempo con relativa precisione il momento della formulazione dei quesiti: assunto come `terminus ante quem non' la metà del gennaio '81 (l'`appunto MUSUMECI' fu consegnato in una data collocabile nella prima quindicina del mese), può fissarsi come `terminus post quem non' la data in cui si appurò la vera identità del sedicente VAILATI medicato, dopo la strage, presso l'Ospedale Maggiore, dal momento, che tra gli altri quesiti, l'Istruttore ebbe a formularne uno relativo alle eventuali responsabilità di tale VAILATI, senza indicarlo, alternativamente, come PICCIAFUOCO o PIERANTONI.


Tanto premesso, occorre qui riportare, nella parte che interessa, le domande poste dall'Istruttore ed i responsi consegnati dal MUSUMECI, perché, ripercorrendo i quesiti il

solco già tracciato dall' `appunto MUSUMECI', e spaziando essi anche in altre direzioni (segnatamente i quesiti 5 e 19), il vertice deviato del SISMI ne approfittò per dispiegare, con le risposte, un'azione inquinante più incisiva ed a più vasto raggio, che rappresenta un rivelatore inequivoco delle finalità perseguite dal MUSUMECI e dai suoi complici.


Quesiti: Risposte:

1) Se la strage è stata ideata da 1. E' stato riferito che l'idea nuclei eversivi italiani che è maturata nell'ambiente del hanno richiesto la collaborazio- terrorismo europeo, sembra in-ne di elementi del terrorismo sieme all'attentato di Monaco. europeo oppure se è nata da unaL'esponente italiano (BRAGA-
idea maturata negli ambienti delGLIA) incaricato dell'opera-
terrorismo europeo;zione, avrebbe chiesto la col-
laborazione , in fase esecuti-
va, del gruppo HOFFMANN.
2) Chi è il capo dell'organizzazio- 2. I capi sono quelli citati.
ne, almeno quello italiano.Altro nei vertici non èstato possibile apprendere.


... ...
5) Che parte hanno avuto i NAR; se 5. E' stato escluso il legame sono compartecipi del programma con i NAR, come è stata esclu- gli attuali imputati dellasa la partecipazione alla strage : CALORE Sergio, PEDRETTI strage dei nominativi segnala-Dario, FURLOTTI Francesco, ti. Se alcuno di essi poteva SEMERARI Aldo, SIGNORELLI Paolo. essere al corrente non è sta-
to potuto chiarire, anche perché esistono legami tra NAR
e TERZA POSIZIONE.
6) Quali sono in Italia le persone 6. Gli autori sono stati tutti che hanno ideato, collaborato, indicati. Ulteriori penetra-
affiancato gli autori zioni hanno dato esito dell'attentato in tutte le fasinegativo.
dell'impresa. Dove sono avvenuti in Italia e all'estero gli in-
contri dei responsabili e a quale data risale il progetto
criminoso.
7) Qualisono le fonti di finanzia- 7. Le fonti di finanziamento
mento, ad esempio droga o rapi-sono state collocate nell'am-
ne. Se i responsabili hanno in bito dell'alta finanza, ma lo Italia conti correnti o depositi argomento è fuori della cono-bancari.scenza dei settori nei quali è stata compiuta la penetra-
zione.
8) Se la stessa organizzazione ha 8. Sembrerebbe, da quanto è compiuto altri attentati in stato appreso, che lo stesso Italia;se è responsabile anche gruppo HOFFMANN abbia avuto
dell'attentato di Monaco (Germa-responsabilità operative nel-
nia)l'attentato di MONACO.
9) Che ruolo ha Franco FREDA nella 9. e 10. Franco FREDA riesce ad
organizzazione e come si tiene avere collegamenti con i a contatto con gli altri mem- gruppi esterni tramite assi-
bri.stentisociali. Non si cono-
10) In quale modo usano comunicare sce comunque la chiave.
fra loro; se hanno corrieri o mezzi convenzionali di comunica-
zione;
11) Quale parte hanno avuto nella 11. L'AFFATIGATO è stato indi-
organizzazione AFFATIGATO Marco cato come uno dei capi della
e BRAGAGLIA e quale ruolo haorganizzazione. Il ruolo del
svolto il BRAGAGLIA nell'esecu-BRAGAGLIA è stato già invece
zione dell'attentato. sufficientemente definito.
12) Se DURAND nel suo soggiorno a 12. Sui contatti del DURAND è
Bologna prima dell'attentato ha stato già riferito.
avuto contatti con persone che
hanno poi avuto a che fare con
l'attentato
... ...
14) Da quale città della Germania 14 e 15. I Camper sono partiti
sono partiti i Camper e quali da Monaco e si ritiene siano sono le sedi abituali dei loro colà reperibili o negli imme-
incontri in Francia e Germania. diati dintorni.
15) La località precisa in cui i
terroristi hanno parcheggiato a
Rimini i loro Camper e se tali
Camper sono tuttora reperibili
in Germania


16)Da dove proviene l'esplosivo; 16. La versione fornita sulla come è avvenuta l'esplosione in morte del PHILIPPE è quella
tempi tali da sorprendere coluigià data.Se tale versione
che era incaricato di deporre risponda a verità o se sia l'ordigno. E' stato usato un stata costruita per avvalora-timer ovvero un innesco chimico?re l'ipotesi di un errore dei timers e quindi dare giustifi-
cazione dell'eccidio non è
stato possibile approfondire.
17) Con quale mezzo è stato traspor- 17. Nessuna indicazione è stata
tato a Bologna l'ordigno esplosi- fornita nel senso richiesto,
vo; quando sono ripartiti da Ri- ancheperché atale incomben-
mini gli autori dell'attentato e te avrebbe provveduto, in pro-
quale itinerario hanno percorso. prio, il gruppo HOFFMANN.
18) Ilcorpodell'attentatore peri- 18. Nessuno ha visto il corpo di
to nell'esplosione è stato PHILIPPE. Rimane tuttavia il riconosciuto da qualcuno? fatto che lo stesso PHILIPPE
non è stato più rintracciato.
19) Se ha preso parte al delitto... 19. Sembrerebbe da escludere la
tale VAILATI. partecipazione di altri allo
attentato.

Il messaggio diviene più esplicito ad ogni informativa. Dai responsi passati in rassegna si apprende che l'ideazione dell'attentato non è frutto di eversori italiani, ma è maturata nell'ambiente del terrorismo europeo. E sembra sia maturata assieme al progetto della strage di Monaco. Le fonti di finanziamento vanno ricercate nell'alta finanza. Il gruppo degli esecutori tedeschi sembrerebbe operativamente coinvolto anche nella strage di Monaco. Chi invece non ha nulla a che fare con la strage sono i NAR; così come certamente estranei all'attentato sono i vari CALORE, PEDRETTI, FURLOTTI, SIGNORELLI e SEMERARI. Anche un certo VAILATI non ha preso parte all'attentato, perché sembrerebbe
da escludere la responsabilità di persone diverse da quelle indicate nelle precedenti informative. Anzi, di più: "gli autori sono stati tutti indicati". Al trasporto a Bologna dell'esplosivo ha provveduto autonomamente il `Gruppo HOFFMANN'.


Laddove i quesiti si fanno imbarazzanti, non ottengono risposta, o ne ottengono di evasive.


In qualche caso, si tratta di rimediare a precedenti sortite alquanto spericolate. Ci si trova a dover chiarire come il FREDA, dal carcere, possa collaborare a dirigere l'organizzazione terroristica internazionale. E ci si trova a dover far i conti con il fatto che, mentre il francese Philippe -nell'`appunto MUSUMECI'- è stato dato per morto nell'attentato, le vittime della strage sono state tutte identificate: e Philippe manca all'appello.


A cavallo fra la fine dell'80 e l'inizio dell'81, MUSUMECI e soci, con i necessari aggiustamenti e con le opportune precisazioni, cavalcano a briglia sciolta la tigre della `pista internazionale'. Ma gli inquirenti bolognesi, tutto sommato, appaiono ancora tiepidi rispetto alle aspettative;
la pista che potrebbe definirsi `FARINA-LAZZERINI-VETTORE'

resiste ancora e varie carcerazioni si trascinano. Di qui l'insorgere di un'offensiva più decisa e penetrante, che dimostri, ad un tempo, l'attuale operatività di un gruppo terroristico internazionale e la riferibilità allo stesso anche della strage di Bologna. Accertando le responsabilità dei vertici deviati del SISMI nell' `operazione Terrore sui treni', la Corte verrà accertando, automaticamente, anche le responsabilità degli imputati per il confezionamento delle informative sin qui passate in rassegna. Invero, per ammissione del MUSUMECI e del BELMONTE, unica è stata la `fonte' nell'un caso e nell'altro. Dimostrato che la `fonte' dell' `operazione Terrore sui treni' non esisteva, che le notizie furono costruite a tavolino dai detti imputati, i quali sono responsabili della collocazione della valigia sul treno Taranto-Milano, resta provato che anche le informative sulla strage sono state artatamente predisposte dai vertici dell'Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI.


2.3.2.2) L' `operazione Terrore sui treni'


Oltre ai fatti esposti in narrativa a proposito di questa
ulteriore vicenda, conviene ricordare ancora quanto segue.


Nella valigia rinvenuta sul treno Milano-Taranto, assieme agli oggetti di cui si è detto sub 1.2.10), erano stati rinvenuti altresì: 2 passamontagna di lana color `bleu'; 2 paia di guanti di gomma di tipo casalingo; una coperta di lana `double face', senza marca, di colore giallo canarino e arancione, con disegni di personaggi `disneyani'; una copia del quotidiano francese `France Soir' ed una del `Le Figaro Magazine', datate rispettivamente 10 e 10/11 gennaio; una copia del quotidiano tedesco `Frankfurter Allegemeine' ed una del `Die Zeit', entrambe con supplemento settimanale, datate 9 gennaio (33).


Dalla fascetta apposta sui biglietti aerei risultava che gli stessi erano stati acquistati presso l'agenzia di viaggi `A. MORFINI & figli di Bari'. Veniva pertanto interessata la Questura di quella città, che provvedeva ad assumere a verbale l'impiegato addetto allo sportello prenotazione e biglietti della società, tale BATTISTA Michele. Questi riferiva che, verso le 11 del 12 gennaio, si era presentatopresso l'agenzia un giovane dell'apparente età di

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(33) - Cfr. rapporto Questura Bologna 7/2/81, in AAD, V6, pp. 46 ss. 25 anni, alto mt. 1,72-1,73, di corporatura snella, dai capelli scuri, dal colorito bruno, senza occhiali, privo di barba e baffi, con cadenza presumibilmente barese, il quale aveva chiesto di effettuare una prenotazione per i voli Linate-Monaco e Linate-Parigi, rispettivamente ai nomi di DIMITRIEF Martin e LEGRAND Raphael, esibendo un appunto sul quale erano riportati i nominativi suddetti e gli orari di viaggio (34).


Si è fatto cenno sub 1.2.22) lettera c) dei quesiti che furono sottoposti alla `fonte' delle informative. Va sottolineato che i quesiti vennero formulati dalla 1ª Divisione del Gen. NOTARNICOLA. Le risposte non si fecero attendere, essendo all'epoca la `fonte' -come ha osservato la Corte d'Assise di Roma- ancora viva e vitale. Vi si legge per la prima volta il nome di Giorgio VALE. Testualmente: "Da informazioni assunte il corriere che avrebbe collocato la `nota' valigia sul treno non dovrebbe identificarsi con la persona che ha fatto i biglietti a Bari. Infatti, questi, sembra, sia tale VALE Giorgio da Roma. Costui è stato

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(34) - Cfr. il rapporto citato alla nota che precede.


indicato come la persona che avrebbe il compito di mantenere i contatti tra TERZA POSIZIONE-F.A.N.E. - ed un sedicente gruppo tedesco HOFFMANN...Dopo l'esecuzione degli attentati ai treni il VALE avrebbe dovuto procedere alla seconda parte dell'operazione che consisteva nel mettere in atto il ricatto alla Stato" (35).


A proposito del DIMITRIS e del LEGRAND: "I due stranieri, indicati come DIMITRIS e LEGRAND, sembra, avessero richiesto due armi automatiche da usare a breve distanza e due biglietti di aereo. Detto materiale avrebbe dovuto essere consegnato unitamente alla `valigia' a Pescara. Lo scambio, invece fra gli stranieri e gli altri doveva avvenire ad Ancona. Di qui LEGRAND e DIMITRIS si sarebbero recati con le armi a Milano, mentre gli altri avrebbero dovuto proseguire per Bologna. Non si conosce il motivo della richiesta delle due armi..."


* * * * *


(35) - I contorni del "ricatto allo Stato" sono precisati nel rapporto 24/2/81 di cui sub 1.2.12): "...questo SISMI era venuto a conoscenza di un imminente presunto piano eversivo che si sarebbe estrinsecato in due fasi: -nella prima si sarebbero dovuti verificare attentati (a scopi dimostrativi) in corrispondenza dei più importanti tronchi ferroviari; -nella seconda, i terroristi avrebbero avanzato richieste ricattatorie alle Autorità sotto minaccia di far esplodere un consistente ordigno (circa 10-15 kg. di esplosivo) precedentemente collocato in corrispondenza di importante obiettivo."


Compare una figura nuova rispetto alle informative del gennaio: "Il corriere dovrebbe essere di Cosenza e sembra sia incensurato e vicino agli ambienti della mafia calabrese. Vive a Firenze. Non sono pervenute altre notizie sul conto dell'interessato."


Il 24 aprile 1981, il Gen. SANTOVITO trasmetteva all'UCIGOS, al Comando generale dell'Arma ed al SISDE un appunto (36) del seguente tenore: "1. Fonte straniera attendibile riferisce che VALE Giorgio, elemento della destra eversiva internazionale, avrebbe commissionato un grosso quantitativo di esplosivo per condurre `non precisati' attentati terroristici in Italia.


2. Gli esecutori materiali degli attentati dovrebbero provenire dalla Germania nella settimana pasquale e/o in quella successiva, a mezzo di CAMPER."


Il 30 giugno, la DIGOS di Bologna, facendo seguito al rapporto citato alla nota (33), riferiva (37) aver dato esito negativo le indagini svolte per accertare l'eventuale presenza di Giorgio VALE in Imperia, nonché quelle volte ad

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(36) - AA, V7, V43, p148.
(37) -AAD, V6, C3, pp. 56-70. acclarare se fosse stato il VALE l'acquirente dei biglietti aerei presso l'agenzia di viaggi di Bari. Aggiungeva che l'11 gennaio, sul volo `AZ 429', aveva viaggiato da Monaco verso Milano Linate tale DIMITRIS, non meglio precisato. Richiamava, a proposito del LEGRAND, il rapporto 7 febbraio, nel quale, fra l'altro, era stato riferito che tale LEGRAND Philippe (e non Raphael), architetto francese, era venuto alcune volte in Italia, per motivi professionali, fra il '79 e l'80, alloggiando in esercizi ricettivi milanesi; e che tale LEGRAND Ph., prenotato sul volo `AZ 327' Parigi-Linate del 14 gennaio, non risultava sbarcato all'arrivo del velivolo.


Va qui ricordato che, nello stesso rapporto 7 febbraio, si precisava che i due stranieri di cui ai biglietti rinvenuti nella valigia, pur risultando prenotati per il giorno e gli orari di cui si è detto sub 1.2.10), non si erano presentati all'atto dell'imbarco.


Siè già dato conto, in narrativa (38) di parte delle dichiarazioni testimoniali del Gen. NOTARNICOLA, rese tanto nel procedimento romano che nell'istruttoria del presente.

* * * * *


(38) - Cfr. supra, sub 1.7.3) ed 1.7.9). Va ricordato che, deponendo di fronte al PUBBLICO MINISTERO di Roma, il 3 maggio 1984, oltre a quanto si è riportato sub 1.7.3), egli ebbe a dichiarare ancora: "...infatti, sulla base di comunicazioni anche telefoniche dell'ufficio del col. MUSUMECI,e di suoi dipendenti,qualche settimana odun mese dopo, fu rinvenuta -sul treno Lecce/Milano, presso la stazione di Bologna- una valigia contenente armi ed esplosivi, nonché biglietti d'aereo corrispondenti alle indicazioni fornite dall'ufficio del col. MUSUMECI. Ricordo che la magistratura di Bologna chiese di conoscere l'identità della fonte informativa ma senza successo; io stesso chiesi informazioni in proposito alla direzione del servizio ed ottenni solo che il MUSUMECI rispondesse direttamente ai giudici di Bologna. In seguito seppi dal col. BELMONTE (che era alle dipendenze, all'epoca, del MUSUMECI) che la fonte era stata un delinquente comune tarantino, ormai deceduto. Non mi venne fatta una indicazione nominativa. A proposito della detta vicenda, rammento che rilevai che le informative erano troppo dettagliate (colore e descrizione della valigia prima ancora che venisse trovata; indicazione esatta non solo del treno, ma persino della vettura in cui era tenuta la valigia; indicazione dei presunti nomi degli autori del traffico -due stranieri- che poi risultarono corrispondere ai nomi degli intestatari dei biglietti d'aereo trovati nella valigia); ciò mi fece pensare che l'informatore doveva essere direttamente coinvolto nel traffico stesso...A proposito della vicenda della valigia di cui ho parlato, rammento che l'ufficio del MUSUMECI mi richiese di rispondere ai magistrati di Bologna affermando che la fonte della notizia era costituita da `persone straniere, non più contattabili'. Vista la genericità della risposta, pretesi -con appunto scritto- che ad interloquire con la magistratura bolognese fosse lo stesso col. MUSUMECI..." (39).


Si è succintamente dato conto, sub 1.7.9), di come la linea difensiva del BELMONTE abbia trovato clamorosa smentita nelle dichiarazioni del Maresciallo SANAPO (40): ciò per illustrare la genesi del procedimento per calunnia. Qui


* * * * *


(39) - Tanto le dichiarazioni del 3/5/84, quanto quelle rese al Giudice Istruttore del presente procedimento il 10 ed il 17/11/84 hanno trovato conferma in dibattimento: cfr. vu 14/10/87, p19.
(40) - Per la conferma dibattimentale delle dichiarazioni precedentemente rese da costui, cfr, vu 16/10/87, p31. è necessario riprendere l'argomento nel dettaglio. Si legge nella sentenza 29/7/1985 della Corte d'Assise di Roma (41): "BELMONTE ha fornito...le seguenti versioni: la fonte, che conosceva da quando egli comandava il gruppo dei Carabinieri di Taranto, telefonicamente gli fornì le notizie sul trasporto dell'esplosivo, sulla F.A.N.E., su FREDA, VENTURA, DELLE CHIAIE, VALE, ecc., sull'appartamento d'Imperia, sul `gruppo HOFFMANN', spiegandogli che le informazioni gli erano state date da uno straniero, forse francese;


era stato stabilito che, allorché fosse pervenuta la notizia circa il luogo ove sarebbe dovuta avvenire la consegna del materiale, egli, insieme con un funzionario della I Divisione, avrebbe raggiunto la `zona operativa'. Ma il col. NOTARNICOLA, dirigente di detta divisione, aveva ordinato che nessuno doveva accompagnarlo. Pertanto, nei giorni dal 9 al 13 gennaio 1981 non si era mosso da Roma , e di questa circostanza era `assolutamente sicuro';



* * * * *


(41) - cfr. AA, V11, C63, pp. 130 ss. Si riporta il testo, omettendo le note. La Corte romana, nel passo in questione, ha fatto riferimento ai seguenti verbali: BELMONTE, 16/8/84, 22/10/84, 24/10/84 e 1/11/84, in Cal., V2, C1, rispettivamente pp. 72-76, 77-79, 80-81 e 64-68; SANAPO, 24/10/84 e 1/11/84, in Cal., V2, C1, rispettivamente pp. 82-88 e 52-58; confronto BELMONTE-SANAPO 24/10/84, in Cal., V2, C1, pp. 89-90.


la fonte non aveva ricevuto alcun compenso né lo aveva preteso;


la fonte era stata uccisa in un conflitto a fuoco;


la fonte era tale Peppino MONNA;


se prima aveva affermato che la fonte era stata uccisa, era stato `per cautelare la fonte stessa';


MONNA -che era effettivamente deceduto-" (42) "gli aveva trasmesso anche le informazioni sulla strage di Bologna. A riguardo, su sollecitazioni e disposizioni del Gen. MUSUMECI, al quale peraltro aveva fatto presente che le notizie erano state valutate come inattendibili dalla I Divisione, egli telefonicamente aveva interpellato la fonte sui quesiti formulati con la collaborazione del dott. SISTI, ricevendo le risposte comunicate al giudice istruttore di Bologna;


aveva consegnato a MONNA, a più riprese, la somma complessiva di un milione e mezzo di lire;


non aveva detenuto o trasferito armi ed esplosivo od



* * * * *


(42) -Secondo la versione resa il 22/10/84, che il MONNA fosse realmente morto il BELMONTE avrebbe appreso dal SANAPO, telefonandogli dopo esser stato esaminato dal PUBBLICO MINISTERO di Roma il 16/8/84.


ordinato ad altri, od invitato altri ad effettuare un trasporto di armi ed esplosivo;


era falso quanto affermato dal col. NOTARNICOLA, secondo cui egli avrebbe detto che stava per recarsi a San Severo: in quel periodo di tempo non si era mai mosso dalla zona di Roma;


alla contestazione che da prova documentale risultava che all'uopo il SISMI gli aveva messo a disposizione una Fiat Ritmo, dichiarava che in realtà si era recato a San Severo per incontrare la fonte e che prima aveva mentito perché sapeva che `sarebbe successo tutto questo';


affermava poi che non era andato a San Severo ma a Vieste, e che il precedente suo comportamento era inteso a proteggere il maresciallo Francesco SANAPO, suo ex-sottoposto, il quale era la vera fonte. Su ordine di MUSUMECI, aveva raggiunto Vieste verso le 19 del 12 gennaio. Si era intrattenuto nell'abitazione di SANAPO. Verso le ore 3 era pervenuta la `comunicazione' da parte del confidente. Aveva allora telefonicamente avvertito il SISMI; si era recato in albergo, ripartendo per Roma dopo un paio di ore;


alla contestazione che non vi era motivo di `cautelare' il maresciallo, il quale, essendo ufficiale di polizia giudiziaria, poteva tenere segreto il nome del confidente, rispondeva che non è che non ci avesse pensato, ma che voleva `coprire il maresciallo SANAPO e basta';


aveva attribuito la falsa qualifica di confidente a MONNA quando apprese da SANAPO che lo stesso era morto;" (43)


era stato il sottufficiale a fornirgli le notizie sulla strage di Bologna e sul trasporto dell'esplosivo;


tutti i riferimenti alla fonte, internazionale e straniera -precisava- erano stati da lui BELMONTE inventati per rendere più verosimile l'origine delle confidenze;


MUSUMECI nulla sapeva di SANAPO.


Il maresciallo Francesco SANAPO, nell'esame testimoniale del 24 ottobre 1984, dopo aver affermato che la fonte era Giuseppe MONNA; che si era incontrato a Brindisi con MUSUMECI e BELMONTE; che egli aveva fatto da intermediario fra BELMONTE e la fonte, ricompensata con la somma di £


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(43) -L'imputato lo aveva appreso, naturalmente, all'epoca dei fatti cui si riferisce l'imputazione: nel corso dell'esame del 16/8/84 gli era però sopravvenuto un dubbio, che -come s'è visto alla nota che precede- si era tolto telefonando al SANAPO, il quale gli aveva riconfermato la notizia.


300.000.000;


che MONNA nel dicembre 1980 gli aveva recapitato tre fogli dattiloscritti, da lui `girati' al tenente colonnello, dove vi era scritto che la strage di Bologna, organizzata da DELLE CHIAIE, era stata eseguita da un gruppo di tedeschi (il gruppo HOFFMANN) giunti in Italia a bordo di due camper ecc., ritrattava tali dichiarazioni, e riferiva d'averle rese su suggerimento dell'ufficiale superiore, già suo comandante di reparto. Ripugnava però alla sua coscienza di carabiniere mentire. Invero, BELMONTE, che era andato a trovarlo nell'estate del 1981, lo aveva indotto a sostenere l'inventata tesi di un rapporto a tre fra BELMONTE stesso, lui e un confidente.


SANAPO, esame 1/11/84: `...BELMONTE mi disse:...io non mi sono iscritto alla loggia P2 anche se MUSUMECI mi aveva chiesto di farlo e pertanto sono rimasto al SISMI e in pratica sostituivo il MUSUMECI, essendo vice-comandante dell'ufficio...Ti debbo chiedere un favore. MUSUMECI ha mandato un rapporto ai giudici di Bologna sui presunti autori della strage di Bologna. Questo rapporto non è stato fatto bene; però MUSUMECI ha caricato su di me dicendo che le notizie e il rapporto erano miei. Adesso mi sono assunto la paternità delle notizie che sono nel rapporto. Dovremmo trovare una fonte alla quale attribuire le notizie che io ho dato...In ogni caso, fallo per me...'


Successivamente, nel dicembre 1981, SANAPO informò BELMONTE di aver `trovato' una persona adatta a fungere da fonte, e gli fece il nome di Giuseppe MONNA, pregiudicato tarantino assassinato nel maggio/giugno 1981.


`Il BELMONTE mi chiese qualche indicazione sul personaggio defunto -in relazione all'aspetto fisico e ai suoi precedenti-, ed io gli spiegai quanto sapevo, aggiungendo che egli avrebbe potuto dire di aver conosciuto il MONNA durante il suo periodo di comando a Taranto (gli spiegai infatti che il MONNA era un pregiudicato tarantino). Invitai comunque il BELMONTE a vedersela da solo, perché non me la sentivo a raccontare -se fossi stato chiamato- una storia così macchinosa. Il BELMONTE mi disse: `Non ti preoccupare, ormai me la vedrò io, dimentica quallo che ti ho detto (me lo ripeté due volte), perché dietro quella persona ci sono persone molto in alto'. Per il contenuto delle nostre conversazioni, risultava evidente che `quella persona' non poteva non essere altri che MUSUMECI'.


BELMONTE a sua volta affermava :


che era falsa la circostanza del versamento di lire un milione e mezzo in favore di MONNA. Egli aveva informato MUSUMECI del contenuto della sua deposizione nel corso della quale aveva attribuito a MONNA quale compenso una somma corrispondente a quella del rimborso delle spese da lui sostenute;


che la fonte aveva chiesto £ 300.000.000 ma nulla le era stato dato perché l'operazione non era andata in porto;


che, anzi, il SISMI aveva pagato un premio di £ 300 milioni. Egli stesso si era recato a Brindisi con un aereo della CAI consegnando la busta, contenente il denaro procurato da MUSUMECI, a SANAPO.


Dopo aver preso atto delle dichiarazioni del sottufficiale, BELMONTE ribadiva l'ultima versione dei fatti, che manteneva senza convinzione anche in sede di confronto, pronunciando significative frasi, le quali dimostrano la sua ostinazione a `coprire' le responsabilità dei complici:


`SANAPO:...Ma perché non diciamo la verità? Stiamo per rovinare i cristiani? Se sei succube di quello, liberatene'.


`BELMONTE: il problema è che addebitano a me il trasporto e rimango solo io!'.


...`SANAPO: ma a chi li avremmo dovuti consegnare i soldi, se non c'era nessun confidente?'.


`BELMONTE: sono rimasto solo io, appeso al muro. Si doveva presentare quello della I Divisione che non hanno né nominato né designato. Lui avrebbe dovuto prendere contatto con la fonte'.


Con quest'ultima frase, in particolare, l'imputato smentisce ancora una volta se stesso parlando del previsto ma non realizzato contatto tra altro funzionario del SISMI e il `confidente' -persona diversa da SANAPO-, quando prima aveva invece affermato che il rapporto fiduciario intercorreva esclusivamente tra lui e il maresciallo dei Carabinieri.


L'ennesima menzogna," -rileva ancora, puntualmente, la Corte d'Assise di Roma- "resa da un individuo che era sul punto di confessare ma cercava disperatamente un appiglio cui sostenersi, non ha carattere di estemporaneità perché si ricollega a un documento datato 8/4/82, il quale conferma quanto BELMONTE ebbe a dire a SANAPO nell'incontro romano del dicembre 1981, e cioè che, essendo stata trovata la `fonte' (MONNA, deceduto pochi mesi prima), comodissima perché non poteva smentire, egli `se la sarebbe vista da solo'.


Ildocumento" (44)"consiste in una nota scritta da un funzionario del Servizio sotto dettatura di BELMONTE: `L'intermediario è MONNA Beppino, tarantino, pregiudicato, ucciso in un regolamento di conti nell'estate 1981 nella zona di Taranto. Delinquiva nel traffico della droga...'


Ed ancora, BELMONTE dichiarava di non essersi recato a Brindisi in quei giorni, e comunque che non vi era andato insieme con MUSUMECI. Alla contestazione che da un rapporto dei Carabinieri risultava che con volo CAI aveva raggiunto




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(44) - Trovasi in Cal., V2, C2, p162. E' allegato ad una nota, datata 12/6/1984, nella quale si legge: "Le notizie concernenti il rinvenimento di una valigia sul treno Taranto-Milano (13/1/1981), vennero riferite da persona rimasta non identificata, per esplicita condizione posta dalla stessa, presentata all'ufficiale contattante da intermediario -ora deceduto- il cui nominativo è indicato nell'unita nota manoscritta. Il suo originale è stato ed è tuttora custodito in plico chiuso."


Brindisi l'8 gennaio 1981 partendo da Ciampino alle ore 16,23 e facendo ritorno alle 19,32, affermava di non ricordare e che l'unica possibilità era che avesse avuto un colloquio con SANAPO prima di stendere l'informativa
relativa alla `operazione terrore sui treni'. In ogni caso non aveva raggiunto Brindisi con il suo superiore . Se ciò fosse avvenuto se lo sarebbe ricordato. Alla contestazione che dal suddetto rapporto risultava che sullo stesso aereo, da Roma a Brindisi e ritorno, aveva viaggiato MUSUMECI, escludeva il fatto `nel modo più categorico'. Ci doveva essere un errore. `Tra l'altro il MUSUMECI non aveva nessuna ragione per andare a Brindisi in relazione all'operazione dell'esplosivo'.


E' opportuno qui rammentare " -continua la Corte romana- "che SANAPO secondo la versione concordata a suo tempo con BELMONTE, riferì inizialmente al Magistrato di essersi incontrato a Brindisi con il predetto BELMONTE e MUSUMECI.


Perché allora BELMONTE ha così ostinatamente negato il fatto del viaggio a Brindisi con il suo superiore, fatto che pure era documentalmente provato?" (45)


* * * * *


(45) - Nella sentenza che si sta citando, alla nota (2) di pagina 138, sono indicati i riferimenti documentali.


"Per più ordini di motivi: perché l'invenzione del confidente o meglio dell'intermediario della fonte deceduto, consacrata ormai in atti del SISMI, metteva `fuori causa' SANAPO e la storia che avrebbe dovuto raccontare, tanto più che allo stesso l'imputato aveva dato assicurazione che non avrebbe chiesto il suo aiuto (a conferma, si legga il verbale del 16/8/84...dove non si fa alcun accenno a SANAPO); perché la missione di MUSUMECI e BELMONTE a Brindisi era preordinata alla messaa puntodell'operazione terroristica, ed era bene non parlarne affatto; perché era necessario tenere fuori della vicenda MUSUMECI.


Ed ancora, BELMONTE, contraddicendo quanto aveva precedentemente affermato circa il pagamento del premio di £ 300 milioni, affermava nel corso dell'ultimo interrogatorio raccolto dal P.M." (46) "che non gli risultava che fosse `mai stato stanziato alcunché per l'azione informativa della valigia sul treno Taranto-Milano'".


Osserva ancora la sentenza della Corte d'Assise di Roma, a proposito di quella che taluno, in quel giudizio, aveva * *** *

(46) -Qui si cita l'interrogatorio del 21/11/84: cfr. Cal.,
V3, pp. 95-96. sostenuto essere `l'assoluta verità' contenuta nelle pagine iniziali del primo verbale di esame testimoniale del SANAPO: "...va rilevato che il fantomatico confidente, che avrebbe ricevuto il premio il giorno dopo l'asserita consegna da parte di BELMONTE a SANAPO del denaro, non fornì più alcuna notizia sull' `operazione', e non si fece più sentire dalla metà di febbraio, mentre la `risposta ai quesiti' reca la data del 7/2/81 e l'appunto su VALE e la imminente esecuzione di attentati ad opera di terroristi, che sarebbero giunti dalla Germania a bordo di camper, quella del14/4/81" (47).


Nell'istruttoria romana, il MUSUMECI si era avvalso della facoltà di non rispondere tanto in relazione alla
complessivavicenda(48) quanto al compenso di £300.000.000


* * * * *


(47) - Qui la Corte di Roma è incorsa in un innocuo errore materiale:l'informativa in questione reca la data del 13/4/81 (cfr. AA, V7, C43, p148). Ad evitare equivoci, occorre precisare che, nel passo della sentenza testé riportato, laddove si legge "non fornì più alcuna notizia sull'`operazione'", deve sottindendersi "dopo quelle del gennaio che avevano portato al rinvenimento della valigia": di qui l'inattendibilità della versione originaria del SANAPO, atteso che la risposta ai quesiti porta, appunto, la data del 7 febbraio. Nel riferire dei successivi contatti, sino all'ultimo, telefonico, della metà del febbraio, non si faceva cenno -nella versione SANAPO prima maniera- di ulteriori notizie fornite dalla fonte in relazione all' `operazione terrore sui treni'.
(48) - Nell'interrogatorio del 22/10/84 (cfr. Cal., V2, C1, p91): "...non intendo rispondere in ordine ai capi (F) (G) della rubrica..."


che, secondo una delle versioni fornite dal coimputato, sarebbe stato corrisposto alla `fonte' (49).


Riprendendo la sentenza delle Corte d'Assise di Roma: "In sede dibattimentale, MUSUMECI ha affermato che SANAPO era la `fonte', da lui stesso incontrata in due occasioni, una volta a Roma e un'altra volta a Brindisi l'8 gennaio 1981 -comeappresso si dirà-; che il gen. SANTOVITO era a conoscenza del ruolo che svolgeva il sottufficiale, iscritto nei libri-paga del SISMI, al quale furono consegnate per le notizie sulla strage del 2 agosto la somma complessiva di £ 10.000.000 e per l'operazione `Terrore sui treni', in un'unica soluzione, la somma di £ 300.000.000.


BELMONTE si è subito allineato, ammettendo il viaggio a


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(49) - Nell'interrogatorio del 13/11/84 (cfr. Cal., V2, C1, p40). Nello stesso contesto, il MUSUMECI, invitato ad indicare l'ammontare complessivo delle somme ottenute, per varie notizie, nel periodo ottobre '80-giugno '81, dall'Ufficio Controllo e Sicurezza, aveva risposto: "Ritengo che la somma, complessivamente, non possa essere asssolutamente superiore alle lire 5 milioni". Poi dopo aver preso atto che il Col. DI MURRO, amministratore del SISMI, aveva dichiarato d'aver versato all'Ufficio Controllo e Sicurezza, fra l'ottobre '80 ed il giugno '81, una somma variabile fra un miliardo ed un miliardo e duecento milioni di lire, aveva, tra l'altro, affermato: "Se il Col. DI MURRO ha dichiarato di aver elargito quella somma (non so se sia esatta , perché non lo ricordo), si riferisce ad operazioni che riguardano Bologna." Ad illustrare l'utilizzo della somma, aveva quindi soggiunto: "...Ci sono sei mesi di lavoro dei giudici di Bologna che sono venuti a Roma; comunque risponderò al giudice competente..."


Brindisi con MUSUMECI e sostenendo che SANAPO riceveva compensi mensili dal SISMI e che per le notizie sulla strage e sul trasporto dell'esplosivo era stata versata al predetto denaro nella misura e con le modalità indicate dal suo superiore.


Il maresciallo SANAPO, nel confermare quanto dichiarato in istruttoria, ha categoricamente negato di essere un elemento `acquisito' al SISMI, di aver fornito notizie sulla strage di Bologna e sul trasporto dell'esplosivo e in particolare ha affermato che: rifiutò la proposta di BELMONTE di passare al SISMI;


sollecitato dall'imputato, gli inviò, per il tramite del maresciallo CECI, informazioni su un traffico di auto rubate e di droga, ricevendo £ 250 mila come rimborso spese;


BELMONTE lo informò che al Servizio non interessavano notizie di quel genere, ma che a lui interessava sapere che in un determinato posto vi era un amico cui potesse rivolgersi in qualsiasi momento. Essi `avevano' una rete informativa spionistica in Italia e all'estero, ed erano guidati da un `grosso personaggio'...;


ricevette somme di £ 200/250 mila, complessivamente £ 3 milioni circa...;


firmò una ventina di ricevute con il nome di `Antonio', su invito di BELMONTE, che gli aveva detto che doveva regolarizzare una pratica amministrativa;


le visite del colonnello,..., dal dicembre 1980 si fecero più frequenti...per poi interrompersi dopo lo scandalo della P2;


BELMONTE nella prima decade del luglio 1981, dopo avergli preannunciato telefonicamente la visita, si recò da lui, a Vieste. In questa occasione, gli fece il discorso sopra riportato sulla necessità di `inventare' una fonte. Quella vera non poteva essere scoperta `perché era una fonte di Stato', facendogli capire che essa si identificava con il grosso personaggio che guidava la rete spionistica;


non era stato a Brindisi né l'8 né il 22 gennaio 1981;


BELMONTE non si era recato a Vieste il 12/13 gennaio 1981, né poteva telefonare dal suo alloggio perché la derivazione telefonica o meglio citofonica ivi installata non consentiva di chiamare la linea esterna;..."



2.3.2.3) Le valutazioni della Corte


La responsabilità del MUSUMECI e del BELMONTE per il confezionamento delle informative e per la collocazione della valigia sul treno Taranto-Milano (su quest'ultimo aspetto si è già formato il giudicato, per l'intervenuta definitività, sul punto, della sentenza della Corte d'Assise di Roma) è dimostrata da un complesso probatorio imponente.


a) Nessun dubbio sull'attendibilità del SANAPO. Ha osservato giustamente la Corte romana (50) che "l'iniziale e poi ritrattato adattamento alla versione concordata con BELMONTE riguardante l'incontro brindisino a tre, le informative, il presunto confidente, la ricompensa pagata, trova causa nelle pressioni subite dal teste ad opera del suo ex-comandante, al quale era legato da devota amicizia, e dal timore di andare altrimenti incontro a pericoli, avendogli l'imputato fatto capire che dietro a MUSUMECI c'era gente molto potente".


A riprova dell'atteggiamento intimidatorio del BELMONTE, va qui ricordato che, nel corso del confronto (51) tra i

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(50) - AA, V11, C63, p143.
(51) - Cal., V2, C1, p63.


due in data 1/11/84, l'imputato così apostrofò il teste: "...Mi sembra che mi stiano balenando delle cose poco gradevoli sul tuo conto; vuol essere un avvertimento..."


Non fu peraltro certamente estranea all'iniziale decisione del SANAPO di fornire copertura a chi gliela chiedeva la particolare situazione psicologica del sottufficiale, lusingato di avere rapporti con alti ufficiali dell'Arma, per di più appartenenti al prestigioso Servizio segretomilitare, edi poteressere loro d'aiuto, in ossequio ad un malinteso spirito di corpo.


Le relazioni di amicizia tra i due e le loro famiglie escludono che il SANAPO abbia potuto rendere falsa testimonianza contro l'amico (52).


D'altronde, non si comprende perché avrebbe dovuto farlo.


b)Il BELMONTE aveva mentito anche al Gen. NOTARNICOLA, riferendogli che si sarebbe recato a San Severo. Così il Dirigente della 1ª Divisione al Giudice Istruttore, il




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(52) - Si rileggano i seguenti passi del confronto 1/11/84: "SANAPO:...Adesso se mi dici che è falso, cancelliamo l'amicizia e facciamo finta che non è esistita...
BELMONTE:...Franco, ma perché dici queste cose? Dove vuoi arrivare? Con tutto l'affetto che ti porto non capisco dove vuoi arrivare..."


10/11/1984 (53): "...Ricordo che, con ogni probabilità la sera dell'11/1/81 venne nel mio ufficio il Col. BELMONTE, il quale mi disse che la notizia preannunciata si stava concretizzando e che egli stava per partire per contattare personalmente la fonte e per riferire ulteriormente gli elementi informativi utili alla nostra divisione telefonicamente. Si trattava cioè di mettermi in condizioni di dare alle forze dell'ordine elementi tali da permettere loro di intervenire positivamente ed arrestare i presunti terroristi. Ricordo di avere chiesto al Col. BELMONTE chi fosse la fonte dalla quale si stava recando, ma il predetto tergiversò, ed evitò di darmi risposte precise; quando gli chiesi come avrei potuto fare a contattarlo in caso di necessità, mi rispose che si recava dalle parti di S. Severo e che avrei potuto fare riferimento eventualmente alla locale stazione Carabinieri. Dalla vaghezza delle sue risposte capii però che egli voleva mantenere la riservatezza sulla fonte. Io non insistetti al momento con il BELMONTE perché ritenni

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(53) - EA, V10/a-6, C280, pp. 3-4.


più opportuno tentare con gli organi del CS di Bari l'individuazione della fonte nel momento in cui ci fosse stato il contatto tra la fonte ed il BELMONTE. Tanto è vero che detti disposizione ai miei collaboratori di fare una telefonata ai Carabinieri di S. Severo per tentare di localizzare il BELMONTE; tanto allo scopo di poter successivamente attivare il CS di Bari per riuscire a fotografare la fonte nel momento in cui si incontrava con il BELMONTE. I Carabinieri di S. Severo risposero peraltro negativamente dicendo di non avere alcuna traccia dell'arrivo del Col. BELMONTE. Queste telefonate con S. Severo sono avvenute nel corso della giornata del 12/1/81, ritengo anzi sono certo, nel tardo pomeriggio..."


c) Ma il BELMONTE non era neppure a Vieste, presso il SANAPO. E ciò non solo perché il teste lo nega. Si legge infatti,nella più volte richiamata sentenza della Corte
d'Assise di Roma (54): "...BELMONTE ha affermato che, dopo la nota telefonata," (55) "verso le 3 del 13

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(54) - AA, V11, C63, p151. (55) - Che sarebbe stata fatta dall'alloggio del SANAPO. Si tratta della telefonata il cui messaggio è stato raccolto, dal funzionario di turno della 1ª Divisione, nell'appunto di cui in Cal., V2, C2, p28.


gennaio, se ne andò in albergo, e dormì un paio d'ore. Ma

negativi sono stati gli accertamenti espletati presso gli esercizi alberghieri di Vieste circa la sua presenza nella zona; " (56) "vi è inoltre contraddizione fra l'assunto difensivo e la risultanza documentale dell'annotazione redatta dal funzionario del SISMI che ricevette la predetta telefonata: `...il soggetto ha aggiunto che si trovava per strada ed era diretto a Roma'".


d) Gli imputati mentono anche a proposito del compenso di lire 300 milioni che sarebbe stato consegnato alla `fonte' tramite il SANAPO. Questa volta la smentita viene dal Col. Bruno DI MURRO, amministratore del SISMI all'epoca dei fatti. Al PUBBLICO MINISTERO, il 16/3/1985, il teste ebbe a rendere le seguenti dichiarazioni (57), confermate poi in giudizio (58): "...Ricordo che il direttore del Servizio gen. SANTOVITO, tra la fine dell'80 e gli inizi del 1981, mi ordinò di finanziare


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(56) - Nella sentenza -pagina 151, nota (2)- si cita il rapporto di polizia giudiziaria che dava conto dell'esito negativo degli accertamenti.
(57) - Cal., V5, C21, pp. 3-4.
(58) -Cfr. vu 13/10/87, pp. 17-18.


l'ufficio controllo e sicurezza mettendo a disposizione

del gen. MUSUMECI tutto il denaro che mi avesse richiesto. Questa operazione venne definita `Z'. La operazione Z si protrasse dalla fine dell'80 al maggio 1981, quando il MUSUMECI lasciò l'incarico per ferie, ed io, in questo periodo, corrisposi al MUSUMECI circa un miliardo; nello stesso periodo, consegnai direttamente al gen. SANTOVITO , per `operazione diretta', circa lire 200 milioni...Mai ho corrisposto per tale operazione la cifra di 300 milioni; la somma più elevata che ho pagato in unica soluzione ammonta a circa lire 170-180 milioni..."


e)L'8 gennaio del 1981, il MUSUMECI ed il BELMONTE raggiunsero Brindisi in aereo, affrontando il viaggio in condizioni meteorologiche proibitive. Non incontrarono il SANAPO. E ciò non soltanto perché il teste lo nega. Non soltanto perché non avrebbe avuto senso far spostare il sottufficiale sino a Brindisi, anziché atterrare, ed incontrarlo, in un aeroporto militare più vicino a Vieste. Ma perché è semplicemente assurdo che un generale di brigata, con funzioni direttive in un apparato dalla
fortissima impronta verticistica, si rechi fino a Brindisi per andare a colloquiare con un modesto maresciallo. L'essersi mosso il MUSUMECI in prima persona può stare a significare una cosa sola: che la messa a punto del piano criminoso che doveva scattare nei giorni immediatamente successivi era questione di tale delicatezza da non potere essere trattata da intermediari, e da richiedere l'intervento del capo dell'ufficio che avrebbe poi gestito tutta l'operazione: di un uomo che fosse alle dirette dipendenze del SANTOVITO ed a diretto contatto col PAZIENZA. Gli imputati incontrarono, nell'occasione, ignoti complici, sulla cui reale identità è dato formulare, allo stato, soltanto delle ipotesi.


f)E' impensabile che un modesto comandante di stazione di un paese del Gargano fosse al centro di un flusso di notizie di estrema precisione su campagne di attentati dinamitardi organizzate da una compagine terroristica internazionale.

g) In realtà, rileggendo le informative che -a detta degli imputati- dovrebbero provenire dalla fonte del SANAPO (tanto in merito alla strage, quanto all'operazione `Terrore sui treni'), si rileva che sovente nomi di persone e sigle di organizzazioni altro non sono che frutto di riciclaggio di notizie già agli atti del Servizio (59). Si è già toccato l'argomento sub 2.3.2.1):

ai nomi del MACCA, del MORLETTA, del ROSSI, dell'AFFATIGATO, si possono aggiungere quelli del DURAND, di Marc FREDRIKSEN (indicato come Mark FREDERIKSON in un `riepilogo' allegato al rapporto 14/10/1980), nonché le



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(59) - V'è in atti (cfr. RA, V8, C359, pp. 20 ss.), allegato al rapporto SANTOVITO del 7/8/81, un appunto che costituisce una sorta di `bella copia' di quello trasmesso al Giudice Istruttore dai Carabinieri il 2/11/80. Tale `bella copia', trasmessa nell'ottobre dal SISMI al Comando generale dell'Arma, è accompagnata da una `Nota esplicativa', in cui si elencano varie notizie -di provenienza SISMI, ovvero di provenienza SISDE ed UCIGOS,magirate ancheal SISMI- riguardanti nominativi e circostanze relativi ai singoli personaggi che poi si trovano legati fra loro a vario titolo nell'appunto. La cosa singolare è che le suddette segnalazioni -pacificamente in possesso del Servizio in epoca anteriore rispetto a quella in cui sarebbero state acquisite le notizie condensate nell'appunto (che proprio nell'ottobre sarebbero state attinte dalla `fonte del SANAPO)- vengono presentate come riscontri o conferme dei vari particolari assemblati nel `collage' propinato ai Carabinieri prima ed ai giudici poi; quando invece esse, paradossalmente, stanno proprio a dimostrare la truffaldina tecnica di confezionamento delle informative. sigle ETA e F.A.N.E. Il `Gruppo HOFFMANN' è mutuato dalla `pista libanese'. In altri casi -come si vedrà- ci si è serviti di quelli che -con efficace espressione- sono stati definiti `rigurgiti di questura', cioè di notizie che il Servizio poteva facilmente attingere presso organi di polizia, e rilanciare opportunamente nel circuito informativo, ad esclusivo fine di intossicazione delle indagini.


h)La scansione degli eventi fra le 17,22 dell'8 gennaio e le 2,55 del 13 gennaio 1981 -così come è minuziosamente ricostruita dalla Corte d'Assise Roma (60)- e, in particolare, la precisione e la tempestività nell'acquisizione delle notizie, l'incalzante succedersi delle segnalazioni, quasi in cronaca diretta, sullo sviluppo dell'impresa, con la graduale e sempre più precisa messa a fuoco dell'obiettivo (che, porterà poi, immancabilmente, al teleguidato rinvenimento della valigia), lungi dal confortare la credibilità delle notizie stesse in relazione all'identità degli autori del

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(60) - AA, V11, C63, pp. 153-155.


trasporto, ne dimostrano l'artata composizione nell'ambito di un disegno doloso e qualificano la fonte originatrice non come inquinata bensì come inesistente: chi via via trasmetteva le notizie al Servizio altri non poteva essere che lo stesso organizzatore del trasporto.


i) L'autovettura del Servizio utilizzata dal BELMONTE per il viaggio che lo condusse verso ignota destinazione (certamente diversa, comunque, da S. Severo o Vieste) era stata richiesta dal MUSUMECI (61). La richiesta doveva risalire almeno al giorno 10 gennaio, se l'autovettura era già a disposizione del BELMONTE alle ore 10 del giorno 11, che cadeva di domenica (62). Dunque il MUSUMECI si era mosso tempestivamente, prima ancora che la notizia `si concretizzasse', per consentire al suo subordinato di essere in `zona operativa' in tempo utile. l) Il BELMONTE -come si è visto- ha negato, sinché ha potuto, di essersi mosso da Roma fra il 9 ed il 13; posto

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(61)- Lo ha ammesso l'imputato in sede di interrogatorio dibattimentale: vu 20/7/87, p43.
(62) - BELMONTE, interrogatorio dibattimentale (vu 16/7/87, p18): "...La macchina non fu consegnata a me personalmente, ma venne data a palazzo Baracchini, come risulta dalla documentazione , alle ore 10 del giorno 11..."


di fronte alla prova documentale del mendacio (la prova


dell'utilizzo della vettura per un tragitto di

complessivi 950 chilometri), non è stato in grado di
fornire una plausibile giustificazione dalla precedente

falsità.


Si è visto ancora che il BELMONTE, prima di accodarsi alla diversa versione del coimputato, aveva negato la presenza del MUSUMECI nel viaggio a Brindisi dell'8 gannaio; eppure la circostanza era di quelle che non si possono dimenticare: perché non erano certamente frequenti i viaggi in compagnia del capo dell'ufficio; perché la `missione' era di eccezionale importanza; perché le condizioni del tempo erano tali da rendere il volo insicuro e da imprimersi quindi saldamente nella memoria.


m) Preoccupazione costante del duo MUSUMECI-BELMONTE fu quella di tenere celata l'identità della `fonte'. Per l'ottimo motivo che non aveva identità. La sentenza della
Corte d'Assise di Roma ripercorre (63) le varie indicazioni che sul conto della `fonte' furono fornite

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(63) - AA, V11, C63, pp. 158-163.


via via ai colleghi del SISMI ed ai magistrati bolognesi, nonché quelle che emergono dai documenti provenienti dal Servizio: notizie che si segnalano per essere non univoche, ma in costante mutamento. Ad ogni buon conto, la `fonte', che beneficia del privilegio dell'anonimato, e che,in un primo tempo, è contattabile almeno dall'Ufficio Controllo e Sicurezza, non è poi più nemmeno contattabile, essendo riparata all'estero (non è chiaro se in Sudamerica, in Turchia, in Uganda, o in qualche altro remoto angolo del globo).


Alla stregua di quanto precede, non può il Collegio che far proprie le lapidarie conclusioni della Corte d'Assise di Roma (64):


"...La `fonte' non esisteva.


Le informative erano false.


Esse furono create nell'ufficio di MUSUMECI e BELMONTE con la connivenza di SANTOVITO.


La missione dell'8 gennaio dei due imputati a Brindisi si ricollega alla necessità di definire negli ultimi


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(64) - AA, V11, C63, pp. 165-166.


particolari l' `operazione' che avrebbe dovuto scattare il
giorno dopo.


La partenza di BELMONTE da Roma si riconnette all'esecuzione materiale del piano.


Le notizie sullo svolgimento di detto piano furono date da BELMONTE il quale fornì al riguardo tali e tanti dettagli che, tenuto anche conto del brevissimo intervallo di tempo fra la collocazione della valigia nel treno e le informazioni, potevano essere conosciuti soltanto da chi concorreva nel trasporto.


Si cercò nella ristrettissima cerchia di funzionari che avrebbero dovuto occuparsi degli sviluppi dell'operazione di fuorviare gli eventuali controlli sui movimenti di BELMONTE e di impedire la verifica dell'attendibilità della fonte..."

2.3.3) Il `modus operandi' del SISMI deviato


Non occorre spendere molte parole, dopo quanto si è venuti dicendo, per illustrare la tecnica disinformativa dell'accolita SANTOVITO-MUSUMECI-BELMONTE.


Il Giudice Istruttore si è soffermato (65) ad esaminare l'utilizzazione, da parte del SISMI, del nominativo di Marco AFFATIGATO. Agli specifici fini che qui interessano non giova ripercorrere tale analisi, che per taluni aspetti, non può spingersi -come l'Istruttore ammette- oltre le semplici congetture. Occorre limitarsi, focalizzando l'attenzione sull' `appunto MUSUMECI', a rilevare che anche in tale documento non si è mancato di inserire l'AFFATIGATO, mai raggiunto, in seguito, da alcuna prova di coinvolgimento nella strage. L'AFFATIGATO aveva tutte la carte in regola per figurare nel calderone della `pista internazionale': esponente della destra eversiva rifugiato all'estero da tempo, si trovava egli infatti, agli occhi di chi redasse l'appunto, nella condizionedi poter figurare,nel suo



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(65) - SO, pp. 836-848.


soggiorno nizzardo, al centro di una trama terroristica


internazionale. Ciò, appunto, agli occhi del MUSUMECI e del BELMONTE, che, evidentemente, difettavano di adeguata preparazione in materia di eversione di destra. L'accostamento, all'interno della medesima direzione strategica, dei vari DELLE CHIAIE, POMAR, MASSAGRANDE, AFFATIGATO, FUMAGALLI, FREDA e VENTURA è la riprova della sprovvedutezza dei vertici dell'Ufficio Controllo e Sicurezza (66). Ma offre, al tempo stesso, la chiave d'interpretazione del loro agire: proprio per il suo spericolato `candore', dà la misura dell'arroganza, della sensazione di onnipotenza raggiunta da chi, evidentemente convinto di operare nell'impunità, si ritenne, sino allo scoppio dello `scandalo P2', non soltanto `legibus solutus', ma libero persino dall'ossequio alla logica elementare che



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(66) - A tacer d'altro, ci si può limitare a ricordare l'incompatibilità del DELLE CHIAIE e del POMAR (cfr. quanto sul conto del primo si sostiene nel memoriale del secondo, in RB, V2, C24, pp. 143 ss.) e DEL DELLE CHIAIE e dell'AFFATIGATO (quest'ultimo -cfr. EA, V10/a-5, C215, p30- ha dichiarato di aver a suo tempo assunto l'impegno di assassinare il DELLE CHIAIE, facendogli ingerire pastiglie di cianuro; il che sarebbe dovuto avvenire nella primavera dell'80, se l'AFFATIGATO non avesse poi desistito dal progetto).


imponeva, prima di trasmettere false informative, di verificarne almeno l'interna coerenza (67).


Il Giudice Istruttore ha posto altresì l'accento sull'utilizzazione del nome di Paul DURAND. Del viaggio in Italia di costui nel luglio '80 e dell'eco che trovò sulla stampa si è detto sub 1.1.15) lettere g) ed h). Al viaggio fu dedicata, doverosamente, particolare attenzione. Le indagini prontamente attivate consentirono di ripercorrerne le tappe con notevole precisione, e di individuare molti degli esponenti della destra che il DURAND era venuto ad incontrare fra il 4 ed il 27 luglio. Fu possibile così riscontrare in larga parte le notizie confidenziali contenute negli appunti di cui si è dato conto in narrativa,


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(67) - Il MUSUMECI ed il BELMONTE ebbero poi occasione di pentirsi della leggerezza, quando, entrata in crisi la gestione piduista, dovettero correre ai ripari. SANAPO al PUBBLICO MINISTERO di Roma, 1/11/84 (Cal., V2, C1, pp. 52-53): "Il BELMONTE mi disse (alla mia domanda di cosa stesse accadendo, per via dello scandalo della P2): `io non mi sono iscritto alla loggia,anche se MUSUMECI mi aveva chiesto di farlo e pertanto sono ancora rimasto al SISMI ed anzi in pratica sostituisco il MUSUMECI, essendo vicecomandante dell'ufficio.' Aggiunse poi `Ti debbo chiedere un favore. MUSUMECI ha mandato un rapporto ai giudici di Bologna sui presunti autori della strage di Bologna. Questo rapporto non è stato fatto bene, però MUSUMECI ha caricato su di me, dicendo che le notizie ed il rapporto stesso erano miei. Adesso mi sono assunto la paternità delle notizie che sono nel rapporto. Dovremmo trovare una fonte alla quale attribuire le notizie che io ho dato'".


provenienti da apparati di sicurezza. Naturalmente il viaggio non andava trascurato, quale spunto d'indagine (anche se, poi, le indagini di cui si è detto non offrirono alcun elemento concreto che valesse a porre la figura e gli spostamenti del DURAND lungo la penisola in collegamento con

l'attentato); senonché, MUSUMECI e complici ne trassero spunto per imbastirvi sopra l'informativa inoltrata ai
Carabinieri e da questi ultimi trasmessa all'Istruttore il 2 novembre 1980. Secondo la consueta tecnica s'impadronirono di un fatto vero e quindi riscontrabile (il viaggio del DURAND, che, all'epoca, era già stato riscontrato, ed anche fatto oggetto di interventi giornalistici), inserendolo in un contesto artefatto.Si è avuta occasione di analizzare siffatta tecnica disinformativa nel corso della disamina della `pista libanese'. Nel caso di specie, è interessante osservare un particolare, che non è sfuggito al PUBBLICO MINISTERO: nell'informativa creata dal SISMI sullo spunto del viaggio del DURAND compaiono, indicati come partecipi del piano eversivo, tali Jann Tran Long ed il fratello Minh Tranlong. Orbene, il 9 agosto, l'Ambasciata d'Italia a Bonn aveva comunicato al Ministero degli Esteri (68) che tale IAMELLO, nel corso di un'intervista rilasciata in Germania, aveva dichiarato d'essere stato presente alla stazione di Bologna al momento dell'attentato e di aver notato, tra l'altro, la presenza sospetta di due persone, apparentemente asiatiche, che si aggiravano poco prima dell'esplosione, con bagagli, nei pressi della sala d'attesa di seconda classe; e che aveva aggiunto d'aver avuto la sensazione che, al momento in cui i due si dirigevano verso i binari, non avessero più una valigia. I nominativi tipicamente asiatici non erano dunque stati inseriti a caso.


Resta solo da osservare che il DURAND, per essere straniero, esponente di spicco di una formazione neonazista, ed in contatto con numerosi esponenti dell'ultradestra italiana, si prestava in modo eccellente ad alimentare la `pista internazionale', che doveva a tutti i costi imporsi all'attenzione degli inquirenti.


Si è visto a più riprese come si sia fatto ricorso a riciclaggi e ad assemblaggi di notizie precedentemente


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(68) - cfr. RA, V2, C40.


acquisite; non occorre spendere altre parole sul punto.


MUSUMECI e soci hanno poi provveduto a disseminare le informative di notizie attinte in vario modo presso organi di polizia. Siffatta tecnica dei `rigurgiti di questura' è illustrata dal Giudice Istruttore nella sentenza con la qualeha provveduto a prosciogliere il VALE, il FIORE e l'ADINOLFI. Nel rilevare che esiste effettivamente un LEGRAND, disegnatore industriale, alieno dall'attività politica, e che questi è venuto più volte in Italia, prendendo alloggi in alberghi milanesi, l'estensore della sentenza commenta (69): "Di qui la possibilità per gli organizzatori della macchinazione di sfruttarne il nome e presentare un innocuo disegnatore industriale come un pericoloso terrorista che compiva abbastanza frequenti e sospetti viaggi tra l'Italia e la Francia. E' ovvio, infatti, che agli organismi di sicurezza non doveva essere affatto difficile avere accesso, presso le varie Questure, alle schede compilate per gli stranieri nei vari alberghi italiani; di qui la possibilità di compiere tra le persone

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(69) - AA, V9, C55, pp. 43-44. Per i documenti ivi citati a proposito del LEGRAND, cfr. AAD, V6, C1, pp. 14-15 e 16-19


ospitate una vasta scelta, e valersi di nominativi che all'apparenza potessero destare sospetti e confortare, quale riscontro obiettivo, notizie ed informative prive di ogni fondamento."


Altro esempio della medesima tecnica disinformativa è dato dall'indicazione del covo di via Rizzo o Risso 11, in Imperia. Risultava, da notizie per il SISMI facilmente attingibili presso organi di polizia, che in un appartamento al detto indirizzo aveva alloggiato, nei primi venti giorni del novembre '80, una persona che aveva esibito documenti d'identità falsi (70). Al solito, lo spunto informativo fu utilizzato in maniera distorta e fuorviante. Si è riportata, sub 1.8.4), la parte finale della sentenza 30/4/1985 del Giudice Istruttore. Qui occorre ancora ricordare quanto riferito dal Gen. NOTARNICOLA il 10/11/1984 (71): "...Ricevo lettura del rapporto SISMI 24/2/81 con riferimento al punto 3 dove si parla di Imperia e del coinvolgimento di Giorgio VALE. Si tratta di un rapporto che è stato redatto dalla Divisione da me diretta, ma certamente sulla base di

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(70) - Cfr. supra, sub 1.2.12).
(71) - EA, V10/a-6, C280, p7. informative ancora provenienti dal Col. MUSUMECI, come si ricava dal contenuto della risposta ai quesiti formulati dalla mia divisione," (72) "sopra citati. Il rapporto è firmato dal direttore SANTOVITO, e sicuramente il `retroterra' del rapporto è costituito da un appunto nel quale si riportano le cose dette nella risposta ai quesiti...Nulla consta alla prima divisione circa l'appartamento di via Rizzo ad Imperia, se non quanto riferito dal MUSUMECI. Tengo a sottolineare comunque che i dati relativi agli affitti di alloggi che confluiscono alle Questure territorialmente competenti, sono accessibili agli organi del Servizio. Posso però escludere con assoluta certezza che alla prima divisione o al CS di Genova risalga l'iniziativa relativa all'accertamento dei dati dell'appartamento locato ad Imperia..."


L'intento è sempre quello di fornire agli inquirenti

indicazioni per certi versi riscontrabili, ma destinate, in

quanto false nella sostanza e per il contesto in cui sono inserite, a non sortire alcun positivo sbocco d'indagine.



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(72) -Si tratta dei quesiti di cui si è detto sub 1.2.22) lettera c) e sub 2.3.2.2).


E' fuor di dubbio che la deviazione trasse linfa, aleatoriamente, da sviluppi d'indagine perfettamente leciti, affidati a forze di polizia in assoluta buona fede. In effetti, le false indicazioni provenienti da MUSUMECI e soci avevano creato una trama in cui Giorgio VALE, addirittura organizzatore dell' `operazione Terrore sui treni' ed acquirente dei biglietti aerei sequestrati, avrebbe avuto il compito di mantenere i contatti, nell'ambito di una superbanda internazionale, fra Terza Posizione, F.A.N.E. e Gruppo HOFFMANN. L'indicazione del movimento Terza Posizione portava direttamente, in un'ottica investigativa, a focalizzare l'attenzione sui `leader' riconosciuti del movimento: Roberto FIORE e Gabriele ADINOLFI. Ora, i
riconoscimenti fotografici del secondo di essi, vaghi, ma suggestivi perché concordanti, compiuti da persone al di sopradiogni sospetto,offrirono conforto ad un dato assolutamente falso. La contiguità del FIORE rispetto all'ADINOLFI fece il resto. Ora, sotto il profilo della responsabilità penale per calunnia, la posizione degli imputati non sarebbe diversa, se, in assenza degli imprevedibili riconoscimenti, le indagini avessero avuto una diversa evoluzione: infatti, le indicazioni fornite sul conto del VALE e la collocazione di Terza Posizione all'interno della più vasta organizzazione terroristica, nell'ambito della quale il VALE stesso avrebbe avuto funzione di agente di collegamento, rinviavano già, di per sé -come si è prima accennato- alla responsabilità dei `leaders' di Terza Posizione, anche perché costoro -si badi bene- in un diverso e più circoscritto contesto erano effettivamente legati a doppio filo al VALE, membro del `nucleo operativo' del movimento da loro capeggiato. Non si può tuttavia fare a meno di osservare, alla luce di ciò che è effettivamente accaduto, quale sia il livello della potenzialità inquinante di un dato falso artatamente inserito nel contesto di un'indagine giudiziaria. Gli eventuali sviluppi perversi derivanti da attività lecite innestate sopra un dato di partenza calunnioso sono del tutto incontrollabili.


Il Giudice Istruttore che ha pronunciato la sentenza di proscioglimento del VALE, del FIORE e dell'ADINOLFI osserva che la precisione dei dettagli a conoscenza della pretesa `fonte' del BELMONTE circa l' `operazione Terrore sui treni' doveva necessariamente indurre gli inquirenti a due considerazioni: in primo luogo, si sarebbe ritenuta l'internità o quantomeno la stretta contiguità della fonte rispetto al gruppo terroristico; conseguentemente, se ne sarebbe fatta discendere la necessità di pervenire, in tempi brevi, all'identificazione della fonte stessa. Il rilievo non è privo di interesse, perché consente di approfondire un aspetto della vicenda sul quale si è già avuta occasione di soffermarsi (73). Si tratta della questione relativa all'atteggiamento che il vertice deviato del SISMI aveva programmato di tenere di fronte all'inevitabile iniziativa degli inquirenti volta a conoscere l'identità della `fonte'. Ora, è accaduto che, in un secondo momento, a seguito del cambio della guardia dovutoalloscoppio dello `scandalo P2',si siano trovatia dover rendereconto del'operato del Servizio funzionari che nessuna responsabilità avevano nella vicenda: così il

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(73) - Cfr. supra, sub 2.3.2.3), lettera m).


Gen. MEI, Vicedirettore del Servizio, durante le `ferie' del SANTOVITO,nelgiugno dell'81 (74);così ilGen. Ninetto LUGARESI, chiamato a succedere al SANTOVITO (75). Peraltro, è stato possibile ricostruire (76) quale sarebbe stata la strategia del gruppo dirigente del SISMI, ove fosse rimasto ai vertici dell'organizzazione. La strada prescelta era quella di trincerarsi dietro il pretesto che la `fonte' aveva fornito le notizie a condizione di rimanere anonima e di togliersi d'imbarazzo, all'occorrenza, accampando la non

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(74) - Cfr. supra, sub 1.3.2). La richiesta del PUBBLICO MINISTERO al SISMI, in data 28/4/81, ivi citata, trovasi in AAD, V6, C2, p101.
(75) - Il 2/12/81, il Giudice Istruttore scriveva al SISMI (cfr. AAD, V6, C4, p2): "E' assegnato alla cognizione di questo Giudice Istruttore il procedimento concernente il rinvenimento di un quantitativo di esplosivo contenuto in una valigia collocata nella carrozza del treno espresso n. 514 in transito per la Stazione ferroviaria di Bologna il 13/1/1981. Considerato che la composizione chimica di detto esplosivo presenta singolari affinità con quello impiegato nell'attentato consumato nella stazione ferroviaria di questa città il 2 agosto 1980; rilevato altresì che in entrambi i casi le informazioni furono fornite dagli stessi ufficiali superiori allora addetti all'Ufficio controllo e sicurezza e, onde è presumibile un loro esclusivo contatto con le relative fonti -se si prescinda dalla ipotesi della unicità della fonte- appare necessario per le esposte coincidenze che pel tramite di detti ufficiali sia esperito ogni possibile tentativo al fine di acquisire elementi sulla attendibilità della fonte e, in caso positivo, ulteriori precisazioni che valgano ad eccitare l'opera della polizia giudiziaria..."
Il Gen LUGARESI, il 24/12/81, nel trasmettere la richiesta al CESIS, segnalava (AAD, V6, C4, p3): "...Si ritiene comunque opportuno soggiungere, ad ogni buon fine, che questo Servizio non dispone di alcun ulteriore elemento in aggiunta a quanto già a conoscenza dell'Ufficio d'Istruzione..."
(76) - Cfr. la compiuta disamina di cui alla sentenza della Corte d'Assise di Roma, in AA, V11, C63, pp. 158-163.


ulteriore contattabilità della fonte stessa. Ha giustamente osservato l'estensore della sentenza 30/4/1985 -le cui considerazioni sul punto la Corte fa proprie- che solo l'arroganza di un gruppo di potere, deviato dai propri compiti istituzionali e completamente dedito al perseguimento di interessi loschi, poteva giungere a sperare di liquidare le legittime richieste di chiarimento e di indagine provenienti dall'autorità giudiziaria con versioni di comodo e assolutamente puerili. E ciò dopo aver fornito a proposito della `fonte', con incredibile disinvoltura, notizie via via diverse ai colleghi funzionari del SISMI ed agli inquirenti. Un simile atteggiamento è giustificato soltanto dall'aspettativa di impunità, dalla pretesa di fruire, all'occorrenza, di adeguate coperture: aspettativa e pretesa che potevano fondarsi su posizioni di potere di gran lunga travalicanti quelle del singolo trasgressore.


Va peraltro osservato che il MUSUMECI, alla fine del maggio 1981, quando era ormai in evidente difficoltà, tentò di porre un diaframma tra sé e gli inquirenti, cercando di scaricare sulla 1ª Divisione l'imbarazzante compito di trattare con l'autorità giudiziaria bolognese (77). Seguì un'energica reazione del Gen. NOTARNICOLA, il quale rispose per le rime al capo dell'Ufficio Controllo e Sicurezza (78) ed investì della questione il SANTOVITO (79). A quest'ultimo ricordò che la 1ª Divisione aveva a suo tempo avanzato sospetti sull'attendibilità della `fonte' e che la chiamata in causa della fonte stessa da parte dell'autorità giudiziaria era stata a suo tempo paventata proprio dal direttore del Servizio (80). Con specifico riferimento alle pretese del MUSUMECI, sottolineava che i rapporti con l'autorità giudiziaria "sono ben fissati dalla legge"; che la 1ª Divisione può avviare e mantenere intese dirette con i magistrati e sempre su delega del direttore del Servizio, "per quei dettagli informativi o operativi concernenti le operazioni compiute o da compiere e le informazioni acquisite o da acquisire direttamente attraverso i propri Organi"; che, nel caso di notizie comunicate per competenza di materia alla 1ª Divisione da

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(77) - AA, V7, C43, pp. 163-164.
(78) - AA, V7, C43, p167. (79) - AA, V7, C43, pp. 165-166. (80) - Per tale affermazione, cfr. l'annotazione informale manoscritta dal SANTOVITO il 16/2/81, in AA, V7, C43, p133.


altri Organi del SISMI, la Divisione stessa potrà assumere


il ruolo di interlocutore diretto con l'autorità giudiziaria, "solo allorquando abbia avuto la possibilità di compiere verifiche dirette"; che, nel caso in questione, la manipolazione della fonte era rimasta sotto il controllo e la direzione dell'Ufficio Controllo e Sicurezza; che la richiesta della 1ª Divisione, volta a conoscere le generalità della fonte per le opportune verifiche, non aveva trovato accoglimento, e, pertanto, la 1ª Divisione non poteva "assumersi la responsabilità della fonte medesima"; che, tenuto conto del fatto che la richiesta della Procura di Bologna era rimasta inevasa, sarebbe stato interessato l'Ufficio Controllo e Sicurezza perché provvedesse a fornire elementi di risposta scritta (anche sulla scorta di quanto anticipato `per le vie brevi' nel corso di contatti con i Magistrati), che la 1ª Divisione non poteva stilare in proprio (81).


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(81) - Il documento -come gli altri acquisiti presso il SISMI dal PUBBLICO MINISTERO di Roma- è stato trasmesso all'autorità giudiziaria richiedente, integro nel contenuto, ma purgato dagli "elementi di carattere formale concernenti la struttura ordinativa del Servizio" (cfr.AA, V7, C43, p33): in sostanza, dall'indicazione nominativa dei reparti del Servizio cui il documento stesso fa riferimento). Peraltro, dal contesto, i riferimenti fatti, di volta in volta, alla 1ª Divisione od all'Ufficio Controllo e Sicurezza risultano perspicui.


Ha sentenziato la Corte d'Assise di Roma (82): "Questa sorprendente mancanza di lealtà perfino nei confronti dei funzionari del Servizio che avrebbero dovuto occuparsi del caso non può semplicisticamente spiegarsi con `gelosie di mestiere' o con un richiamo a lotte intestine fra divisioni del SISMI, come se esse fossero corpi estranei e contrapposti l'uno all'altro, ovvero con la...argomentazione difensiva secondo cui il confidente va protetto e tenuto fuori dalla mischia. Il problema che allora si poneva -a prescindere dalla considerazione che `notizie' e `fatti' riguardavano l'eversione in Italia e che il Servizio e i suoi uomini, nel rispetto della legge, tutto avrebbero dovuto subordinare agli interessi dello Stato democratico- era quello di verificare l'attendibilità delle `informative' se non mediante l'identificazione della `fonte' almeno con l'accertamento della sua origine e collocazione. Tanto più doverosa, anzi, appariva la stessa identificazione del `confidente' avuto riguardo alla natura dei dati forniti, alla ricchezza dei dettagli, alla tempestività delle

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(82) - AA, V11, C63, pp. 159-161.


informazioni; elementi che portano, allora come oggi, ad una
solaconclusione: chi trasmise le notizie doveva essere una persona corresponsabile del trasporto delle armi e dell'esplosivo. Si imponeva in ogni caso la massima collaborazione con gli organi di polizia giudiziaria e la Magistratura perché la `fonte' dell' `operazione terrore sui treni' era la medesima delle notizie riguardanti la strage di Bologna. Invece, alle sollecitazioni della Magistratura per la `chiamata in causa della fonte', tanto paventata dal gen. SANTOVITO..., furono date risposte evasive, contraddittorie, false: non si doveva far luce sull'operazione deviata e deviante..."


Da qualsiasi punto di vista si riguardi la questione, si perviene al medesimo risultato. Il SANTOVITO, il MUSUMECI ed il BELMONTE avevano mille buone ragioni per non comportarsi come si comportarono; non ne avevano una lecita per agire come agirono; il loro atteggiamento all'interno del Servizio e nei confronti degli inquirenti fu costantemente condizionato da un vizio di fondo, da un illecito iniziale: la `fonte' non esisteva; le `informative' erano costruite a tavolino.


2.3.4) Il quadro d'insieme


La piena comprensione della sconvolgente manovra di depistaggio posta in essere dai quattro imputati di calunnia (con il concorso del SANTOVITO e del GIOVANNONE) deve passare attraverso la ricostruzione diacronica delle varie fasi in cui essa manovra si articolò. I fatti sono stati nella quasi totalità già esposti nella parte narrativa, ove però risultano diluiti nella congerie degli altri dati processuali. Occorre qui riprenderli in un quadro sinottico, che consenta di apprezzare l'unitarietà, la continuità, la coerenza degli sviluppi dell'azione posta in essere, e, quindi, l'interdipendenza delle iniziative provenienti dagli imputati.


26/8/1980:venivano spiccati i primi ordini di cattura della pista che potrebbe definirsi `FARINA-VETTORE-LAZZERINI'. Non deve sfuggire che, nelle indagini, aveva avuto un ruolo certamente non secondario il SISDE, particolarmente in persona del dott. Elio CIOPPA, che , in carcere, aveva ricevuto le rivelazioni del teste FARINA. La pista battuta dagli inquirenti (con i provvedimenti di cattura del 26 agosto e quelli emessi in seguito, in un breve volger di tempo) era quella del terrorismo neofascista italiano, segnatamente nelle sue componenti romana e veneta.

1/9/1980: il notiziario `Agenzia Repubblica' dava alle stampe un articolo che aveva ad oggetto le indagini in corso per la strage. Era accaduto che la magistratura bolognese aveva avuto parole di elogio per il SISDE (83). Ma -a giudizio dell'articolista- l'aureola era immeritata (e provvisoria -come proclamava già il titolo del brano di stampa-), perchè il servizio segreto civile si era limitato a trasferire dalla Capitale a Bologna vecchie pratiche sul neofascismo eversivo (84). Lando DELL'AMICO, responsabile dellapubblicazione del notiziario, ècomparso come teste avanti alla Corte (85). Dalla deposizione è emerso che le sue uniche fonti, all'interno del SISMI, erano il PAZIENZA ed unufficiale che si faceva chiamare "il Maggiore".


Ora, se si pensa ai contenuti della conversazione svoltasi,


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(83) - Cfr. sentenza Corte Assise Roma 29/7/85, in AA, V11, C63, p62.
(84) - La notizia è riferita alla pagina 63, nota (1) della sentenza citata alla nota che precede. (85) - Cfr. vu 3/2/88, pp. 23-38.


nei primi giorni di settembre (cioè, nello stesso torno di tempo), fra il PAZIENZA ed il giornalista BARBERI subito prima che a quest'ultimo fossero mostrati fascicoli riservatidel Servizio, e se si pone mente al fatto cheil PAZIENZA lamentava come una vergogna la circostanza che il SISDE fosse stato elogiato, mentre il SISMI aveva fatto di più (come egli si accingeva a dimostrare al giornalista), non è difficile individuare chi sia stato, nel caso di specie, l'ispiratore dell'articolo comparso sul notiziario `Agenzia Repubblica'. E' questo -allo stato delle conoscenze- il primo intervento del PAZIENZA nella vicenda. Ed è un intervento estremamente significativo: perché, al di là della vieta polemica di facciata, della rivalità tra i due Servizi (più scenografica che sostanziale, e comunque inconcepibile, dal momento che l'uno e l'altro apparato debbono aver di mira la sicurezza dello Stato democratico) in nome della quale si alimentava l'azione giornalistica di screditamento del SISDE, il vero messaggio che si lanciava attraverso l'articolo del notiziario di Lando DELL'AMICO era quellorelativoalla direzione presa dalleindagini: l'aureola era provvisoria, perché la pista imboccata non era quella giusta; erano trasmigrate da Roma a Bologna logore carte che erano già state all'attenzione degli inquirenti della Capitale; che ne sarebbe stato della gloria del SISDE, quando si fosse immancabilmente accertato che gli arrestati nulla avevano a che fare con la strage di Bologna, essendo, al più, coinvolti in qualche episodio di violenza verificatosi a Roma?

1ª decade di settembre del 1980: Licio GELLI, maestro venerabile della Loggia P2 e `dominus' dei servizi di sicurezza italiani dell'epoca (su entrambi gli aspetti ci si dovrà soffermare in prosieguo di trattazione) `redarguiva' il piduista funzionario del Servizio segreto civile Elio CIOPPA, che lo interpellava, chiedendogli lumi sulla strage di Bologna: decisamente si era partiti con il piede sbagliato, essendo invece la pista da battere quella internazionale (86). Dunque, Francesco PAZIENZA e Licio GELLI, l'uno dando voce al SISMI attraverso l'organo di stampa del DELL'AMICO, l'altro `ispirando' un fratello della

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(86) - Il CIOPPA ha confermato in giudizio (vu 16/11/87, p113) le dichiarazioni di cui si è dato conto sub 1.1.10), testo e nota (51). loggia di cui era maestro venerabile, nello stesso periodo di tempo, a ridosso dell'emissione dei primi ordini di cattura per la strage, condividevano l'estrema `sfiducia' per la pista prescelta dagli inquirenti. Il GELLI provvedeva a rimettere il CIOPPA in carreggiata.


5-10/9/1980: si verificavano i fatti (87) di cui si è dato conto sub 1.1.11). Il PAZIENZA, che la faceva da padrone nell'ufficio del SANTOVITO, fu il vero `sponsor' dell'iniziativa. Non risponde a verità che, nell'occasione,
siano stati mostrati al giornalista estratti del libro di
Claire STERLING `The Terrorist Network', che sarebbe poi
stato pubblicato in Italia di lì a qualche mese, col titolo "La trama del Terrore - La guerra segreta del Terrorismo internazionale". Lo aveva già sufficientemente chiarito la
Corte d'Assise di Roma (impegnata nell' affrontare il
problema della responsabilità penale per la divulgazione
di notizie coperte da segreto), la quale si era fondata,


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(87) - Fatti ricostruibili attraverso le deposizioni rese dal BARBERI al PUBBLICO MINISTERO di Roma il 28/11/83 (cfr. vu 19/10/87, pp. 19-29), al PUBBLICO MINISTERO di Bologna il 4/4/85 (cfr. EA, V10/a-6, C298, pp. 1-4) ed al Giudice Istruttore del presenteprocedimento il 4/9/85 (cfr. EA, V10/a-6, C298, pp. 18-19), tutte confermate in dibattimento (cfr. vu 19/10/87, pp. 128-129), con talune precisazioni.


oltre che sulla deposizione del BARBERI, su un
documentoacquisito presso ilMinistero della Difesa, da cui


risultava anche con precisione la consistenza quantitativa di ciascuna delle due relazioni esibite al giornalista (88). Nel dibattimento celebrato avanti a questa Corte si sono aggiunti nuovi elementi di giudizio. Il Gen. NOTARNICOLA, all'udienza del 14/10/1987, ha riferito (89) che, nel leggere casualmente l'articolo del BARBERI, vi riconobbe anche una parte che egli aveva personalmente contribuito a redigere di un voluminoso rapporto, destinato al Governo, predisposto nel periodo immediatamente precedente ad opera del Servizio. Il PAZIENZA, dal canto suo, il 19/10/1987, intervenendo durante l'escussione del BARBERI, per escludere laprovenienza dasé dei fascicoli in questione, si èappellato proprio alle dichiarazioni testé riferite dell' ex

Comandante della 1ª Divisione (90). D'altronde -e


conclusivamente- si deve rilevare che soltanto l'aver



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(88) - Cfr. AA, V11, C63, p64, testo e nota (1). Nulla rileva, naturalmente, agli specifici fini che qui interessano, il fatto, evidenziato dalla stessa Corte d'Assise di Roma (cfr. AA, V11, C63, p64), che buona parte delle notizie riportate nell'articolo dal BARBERI appaiono ricalcate dal libro della STERLING.
(89) - Cfr. vu 14/10/87, p30.
(90) - Cfr. vu 19/10/87, p135. effettivamente messo il giornalista a parte di notizie
riservate poté giustificare il successivo atteggiamento del
SANTOVITO, che indusse il BARBERI a dubitare della sua

sanità mentale.


Tanto premesso, è a chiedersi quale fosse il senso dell'operazione condotta dal SANTOVITO e dal suo `collaboratore esterno'. Ha chiarito il BARBERI che i due non gli misero a disposizione i fascicoli per dimostrargli d'aver risolto il caso (91); e questo è un punto fermo. E' altrettanto vero, però, che l'esibizione dei fascicoli doveva dimostrare l'impegno profuso nel settore del terrorismo dal SISMI, la cui opera sarebbe stata sottovalutata rispetto a quella del SISDE, elogiato dagli inquirenti bolognesi impegnati nell'inchiesta sulla strage.
Il collegamento con l'attentato alla stazione, anche se non
esplicitato, era `in re ipsa'. Il messaggio suonava così: il

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(91) -Vu 19/10/87, p129: "...vorrei dire che né PAZIENZA né SANTOVITO, nel momento in cui si dimostrarono molto adirati per quanto affermato dalla Procura della Repubblica di Bologna, in elogio, diciamo, al SISDE, dissero: `Noi abbiamo risolto il caso'. Il discorso di PAZIENZA rispetto alla strage, era: `Non mi interessa questa cosa, non ne so niente, sono appena arrivato, io sto seguendo una strategia di medio e lungo percorso e quindi abbiamo fatto un lavoro. In questo è importante'. Mettendomi in mano quelle pagine non mi dissero: `Ecco la soluzione della strage alla stazione di Bologna.'"


Servizio segreto civile, in relazione alla strage di


Bologna, ha fornito un determinato apporto che si inscrive in un certo filone terroristico; noi lavoriamo a nostra volta, profondendo grande impegno, attorno al fenomeno


terroristico e siamo in grado di mostrare i risultati del nostro operato. Da un lato, dunque, la pista battuta su

ispirazione del SISDE (la cui infondatezza si era già

provveduto a segnalare attraverso il notiziario di Lando DELL'AMICO); dall'altro le emergenze del lavoro a vasto raggio compiuto dal Servizio segreto militare. Si tratta allora di vedere quale era il frutto di tale lavoro, che veniva a porsi, per il contesto, per la logica stessa che scandisce la successione degli eventi in esame, come contraltare rispetto al filone d'indagine attribuibile anche all'opera del SISDE. BARBERI, al PUBBLICO MINISTERO di Roma, il 28/11/1983: "...Ad un certo punto il SANTOVITO tirò fuori due fascicoli, uno di circa 50 fogli e l'altro di circa 200/150. Quello più piccolo era intestato alla Libia; il secondo si riferiva a molti altri paesi. Entrambi erano studi sui collegamenti internazionali del terrorismo...Ricordo che i fascicoli esaminati contenevano dati sui possibili contatti del terrorismo italiano con paesi (in specie dell'Est) e con ambienti terroristici del mondo occidentale. Contenevano anche notizie sui campi di
addestramento, molti dei quali in Libia. Ricordo anche che si parlava di una doppia struttura del P.C.I., nel senso che esisterebbe una gerarchia parallela a quella ufficiale e che fa direttamente capo all'Unione Sovietica..."


Il teste, davanti a questa Corte (92), ha ulteriormente spiegato che i fascicoli messigli a disposizione si muovevano in una direzione affatto diversa rispetto a quella della pista imboccata dai Magistrati.


E' emerso che il lavoro era orientato, in via largamente preponderante, verso il terrorismo di sinistra. L'unico nominativo di estremisti di destra presente nel `dossier' era quello del solito DURAND. Non un nome di eversori della destra italiana. "...non so se questo documento sia mai stato messo a disposizione della Magistratura, è una lettura di otto anni fa sulla quale ho preso appunti. Se ci fosse stato di più lo avrei preso...Indubbiamente come

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(92) - Cfr. vu 19/10/87, pp. 131 ss. vedevo un nome di italiano mi fermavo e appuntavo, però debbo ritenere che non ci fossero...ero lì per cercare questo, ci fosse stato scritto qualcosa che rafforzava, in

qualche modo, la pista che sembrava, almeno per alcuni Magistrati, essere quella giusta, penso che l'avrei appuntato e avrei fatto un altro titolo, non `La grande ragnatela' e non questo discorso generico, ma avrei detto: `Signori guardate che ci sono delle prove e ci sono degli elementi seri in aggiunta a quelli già conosciuti'. Sono certo sul comportamento che avrei senz'altro tenuto se ci fossero state due righe, soltanto, nelle quali si diceva qualcosa di più, senz'altro le avrei riprese, ricopiate..."


D'altronde -come riferisce ancora il BARBERI- "PAZIENZA sosteneva costantemente che era sua convinzione che le

radici del terrorismo fossero esclusivamente a sinistra, che occorresse lavorare sui legami internazionali del terrorismo con i Paesi Socialisti ed affermava anche che era in Italia per raccogliere tutti gli elementi utili a dimostrare che quella sua convinzione rispondesse alla realtà." (93)

Va rilevato che i fascicoli esaminati dal BARBERI erano


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(93) - EA, V10/a-6, C298, p4.


stati fatti preparare in tutta fretta nei giorni immediatamente precedenti. Lo si apprende dal Gen.
NOTARNICOLA, il quale nello stesso passo sopra citato, in cui spiega come riconobbe anche il proprio lavoro nell'articolo del BARBERI, riferisce anche: "...Debbo dire che in quel periodo io rimasi molto perplesso perché in quei giorni fui chiamato assieme ad altri direttori di divisione, mentre mi ritenevo impegnatissimo per il problema bolognese, a stendere un rapporto per il Governo, riguardante tutto il terrorismo in generale. Era un lavoro di archivio, un lavoro concettuale, non operativo che però, data l'urgenza e l'importanza che sembrava connessa alla vicenda bolognese, distrasse me e i direttori operanti in altri settori per parecchi giorni. Ne venne fuori un grosso volume..."


Ecco i metodi di lavoro del SANTOVITO; ecco le sue preoccupazioni, mentre gli inquirenti battevano una certa pista e lo stesso SISMI aveva a disposizione le indicazioni provenienti dal NALDI. Il senso dell'iniziativa fu poi così spiegato al BARBERI dal Col. GIOVANNONE (94): "...GIOVANNONE...mi disse che i documenti che io avevo

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(94) - EA, V10/a-6, C298, pp. 18-19. esaminato presso il SISMI non erano molto importanti, ma si

trattava di un collage di notizie messe insieme in tutta fretta per cercare di dare un'immagine del SISMI più efficiente..."


Tali affermazioni il GIOVANNONE le fece in occasione dell'incontro del 9 o 10 settembre fra il PAZIENZA ed il giornalista, incontro cui il Colonnello partecipò per iniziativa del PAZIENZA stesso (95). Nella circostanza, l'ufficiale soggiunse di aver notato vari errori nel lavoro frettolosamente predisposto dal Servizio e che egli sarebbe stato in grado di confezionare, anche in breve periodo, un documento dalle basi più solide (96). Il BARBERI chiese maggiori particolari, ma non fu accontentato.


In sostanza: in perfetta sintonia con l'indicazione proveniente dal venerabile maestro della Loggia P2, il direttore piduista del Servizio segreto militare ed il suo

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(95) - EA, V10/a-6, C298, p18: "...Non è vero che io chiesi la presenza di GIOVANNONE al secondo incontro con PAZIENZA. Se è vero infatti che i rapporti fra me e GIOVANNONE furono improntati a correttezza, è anche vero che io GIOVANNONE lo avevo visto, prima di allora, solo una volta. Se mal non ricordo fu PAZIENZA a presentarmelo e GIOVANNONE mi chiese di difendere la sua immagine che era in quel momento attaccata da ACCAME con un'interrogazione, poi riportata dall'Espresso...In ogni caso ribadisco che la presenza di GIOVANNONE all'incontro non fu da me richiesta ed anzi fui sorpreso di trovarlo..."
(96) - EA, V10/a-6, C298, pp. 3-4. `collaboratore esterno', mentre fervono le indagini sulla strage di Bologna e si percorre la pista del terrorismo neofascista italiano, mettono a disposizione di un giornalista di uno dei più diffusi periodici del Paese un


`dossier' riservato, una sorta di studio a tavolino

predisposto in quei giorni dal Servizio, in cui si illustrano i collegamenti internazionali del terrorismo, focalizzando l'attenzione prevalentemente sul terrorismo di sinistra. L'operazione, logicamente e cronologicamente, costituisce il naturale sviluppo di quella condotta pochi giorni prima attraverso il notiziario del DELL'AMICO: là ci si era espressi negativamente sulla pista battuta dagli inquirenti; qui si `allargava l'orizzonte', portando alla ribalta il panorama internazionale del fenomeno terroristico. Mancava un riferimento espresso alla strage. Esso sarebbe stato, da un lato, troppo `impegnativo', nel senso che avrebbe costretto il PAZIENZA a venire subito allo scoperto, in un momento in cui ancora non si era dato corso alle più spericolate operazioni poi materialmente poste in essere dai responsabili dell'Ufficio Controllo e Sicurezza; dall'altro, non appariva necessario, perché, dato il momento ed il contesto in cui sarebbe venuto a cadere il brano di stampa ricavato dalla lettura dei fascicoli messi a disposizione del BARBERI, chiunque avrebbe dovuto porre in collegamento, almeno sul piano delle ipotesi di lavoro, il contenuto dell'articolo con l'orrenda strage consumata soltanto un mese prima.


Significativamente, nel corso del secondo incontro con il BARBERI, il PAZIENZA si faceva accompagnare da colui che sarà l'autentico `sponsor' della `pista libanese', destinata a prendere il via di lì a pochi giorni.


19/9/1980: compare l'intervista ad ABU AYAD sul `Corriere del Ticino', che costituisce, appunto, l'esordio della `pista libanese'. Si è visto che il GIOVANNONE era consapevole di essere di fronte ad una manovra propagandistica dell'OLP, e che la assecondò, lasciandola lievitare. L'atteggiamento del GIOVANNONE assume enorme rilievo, e perché si è visto l'ufficiale al fianco del PAZIENZA nella circostanza ricordata poco sopra, e perché lo stesso GIOVANNONE, nel corso dell'interrogatorio reso al Giudice Istruttore, lungi dal prendere le distanze rispetto a SANTOVITO e soci, si esprime in termini tali da rendere sufficientemente chiaro che egli era e si sentiva solidale con la direzione del SISMI di allora: "...io effettivamente gli dissi che si trattava di documenti di contenuto modesto. Tengo tuttavia a chiarire che da parte del SISMI aver fornito tali documenti al BARBERI non costituiva una manovra depistante, bensì la risposta a sollecitazioni che da ogni parte ci provenivano, essendo noi in qualche modo accusati di inefficienza..."


D'altronde, si deve rilevare, ancora una volta, che la `pista libanese' ha rappresentato una delle molteplici espressioni di quel filone del terrorismo internazionale che riconduce ad unità tutte le manovre poste in essere dal SISMI deviato dopo l'attentato del 2 agosto. Né la `pista libanese' -lo si è visto- è impermeabile rispetto ad altre: vi campeggia il `Gruppo HOFFMANN', poi riciclato dal MUSUMECI, nell'appunto che da lui prende nome; nello stesso appunto compare, quale esponente del gruppo, con i nomi di battesimo storpiati, il BEHELE, cioè uno dei due giovani in seguito catturatiin Libano dai Falangisti.


Ottobre 1980: ha inizio, nell'Ufficio Controllo e Sicurezza,
l'elaborazione dei `collages' di notizie relativi alla strage. Viene trasmessa all'Arma quella che è stata poi contrabbandata, dal MUSUMECI e dal BELMONTE, come la prima informativa proveniente dal SANAPO.


Novembre 1980: il documento perviene al Giudice Istruttore. Nel frattempo, grazie ai buoni uffici dell'ex Procuratore della Repubblica dott. SISTI, autore anche dei quesiti manoscritti di cui si è detto, si sviluppa il rapporto di `collaborazione' diretta del MUSUMECI con i giudici di Bologna.


Inizi del gennaio 1981: nell'ambito della `collaborazione diretta', avviene la consegna `brevi manu' dell'appunto MUSUMECI. La circostanza è coeva alla nascita della `operazione Terrore sui treni'.


8 gennaio 1981: scrive la Corte d'Assise di Roma (97): "ore 17,22. I due imputati raggiungono Brindisi, avendo intenzione MUSUMECI, su ordine o richiesta di SANTOVITO, di

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(97) - AA, V11, C63, p154.


sollecitare l'attivazione della `fonte', la quale, per fortunata combinazione, è già pronta, chiede un lauto compenso e dà la prima notizia ovvero l'`appunto': l'operazione terroristica è imminente, `dovrebbe avere inizio nella prossima settimana'. Il colloquio è di brevissima durata (l'aereo riparte per Ciampino alle ore 18,46)".


9 gennaio 1981: rientrano dalla Francia il SANTOVITO ed il PAZIENZA.Il Gen. NOTARNICOLA è convocato all'aeroporto, dove, alla presenza del direttore del Servizio e del suo `collaboratore esterno', riceve l'informativa. "Balzano agli occhi" -scrive la Corte d'Assise di Roma (98)- "le analogie di contenuto fra tale documento e quelli concernenti l'eccidio di Bologna, anche se Philippe viene fatto risuscitare e il tedesco di Heidelberg, ringiovanito, è menzionato con il solo cognome". (99) "Sul piano della

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(98) - AA, V11, C63, p117.
(99) - La difesa dell'imputato BELMONTE, in sede di discussione, all'udienza del 4/5/88, ha sottolineato che "Horst" è un nome di battesimo e non un cognome; il rilievo è corretto, ma la sostanza non resta intaccata: i giudici romani hanno giustamente osservato che il personaggio è comune all' `appunto MUSUMECI', che attiene alla strage, ed all'informativa 9/1/81, che dà la stura all'`operazione Terrore sui treni'.


concretezza" -si legge nell'appunto- "si ritiene di poter
comunicare la data e il treno sul quale viaggerà l'esplosivo".


10 gennaio 1981: fonogramma dal SISMI al Comando Generale dei Carabinieri ed all'UCIGOS (100): "sembrerebbe che l'esplosivo verrebbe trasportato in treno da un gruppo di 6-4 persone per essere consegnato ai nuclei incaricati degli attentati".


11 gennaio 1981: Sin dal mattino il BELMONTE ha a disposizione un'autovettura del Servizio, richiesta sin dal giorno prima da parte del MUSUMECI.


Alle 12,15: vengono trasmessi alla Polizia Giudiziaria ulteriori aggiornamenti delle notizie provenienti dalla `fonte'.


12 gennaio 1981: in mattinata, un giovane acquista a Bari i duebiglietti che verranno rinvenuti all'interno della valigia sequestrata sul treno Taranto-Milano.


Il BELMONTE, frattanto, ha lasciato Roma, per raggiungere


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(100) - Cfr. AA, V7, C43, p51. Altra parte del testo del medesimo fonogramma la si è trascritta sub 1.2.10).


una destinazione certamente diversa da San Severo e da Vieste.


In serata viene reso noto il nome dei corrieri dell'esplosivo. Si apprendono altresì il luogo ed il giorno della consegna.


13 gennaio 1981: ore 2,55: il BELMONTE telefona alla sede del SISMI. E' in grado di comunicare l'ora ed il treno su cui avverrà la consegna, nonché di indicare il vagone su cui saliranno i terroristi e di descrivere la valigia che avranno con sé.


Ore 9,26: il treno arriva alla stazione di Bologna. Segue il rinvenimento della valigia, ormai giunta a quella che la Corte di Roma ha definito la sua destinazionespecifica: il sequestro.


26 gennaio 1981: si concludeva, con la trasmissione all'UCIGOS dei due appunti consegnati al Questore, fuori protocollo, dall'allora Commissario POMPO', la vicenda di cui si è dato conto sub 1.2.11).


Giova riprendere un altro passo (101) della sentenza della

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(101) - AA, V11, C63, pp. 30-31.


Corte d'Assise di Roma: "...Anche quanto dichiarato dal dottor Francesco POMPO', all'epoca dirigente del I Distretto di Polizia della Questura di Roma in ordine al `modus operandi' di SANTOVITO e PAZIENZA è significativo. Verso la fine del 1980-inizi del 1981 il direttore del servizio segreto militare...lo informò che il suo collaboratore gli avrebbe fornito indicazioni su varie trame delinquenziali. PAZIENZA, quindi, gli diede alcune notizie su un traffico di armi e su episodi di terrorismo in cui erano implicate organizzazioni straniere. POMPO' e PAZIENZA, in collaborazione, redassero i relativi appunti, poi trasmessi `fuori protocollo' dal Dirigente del I Distretto al Questore, che a sua volta informò l'UCIGOS".


Dalle dichiarazioni (102) rese dal POMPO' avanti a questa

Corte ha tratto conferma il fatto che egli avesse ricevuto

dal PAZIENZA le notizie trasfuse negli appunti. Quanto alla tecnica di confezionamento degli appunti stessi, è provato che, almeno per uno dei due, il funzionario di Polizia non rielaborò spunti informativi fornitigli dal

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(102) - Cfr. vu 8/2/88, pp. 30 ss., e, in particolare, 57 ss.


`collaboratore esterno' del SANTOVITO, ma trasmise al Questore, senza cambiare una virgola, quanto il PAZIENZA gli veniva comunicando (mediante dettatura o trasmissione materiale di un appunto già predisposto). Infatti,nella sentenza 29/7/1985 della Corte d'Assise di Roma, di seguito al passo sopra trascritto, si legge: "Mentre siffatto singolare operato è spiegabile soltanto dall'interesse dello `staff' di SANTOVITO di non figurare quale assuntore delle notizie...va osservato che uno di detti appunti, e precisamente quello che inizia con le parole `Centrale trafficanti armi e droga: sede Berlino ovest...', diversamente impaginato ma identico nel contenuto e recante in più la data 18/1/81, è stato rinvenuto agli atti dell'ufficio del gen. MUSUMECI che, come è noto, avrebbe dovuto occuparsi del controllo e della sicurezza del personale e delle infrastrutture..."


Il dato è inequivoco: la data annotata sull'appunto rinvenuto nell'ufficio del solito MUSUMECI -appunto uguale, salva l'impaginazione, ad uno dei due inoltrati dal POMPO'- precede di otto giorni la data di trasmissione del documento dal Questore di Roma all'UCIGOS.


Nel sottolineare il singolare circuito delle informative, la Corte d'Assise di Roma (103), con argomenti che questo Collegio fa propri, commenta: "Ma la comune origine di queste e delle altre notizie sopra riportate" (cioè delle notizie di cui agli `appunti POMPO'', delle informative sulla strage e sull'`operazione Terrore sui treni') "e la loro concomitanza permettono di precisare meglio l'accennato interesse," (dello `staff' del SANTOVITO) "che non era quello, generico ma già sospetto, di `non comparire', bensì quello, specifico, attraverso segnalazioni provenienti da più parti del pericoloso attivismo in Italia di organizzazioni eversive internazionali, di rafforzare l'attendibilità delle `informative' del SISMI circa la strage del 2 agosto e l'operazione `terrore sui treni'".


Il fenomeno cui si assiste è dunque questo: il direttore di un apparato di sicurezza militare, in possesso di notizie su organizzazioni terroristiche internazionali operanti anche in Italia ed, in particolare, su traffici di armi e droga

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(103) - AA, V11, C63, p118.


in Italia ad opera di tali organizzazioni, anziché
trasmetterle in forma diretta ed ufficiale ai competenti organi di polizia, invia un suo `collaboratore esterno' al dirigente di un distretto di polizia della Capitale. Quest'ultimo, al di fuori di ogni competenza, riceve quindi le informazioni da un agente segreto, che assume, per l'occasione, la veste di confidente di un funzionario di polizia. Consegnate fuori protocollo al Questore, le segnalazioni, definite come provenienti da "fonte qualificata ed attendibile", vengono rilanciate nel circuito informativo. Con questa operazione, sotto la regia del PAZIENZA, miracolosamente si moltiplicano -come bene è stato colto- gli apparati che ricevono `notizie confidenziali' in merito all'attività in Italia di formazioni eversive di carattere internazionale.


30 gennaio 1981: viene inoltrato al Giudice Istruttore l'appunto SISMI, pertinente alla `pista libanese', nel quale si nomina per la prima volta tale "Alfredo", si fa cenno del comune addestramento, in campi falangisti, di Italiani, Tedeschi, Francesi, Spagnoli e Fiamminghi, e si menziona il

discorso di ringraziamento pronunciato al termine del corso
dalsuddetto Alfredo, che aveva indicato Bologna "quale esempio di città in mano ai comunisti e, quindi, di situazione da combattere".


Gennaio-febbraio 1981: tramite il MUSUMECI, vengono posti
alla `fonte', e dalla `fonte' trovano puntuale risposta, i quesiti formulati dal Giudice Istruttore in ordine alla strage e dal Gen. NOTARNICOLA in ordine all' `operazione Terrore sui treni'.


24 febbraio 1981: il SANTOVITO trasmette il rapporto di cui si è dato conto sub 1.2.12). Si propina per la prima volta al Giudice, fra le altre sul conto del VALE, la falsa notizia sull'appartamento di Imperia. E non a caso. Nell' `appunto MUSUMECI', tra l'altro, si legge: "...Dopo l'attentato il gruppo HOFFMANN sarebbe rientrato in Germania a bordo dei camper oppure avrebbe dovuto recarsi sulla riviera ligure..."


Ai fini che in questa sede rilevano (e che si sono enunciati in apertura del presente paragrafo) ci si può fermare qui, essendo il quadro della complessa macchinazione, nelle sue molteplici ramificazioni, ormai completo. Non occorre
pertanto richiamare gli ulteriori sviluppi, che sono noti attraverso la narrativa e, in parte, attraverso i precedenti paragrafi della presente parte della trattazione. Varrà soltanto la pena di ricordare che certe situazioni si trascineranno sino alla caduta della gestione `piduista' del SISMI; che il SANTOVITO rientrerà poi fugacemente in servizio, per `mettere a posto le carte', e approfitterà di quel periodo di una decina di giorni per inoltrare il rapporto in data 7 agosto; e che nel novembre '81 il Giudice Istruttore volerà una seconda volta in Libano, nell'ultimo tentativo, defatigante quanto inutile, di trovare il bandolo dell'intricata matassa libanese, che bandolo non poteva avere. Ma, alla fine del novembre, già si schiudeva all'orizzonte la `pista CIOLINI'.


2.3.5) Il senso delle condotte descritte


Una volta colta l'unitarietà dell'articolata macchinazione, e la suariconducibilità allo schema della cospirazione internazionale suggerito dal GELLI poco dopo l'emissione dei primi ordini di cattura, si tratta di capirne le motivazioni e gli obiettivi.


E' oggi provato che della strage furono responsabili, tra gli altri, Massimiliano FACHINI e Valerio FIORAVANTI. E' altresì provato che costoro facevano parte di una banda armata in cui un ruolo eminente era ricoperto da Paolo SIGNORELLI. Lo stesso SIGNORELLI è raggiunto da pesanti prove di coinvolgimento nell'attentato del 2 agosto, ancorché esse siano insufficienti per la condanna. Dunque, le prime indagini, orientate verso i poli romano e veneto dell'eversione neofascista, non si muovevano certo in una direzione sbagliata. Si trattava, naturalmente, di aggiustare il tiro. Il corso successivo dell'istruttoria è infatti valso a far giustizia dell'iniziale accusa di strage rivolta al PEDRETTI, al CALORE ed al FURLOTTI, spostandola su altri imputati, ed a ridefinire la composizione della banda armata. Oltre al SIGNORELLI, il primo ordine di cattura, alla fine dell'agosto '80, raggiungeva anche il DE FELICE ed il SEMERARI (il FACHINI sarà catturato ai primi di settembre ed il provvedimento restrittivo per il FIORAVANTI sarà emesso il 19 settembre). E' dimostrato che il DE FELICE tramitePaolo ALEANDRI, ed il SEMERARIanche direttamente,
avevano rapporti con Licio GELLI. Aldo SEMERARI era uomo legato a doppio filo a quell'ambiente dei servizi segreti di cui il GELLI era, all'epoca, l'occulto `dominus'. Sono ampiamente dimostrati gli stretti legami fra il DE FELICE, il SEMERARI, il SIGNORELLI ed il FACHINI. V'è prova inoltre del fatto che Licio GELLI abbia mostrato interesse ad orientare le scelte processuali del FIORAVANTI in relazione all'accusa per l'omicidio PECORELLI, che risale alla primavera del '79 (naturalmente, la questione impegna la Corte soltanto sotto questo limitato profilo, essendo l'accertamento delle responsabilità del FIORAVANTI e del GELLI per l'omicidio PECORELLI -delitto per il quale sono entrambi raggiunti da comunicazione giudiziaria- rimesso ad altro giudice). Sulle prove dei rapporti, dei legami, delle cointeressenze di cui si è testé fatto cenno ci si soffermerà in altra parte della trattazione. Qui -ad evitare di ripetersi- ci si è limitati ad anticiparne l'enunciazione.


Orbene, dopo l'iniziale indicazione del GELLI, ci si adoperò in ogni modo per allontanare le indagini dalla pista dell'eversione neofascista interna: dalla pista che riconduceva, appunto, ai personaggi sopra nominati.


Non può sfuggire che le operazioni più significative furono condotte dall'Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI, in aperta violazione delle competenze interne del Servizio: aveva infatti l'ufficio del MUSUMECI compiti di vigilanza interna sulla regolarità dello svolgimento delle attività del Servizio. La pesante deviazione istituzionale, tradottasi in una esautorazione della Divisione comandata dal Gen.NOTARNICOLA, trova la sua spiegazione nel fatto che a capo dell'Ufficio Controllo e Sicurezza vi era un `fratello' della Loggia P2, che, ossequiente al vincolo massonico e in ispregio dei vincoli istituzionali, attraverso il filtro del `confratello' direttore del Servizio, si rivelò fedele interprete delle indicazioni del maestro venerabile. La prassi della `collaborazione diretta', che includeva la consegna `brevi manu' di appunti al Giudice Istruttore altro non era che un modo per stabilire con il titolare dell'indagine un contatto senza mediazioni, al di fuori dei canali ufficiali, così da sottrarre vieppiù la manovra depistante al controllo della
parte non deviata del Servizio.


L'azione intossicante ebbe una progressione, le cui tappe furono scandite dall'acuirsi, di momento in momento, dell'esigenzadi venire in soccorso dei vari DE FELICE, SEMERARI, SIGNORELLI,e degli altri neofascisti coinvolti nell'inchiesta. La prima fase, che potrebbe dirsi `giornalistica', non aveva sortito risultati significativi sull'inchiesta. D'altra parte tale fase aveva carattere preparatorio. Ma già nell'ottobre l'offensiva si era venuta intensificando e l'azione intossicante -sotto forma di false informative- era stata indirizzata direttamente verso la Polizia Giudiziaria, attraverso la quale, immancabilmente, avrebbe raggiunto l'Istruttore. Il contatto stabilito poi fra i vertici deviati del SISMI ed il Giudice Istruttore consentì in seguito ai primi di svolgere l'attività inquinante, senza filtri, in danno del titolare dell'inchiesta.


Anche gli sviluppi istruttori incisero sull'evolversi del depistaggio. Come si è visto, la perizia chimico-esplosivistica fu depositata il 23/12/1980. Tre settimane
più tardi, si provvide a far ritrovare sul treno Taranto-Milano esplosivo compatibile con quello utilizzato per l'attentato del 2 agosto. Si ricorderà che nella valigia era contenuto esplosivo di due tipi distinti (104): in due barattoli v'era esplosivo per impieghi civili gelatinato del tipo stabilizzato con solfato di bario; nei rimanenti sei v'era `Compound B', cioè un miscela di tritolo e `T4'.

Aproposito del primo, così conclude la perizia chimico-esplosivistica comparativa, depositata il 7/12/1981: "l'esplosivo gelatinato, stabilizzato con solfato di bario, rinvenuto alla Stazione ferroviaria Centrale di Bologna il 13 gennaio 1981, possiede molti punti di contatto, per caratteristiche di composizione qualitativa, con quello da ritenersi utilizzato a Bologna il 2 agosto 1980" (105). Questo è un punto fermo. Quanto al `Compound B', esso ha natura completamente diversa rispetto alla composizione chimica complessiva dell'esplosivo utilizzato nell'attentato del 2 agosto:nondimeno,una piccola quantità di `Compound B'

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(104) - Cfr. supra, sub 1.4.2).
(105) - Cfr. PA, V1, relazione di perizia chimico-esplosivistica comparativa, pp. 70-71.


"potrebbe...essere entrata nella composizione della carica esplosiva impiegata per la strage del 2 agosto 1980" (106). A tale conclusione i periti giungono nel formulare le ipotesi giustificative della presenza di T4 nei prodotti residui dell'esplosione avvenuta alla stazione centrale di Bologna (107).


Dunque, una volta conosciute le risultanze peritali del dicembre '80, si fanno sequestrare due tipi di esplosivi, che serviranno entrambi a porre in collegamento -agli occhi degli inquirenti- l'attentato del 2 agosto e l'`operazione Terrore sui treni'. La manovra serve, naturalmente, a creare un riscontro di natura tecnico-scientifica alle false indicazioni desumibili dalle informative che si vengono confezionando. Il messaggio: l' `operazione Terrore sui treni' è opera di un'organizzazione internazionale; anche la strage lo è stata; dietro tali attività terroristiche si celano le medesime formazioni ed i medesimi individui: Gruppo HOFFMANN, FANE, Philippe, Horst; in effetti,



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(106) - Cfr. relazione di perizia citata alla nota che precede, p71.
(107) - Cfr. relazione di perizia citata alla nota (105), pp. 25-29.


l'esplosivo sequestrato il 13 gennaio è riconducibile a quello utilizzato il 2 agosto.


E' stato osservato che, nel porre in essere l'`operazione

Terrore sui treni', si impresse una violenta accelerazione alla complessiva manovra depistante,e ci si espose a notevoli rischi.Il fatto è che,da un lato, si trattava di creare suigiudici deipesanti condizionamenti psicologici al momento della decisione sulle istanze di scarcerazione dei variimputati ancora detenuti nell'ambitodell'originario filone d'indagine, offrendo l'evidenza materiale della cospirazione internazionale; dall'altro, si trattava di far fronte ad una situazione di pericolo che dagli stessi imputati detenuti poteva venire, per effetto del prolungarsi della carcerazione. In proposito, si è detto sub 1.2.22), lettera a), della relazione di servizio in data 22/10/1980, e si è anticipato che la "fonte confidenziale degna di fede" ivi citata altri non era che Aldo SEMERARI. Ciò è emerso dalla deposizione (108) resa avanti a questa Corte dall'Ispettore della Polizia di Stato Pio RAMINI, uno


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(108) - Cfr. vu 28/9/87, pp. 29-30. dei due firmatari della relazione. Il SEMERARI dava segni di cedimento e lanciava messaggi allarmanti. Ciò trova conferma nelle dichiarazioni di Paolo ALEANDRI (109): "...Per quanto riguarda il Prof. SEMERARI, ricordo che sua moglie due o tre mesi dopo il suo arresto a Bologna riferì a mio padre che suo marito era allo stremo, non riusciva a sostenere il regime carcerario e si apprestava alla stesura di un memoriale accusatorio..." Un'ulteriore conferma del progressivo degrado psicofisico del SEMERARI e, quindi, indirettamente, dell'incontrollabilità via via più allarmantedelle sue reazioni, viene da un ambiente completamente diverso. Il Professor FERRACUTI, iscritto alla Loggia P2, interno al SISDE, criminologo e collega del SEMERARI, ebbe occasione di vedere quest'ultimo nei primi mesi dell'81: "...Andai a far visita in una occasione al SEMERARI quando era degente al San Camillo, durante la sua detenzione. Lo trovai in un gravissimo stato di `nevrosi fobico ossessiva'...Quando andai a trovare al San Camillo SEMERARI questi mi prospettò, tra l'altro, la possibilità di

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(109) - Cal., V5, C3, p88.


`farla finita'..." (110).


Ad ogni modo, già dalla fine dell'ottobre, il criminologo, non riuscendo a reggere il regime carcerario, veniva mostrando tutta la sua `pericolosità'. L'aver egli diretto le sue `attenzioni' verso Fabio DE FELICE, cioè l'essersi spinto in prossimità del GELLI, offriva la misura di ciò che sarebbe potuto scaturire dal protrarsi della sua carcerazione. Il livello delle conoscenze del personaggio -piduista (111), legato ai servizi di sicurezza, collocantesi alla confluenza dell'eversione di destra e della malavita organizzata- era elevatissimo: egli doveva essere tutelato ad ogni costo, doveva uscire dal carcere al più presto. "E' dunque con questo obiettivo che si stringono i tempi e si eleva il livello del depistaggio; è così che si arriva alla massima provocazione per un Servizio segreto: terrorizzare le più alte cariche istituzionali del Paese, inventando un falso ricatto terroristico e collocando su di un treno esplosivo ed armi a conferma della elevatezzadella


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(110) - AA, V10, C60, pp. 539 e 543 e vu 19/10/87, p114.
(111) - L'adesione alla Loggia P2 è nota attraverso la deposizione del fratello del criminologo: cfr. Cal., V5, C50, p4 e vu 5/2/88, p13.


minaccia e del pericolo." (112)


Gli imputati agirono al fine di intossicare le indagini. Non è sostenibile che siano stati mossi dall'intento esclusivo di lucrare il compenso eventualmente destinato alla `fonte'.


Così il teste DI MURRO, amministratore del SISMI all'epoca dei fatti (113): "...Ero alle dipendenze dirette del direttore del servizio ed ero obbligato ad eseguire gli ordini che ricevevo dal direttore. Preciso che il SISMI ha due contabilità: una interna per spese ordinarie, soggetta a rendiconto e controllo della Corte dei Conti; una per spese `riservate' la cui gestione segue una normativa interna dettata dal Direttore del Servizio e sottratta ad ogni rendiconto e controllo. Nel 1980, il SISMI ha ricevuto per spese riservate 68 miliardi, divenuti 86 nel 1981."


MUSUMECI e soci, dall'alto della loro posizione all'interno del servizio segreto militare, potevano spaziare in varie direzioni, assai più `tranquille' per procurarsi illecitamente denaro mediante la simulazione dell'esistenza di `fonti' ed il confezionamento di false informative. In * * * ** (112) - RE, p841.
(113)- Cal., V5, C21, p3; dichiarazioni confermate in giudizio: cfr. vu 13/10/87, p17.


nessun caso, poi, il semplice fine di lucro avrebbe giustificato l'adozione di un espediente così pericoloso comela collocazione di una valigia contenente armi ed esplosivi su un convoglio ferroviario: e perché il fatto, connesso con un atroce delitto, appariva `a priori' destinato ad essere verosimilmente sottoposto a verifica giudiziaria; e perché l'approvvigionamento delle armi e degli esplosivi comportò inconfessabili contatti con terroristi di destra, che sarebbero venuti a porre i vertici deviati del SISMI in posizione di permanente assoggettamento a ricatto.


Le stesse argomentazioni valgono `a fortiori' ad escludere che MUSUMECI e soci abbiano agito per ragioni di rivalità rispetto al SISDE. Peraltro, l'attaccamento al Servizio di appartenenza è sentimento affatto inconciliabile con la condotta di chi, predisponendo false informative, lucra pubblico denaro nell'ordine delle centinaia di milioni di lire e si fa cinicamente beffa delle Istituzioni, intossicando le indagini in corso sulla più sanguinosa strage perpetrata in Europa in tempo di pace. In ogni caso, non è chi non veda come l'operazione, se poteva attribuire credito provvisorio al vertice di comando del SISMI, non poteva, in prospettiva, che ritorcersi in danno del prestigio del Servizio, una volta emerso -come doveva necessariamente, per quanto faticosamente, emergere- che la pista `scoperta' ed offerta agli inquirenti era del tutto fasulla.


Né si dica che dall'Ufficio Istruzione di Bologna venivano pressanti sollecitazioni a collaborare: quasi che la disponibilità e l'ansia di corrispondere alle aspettative potessero giustificare la menzogna, la calunnia, la fellonia.


Ma v'è di più. I segnali che la manovra fosse orientata a coprire determinati personaggi, una determinata area, sono molteplici. Già prima dell'emissione dell'ordine di cattura dell'agosto, il SISMI disponeva delle preziose indicazioni provenienti dal NALDI, che all'agente "CALIPATTI" aveva reso ledichiarazioni di cui si è dato conto altrove (114), che costituivano un validissimo spunto informativo, in sintonia con la pista di lì a poco imboccata dagli inquirenti, sulla

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(114) - Cfr. supra, sub 1.1.3.3).


base di elementi diversi. Poiché il NALDI si presentò spontaneamente agli inquirenti, riferendo d'esser stato contattato da un sedicente agente segreto, il SANTOVITO non poté fare a meno -come si è visto- di inserire, in allegato al rapporto del 14 ottobre '80, fra gli altri, anche un `riepilogo' in cui si faceva menzione della "tesi" del NALDI. Il SANTOVITO si guardò bene dal trasmettere anche copia della bobina sui cui era registrato il colloquio e la trascrizione della registrazione, pervenute all'Istruttore soltanto molto più tardi (115). Nella trascrizione, infatti, si sarebbe letto: "...gli attentatori sono persone che vengono da fuori Bologna, quasi certamente da Roma e oserei dire dalle organizzazioni di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale..."; e più avanti: "... SIGNORELLI è il capo indiscusso in Italia di `Ordine Nuovo'. Detto movimento usa anche la sigla di `Movimento Popolare Rivoluzionario',
`Costruiamo l'Azione' e `Gruppi Popolari di Base'. Un gruppo



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(115) -Per quanto riguarda la trascrizione, risulta da EA, V10/a-1, C48, p16, che era "stato possibile" ottenere il testo dattiloscritto in data 8/5/81 e che altra trascrizione, meno leggibile, era già pervenuta all'Ufficio, ma soltanto qualche giorno prima dell' 8 maggio. Copia del nastro contenente la registrazione perverrà all'Istruttore soltanto nell'85: cfr. RA, V13, C435, pp. 1 e 35.


molto attivo di `Ordine Nuovo' si trova a Padova. Ripeto che non bisogna confondere i `NAR' con `Ordine Nuovo' e gli altri movimenti che ad esso si richiamano. I `NAR' sono nati in Roma da una base missina estremista ed incontrollabile..."


Nel `riepilogo' trasmesso dal SANTOVITO si legge (116): "NOTIZIA Tesi sostenuta dall'estremista NALDI nel contatto con elemento del Servizio. Secondo tale tesi la strage di Bologna: -sarebbe sicuramente di matrice neo-fascista; -si innesterebbe nella faida in atto fra i diversi movimenti dell'estrema destra; -molto probabilmente è attribuibile ai NAR romani i quali avrebbero inteso così provocare i fascisti bolognesi rifiutatisi di collaborare..."


Le prime due proposizioni riprendono effettivamente il contenuto del dialogo col NALDI, così come risulta dalla trascrizione e come lo si è riferito sub 1.1.3.3). Nella terza, si sostituiscono i `NAR' ad `Ordine Nuovo' ed `Avanguardia Nazionale'. Il nome del SIGNORELLI -che pure era stato indicato come capo di `Ordine Nuovo'- non è menzionato. Delle altre sigle, e della loro identificabilità

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(116) - RA, V5, C211, p13. con `Ordine Nuovo', nessun cenno. I soliti ingredienti:
reticenza e manipolazione dei dati. E perché? Perché le
indicazioni provenienti dal NALDI portavano in direzione dei SIGNORELLI, dei SEMERARI, dei DE FELICE, dei FACHINI.


In conclusione: il SISMI, in grado di anticipare ogni altra informativa sulla strage, di affermare in tal modo il proprio prestigio e di giustificare le spese più onerose, tiene la preziosa fonte nel cassetto, e, essendo in qualche modo costretto a dar conto del contatto, già `aliunde' noto agli inquirenti, travisa il contenuto delle notizie ricevute, tenendo al riparo dalle iniziative giudiziarie coloro che, attraverso tali notizie, rischiavano di esserne coinvolti.


Peraltro, coinvolgendo i NAR, si era commessa una `gaffe' clamorosa. L'occasione per rimediare venne dal quinto quesito formulato dal Giudice Istruttore sulla base dell'`appunto MUSUMECI'. La risposta va ripresa nella sua interezza, perché siamo di fronte a quello che, dal punto di vista di MUSUMECI e soci, rappresentava il quesito-chiave: "E' stato escluso il legame con i NAR, come è stata esclusa la partecipazione alla strage dei nominativi segnalati"
(cioè CALORE, PEDRETTI, FURLOTTI, e, naturalmente, SIGNORELLI e SEMERARI) "Se alcuno di essi poteva essere al corrente non è stato potuto chiarire, anche perché esistono legami tra NAR e TERZA POSIZIONE". La seconda parte della risposta è sibillina, ma trova una sua spiegazione. I quesiti cadono in un periodo in cui è già avviata l' `operazione Terrore sui treni'. E le risposte pervengono quando, evidentemente, si è già deciso di propinare ai giudici il nominativo del VALE. Si tratta di scagionare i NAR (perchè va salvaguardato il FIORAVANTI) e di criminalizzare Terza Posizione, che si vuole sia una componente della fantomatica organizzazione internazionale. Ma il VALE è personaggio che sta a cavallo fra NAR e Terza Posizione. E allora, si sceglie questo compromesso: esclusa comunque la responsabilità dei NAR, di fronte all'ulteriore quesito se essi, o il CALORE e gli altri potevano essere al corrente del perpetrando attentato, non ci si spinge a negarlo, e si preferisce affermare di non esser venuti a capo del dilemma, anche in considerazione dei legami fra i due movimenti. Responso macchinoso; e fuor di luogo, poiché
i quesiti non facevano cenno di `Terza Posizione'. Il MUSUMECI precorre i tempi; la sua macchinazione deve appunto porre in collegamento la strage e l'`operazione Terrore sui treni'; ma l'accostamento dovrà essere frutto delle deduzioni dei giudici, sulla scorta delle informative e della comparazione degli esplosivi; qui invece, anacronisticamente, si ricollega Terza Posizione alla strage, quando ancora -sulla scorta delle informative provenienti dallo stesso MUSUMECI- quel movimento risultava coinvolto soltanto nell'`operazione Terrore sui treni'; ed è tanto vero che si riconnette Terza Posizione all'attentato del 2 agosto, che persino gli innocenti possono esser stati al corrente della strage, se con Terza Posizione abbiano legami.


Si è sostenuto ancora che il depistaggio, anziché in favore del FIORAVANTI (e di altri), sarebbe stato orientato contro di lui e contro il CAVALLINI: avrebbe mirato, cioè, a criminalizzarli.


Occorre subito rilevare, in proposito, che quand'anche ciò fosse vero (ma è vero il contrario), non ne scaturirebbe in
alcun modo la prova dell'innocenza del FIORAVANTI in ordine alla strage, ben potendosi dare che si simulino tracce di un delitto a carico del vero colpevole. Ad ogni modo, la questione va ugualmente valutata, con riferimento all'imputazione di calunnia. Per quanto attiene alle false indicazioni sul conto del VALE (117), personaggio legato al FIORAVANTI e sodali, si è testé visto come -da parte del SISMI deviato- ci si sia mossi per coinvolgere appunto il VALE (ma in veste di `trait d'union' fra Terza Posizione e formazioni armate straniere), scagionando al tempo stesso i NAR. E in effetti, poi, i pregressi legami operativi fra il VALE ed il FIORAVANTI mai sono stati valutati, nei provvedimenti coercitivi in atti, in senso accusatorio per

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(117) - E' lecito ipotizzare -ma la circostanza è certamente suscettibile di essere altrimenti spiegata- che l'indicazione del VALE sia frutto della solita tecnica manipolativa dei `rigurgiti di questura'. Il 5/2/81, in Padova, avvenivano i fatti di cui si è dato conto sub 1.2.17), alla nota (60). Nel rapporto SANTOVITO del 24/2/81 (cfr. AAD, V6, C1, p12), si legge: "...Sembra opportuno evidenziare che la stampa dell'8/2/81 riporta il nome di VALE Giorgio -finora non noto- fra le persone che sarebbero implicate nell'omicidio dei due militari dell'Arma a Padova..." La notizia, per esser stata pubblicata l'8, doveva essere nota almeno dal giorno precedente. Orbene, si è visto come il 7/2/81, fra le risposte ai quesiti posti dall'ufficio del Gen. NOTARNICOLA,comparisse per la prima volta il nome del VALE, quale acquirente dei biglietti aerei, e incaricato dei contatti fra Terza Posizione, F.A.N.E. e Gruppo HOFFMANN.


il secondo, dopo che il primo era stato indicato come protagonista dell' `operazione Terrore sui treni', che lo ricollegava indirettamente alla strage.


E' vero invece che, nell'ordinanza della Sezione Istruttoria 22/4/1982 (118), la presenza del FIORAVANTI e della MAMBRO nel covo di Taranto venne posta in relazione con il

rinvenimento sul treno Taranto-Milano di una valigia contenente esplosivo correlabile con quello utilizzato per la strage: evidentemente, sulla base del fatto che il covo era ubicato nei pressi della città da cui il treno partì. Talecoincidenza topografica è un primo dato di fatto. Inoltre, occorre soffermarsi su quanto emerge dai tabulati relativi ai nominativi dei viaggiatori in partenza da Milano perParigi e Stoccarda il 13/1/1981.Tali tabulatirisultano tra gli atti acquisiti dal Procuratore della Repubblica di Roma presso il SISMI, nel 1984. In essi compaiono tali FIORVANTI (119) e BOTTAGIN (120): il primo, in partenza da Milano per Parigi con volo AZ n° 344 delle ore 20,10; il

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(118) - cfr. supra, sub 1.4.11), testo e note (62) e (63).
(119) - AA, V7, C43, p102.
(120) - AA, V7, C43, p100: occorre segnalare che il CAVALLINI ebbe ad utilizzare il cognome di copertura "BOTTACIN".


secondo, in partenza sulla rotta "Milano-Stuttgart (Monaco)", con volo AZ n° 442 delle 20,30. La difesa FIORAVANTI-MAMBRO ne trae argomento a sostegno della tesi secondo cui MUSUMECI e soci avrebbero voluto criminalizzare, e non `coprire', il FIORAVANTI: tesi suggestiva, ma priva di pregio.


Osserva la Corte: delle due l'una: o l' `operazione valigia' nasce da un concorso operativo fra il SISMI deviato ed il gruppo FIORAVANTI (121), cioè, fra il MUSUMECI ed il BELMONTE da una parte ed il FIORAVANTI ed il CAVALLINI dall'altra; ovvero è frutto della sola attività del SISMI deviato (che comunque si procurò armi ed esplosivo presso terroristi di destra). La Corte non è impegnata a sciogliere questo dilemma, essendo stati il MUSUMECI ed il BELMONTE già giudicati a Roma per l'illecito trasporto, e non essendo il FIORAVANTI ed il CAVALLINI, allo stato, imputati di tale delitto. Qui occorre rilevare che, in un caso come nell'altro, gli elementi sopra considerati non appaiono idonei a supportare la tesi difensiva di cui si è detto.

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(121) - Loha sostenuto il patrono di parte civile Avv. MONTORZI,in corso di discussione, all'udienza del 16/3/88.


Invero, supponendo il duo MUSUMECI-BELMONTE concorrente con

il duo FIORAVANTI-CAVALLINI nella spedizione della valigia, proveniente dal covo di Taranto, si deve necessariamente ipotizzare un vincolo di omertà fra tutti,per via dell'inconfessabilità del contatto per gli uni e per gli altri, e, comunque, dell'assoggettamento di ciascuno alla prospettiva di essere immediatamente chiamato in causa dalla controparte,nei cui confronti avesse eventualmente violato quel patto di omertà.


Si supponga, invece, che il FIORAVANTI ed il CAVALLINI non abbiano partecipato all'`operazione valigia'. In tal caso, se si fosse inteso criminalizzarli, non si vede perché non li si sarebbe inseriti, esplicitamente, con l'indicazione di nome e cognome, in una falsa informativa, come si è fatto per il VALE, per il MACCA, il MARLETTA, l'AFFATIGATO, i componenti del Gruppo HOFFMANN, Paul DURAND, e tutte le altre persone passate in rassegna nel capo d'imputazione del procedimento per calunnia. Non si vede perché, per coinvolgerli nell'accusa calunniosa, li si sarebbe dovuti farfigurare,il 13/1/1981, in partenza verso Parigi e la Germania,cioèverso le stesse mete prescelte dagli
intestatari dei biglietti aerei rinvenuti nella valigia sequestrata sul treno, senza poi, peraltro, fornire contestualmente agli inquirenti la documentazione che -secondo l'assunto difensivo- avrebbe dovuto suggerire il collegamento del FIORAVANTI e del CAVALLINI con le persone indicate nelle false informative (si è visto che i tabulati furono acquisiti presso il SISMI nel 1984).


Si osservi, d'altronde, che interpretare la collocazione della valigia sul treno Taranto-Milano come espressione della volontà di coinvolgere chi disponeva di un covo in Taranto significa riconoscere che MUSUMECI e soci sarebbero stati al corrente dell'esistenza del covo, che l'avrebbero
sottaciuto,e che avrebbero quindi di fatto fornito copertura ai suoi occupanti. Ma, a ben vedere, posto che il luogo della consegna avrebbe dovuto essere diverso da Taranto (122) e che la valigia fu rinvenuta a Bologna, si

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(122)- Nelle risposte ai quesiti formulati dalla 1ª Divisione, le consegne si sdoppiano: armi, biglietti aerei e valigia con esplosivo, in Pescara, passano da un corriere cosentino, incensurato ma vicino agli ambienti della mafia calabrese, al LEGRAND ed al DIMITRIS; costoro, in Ancona, avrebbero dovuto trattenere armi e biglietti, che avevano richiesto, e passare la valigia ad altri terroristi, destinatari finali.


deve concludere che già in origine, nelle indicazioni provenienti proprio dal BELMONTE, il collegamento della valigia con Taranto resta affidato soltanto al dato che in quella città nasceva il treno 514. Gli stessi biglietti aerei furono fatti acquistare altrove: in un'agenzia di Bari. In conclusione: nessun elemento artatamente predisposto dagli autori dell'`operazione Terrore sui treni' sembra ricollegare significativamente le condotte criminose ad essa operazione pertinenti alla città di Taranto.


Tornando alla questione dei tabulati dei voli aerei, è a chiedersi quale sarebbe stato il senso della provocazione che si dice posta in essere dal SISMI deviato.


Vaintanto rilevato aver la difesa FIORAVANTI-MAMBRO sostenuto che le descrizioni del LEGRAND e del DIMITRIS fornite nelle false informative si attaglierebbero rispettivamente al FIORAVANTI ed al CAVALLINI (123). Se


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(123) - Cfr. AA, V7, C43, p55: "...porteranno il materiale tali LEGRAND Raphael, altezza 1,75-1,80, corporatura molto prestante, capelli castani, colorito roseo e DIMITRIS Martin con leggera calvizie frontale..." In sostanza, del DIMITRIS non si dice pressoché nulla:si enuncia un particolare riferibile ad una elevata percentuale di individui di sesso maschile che abbiano superato la prima giovinezza. Per quanto riguarda il LEGRAND, oltre ad alcuni dati vaghi, riferibili ad una moltitudine di individui, si aggiunge la statura, indicandola compresa fra due estremi distanti 5 centimetri l'uno dall'altro.


così fosse, e se le somiglianze non fossero casuali, ma maliziosamente volute da MUSUMECI e soci, ci si troverebbe di fronte ad una tecnica calunniatoria talmente contorta da riuscire incomprensibile: in sostanza, mentre si attribuivano ai terroristi generalità di cittadini stranieri, se ne sarebbe fornita una descrizione somatica corrispondente a quella di due neofascisti italiani, i cui nominativi, reali o di copertura, sarebbero stati fatti risultare in partenza da Milano, in quel fatidico 13 gennaio 1981, verso le mete già falsamente indicate per i fantomatici DIMITRIEF e LEGRAND. Si è già osservato -e l'argomentazione sembra in sé risolutiva- che i vertici deviati del SISMI non hanno esitato ad indicare in abbondanza nomi e cognomi nelle false informative propinate alla polizia giudiziaria ed ai giudici: talché non si comprende perché, per i soli FIORAVANTI e CAVALLINI, si sarebbero dovute adottare indicazioni non soltanto oblique, ma addirittura schizofreniche (descrizione somatica corrispondente agli odierni imputati, logicamente contrastata dall' indicazione di false generalità straniere; prenotazione del volo a nome degli stranieri, logicamente contrastata dall'aver poi artatamente creato l'apparenza del compimento del viaggio da parte del FIORAVANTI e del CAVALLINI). Ad ogni buon conto, anche volendo accedere -per scrupolo di verifica- a questa non condivisibile
impostazione, si deve osservare che la pretesa provocazione in danno degli odierni imputati (la quale prevedeva evidentemente la spendita, da parte di emissari del MUSUMECI, dei cognomi FIORAVANTI e BOTTACIN), avrebbe dovuto, coerentemente, essere programmata in maniera tale da far sì che i sedicenti FIORAVANTI e BOTTACIN risultassero sui voli già prenotati per il LEGRAND ed il DIMITRIEF. Ma così non è. Dai biglietti rinvenuti nella valigia risulta che il LEGRAND sarebbe dovuto partire, alla volta di Parigi, con il volo AZ 326 delle 18,16 (124); e che il

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(124) -Questa, appunto, l'indicazione risultante dal biglietto (che trovasi, in copia -come quello intestato al DIMITRIEF- in AA, V7, C43, p73). Il titolare dell'agenzia di viaggi di Bari ebbe a riferire (AAD, V6, C1, p53) d'aver in un primo tempo prenotato il volo dell' `Alitalia', e d'aver quindi provveduto, dopo essersi consultato col cliente, a prenotare il volo `Air France' delle 19,20, effettuando la correzione sul terminale e sul biglietto. Dal biglietto -come s'è visto- la correzione non risulta. Quanto alla prenotazione, invece, dal documento in atti di provenienza SISMI in AA, V7, C43, p71, essa risulta essere stata effettuata, al nome del LEGRAND, per il volo `Air France' AF 555 delle 17,20 e non per il volo `Air France' AF 655 delle 19,20 (cfr. AA, V7, C43, p98).


DIMITRIEF avrebbe dovuto raggiungere la Germania con il volo AZ 428 delle ore 20,00. Non combaciano tali voli con quelli con cui risultano essere stati in partenza rispettivamente "FIORVANTI" (125) e "BOTTAGIN". E' vero che i passeggeri del volo AZ 428, soppresso, con il quale avrebbe dovuto viaggiare il fantomatico DIMITRIEF, furono convogliati sul volo AZ 422 diretto a Stoccarda (126), e quindi i due voli finirono per sovrapporsi: tuttavia, la persona che viaggiò sotto il nome di BOTTAGIN era diretta a Stoccarda e non a Monaco (127) e, quindi, solo a seguito della soppressione del volo AZ 428, fatto casuale ed imprevedibile, si trovò a viaggiare su un aereo `sospetto'. Tutto ciò -si badi- a prescindere dal fatto che il nominativo su cui si è venuta appuntando l'attenzione è "BOTTAGIN" e non "BOTTACIN", il

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(125) -L'indicazione "FIORVANTI" è frutto di un errore di trascrizione: in effetti, sul volo AZ 344 viaggiò un passeggero a nome FIORAVANTI: cfr. rapporto DIGOS Bologna, con allegata copia del biglietto aereo (acquistato il 12/1/81 presso l'Agenzia Corvetto di Milano), in RA, V9, C382, pp. 91-92.
(126) - Cfr. AA, V7, C43, p71.
(127) -Lo si desume dal rapporto citato alla nota (125). Vi si legge, infatti: "Sul volo AZ 442 Alitalia, tratta Milano-Monaco, non risulta alcun biglietto a nome BOTTAGIN". La ricerca era stata evidentemente compiuta sugli elenchi dei viaggiatori originariamente in partenza per Monaco con il volo AZ 428. La presenza del nominativo BOTTAGIN sul tabulato del volo unificato AZ 442, a seguito di soppressione dell'AZ 428, sta dunque a significare che il passeggero a nome BOTTAGIN viaggiava verso Stuttgart.


quale ultimo è già un nome di copertura.


In sostanza: se si fossero acquisiti i soli elenchi dei passeggeri in partenza coi voli indicati sui biglietti intestati ai fantomatici LEGRAND e DIMITRIEF, non si sarebbe trovato nulla di idoneo a ricondurre ai due imputati che si assume che il SISMI deviato abbia voluto `incastrare'.


Si è fatto leva, ancora, sul fatto che, dagli elenchi in atti, risulta in partenza per Parigi, il 13/1/1981, anche un passeggero a nome PEDRETTI (128). La circostanza, lungi dall'avvalorare la tesi secondo cui MUSUMECI e sodali, facendo figurare viaggi `sospetti' da parte di eversori neofascisti italiani, avrebbero inteso creare tracce di colpevolezza a loro carico, fornisce invece una possibile chiave di interpretazione -di segno contrario rispetto a quella proposta dalla difesa FIORAVANTI-MAMBRO- anche della presenza dei nomi FIORVANTI e BOTTAGIN fra i viaggiatori in partenza da Milano il 13 gennaio. Infatti, Dario PEDRETTI, all'epoca dei fatti qui in esame, era detenuto per l'imputazione di strage. Non si vede come il far figurare un



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(128) - Con il volo AF 655 delle 19,20: cfr. AA, V7, C43, p98.


viaggio aereo a suo nome,sia pure su un volo`sospetto',

ma in costanza di detenzione, sarebbe valso a criminalizzarlo. La spiegazione è, molto semplicemente, un'altra: il 13 gennaio dell'81, alle 19,20, partì in volo da Milano per Parigi un onesto ed insospettabile cittadino che aveva tutto il diritto di chiamarsi PEDRETTI. E non era l'unicogalantuomo, che, essendo in quei giorni in viaggio verso le stesse mete di fantomatici terroristi, si trovava a dividere il cognome con estremisti di destra: sul volo Milano-Parigi delle 19,20 viaggiavano anche il signor PINTUS e due signori BIANCHI (129); sul volo Milano-Stoccarda delle 20,30 viaggiavano anche i signori BIANCHI e NERI (130); sul volo AF 659 Venezia-Parigi del 15/1/1981 viaggerà poi il signor BELLINI (131). Naturalmente, con minime varianti ortografiche (come quelle attraverso cui si passa da FIORVANTI a FIORAVANTI e da BOTTACIN a BOTTAGIN), le presenze`strane' tendono ad aumentare:tantopercitare un esempio, gli ORAZI diventano i d'ORAZI. Estendendo il campo

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(129) - AA, V7, C43, pp. 98-99. (130) - AA, V7, C43, p100. Maurizio NERI era, all'epoca, ancora detenuto.
(131) -AA, V7, C43, p96.


della ricerca ai vari soggetti che, a qualsiasi titolo,


abbiano avuto a che fare con il presente procedimento, si

troveranno nomi di testimoni, di avvocati, di magistrati, e

così via. Quanto precede ha una sua spiegazione statistica: aumentando il campione degli elementi fra cui è possibile individuare delle relazioni, aumenta anche la probabilità di cogliere effettivamente tali relazioni: e non in misura lineare, ma progressiva (132).


Con ciò non si intende affermare, in termini di certezza, che -come sicuramente è avvenuto per i nominativi PEDRETTI e NERI- la presenza dei nominativi FIORVANTI e BOTTAGIN sui tabulati in questione sia frutto di mera coincidenza. La casualità costituisce una spiegazione plausibile, ma non esclusiva. In effetti, la partenza in data 13 gennaio, in entrambi i casi da Milano, e con destinazione rispettivamente Parigi e la Germania, induce a credere che possano esservi spiegazioni alternative. Quel che ècerto,

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(132) - Si tratta di nozione di comune dominio. Ad illustrarla concretamente valga il seguente esempio: le probabilità che due persone scelte a caso siano nate nello stesso giorno dell'anno sono evidentemente pari ad 1 su 365. Aumentando via via il numero delle persone, le probabilità che almeno due di esse siano nate lo stesso giorno dell'anno aumentano in misura tale che, quando le persone salgono a 24, le probabilità superano già il 50%.


tuttavia, é che esse non possono essere ricercate nella volontà di criminalizzare il FIORAVANTI ed il CAVALLINI.


Infatti, ricapitolando:


a) MUSUMECI e soci -si torna a ripeterlo- ogniqualvolta hanno ritenuto di farlo, non hanno esitato ad indicare espressamente nomi e cognomi;


b)essi hanno costantemente cavalcato la tigre della pista internazionale;


c) lo hanno fatto anche, specificamente, per quel segmento della complessiva manovra depistante che va sotto il nome di `operazione Terrore sui treni';


d) se hanno coinvolto Giorgio VALE, personaggio legato al FIORAVANTI ed al CAVALLINI, lo hanno fatto inserendo il VALE, quale esponente non dei NAR ma di Terza Posizione, nell'ambito della fantomatica trama internazionale che prevedeva l'allenza fra Terza Posizione, FANE e Gruppo HOFFMANN;


e) in risposta ai quesiti formulati dal Giudice Istruttore, si sono premurati di escludere il coinvolgimento dei NAR nella strage di Bologna;


f)anche a prescindere da quanto precede, chi avesse voluto depistare in danno degli imputati, avrebbe dovuto mettere immediatamente a disposizione degli inquirenti, accanto alle false informative, anche la documentazione sulla cui basetrarre determinate inferenze;


g)pur con i limiti che si sono evidenziati, la messinscena, per fungere in qualche modo da riscontro a quanto si veniva propinando agli inquirenti per altra via, avrebbe dovuto almeno prevedere i sedicenti FIORAVANTI e BOTTAGIN in partenza sugli stessi voli già prenotati per i fantomatici DIMITRIEF e LEGRAND;


h)a ben vedere, in ogni caso, ove ci si rapporti alla situazione processuale precedente alle dichiarazioni dello SPARTI, si rileva che le indicazioni eventualmente traibili in senso accusatorio, nei confronti del FIORAVANTI e del CAVALLINI, dagli elementi in esame, erano vaghe, ambigue, confuse, contraddittorie, suscettibili di essere agevolmente smentite e, dunque, di per sé, sostanzialmente innocue sul piano processuale.


Quest'ultima riflessione apre uno spiraglio per tentare di comprendere il possibile significato della presenza dei nominativi FIORAVANTI e BOTTAGIN fra i viaggiatori in partenza dall'aeroporto di Milano quel 13 gennaio dell'81 (ove, appunto, quella presenza non sia attribuibile al caso). Nell'ambito dei rapporti che possono essere intercorsi fra i vertici deviati del SISMI da una parte, ed il duo FIORAVANTI-CAVALLINI dall'altra (rapporti sulla cui esistenza e sulla cui natura la Corte non è chiamata a pronunciarsi, non essendo il FIORAVANTI ed i CAVALLINI imputati di associazione eversiva), è ipotizzabile che sia partito dai primi verso il secondo un criptico messaggio ricattatorio, legato alla predisposizione di spunti informativi vaghi, ma suscettibili, all'occorrenza, di essere `arricchiti' e `appesantiti'. Non ci si può spingere, peraltro, al di là delle ipotesi: né sarebbe necessario, una volta chiarito che MUSUMECI e soci non tentarono affatto di `incastrare' gli odierni imputati.




2.3.6) Le responsabilità individuali


2.3.6.1) Pietro MUSUMECI


La responsabilità del MUSUMECI per il delitto continuato ascrittogli discende da tutto quanto si è venuti sin qui argomentando.


Piduista e quindi fruitore -nei rapporti con il direttore del Servizio- di quel canale privilegiato che è rappresentato dalla comune militanza nella Loggia del maestro venerabile Licio GELLI, si rende autore, con la connivenza del SANTOVITO, di una sorta di usurpazione di competenze nei confronti della Divisione diretta dal Gen. NOTARNICOLA. Dietro la formale dipendenza dal SANTOVITO, si cela -come si vedrà altrove (133)- un rapporto di solida e fattiva collaborazione con l'intraprendente `collaboratore esterno' di costui, con il dott. PAZIENZA, vera mente direttiva del Servizio deviato nel periodo in cui scatta la manovra di depistaggio in danno degli inquirenti bolognesi.


E' il MUSUMECI che tiene i contatti informali con il Giudice Istruttore, che consegna `brevi manu' al Giudice Istruttore

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(133) - Cfr. infra, sub 2.3.6.3).


informative e `responsi' della `fonte'. Nel suo ufficio vengono confezionati i `collages' che finiscono sulle scrivanie della polizia giudiziaria e dei giudici. E' il suo fedele dipendente, vicecapo dell'Ufficio Controllo e Sicurezza, Col. BELMONTE, il manipolatore dell'inesistente `fonte', da cui zampillano sia le notizie sulla strage del 2 agosto che quelle relative all'`operazione Terrore sui treni'.


L'8 gennaio 1981 il MUSUMECI vola a Brindisi assieme al BELMONTE, ad incontrare persone la cui vera identità mai ha voluto rivelare, preferendo arroccarsi dietro l'insostenibile menzogna di avervi incontrato il SANAPO. E, all'indomani del viaggio, scatta l'`operazione Terrore sui treni'.


Nell'ufficio del MUSUMECI -come s'è visto- viene rinvenuto un appunto di contenuto identico ad uno di quelli consegnati al Questore di Roma dal POMPO', dopo che questi ha ricevuto informazioni da quella "fonte qualificata ed attendibile" che è il direttore di fatto del SISMI deviato,cioè il dott. PAZIENZA: e l'appunto rinvenuto nel disciolto Ufficio Controllo e Sicurezza reca una data di 8 giorni anteriore rispetto a quella di trasmissione degli `appunti PAZIENZA-POMPO'' dal Questore di Roma all'UCIGOS.


La criminale condotta del MUSUMECI si dipana, con continuità d'azione e pervicacia d'intenti, nei mesi a cavallo fra il 1980 ed il 1981, e rappresenta lo strumento principe con cui il SISMI deviato, in un crescendo di iniziative, lanciò


la sua offensiva contro le indagini in corso per l'attentato del 2 agosto.


2.3.6.2) Giuseppe BELMONTE


E' costui il braccio operativo del MUSUMECI, a lui gerarchicamente e psicologicamente subalterno (134), nell'ambito di quell'Ufficio Controllo e Sicurezza in cui si confezionano le false informative e si organizza l'`operazione Terrore sui treni'. Provvede personalmente, nel luglio del 1980, a contattare il SANAPO, evidentemente per precostituirsi un rapporto fiduciario da utilizzare al momento opportuno, onde poter dar conto della scaturigine


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(134) - SANAPO al PUBBLICO MINISTERO di Bologna, 22/11/84, in Cal., V3, p116: "BELMONTE mi diceva spesso che `per lui MUSUMECI era tutto'. La mia fortuna è stata quella di essermi rifiutato di entrare nel SISMI. Sareidiventato `l'uomo di fiducia' di BELMONTE così come quest'ultimo lo era del MUSUMECI".


di `operazioni informative' compiute o da compiersi eventualmente da parte di quell'Ufficio Controllo e Sicurezza (135), che pure -si torna a ripeterlo- avrebbe

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(135) - SANAPO, nella deposizione di cui alla nota che precede, p102: "Premetto che io risentii BELMONTE per telefono nel luglio del 1980, dopo due anni che non lo avevo più visto né sentito . Con BELMONTE eravamo di famiglia e ci davamo il tu. Praticamente però da quando era andato al SISMI non si era più fatto vivo, il che mi era dispiaciuto molto. Sottolineo tale fatto poiché, dopo che son successe tutte queste cose, ho capito che per BELMONTE riallacciare il rapporto con me era strumentale alla ricerca di un rapporto di fiducia di cui avrebbe potuto aver bisogno di lì a poco. Infatti la stessa cosa si è verificata con il collega FORLEO Alfonso...anch'egli era rimasto stupito dell'improvvisa visita del BELMONTE, avvenuta tra il gennaio ed il marzo del 1981..."; p103: "...dalla fine di settembre 1980, per qualche mese, è venuto a S. Severo il M/llo CECI, segretario ed uomo di fiducia di BELMONTE. Non son certo se fosse suo segretario; son certo però che BELMONTE riponeva su di lui la massima fiducia..." pp. 104-105: "...ricevetti soldi per spese di pesci o di caciocavalli che consegnavo al CECI unitamente alla busta chiusa vuota...Mi riferiva" (il BElMONTE) "che la busta vuota serviva perché il CECI, che aveva la moglie malata, non si rifiutasse di venire a S. Severo solo per prelevare i pesci. Viceversa, anche a seguito dell'improvvisa scomparsa del CECI ma soprattutto per quanto mi disse BELMONTE quando gli obiettai che era per" (sic) "difficile giustificare un rapporto informativo tra me ed i servizi informativi, ho capito che CECI, suo uomo di fiducia, serviva a BELMONTE per creare la prova del legame informativo tra lui e me anche se le buste chiuse che consegnavo al CECI erano vuote, come peraltro era facilmente verificabile..."; pp. 103-104: "...Io in due occasioni gli fornii informative; una, a Lecce, su un giro di auto `taroccate' provenienti dalla Germania e dirette, attraverso Brindisi, in Medio Oriente; un'altra, a distanza di un mese, che gli fornii a S. Severo su di un presunto traffico di eroina che avveniva attraverso dei camper di proprietà di Turchi. BELMONTE, che aveva ricevuto da CECI le informative, mi disse successivamente, poco prima del Natale 1980, che al SISMI non interessavano affatto quelle notizie.Non mi sollecitò ad assumere informative sull'eversione nera ma mi parlò di spionaggio e controspionaggio militare nel senso che gli servivano `notizie riservate su altre nazioni' e si vi erano agenti nostri al servizio di paesi stranieri." (segue)


avuto soltanto mansioni interne al Servizio. La strage del 2 agosto e la manovra inquinante che ne seguì fornirono poi un'occasione di sfruttare quel `rapporto informativo' di
cui già dal luglio si erano venute gettando le fondamenta. Ma quando il SANAPO venne contattato, MUSUMECI e soci si erano già posti nella condizione di dovere, all'occorrenza, dar conto di notizie da loro promananti: ha riferito infatti il Maresciallo SANAPO che gli era stato chiesto di contrabbandare come provenienti da lui, attraverso la solita fantomatica `fonte', anche notizie in ordine al rapimento dell'On. MORO (136).




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(segue) "Glispiegai che a Vieste non vi era movimento e che io, come comandante di stazione, ero oberato di pratiche amministrative. In pratica a lui non interessava affatto alcun discorso spionistico e gli interessava soltanto avere con me un rapporto fiduciario che in qualsiasi momento potesse tornargli utile..."; pp. 116-117: "...A lui ho dato solo quelle due informazioni che vennero rifiutate. In pratica BELMONTE da me non voleva informazioni. Comparve improvvisamente dopo due anni, nel luglio 1980, solo per assicurarsi con me, per finalità che solo lui può conoscere fino in fondo, un rapporto fiduciario che gli potesse servire al momento opportuno..."
(136) - SANAPO al PUBBLICO MINISTERO di Bologna, 22/11/84, in Cal., V3, p101 verso: "...La fonte, poiché non erano stati arrestati i terroristi e non era stato scoperto il loro covo, mi aveva dato -così avrei dovuto testimoniare- un memoriale di 4 pagine dal quale risultava che le Brigate Rosse erano state addestrate per il sequestro dell'On/le MORO in un Paese dell'Est europeo, e, dopo l'eccidio di via Fani, lo avrebbero nascosto in un'ambasciata dell'Est, mi sembra di ricordare che mi disse di quella della Bulgaria..."


L'8 gennaio del 1981 il BELMONTE vola a Brindisi in compagnia del MUSUMECI, ad incontrare ignoti complici, con cui mettere a punto l'operazione che sta per scattare.


Di lì a qualche giorno riparte dalla sede del SISMI, per andare a dar esecuzione, con gli ignoti complici, al piano criminale per il quale egli ed il MUSUMECI hanno riportato condanna definitiva nel procedimento romano. Le telefonate del BELMONTE `aggiornano' il Servizio in ordine alle notizie che la `fonte' continua a stillare.


Nello stesso periodo in cui si collocano tali episodi viene consegnato al Giudice Istruttore quell'`appunto MUSUMECI' relativo alla strage, che -come le informative sull' `operazione Terrore sui treni'- dovrà essere attribuito all'inesistente informatore del Maresciallo SANAPO: ed è stato proprio il BELMONTE, nell'estate precedente, a precostituire il provvidenziale rapporto fiduciario.


Nei momenti più delicati, il vicedirigente dell'Ufficio Controllo e Sicurezza è al fianco del suo superiore e complice. Non manca di fargli da spalla neppure nei rapporti di `collaborazione diretta' con gli inquirenti: assieme a lui provvede a consegnare ai giudici l'appunto che dal MUSUMECI prende nome (137).


E c'è una ragione. Il vincolo extraistituzionale tra i due è solidissimo. Il BELMONTE giunge al SISMI, nell'estate del '78, al seguito del MUSUMECI (138). A differenza di quest'ultimo, non risulta direttamente iscritto nelle liste sequestrate a Castiglion Fibocchi; nondimeno, la sua folgorante carriera massonica è perfettamente parallela a quella del suo capufficio. Entrambi vengono `iniziati all'orecchio del Gran Maestro' ed indicati come `attivi' nella Loggia riservata di Roma (139). Con decreto (140) del



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(137) - BELMONTE, interrogatorio 22/7/85 al Giudice Istruttore, in IA, V9/a-2, C42, p7: "...è vero ma non ricordo se a Roma o a Bologna che l'appunto in questione fu da me e dal Gen. MUSUMECI consegnato ai Giudici FLORIDIA e GENTILE..."
(138) - DI MURRO, deposizione 16/3/85 al PUBBLICO MINISTERO, in Cal., V5, C21, p3: "...BELMONTE comparve al SISMI dopo MUSUMECI ed al suo seguito..."
(139) - Cfr. AA, V19, C87/3 (atti della Commissione interparlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, allegati alla relazione, Serie II, Volume IV, Tomo I), pp. 84 e 85. Le notizie si desumono dalle richieste di concessione di nullaosta per la promozione dei due odierni imputati dal 3° al 18° grado massonico, nel Capitolo Nazionale.
(140) - AA, V19, C87/3, p86. Il provvedimento è redatto su carta intestata al SUPREMO CONSIGLIO dei Sovrani Grandi Ispettori Generali del 33° ed ultimo grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato della Libera Muratoria per la Giurisdizione Massonica d'Italia. E' emesso da Manlio CECOVINI, 33° SOVRANO GRAN COMMENDATORE del S.C. del 33° ed ultimo grado del R.S.A.A. per la Giurisdizione Massonica d'Italia. E' registrato dal GRAN GUARDASIGILLI Umberto LANTERI 33°. Ne rilascia copia conforme il GRAN SEGRETARIO CANCELLIERE Carlo STIEVANO 33°.


20 novembre 1980 vengono ambedue promossi dal 3° al 18° grado della gerarchia massonica (con bruciante, istantaneo passaggio attraverso il 4° ed il 9°), ed inclusi nel Capitolo Nazionale (141). Delle implicazioni dell'affiliazione `all'orecchio' o `alla memoria' si dirà in seguito, esaminando la posizione del PAZIENZA; qui basti rilevare il parallelismo testé evidenziato, da leggersi alla luce del comune ingresso in Massoneria in posizione riservata (o coperta) e del fatto che, sulla base del materiale sequestrato a Castiglion Fibocchi, il MUSUMECI risultava iscritto alla P2 da vari anni(142): il che, complessivamente valutato, pur in assenza di un'etichetta di formale adesione alla P2 anche per il BELMONTE, la dice comunque sufficientemente lunga sulla peculiarità della collocazione dell'imputato all'interno della Massoneria e sulla natura, il significato e le reali finalità della sua esperienza massonica.


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(141) - Al Capitolo nazionale riservato, esistente presso il Rito Scozzese Antico ed Accettato di Palazzo Giustiniani avevano accesso i gradi nobili (dal18° in avanti). Del Capitolo si fa cenno nella relazione
di maggioranza della Commissione Interparlamentare d'inchiesta sulla Loggia P2 (cfr. AA, V5, C29, pp. 8-9), laddove si tratta del fenomeno della `copertura', tanto verso l'esterno che verso l'interno dell'`istituzione' massonica.
(142) - Cfr. Cal., V6, C1, p35.


2.3.6.3) Francesco PAZIENZA


Il PAZIENZA è il teorico della tecnica di disinformazione ed il regista dell'articolata manovra di depistaggio.


Il teorico: "...il discorso di CIOLINI a me sembra un'opera di disinformazione che se è calcolata nello stesso tempo è consuetudinaria nel senso che per attuare operazioni di un certo genere i servizi segreti si assomigliano tutti. Si mescolano fatti veri con fatti falsi e si opera in maniera tale che nel momento in cui è la disinformazione si può battere il tasto su alcuni fatti, ma poi anche a distanza di anni si può riprendere il discorso su altri fatti che erano nella prima disinformazione..." (143).


Il ruolo di regista della manovra di intossicazione delle indagini per l'attentato del 2 agosto, e quindi -sotto il profilo degli aspetti penalistici che occupano la Corte- di
autore della calunnia continuata in esame, emerge con tutta evidenza dall'esame sinottico dei vari suoi interventi (di cui si è dato conto in narrativa e nella presente parte

della trattazione), riguardati alla luce della


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(143) - Così il PAZIENZA, sentito ex art. 348 bis C.P.P. dal Giudice Istruttore di Firenze, il 10/10/1986: PAZ., V3, C1, p4. folgorante carriera e della collocazione assolutamente anomala del personaggio all'interno del servizio segreto militare, nonché dei rapporti fra lo stesso ed i coimputati.


E' il dottor PAZIENZA l'ispiratore di Lando DELL'AMICO. A ridosso dell'emissione degli ordini di cattura di fine agosto, con i quali si batte una pista che non soddisfa il venerabile maestro Licio GELLI, il PAZIENZA, attraverso il notiziario del DELL'AMICO, lancia un primo chiaro segnale, che deve servire a screditare le iniziative giudiziarie in corso.


Deve però seguire un messaggio positivo, un'indicazione in ordine alla pista da battere. Vuole il maestro venerabile che la pista `giusta' sia quella internazionale. Questa volta si fanno le cose in grande. Il dottor PAZIENZA decide di servirsi di uno dei periodici più diffusi in campo nazionale: conduce il BARBERI nell'ufficio del direttore del
Servizio, dove al giornalista vengono mostrati i fascicoli che egli consulterà nell'attiguo salottino, traendone gli appunti poi sviluppati nell'articolo `La Grande Ragnatela'. Si è visto che, nell'episodio in questione, non v'è alcun riferimento diretto alla strage. Ma si son viste altresì, sub 2.3.4), le ragioni per le quali un siffatto riferimento, mentre non era necessario, sarebbe stato addirittura inopportuno. Si trattava di procedere per gradi, senza esporsi con sortite premature. Attraverso la stampa si doveva creare la cornice per le manovre che sarebbero seguite di lì a poco, e che costituiscono, nell'ambito delle condotte complessivamente poste in essere, il segmento descritto dal capo d'imputazione. Interventi propedeutici di quel tipo dovevano avere, nelle intenzioni di chi li poneva in essere -non gratuitamente,ma esponendosi,si badi bene, a responsabilità penali- funzione di orientamento dell'opinione pubblica, e quindi, indirettamente, di pressione sugli ambienti giudiziari impegnati nell'inchiesta.


Si è sostenuto, per ridimensionare la portata accusatoria
dell'episodio BARBERI, che indicazioni verso ambienti terroristici internazionali erano rinvenibili anche in altri organi di stampa e provenivano persino da alte cariche dello Stato. L'argomento non ha pregio. Anche a prescindere dalla questione di chi potesse ispirare certa stampa (l'episodio BARBERI è, appunto, emblematico), è comunque di tutta evidenza che altro sono le opinioni giornalistiche e le prese di posizione, frutto di giudizi politici, da parte di statisti, anche di grande statura ed autorevolezza, ed altro è il resoconto, pubblicato su un prestigioso periodico di enorme diffusione, del contenuto di un `dossier' riservato predisposto dal servizio segreto militare, sulla base del quale si affermano e si illustrano le complicità straniere del terrorismo italiano e si pretende di disegnare la mappa del terrorismo internazionale.


Si è sostenuto altresì che l'articolo comparso su `Panorama' non avrebbe sortito effetti sulle indagini e, in fin dei conti, avrebbe destato l'attenzione soltanto del Gen. NOTARNICOLA. Ma, così ragionando, si confondono le
intenzioni con i risultati. E, per di più, nel considerare isolatamente l'episodio ed i suoi effetti, si finisce per perdere di vista il senso complessivo della manovra di cui esso episodio rappresenta semplicemente uno dei primi segmenti.


In occasione del secondo incontro con il BARBERI, troviamo il PAZIENZA in compagnia del Col. GIOVANNONE: ed è una presenza la cui significatività non può sfuggire, perché il GIOVANNONE -lo si ricordi- è colui che consentirà alle manovre propagandistiche dell'OLP di assurgere a dignità di pista e di fungere, quale ulteriore articolazione del filone internazionale, da fattore d'ingorgo delle indagini sulla strage.


Ritroviamo immancabilmente il dott. PAZIENZA in un altro momento cruciale della vicenda (144): il 9 gennaio 1981, in

occasione della messinscena organizzata dal MUSUMECI

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(144) - Il patrono di parte civile Avv. Fausto TARSITANO ha segnalato anche (cfr. trascrizione arringa, in vu 23/3/88, p109) il viaggio di PAZIENZA a Brindisi del 29/11/80. Si tratta di un episodio su cui si era appuntata l'attenzione della Corte d'Assise di Roma (AA, V11, C63, pp. 116 e 146), la quale ebbe a notare che tale `missione' non risultava menzionata dall'interessato in una sua memoria in data 22/10/84, pure scrupolosa in tutti gli altri dettagli. Nel presente giudizio è stata fornita la prova che il viaggio non era legato ad operazioni di depistaggio. Il PAZIENZA volò sino a Brindisi, per trasferirsi poi a Monteparano e partecipare alle esequie dello zio paterno: cfr. certificazione del Sindaco di Monteparano, in vu 2/6/88, p19. Ha dunque ragione l'Avv. TARSITANO, quando sostiene che le ragioni del volo erano inconfessabili. Ma lo erano davanti alla Corte d'Assise di Roma, dove il PAZIENZA rispondeva anche di peculato. Non avendo l'imputato più nulla da perdere su quel fronte, le ragioni del viaggio sono divenute confessabili avanti a questa Corte.


all'aeroporto di Fiumicino. Si è teso a svalutare il peso dell'episodio. Ed effettivamente non si potrebbe far carico all'odierno imputato di essersi trovato nell'occasione in


compagnia del SANTOVITO, se egli fosse stato veramente il `collaboratore esterno', o il `consulente', o il `segretario particolare' del direttore del Servizio. Ma per comprendere il significato della presenza del PAZIENZA in quest'occasione, così come quello del suo ruolo nella vicenda BARBERI non si può prescindere dai rapporti fra il
prevenuto ed il SANTOVITO. Si è già avuta occasione di accennare sub 1.1.11) al contegno del PAZIENZA nei confronti del direttore del Servizio, alla presenza di un estraneo qual era il BARBERI. Così il giornalista, il 28/11/83, al PUBBLICO MINISTERO di Roma (145): "...dopo la premessa rilevai che il SANTOVITO sembrava esitante ad approfondire l'argomento; intervenne allora il PAZIENZA: `Genera', si

fidi di me: per scrivere qualcosa, BARBERI deve saper pure qualcosa e dobbiamo illustrarglielo!'. Mi colpì il rapporto


esistente tra i due (e non solo per la frase riportata);



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(145) - Cfr. vu 19/10/87, p24. mentre il SANTOVITO, in bretelle, era alla sua scrivania, l'altro si aggirava liberamente per la stanza, dando la sensazione di essere il vero titolare dell'ufficio. Ricordo una viva sensazione di imbarazzo..."


Non deve sorprendere che fra il PAZIENZA ed il SANTOVITO intercorressero rapporti pesantemente sperequati in favore del primo. Il SANTOVITO è un personaggio complessivamente modesto, privo di statura internazionale, oramai in declino psicofisico per via del male che lo condurrà a morte prima che egli possa rispondere in un giudizio penale della sua gestione del Servizio; quando il gioco si fa pesante e si corrono dei rischi, il generale si muove in maniera scomposta e maldestra: si rivada con la mente all'atteggiamento tenuto con il BARBERI in occasione del secondo incontro. E si rilegga il seguente passo (146) della sentenza 29/7/1985 della Corte d'Assise di Roma: "...C'è da

segnalare, per il loro valore sintomatico, anche altre dichiarazioni del predetto SANTOVITO, il quale attribuì la responsabilità della `fuga' delle notizie al Ministro degli


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(146) - AA, V11, C63, p65. Esteri on. FORLANI, affermò categoricamente che mai il suo consulente esterno aveva condotto `persone al Servizio', per poi ammettere, a contestazione, che effettivamente PAZIENZA gli aveva `portato' BARBERI e con lui si era accomodato nell'attiguo salottino, entrando nel quale, dopo un po' di tempo, egli aveva notato alcuni fogli dattiloscritti sparpagliati sulla scrivania..." E' il dottor PAZIENZA la punta di diamante del SISMI deviato. Giovane, brillante, dinamico, intraprendente, il PAZIENZA si presenta al Servizio con le referenze di cui si è fatto cenno sub 1.11.4.10), che non esauriscono il quadro delle sue entrature. Elevatissimo si rivelerà, in seguito, il livello delle sue conoscenze (147) nell'ambiente politico statunitense. Ma -ed è ciò che più rileva- l'imputato,
all'atto del suo ingresso al SISMI, è già in contatto con
ambienti dei servizi di altri paesi: sin dal 1972 aveva -per

sua stessa ammissione (148)- rapporti con il Gen. Manuel


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(147) - Basti qui citare il Segretario di Stato Gen. Alexander HAIG: sul punto, cfr. rapporto Carabinieri Bologna 16/10/86, pp. 199-200, in PAZ., V2, C24. Il prevenuto (vu 3/6/87, p34) ha affermatod'aver conosciuto il Gen. HAIG il 9/12/80.
(148) - Cfr. vu 1/6/87, p15. Antonio NORIEGA, il quale, divenuto poi l'"uomo forte di PANAMA, dopo la morte del Gen. TORRIGOS", era, all'epoca dei

fatti, "capo del G2 cioè dei servizi segreti panamensi".


Approdato al Servizio, il PAZIENZA, deve rimboccarsi le maniche (149): "...il SISMI era piuttosto sfornito; con i servizi segreti francesi non c'era nessuna comunicazione, con i servizi segreti inglesi M15 , M16 non c'era nessuna comunicazione, negli Stati Uniti c'era il Col. CAMPIONE che era a New York, nel Centro e Sud America non c'era nessuno, in Brasile c'era un ex ufficiale di marina che rappresentava una società di costruzioni e che faceva `part time' apparentemente il rappresentante del SISMI e in Medio Oriente c'era il Col. GIOVANNONE basato a Beirut e che copriva tutta l'area mediorientale. In estremo oriente assolutamente non c'era nessuno. Quello che io proposi a SANTOVITO è che io avevo la possibilità di aprire dei contatti e dei canali..."


Uno di questi contatti e canali, il PAZIENZA -evidentemente

entrato al SISMI quand'era già un affermato agente segreto


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(149) - Cfr. il passo di cui alla nota che precede. internazionale- lo aveva `aperto' proprio in occasione del viaggio al ritorno dal quale avvenne la consegna della prima informativa relativa all'`operazione Terrore sui treni': a Parigi aveva spalancato gli angusti orizzonti internazionali del SANTOVITO,presentandogli il conte Alexandre DE MARENCHES, capo del SDECE, servizio segreto francese (150).


Ma già prima, quando si era trattato di ricostituire la `Stazione' SISMI di Parigi sotto la guida del Col. DI NAPOLI, il SANTOVITO aveva potuto contare sulla fattiva collaborazione del PAZIENZA: anzi, in un primo tempo, il direttore del Servizio aveva prospettato la possibilità che fosse lo stesso suo `consulente'ad occuparsi della `Stazione' (151).


Il PAZIENZA, dopo aver vanamente tentato di `svezzare' il

SANTOVITO e di restituire `efficienza' al Servizio, prende

congedo dal direttore, apostrofandolo con la sufficienza di




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(150) -Interrogatorio dibattimentale PAZIENZA, vu 1/6/87, p30: "...Io accompagnai SANTOVITO perché non conosceva DE MARENCHES perché lo conoscevo io e lo presentai a lui. Il servizio italiano non aveva nessun rapporto con il servizio francese..."
(151) - Cfr. vu 1/6/87, pp. 13-14.


chi, al di là delle forme, si rivolge ad un subalterno. Così

la Corte d'Assise di Roma (152): "Nell'abbozzo della lettera che inizia con le parole `Gentile Eccellenza', PAZIENZA, dopo aver manifestato il suo proposito d'interrompere la `collaborazione' a causa delle anomalie del funzionamento del SISMI, ricorda al direttore `per il suo stesso bene' l'inefficienza della I^" (153) "e II^ Divisione (per non parlare `del suo capo segreteria pescato con le mani nel sacco del tradimento verso la sua persona'), lo critica severamente per le sue titubanze e conclude dicendogli `immodestamente che la sola maniera per andare avanti in maniera decorosa è la messa in pratica del NOS" (154) "da lei approvato e poi dopo balbuziato'".


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(152) -AA, V11, C63, p35.
(153) - La I^ era la Divisione del Gen. NOTARNICOLA, che aveva il torto di arricciare il naso di fronte alle disinvolte informative provenienti dall'Ufficio Controllo e Sicurezza.
(154) - Non Nucleo Operazioni Speciali, ma Nulla Osta di Segretezza o Sicurezza: argomentando dal contesto del documento, è dato supporre che avrebbe verosimilmente dovuto funzionare come strumento di ulteriore compartimentazione del patrimonio informativo all'interno del Servizio. Il patrono di parte civile Avv. CALVI, in corso di discussione (cfr. trascrizione arringa, in vu 15/6/88, pp. 70-71) ha altresì fatto menzione dell'uso che del NOS, in altri tempi, almeno in un'occasione, sarebbe stato fatto da parte dei vertici di apparati di sicurezza, per condizionare pesantemente importantissime scelte politiche. Ma l'accostamento specifico fra siffatto episodio ed il contenuto del documento in esame resta affidato soltanto a congetture.


Questi i rapporti fra il direttore del Servizio ed il suo


`consulente' (155).


Ma chi è, all'interno del SISMI, l'autentico referente del PAZIENZA? Si è dato conto, sub 1.10.2), delle dichiarazioni rese al Giudice Istruttore dal Col. COGLIANDRO il 18/9/1986.


Tali dichiarazioni, che hanno trovato conferma in dibattimento (156), sono di estrema eloquenza: sotto la gestione SANTOVITO, il PAZIENZA ed il MUSUMECI erano venuti formando un vero cardine operativo deviato, che si era appropriato di settori di competenza di altri reparti del Servizio; l'ufficio del MUSUMECI era praticamente divenuto l'ufficio del PAZIENZA, che di lì svolgeva la sua attività, facendo e ricevendo telefonate, tenendo riunioni e mantenendo gli opportuni contatti personali.


Alla stregua di quanto precede, trova spiegazione e conferma al tempo stesso il ruolo -rivestito dal PAZIENZA- di regista della macchinazione ordita per depistare le indagini sulla strage di Bologna. La titolarità di fatto della direzione



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(155) - Le velleità demiurgiche di quest'ultimo in ordine al SISMI sono ben illustrate dal documento di cui si è detto sub 2.3.1), relativo all'ufficio da aprirsi in
via Germanico.
(156) -Vu 13/10/87, p39.


deviata del Servizio e lo strettissimo legame operativo -nell'ambito di quello che è stato definito un "binomio"-


con il capo dell'Ufficio Controllo e Sicurezza danno ragione delle condotte del PAZIENZA che si sono altrove passate in rassegna e valgono a ricondurle all'unità di un unico sconvolgente disegno. Capire qual era l'assetto dei rapporti all'interno dei vertici deviati del SISMI nel periodo in esame significa capire, e valutare correttamente, entro una cornice unitaria, condotte e circostanze altrimenti destinate ad una sterile valutazione disorganica. Le operazioni `propagandistiche' dei primi giorni del settembre '80 furono frutto di iniziative del PAZIENZA, il quale, per ciò che concerne, in particolare, la vicenda BARBERI, si servì della titolarità di fatto della direzione del Servizio; esse -che, grazie al GIOVANNONE, trovarono poi rapidamente insperato conforto dal Libano- preludevano alle offensive portate avanti nei mesi successivi dal MUSUMECI e dal BELMONTE: offensive che, proprio in base alla natura dei rapporti PAZIENZA-SANTOVITO-MUSUMECI (e BELMONTE), ed in considerazione dell'identica finalizzazione di tutte le condotte esaminate sub 2.3.4), vanno
necessariamente interpretate come ispirate da Francesco PAZIENZA; in quest'ottica è dato apprezzare la presenza del `consulente' del Gen. SANTOVITO in momenti cruciali della macchinazione: all'aeroporto di Ciampino egli non si trovò ad essere spettatore casuale e passivo, ma supremo controllore e garante del regolare svolgimento di una messinscena di cui aveva egli stesso predisposto il copione.


Nella stessa ottica si inquadra l'operazione delle informative PAZIENZA-POMPO' del gennaio 1981, con la quale si chiudeva in qualche modo il cerchio: con la tecnica che si è vista, si tendeva a corroborare la credibilità delle false informative fatte confezionare al duo MUSUMECI-BELMONTE.


Ma v'è di più. Anche a prescindere dai rapporti di carattere personale fra il PAZIENZA ed il GELLI (di cui si dirà), qui basti osservare che la folgorante ascesa all'interno del SISMI del giovane `consulente' del SANTOVITO non sarebbe stata possibile senza l'avallo di colui che, in quegli anni, degli apparati di sicurezza era l'effettivo `dominus'.


Non è pensabile che chi, attraverso gli arruolamenti nella Loggia P2, riusciva a `controllare' i vertici dei servizi segreti, consentisse poi ad un giovane avventuriero di sottrarsi all'ombrello protettivo e di impadronirsi -con una progressione di carriera tanto veloce quanto informale- delle leve del potere all'interno del Servizio Segreto Militare. Infatti, così non fu. L'ascesa al fianco del `piduista' SANTOVITO e la fattiva collaborazione con il `piduista' MUSUMECI stanno inequivocabilmente ad indicare quale tipo di relazioni consentì al PAZIENZA di emergere e prosperare all'interno del Servizio.


Davanti a questa Corte, l'imputato -come si è avuta occasione di vedere- ha riferito di esser stato affiliato alla Massoneria di Palazzo Giustiniani `all'orecchio del Gran Maestro'. La relazione di minoranza della Commissione Interparlamentare d'inchiesta sulla Loggia massonica P2, redatta dall'On. TEODORI, riporta un passo dell'audizione del PAZIENZA negli Stati Uniti in data 9/12/1982 (157): "...Mi fu mandato un invito pressante ad entrare nella P2 da



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(157) - Cfr. p283 della relazione, in Cal., V6, p443 recto.


GELLI attraverso CALVI, esattamente una decina di giorni dopo il rientro da Washington. CALVI nel suo ufficio al quarto piano del Banco Ambrosiano di Milano mi chiese e disse, anzi, che sarebbe stato estremamente opportuno e conveniente per il sottoscritto entrare nella P2. Feci presente che io già appartenevo alla massoneria di Palazzo Giustiniani, quindi, praticamente, la cosa era già fatta."


Soggiunge poco oltre la relazione: "La Commissione è in possesso della scheda di iscrizione al Grande Oriente di Francesco PAZIENZA (dalla stessa si desume che PAZIENZA non era stato inserito in alcuna loggia, che era stato dispensato dal frequentare i lavori massonici,che è entrato con il grado primo il 7/5/1980, che il giorno 17/7/1980 è stato elevato contemporaneamente al secondo e terzo grado e che è stato posto in sonno il 4/3/1982).


PAZIENZA figura nell'elenco dei massoni alla memoria posti in sonno da BATTELLI di cui alla raccomandata del 4/3/1982 (documento 156). Il dato va collegato, per chiarire la posizione massonica di PAZIENZA, ad altri elementi di cui dispone la Commissione: la lettera 17/6/1970 di SALVINI a GELLI con la quale gli delegava i contatti con i fratelli che gli aveva affidato (documento 288, foglio 47); la lettera 15/4/1977 di SALVINI a GELLI con la quale gli delega i rapporti con i massoni alla memoria (documento 651, allegato G, foglio 119, lettera consegnata da CORONA alla Commissione dopo l'audizione del 20/10/1983)". (158)


Occorre soffermarsi brevemente. Mentre sembra potersi

affermare, per l'epoca in cui la Loggia Propaganda 2 era

ancora sotto il controllo del Gran Maestro del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani, l'automaticità dell'iscrizione a tale Loggia dei massoni cosiddetti `alla memoria' o `all'orecchio' del Gran Maestro, pare che tale automaticità non possa invece essere affermata, in linea assoluta e generale, con riferimento all'epoca della gestione gelliana della Loggia P2. (159)


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(158) - I documenti citati nel passo della relazione di minoranza sopra trascritto sono tutti acquisiti in copia agli atti del presente procedimento e trovansi nel Volume II, Tomo I degli allegati alla relazione di maggioranza, in AA, V19, C87/2, così rispettivamente collocati: pp. 506-507, scheda anagrafica massonica del PAZIENZA; p461, raccomandata 4/3/82 del Gran Maestro Ennio BATTELLI; p508, missiva 15/6/70 dal SALVINI al GELLI; p511, missiva 15/4/77, pure dal SALVINI al GELLI.
(159) - Si legge nella relazione di maggioranza (AA, V5, C29, pp. 7-8): "...La massoneria di Palazzo Giustiniani contemplava...la possibilità di accedere all'Ordine per iniziazione operata direttamente dal responsabilesupremo -il Gran Maestro-" (segue)


Peraltro, il Gran Maestro Lino SALVINI, che già con la

lettera 15/6/1970 aveva delegato il GELLI a rappresentarlo



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(segue) "senza pertanto sottostare alla votazione che sancisce l'ingresso dell'iniziando nell'organizzazione . I `fratelli' che venivano iniziati `sul filo della spada' si venivano pertanto a trovare in una posizione particolare (`all'orecchio' del Gran Maestro) sia per non avere una loggia di appartenenza, sia per il carattere riservato della loro iniziazione , intervenuta al di fuori delle ordinarie forme di pubblicità statutariamente previste; essendo pertanto la loro iniziazione nota solo all'organo procedente, il Gran Maestro, tali iscritti venivani designati come `coperti' ed inseriti d'ufficio in una loggia anch'essa `coperta' comprendente per l'appunto la lista degli iscritti noti solo al Gran Maestro. Tale loggia veniva designata come loggia `Propaganda'; ogni loggia poi essendo contrassegnata da un numero oltre che da un nome, la loggia `Propaganda' avrebbe avuto in sorteggio il numero due. Tale almeno è la spiegazione fornita dai responsabili massonici sull'origine di questa denominazione..."
A siffatta situazione si direbbe abbia fatto riferimento il patrono di parte civile Avv. TARSITANO (cfr. trascrizione arringa, in vu 23/3/88, p119), allorché ha identificato nella P2 la Loggia Riservata di Roma di cui alla richiesta di nullaosta per l'ingresso del BELMONTE nel Capitolo nazionale riservato.
Più avanti, nella relazione di maggioranza, si legge ancora: "...I due documenti da ultimo citati pongono il problema se in via generale e comunque in particolare nella seconda fase della Loggia P2, caratterizzata dalla totale acquisizione all'orbita di influenza gelliana, le due categorie degli affiliati alla Loggia Propaganda e degli affiliati alla memoria del Gran Maestro fossero in tutto coincidenti o meno. Il quesito, riportato al contesto dei rapporti tra Licio GELLI ed i Gran Maestri, si risolve nell'accertare se il Grande Oriente fosse riuscito a preservare una propria quota di fratelli coperti, di fronte al potere acquisito dal Venerabile Maestro della Loggia P2. Si tratta di quesito al quale non è consentito, allo stato degli atti, dare una risposta definitiva in un senso o nell'altro, attesa la gestione tortuosa ed inaffidabile delle norme statutarie e delle procedure proprie del Grande Oriente: rimane pertanto aperta la possibilità che alcuni o tutti i nominativi ricompresi nella raccomandata del Gran Maestro BATTELLI" (raccomandata 4/3/82 con la quale si ponevano in sonno i massoni `alla memoria') "fossero altresì membri della Loggia P2..." (segue)


presso i fratelli che gli aveva affidato, a prendere

contatto con essi, ad esigere le quote di capitazione, a coordinare i loro lavori e ad iniziare i profani ai quali fosse stato rilasciato regolare brevetto (160),



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(segue) Il teste DI CIOMMO LAURORA ha reso al PUBBLICO MINISTERO (AAD,V13,C2 ,punto 2, p3) le seguenti dichiarazioni (cfr. anche vu 5/10/87, p19): "...per quanto è di mia conoscenza in relazione all'incarico di segretario della Commissione P.2, posso affermare che mentre è sicuro che tutti coloro che si trovavano nella loggia P.2 erano massoni alla memoria (affiliati all'orecchio del Gran Maestro), la situazione inversa e cioè che necessariamente tutti i massoni alla memoria fossero anche affiliati alla P.2, a mio avviso è accertabile soltanto attraverso il reperimento e lo studio delle matrici e dei brevetti massonici. In proposito posso affermare che verso l'epilogo dei lavori della commissione, sulla base delle indicazioni ricevute dall'Ingegnere SINISCALCHI, effettuammo un'operazione d'ispezione presso il grande Oriente di palazzo Giustiniani al fine di reperire le matrici ordinate in serie di progressione numerica (e quindi non alterabili) dei brevetti massonici. Secondo l'ing. SINISCALCHI, infatti, il documento fondamentale attestante l'iscrizione alla Massoneria e la posizione massonica, era costituito da tale brevetto..."
(160) - Il teste DI CIOMMO LAURORA, di seguito alle dichiarazioni riportate alla nota che precede, ebbe anche ad affermare (pp.4-5):"...Accertammo così la fondatezza dell'informazione ricevuta e verificammo che le serie dei brevetti erano lacunose perché presentavano dei salti di numerazione . Accertammo inoltre che vi erano dei pacchi di brevetti che non erano stati utilizzati direttamente dal grande Oriente e che quindi verosimilmente erano stati affidati ad altro ente o ad altra persona. Nè il personale di Palazzo Giustiniani volle darci una spiegazione soddisfacente. Sono sicuro che su alcuni blocchi di matrici, raggruppati per cinquanta numeri progressivi, vi era l'annotazione P.2. Ci fermammo di fronte a questa verifica, perché essa stava a rappresentare che effettivamente Palazzo Giustiniani non era il dominus dell'intera popolazione massonica, una parte della quale veniva gestita altrove. Avemmo anche la conferma che il brevetto era il vero documento massonico, poiché le schede sulle quali fino allora avevamo lavorato non possedendo alcuna serie numerica rappresentavano nient'altro che documentazione di segreteria." (segue)


successivamente, il 15/4/1977, ebbe a scrivere all'odierno imputato: "Ti delego ai rapporti con i FFr. inaffiliati, ossia a quei FFr. che non risultano inscritti ai ruoli né delle Logge come membri attivi né del Grande Oriente come membri non affiliati.


Sono dunque i FFr. nella tradizione massonica italiana chiamati massoni a memoria quelli di cui dovrai curare i contatti, ai fini di perfezionarne la vocazione e la preparazione massonica.


Per effetto di tale delega, risponderai soltanto a me per quanto farai a tale scopo, promuovendo e sollecitando quelle realtà che Tu stesso reputerai di interesse e di utilità per la Massoneria.


Sonosicuro che Tu svolgerai questo importante ruolo con


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(segue) "Per mia conoscenza personale è assolutamente pacifico che la affiliazione all'orecchio sia sempre avvenuta all'interno di un cerimoniale massonico meno complesso per ragioni di riservatezza di quello previsto per la normale affiliazione. Peraltro negli anni '75 e seguenti, comunque nella seconda metà degli anni '70, GELLI, allorché affiliava alla memoria, ricorreva al magistero di Giordano GAMBERINI probabilmente con il consenso di SALVINI. Tutte tali affiliazioni avvenivano presso l'Hotel Excelsior con brevetti verosimilmente concessi dal grande Oriente. E' evidente come in tale situazione l'affiliazione all'orecchio e l'affiliazione alla P.2 coincidevano. Ciò perché GELLI aveva ricevuto sostanzialmente, a seguito di una lunga lotta con il SALVINI, l'appalto dei massoni all'orecchio, di cui alla nota circolare di SALVINI del 1977..."


l'animo intrepido che hai rivelato di fronte ai proditori attacchi dei nemici e dei traditori della Istituzione..."


Sulla scorta di questo documento e degli atti citati alle note (159) e (160), reputa la Corte di dover affermare quanto segue: la Loggia riservata Propaganda 2, nota come P2, era un tempo sotto il pieno controllo del Gran Maestro di Palazzo Giustiniani, che della Loggia stessa era Maestro Venerabile (161); divenne in seguito, progressivamente, appannaggio dell'odierno imputato, nominato dal SALVINI, nel 1971, segretario organizzativo della Loggia (ribattezzata "Raggruppamento GELLI-P2"), e poi, nel 1975, Maestro Venerabile della P2, ricostituita dallo stesso SALVINI dopo che la Gran Loggia di Napoli, nel 1974, ne aveva decretato la`demolizione' (162); tale progressiva erosione della titolarità del Gran Maestro sulla P2 fece venir meno l'automaticità dell'iscrizione a detta Loggia dei massoni alla `memoria'; per converso, in virtù della sopravvenuta


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(161) - Nella missiva 15/6/70 sopra citata, il Gran Maestro SALVINI concede la delega proprio in virtù della sua funzione di Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2 (nella missiva la carica appare indicata con le sole iniziali M e V, ciascuna seguita dai tre punti disposti a triangolo, evidentemente pertinenti alla simbologia massonica).
(162) - cfr. relazione di maggioranza, Capitolo I, Sezioni II e III.


titolarità della Loggia in capo al GELLI, dell'amplissima delega di poteri -ivi compreso quello di iniziare i `fratelli', di fatto esercitato presso l'Hotel Excelsior- e dell'affidamento della gestione dei massoni `alla memoria', avvenne che questi ultimi, nella seconda metà degli anni '70, mentre venivano in gran numero affiliati formalmente alla P2, ricadevano comunque tutti -almeno per effetto della delega del 1977- sotto il controllo del GELLI.


Né si dica che la situazione mutò nel 1979, con l'avvento alla Gran Maestranza di Ennio BATTELLI. La Commissione ha accertato "che sia il SALVINI che il BATTELLI non cessarono di consegnare al GELLI tessere in bianco per procedere ad iniziazioni in assoluta autonomia". (163) E lo stesso GELLI, nella lettera al `capogruppo' P2 Bruno MOSCONI in data 18/12/1979 (164), ebbe a commentare: "...Con l'elezione del Gran Maestro Ennio BATTELLI nulla è cambiato nei confronti del Grande Oriente perché nulla poteva cambiare.


Perciò tutto procede come procedeva con le precorse Grandi


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(163) - AA, V5, C29, p17 recto. (164) - AA, V19, C87/2, p576.


Maestranze, anzi meglio, perché devo dirti che l'attuale Gran Maestro ha dimostrato maggior intuito ed intelligenza degli altri, dandoci una maggior valorizzazione.


Mi chiedi se abbiamo molti candidati: ti rispondo che il proselitismo che abbiamo avuto in questi ultimi tre anni è stato veramente massiccio: nel 1979 siamo arrivati ad oltre quaranta iniziazioni al mese..."


Resta così adeguatamente spiegato -ai fini che qui rilevano- perché il PAZIENZA, nell'orchestrare la manovra di depistaggio delle indagini sulla strage, la orientò nella direzione autorevolmente indicata dal venerabile maestro della Loggia P2.


Ma la prova della regia del PAZIENZA nel depistaggio, e, in ispecie, in quel segmento di condotta che è descritto dal capo d'imputazione del procedimento n. 2/87 non riposa soltanto sugli elementi -pur decisivi- sin qui passati in rassegna: trova anche un' ulteriore significativa conferma testimoniale.


Il ruolo del PAZIENZA è infatti emerso attraverso le dichiarazioni rese, in progresso di tempo, dal Maresciallo SANAPO, il quale, pur terrorizzato (165), ha finito, gradualmente, per riferire tutto quanto apprese sul punto dal BELMONTE.


Orbene, il 22/11/1984, al PUBBLICO MINISTERO, il teste aveva riferito (166): "...Mi disse" (il BELMONTE) "anzi ribadì che egli faceva parte di una rete spionistica mondiale che faceva capo ad un personaggio importantissimo che già esisteva quando egli era entrato a farne parte. Aggiunse più o meno testualmente: `se mi viene chiesto di fare il nome della fonte sono costretto a rivelare il nome di questo capo danneggiando tutta la rete spionistica con danno non al SISMI ma allo Stato. Non mi disse se il `capo' era un civile o un militare. Solo dopo i vari scandali, ho ritenuto che BELMONTE avesse inteso far riferimento al PAZIENZA ed alla rete spionistica che faceva capo a lui."


Successivamente, il 6/3/1985, ancora al Procuratore della Repubblica di Bologna (167): "...BELMONTE mi fece il nome di
PAZIENZA solo in una occasione: fino ad allora mi aveva



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(165) - Cfr. Cal., V3, p105 e Cal. V5, C47 p25: quest'ultimo passo anche per ciò che riguarda le intimidazioni subite dal SANAPO. (166) - Cal., V3, p100 verso.
(167) - Cal., V5, C47, pp. 28-29. parlato di `un grosso personaggio, fonte riconosciuta dallo Stato, che manteneva le redini dei Servizi Segreti all'estero' e che, secondo il suo giudizio, li metteva in condizioni di sapere tutto quello che accadeva in Italia ed all'estero'. Una volta mi diceva che era il Segretario di SANTOVITO, un'altra volta che si trattava del nipote di SANTOVITO. Ho avuto la convinzione, dopo aver vissuto questa esperienza da me riferita nei particolari, che il BELMONTE mi ha sempre riferito lo stretto necessario perché io venissi informato dei fatti a lui noti solo quel che bastava ad appagare la mia curiosità. In pratica io ho saputo da lui i fatti più importanti nel luglio 1981, quando venne a Vieste per chiedermi di aiutare lui e MUSUMECI che erano venuti a trovarsi in difficoltà per i motivi più volte indicati, al fine di non `scoprire la fonte riservata dello Stato' di cui mi aveva più volte parlato, e cioè il PAZIENZA come successivamente mi dirà nel settembre 1983, perché scoprendo quella fonte davanti ai nuovi dirigenti del SISMI che subentravano al MUSUMECI ed al SANTOVITO, veniva a scoprirsi la testa di quella rete spionistica, che avevano impiegato anni a mettere in piedi. Non sapeva in quel momento che il SANTOVITO sarebbe rientrato in servizio sia pure per solo un mese circa. La cosa che più lo preoccupava, posso dire la sola cosa che lo preoccupava, non erano tanto
le informative o i memoriali, che potevano essere fatti male che che" (sic) "erano sorrette da prove per cui non lo impensierivano, ma solo la salvaguardia della fonte e della rete spionistica che faceva capo a lui, che, subentrando
altri superiori, poteva venire distrutta improvvisamente dopo anni di lavoro, poiché poteva risultare non gradita ai nuovi dirigenti. Ma in sostanza le circostanze più delicate mi vennero riferite da BELMONTE nel corso del nostro ultimo incontro del settembre 1983..."


2.3.6.4) Licio GELLI


La responsabilità del GELLI emerge dalla globale e coordinativa valutazione di circostanze sulla cui dimostrazione e significato ci si è già soffermati nel presente capitolo, o che saranno dimostrate e messe a fuoco nel capitolo dedicato al delitto di associazione eversiva. Ci si limiterà, pertanto, in questa sede, ad enunciare i passaggi attraverso i quali la Corte è pervenuta al giudizio di responsabilità, facendo rinvio ai punti della trattazione in cui gli argomenti sono stati analizzati.


- Licio GELLI, a partire dalla metà degli anni '70, si pose al centro di una strategia -cosiddetta `del controllo'- tendentea sottrarre il potere alla comunità nazionale, politicamente intesa, ed avanificareicontenuti sostanzialidella Costituzione, mediante un processo di infiltrazione nei gangli vitali delle Istituzioni e di strumentalizzazione delle sedi sulle quali riposa l'assetto democratico del Paese (168);


-servendosi, come strumento principe, della Loggia P2, sulla quale era venuto acquistando un potere incondizionato, il GELLI fece oggetto privilegiato d'infiltrazione gli apparati militari, nonché, precipuamente, gli apparati di sicurezza (169);


-degli apparati di sicurezza, l'imputato, dopo avervi assunto, pur senza alcuna veste ufficiale, una posizione



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(168) - Cfr. infra, segnatamente sub 2.4.4.3.1) e 2.4.4.3.2).
(169) -Cfr. infra, segnatamente sub 2.4.4.3.2) e 2.4.4.3.3). di assoluto rilievo già nella prima metà degli anni '70, finì poi per divenire, in epoca più recente, l'occulto

`dominus' (170);


-a partire da epoca oramai remota, all'interno degli ambienti militari e degli apparati di sicurezza neiquali il ruolo dell'imputato veniva assumendo importanza viavia crescente, e segnatamente da parte di personaggi che sono poi risultati direttamente collegati al GELLI attraverso il vincolo di affiliazione alla `P2', sono state poste in essere condotte deviate di favoreggiamento di esponenti dell'estremismo `nero' e di sviamento e intossicazione delle indagini relative a gravissimi delitti commessi da eversori neofascisti (171);


-nel quadro di quelle deviazioni si colloca il depistaggio delle indagini relative alla strage del 2 agosto 1980;


-la reiterazione delle protezioni attesta la strumentalità dell'azione eversiva o dell'impunità dell'azione eversiva di coloro cui le protezioni venivano accordate rispetto


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(170) - Cfr. infra, sub 2.4.4.3.3).
(171) -Cfr.infra, sub 2.4.4.2), ma anche sub 2.4.5), nota (398).


agliinteressi degli ambientiresisidivoltain volta responsabili delle coperture e dei favoreggiamenti: interessi ed ambienti deviati riconducibili ad unità proprio nel gruppo di potere coagulatosi attorno al GELLI;


-d'altronde, la strumentalità dell'azione eversiva neofascista rispetto alla strategia gelliana è dimostrata anche, in modo più diretto, dal fatto che il GELLI ebbe a finanziare la banda armata di Augusto CAUCHI (172);


-in seguito, il prevenuto, per il tramite di Paolo ALEANDRI prima, e di Franco SALOMONE poi, fu in contatto con Fabio DE FELICE (173);


-l'imputato, peraltro, ancora nel 1980, era in contatto personale con Aldo SEMERARI (174);


-vi sono inoltre `cointeressenze' processuali fra il GELLI e Valerio FIORAVANTI (175);


-la manovra di intossicazione delle indagini relative alla strage di Bologna è stata gestita,all'interno del SISMI, da uno `staff' che può ben definirsi emanazione diretta



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(172) - Cfr. infra, sub 2.4.4.3.4).
(173) - Cfr. infra, sub 2.4.4.4.1), lettera c).
(174) - Cfr. infra, sub 2.4.4.4.1), letera d).
(175) - Cfr. infra, sub 2.4.4.5), letetra a).


del GELLI: tanto il Gen. SANTOVITO, direttore del Servizio, che il Gen. MUSUMECI, capo dell'Ufficio Controllo e Sicurezza, erano piduisti ed in rapporto di stretta frequentazione col `Venerabile' (176); Francesco PAZIENZA, in contatto personale col GELLI e destinato ad affiancarlo od a succedergli alla testa di un impero, frequentatore dei medesimi ambienti interni ed internazionali, ancora alla fine del marzo 1981 si renderà protagonista del salvataggio massonico del GELLI (177);


- è escluso che MUSUMECI e sodali abbiano potuto agire per

merofine di lucro o semplicemente per ragioni di rivalità

rispetto al SISDE o per corrispondere alle aspettative

dell'autorità giudiziaria bolognese; essi agirono

certamente con finalità o, quantomeno, anche con finalità di intossicazione delle indagini (178); - da Licio GELLI partì, con straordinaria tempestività, l'`input' della `pista internazionale';




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(176) - Per i frequenti e diretti contatti fra il SANTOVITO ed il GELLI, e fra il MUSUMECI ed il GELLI, cfr. la testimonianza del Gen. LUGARESI, in vu 15/10/87, p19.
(177) -Cfr. infra, sub 2.4.4.4.3) lettera a).
(178) - Cfr. supra, sub 2.3.5).


- sul versante del SISDE, diretto dal piduista Gen. Giulio GRASSINI, l'indicazione fu raccolta dal piduista dott.


Elio CIOPPA (179);


-dopo la `preziosa' indicazione del GELLI, si inaridì presso il SISDE la promettente pista del terrorismo interno neofascista, sulla quale lavorava il CIOPPA (180).



Tirando le fila, si deve affermare che:


- le manovre di intossicazione delle indagini esaminate nel presente capitolo relativo al delitto di calunnia pluriaggravata, che si pongono lungo una linea di continuità rispetto a precedenti condotte deviate di spezzoni di apparati statuali legati al GELLI, ebbero carattere di strumentalità rispetto agliinteressi dell'imputato: e sul piano della `strategia' generale, e su quello della necessità di assicurare impunità a personaggi cui il prevenuto era a vario titolo collegato;


-il GELLI, in capo al quale è dunque individuabile uno specifico movente, si trovava altresì in posizione di

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(179) - Cfr. supra, sub 1.1.10; cfr. anche 2.3), passim; nonché infra, sub 2.4.4.3.3).
(180) - Cfr. infra, sub 2.4.4.3.3). sovraordinazione rispetto all'ambiente deviato da cui la

manovra intossicante scaturì: ed aveva pertanto titolo per assumere, in nome di un interesse proprio e comune, la veste di committente della manovra stessa;


-v'è la prova che dal prevenuto partì un tempestivo e specifico `input' per l'attivazione della `pista internazionale': `input' trasmesso in direzione di un apparato di sicurezza a mezzo di un funzionario piduista;


- la lunga ed articolata manovra posta in essere dallo `staff' deviato del SISMI, volta a creare ed alimentare la fantomatica `pistainternazionale', ha rappresentato la puntuale e fedele esecuzione della direttiva del GELLI, evidentemente trasmessa anche a quell'ambiente, proprio in quanto in esso si annidavano gli uomini più fidati, fra i quali quel Gen. MUSUMECI che era un uomo del GELLI almeno dal lontano 1973 (181): individui che non erano portatori




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(181) - Si avrà occasione di vedere, sub 2.4.4.3.2), come
il MUSUMECI abbia partecipato, nel 1973, assieme a vari generali, ad una riunione presso `Villa Wanda', domicilio aretino del GELLI, nel corso della quale quest'ultimo ebbe ad atteggiarsi -secondo l'efficace definizione contenuta nella relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare di'inchiesta sulla Loggia P2- come un "capo di Stato maggiore ombra".


di un disegno politico e di potere diverso ed autonomo rispetto a quello impersonato da Licio GELLI e che al GELLI li subordinava;


-l'`inaridimento' della pista del terrorismo interno neofascista presso il SISDE dei GRASSINI e dei CIOPPA, nella misura in cui attesta l'autorevolezza delle direttive del `Venerabile' in quel settore degli apparati, funge da controprova della non casualità della perfetta corrispondenza fra la `pista' di cui il GELLI era fautore e quella che di fatto batté, con pervicacia pari soltanto alla falsità della pista stessa, quel SISMI deviato nel quale più profonda era la penetrazione e sul quale più

intenso e diretto era il controllo da parte del prevenuto.


Licio GELLI è il mandante della calunnia che qui si giudica.


2.3.7) Le conclusioni


Ciascuno con il ruolo di cui si è detto nel paragrafo che precede, gli imputati si resero compartecipi delle condotte loro contestate.


Dopo quanto si è argomentato sin qui, e, segnatamente, sub 2.3.5), si tratta ora semplicemente di enunciare talune proposizioni conclusive.


Si venne falsamente denunciando -con l'espediente di riportare notizie attribuite ad un'inesistente `fonte'- l'esistenza e l'operatività di una vasta organizzazione terroristica internazionale, comprendente, oltre ad eversori italiani, aderenti a formazioni straniere, fra cui, segnatamente, la `FANE' ed il `gruppo HOFFMANN'; si venne creando l'apparenza della riferibilità alla medesima di vari delitti, fra cui la strage di Bologna e la collocazione di armi ed esplosivo sul treno Taranto-Milano: delitto, quest'ultimo -per il quale è stata definitivamente accertata la responsabilità del MUSUMECI e del BELMONTE in concorso con ignoti complici- indicato come prodromico al realizzarsi di una serie di attentati, nell'ambito di un fantomatico piano di ricatto alle Autorità; si redassero all'uopo false informative e false risposte a quesiti, in ordine alla strage di Bologna ed alla collocazione di armi ed esplosivo sul treno Taranto-Milano; tramite la falsa documentazione si indussero in errore gli organi di Polizia Giudiziaria che avevano l'obbligo di riferire all' autorità giudiziaria bolognese, e, anche direttamente, la stessa autorità giudiziaria bolognese che indagava sulla strage del 2 agosto e sulle responsabilità per la collocazione di armi ed esplosivo sul treno; sullo sfondo artefatto dell'alleanza terroristica internazionale, si indicarono falsamente numerose persone come coinvolte nell'ideazione, organizzazione ed esecuzione, fra gli altri, dell'attentato del 2 agosto, ed altre come coinvolte nella collocazione dell'esplosivo sul treno Taranto-Milano; la manovra era complessivamente finalizzata ad assicurare l'impunità -stornando da essi le indagini- agli ambienti dell'eversione neofascista romano-veneta raggiunti dai primi provvedimenti restrittivi, e, in particolare, in quanto in tali ambienti annidantisi, ai responsabili della strage perpetrata alla stazione ferroviaria di Bologna; poiché, per accreditare la simulazione dell'esistenza ed operatività della fantomatica organizzazione internazionale, si era fatto ricorso alla collocazione della valigia sul treno Taranto-Milano (delitto destinato ad essere, nell'ottica investigativa, ricollegato alla strage di Bologna), le false informative vennero ad avere anche il necessario scopo di assicurare l'impunità agli autori di quel delitto (182): cioè al MUSUMECI, al BELMONTE ed ai loro ignoti complici.


Per quanto attiene alla consapolezza, negli agenti, dell'innocenza degli incolpati, basterà rilevare che il complotto internazionale, l' organizzazione terroristica di cui alle varie informative, nonché il promanare dalla stessa, e, segnatamente, da taluni dei suoi aderenti, della strage di Bologna e dell'`operazione Terrore sui treni' non esistevano se non nella sfrenata fantasia di coloro che, riuniti attorno ad un tavolo, nell'ufficio del SANTOVITO o del MUSUMECI, crearono `ex nihilo' informative ed appunti.


Per quanto attiene all'elemento materiale del reato, `nulla quaestio' in tutti i casi in cui, in atti provenienti dal SISMI deviato, figurano per iscritto precise indicazioni nominative. Ma -come si è già rilevato (183)- si debbon

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(182) - Indicato, nella parte del capo d'imputazione in cui si enuncia l'aggravante teleologica, come "attentato del 13/1/981 sul treno Taranto Milano": con impiego evidentemente atecnico del termine "attentato", rispetto ad una condotta che, nel prosieguo dell'imputazione, viene puntualmente definita come "collocazione dell'esplosivo sul treno Taranto Milano".
(183) -Cfr. supra, sub 2.3.3).


ritenere tecnicamente calunniati, benchè il loro nome non


sia stato espressamente indicato, anche il FIORE e l'ADINOLFI: ha ritenuto infatti la Suprema Corte (184) che, "per la configurabilità del delitto di calunnia non è


necessario che venga esplicitamente accusato qualcuno
sapendolo innocente, bastando che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti all'inizio dell'azione penale nei confronti di un soggetto univocamente ed agevolmente individuabile".


Sussistono le contestate aggravanti. Della finalizzazione della calunniosa manovra depistante si è detto: e dallo specifico orientamento del profilo teleologico è dato evincere la sussistenza dell'ulteriore aggravante di cui all'art. 1 della Legge n. 15/80. Infatti, la natura eversiva dell'intento di assicurare l'impunità a pericolosi terroristi è di tutta evidenza, almeno sotto due profili, entrambi strumentali alla strategia di GELLI ed accoliti: quello relativo alla possibilità del perpetuarsi dell'attività terroristica da parte dei medesimi individui


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(184) - Cfr. Cass., Sez. VI, sent. n. 1179 del 6/2/85 -udienza 23/10/84- Pres. Mastursi, imp. Pepe. cui si offre protezione, e quello che attiene all'impatto,
sulla compagine sociale, di una diffusa sensazione di impotenza dell'autorità costituita di fronte a determinate forme di efferata criminalità. Correttamente contestata anche l'aggravante di cui al 2° comma dell'art. 368, posto che la falsa incolpazione aveva ad oggetto reati contemplati da tale norma. Quanto all'art. 112 n. 1 del Codice Penale, basterà rilevare che, dovendosi annoverare, fra i complici, almeno il SANTOVITO, il numero dei concorrenti nel reato sale a cinque. Quanto, infine, all'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 del Codice Penale -evidentemente sussistente a carico del MUSUMECI e del BELMONTE, che agirono usurpando le funzioni di altra divisione del SISMI e in aperta violazione dei doveri inerenti alla loro funzione di ufficiali del servizio segreto militare, muovendosi addirittura in funzione antiistituzionale- essa si comunica al GELLI ed al PAZIENZA, ai sensi dell'art. 118 II comma del Codice Penale: furono propriamente le deviazioni dei due ufficiali a fungere da strumento operativo per l'attuazione del disegno criminoso.


Gli strascichi delle condotte deviate oggetto di
imputazione, riferibili allo `staff' del SANTOVITO, vengono necessariamente a cessare con il subentrare al SANTOVITO stesso, alla testa del SISMI, nell'agosto 1981, del Gen. Ninetto LUGARESI: si rende dunque necessaria la precisazione cronologica in tal senso del capo d'imputazione.


Fatta salva la precisazione di cui si è testé detto, ciascun imputato va dichiarato responsabile del delitto ascrittogli, così come contestato.


2.4) Il delitto di associazione eversiva


2.4.1)L'astratta sussumibilità dell'ipotesi accusatoria sotto la fattispecie di cui all'art. 270 bis del Codice Penale


Nell'accingersi ad esaminare la complessa e delicata materia processuale relativa al delitto di cui al capo 1) dell'imputazione del procedimento n. 12/86 ed all'imputazione del procedimento n. 13/86, occorre preliminarmente affrontare la questione dell'astratta sussumibilità sotto la fattispecie dell'art. 270 bis del Codice Penale dell'ipotesi accusatoria (nei termini in cui essa, scolpita nei capi d'imputazione e compiutamente illustrata nel provvedimento conclusivo dell'istruttoria, è stato oggetto dell'indagine dibattimentale), in quanto la verifica della fondatezza di una determinata prospettazione sul punto dispenserebbe la Corte da ogni ulteriore attività di giudizio, risolvendosi nell'accertamento che il fatto non è preveduto dalla legge come reato.


Il problema si pone sotto un duplice profilo: quello del proponimento del "compimento di atti di violenza" e quello della "finalità di eversione dell' ordine democratico", avendo riguardo, quanto a quest'ultima espressione, al fatto che ad essa, in forza della norma posta dall'art. 11 Legge 29/5/1982 n. 304, corrisponde ormai, per ogni effetto giuridico, l'espressione "eversione dell'ordinamento costituzionale".


Va subito chiarito che la norma incriminatrice, con l'inciso "si propongono il compimento di atti di violenza", non può evidentementeriferirsi all'idea della violenza eversiva in sé, quale astratta espressione di pensiero politico, perché essa, in quanto idea, riceve tutela proprio dall'ordinamento democratico e pluralista contro cui è rivolta. La soglia della punibilità va collocata laddove l'idea prende corpo, nella concretezza ed attualità di un programma di violenza.


Orbene, per adottare una similitudine geometrica, si può assimilare l'architettura dell'imputazione -così come essa va letta attraverso gli atti conclusivi dell'istruttoria- ad una serie di cerchi concentrici: nel minore e più interno di essi si identifica l'attività -ideativa, organizzativa, esecutiva- dei responsabili della strage; immediatamente a
contatto con il medesimo si colloca quello che rappresenta l'attività della banda armata, della cui strategia e violenza armata -lo si è visto- la strage ha rappresentato il momento di massima espansione; nel cerchio più esterno,
che si dilata nel tempo e nello spazio, si colloca l'associazione eversiva, la quale -essendosi lungamente mossa per il passato, in altri contesti, lungo le stesse direttrici- si troverebbe, nel momento in cui l'imputazione la `fotografa', a condividere il programma di violenza proprio della banda armata collocantesi a valle: a condividerlo e a sfruttarlo, perché, attraverso il controllo e la gestione politica delle campagne di attentati, ed, in particolare, della campagna di attentati riferibile alla banda armata oggetto di giudizio, gli associati avrebbero teso arealizzare il loro progetto politico di eversione dell'ordinamento costituzionale, nelle forme di cui meglio si dirà.


In un siffatto schema, in astratto, la permeabilità fra i tre cerchi concentrici sarebbe assicurata dalle figure centrali del FACHINI e del SIGNORELLI, che, attraversando i
tre livelli dell'imputazione in tutta la loro profondità, rappresenterebberoil momento di continuità fra: l'associazione, intesa come organismo di natura eversiva ai cui obiettivi politici il programma di violenza sarebbe
strumentale; la banda armata, concepita come la sede in cui il programma si specifica e trova le sue espressioni operative; il gruppo dei responsabili della strage, che, dall'interno della banda, al programma di violenza eversiva dà attuazione nella forma più eclatante. Con specifico riferimento al problema che qui interessa, e cioè l'identificazione del programma di violenza riferibile all'associazione eversiva, va rilevato come esso programma, proprio in virtù della presenza all'interno dell'associazione dei due `strateghi' della banda armata, si identificherebbe con il generico programma di quest'ultima, di cui il FACHINI ed il SIGNORELLI sarebbero portatori nell'organismo collocantesi a monte.


In questa ricostruzione, attraverso i due imputati sunnominati, operanti in funzione di cerniera, si attuerebbe una sorta di delega operativa -per l'attuazione del
programma- dall'associazione alla banda armata. Né si dica che, in questo modo, verrebbe meno il requisito dell'attualità e concretezza del programma di violenza


riferibile all'associazione eversiva. Altro, infatti, è la
concretezza ed attualità di un programma di violenza, ed altro è la sua specificazione in una serie di progetti di singoli atti o di attentati. Allo stesso modo in cui la strategia di una banda armata può prevedere un generico programma di delitti ricompresi nel novero di quelli di cui all'art. 302 del Codice Penale, destinati a trovare nell'immediato concreta attuazione, e detto programma viene a specificarsi e a prender corpo, lungo la vita della banda, nei singoli progetti, portati ad attuazione o non (con conseguente attribuzione a ciascun membro della banda della responsabilità dei soli delitti alla cui realizzazione abbia a qualsiasi titolo concorso), così dalla genericità del programma di violenza che l'associazione collocantesi a monte condivida e faccia proprio -`sponsorizzandolo' ed impegnandosi a fornire copertura agli attentatori- non si deve far discendere la mancanza di concretezza ed attualità
del programma, proprio in quanto esse sono garantite dall'esistenza della banda armata -collocantesi a valle e collegata attraverso le necessarie cerniere- alla cui attuale operatività resta affidata la materiale esecuzione
del programma, mediante la specificazione degli obiettivi e la messa a punto delle singole azioni.


Neppure deve sfuggire come -secondo l'assunto del PUBBLICO MINISTERO concludente- la stessa componente `avanguardista' dell'associazione, che pure non avrebbe avuto parte nella banda armata oggetto di giudizio, sarebbe stata responsabile, nel periodo cui l'imputazione si riferisce, di attività di proselitismo, arruolamento e riconduzione ad unità del composito ed articolato ambiente giovanile dell'eversione neofascista attorno ad un programma di lotta armata: di attività, dunque, pienamente consonanti con quella della banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione, e sostanziantisi, a ben vedere, in forma diretta, nella promozione del programma di violenza attribuito all'associazione di cui si assume l'esistenza.


Per quanto attiene all'aspetto della finalità di eversione,
va chiarito che -secondo l'ipotesi accusatoria che questa Corte è chiamata a verificare- il controllo e la gestione politica della violenza armata neofascista espressa dalla banda armata erano finalizzate, da parte dell'associazione,
al "condizionamento degli equilibri politici espressi nelle forme previste dalla Costituzione ed al consolidamento del potere di forze ostili alla democrazia": più specificamente -secondo la nuova strategia `politica' elaborata a far tempo dal 1974-, non al rovesciamento, in forma brutalmente `golpista', dell'ordinamento vigente, ma ad una sorda e strisciante occupazione delle Istituzioni dal loro interno, col conseguente progressivo svuotamento dei contenuti sostanziali dell'ordinamento, e l'asfissia della costituzione materiale, destinata ad essere minata nelle sue fondamenta di democrazia pluralista. Che un siffatto progetto -astrattamente parlando- sia idoneo ad integrare la finalità di eversione dell'ordinamento costituzionale di cui all'art. 270 bis non può essere revocato in dubbio. Ha affermato la Suprema Corte (1) che la finalità dieversione
si identifica nel fine "di sovvertire l'ordinamento


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(1) - Cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 11382 del 5/11/87 -udienza 11/7/87- Presidente Molinari, imp. Benacchio. costituzionale e di travolgere l'assetto pluralistico e democratico dello Stato disarticolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai principi
fondamentali che costituiscono l'essenza dell'ordinamento
costituzionale". Se ne evince che non soltanto la finalità


in parola attiene appunto allo stravolgimento dei fondamentali principi costituzionali di cui si è detto, ma che il perseguimento dell'obiettivo può essere ricercato, di volta in volta, nelle diverse forme che la massima prospetta con gradazione decrescente: l'ultima delle quali -quella dello `sviamento' dai principi fondamentali- ben si attaglia alla strategia -che l'accusa postula- di infiltrazione nei gangli vitali dello Stato e di progressiva metamorfosi autoritaria, antidemocratica e antipluralista, favorita e giustificata dallo scollamento delle Istituzioni e dalla conseguente richiesta d'ordine che l'attività terroristica della banda armata, strumentalmente rispetto al disegno di fondo dell'associazione, tendeva a provocare.


2.4.2) L'indagine della Corte


Verificata l'astratta sussimibilità dell'ipotesi accusatoria sottoposta al giudizio della Corte nella fattispecie di cui all'art. 270 bis del Codice Penale, si tratta di passare ad accertare se, in concreto, tale ipotesi risulti adeguatamente suffragata dalle prove raccolte nel corso del giudizio. Occorre premettere che una corretta verifica dell'assunto accusatorio deve naturalmente aver riguardo alla struttura soggettiva dell'associazione, quale è stata ipotizzata sussistere all'epoca dei fatti, e tenere quindi necessariamente conto della presenza e dell'apporto di coloro che la morte ha sottratto al giudizio penale: si allude, specificamente, al Gen. Giuseppe SANTOVITO, ma, soprattutto, al Prof. Aldo SEMERARI. Occorre premettere altresì, schematizzando, che l'imputazione vuole unite nell'organismo associativo quattro fondamentali componenti: quella `piduista', da intendere non come emanazione diretta della Loggia massonica `P2', ma piuttosto come espressione di un potere clandestino che nella Loggia `P2' ha trovato alimento e veicolo di propagazione; quella che comprende spezzoni deviati del servizio di sicurezza militare; infine, le componenti `ordinovista' ed `avanguardista', in cui figurano elementi di spicco delle due tradizionali formazioni neofasciste. Semplificando ulteriormente, l'organismo associativo si configura come conglobante, da un lato, il potere `piduista' -nel senso in cui lo si è sopra definito- che prende corpo in settori deviati di un apparato di sicurezza, e, dall'altro, vertici dell'eversione armata neofascista, aventi disponibilità di uomini, mezzi e strutture operative.


Tenuto conto di ciò, e avuto riguardo agli elementi costitutivi del delitto in esame, si tratta di verificare se sia adeguatamente provato che i militari ed i civili di cui alle imputazioni di associazione eversiva all'esame della Corte, nonché gli altri, oggi deceduti, di cui si è sopra fatto cenno, siano stati stabilmente vincolati da un accordo in base al quale, mettendo taluni a disposizione gli uomini ed i mezzi che gestivano o avrebbero gestito all'interno di una formazione armata (o, in certi casi, le proprie personali coordinate attività di proselitismo, di ricompattamento dell'ambiente eversivo e di incanalamento delle attività armate in una certa direzione), e talaltri le strutture ed i mezzi del servizio di sicurezza di cui avevano il controllo o nel quale erano funzionalmente incardinati, si erano impegnati i primi a promuovere attività terroristiche, ed i secondi ad assicurare le necessarie coperture e la garanzia dell'impunità agli autori dei singoli attentati che, in virtù dell'accordo, fossero poi stati concretamente posti in essere; e di verificare altresì se tale impegno a collaborare fosse finalizzato all'eversione dell'ordinamento costituzionale, nei modi e nei termini di cui si è detto.


2.4.3)I limititemporali di operatività della norma posta dall'art. 270 bis del Codice Penale. Riflessi sulla apprezzabilità di fatti e condotte anteriori al 18/12/1979

Prima di procedere nel senso testé indicato, occorre sottolineare un dato che, quantunque pacifico, va tuttavia, per un corretto approccio alle risultanze e per una corretta valutazione delle medesime, tenuto costantemente presente. Si allude al fatto che la norma posta dall'art. 270 bis del Codice Penale è stata introdotta nel vigente ordinamento dall'art. 3 del Decreto Legge 15/12/1979 n. 625, convertito nella Legge 6/2/1980 n. 15, e che, essendo tale norma, ai sensi dell'art. 15 del citato decreto, entrata in vigore il 18/12/1979 (giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento legislativo sulla Gazzetta Ufficiale), in virtù del principio posto dagli artt. 25,II comma, della Carta Costituzionalee 2,I comma,del CodicePenale,possono cadere sotto i rigori dell'art. 270 bis, in quanto sussumibili in quella fattispecie astratta, soltanto le condotte poste in essere a far tempo dal 18/12/1979. Ciò, peraltro, non comporta l'inutilizzabilità della acquisizioni processuali relative a fatti e condotte anteriori a quella data, che in tanto possono e debbono essere conosciuti e valutati, in quanto servano a provarne altri, riferibili all'arco temporale di applicabilità della norma in questione. In sostanza, vuole l'assunto accusatorio che abbia operato in Italia un organismo eversivo con le caratteristiche descritte dai capi d'imputazione sopra citati; detto organismo, attivo sino a dopo il 2 agosto 1980, sarebbe nato e ed avrebbe operato lungamente nel periodo anteriore alla strage; talché, l'entrata in vigore della norma dell'art. 270 bis l'avrebbe colto, penalizzandolo, nel suo divenire; in questa prospettiva, fermo restando che l'esistenza in vita dell'organismo eversivo nel periodo anteriore al 18/12/1979, anche in quanto provata, non cadrebbe sotto i rigori della norma incriminatrice in parola, nondimeno, la corretta ed esauriente valutazione dei fatti posteriori a quella data e, nell'assunto accusatorio, sussumibili sotto l'art. 270 bis, non può prescindere ed anzi impone l'apprezzamento delle prove di quei fatti che attesterebbero l'operatività, sino all'entrata in vigore del Decreto Legge n. 625/79, della associazione di carattere eversivo descritta dall'imputazione; poiché non vi sarebbe, sul piano storico, soluzione di continuità nella vita dell'associazione eversiva, ben possono le condotte anteatte lumeggiare e fungere da chiave di lettura di quelle successive: cioè di quelle riferibili al periodo di vigenza della norma incriminatrice contestata agli imputati.


Se-come giustamente ha scritto il Giudice Istruttore (2)- "le indagini su qualunque associazione criminale,


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(2) - So, p651. riguardando un fenomeno in movimento, costituiscono pur sempre una cristallizzazione del fenomeno il quale viene ripreso e fissato in un momento del suo divenire" e se, nel caso di specie,"l'ottica di ripresa è quella di puntare l'obiettivo sui legami associativi quali si manifestano in occasione dell'attentato del 2 agosto alla stazione...di Bologna", nondimeno, ad evitare che tale necessaria
"astrazione tecnica" incida sulla piena intelligenza del fenomeno che si giudica, è non soltanto lecito, ma doveroso ripercorrere quelle che -secondo l'accusa- sono le vicende pregresse dell'associazione di cui si assume l'esistenza, per sondare, di quest'ultima, il retroterra ideologico ed organizzativo.


2.4.4) Il quadro probatorio


L'accusa -così come si è venuta sviluppando attraverso la requisitoria scritta rassegnata all'esito dell'istruzione e la requisitoria orale (3) pronunciata all'esito del dibattimento- ha indicato, a sostegno del proprio assunto, *** * *
(3)- Della registrazione magnetofonica di detta requisitoria orale il PUBBLICO MINISTERO, all'udienza del 22/6/88, ha depositato la trascrizione integrale: cfr. vu 22/6/88, pp. 48-362.


una cospicua mole di acquisizioni processuali, che


-adottando la ripartizione utilizzata `in subiecta materia' nell'ordinanza di rinvio a giudizio- possono, sommariamente e schematicamente, essere ricondotte ai seguenti gruppi principali: prove documentali; riferimenti contenuti in altri procedimenti; dichiarazioni rese da persone appartenenti ad organizzazioni di estrema destra; testimonianze; elementi di prova desumibili da condotte di copertura e sviamento poste in essere da settori deviati dei servizi di sicurezza (4).


Di questi ultimi si è dovuto anticipatamente trattare in maniera diffusa nella parte della motivazione relativa al delitto di calunnia pluriaggravata: talché si renderenno necessari, in prosieguo, soltanto alcuni ulteriori brevi cenni.


Nel paragrafo seguente si dirà -accorpandole per ragioni di comodità espositiva- di talune prove documentali.


In quello successivo si farà cenno di taluni fatti e


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(4) - Il Giudice Istruttore illustra in SO, pp. 918-924, le ragioni per le quali ha ritenuto che tali condotte contribuiscano a provare la sussistenza dell'associazione eversiva in esame.


circostanze desumibili dagli atti di altri procedimenti e


dall'accusa indicati quali elementi di giudizio utilizzabili ai finidella presente decisione.


Si passerà poi, utilizzando congiuntamente i vari elementi di prova e senza ulteriormente tenerli distinti in base alla tipologia, ad esaminare le vicende personali degli imputati, le condotte, la vocazione eversiva, i collegamenti intersoggettivi ed ogni altra circostanza utile ai fini del giudizio.


Si valuterà, da ultimo, se gli elementi che si saranno passati in rassegna, complessivamente considerati, siano idonei a suffragare l'assunto accusatorio, ed, eventualmente, se lo siano in misura sufficiente a fondare un convincimento di colpevolezza.


2.4.4.1) Di talune prove documentali


Non è questa la sede per riprendere analiticamente l'ampia ed articolata rassegna di materiale documentario contenuta nel 2° capitolo della requisitoria scritta (5). Sarà sufficiente, ai fini che qui rilevano, soffermare


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(5) - RE, pp. 39-93.


l'attenzione su taluni documenti nei quali -a giudizio


dell'Istruttore(6)- "in modo più o meno esplicito è possibile rinvenire la prova dell'esistenza in Italia della struttura illegale e segreta oggetto di imputazione".


a) E' stata acquisita (7) copia del volume "La guerra rivoluzionaria", edito in Roma da Giovanni VOLPE e contenente gli atti del "primo convegno di studio promosso ed organizzato dall'istituto Alberto POLLIO di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio 1965 presso l'hotel Parco dei Principi".


L'Istituto POLLIO ebbe vita breve, fra il 1964 ed il 1966. Esso, "per esplicita ammissione del DE BOCCARD e del FINALDI", che furono tra i principali suoi esponenti, "fu indirettamente finanziato dall'Ufficio R.E.I. del S.I.F.A.R. mediante una campagna di abbonamenti ai bollettini che l'Istituto stesso pubblicava attraverso un'agenzia `D'" (8).


Il convegno del maggio 1965 vide tra gli organizzatori Eggardo BELTRAMETTI, che curerà la pubblicazione degli

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(6) - SO, pp. 653-654.
(7) -RA, V13, C436.
(8) - Cfr. AA, V6, C40, p613.


atti e sarà uno dei relatori, assieme a Guido GIANNETTINI ed Enrico DE BOCCARD; nelvolume compaiono altresì, tra l'altro,interventi di Ivan Matteo LOMBARDO, Pino RAUTI, Giorgio PISANO', Gino RAGNO, Giorgio TORCHIA, e Giuseppe DALL'ONGARO, e comunicazioni di Carlo DE RISIO, Giano ACCAME, Alfredo CATTABIANI, Fausto GIANFRANCESCHI e Pio FILIPPANI RONCONI. Erano presenti al convegno osservatori militari (9), ed anche un gruppo di studio di venti studenti universitari(10). Il convegno, avente ad oggetto la guerra rivoluzionaria, intesa come "offensiva planetaria del comunismo" (11), e proponentesi "lo scopo di denunciare l'estensione e l'urgenza del pericolo che essa rappresenta e di cercare i mezzi più idonei per un'efficace difesa" (12), aveva carattere "essenzialmente propedeutico" (13): al punto che venne varata l'iniziativa di un secondo convegno, destinato ad aver per tema "La risposta occidentale alla guerra rivoluzionaria" e, alla conclusione dei lavori, fu


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(9) -Cfr. RA, V13, C436, p258.
(10) -Cfr. RA, V13, C436, pp. 16 e 253.
(11) -Cfr. RA, V13, C436, p9.
(12) -Cfr. il passo di cui alla nota che precede.
(13) -Cfr. RA, V13, C436, p255.


nominata una commissione permanente di studio, che avrebbe assistito l'Istituto nelle sue iniziative (14).


Negli atti del convegno si legge, tra l'altro: "...di frontea questo stato di fatto da cui scaturisce evidente il pericolo che minaccia la civiltà occidentale, i sistemi democratici nella generalità sono inadeguati...: i sistemi democratici cioè quei reggimenti della cosa pubblica a carattere partitocratico e parlamentare di cui noi italiani conosciamo bene le debolezze ed il loro stato di abulia morale..." (15) "...non soltanto abbiamo il privilegio di avere il partito comunista più forte del mondo libero e di essere collocati ai confini di uno Stato d'ispirazione comunista, ma anche di constatare che i comunisti sono arrivati nell'anticamera del governo...dobbiamo solo prendere atto che l'Italia è una nazione schierata nel campo avverso al comunismo ed è parimenti uno degli obiettivi, forse uno dei più deboli, della g.r." (guerra rivoluzionaria) "comunista ...l'Italia rimane un paese atlantico...esiste un compito

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(14) - Cfr. RA, V13, C436, p264.
(15) - Cfr. RA, V13, C436, p72.


strategico che implicitamente l'alleanza ci conferisce ed è quello di impedire che il comunismo in Italia avanzi..." (16) "...In taluni casi, sono le stesse leggi democratiche a fornire alla guerra rivoluzionaria i mezzi e le vie di penetrazione: ad esempio, attraverso le amministrazioni locali...In vaste zone del paese i comunisti e i loro alleati di sinistra hanno stabilito aree di monopolio politico ed organizzativo...Facendosi forti del controllo di tali zone, i comunisti possono ricattare gli organi politici centrali...se gli anticomunisti avessero maggiore sensibilità politica, approfitterebbero della situazione per sfruttare in senso anticomunista la naturale tendenza alla ribellione delle nuove generazioni culturali contro il conformismo delle dottrine ufficiali..." (17) "...Lo studio dei metodi della guerra eterodossa ci deve evidentemente indurre a elaborare un piano di difesa e contrattacco rispetto alle forze della sovversione...la relativa tranquillità di cui

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(16) - Cfr. RA, V13, C436, pp. 82-83.
(17) - Cfr. RA, V13, C436, pp. 164-165. I passi cui la presente nota si riferisce sono tratti dalla relazione di Guido GIANNETTINI.


provvisoriamente disponiamo nel momento presente dovrebbe
indurci a preparare, sin d'ora, uno schieramento differenziato, su scala nazionale ed europea, delle forze disponibili per la difesa e per l'offesa..." (18) "...noi dobbiamo essere implacabili come è il nostro nemico. E' una lotta all'ultimo sangue ed il nostro traguardo è quello di eliminare il pericolo comunista, in qualsiasi forma. Quella che esclude la violenza ci sarebbe più gradita, ma non bisogna rifiutarsi di considerare anche l'altra forma di lotta...è giunto anche il tempo in cui in Italia i cittadini leali devono proporsi delle iniziative concrete, che promuovano gruppi di autodifesa per difendere la Patria, la società italiana e se stessi da ogni evenienza..." (19) "...esprimiamo pubblicamente la nostra volontà di combatterlo" (il comunismo) "e soprattutto sul suo stesso terreno, restituendogli -tanto che siamo sulla difensiva- colpo per colpo e ben decisi, quando ciò sarà finalmente concesso dal maturarsi delle situazioni...di passare risolutamente e con estrema

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(18) - Cfr. RA, V13, C436, p243.
(19) - Cfr. RA, V13, C436, pp. 260-261.


spregiudicatezza all'offensiva..." (20) "...tutta la dottrina di una difesa occidentale contro la g.r. comunista deve poggiare su basi interamente nuove ed anch'esse...`rivoluzionarie'...questa nuova dottrina, che potremmo definiredella`controguerra rivoluzionaria'...


qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra rivoluzionaria...-come, per esempio, il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d'eventi e debolezza di governi- di inserirsi in una `nuova maggioranza' o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un segretario alle PP.TT., in un gabinetto ministeriale- costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro lo `spazio politico' vitale dello Stato, da rendere necessaria l'attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale. Vale a dire l'intervento diretto, deciso e decisivo delle FF.AA. di quel Paese..." (21) "...L'unico movimento che ha tentato una risposta alla g.r. è stato il fascismo nelle sue varie incarnazioni. Ma fu un fallimento quasi totale ed è

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(20) - Cfr. RA, V13, C436, pp. 32-33.
(21) -Cfr. RA, V13, C436, pp. 53 e 55.


stata anche una risposta inadeguata, frammentaria...L'unico fatto positivo è che la smisurata potenza dell'America e le sue irraggiungibili energie morali e materiali costituiscono ancora un largo margine di potenziale possibilità di reazione..." (22) "...Si tratta quindi di un atto di saggezza e di giustizia togliere ai movimenti, ai partiti ed ai gruppi al servizio della g.r. la libertà d'azione...Radicalizzare la lotta è il metodo più corretto per impostarla a nostro vantaggio...Prevenire vuol dire anche cautelarsi contro gli attacchi di sorpresa, esterni ed interni, onde preparare uno strumento militare adeguato alle tecniche ed ai procedimenti della g.r. Uno strumento che comprende la creazione di gruppi permanenti di autodifesa che...non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l'energia e la spregiudicatezza necessaria...." (23) "...non si pensi che questo convegno esaurisca la sua importanza nel dar vita al documento conclusivo. Ha invece una sua importanza agli effetti

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(22) - Cfr. RA, V13, C436, p70.
(23) -Cfr. RA, V13, C436, pp. 74-75.


pratici: metter in luce certi temi, puntualizzare esattamente le tecniche usate dall'avversario, diffondere questa nuova impostazione...Bisogna puntare sull'opinione pubblica al di fuori degli schemi di partito e dei riferimenti politici...Spetterà poi ad altri organi, in senso militare, in senso politico generale, trarre da tutto questo le conseguenze concrete, e far sì che alla scoperta della guerra sovversiva e della g.r. segua l'elaborazione completa della tattica contro-rivoluzionaria e della difesa..." (24) "...Allora è tempo di fare qualcosa che vada al di là di questo Convegno per fare praticamente qualcosa...possiamo aspettarci niente dall'Italia ufficiale...Occorre adottare sistemi altrettanto rivoluzionari di quelli che usano i comunisti, entrare cioè in un nuovo ambiente mentale...Le Forze Armate godono la mia e la nostra piena fiducia e sono pronte a fare miracoli, ma non basta..." (25) "...da una parte in Italia (caso, diciamo così, `legale'), dall'altra nel Vietnam (caso `violento')...rischia di

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(24) - Cfr. RA, V13, C436, p98.
(25) - Cfr. RA, V13, C436, p129. decidersi la sorte di due continenti, già occupati nella loro parte maggiore da Potenze comuniste. La decisione, dunque, dipende molto da noi. Proprio da noi italiani...Se sapremo finalmente aprire gli occhi...se sapremo reagire in misura adeguata, allora, e soltanto allora, potremo riprenderci e vincere. Ma attenzione: è tardi. Molto tardi...siamo arrivati agli ultimi cinque minuti" (26).


Nella relazione inaugurale del convegno si legge (27), con riferimento, tra gli altri, al problema "della risposta, occidentale e italiana, alla guerra rivoluzionaria": "...per l'impostazione e l'approfondimento di simili temi...l'Istituto Pollio annuncia fin da questo momento la formazione di una serie di gruppi di studio, ai quali sarà proposto, in modo organico e ben coordinato, di condurre indagini e ricerche, in vista di quello che sarà il nostro secondo incontro...Intanto,un primo gruppo di studio, già è in funzione. Abbiamo qui fra noi venti studenti

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(26) - Cfr. RA, V13, C436, p169.
(27) - Cfr. RA, V13, C436, p16.


universitari che l'Istituto Pollio ha pregato -dopo una selezione di merito- di prender parte ai lavori, appunto come gruppo. Essi porteranno avanti l'esame degli argomenti che qui saranno affrontati e ne faranno oggetto di ulteriori ricerche. L'Istituto Pollio si sforzerà di aiutarli in ogni modo: facilitando le loro ricerche, promuovendo le loro sessioni di studio, ponendo a loro disposizione il materiale necessario..."


Non v'è dubbio che -come ha commentato il PUBBLICO MINISTERO (28)- "si gettavano in questo modo le basi di un programma per studiare i metodi di attuazione in Italia della `controrivoluzione'". Si è già in parte visto che, nei vari interventi, non si risparmiarono i riferimenti alle Forze Armate. Addirittura, sotto il titolo "Adeguare lo strumento militare", si arriva a vagheggiare un'organizzazione che "copre tutta la nazione in modo tale che tutti i cittadini sono nelle liste di mobilitazione e distinti per le loro attitudini non soltanto militari. E' così possibile fare una scelta di


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(28) - RE, p44.


coloro che debbono formare i gruppi di autodifesa. Gli Stati maggiori possono essere misti, cioè assistiti da civili" (29). Ancora, si afferma che la spiegazione degli insuccessi occidentali di fronte alla guerra rivoluzionaria comunista può trovarsi nell' "aver dato di volta in volta singole risposte tattiche locali, senza impostare una contro guerra rivoluzionaria totale per combattere (anche con criteri offensivi) l'intero mondo comunista" (30). E si pone quindi sul terreno il problema del coordinamento internazionale per la gestione della "contro-guerra rivoluzionaria" (31).


In buona sostanza, sotto l'ala protettrice dei servizi segreti, in un'iniziativa che vede l'attiva partecipazione di personaggi come Guido GIANNETTINI, che nel 1965 già lavorava per il SID (32), si indica, in termini tutt'altro che criptici, la direttrice volta alla congiunzione operativa `controrivoluzionaria' di esponenti della destra e di militari.



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(29) - Cfr. RA, V13, C436, p85.
(30) -Cfr. RA, V13, C436, p153; il passo è tratto dalla relazione di Guido GIANNETTINI.
(31) -Cfr. RA, V13, C436, p221.
(32) -Cfr. AA, V6, C40, pp. 614-616.


Va rilevato che un secondo convegno sulla "guerra rivoluzionaria" ebbe effettivamente luogo nel 1971. Così il Gen. Siro ROSSETI al PUBBLICO MINISTERO (33): "...Nel 1971 fui inviato dal Gen. MICELI ad un convegno a Roma presso un istituto di studi strategici. Nel corso del convegno presero la parola anche Filippo DE JORIO e Guido GIANNETTINI. Era presente il Comandante Generale dell'Arma SANGIORGI ed il Ministro della Difesa mandò un telegramma di adesione. L'argomento era costituito dalla `guerra rivoluzionaria' e durante la riunione fu detto esplicitamente che scopo della riunione era quello di sollecitare una coscienza anticomunista. Per iscritto espressi una valutazione negativa al Gen. MICELI. All'epoca era Ministro della Difesa l'On. TANASSI..."


b) E' agli atti (34) anche il documento noto come `Memoriale di Eliodoro POMAR'. Risulta (35) che il POMAR ha, in altra sede, escluso di esserne l'autore ed ha tentato di addossarne la paternità a persona estranea. Senonché la

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(33) -Cfr. AAD, V13, C4, punto 2, p17; cfr. anche vu 2/11/87, p42.
(34) -In AA, V7, C44, pp. 45-76.
(35) -Cfr. AA, V3, C12, pp. 50-51.


provenienza dal POMAR è fuori discussione (36), così come sono note le fonti di "moltissimi fatti riportati nel
memoriale".


Scritto nella seconda metà degli anni '70 e destinato ad essere usato nel procedimento romano cosiddetto `del Golpe BORGHESE', nel quale il POMAR era imputato, il memoriale afferma esplicitamente, tra l'altro (37): "L'interpretazione dei fatti di tipo sovversivo che si verificano un poco dovunque in Europa, può condurre a conclusioni logiche e razionali solo se tali fatti vengonoinquadrati in un contesto politico generale e nella opportunità che posseggono certe forze di manovrare le situazioni interne dei singoli Stati per ridurre (ed in certi casi annullare) la libertà d'azione di singoli uomini politici o addirittura di Governi, condizionandoli opportunamente. Anche quando il meccanismo di quest'azione è visibile, non sempre è chiara l'origine e l'ispirazione di queste manovre che risalgono all'interesse di gruppi di potere non facilmente

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(36) -Cfr. AA, V3, C12, p51; cfr. anche DELLE CHIAIE, in vu 29/6/97, p48 e vu 2/7/87, p21. (37) -Cfr. AA, V7, C44, p67.


individuabili e definibili con la necessaria

chiarezza...Ai Governi che, preoccupati da questa fuga in avanti dei servizi segreti, hanno cercato di limitarne le iniziative e di bloccarne i poteri, questi ultimi hanno rispostomediante la provocazione di una campagna terroristica sempre più intensa ed indiscriminata...A tale scopo hanno agito utilizzando la loro rete di informatori per compiti di istigazione e di attivazione (o addirittura in qualche caso di esecuzione) di attentati, di stragi e di ipotetici colpi di stato allo scopo di ottenere poteri sempre più grandi, mezzi sempre più notevoli, libertà d'azione sempre più larga. Ad ogni violenza infatti, la reazione emozionale dei cittadini ha spinto all'approvazionedi leggi sempre più pesanti ed all'eliminazione sempre più spinta delle garanzie sulla libertà, di fronte all'evidenza del pericolo incombente sulla società..."


Viene così individuato un "potere oscuro" al cui servizio avrebbe agito, tra gli altri, Stefano DELLE CHIAIE. Quale che sia il peso del documento in relazione a fatti specifici la cui cognizione non compete a questa Corte, va sottolineato, ai fini che qui rilevano, che il memoriale -con l'autorevolezza che in materia va riconosciuta al suo autore in ragione dell'internità ad ambienti della destra extraistituzionale- viene descrivendo -come realmente esistenti- situazioni di
fatto di cui non è arduo cogliere, sotto certi profili, la sostanziale riconducibilità alla ricerca di alleanze ed alle strategie di fondo sottese alla iniziativa del convegno dell'Istituto Pollio.


c) Tanto il PUBBLICO MINISTERO (38) quanto il Giudice Istruttore (39) hanno appuntato l'attenzione sul noto volume di Franco FREDA, dal titolo "La disintegrazione del sistema" (40). Vengono in considerazione i seguenti passi, nei quali il discorso politico di questo `maître à penser' è lapidariamente espresso: "...dobbiamo affermare che la condizione -non sufficiente ma, comunque,

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(38) - RE, pp. 54-55.
(39) - SO, pp. 660-661.
(40) - Trovasi in copia in RA, V5, C170, pp. 5 ss. Il volume, comparso nel 1969 e riedito nel 1978, contiene iltesto dell'intervento svolto dal FREDA nella riunione del comitato di reggenza del fronte Europeo Rivoluzionario, avvenuta a Regensburg il 17/8/1969.


necessaria- per porre gli elementi di fondazione del vero
Stato, è la EVERSIONE di tutto ciò che oggi esiste come sistema politico. Occorre, infatti, propiziare e
accelerare i tempi di questa distruzione, esasperare l'opera di rottura del presente equilibrio e dell'attuale fase di assestamento politico. Vigilare affinché gli eventuali veicoli, le potenziali forze che debbono determinare il collasso dei centri nervosi del sistema borghese, non vengano assorbite o integrate in una delle tante possibilità di cristallizzazione che il mondo borghese offre. Inevitabilmente, quindi, dobbiamo trasferire le nostre considerazioni dal piano del riconoscimento dei principi al piano operativo...il male rappresentato dalla società borghese è inguaribile...nessuna terapia è possibile...nemmeno una operazione chirurgica riesce ormai efficace...occorre accelerare l'emorragia e sotterrare il cadavere. Noi dobbiamo persuaderli di come non si possa modificare nulla fin tanto che rimangano anche solo le macerie; come il presupposto fondamentale per edificare il vero Stato sia l'abbattimento pure delle forme residuali e dellestrutture superstiti dei sistemi borghesi..." (41) "...Non è compito nostro, infatti, limitarsi ad arrecare danni o semplici distruzioni al sistema, ma provocarne la disintegrazione...Ora è proprio questo, la distruzione del sistema, il nostro compito storico immediato...Noi siamo dei fanatici, dei fanatici che mirano a essere sempre più lucidi..." (42) "L'appello rivolto a quegli uomini che, secondo gli schemi parlamentari, compongono le frange alla estrema destra del sistema, può dirsi chiuso. Noi, tuttavia, vogliamo rivolgerci a coloro che rifiutano radicalmente il sistema, situandosi oltre la sinistra di questo, sicuri che anche con loro potrà essere realizzata una leale unità di azione nella lotta contro la società borghese...Ciò assume per gli uni e per gli altri i caratteri di un'identica certezza, che a entrambi impone l'esigenza di una leale strategia di lotta comune..." (43)


Si tratta di proposizioni decisamente esplicite. Ad ogni

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(41) - RA, V5, C170, pp. 35-36. (42) -RA, V5, C170, p47.
(43) -RA, V5, C170, pp. 48-49.


buon conto, il FREDA ebbe a darne, nella prassi, una sorta di `interpretazione autentica': benché assolto con formula dubitativa dalla strage cosiddetta `di Piazza Fontana', nel medesimo procedimento ebbe a riportare condanna definitiva per 17 attentati con ordigni esplosivi, risalenti proprio all'epoca in cui "La disintegrazione del sistema" venne alla luce. Né a distanza di dieci anni il messaggio lanciato da questo ideologo aveva perso vigore: basti rilevare le assonanze fra gli ultimi due passi sopra riportati ed il contenuto del brano dal titolo "Sul fronte unito", pubblicato sul n. 5 di `Costruiamo l'Azione' (44), nel periodo che si colloca a cavallo fra la campagna dinamitarda del 1978 e la campagna degli attentati siglati `M.R.P.' del 1979.


d) Dei Fogli d'ordini di Ordine Nuovo si è già avuta occasione di far cenno (45). Essi portano, rispettivamente, le date del marzo e del maggio 1978. Nel primosi legge, tra l'altro (46): "A oltre 4 anni dallo


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(44) - Cfr. vu 14/4/87, p44. La bozza del brano fu sequestrata a sergio CALORE in un procedimento in carico al dott. AMATO: cfr. AA, V2/4, fascicolo 12, pp. 824-825.
(45) - Cfr. supra, sub 2.2.4).
(46) - Cfr. AA, V2, C5, pp. 108 ss.


scioglimento,4 anni densi di persecuzione e di lotte, il M.P.O.N. ha dimostrato di saper portare avanti, anche nelle condizioni difficili della clandestinità, la rivoluzione culturale e politica iniziata trent'anni orsono. Sono stati consolidati e ampliati i quadri politici, è stata ridefinita la linea strategica, sono state create nuove strutture operative...CONTRO IL SISTEMA MULTINAZIONALE RIVOLUZIONE POPOLARE...ORDINE NUOVO E' ALTERNATIVA RIVOLUZIONARIA...convinti che la miglior difesa sia l'attacco, dobbiamo chiamare a raccolta tutte le forze disponibili ad attaccare il sistema...IL MOVIMENTO SI E' DATO UNA STRUTTURA ORGANIZZATIVA LA CUI CARATTERISTICA PRINCIPALE DEVE ESSERE LA CLANDESTINITA'...Il militante deve diventare centro di iniziativa autonoma creando nuovi organismi d'azione culturale, politica, sociale, sportiva o entrando in organismi già esistenti a seconda della opportunità di tempo e di luogo. Non ha importanza l'omogeneità delle sigle (che, anzi, se differenziate, consentono di battere meglio la repressione)...noi cerchiamo il soldato politico...L'UNICA LATITANZA CONCEPIBILE E' OPERATIVA in Italia...LA LOTTA ARMATA E' LA SOLA GARANZIA CONTRO I CAMPI DI CONCENTRAMENTO DI DELLA CHIESA" (sic) "E IL CONFINO di COSSIGA...sin dal prossimo bollettino, inizieremo la pubblicazione di nominativi di spie e di coloro che, con il loro comportamento, hanno recato danni al Movimento..."


E nel secondo (47): "...Il M.P.O.N. deve rinsaldare le sue strutture clandestine ed adottare tutte quelle misure di sicurezza atte a consentirgli di reggere l'aggravato urto repressivo...La ristrutturazione del M.P.O.N. nei suoi quadri e nei suoi settori ha consentito un rilancio del Movimento ad ogni livello. Varie iniziative di carattere pratico-operativo sono state prese dai responsabili del settore per fornire efficienza e saldezza alle strutture clandestine e possibilità d'intervento verso l'esterno...LA LOTTA CLANDESTINA HA COME SUA PREMESSA LA MENTALITA' CLANDESTINA. IL NOSTRO COMBATTENTE E' IL SOLDATO POLITICO...Molto è stato fatto

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(47) - Cfr. AA, V2, C5, pp. 115 ss.


negli ultimi mesi per dare impulso all'attività verso l'esterno. Iniziative di stampa, aggregazione di ambienti, creazione di nuovi organismi, costituzione di gruppi operativi collaterali hanno caratterizzato la nostra azione...L'articolazione della lotta è condizione di successo: è necessario colpire il sistema in tutti i suoi gangli. Ogni giorno vengono offerte possibilità d'intervento e sta all'iniziativa dei militanti esser presenti in tutte le situazioni in cui si intraveda spazio reale per l'attività rivoluzionaria...Ripetiamo che la differenziazione delle sigle è, nell'attuale momento, un'esigenza tattica ed insieme il modo più efficace per sfuggire alla repressione...Organizzare nuclei rivoluzionari di lotta al sistema...Puntare alla spaccatura orizzontale del paese reale, accelerando con ogni mezzo la frattura già in atto..."


Entrambi i `fogli d'ordini' terminano con l'invito a bruciare il documento subito dopo averlo letto: soltanto l'averli il NAPOLI imprudentemente conservati nella propria abitazione -ove gli furono sequestrati- ha consentito di venirne a conoscere il testo.


Al `foglio d'ordini' del maggio 1978 era allegato un dattiloscritto (48) di 33 pagine intitolato "NORME GENERALI": cioè, "norme di sicurezza per salvaguardare i singoli soldati politici, l'organizzazione a cui appartengono e la continuità dell'idea rivoluzionaria". Sono dettate per la sicurezza clandestina del militante: di colui che combatte la "guerra rivoluzionaria". "La guerra rivoluzionaria è altra cosa che la guerra psicologica, la guerriglia o la guerra sovversiva...è una lotta totale. I soldati politici che la intraprendono vogliono essere innanzi tutto dei testimoni. Essi, perciò, non si pongono problemi di tempo...di spazio...di metodi...di scopi...La guerra rivoluzionaria può quindi comprendere in sé ogni altro tipo di guerra..."


Le norme attengono ai seguenti argomenti: sicurezza individuale, sorveglianza e pedinamento, perquisizioni ed indagini, interrogatori ed arresti, contatti e comunicazioni interne, copertura, alibi e pretesti,

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(48) - Cfr. AA, V2, C5, pp. 120 ss.


reclutamento, sicurezza generale dell'organizzazione, metodi di polizia, comportamento pratico in caso di provvedimenti repressivi.


Come si è visto nella parte della trattazione relativa al delitto di banda armata, la paternità dei `fogli d'ordini' non è più un mistero. Peraltro, la penna del SIGNORELLI è facilmente riconoscibile nelle parti che si riferiscono al "soldato politico", le quali esprimono una tematica cara all'imputato; e la penna del FACHINI, puntiglioso cultore della sicurezza (49), è invece riconoscibile nelle "Norme Generali", costituenti l'aggiornamento di un compendio di istruzioni (50) che era già patrimonio della destra eversiva. La conoscenza che oggi si ha circa la paternità dei `fogli d'ordine' vale a riempire di concreti contenuti i riferimenti alle "nuove strutture operative" ed al "rilancio di iniziative di carattere pratico-operativo per fornire...possibilità d'intervento verso l'esterno": riferimenti facilmente




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(49) - Cfr. Gianluigi NAPOLI, in IA, V9/a-1, C7, pp. 22 e 23. (50) -Più precisamente, della parte relativa alla `sicurezza' del documento "Formazione Elementare", sequestrato a Marco BALLAN (SB, V1, C1).


decodificabili, ove si tengano presenti la realtà del gruppo coagulatosi attorno a `Costruiamo l'Azione' e le campagne di attentati in cui il gruppo stesso fu impegnato negli anni 1978-79. Si è fatto cenno di come il messaggio del FREDA, a distanza di dieci anni, non avendo perso in incisività, abbia anzi trovato eco -riscontrabile anche sul piano operativo- nell'ambiente di Costruiamo l'Azione. Questa linea di continuità strategica si incarna nella figura di Massimiliano FACHINI: si è visto che non soltanto la sua vocazione dinamitarda affonda le radici proprio alla fine degli anni '60, ma anche che egli, divenuto capo indiscusso della `cellula veneta', fu -assai significativamente- tra gli artefici della `liberazione' del FREDA dal soggiorno obbligato di Catanzaro.


2.4.4.2) I riferimenti contenuti in altri procedimenti


La necessità di avere riguardo a fatti e circostanze emerse da altri procedimenti che hanno avuto od hanno ad oggetto, anche indirettamente, vicende di collusione fra spezzoni

deviati dei servizi di sicurezza o di altri apparati dello Stato e frange del terrorismo neofascista, o comunque condotte deviate di settori di apparati istituzionali, discende dall'impostazione stessa dell'accusa, la quale -così come risulta delineata nell'ordinanza di rinvio a giudizio (51)- predica:


a) l'esistenza di una strategia politica complessivamente unitaria, che -pur nelle peculiarità storico-ambientali che hanno caratterizzato nel tempo le sue articolazioni- avrebbe ispirato le stragi indiscriminate compiute in Italia dal 1969 in avanti;


b)lo svolgimento di un ruolo funzionale a detta strategia da parte di alcuni personaggi, che, sotto diverse coperture e con varie collocazioni (faccendieri, giornalisti, e, segnatamente, esponenti di formazioni

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(51) - SO, pp. 649-650.


della destra extraistituzionale e funzionari ed ufficiali
dei servizi segreti), avrebbero costituito, insieme ad altri rimasti ignoti, l'organigramma segreto di una vera e propria struttura occulta;


c)l'assolvimento di una determinata funzione da parte del terrorismo di destra, nell'ambito di determinate relazioni che sarebbero intercorse fra le varie formazioni eversive ed il vertice occulto ispiratore delle loro azioni, strettamente legato ad apparati di sicurezza.


Fermi restando, quanto ai procedimenti definiti con sentenza irrevocabile, i vincoli del giudicato, operanti tuttavia nei limiti di cui si è detto sub 2.2.3), e precisato, con riferimento ai procedimenti tuttora pendenti, che non compete naturalmente a questa Corte valutare la sussistenza di eventuali responsabilità penali se non nei limiti del `thema decidendum'delineato dalle imputazioni di cui in epigrafe, vanno doverosamente apprezzati da questo Collegio tutti quei fatti emersi in altri procedimenti che risultino utilizzabili ai diversi e specifici fini della presente decisione.


A tal fine -e, più in generale, a scongiurare il pericolo che la valutazione dei fatti di eversione oggetto di giudizio risentisse dei limiti di un'indagine settoriale e avulsa dal suo naturale, complessivo quadro di riferimento- già l'Istruttore aveva acquisito un'imponente mole di atti e provvedimenti da procedimenti celebrati in altre sedi giurisdizionali;ulteriori acquisizioni sono poi intervenute in corso di giudizio.


In effetti, il presente procedimento costituisce un osservatorioprivilegiato rispetto ad una molteplicità di vicende, articolatesi negli anni, delle quali si assume la riconducibilità ad una strategia e ad una struttura unitarie. E ciò perché, collocandosi la strage di Bologna e le manovre di intossicazione delle relative indagini cronologicamente a valle di tali vicende, è dato, da questo procedimento, lanciare uno sguardo retrospettivo, e, cogliere, ove esistente, la trama unitaria fra i vari episodi registratisi dalla fine degli anni '60 sino all'inizio degli anni '80.


Nei capitoli 3°, 4° e 5° della requisitoria scritta
rassegnata all'esito dell'istruttoria, il PUBBLICO MINISTERO ha condotto, basandosi sugli atti e provvedimenti dei relativi procedimenti, una lunga ed approfondita analisi di una molteplicità di episodi verificatisi in Italia fra il 1969 ed il 1974, cioè nel periodo che, nella prospettiva accusatoria, può dirsi idealmente compreso fra la strage cosiddetta di `Piazza Fontana' e l'attentato al treno `Italicus'. Non è necessario in questa sede riprendere compiutamente tale analisi nella sua vastità; è sufficiente, ai fini della verifica dell'ipotesi accusatoria, evidenziare talune circostanze ricavabili da vicende giudicate altrove: circostanze dalle quali -a prescindere dalle conclusioni che se ne debbon trarre- già è dato evincere la non episodicità, ma, viceversa, la non casuale ripetitività, nel corso degli anni, secondo determinati schemi, di situazioni di collusione.


a) Sono notorie, almeno negli esiti processuali, le vicende relative alla strage cosiddetta `di Piazza Fontana'. Se si è formato un giudicato assolutorio dubitativo per il FREDA, il VENTURA ed il GIANNETTINI, e se la posizione
del DELLE CHIAIE e del FACHINI rimane da definire nel separato giudizio attualmente pendente avanti alla Corte d'Assise di Catanzaro,restano tuttaviastoricamente acquisite, attraverso gli atti di quel procedimento, importanti certezze. Innanzitutto, vengono in considerazione gli stretti collegamenti fra il FREDA ed il VENTURA da una parte, ed il GIANNETTINI dall'altra, in un'epoca in cui, essendo la `cellula veneta' impegnata in un'intensa campagna di attentati dinamitardi, il GIANNETTINI, reduce dall'esperienza del convegno dell'Istituto Pollio, lavorava da anni per conto del S.I.D.: collegamenti da valutare alla stregua del fatto che il GIANNETTINI "ben conosceva l'attività eversiva in corso della `cellula veneta' diretta da Franco FREDA e Giovanni VENTURA" (52).


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(52) - Cfr. AA, V6, C40, p654. Sottolinea la Corte d'Assise di Catanzaro come il VENTURA, sin dall'istruttoria, avesse precisato d'aver sempre tenuto il GIANNETTINI al corrente degli attentati commessi sino all'estate del 1969; evidenzia inoltre che il VENTURA, negli interrogatori del 10 e 24 maggio 1973, aveva dichiarato che "prima di sapere che era stato Guido LORENZON a tradirlo, denunciandolo all'autorità giudiziaria, egli aveva sospettato" anche del GIANNETTINI; illustra, infine, in che modo, tali dichiarazioni risultino controllate attraverso la testimonianza del LORENZON.


Inoltre, nel gennaio del 1973, il Gen. MALETTI ed il Cap. LABRUNA, l'uno capo del reparto "D" del S.I.D. e l'altro Ufficiale addetto allo stesso reparto,assieme al GIANNETTINI, coltivarono il progetto di far evadere Angelo VENTURA dal carcere di Monza. Dall'accusa di tentativo di procurata evasione furono assolti con la formula "perché il fatto non costituisce reato", solo in quanto, "essendosi limitati a formulare mere proposte, sia pure accompagnate dalla garanzia della consegna delle chiavi del carcere e delle due bombolette narcotizzanti", avevano "tenuto una condotta limitata alla fase preparatoria del reato " (53). "Resta, comunque, insopprimibile storicamente, con tutto il suo carico di preoccupanti problemi sulle motivazioni ispiratrici...il fatto che un piano di evasione fu elaborato e proposto in favore di Giovanni VENTURA per iniziativa od almeno con la partecipazione di esponenti del S.I.D." (54).


b)Affermare od escludere la penale responsabilità degli imputati nel procedimento cosiddetto `del Golpe BORGHESE'

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(53) - AA, V6, C40, p677. (54) -AA, V6, C40, pp. 677-678. e nei procedimenti connessi in relazione alle norme incriminatrici dall'accusa contestate in quella sede, era questione rimessa all'esclusiva cognizione del giudice naturale, e in tale sede risolta con pronuncia oramai irrevocabile (55). Ai fini che qui rilevano, occorre evidenziare come l'azione dei congiurati si sia potuta dispiegare solo grazie al compiacente silenzio del Gen. MICELI ed all'azione di copertura da costui svolta, come capodel S.I.D.,in favore degli insorti.Aveva il MICELI avuto "incontri con l'ORLANDINI ed il BORGHESE prima degli eventi del 1970" e trattenne poi nei propri cassetti, fino alla rimozione dalla carica, "una proposta del reparto `D' per diramare alle superiori autorità il risultato delle indagini sul `golpe'". Che egli avesse aderito o non a determinate iniziative, nulla rileva, sufficiente essendo constatare che il "MICELI ha spudoratamente mentito, patentemente violando fondamentali obblighi del suo ufficio", al punto che "per oltre tre anni egli ha agito legibus solutus, senza che



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(55) - AA, V20, C89.


alcuna delle autorità sopraordinate abbia avuto modo di imporgli il rispetto di fondamentali principi di legalità e di correttezza". "Il silenzio del SID è dolosa agevolazione dei congiurati, è sintomatica manifestazione di una volontà diretta ad intralciare il corso della giustizia, è criminoso rifiuto di uffici legalmente dovuti" (56). Il MICELI occulta le prove in suo possesso ed impone il silenzio ai suoi sottoposti.


c)E' agli atti (57) -ed è in parte riportata nella relazione conclusiva di maggioranza della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla Loggia P2 (58)- la trascrizione della deposizione resa il 5/6/1974 al Giudice Istruttore di Padova dal giornalista Giorgio ZICARI. Questi, convocato a seguito della pubblicazione di alcuni suoi articoli sul `Corriere della Sera', ebbe a riferire che, nel 1970, avendo appreso che il M.A.R. di Carlo FUMAGALLI(59) coltivavaprogrammiterroristici di

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(56)- I brani riportati tra virgolette sono tratti dalla requisitoria scritta del PUBBLICO MINISTERO (RE, pp. 215-217), il quale li cita, testualmente traendoli dalla requisitoria del PUBBLICO MINISTERO di Roma rassegnata nel procedimento `del Golpe BORGHESE'. Cfr. anche Cal., V6, C1, pp. 192-196 ed AA, V5, C29, pp. 48 verso-49 verso, nonché RE, pp. 190 ss.
(57) -Cfr. Cal, V6, pp. 1008/506 ss.
(58) - Cfr. AA, V5, C29, pp. 49 verso e 50 recto.
(59)- Per quanto riguarda costui ed il M.A.R., cfr. AA, V16, C85, nonché RE, pp. 295 ss.


terrificante gravità, e avendone riferito al capo


cronista Franco DI BELLA, il quale aveva avvisato i Carabinieri, si era prestato, richiestone da un ufficiale
dell'Arma, a collaborare con il S.I.D., entrando all'uopo in contatto con i latitanti Carlo FUMAGALLI e Gaetano ORLANDO, e ottenendo da costoro, grazie a colloqui registrati su nastro, informazioni per il citato apparato di sicurezza.


Riferì poi che, dopo la telefonata di convocazione da parte del Magistrato, ne aveva ricevuta immediatamente un'altra. Così testualmente: "...Mi sembra molto grave ciò che accadde dopo la telefonata della S.V.: ne ricevetti una dal MORETTI della Legione di Brescia, il quale mi comunicò che il Gen. PALUMBO aveva urgenza di vedermi per cose importantissime di cui non poteva parlarmi per telefono...venni avvicinato da un vecchio amico, il Col. ROSSI dei CC. di Milano, che insistette perché mi incontrassi con il Gen. PALUMBO...restai d'accordo che mi avrebbero prelevato per portarmi a Milano...Per l'occasione mi ero munito di un registratore...riconobbi il Gen PALUMBO...Quando rimproverai in certo modo al gen. che si era lasciato prosperare il gruppo di FUMAGALLI pur avendo tutti gli elementi per bloccarlo, il gen. disse che l'indagine era proseguita tanto è che l'arresto di SPEDINI e BORROMEO non era avvenuto per caso. Obiettai che in tal caso avrebbero dovuto riuscire anche a fermare FUMAGALLI e impedire la strage di Brescia. Si era arrivati in Piazza De Angeli. Qui scendemmo dall'auto...il col. del S.I.D., munito di chiavi, aprì la porta di un appartamento. Si trattava di un ufficio di copertura del S.I.D...Il Col. del S.I.D. e il Col. ROSSI si trattennero da una parte mentre il gen. PALUMBO ed io entrammo in uno studio. Mi riservo di fornire tutti i dettagli di questo colloquio il cui tema centrale fu che io non dovevo parlare, che poteva succedermi qualcosa, dei fastidi, che io avevo tutto da perdere dalla vicenda, che i Magistrati stavano tentando di sostituirsi allo Stato riempiendo un vuoto di potere, che non si sapeva cosa il giudice TAMBURINO volessecercare,che non ero obbligato a testimoniare..."


d)La Corte haacquisito la recente sentenza della Corte d'Assise di Venezia in data 25/7/1987 (60),la quale, nell'accertare la responsabilità di Vincenzo VINCIGUERRA e Carlo CICUTTINI per la strage di Peteano, ha altresì fatto luce sullo sconvolgente scenario di deviazioni poste in essere per coprire le responsabilità dei terroristi neofascisti e dirottare le indagini verso false piste. Responsabili del calunnioso coinvolgimento di innocenti sono stati riconosciuti, riportando pesanti condanne, gli ufficiali dell'Arma Dino MINGARELLI e Antonino CHIRICO. Dal canto suo, il solito Gen. PALUMBO -dallamorte sottratto alle sue responsabilità- si servì poi del fido Col. Michele SANTORO (condannato dalla Corte d'assise di Venezia), perché costui, unitamente al S.I.D., potesse orchestrare la simulazione di una falsa pista `rossa'.


La complessiva regia del PALUMBO è messa in piena luce dal seguente passo della sentenza (61): "...PALUMBO...ordina al MINGARELLI di assumere

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(60) - AAD, V10 ter, C2.
(61) - Cfr. AAD, V10 ter, C2, pp. 503-504. personalmente la direzione delle indagini relative alla strage di Peteano sovvertendo le ordinarie competenze secondo le quali mai un comandante di legione avrebbe dovuto svolgere funzioni di polizia giudiziaria, `esautorando'...il comandante del gruppo di Gorizia: e tutto questo perché MINGARELLI era un suo uomo di fiducia, la quale è del tutto agevole collegarla ai precedenti che avevano contraddistinto la condotta del MINGARELLI nella gestione ed organizzazione del `Piano Solo'" (62) "E il MINGARELLI a sua volta si fece affiancare da un uomo di fiducia nella persona del CHIRICO, che pure lui non aveva competenza in merito, essendo del Gruppo di Udine.


Ma si è visto che l'intervento del PALUMBO non si esaurì nella scelta di chi avrebbe dovuto condurre le indagini, ma si concretò in un costante interessamento che, avuto riguardo alla natura delle iniziative assunte, meglio si direbbe interferenza.




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(62) - Per il quale, cfr. AA, V15, C83 e RE, pp. 5-35, e, in particolare, pp. 21-26


E' sufficiente richiamare la vicenda PISETTA..." (63)


"Ancora le `veline' dirette ad accreditare la pista rossa e a bloccare quella nera.


Il fatto, poi, del tutto singolare, di preoccuparsi non solo che gli eredi delle vittime della strage di Peteano si costituissero parti civili contro gli imputati di allora," (64) "ma di disporre riunioni tra i legali delle medesime, ancora nel procedimento di appello celebratosi a Trieste, tenute presso la sede del comando di divisione a Milano..."


Nella parte finale della sentenza, laddove si riepilogano

i nodi della complessa e ponderosa decisione, è scritto tra l'altro (65): "...Depistamento delle indagini in direzioni del tutto inconsistenti: pista rossa e conseguenti reati di falso, pista gialla e conseguenti reati di falso e di calunnia volti ad accreditare anche


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(63) - La `pista rossa' di cui si è fatto cenno fu orchestrata, attribuendo falsamente a Marco PISETTA, già militante nel G.A.P. e nelle B.R., informazioni secondo le quali il progetto della strage di Peteano era maturato nell'ambito delle predette organizzazioni, e comunque nell'area eversiva di estrema sinistra.
(64) -I "Goriziani", incolpati e perseguiti a seguito delle prime indagini, vittime della calunnia pluriaggravata per la quale sono stati condannati il MINGARELLI ed il CHIRICO.
(65) - AAD, V10 ter, C2, pp. 892-893.


in sede giudiziaria la seconda, con un interessamento diretto del PALUMBO che da solo dice in quale direzione debba essere ricercata la fonte delle condotte delinquenziali contestate agli imputati in questa sede: ed anche qui l'operato richiamo al `Piano Solo', alla Loggia P2," (66) "alle deviazioni di parte dei Servizi di informazione, visto alla luce di quella strategia della tensione in atto negli anni '70, è un richiamo del tutto pertinente e assolutamente aderente alla realtà storica e processuale che connota la vicenda di Peteano e che in tutti i modi e a vari livelli si è tentato di impedire che emergesse proprio perché non venissero alla luce quelle `coperture' della strage che sono le sole responsabili della complessità della vicenda di Peteano dato che il delitto in sé della strage non avrebbe presentato soverchie difficoltà sia in sede di Polizia Giudiziaria sia in sede giudiziaria.


Ma sono intervenute quelle coperture che hanno deviato le indagini, che hanno visto organi dello Stato preposti

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(66) - Sul punto si dovrà tornare, ma è necessario anticipare fin d'ora che il PALUMBO era affiliato alla loggia del GELLI sin dal 1972.


all'accertamento del crimine e alla individuazione dei responsabili attivarsi perché tutto questo non avvenisse, non esitando a ricorrere alla costruzione di calunniose accuse in danno di innocenti per dare credibilità al loro operato..."


e) Fra il 28 febbraio ed il 2 marzo 1974 ebbe luogo, presso l'`Hotel Giada' di Cattolica, una riunione cui parteciparono, fra gli altri, Clemente GRAZIANI, Salvatore FRANCIA, Paolo SIGNORELLI, la moglie di Elio MASSAGRANDE e la moglie di Amos SPIAZZI (67). Il PUBBLICO MINISTERO, nella requisitoria scritta, ha indicato gli elementi di giudizio sui quali fonda il convincimento che nella riunione di Cattolica si siano gettate le basi della riorganizzazione clandestina di Ordine Nuovo e del rilancio della lotta armata in prossimità della scadenza del referendum sul divorzio. Ai fini che qui rilevano, basterà osservare che si trattava,comunque, di una riunione cui partecipavano, direttamente, o per

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(67) - Cfr. RE, pp. 147-148: secondo quanto ivi indicato dal PUBBLICO MINISTERO, tali notizie eran state riferite il 30/4/75 al Giudice Istruttore di Torino dall'Ispettorato contro il terrorismo per l'Emilia-Romagna e Marche (Diretto dal dott. Emilio SANTILLO).


interposta persona, i vertici di un movimento già


disciolto, per aver ripetuto le forme e le finalità del
Partito Fascista; che dell' `Hotel Giada', in cui essa si svolse, era titolare tale Mario Caterino FALZARI, collaboratore dei servizi di sicurezza; e che di tale sua qualità non mancava la consapevolezza, secondo quanto risulta dal provvedimento 25/6/1976 del Giudice Istruttore di Bologna investito dell'indagine relativa ad `Ordine Nero', ove -nella parte riportata nella requisitoria scritta del PUBBLICO MINISTERO (68)- si legge: "Il titolare della pensione Giada, Caterino FALZARI,era infatti un collaboratore dei Servizi segreti italiani, e, comunque, di questa sua qualità si sono dichiarati a conoscenza i promotori della riunione. Ora, è perlomeno insolito che i dirigenti di un movimento illegale scelgano, quale luogo di riunione, proprio quello in cui sanno di poter essere sorvegliati...resta la sola spiegazione che quello fosse l'unico posto `sicuro' ove operare, fidando di opportune coperture."




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(68) - RE, pp. 150-151.


f)Nella sentenza della Corte d'Assise di Bologna in data 20/7/1983 (69), pronunciata nel procedimento per l'attentato al treno `Italicus', dopo aver dato atto (70) che Luciano FRANCI, nell'istruttoria del procedimento per l'omicidio del dott. OCCORSIO, si era detto in possesso di notizie relative a collegamenti esistenti fra esponenti della P2, il S.I.D. ed alcuni elementi di destra di Arezzo, ed aveva ricevuto sostanziale conferma da parte del BATANI ("il quale, pur asserendo di non voler rendere dichiarazioni in merito (per timore), implicitamente ribadiva l'esistenza degli anzidetti rapporti ed attestava la veridicità del FRANCI"), si rileva (71), fra l'altro: "...la veridicità delle asserzioni di FRANCI...trova riscontro...nella pacifica circostanza che CAUCHI Augusto (già capo degli estremisti di destra aretini assieme a BATANI) nel periodo maggio-giugno 1974 fosse effettivamente entrato in rapporti col S.I.D. (lo ha confermato il generale SANTOVITO Giuseppe, anch'egli piduista, nel corso dell'istruttoria ed

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(69) - AA, V4, C19.
(70) -AA, V4, C19, pp. 197-198. (71) -AA, V4, C19, p199. all'udienza 5/5/82)..."


Questa Corte ha acquisito una nota (72) inviata il 20/12/1977 dal Capo del Centro SISMI di Firenze al Capo del Reparto `D', presso la sede centrale del Servizio, in Roma. In essa, sotto l'intitolazione "CRONISTORIA DEI CONTATTI CON AUGUSTO CAUCHI", si riferisce, tra l'altro, che: nei primi giorni del maggio 1974, la stampa quotidiana aveva pubblicato la notizia secondo cui una giovane recluta di Arezzo, tale BATANI Massimo, "era stata inquisita da organi di polizia del capoluogo umbro in ordine a presunte responsabilità nell'attentato perpetrato in Moiano (PG) contro la `casa del popolo', che il 22/4/1974 era stata devastata da una forte esplosione"; "alcuni giorni più tardi, allorché per una fortuita circostanza si determinò la possibilità di avere un incontro, che poteva essere chiarificatore, con un giovane (CAUCHI Augusto) che confidenzialmente si seppe essere vicino al BATANI e in grado di fare `confidenze' sulla vicenda, fu realizzato un incontro in Firenze";

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(72) - AAD, V10 bis, C1 ter.


l'incontro fu "attuato con misure di sicurezza e sotto copertura, cioè non fu specificato al convenuto, il CAUCHI Augusto, nè il nome nè l'appartenenza del contattante ad un precisoorganismo"; il CAUCHI "si dimostrò subito interessato a parlare del BATANI, scagionandolo completamente dalla sospetta partecipazione all'attentato di Moiano"; alla domanda "se esisteva ORDINE NERO, rispose che effettivamente c'era `gente' già di ORDINE NUOVO che si dava da fare per riorganizzarsi in gruppo, ma che li giudicava irresponsabili"; al termine dell'incontro "promise che si sarebbe adoperato per acquisire e riferire eventuali ulteriori notizie e, allo scopo, gli fu dato un numero di telefono per comunicare con il contattante"; ogni rapporto con il CAUCHI si concluse "praticamente" il 19 giugno: ciò "può esser dipeso anche dall'approssimarsi delle ferie estive"; peraltro, il CAUCHI "si rivelò di nessuno o modestissimo interesse sia perché presumibilmente e comprensibilmente interessato a non recare danno alla propria `parte' sia perché apparve non portato per temperamento e formazione a svolgere un'analisi critica e distaccata di fatti o situazioni sottoponibili alla sua attenzione"; erano passati sette mesi prima che il CAUCHI si facesse "di nuovo e per l'ultima volta sentire per telefono"; due o tre giorni dopo il duplice omicidio di Empoli da parte di Mario TUTI, il CAUCHI aveva cercato "per telefono l'elemento che lo aveva contattato, a quell'ora assente dall'ufficio"; questi, rintracciato, "fece dire al CAUCHI, che aveva lasciato detto che avrebbe richiamato, di dare un recapito telefonico"; in effetti, il CAUCHI di lì a poco aveva ritelefonato, "dicendo che poteva esser chiamato al posto telefonico pubblico della Stazione FF.SS. di Milano"; chiamato successivamente dal contattante,il CAUCHIaveva effettivamente risposto dal recapito dato ed aveva subito chiesto all'interlocutore se era in grado di metterlo in contatto con il PUBBLICO MINISTERO che conduceva le indagini sull'eccidio di Empoli, "dichiarandosi estraneo alla vicenda e estremamente interessato a chiarire ogni cosa col magistrato"; l'interlocutore lo aveva rassicurato,

dicendogli che avrebbe rappresentato il suo desiderio al magistrato incaricato delle indagini; senonché, il silenzio del CAUCHI, nei giorni successivi, aveva però vanificato la possibilità della spontanea presentazione al magistrato, sino a quando Luca DONATI, costituitosi, ebbe a confermare "l'avvenuta fuga all'estero di CAUCHI Augusto".


Così conclude testualmente il documento: "Da allora non è stato attuato alcun tentativo di acquisizione di notizie sulla latitanza di CAUCHI, nella precisa preoccupazione di ingenerare in chicchessia malfidati sospetti di collusione col soggetto. Si può e si deve pur dire: Giannettini DOCET!.."


L'anelito autogiustificatorio della nota produce effetti di elevato quanto involontario umorismo. Tanta e tale è la preoccupazione di prender le distanze dal CAUCHI, che la possibilità del primo incontro con costui -da un confidente indicato come potenziale confidente- vien fatta derivare da una "fortuita circostanza". Non solo, ma il CAUCHI dà la stura alle confidenze con persona che, lungi dal rivelare l'appartenenza "ad un preciso organismo", per maggior sicurezza non declina neppure le proprie generalità; e poiché il CAUCHI deve pur comunicare le notizie che solertemente e disinteressatamente si impegna a continuare a raccogliere, gli vien fornito un numero di telefono al quale chiamare l'anonimo e misterioso "contattante". E' comunque in grado di scagionare immediatamente il BATANI, che -guarda caso- è persona a lui vicina e della sua stessa area. Resta soltanto da chiarire quale effettiva incidenza abbiano avuto le scadenze feriali sulla conclusione del rapporto.


Occorre considerare che -comeemerge dalla recente sentenza della Corte d'Assise di Firenze (73)- non soltanto il CAUCHI ed il BATANI, all'epoca cui la nota si riferisce,facevanoparte della stessa bandaarmata (74), operante in Toscana, ma concorsero entrambi, con altri, nell'attentato di Moiano (75).E ciò, a voler prestar

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(73) - La sentenza trovasi in vu 10/6/88, pp. 17-450.
(74) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 21 e 443.
(75) - Cfr. la sentenza di cui alla nota (73), in vu 10/6/88, pp. 91 ss. e 355 ss., ed, in particolare, pp. 95 e 355, che richiamano la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Bologna in data 14/2/84. fede alla nota, aiuterebbe a comprendere perché il CAUCHI avrebbe scagionato il BATANI, ma introdurrebbe, al tempo
stesso, un elemento di grave perplessità: perché, in tal caso, si dovrebbe pensare che il Servizio, indagando sulle responsabilità di uno degli attentatori, si sia trovato, "per fortuita circostanza", a ricevere confidenze da un correo.


Il quadro si viene chiarendo ove si consideri che, da un lato -come si vedrà in prosieguo- nei primi mesi del '74 Licio GELLI aveva sovvenzionato la banda armata del CAUCHI, versando denaro direttamente a costui, e, dall'altro, che il GELLI -del cui ruolo di surrettizio controllo rispetto ai servizi di sicurezza si dovrà dire meglio in seguito- già nel '73, nel corso di una conversazione intercettata mediante microfoni piazzati in un albergo romano dal servizio di controspionaggio del Gen. VIVIANI, poté permettersi di qualificarsi, con interlocutori arabi, come il capo dei servizi segreti italiani (76).


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(76) -Quest'ultimanotizia proviene dal teste Gen. Ambrogio VIVIANI: cfr. vu 4/12/87, pp. 29 e 31 e AAD, V13, C5, punto 6, p25.


Ma anche a prescindere da tutto ciò, basterebbe soffermare l'attenzione sulla chiusa del documento. Alla resa dei conti, si deve pur ammettere che non si è provveduto in alcun modo ad acquisire "notizie sulla latitanza del CAUCHI" e si ricorre all'argomento lapidariamente espresso nelle parole "GIANNETTINI docet": quasi che siffatta preoccupazione soggettiva, quand'anche non fosse -come è- pretestuosa (perché altre, appunto, erano le ragioni del `disinteresse' per la latitanza del CAUCHI), potesse giustificare l'omissione di quella doverosa attività.



2.4.4.3) Il personaggio GELLI ed il sistema di potere creato attraverso la `P2'


La centralità della figura del GELLI nell'economia dell'impianto accusatorio è di tutta evidenza. Si assume l'esistenza di un'alleanza di militari e civili, volta al condizionamento degli equilibri politici del Paese ed al consolidamento di forze ostili alla democrazia, anche attraverso la gestione della violenza armata neofascista. All'interno di tale alleanza, il GELLI sarebbe stato contitolare della strategia politica di fondo; inoltre, attraverso l'uso del sistema di potere parallelo e surrettizio creato attraverso la loggia di cui era dominatore incontrastato, avrebbe coordinato, da dietro le quinte, il processo di progressiva infiltrazione nei gangli vitali delle Istituzioni, che di quella strategia costituiva la pratica attuazione; ancora, sarebbe stato il vero `dominus' degli apparati di sicurezza, che, attraverso spezzoni deviati, da considerare parte integrante dell'alleanza eversiva, assicuravano le necessarie coperture a determinati ambienti del terrorismo `nero'; infine, sarebbe stato in collegamento, in taluni casi direttamente, in altri per interposta persona, con esponenti di quegli ambienti terroristici la cui azione armata riusciva strumentale agli obiettivi politici dell'associazione.


2.4.4.3.1) La strategia gelliana


Alla stregua di quanto testé detto, la prima verifica da compiere attiene all'individuazione della strategia riferibile al GELLI e, di riflesso, al nucleo degli imputati di associazione eversiva.


Vengono in considerazione, in primo luogo, taluni documenti. In occasione della testimonianza resa il 15/2/1977 al Consigliere Istruttore di Bologna, il Prof. Ferdinando ACCORNERO, `massone democratico', produsse un verbale (77) della riunione 5/3/1971 del Raggruppamento GELLI-P2 (verbale recante l'indicazione "SEGRETO"), che così elenca gli argomenti trattati:


"a) - situazione politica ed economica dell'Italia;


b)-minaccia del Partito Comunista Italiano, in accordo con il clericalismo, volta alla conquista del potere;


c)- carenza di potere delle Forze dell'Ordine;




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(77) - Cal., V5, C1, pp. 48 ss.


d)-mancanza di una classe dirigente ed assoluta incapacità del Governo nel procedere alle riforme necessarie per lo sviluppo civile e sociale del Paese;


e)-dilagare del malcostume, della sregolatezza e di tutti i più deteriori aspetti della moralità e del civismo;


f)-nostra posizione in caso di ascesa al potere dei clerico comunisti;


g)-rapporti con lo Stato italiano."


Nel corpo del documento, dove si illustrano più diffusamente i contenuti della riunione, si dà atto che, tra l'altro, si è lamentato l' "enorme strapotere assunto dai sindacati, i quali, da entità appena tollerate, sono riusciti oggi ad assoggettare completamente al loro volere tutti gli Organi governativi"; è stato fatto rilevare come "sia notorio che il Partito Comunista Russo, in accordo con quello italiano, stia esperimentando un nuovo tipo di tattica per il `colpo di stato'"; è stato posto in rilievo come "le Forze dell'Ordine sono impedite nello svolgimento dei loro doveri e sono costrette a subire ogni sorta di violenze ed umiliazioni -alle quali devono sottostare passivamente senza poter accennare la benché minima reazione- perché prive di precisi ordini scritti"; è stato fatto rilevare "che la particolare posizione geografica e la struttura oro-idrografica hanno reso e rendono l'Italia un Paese eminentemente agricolo..." ed "...è di pressante interesse procedere ad una riforma che si basi su provvedimenti adeguati per trattenere, o meglio, per richiamare, alla terra le forze ancora valide ed impedire così il disfacimento totale del nostro potenziale agricolo e di tutti i valori sociali ed economici ad esso strettamente connessi"; si è giunti alla conclusione "che il nostro Paese è di fronte ad un bivio decisivo: o orientarsi verso una dittatura clericale di estrema destra, oppure verso un ancor meno auspicabile regime di estrema sinistra"; ..."molti hanno chiesto -e non ci è stato possibile dar loro nessuna risposta...- come dovremmo comportarci se un mattino, al risveglio, trovassimo i clerico-comunisti che si fossero impadroniti del potere: se chiuderci dentro una passiva acquiescenza, oppure assumere determinate posizioni ed in base a quali piani di emergenza".


Giustamente, quindi, il GELLI, nella "RISERVATA" del 15/7/1971 (78), nel trasmettere il verbale in questione, poteva vantarsi nei seguenti termini: "...la filosofia è stata messa al bando, ma abbiamo ritenuto, come riteniamo, di dover affrontare solo argomenti solidi e concreti che interessano tutta la vita nazionale..."


In epoca prossima al "periodo delle ferie estive" del 1974, l'imputato, in veste di Segretario Organizzativo della P2, su carta intestata al "Centro Studi di Storia Contemporanea" di Roma, coglie l'occasione per dare ai `fratelli' il seguente avvertimento (79): "non è allarmisticamente che si prevede una estate veramente calda, direi scottante per una notevole quantità di problemi estremamente impegnativi"; e soggiunge: "Auspichiamo il rispetto delle leggi e la emanazione di quei provvedimenti intesi alla salvaguardia della dignità umana, al diritto al lavoro, alla conservazione della nostra cultura e della etica nazionale. Auspichiamo che l'organizzazione centrale dello Stato trovi il modo di adeguare e ridurre alla consapevole

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(78) - Cal., V5, C1, p54.
(79) - Cal., V6, C1, p1008/443. collaborazione gli organi periferici...Auspichiamo che le buone leggi tanto agognate da ogni cittadino vedano la luce e trovino un terreno di applicazione nella ritrovata serena pace operativa di tutta la nazione..."


In buona sostanza, il GELLI -in forma neppure troppo velata- viene proponendo la propria organizzazione come un soggetto politico generale, che, essendo strutturato in forma occulta e muovendosi parallelamente alle Istituzioni democratiche, prende posizione in favore del varo di provvedimenti legislativi sostanzialmente volti ad arginare l'azione di quei "gruppi sindacali che con la loro opera distruggono proprio quei posti di lavoro per i quali sono stati, invece, chiamati ad operare..."


Ci si deve augurare "che si trovi finalmente la forza di operare sinceramente e soprattutto con decisione alla estirpazione del male maggiore...: le eversioni, la delinquenza organizzata ed operante all'ombra dell'ideale politico sia di destra che di sinistra...che il buon senso prevalga al di sopra di ogni velleitarismo demagogico, che si instauri finalmente una sana politica economica...aliena da ogni vocazione punitiva, intendendo come punizione il continuo ricorso all'avvilimento della funzione produttiva dell'iniziativa privata..."


Il 4 luglio del 1981, all'aeroporto di Fiumicino, a Maria grazia GELLI, figlia dell'imputato, veniva sequestrato, tra l'altro, il documento intitolato "PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA" (80). Per i riferimenti interni, esso può essere datato alla seconda metà del 1975 od agli inizi del 1976; e costituisce una più elaborata e sistematica articolazione, adeguata ai tempi nuovi, della linea politica riferibile al gruppo di comando della Loggia P2. Commenta giustamente la Relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare d'inchiesta che "traspare...dalle righe di questo singolare breviario politico, calata in una prospettiva gelidamente tecnocratica, l'immagine chiusa e non priva di grigiore di una società in cui si lavora molto e si discute poco".


Nel `Piano di rinascita democratica', al punto 1) della premessa, ci si preoccupa di chiarire che "l'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal...piano


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(80) - Cfr. Cal., V6, C1, pp. 167-179.


ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema"; già al punto 4) della stessa premessa, peraltro, si avverte "per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione -successivi al restauro del libero gioco delle istituzioni fondamentali-".


Sotto la voce obiettivi, al punto 3), si legge: "Primario obiettivo ed indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti), ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici ammnistratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità.


Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione del piano e nei confronti della forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare." Naturalmente, "importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale".


Il piano ha per obiettivi i partiti politici, la stampa, i sindacati (da ricondurre "alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori"), il Governo, la magistratura, il Parlamento ("la cui efficienza è subordinata al successo dell'operazione sui partiti politici, la stampa e i sindacati").


Tutto è finalizzato ad una forma di controllo irradiantesi in ogni direzione. "Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario.


La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.


Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire interferenze reciproche..."


Resta così affermata la strategia della strumentalizzazione degli istituti democratici, previamente `occupati' in forma strisciante attraverso il canale non istituzionale del `club' di stampo rotariano.


Il piano indica poi i "procedimenti" per l'attuazione degli obiettivi. Nei confronti del mondo politico, si tratta innanzitutto di "selezionare gli uomini" (nominativamente indicati) e, se le attuali formazioni politiche sono in grado diavere ancora la necessaria credibilità esterna", di "affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti per permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti"; in caso contrario, di "usare gli strumenti finanziari per l'immediata nascita due movimenti", accorpanti i principali partiti rappresentati in Parlamento, ad eccezione del partito Comunista: movimenti che "dovrebbero esser fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a 3".


Quanto alla stampa, "occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro. L'azione dovrà essere condotta a macchia d'olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l'ambiente.


Ai giornalisti dovrà essere affidato il compito di `simpatizzare' per gli esponenti politici...prescelti".


"In un secondo tempo occorrerà:


a) acquisire alcuni settimanali di battaglia;


b)coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso un'agenzia centralizzata;


c)coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale;


d)dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costit."


Il documento si addentra quindi nella descrizione dei programmi di breve, medio e lungo termine. I provvedimenti urgenti attengono all'ordinamento giudiziario (responsabilità civile, per colpa, dei magistrati; divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari; esami psico-attitudinali preliminariper l'accesso in carriera),all'ordinamento del Governo, del Parlamento, e all'assetto economico-sociale del Paese."Pregiudizialeèche ogni attività...trovi protagonista e gestore un Governo deciso ad essere non già autoritario bensì soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le leggi esistenti".


"E'...opportuno acquisire uno o due periodici da contrapporre a Panorama, Espresso ed Europeo sulla formula viva del `Settimanale'".


Nell'ambito dei programmi di medio e lungo termine, si trovano indicate l'elezione del Presidente del Consiglio da parte della Camera all'inizio di ogni legislatura e la sua decadenza soltanto per effetto dell'elezione del successore, nonché l'inemendabilità dei decreti-legge.


Coevo al PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA è il "MEMORANDUM SULLA SITUAZIONE POLITICA IN ITALIA" (81), sequestrato nella medesima occasione. In esso, dopo aver individuato le cause cui si riconduce l' "alto livello di instabilità" della situazione politica italiana, si afferma che "il difetto di

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(81) - Cal., V6, C1, pp. 180-187.


leadership politica -e anche sindacale- sta alle radici dell'anarchismo dilagante così come della fatiscenza delle istituzioni statuali le quali possono agire soltanto se un potere politico integro impone direttive chiare che vanno eseguite dagli agenti dello Stato con spirito di purezza rotariana nella consapevolezza di un servizio reso alla comunità nazionale". "In altri Paesi -ed in tutte le epoche...- la concomitanza della crisi morale, politica ed economica ha condotto all'instaurazione di regimi di ferro...(ivi comprese le militaricrazie di cui sono costellate le carte geopolitiche)...Non si vede come l'Italia possa sottrarsi a tale ineluttabile destino soprattutto quando si è in presenza di un PCI capace, meglio delle altre forze politiche, di rendersi interprete e protagonista dei cambiamenti verificatisi nella società civile...Un PCI, chiaro, che nasconde il suo vero volto ungherese e cecoslovacco con una maschera di perbenismo e neoilluminismo liberale..."


Si sostiene che "una forte polarizzazione alle due estreme potrebbe provocare la scintilla di una guerra civile...o meglio, tenuto conto della natura degli italiani, di una progressiva degradazione della società civile verso un caos anarcoide di sommosse quotidiane. A questo punto, la soluzione di una `militaricrazia' all'italiana potrebbe non apparire del tutto impensabile quale unica alternativa al regime comunista".


Dopo aver individuato le pretese cause della crisi del Partito democristiano, si introduce il concetto di "rifondazione": "rifondazione, quindi, e ringiovanimento della DC può significare soltanto virare di 180 gradi, escludendo gli errori compiuti e sostituendo -almeno per l'80%- tutta la dirigenza." Si viene dunque chiarendo che significato abbia, nel PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA, l'indicazione dei partiti politici democratici quale obiettivo primario. Si legge ancora nel MEMORANDUM della "necessità di costruire un nuovo assetto strutturale del partito articolato in clubs territoriali e settoriali destinati a funzionare come centri propulsori". Si arriva così alle prospettive concrete: "E' bene aggiungere, a mo' di conclusione che se per raggiungere gli obiettivi, fosse necessario inserirsi -qualora si disponesse dei fondi necessari pari a 10 miliardi- nell'attuale sistema di tesseramento della DC per acquistare il partito, occorrerebbe farlo senza esitare con gelido machiavellismo posto che `Parigi val bene una Messa'. Su un altro versante, ma con altrettanta fermezza, si deve tenere presente che l'unità sindacale in atto è la peggiore nemica della democrazia sostanziale che si vuole restaurare.


Sotto questo profilo qualunque spesa per provocare la scissione e la nascita di una libera confederazione sindacale che raggruppi gli autonomi appare indispensable se non addirittura pregiudiziale. Anche un costo aggiuntivo da 5 a 10 miliardi sarebbe poca cosa di fronte al risultato cui si tende."


Non si poteva essere più espliciti: si prospetta di `acquistare' il partito di maggioranza relativa e di intervenire nel mondo sindacale, ristrutturandone l'assetto, mediante la creazione di nuovi poli di aggregazione a suon di miliardi di lire.


Più in generale, i due documenti si muovono nella direzione del sostanziale svuotamento di fondamentali principi: quella che è stata definita la logica del controllo -contrapposta alla logica del governo- tende a sottrarre il potere alla comunità nazionale, politicamente intesa. La selezione degli uomini, e la manipolazione delle formazioni politiche esistenti, sono espressione di un surrettizio intervento, estraneo ai processi politici attraverso i quali, nelle forme della democrazia rappresentativa, una società libera e vitale esprime le proprie tensioni e trova i propri assetti.


Il 5/10/1980, compare sul `Corriere della sera' il testo di un'intervista (82) rilasciata dal venerabile maestro Licio GELLI al `fratello' piduista Maurizio COSTANZO (83). Alla domanda volta a conoscere se, eletto per avventura Presidente della Repubblica, l'intervistato avrebbe mantenuto la Costituzione, il GELLI, dopo aver fatto professione di umiltà, affermando di non possedere i necessari requisiti, aveva soggiunto: "...Ma quando fossi eletto, il mio primo atto sarebbe una completa revisione della Costituzione. Era un abito perfetto, quando fu


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(82) - Trovasi in Cal., V4, p65. (83) - Cfr. Cal., V6, C1, p11.


indossato per la prima volta dalla nuova Repubblica, ma oggi è un abito liso e sfibrato e la Repubblica deve stare molto attenta nei suoi movimenti per non rischiare di romperlo definitivamente. E' il parto dell'Assemblea Costituente avvenuto in un momento del tutto particolare nella vita della nostra nazione, ma che oggi, a cose assestate, risulta inefficiente ed inadeguato..."


2.4.4.3.2) Il sistema di potere


Si tratta di vedere se e fino a che punto determinate strategie abbiano trovato pratica attuazione.


Per comprendere la possibilità dell'uso strumentale -da parte del GELLI- della propria posizione all'interno dell'istituzione massonica rispetto ai fini enuclabili dai documenti di cui al paragrafo che precede, va subito chiarito quanto segue:


a) l'imputato ebbe ad acquisire, nella seconda metà degli anni settanta, il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda Due, espropriandone il naturale titolare, e cioè il Gran Maestro;


b) la Loggia Propaganda Due non poteva più, in quel periodo, correttamente definirsi riservata e coperta; era invero divenuta un'associazione segreta, la cui segretezza sussisteva non solo nei confronti dell'ordinamento generale e della società civile, ma altresì rispetto all'organizzazione che ad essa aveva dato vita.


Sarebbe ultroneo, rispetto ai fini della presente decisione, ripercorrere -come la Commissione Parlamentare d'Inchiesta ha invece dovuto fare (84)- la scansione delle tappe attraverso le quali si sono venute determinando quelle situazioni, rispettivamente di incondizionato assoggettamento della Loggia P2 al GELLI, e di sottrazione della Loggia al controllo dell'istituzione madre.


Quanto all'individuazione degli strumenti con i quali il GELLI ha potuto affermare il proprio potere assoluto sulla Loggia P2, riuscendo a sviluppare un crescente condizionamento dell'intera struttura massonica del Grande Oriente, e ad incidere direttamente sui più delicati apparati dello Stato, puntuali osservazioni ha svolto il

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(84) - Cfr. AA, V5, C29, pp. 11-18.


PUBBLICO MINISTERO nella requisitoria rassegnata all'esito dell'istruzione (85). Trattandosi di individuare cosa ha permesso al fascista volontario della guerra di Spagna, al disinvolto doppiogiochista della Resistenza, all'opportunista del primo dopoguerra, al modesto dirigente industriale degli anni '60, di divenire il `grande regista', o il `grande burattinaio', o addirittura -come taluno certamente non sprovveduto l'ha definito- "l'uomo più potente d'Italia", si deve avere precipuo riguardo alle seguenti circostanze:


a)l'aver l'imputato saputo convogliare sotto la copertura ed il comune denominatore massonico le spinte provenienti da quegli ambienti militari e dei servizi di sicurezza che cercavano una tumultuosa centralità nella vita politica del Paese, ottenendo la massiccia affiliazione dei gradi superiori dell'Esercito e dei carabinieri;


b)l'aver egli saputo coniugare la tradizionale propensione delle gerarchie militari per le logge massoniche in genere con l'impronta di acceso anticomunismo che veniva

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(85) - RE, pp. 342 ss., sino a p358.


conferendo alle linea politica della Loggia P2: impronta che si poneva in perfetta sintonia con gli orientamenti allora prevalenti negli ambienti dello Stato Maggiore, dei Servizi e dei comandi delle varie ARMI;


c)ancora, l'aver saputo tessere opportune trame negli ambienti delle Commissioni militari di avanzamento, dalle quali l'ulteriore carriera degli ufficiali affiliati dipendeva;


d) l'aver poi, attraverso il vincolo della `solidarietà massonica' -espressione concreta del solenne impegno assunto dagli affiliati all'atto dell'iniziazione alla loggia- orizzontalmente esteso le ramificazioni del proprio potere, in direzione della pubblica amministrazione (86), della magistratura (87), del mondo degli affari e dell'editoria (88), degli ambienti politici (89);


e)l'aver acquisito quel formidabile strumento di controllo, quella formidabile leva di potenziale ricatto, costituita


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(86) - Cfr. AA, V5, C29, p57 ss. (87)-Cfr. AA, V5, C29, p59 verso ss.
(88) -Cfr. AA, V5, C29, pp. 62 verso ss.
(89) -Cfr. AA, V5, C29, pp. 71 verso ss. ed RE, pp. 374-408.


dai fascicoli del S.I.F.A.R., sopravvissuti alla distruzione nella forma dei cosiddetti `galleggianti'. Venendo agli effetti, cioè alle espressioni tangibili del potere gelliano (che, in definitiva, più da vicino interessano l'indagine di questa Corte), va subito rilevato come la potenza raggiunta dal capo della Loggia P2 già nel 1973 sia concretamente misurabile attraverso il noto episodio della `riunione di Villa Wanda'. Era `Villa Wanda' il domicilio aretino del GELLI. Si legge nella relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare d'Inchiesta: "Partecipano a tale riunione il generale PALUMBO, comandante la divisione carabinieri Pastrengo di Milano, il suo aiutante colonnello CALABRESE, il Generale PICCHIOTTI, comandante la divisione carabinieri di Roma, il generale BITTONI, comandante la brigata carabinieri di Firenze, l'allora colonnello MUSUMECI, il dottor Carmelo SPAGNUOLO, procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma. Licio GELLI si rivolse agli astanti affermando che la situazione politica era molto incerta; esortandoli a tenere presente che la massoneria, anche di altri Stati, è contro qualsiasi dittatura di destra e di sinistra e che la Loggia P2 doveva appoggiare in qualsiasi circostanza un governo di centro, il venerabile invitava infine i presenti ad operare a tal fine con i mezzi a loro disposizione e pertanto a ripetere il discorso ai comandanti di brigata e di legione alle loro dipendenze. In questo contesto di discorsi fu altresì ventilata l'ipotesi di un governo presieduto da Carmelo SPAGNUOLO..." (90) "...un dato analitico di estremo interesse è la brevità del preavviso della convocazione che denuncia chiaramente come quella riunione non fu un evento eccezionale, ma si inseriva in una consuetudine collaudata di rapporti e frequentazioni..." (91) Non può che condividersi il giudizio espresso nella stessa relazione: la quale, dopo aver affermato che non può esser rievocata senza disagio la convocazione nella sua villa di alcuni generali della Repubblica da parte di un personaggio come Licio GELLI, soggiunge testualmente (92): "e veramente inaudito appare che essi ascoltassero da questi, alla stregua di un capo di Stato maggiore ombra, concioni sullo

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(90) - AA, V5, C29, p13v verso. (91) -AA, V5, C29, p45 recto.
(92) -AA, V5, C29, p45 verso.


svolgimento delle loro delicate mansioni, facendosi
destinatari dell'ordine di trasmetterle ai propri subalterni..."


La qualità delle relazioni intessute dal GELLI -che hanno in gran parte attinto la notorietà- è di per sé inequivocamente eloquente in ordine al livello di potere realeraggiunto da questo personaggio. Non è questa la sede, per ripercorrere, analiticamente, il vivace spaccato offerto nel 6° capitolo, 3° paragrafo, della requisitoria del PUBBLICO MINISTERO. Basterà, emblematicamente, ricordare come, alla corte dello `Hotel Excelsior' di Roma, ove il prevenuto dimorava e `dava udienza', il terrorista `nero' Paolo ALEANDRI, quando veniva ricevuto dall'imputato, abbia avuto occasione di trovarsi a fianco di personaggi del calibro del Gen. MICELI e di Umberto ORTOLANI, a loro volta ammessi a colloquio con il GELLI, nonché di vedere un ministro della Repubblica far anticamera,in attesa di essere ricevuto dal Venerabile, per sottoporgli le bozze di un decreto economico (93).


Il livello di penetrazione della `P2' negli apparati dello

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(93) - Cfr. ALEANDRI, 11/3/85, al PUBBLICO MINISTERO: in Cal., V5, C3, p87.


Stato ed in quegli ulteriori ambienti il cui controllo si rendeva necessario nella strategia gelliana va naturalmente misurato col metro delle affiliazioni. In proposito, va detto come non occorra spendere parole in ordine al problema dell'autenticità e dell'attendibilità delle liste sequestrate in Castiglion Fibocchi, dopo quanto accertato dalla Commissione d'Inchiesta (94).




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(94) - Cfr. AA, V5, C29, pp. 21 verso ss. Sul punto va fatta una precisazione. Non ignora il Collegio la sentenza della Corte Costituzionale 22/10/85 n. 231, nella parte in cui recita: "Come sono diversi i fini, così differiscono o possono differire i mezzi di cui si valgono le commissioni parlamentari d'inchiesta, rispetto a quelli tipici dell'autorità giudiziaria. Il 2° comma dell'art. 82 Cost. attribuisce, bensì, alle prime `gli stessi poteri', e prescrive `le stesse limitazioni' di quest'ultima, e ciò per consentire loro di superare, occorrendo anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali potrebbero scontrarsi nel loro operare. Ma le commisssioni restano libere di prescegliere modi di azione diversi, più duttili ed esenti da formalismi giuridici, facendo appello alla spontanea collaborazione dei cittadini e di pubblici funzionari, al contributo di studiosi, ricorrendo allo spoglio di giornali e riviste e via dicendo. Come esattamente fu notato da una antica dottrina, le persone dalle commissioni interrogate non depongono propriamente quali `testimoni', ma forniscono informazioni, e lo stesso è a dirsi delle relazioni varie che pubbliche autorità possono, su richiesta delle commissioni, ad esse presentare con riferimento a determinate situazioni e circostanze ambientali, tra cui bene possono trovar posto anche stati d'animo e convincimenti diffusi..." Tuttavia, l'opportunità, che le Commissioni d'Inchiestahanno, di servirsi anche di strumenti che restano esclusi dagli accertamenti giurisdizionali, non esclude che, laddove, in relazione ad un accertamento specifico, l'indagine sia stata condotta con mezzi e tecniche probatorie sovrapponibili a quelle dell'attività giudiziaria, e l'`iter' argomentativo appaia condivisibile, le relative risultanze possano essere mutuate ed utilizzate.


Orbene, per quanto riguarda gli apparati militari, dagli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi risultano esser stati iscritti alla P2 52 ufficiali dell'Arma, 50 dell'Esercito, 29 della Marina, 9 dell'Aeronautica, 37 della Guardia di Finanza e 6 della Pubblica Sicurezza. Come giustamente hanno osservato la Commissione d'Inchiesta ed il PUBBLICO MINISTERO, il primo dato che occorre mettere in rilievo è l'elevato grado ricoperto dagli affiliati: fra gli ufficiali dei Carabinieri, in servizio o a riposo, che figurano negli elenchi, dodici ricoprono il grado di generale ed otto quello di colonnello; così troviamo ancora otto ammiragli, ventidue generali dell'Esercito, cinque generali della Guardia di Finanza, nonché quattro generali dell'Aeronautica. Sul totale complessivo degli esponenti del mondo militare, un'aliquota di poco inferiore al 50% ricopre il grado di generale o colonnello. Ancor più significativo è soffermarsi sulle specifiche funzioni rivestite da molti degli affiliati: l'ammiraglio TORRISI fu capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 1977-1980 e poi della Difesa negli anni 1977-1980; il generale GRASSINI diresse il SISDE dal novembre 1977 al luglio 1981; il generale SANTOVITO diresse il SISMI dal gennaio 1978 all'agosto 1981; il generale PICCHIOTTI fu negli anni 1974-1975 vicecomandante generale dell'Arma dei Carabinieri e in precedenza comandante la divisione carabinieri di Roma; il generale PALUMBO fu comandante della divisione carabinieri Pastrengo di Milano e poi anch'egli vicecomandante generale dell'Arma; il generale MICELI diresse il S.I.D. fra il 1970 ed il 1974; il generale MUSUMECI diresse l'Ufficio Controllo e Sicurezza del SISMI sotto la gestione SANTOVITO; i generali GIUDICE e GIANNINI furono comandanti generali della Guardia di Finanza rispettivamente negli anni 1974-78 e 1980-81.


Per quanto attiene alla pubblica amministrazione, va ricordato che l'organigramma complessivo della infiltrazione della Loggia negli apparati pubblici ammonta a 422 effettivi, divisi nelle varie amministrazioni e situati ai diversi livelli gerarchici. Si registra "una presenza penetrante e capillare di uomini della loggia P2 in praticamente tutti i settori della pubblica amministrazione, diretta ed indiretta, compresi gli enti a partecipazione statale" (95).


Non mancavano negli elenchi sequestrati nominativi di magistrati, in servizio e a riposo.


Ampiamente rappresentati i vertici del mondo imprenditoriale ed industriale (vi si contano un settantina di nomi, tra cui spiccano quelli di BERLUSCONI, GENGHINI, RIZZOLI), della finanza (particolarmente curato il settore bancario, dove si contano vari presidenti di istituti di credito, direttori generali e numerosi funzionari, e dove i nomi di maggior spicco sono quelli di SINDONA e CALVI), del mondo dell'editoria, del giornalismo e della televisione.


Fra gli iscritti negli elenchi, trentasei i parlamentari all'epoca in carica (oltre ad un certo numero di ex parlamentari), tra cui ministri ed ex ministri.


2.4.4.3.3) Il GELLI ed i servizi di sicurezza


Oggetto privilegiato d'infiltrazione piduista furono i servizi di sicurezza.

L'importanza del tema dei rapporti intercorrenti fra il


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(95) - AA, V5, C29, p58 recto.


GELLI e tali delicatissimi apparati è di tutta evidenza, ove si pensi che -secondo l'accusa- spezzoni deviati dei servizi segreti, secondo il patto scellerato sottostante all'associazione eversiva, avrebbero provveduto afornire adeguata copertura e garanzia d'impunità agli autori degli attentati e, segnatamente, agli autori della strage di Bologna.


Orbene, è dimostrato che Licio GELLI, all'epoca cui l'imputazione si riferisce, non soltanto era da lunga data interno agli apparati di sicurezza, ma aveva finito per assumere, rispetto ai medesimi, il ruolo di occulto `dominus'.


Sul settimanale `Panorama' del 18/5/1986 compare il testo di un'intervista (96) rilasciata dal Gen. Ambrogio VIVIANI, capo del controspionaggio militare fra il 1970 ed il 1974, ai giornalisti Romano CANTORE e Carlo ROSSELLA. Viene indicata come fornita dall'intervistato, fra le altre, la seguente risposta: "...Era l'autunno del 1973, non ricordo se ottobre o novembre. I miei uomini avevano piazzato dei

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(96) - Cfr. AAD, V16, C5, punto 6, p25.


microfoni in un albergo romano, non distante dalla stazione
Termini per controllare un gruppo di arabi che facevano vari traffici un poco loschi. In una registrazione saltò fuori una voce dall'accento toscano. L'uomo, rivolgendosi a uno degli arabi, proclamò: `Si ricordi che io sono il capo dei servizi segreti italiani.' Accidenti, chi è questo, pensai io. Non sarà il capo del servizio, il generale Vito MICELI? Scatenammo le indagini, soprattutto in Toscana. Scoprimmo che il millantatore era l'ex-materassaio GELLI..."


L'episodio riferito nell'intervista ha trovato conferma attraverso la deposizione (97) resa in aula dal Gen. VIVIANI, il quale, in proposito, ha peraltro continuato ad attribuire al GELLI il ruolo di millantatore, così motivando: "...Il capo non era mica lui! C'erano due capi, Federico D'AMATO ed il gen. MICELI..." Posto che anche senza la scrupolosa puntualizzazione del Gen. VIVIANI, risultava alla Corte sufficientemente chiaro che il GELLI non è mai stato formalmente investito della direzione di apparati di

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(97) - Cfr. vu 4/12/87, pp. 29-31. Il Generale ha tenuto tuttavia a precisare che il termine materassaio, che compare nel brano d'intervista sopra trascritto, non proviene da lui, in quanto egli non si sarebbe mai permesso di usarlo.


sicurezza, è a chiedersi se e fino a che punto -al di là
delle forme, sul piano della sostanza e del potere reale- la
rivendicazione da parte del GELLI di un ruolo di supremazia rispetto ai servizi segreti fosse un atto di millanteria. Va detto che, negli anni '72 e '74, un Centro del S.I.D. (98), per ordine dell'allora comandante del Raggruppamento Centri, ebbe ad avviare un'attività informativa sul conto dell'odierno imputato. Vennero raccolte notizie secondo cui, fra l'altro, il GELLI apparteneva alla Loggia P2, "loggia massonica importantissima, perché è composta da pochissimi elementi scelti", vantava la sua appartenenza al S.I.D., faceva uso del nome di copertura "Filippo" e dava come recapito telefonico quello del centro CS di Firenze (99).

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(98) -Che non può essere essere il Centro di Firenze, erroneamente indicato nella relazione di maggioranza della Commissione d'Inchiesta sulla Loggia P2 (AA, V5, C29, p36 recto), ma è uno dei Centri S.I.D. della Capitale. Ciò risulta sufficientemente chiaro dal fatto che, fra l'altro, fu raccolta la notizia secondo cui il GELLI forniva come recapito telefonico proprio quello del Centro CS di Firenze. D'altronde, il Cap. LABRUNA, davanti a questa Corte, ha chiarito che andò a Pistoia a fare gli accertamenti un suo collega di Roma (cfr. vu 10/2/88,p43).
(99) -Tali notizie sono contenute in un appunto del'74, che la Commissione Parlamentared'Inchiesta ha potuto acquisire dal SISMI postpiduista e bonificato del Gen. LUGARESI: appunto del quale, nella parte che qui interessa, ha dato lettura in aula il PUBBLICO MINISTERO l'11/4/88 (cfr. trascrizione requisitoria, in vu 22/6/88, p59). Già nella requisitoria scritta rassegnata all'esito dell'Istruzione (RE, p365) si dà atto che i dati raccoltiin occasione di quelle indagini parlavano dei legami di GELLI col SID, del nome di copertura "Filippo", del recapito telefonico presso il Centro CS di Firenze da parte del GELLI, della sua appartenenza alla Massoneria.


Orbene, dopo che l'informativa del '74, raccolta da un

ufficiale del S.I.D. di Roma (100) e dal M/llo ROSSI (101) di Pistoia,finìnellemani del Cap. LABRUNA e del Col. ROMAGNOLI (102), scattò dai vertici del servizio una durissima e minacciosa reprimenda nei confronti di chi aveva avuto l'ardire di indagare sul GELLI. E' testualmente riportato nella relazione di maggioranza della Commissione d'Inchiesta sulla Loggia P2 (103) il seguente eloquentissimo brano di un documento proveniente dal Centro S.I.D. resosi `responsabile' delle investigazioni sul conto del Venerabile: "Dopo qualche giorno lo stesso Comandante del..." (104) "mise al corrente il Comandante di questo Centro che l'allora comandante del reparto D" (105) "era andato su tutte le furie per le indagini svolte sul conto di GELLI. Infatti qualche tempo dopo lo stesso Comandante del



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(100) - Trattavasi del Cap. SANTONE: cfr. audizione LABRUNA davanti alla Commissione Parlamantare, in vu 10/2/88, p93. (101) -Cfr. vu 10/2/88, p43.
(102) -Cfr. il passo di cui alla nota che precede; il LABRUNA ha affermato che l'appunto fu consegnato al Col. VIEZZER: dunque, immancabilmente, nelle mani di un altro personaggio risultato poi iscritto negli elenchi di Castiglion Fibocchi.
(103) -AA, V5, C29, p36 verso.
(104) -In luogo dei puntini di sospensione si deve leggere, evidentemente "Raggruppamento Centri".
(105) -Il Gen. MALETTI, risultato a sua volta iscritto alla Loggia P2. reparto D rimproverò personalmente il Comandante di questo Centro di aver ubbidito al Comandante del..." (106) "nello svolgere indagini su GELLI, persona, secondo lo stesso,

influente e utile al Servizio, minacciandolo, per altro, di restituirlo all'Arma territoriale."


Questo era Licio GELLI nel 1974: indagare su di lui all'interno dei servizi era tabù: l'incauto che, in adempimento di un preciso dovere d'ufficio ed in esecuzione di un ordine superiore, si fosse posto ad indagare sul conto dell'odierno imputato, incappava nelle ire dei vertici del servizio (107) e correva il rischio di esser rimosso dall'incarico. E' perché? Perché Licio GELLI era "persona influente ed utile al Servizio".


Altre circostanze ancora portano ad emergenza quella che la Commissione Parlamentare d'Inchiesta ha definito come una sorta di "cordone sanitario informativo posto dai servizi a
tutela e salvaguardia del GELLI e di quanto lo riguarda". E'

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(106) -Cfr. nota (104).
(107) - Anche il Gen. VIVIANI, che nell'80 si affilierà alla
P2 (cfr. vu 4/12/87, p24), vari anni anni prima, dopo aver redatto un rapporto sul GELLI, cadde temporaneamente in disgrazia presso il Gen. MALETTI (cfr. vu 4/12/87, pp. 36-37).


riportata testualmente (108) nella relazione di maggioranza
una parte della risposta che l'Ammiraglio CASARDI, direttore


del S.I.D., firmò il 4/7/1977, riscontrando una richiesta dei giudici di Bologna che indagavano sulla strage dell' `Italicus': "Il SID non dispone di notizie particolari sulla loggia P2 di Palazzo Giustiniani...non si dispone di notizie sul conto di Licio GELLI per quanto concerne la sua appartenenza alla Loggia P2 oltre quanto diffusamente riportato dalla stampa" (109). A tacer d'altro, si dovrebbe comunque rilevare -come la Commissione rileva- "l'incredibile rinvio che un capo dei Servizi segreti fa alle notizie apparse sulla stampa, alla quale non ha vergogna di riportare il proprio patrimonio di conoscenze".


Ma non di insipienza o inefficienza si trattava. Ricorda infatti la relazione di maggioranza (110) che già nel 1974 il Direttore dell'Ispettorato per l'azione contro il terrorismo, Emilio SANTILLO, aveva trasmesso al giudice TAMBURINO, che indagava sulla `Rosa dei venti', la prima relazione sul "Gruppo GELLI". Ad essa avevano fatto seguito,

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(108) - AA, V5, C29, p42 recto.
(109) - Il testo completo della risposta dell'Amm. CASARDI trovasi in Cal., V5, C51, pp. 59-60.
(110) - Cfr. AA, V5, C29, p36 verso. nel 1975 e nel 1976, altre due relazioni, rispettivamente dirette al giudice ZINCANI, che indagava su `Ordine Nero',

ed ai giudici PAPPALARDO e VIGNA, impegnati nell'inchiesta sull'omicidio del giudice OCCORSIO. Osserva la Commissione esser le tre relazioni di fondamentale importanza perché "dalla loro lettura si evince che SANTILLO aveva lavorato isolatamente e non aveva potuto accedere, nello svolgere le sue indagini, al fascicolo, o ai fascicoli su GELLI in possesso dei Servizi. L'Ispettorato infatti per ricollegarsi ai trascorsi fascisti del Venerabile ricorre come fonte soltanto alla citazione di alcuni brani di documenti redatti dai massoni democratici. SANTILLO sostanzialmente centra, nelle tre relazioni, i collegamenti tra GELLI e gli ambienti massonici legati al generale GHINAZZI (comunione di Piazza del Gesù) con l'eversione nera, disegnando una aggiornata mappa della `massoneria nera', e parla per la prima volta di finanziamenti massonici a gruppi dell'estrema destra..." Riporta poi testualmente la Commissione (111) un passo della relazione SANTILLO del 1976, nel quale si riporta, per sommi capi, il contenuto di un documento propagandistico che il

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(111) - AA, V5, C29, p37 recto. GELLI avrebbe inviato ad alcuni `Fratelli' suoi intimi in

occasione della campagna elettorale di quell'anno: e non è
arduo riconoscervi -come la Commissione vi ha riconosciuto- "gli estremi del piano di rinascita democratica, con elementi che" orientano "a ritenere che il riferimento sia da riportarsi a tale documento o ad un suo estratto o riassunto".


Orbene compulsando le informative dei Servizi su GELLI, redatte in quegli stessi anni e negli anni successivi, la Commissione ebbe a rilevare che non vi era traccia delle relazioni del dott. SANTILLO.


Ma, nel 1974, anche l'Ufficio I della Guardia di Finanza si era interessato a Licio GELLI, predisponendo nella primavera tre rapporti. All'esito della loro lettura, la Commisssione rileva (112): "Il più completo dei tre rapporti è senza dubbio quello del maggiore DE SALVO che riferisce delle nuove attività economiche di GELLI e degli incarichi ricoperti in due società del gruppo LEBOLE nel settore dell'abbigliamento: la GIOLE e la SOCAM. Circa la posizione politica di GELLI, la qualifica `spiccatamente destrorsa',

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(112) - AA, V5, C29, p37 recto e verso.


dopo aver peraltro riferito che il GELLI `in Pistoia sino al 1956 era di orientamento comunista'; il rapporto si dilunga sulle amicizie e sui rapporti politici e con le autorità civili e militari di colui che indica come `un alto esponente della massoneria internazionale' ed afferma che proprio attraverso la massoneria passerebbero i suoi rapporti con PERON e CAMPORA (nel 1973 ha ricevuto la nomina a console onorario d'Argentina). Il maggiore dà anche notizia dei rapporti di GELLI con i paesi arabi e avanza l'ipotesi che egli svolga funzioni di `public relation man' per i rapporti non palesi e non ufficiali intrattenuti dall'Italia con Stati arabi, chiedendosi se ciò non sia in relazione al traffico di armi". Rileva ancora la Commissione come tale filone d'indagine non sia stato più ripreso da nessun apparato informativo, nonostante il rapporto documentasse in modo certo il contatto tra Licio GELLI e Luigi LENZI di QUARRATA, che era sospetto di traffico di armi (113)."Il rapporto accennava anche" -si


leggepoi nella relazione di maggioranza- "al sicuro



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(113) - Ed è risultato iscritto negli elenchi della P2 (cfr. Cal., V6, C1, p24).


possesso, da parte del Centro di Firenze, di un fascicolo personale intestato a Licio GELLI, del quale" al maggiore DE SALVO "non fu possibile prendere visione".


Si registra dunque, da parte del Servizio di sicurezza, rispetto alle iniziative d'indagine adottate da altri organi sul conto del GELLI una perfetta impermeabilità, operante nei due sensi: quello della non collaborazione; e quello della non utilizzazione degli spunti dalle altrui indagini emergenti.


L'ulteriore espressione del `cordone sanitario' è offerta dall'atteggiamento assunto dall'apparato di sicurezza militare, allorché, `obtorto collo', dovette in qualche modo uscire allo scoperto. Si legge nella relazione di maggioranza (114): "Continuando la lettura del fascicolo del SISMI, troviamo una nota datata 1977, quando in seguito ad un articolo apparso sull'Unità il Servizio, sollecitato dal ministro della difesa, risponde di non avere `sinora sviluppato specifiche attività di ricerca sulla massoneria' e con riferimento a Licio GELLI afferma che `è risaputo che

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(114) - AA, V5, C29, p37 verso.


il noto GELLI ha intrattenuto ed intrattiene rapporti con varie personalità di rango elevato, sia in campo nazionale che in quello internazionale'. Il Servizio è soltanto a conoscenza che `il PCI ha recentemente deciso di ridimensionare la forza e l'influenza delle logge massoniche in Italia,ritenute `centri di potere' capaci diintralciare le attività politiche ed economiche del partito.' A tal fine avrebbe intrapreso una campagna di stampa che accusando la massoneria di `inquinamento fascista' tende solo a screditarla." (115)


Nel 1978, sotto la gestione SANTOVITO, il SISMI appronta una relazione, per consentire al ministro della difesa di documentarsi in seguito alla presentazione di un'interrogazione dell'On. NATTA alla camera dei Deputati. Anche del contenuto di questo documento si dà conto nella relazione di maggioranza (116), che, fra l'altro, ne riporta testualmente il seguente brano conclusivo: "la massoneria, nell'ambito delle Forze Armate, ha un'influenza modesta e non certo tale, nonostante la propaganda in contrario, da


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(115) - Cfr. l'appunto in Cal., V5, C51, pp. 61-62.
(116) - Cfr. AA, V5, C29, p38 recto.


riuscire a distorcere le leggi che regolano la progressione delle carriere e l'assegnazione degli incarichi."


Rileva lapidariamente la Commissione che il documento "costituisce un esempio probante di disinformazione mirata, in quanto è sostanzialmente centrato su una serie di valutazioni politiche, concernenti il ruolo del partito comunista, ma anche di altri partiti, mentre difetta in modo esemplare di informazioni e notizie precise. Nulla si dice infatti di concreto sulla massoneria, per la quale ci si riporta ad informazioni tanto più puntuali quanto più lontano nel tempo è il periodo al quale sono riferite; ma soprattutto" il documento "è del tutto carente di notizie concernenti Licio GELLI e la loggia massonica P2".


Questo l'atteggiamento del Servizio in data anteriore al sequestro di Castiglion Fibocchi: il `cordone sanitario' viene saldamente mantenuto (117), secondo una linea di spudorata coerenza.


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(117) - Ci si riferisce al contegno mantenuto nei confronti del prevenuto dagli apparati di sicurezza in quanto tali; che non è contraddetto dal fatto che taluno, dall'interno degli stessi, per ostilità verso il GELLI, già prima del sequestro di Castiglion Fibocchi, avesse fatto pervenire nelle mani del giornalista PECORELLI l'informativa `Cominform' (cfr. AA, V5, C29, pp. 41 vreso e 42 recto), di cui si dirà in appresso.


Dopo quel sequestro, neppure la fida gestione piduista del Gen. SANTOVITO potrà continuare a chiudere gli occhi di fronte al bubbone ormai scoppiato e prepotentemente
impostosi all'attenzione non solo delle sedi istituzionali, ma dell'intera opinione pubblica. Allora, e soltanto allora, il `cordone sanitario' verrà allentato: e, non potendosi più ignorare la figura ed il ruolo del GELLI, si adotterà una linea tendente a salvaguardare, nei limiti del possibile, l'organizzazione piduista. Per comprendere il senso di quanto si viene dicendo occorre tener presente che -come silegge sempre nella relazionedimaggioranza (118) -fin dal 1950 era agli atti del Servizio l'informativa cosiddetta `Cominform', proveniente da un centro periferico del SIFAR. Secondo le parole della Commissione, vi "si sostiene che GELLI, legato al partito comunista fin dal 1944, è per lo meno dal 1947 un agente dei servizi segreti dell'Est (Kominform). Avrebbe mascherato questa sua attività dietro quella di industriale e commerciante prima (trafilati di ferro e rame), e di libraio in un secondo momento." Riferisce ancora la relazione di maggioranza: "L'informativa

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(118) - AA, V5, C29, pp. 35 verso e 36 recto.


descritta dà luogo ad un unico accertamento successivo in ordine ai gravi elementi informativi in esso contenuti. Il


solito Centro periferico comunica all'Ufficio centrale il risultato dell'unico riscontro che era stato effettuato in ordine alle notizie contenute nell'informativa: la libreria di GELLI era stata sottoposta ad attenta sorveglianza e l'attività in essa svolta dal GELLI non aveva dato luogo ad alcun sospetto. Non era inoltre risultato che al GELLI fosse stata perquisita l'abitazione perché sospettato di traffico d'armi e di spionaggio a favore dei paesi dell'Est né tanto meno risultava che egli fosse stato segnalato dalla Questura di Livorno quale elemento in relazione con una banda di contrabbandieri di armi ed esplosivo (queste ultime affermazioni erano anch'esse contenute nel rapporto).


Dopo una nota in data 1953, che riepiloga in termini molto blandi il tenore dell'informativa, segue nel 1960 un ultimo documento nel quale il GELLI viene sostanzialmente presentato come un uomo di affari che non si preoccupa più di politica. A partire da questa data" -annotaancora la Commissione, riferendo gli esiti della compulsazione del fascicolo relativo al GELLI acquisito presso il SISMI- "cade il silenzio su GELLI per ben 13 anni , per arrivare al
1973, quando con una nota si chiede se è possibile identificare GELLI con tale Luigi GERLA, segnalato nel 1964 per aver reso servizi ai Servizi segreti ungheresi (A.V.H.). Nella stessa nota si sostiene che `il soggetto afferma di avere avuto connessioni con il SIFAR e sembra avere connessioni con i circoli ungheresi.'"


Orbene, nel fascicolo relativo al GELLI acquisito presso il SISMI dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, compare un documento risalente al periodo della gestione SANTOVITO, che -come la relazione di maggioranza sottolinea- è stato redatto dopo il sequestro di Castiglion Fibocchi.
Dalla relazione emerge (119) come nel documento in questione si affermi di non escludere "che il GELLI possa essere divenuto un agente dell'Est nell'immediato dopoguerra in cambio della salvezza, sia stato successivamente `congelato' secondo la metodologia più classica propria dei Servizi segreti, sia stato fatto gradualmente penetrare in settori sensibili e tenuto alla mano per lo sfruttamento delle

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(119) -Cfr. AA, V5, C29, p38 verso. occasioni più propizie".


In sostanza, si riesumano notizie risalenti ad oltre
trent'anni prima: notizie che mai avevano ricevuto positivi riscontri, alle quali mai il Servizio aveva ritenuto di dover dare un seguito d'indagine, e che comunque mai il Servizio aveva sottoposto all'attenzione dell'autorità di Governo o dell'autorità giudiziaria. E, pur precisando prudentemente che "i documenti citati" (cioè, appunto, segnatamente, le informative del '50) "hanno esclusivo valore informativo e non di prove", si afferma che "sembra possibile ritenere verosimile quanto sostenuto in rapporti dell'epoca, e cioè che il GELLI aveva avuto salva la vita in cambio di future prestazioni per le quali fu sottoposto successivamente a verifiche". "Richiede molta attenzione l'ipotesi che il GELLI sia stato posto a `dormire' (e non in senso massonico), abbia assunto una nuova veste, sia stato favorito per penetrare i più delicati ambienti politici, economici, industriali, militari, della magistratura, del giornalismo e professionali". Naturalmente, se le cose stanno così, "solo l'esplosione del caso poteva richiamare l'attenzione su un personaggio liberatosi da oltre un
trentennio da un passato ambiguo e trasformatosi, da abile attore, in un manager di interesse per le questioni economiche e politiche del Paese": proposizione, quest'ultima, con la quale, evidentemente, si vorrebbe giustificare la pregressa inerzia del Servizio nei confronti dell'odierno imputato.


A ben vedere, il documento, sul dato certo -e risultante dagli atti del Servizio- del ruolo di doppiogiochista svolto dall'odierno prevenuto durante la Resistenza (120), innesta l'ipotesi che vuole il GELLI agente dei Servizi segreti dell'Est, posto per anni in quiescenza, e quindi riutilizzato per condurre, attraverso il duttile e discreto canale massonico, una machiavellica opera di tentacolare
penetrazione -che si deve presumere volta a fini

destabilizzanti- nei più delicati e qualificati ambienti del
Paese.Non spiega il documento come ciò si concilii con il

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(120) - Risulta dalla relazione di maggioranza (AA, V5, C29, p34 recto) come da un'informativa del 1945 emerga che tale ruolo era stato ammesso dallo stesso GELLI nel corso di un interrogatorio reso in quell'anno al Centro di Cagliari: aveva dichiarato l'odierno prevenuto che, essendo ufficiale di collegamento con le SS presso la Federazione dei Fasci, aveva poi preso contatti con il CLN pistoiese, rendendo utili servizi ai partigiani.


fatto -pure risultante dagli atti del Servizio- che già nell'ottobre del 1944 il GELLI era stato chiamato a
collaborare con il `Counter Intelligence Corps' al seguito
della 5ª Armata (121), vale a dire con il servizio di controspionaggio militare statunitense; e neppure deve darsi la pena di spiegare almeno come quell'ipotesi si concilii con le notizie che sin dalla metà degli anni '70 il dott. SANTILLO aveva faticosamente raccolto: proprio perché -come si è visto- quegli spunti informativi il Servizio non aveva certamente raccolto e coltivato.


Il documento allenta il `cordone sanitario', perché -come si è detto- dopo lo scandalo di Castiglion Fibocchi, il personaggio GELLI e la sua ingombrante presenza sullo scenario pubblico italiano non possono essere più ignorati. E allora, da parte del vertice di un servizio deviato, coinvolto fino al collo nelle torbide mene del GELLI, non resta che una carta da giocare: confondere le acque, tenendo accuratamente il GELLI al di fuori del Servizio e presentandolo invece come un agente dei paesi dell'Est

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(121) - Anche tale circostanza era stata riferita nell'interrogatorio cagliaritano.


Europa: nell'ottica del diabolico intrigo internazionale, chi ha colluso col GELLI diviene un raggirato, vittima della perversa opera di infiltrazione condotta attraverso la P2.


Per altro verso, nei limiti del possibile, il documento si pone lungo una linea di sostanziale continuità rispetto ai precedenti di cui si è detto: alla reprimenda fatta nel '74 dal Gen. MALETTI all'incauto ufficiale che aveva indagato sul GELLI; alla professione di ignoranza dell'Ammiraglio CASARDI in ordine a notizie diverse da quelle pubblicate sulla stampa; alle disquisizioni storico-politiche del Gen. SANTOVITO. Non sarà certo il SISMI del piduista SANTOVITO a chiarire definitivamente che il GELLI è -per usare le parole del MALETTI- "persona influente e utile al Servizio". Né certamente da parte del SISMI deviato del piduista SANTOVITO -impegnato con il suo `staff', in ossequio alla volontà del GELLI, a costruire la pista internazionale, per stornare le indagini sulla strage di Bologna dalla pista dell'eversione interna neofascista- si farà luce sulle collusione del GELLI con ambienti neofascisti. In tal senso,
il `cordone sanitario' regge e deve necessariamente reggere.


La sua solidità è garantita dal vincolo di subalternità extraistituzionale e piduistica, che lega il SANTOVITO all'odierno imputato, ed è direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento di SANTOVITO e soci -in nome del comune interesse extraistituzionale che li lega alGELLI -nell' attività deviata, posta in essere -attraverso gli uffici e gli strumenti del Servizio- contro le finalità del Servizio e contro lo Stato.


Ma la posizione del GELLI rispetto agli apparati di sicurezza emerge da ulteriori circostanze. Si fa riferimento, innanzitutto, ad un episodio, ricordato già nella requisitoria scritta (122) che -come giustamente ha rilevato il PUBBLICO MINISTERO- dimostra che l'imputato disponeva dei servizi di sicurezza come di un'agenzia privata. E' stata acquisita agli atti (123) copia del documento che il Col. VIEZZER -già capo del Centro SID di Firenze,poi passato alla sede centrale del Servizio, quale segretariodeldelicatissimoreparto`D' (124), e risultato



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(122) - RE, p363.
(123) - AAD, V13, C5, punto 5, pp. 7-8; cfr. anche pp. 5-6.
(124) - Cfr. vu 10/2/88, p107.


immancabilmente iscritto nelle liste della P2- ebbe a
ricevere nel 1973 dalle mani del Venerabile. Si tratta di un dattiloscritto di due pagine intitolato "NOTA INFORMATIVA SUL CONTO DELL'ONOREVOLE GIULIO ANDREOTTI", contenente notizie sul Parlamentare e su quelli che vengono definiti "personaggi della Segreteria": dattiloscritto non certamente ispirato da benevolenza nei confronti delle persone che nomina. Che uso ne fece il Segretario dell'Ufficio `D'? Poiché -come egli stesso ha precisato alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta (125)- era quello "un periodo in cui il servizio non si interessava degli uomini politici", non trovò di meglio che passare il documento nelle mani di un giornalista, di quel Marcello COPPETTI (126) nel cui studio il dattiloscritto fu poi sequestrato. Lo stesso VIEZZER ha riconosciuto di fronte alla Commissione d'Inchiesta che, a suo giudizio, il documento, proveniente da fonti del GELLI, conteneva "soltanto delle maldicenze".
E allora, resta da capire perché gli diede quella singolare destinazione. Sempre di fronte alla Commissione, il Col.



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(125) - Cfr. vu 10/2/88, pp. 188-189.
(126) - Cfr. deposizione COPPETTI, in vu 17/11/87, p231.


VIEZZER non si è peritato di sostenere che, dopo aver dato un'occhiata all'appunto, lo passò al COPPETTI "perché si rendesse conto". Quindi, egli, che aveva compreso come si trattasse di maldicenze, avrebbe voluto far toccare con mano al giornalista ciò cui il GELLI era in grado di spingersi. Così testualmente il VIEZZER: "Lo diedi al COPPETTI affinché COPPETTI fosse orientato su che cosa faceva quel personaggio," (il GELLI, appunto) "perché COPPETTI si era preso l'incarico di cercare di capire come lavorasse quel personaggio. Questo è stato il mio intendimento in quel momento". Di fronte a questa risposta, il Commissario che in quel momento stava interrogando il VIEZZER, ebbe a dire che preferiva evitare commenti. La Corte -ai fini che qui rilevano- osserva che i commenti sono del tutto superflui, risultando dall'episodio fin troppo chiaro quale tipo di uso il GELLI potesse tranquillamente fare di delicatissimi uffici degli apparati di sicurezza, grazie alla presenza, negli stessi, di uomini che sono poi risultati a lui legati da un vincolo extraistituzionale.


Ma il GELLI è anche colui che il Gen. GRASSINI, Direttore del SISDE, riteneva "utile, per avere il polso della situazione politica nazionale" (127): ciò perché, secondo quanto lo stesso odierno imputato riferiva al generale, naturalmente iscritto negli elenchi di Castiglion Fibocchi, il GELLI "aveva rapporti con i massimi livelli politici e dimostrava di essere sempre perfettamente al corrente della situazione politica, tanto che talvolta prevedeva alcuni avvenimenti" (128). Così ancora, testualmente, il Gen. GRASSINI: "...il GELLI era perfettamente introdotto nell'ambiente dell'ambasciata argentina, al punto che, in occasione di ricevimenti, era anche lui a fare gli onori di casa. Questa sua padronanza dell'ambiente mi fu particolarmente utile quando ravvisai l'opportunità di intrecciare rapporti con il servizio di informazioni argentino. Constatai che il rappresentante del servizio in Italia si presentò immediatamente nel mio ufficio offrendomi la sua collaborazione" (129).


Ma l'autorevolezza del GELLI, agli occhi del Direttore del


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(127) -Cfr. dichiarazioni GRASSINI al PUBBLICO MINISTERO in data 19/2/85 (Cal., V5, C31, p7); cfr., per la conferma dibattimentale, vu 12/10/87, p123.
(128) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(129) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (127).


SISDE, era tale per cui, all'occorrenza, egli, personalmente, sulla basedelle indicazioni del GELLI, prendeva appunti, passandoli poi al fido dottor CIOPPA. Il dott. Elio CIOPPA, piduista, in forza al SISDE dal settembre 1978, ebbe a riferire sin dal 1981 al Giudice Istruttore di Roma (130): "Preciso che quando sono arrivato al Servizio, fui informato che il GELLI era una fonte del SISDE...Di solito il Gen. GRASSINI, quando si trattava di informazioni del GELLI, mi consegnava i biglietti, scritti a mano a matita, ed io poi sviluppavo le indagini..."


Così ancora, l'8/2/1985 (131), al PUBBLICO MINISTERO di Bologna: "Un giorno, nel novembre-dicembre 1978, mi chiamò il Gen. GRASSINI per consegnarmi tre appunti riguardanti accertamenti ed indagini sulle brigate rosse. Gli appunti riguardavano precisamente pretesi rapporti tra l'avvocato sardo Giannino GUISO con un giornalista della testata di area socialista `Critica sociale'; l'avv. GUISO era


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(130) - Cal., V5, C15, p7.
(131) - Cal., V5, C15, pp. 1 verso e 2 recto. Per le dichiarazioni dibattimentali del CIOPPA, cfr. vu 16/11/87, pp. 113 e 121-152, e vu 17/11/87, pp. 16, 46-48, 55, 67 e 206-211.


considerato esponente o in contatto con le brigate rosse; il secondo appunto aveva ad oggetto accertamenti sull'avv. SPAZZALI, in rapporto con la colonna milanese delle brigate rosse; un terzo appunto aveva natura esclusivamente politica in quanto riferiva che il sequestro dell'On. MORO era stato organizzato per evitare il `compromesso storico'. Poiché non capivo che tipo di indagini potevo fare sul terzo punto, chiesi al generale chi mai avesse espresso quel parere ed egli mi disse di averlo ricevuto nel corso di un colloquio con Licio GELLI".


Il Gen. GRASSINI, dal canto suo, in giudizio, ha tenuto a riferire che solo in un caso prese nota per iscritto delle indicazioni del GELLI (132): "Una sola volta GELLI mi parlò di SPAZZALI ecc...ed io passai a CIOPPA, che era capo centro operativo, l'appunto che avevo scritto in base a ciò che mi aveva detto GELLI, come una qualunque fonte informativa ed invitai CIOPPA a svolgere accertamenti...i bigliettini a mano li ho dati una sola volta a CIOPPA. GELLI non mi diede mai informazioni operative; erano soprattutto informazioni



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(132) - Cfr. vu 12/10/87, p132.


sulla situazione politica. GELLI era un politico..."Già dall'istruttoria (133), peraltro, il Gen. GRASSINI aveva chiarito come non considerasse il GELLI un informatore del Servizio, data appunto la sua diversa veste di termometro ed oracolo della situazione politica nazionale. Si comprende così il suo imbarazzo e la preoccupazione di concentrare in un'unica occasione quella singolare prassi,attribuendo al GELLI il ruolo di fonte informativa, in via eccezionale, soltanto con riferimento a quella circostanza. Senonché, dal tenore delle prime dichiarazioni rese dal CIOPPA al Giudice istruttore di Roma -sopra trascritte- emerge che il passaggio di un bigliettino, per sviluppare indagini sulla base di indicazioni provenienti dal GELLI non ebbe carattere episodico. In giudizio (134), il CIOPPA, timidamente, si è spinto a dire che ricevette due o tre volte appunti scritti con quella provenienza.


Aben vedere,il Gen. GRASSINI, nei suoi rapporti con il GELLI, non contravvenne alla regola consuetudinaria -da lui stesso enunciata (135)- secondo cui il capo di un

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(133) -Cal., V5, C31, p7. (134) -Cfr. vu 16/11/87, p136.
(135) -Cal., V5, C31, p2.


servizio di sicurezza non incontra confidenti se non eccezionalmente. Perché, in effetti, il GELLI certamente non era un confidente. Per usare le diplomatiche parole spese in Istruttoria dallo stesso Direttore del SISDE, nella riferita circostanza l'odierno imputato gli "dette delle indicazioni come spunti di indagine" (136). Più realisticamente si è espresso il PUBBLICO MINISTERO, affermando che il GELLI, nell'ambito di quel rapporto, "assegna gli argomenti delle indagini". Significativo, in proposito, il contenuto dell'unico appunto, fra quelli manoscritti dal Gen. GRASSINI, rinvenuto agli atti del SISDE ed acquisito al presente procedimento (137). In sostanza, il Direttore del Servizio, premettendo che,"nel corso di recente colloquio", erano emersi taluni nominativi "di Avvocati, giornalisti, favoreggiatori, ecc.", a lui più o meno noti pregava, per ognuno, di volergli predisporre una brevissima nota, "con rinvio al fascicolo esistente agli atti"; elencava poi i dieci nominativi in questione. Dunque, a giudicare dal tenore dell'appunto, non si erano apprese

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(136) -Cfr. Cal., V5, C31, p7.
(137) -AAD, V13, C5, punto 5, p22.


specifiche e concrete notizie in ordine ad investigazioni di
interesse per il Servizio, ma si si era ricevuto, e si trasmetteva a valle, l' `input' ad indagare in determinate direzioni.


Né si deve mancare di rilevare che il CESIS, nel trasmettere il manoscritto alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla Loggia P2, lo fece pervenire in allegato ad un appunto (138), pure proveniente dal SISDE, nel quale, tra l'altro, si legge: "Il nome di licio GELLI non è mai apparso nella documentazione concernente le `fonti' del Servizio, né alcun funzionario, tranne il dott. CIOPPA, ha mai avuto occasione di ravvisarne la `collaborazione'." Dunque, all'interno del Servizio, funziona un canale privilegiato ed esclusivo, di pura impronta piduista. Il direttore del servizio in persona, nei suoi incontri col venerabile maestro della Loggia P2, cui egli stesso appartiene, prende diligentemente appunti, che vengono acriticamente girati nelle mani di un funzionario a sua volta piduista, il quale si trova addirittura ad aver a che fare con un `bigliettino'

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(138) - AAD, V13, C5, punto 5, p21.


di contenuto esclusivamente politico sul sequestro dell'On. MORO, e non comprende bene che tipo di indagini dovrà svolgere.


Si arriva così all'indomani del 2 agosto. Ancora una volta la partita si gioca tutta in casa P2: ma, in questo caso, si stabilisce il contatto diretto fra il CIOPPA ed il Venerabile.


Occorre ricordare, in proposito, che il CIOPPA è lo stesso funzionario che, fin dalle prime battute delle indagini, aveva ricevuto le confidenze di Giorgio FARINA, e che le informazioni da lui raccolte convergevano -nella prospettiva di allora- con la pista d'indagine battuta dal dott. LAZZERINI, dirigente della DIGOS, e riguardante l'eversione interna neofascista, al punto che la fonte del CIOPPA è utilizzata nel `rapporto LAZZERINI' ed i due funzionari -come lo stesso CIOPPA ha ricordato (139)- si misero congiuntamente a disposizione della magistratura bolognese.


Occorre ricordare, ancora, che il SISDE disponeva già del

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(139) - Cfr. vu 17/11/87, p48.


prezioso spunto d'indagine costituito dall'informativa SPIAZZI. L'informativa parte il 28 luglio dal Centro di Bolzano; perviene alla Direzione del servizio il 31 luglio, e viene vistata dal Gen. GRASSINI, che la inoltre alla 4ª Divisione per "valutazioni e proposte" (140); già il giorno successivo quella Divisione, con appunto, riferisce tra l'altro (141): "L'informativa del Centro di Bolzano...presenta punti suscettibili di ulteriori più approfondite indagini di natura informativa da espletarsi prevalentemente a Roma...In considerazione che i Centri 1 e 2 di Roma stanno conducendo capillari accertamenti per risalire ai responsabili dei più gravi atti terroristici rivendicati dai N.A.R., si propone -salvo diversa indicazione della S.V.- di trasmettere il tutto ai predetti Centri perché -sulla base delle notizie contenute nell'appunto del Centro di bolzano- esplichino tutte quelle azioni ritenute più opportune verificando, altresì, la validità e l'attendibilità delle notizie confrontandole e valutandole anche in rapporto ai dati informativi di cui al

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(140) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p11.
(141) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p19.


momento dispongono (i quali ultimi sono tuttora in fase di approfondimento)..." Proprio il 2 agosto 1980, il Gen. GRASSINI, in calce all'appunto, annota: "Va bene", disponendo la trasmissione dell'informativa, fra gli altri, al Centro SISDE Roma 2 (142), di cui era responsabile il dott. Elio CIOPPA.


Nonostante tutto questo, poiché "verso la fine d'agosto, insistentemente, i giornali affermavano che la strage del 2 agosto era opera di un'organizzazione internazionale e che pertanto occorreva battere la `pista internazionale'" (143), il CIOPPA sente il bisogno di ricevere lumi in proposito da coluinel quale -come si è visto- egli solo, fra i funzionari del SISDE, ravvisava un collaboratore del Servizio: da quel Licio GELLI che di piste internazionali doveva intendersene, forse per la circostanza -dal CIOPPA indicata nello stesso contesto in cui narra del contatto- che "aveva entrature nelle ambasciate, ed in particolare in quella argentina". Il CIOPPA cerca il




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(142) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p20.
(143) - Cfr. Cal., V5, C15, p3 recto.


Venerabile all' `Excelsior',ma non lo trova. Il portiere lo
avverte che il GELLI è in ferie e tornerà a settembre. Il
CIOPPA non demorde, e, nella prima decade di settembre, nella `hall' dell'albergo, il funzionario del SISDE riceve la preziosa illuminazione di cui si è detto sub 1.1.10), circa l'erroneità della pista sino ad allora battuta e l'opportunità di battere invece la `pista internazionale'.


Orbene, il 25 settembre, il dott. CIOPPA, in qualità di Capo del Centro SISDE Roma 2 (144) -cui l'`informativa SPIAZZI', come si è visto,era stata inoltrataper i necessari approfondimenti- trasmetteva alla Direzione del Servizio un appunto del seguente letterale tenore (145): "Gli accertamenti svolti in merito al contenuto dell'appunto pervenuto col foglio in riferimento non hanno fin qui fornito utili elementi di conferma, né di valutazione. In proposito sono state opportunamente sensibilizzate alcune fonti di settore, ma con esito negativo."


Va rilevato che il Centro SISDE Roma 2 venne ad essere, all'interno del Servizio, praticamente l'esclusivo titolare


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(144) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p29; cfr. anche p10.
(145) - Cfr. RA, V3 bis, C132 bis, p30.


delle indagini relative ai nodi centrali dell' `informativa SPIAZZI'. L'informativa, invero, era stata trasmessa anche al Centro Roma 1; senonché, il dott. DE FRANCESCO, Direttore del SISDE nel 1983, nel dar conto di quelle vicende al Giudice Istruttore del presente procedimento, riferì (146) in proposito: "Non si dispone della risposta del Centro 1 di Roma in quanto nel frattempo le sue attribuzioni in materia erano state di fatto demandate al Centro 2 di Roma." L'informativa era stata poi trasmessa anche ai centri periferici di Milano, Firenze e Perugia, ma solo in relazione a specifici e marginali aspetti (147).


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(146) - RA, V3 bis, C132 bis, p6.
(147) - RA, V3 bis, C132 bis, pp. 6 e 30-31. In particolare, il Centro di Milano venne interessato in relazione alla "segnalata riunione all'interno dell'albergo `Rosa' di Milano, asseritamente presieduta da Rodolfo CROVACE"; e quelli di Firenze e Perugia, per l'identificazione dei nominativi degli estremisti residenti nelle rispettive giurisdizioni (TOMEI, FORESI e DE LUCA per Firenze, e LUCIDI per Perugia).
I due Centri di Roma, e, dunque, in definitiva -come si è visto- il Centro 2, di cui era responsabile il CIOPPA, erano stati interessati ai seguenti argomenti (cfr. RA, V3 bis, C132 bis, pp. 5-6): "rapporti tra Sandro SACCUCCI e Stefano DELLE CHIAIE e tra il secondo e i N.A.R."; "identificazione di "CICCIO" con l'indicazione delle sue caratteristiche somatiche"; "ruolo svolto dallo stesso "CICCIO" nell'area dell'estrema destra";"attività terroristica dei N.A.R. nella Capitale, segnalata spaccatura in diversi tronconi del pericolosissimo gruppo di matrice nera anche in relazione all'attribuzione, ad uno dei nuclei dei N.A.R., della responsabilità dell'omicidio del Giudice AMATO nonché alla cena nel corso della quale si sarebbe decisa l'eliminazione fisica del Magistrato"; "l'incontro all'interno dell'albergo `Rosa' di Milano".


In tal modo, già alla data del 25/9/1980, in ambito SISDE, la linea d'indagine che, attraverso l'`informativa' SPIAZZI, avrebbe potuto condurre, nella ricerca delle responsabilità per la strage, in direzione degli ambienti neofascisti della Capitale (linea certo non incoerente con il quadro emergente dalle prime informazioni raccolte dal CIOPPA attraverso il FARINA e dalle indicazioni contenute nel `rapporto LAZZERINI'), si era irrimediabilmente isterilita. Bisognerà aspettare il 1983 prima che l'Istruttore del presente procedimento possa prendere cognizione dell'`informativa SPIAZZI', acquisita -come si è visto sub 1.6.4.1)- da altro Istruttore del Tribunale di Bologna, inun diverso procedimento, nel quale lo SPIAZZI aveva veste di imputato.


Dopo il settembre '80, occorreva ancora però che prendesse corpo la fantomatica `pista internazionale': a ciò provvederà egregiamente, in perfetta sintonia con la divinatoria intuizione del Venerabile, il SISMI deviato dei SANTOVITO, dei PAZIENZA, dei GIOVANNONE, dei MUSUMECI, dei BELMONTE.


Il GELLI non è persona semplicemente `legata' in qualche modo agli apparati di sicurezza; non è una modesta fonte informativa; e non è neppure una "persona influente edutile al Servizio", come ebbe a definirlo nel '74 il gen. MALETTI. Nell'ambito della più vasta opera di attivointeressamento per le nomine delle alte gerarchie militari (148), il GELLI, fin da tempi lontani, non aveva trascurato quel settore privilegiato che sono gli apparati di sicurezza. Si legge nella relazione di maggioranza della Commissione d'Inchiesta sulla loggia P2 (149) che il GELLI, in dichiarazioni rese al Giudice VIGNA di Firenze "ammise di essersi interessato per la nomina del generale MICELI a capo del SID". Orbene, il Gen. Siro ROSSETI, già tesoriere della Loggia P2, sentito prima dalla Commissione Parlamentare d'Inchiesta (150) e poi da questa Corte (151), ha riferito non solo d'aver appreso dal GELLI che il medesimo era intervenuto per la nomina del MICELI presso PALMIOTTI (152), segretario dell'allora ministro TANASSI, ma altresì d'aver appreso dal GELLI della


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(148) - Sul tema, cfr. diffusamente AA, V5, C29, p44 verso; ma cfr. anche RE, pp. 347 ss.; AAD, V13, C5, punto 5, pp. 3 e 30; vu 17/11/87, p230.
(149) -Cfr. AA, V5, C29, p44 verso.
(150) - Cfr. AAD, V13, C4, punto 3, p26.
(151) -Cfr. vu 2/11/87, p40.
(152) - Risultato poi iscritto negli elenchi di Castiglion Fibocchi.


nomina del MICELI prima che la notizia della nomina stessa fosse ufficialmente diffusa.


Si è avuto modo di rilevare, via via, nel corso della trattazione, la massiccia presenza negli elenchi di Castiglion Fibocchi dei personaggi che sin son trovati, nel corso del tempo, ad occupare posizioni di vertice o di alta responsabilità negli apparati di sicurezza. Ai nomi dei vari MICELI, MALETTI, LABRUNA, VIEZZER, occorre aggiungere quelli di Federico Umberto D'AMATO e Giovanni FANELLI, responsabili dell'Ufficio Affari riservati presso il Ministero dell'Interno. All'epoca dei fatti per cui è processo, il controllo del GELLI sugli apparati, attraverso il vincolo di affiliazione, è totale e incontrastato: piduisti sono il Direttore del SISDE, Gen. GRASSINI (153), il Direttore del SISMI, Gen. SANTOVITO, ed il Capo del CESIS, con compiti
di coordinamento fra i due Servizi, Prefetto PELOSI;

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(153) - Il GRASSINI, iscritto negli elenchi, fu iniziato alla P2, in Roma, nella sede di via Cosenza, dal Gran Maestro SALVINI, alla presenza del Gen. Siro ROSSETI. Cfr. deposizione ROSSETI (AAD, V13, C4, punto 2, p23), confermata in giudizio (vu 2/11/87, p41). Il Gen. Siro ROSSETI ebbe veste di tesoriere della Loggia P2 dal 1970 o '71, fino al gennaio del 1975 .


piduisti sono ancora il Capo dell'Ufficio Controllo e


Sicurezza e Segretario Generale del SISMI, Gen.Pietro MUSUMECI (154) ed il dott. Elio CIOPPA (155), Capo del Centro Roma 2 del SISDE.


Non soltanto il GELLI è colui sul quale, all'interno del Servizio, fin da anni lontani, era tabù indagare; egli comandava attraverso i suoi affiliati; ne condizionava le carriere; indicava l'oggetto delle indagini e le piste da seguire; si serviva di suoi uomini di fiducia, all'interno degli apparati, utilizzandoli come un'agenzia privata: ciò fino ad ispirare, a spezzoni deviati dell'apparato, quella mostruosa macchinazione che è stata il depistaggio delle indagini relative alla strage di Bologna.


Resta pienamente confermata l'assunto accusatorio secondo cui il GELLI era il vero `dominus' occulto dei servizi segreti .




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(154) - Il MUSUMECI, iscritto negli elenchi, è un uomo del GELLI almeno a far tempo dall'epoca delle`riunione di Villa Wanda'. Della sua partecipazione a quella riunione si apprende da fonte insospettabile: cioè dallo stesso Venerabile (cfr. il brano del secondo memoriale inviato dal GELLI alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta, in Cal., V6, C1, p576)
(155) - Cfr. anche, per il CIOPPA, vu 17/11/87, pp. 50-66.


2.4.4.3.4) I pregressi rapporti del GELLI con l'eversione


Paolo ALEANDRI ha reso, in istruttoria ed in dibattimento, molteplici dichiarazioni in ordine al cosiddetto `Golpe BORGHESE'. E' necessario, in proposito, sgomberare il terreno da un possibile equivoco. L'ALEANDRI, che riferisce sul punto notizie apprese da altri, ha sempre individuato una linea di continuità tra i vari sussulti eversivi succedutisi in Italia fra il 1970 ed il 1974-75. Ciò può aver ingenerato confusione, per esser stata l'espressione `Golpe BORGHESE' talora usata non con specifico riferimento alla vicenda conclusasi la notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970 (cui comunemente la si riferisce), ma al complesso delle manovre eversive poste in essere nei primi anni '70, delle quali l'ALEANDRI -secondo i racconti ricevutine- ha avuto una percezione sostanzialmente unitaria. Il quadro si chiarisce quando si leggano le dichiarazioni dall'ALEANDRI rese in dibattimento (156), dove -prendendo a prestito le parole di Alfredo DE FELICE- parla dei "progetti eversivi che erano poi quelli del golpe BORGHESE 1,2, 3, 4, insomma

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(156) - Cfr. vu 7/1/88, p33. tutte le sue varie fasi". La puntualizzazione si rende necessaria, perché l'ALEANDRI ha tra l'altro riferito (157) d'aver appreso da Fabio DE FELICE che il di lui fratello Alfredo "aveva incontrato GELLI negli anni del golpe BORGHESE, quando Alfredo tentava di stabilire contatti con ufficiali dell 'Arma dei Carabinieri per il tramite della rivista `Politica e Strategia'". Orbene, `Politica e Strategia', uscì a far tempo dal 1972 (158): il che imporrebbe di rilevare un anacronismo nel racconto dell'ALEANDRI, se, appunto, non fosse chiaro che l'espressione `Golpe BORGHESE' è riferita, in generale, al complesso dei conati eversivi risalenti al quinquennio '70-'75. Peraltro, anche a prescindere dal chiarimento dibattimentale, già l'aver l'ALEANDRI fatto riferimento, nel branosopra trascritto, agli "anni del golpe BORGHESE" non lascia adito a dubbi.


Orbene, di quelle vicende l'ALEANDRI è reso edotto "per il 90%, dai fratelli DE FELICE, in parte dall'On. DE IORIO, in parte dal Col. BERTI e in parte da tutta una serie di

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(157) - Cfr. Cal., V5, C3, p84. (158)- Cfr. certificazione allegata alla memoria n. 8 dell'Avv. MENICACCI, in vu 18/6/88, pp. 637-638.


persone marginali" (159). Specificamente, per ciò che qui interessa, egli venne ad apprendere appunto delle modalità dell'incontro fra Alfredo DE FELICE ed il GELLI. Il primo, nel corso dei contatti che, ai fini delle diffusione della rivista e in relazione ai progetti eversivi all'epoca ancora attuali, prendeva in quegli anni con alti ufficiali dei Carabinieri, in un'occasione, a fianco dell'ufficiale che andava a visitare, trovò il GELLI in persona, il quale "gli disse abbastanza esplicitamente che per un certo tipo di operazioni, per un certo tipo di contatti, per un certo tipo di ambienti da contattare doveva passare attraverso di lui" (160). Questo episodio si viene a collocare necessariamente fra il '72 ed il '74. Ma da Fabio DE FELICE l'ALEANDRI apprende (161) altresì che dal GELLI era venuto anche il "contrordine" del `golpe': chiaro riferimento alle note vicende del dicembre 1970, cioè a quello che -per usare la terminologia di Alfredo DE FELICE- dovrebbe definirsi "Golpe BORGHESE" n. 1. E' a chiedersi se le riferite circostanze restino affidate soltanto alla

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(159) - Cfr. vu 8/1/88, p25. (160) -Cfr. vu 7/1/88, p33.
(161) -Cfr. Cal., V5, C3, p73 e vu 8/1/88, p25.


parola dell'ALEANDRI (162). Orbene, quanto al fatto


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(162) -Va ribadito, in proposito, ancora una volta, che la valutazione della sussistenza o non delle penali responsabilità delle persone imputate nel procedimento cosiddetto `del Golpe BORGHESE' e nei procedimenti connessi (fra le quali, peraltro, il GELLI non figurava), in relazione ai fatti in quella sede contestati, era demandata in via esclusiva alla cognizione del giudice naturale, che si è già espresso con sentenza irrevocabile; ma che può e deve qui il Collegio (cfr. supra, sub 2.2.3) autonomamente prendere in considerazione determinati fatti storici e determinati collegamenti la cui valutazione rientri anche nell'economia della presente decisione. Ora, se l'improvvisazione, l'approssimazione dei fini e dei mezzi, la goffaggine dei `golpisti' impedirono loro di raggiungere gli obiettivi prefissati, nondimeno la realtà del focolaio insurrezionale resta. Basti prendere in considerazione, in proposito, unitariamente, l'avvenuta penetrazione di alcuni congiurati nel Viminale, la `marcia su Roma' del Col. BERTI, al comando di 200 uomini della Scuola Allievi della Guardia Forestale, nonché il contenuto del proclama sequestrato nel marzo del 1971 nello studio del BORGHESE. Quanto alla prima circostanza (cfr. Atti Commissione d'Inchiesta, in Cal. V6, C1, pp. 209-212, che fanno riferimento agli atti del procedimento penale), va rilevato come dalla registrazione delle dichiarazioni dell'ORLANDINI emergesse che, quando, dopo il contrordine, si trattò di restituire le sei pistole mitragliatrici custodite in un armadio dell'armeria del Viminale, una risultò mancante, al punto che lo stesso ORLANDINI dovette farne fare una copia da rimettere al posto di quella sottratta, perché nessuno si accorgesse in seguito dell'accaduto. Orbene, le indagini eseguite nel corso di quell'istruttoria portarono a rinvenire, in un armadio dell'armeria del tutto simile a quello descritto dall'ORLANDINI, le sei pistole mitragliatrici, una delle quali risultò effettivamente falsificata. A confermare i sospetti derivanti dalle anomalie che l'arma presentava visibilmente rispetto alle altre cinque, intervennero le dichiarazioni dei tecnici della `Beretta', nonché le risultanze della perizia eseguita: la pistola mitragliatrice in questione non era autentica e doveva ritenersi interamente contraffatta, in quanto frutto di assemblaggio di parti provenienti da armi diverse; lo stesso numero di matricola era composto da lettere e cifre dissimili da quelle che immediatamente lo precedono. L'ORLANDINI poi, dieci giorni dopo la notte del `Tora-tora', edunque in epoca assolutamente non sospetta, nel corso di una telefonata, accennò all'opportunità di far fare, "nel dubbio", una "copia" di qualcosa di cui egli si era già (segue)


del `contrordine', esse non trovano riscontro; ma nella



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(segue) procurato il tipo (cioè il modello). L'ALEANDRI apprenderà dal DE FELICE addirittura il nome di colui che era entrato in possesso dell'arma sottratta al Viminale (cfr. vu 8/1/87, pp. 165-166).
Per quanto attiene alla circostanza che il Col. BERTI, la notte del `golpe', confluì a Roma alla testa di 200 uomini della guardia forestale (cfr. Cal. V6, C1, pp. 216-218 e RE, pp. 203-204, che fanno riferimento agli atti del relativo procedimento penale), essa va letta alla luce dei rapporti fra il BERTI ed il BORGHESE; all'ordinazione di un ingente quantitativo di manette che il BERTI, con irregolare procedura amministrativa, aveva fatto in epoca prossima al `golpe'; alla singolarità della destinazione per la pretesa `esercitazione' di guardie forestali; alla non necessità di spingersi sino al Piazzale del ministero degli Esteri prima di invertire la marcia; al colloquio che il BERTI, prima di far rientrare la colonna, ebbe, sulla via Olimpica, all'altezza del cavalcavia sul Tevere, con due misteriosi personaggi, che dapprima, ai suoi uomini, indicò come due funzionari ministeriali e poi, nel corso del procedimento, come due pederasti; all'apparente illogicità del rientro, posto che gli uomini del BERTI, a bordo degli automezzi, erano al riparo dal temporale.
Gli obiettivi del Fronte Nazionale, che avrebbero dovuto trovare realizzazione attraverso il `golpe', sono resi perfettamente espliciti dal testo del proclama sequestrato nello studio del BORGHESE e che avrebbe dovuto essere diffuso al momento opportuno. Esso suona così (cfr. Cal., V6, C1, p203): "Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso `colpo di Stato' ha avuto luogo.
La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere.
Nelle prossime ore con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione.
Le FF.AA., le Forze dell'Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall'altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi.
Italiani,
lo Stato che insieme creeremo, sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso Tricolore!
Soldati di Terra, di Mare e dell'Aria, Forze dell'Ordine, a voi affidiamo la difesa" (segue)


misura in cui, facendo risalire al GELLI il `contrordine',

implicitamente pongono l'imputato, con ruolo eminente, in collegamento con i congiurati, esse trovano pregnanti e convergenti conferme logiche nelle circostanze, da valutare unitariamente, dell'interessamento del GELLI per la nomina del MICELI al vertice del S.I.D., dei contatti del MICELI con i congiurati, della sua inerzia nei confronti delle indagini sul Fronte Nazionale condotte dal Reparto `D' del Servizio, nonché della presenza, nelle liste di Castiglion Fibocchi, non soltanto del nominativo del MICELI, ma di vari dei personaggi inquisiti nel procedimento `del Golpe BORGHESE': l'Avv. Filippo DE IORIO (163) e gli ufficiali dell'aeronautica Giuseppe LO VECCHIO (164) e Giuseppe CASERO (165).




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(segue) "della Patria ed il ristabilimento dell'ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti.
Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi.
Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: ITALIA! ITALIA! VIVA L'ITALIA".
(163) - Cfr. Cal., V6, C1, p12.
(164) -Cfr. Cal., V6, C1, p25.
(165) -Cfr. Cal., V6, C1, p8.


Per quanto attiene alle notizie dall'ALEANDRI apprese in ordine all'incontro fra Alfredo DE FELICE ed il GELLI, ed al ruolo a sé rivendicato in quell'occasione dall'odierno prevenuto, basterà osservare come esse si armonizzino perfettamente con i contenuti della `riunione di Villa Wanda' e con i massicci arruolamenti di ufficiali nella Loggia di cui il GELLI era a capo.


La vocazione `golpistica' del GELLI era già stata accertata dalla Corte d'Assise di Bologna che ebbe a giudicare gli imputati della strage del treno `Italicus' (166). In quella sentenza già si legge (167) anche dei rapporti di frequentazione fra Licio GELLI ed eversori neofascisti toscani, nonché dei finanziamenti del GELLI in favore dell'estremista aretino Augusto CAUCHI. Si trattava, peraltro, di circostanze non oggetto di imputazione in quel giudizio, ma sulle quali la cognizione della Corte d'Assise di Bologna era dovuta cadere `incidenter tantum', al fine di valutare la prospettazione accusatoria di parte civile secondocuigli imputatidi quel giudizio, "membri di Ordine

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(166) - Cfr. AA, V4, C19, pp. 191-197.
(167) - Cfr. AA, V4, C19, pp. 198-199.


nero, avrebbero eseguito la strage in quanto ispirati, armati e finanziati dalla Massoneria, che dell'eversione e del terrorismo di destra si sarebbe avvalsa -nell'ambito della c.d. `strategia della tensione'-" (168).


Nella recente sentenza 15/12/1987 della Corte d'Assise di Firenze (169) i rapporti di finanziamento da parte del GELLI in favore del terrorista neofascista Augusto CAUCHI costituivano uno specifico `thema decidendum', essendo stato il GELLI in quella sede imputato del delitto di cui all'art. 306 ultimo comma del Codice penale, quale sovventore della banda armata che al CAUCHI e ad altri faceva capo.


Con ampia, articolata, puntuale motivazione, la Corte fiorentina torna più volte sul tema dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca del BROGI (170), che, in quel procedimento, costituisce il perno dell'accusa non soltanto in relazione alla posizione GELLI. Per quanto attiene alla credibilità delle accuse del BROGI nei confronti del GELLI, quella Corte osserva innanzitutto che il primo, dimostratosi


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(168) - AA, V4, C19, p190. (169) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 17-450.
(170) - Cfr., in particolare, §§ 14, 15, 17, 41 e 42 della sentenza 15/12/87.


veritiero in ordine a tutti gli altri episodi che hanno


formato oggetto di quel giudizio, non avrebbe avuto motivo di mentire proprio nei riguardi di quel particolere coimputato. E -con argomenti che questo Collegio non può non condividere- rileva: "Perché mai avrebbe dovuto accusare falsamente e fra i tanti scegliere quest'uno per l'appunto in GELLI? Dove le ragioni che possono averlo indotto a calunniare questo suo coimputato? Per la verità gli atti di causa non ne evidenziano, laddove argomenti logici di immediata evidenza provano esattamente il contrario; dimostrano, cioè, che BROGI (anche e soprattutto) nel caso di GELLI non ha mentito. Sono argomenti che discendono in maniera diretta dalla personalità dell'accusato perché GELLI, nel momento in cui BROGI ne parla, è ed è visto da questi come personaggio potentissimo, capace delle più spregiudicate e tenebrose macchinazioni, in grado ben più che di schiacciarlo. Se questo è vero, perché BROGI, del quale tutto potrà dirsi non che è uno stupido oppure una persona che non è capace di valutare la portata delle sue affermazioni, avrebbe dovuto scagliarsi contro un uomo così potente come GELLI, accusandolo per di più di fatti mai commessi? Perché avrebbe dovuto calunniare e nel decidere di farlo rivolgersi proprio e soltanto a lui? Non ad un CIOLLI, non ad un RINALDINI, non ad un DANIELETTI qualsiasi, ma a GELLI? Al capo della P2, all'uomo dalle mille ed imprevedibili risorse?!"


Dopo aver esposto siffatti argomenti di ordine logico, in sé già difficilmente superabili, la Corte fiorentina passa ad enumerare (171) le numerose conferme di carattere estrinseco che le dichiarazioni del BROGI hanno ricevuto con riferimento specifico al finanziamento oppure ai contatti del GELLI con elementi dell'eversione toscana. Si tratta di dichiarazioni provenienti da una molteplicità di soggetti, cui occorre in questa sede fare semplice rinvio, limitandosi a ricordare come la sentenza dia atto anche di quanto riferito dal LUONGO e dal BALDINI, rispettivamente funzionario e maresciallo dell'UCIGOS di Arezzo, i quali "concordemente hanno dichiarato di aver appreso da GALLASTRONI, subito dopo la strage della stazione di Bologna

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(171) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 393 ss.


dell'agosto 1980, che CAUCHI nel 1974 aveva avuto contatti con GELLI per finanziamenti" (172).


Riconosciuto colpevole d'aver sovvenzionato la banda armata del CAUCHI, il GELLI è stato condannato dalla Corte d'Assise di Firenze alla pena di anni 8 di reclusione.


Il CAUCHI chiese finanziamenti al GELLI, e costui, dimostratosi interessato, pretese tuttavia l'intervento di un militare che garantisse la serietà dell'operazione. Il militare fu scelto nella persona del Maggiore Salvatore PECORELLA (173). Dopo un incontro a quattro, a `Villa Wanda', fra il GELLI, il PECORELLA, il CAUCHI ed il MENNUCCI (il BROGI rimase ad attendere all'esterno), finalmente il CAUCHI poté recarsi in un palazzo di Arezzo a ritirare il denaro, diviso in mazzette, per un ammontare di circa 18 milioni di lire. Tale denaro fu da CAUCHI e sodali, di lì a pochi giorni, impiegato nell'acquisto di un camion di armi ed esplosivo.


Andrea BROGI è stato sentito ex art. 450 bis del Codice di




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(172) - Cfr. vu 10/6/88, p394.
(173) -Già inquisito, nel '74, nell'ambito dell'istruttoria del `Golpe BORGHESE': cfr. vu 10/6/88, pp. 401-402; cfr. anche Cal., V6, C1, p207.


rito anche da questo Collegio (174). Dalle dichiarazioni da lui rese in questo procedimento e nel procedimento fiorentino emerge che il GELLI non fu messo al corrente del fatto che la somma, di lì a breve, sarebbe stata impiegata nell'acquisto di armi e di esplosivo di cui si è detto. Peraltro, il BROGI, invitato a chiarire cosa il CAUCHI ebbe a dire al GELLI sulla destinazione del denaro, ha, fra l'altro, dichiarato (175): "...Il discorso fu impostato che c'erano dei gruppi al di fuori del MSI, che in previsione di una presa al potere delle sinistre avrebbe fatto un certo tipo di reazione, in quanto a quell'epoca circolava all'interno dei nostri gruppi questa convinzione, cioè che la sconfitta nel referendum avrebbe portato molto facilmente a un cambiamento radicale politico in Italia e quindi con una certa emarginazione per quella che era la nostra vita nel lavoro e quindi il modo di fare i partigiani alla rovescia. Cioè in caso di una presa di potere da parte delle sinistre con una presa di piazza, una scesa di piazza del Partito comunista e una nostra emarginazione, di avere

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(174) - Cfr. vu 22/1/88, pp. 14-36.
(175) -Cfr. vu 22/1/88, p18.


delle scorte, delle armi, dell'esplosivo per poter fare una
controrivoluzione oppure una difesa individuale..." E ancora (176): "...io rispondo, dicendo questo, che se mi volete chiedere cosa capì il GELLI di che cosa gli chiedevamo, il GELLI capì questo: che un gruppo o dei gruppi al di fuori del MSI si stavano organizzando in previsione di un mutamento storico, come lo è stato infatti qualche anno dopo, del cambiamento politico del Paese, e quindi chiaramente creare un serbatoio di materiale, sia di strutture logistiche, operanti e anche di finanziamento di uomini, in caso di una presa di potere da parte delle sinistre e in caso di una limitazione di quelle che erano le iniziative private, le imprese private ripeto, che era una ghettizzazione di un certo mondo. In particolare modo al GELLI non fu parlato esplicitamente né di attentati né di quello che noi avremmo fatto...l'uso del materiale che il GELLI al massimo avrebbe potuto concepire era di fare questi piccoli addestramenti di preparazione a quello che ho detto, doveva essere un utilizzo, non però per un discorso

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(176) - Cfr. vu 22/1/88, pp. 24-25.


destabilizzante, cioè per un discorso di preparazione a
qualcosa che, diciamo così, doveva accadere; in quel momento lì tutti ne eravamo convinti.Quindi questa realtà operativa e militare doveva essere su piccolissime basi addestrativa. Certo, ribadisco che il GELLI non avrebbe mai pensato che i soldi fossero stati poi investiti in un grossissimo quantitativo quasi tutto di armi ed esplosivo, e non chiaramente anche in librerie o iniziative di questo tipo e che poi a sua volta questo esplosivo andasse a finire nelle mani dei gruppi più estremizzati in quell'epoca...Certo che il GELLI non avrebbe mai pensato che i 18 milioni sarebbero andati tutti spesi soltanto per le armi e l'esplosivo..." Davanti alla Corte fiorentina, il BROGI ebbe a chiarire (177) come egli ed il CAUCHI avessero concordato che quest'ultimo, per introdurre la richiesta di finanziamenti a fini di autodifesa, avrebbe dovuto segnalare al GELLI che,"come conseguenza della vittoria delle sinistre,sarebbe stata compromessa la libera iniziativa con conseguente perdita di potere di determinati ceti e di

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(177) - Cfr. vu 10/6/87, p409.


determinati interessi". Ed ha in quella sede riferito (178): "Ricordo che per memorizzare il succo dei propositi espressi da CAUCHI al GELLI io riassunsi il tutto nell'espressione `fare i partigiani alla rovescia', nel senso cioè che noi dell'estrema destra non avremmo accettato passivamente un rovesciamento della situazione politica e saremmo andatiin montagna per fare un certo tipo di opposizione armata...Dopo un'altra telefonata, CAUCHI tornò da GELLI e mi riferì di un colloquio brevissimo in cui GELLI non aveva posto ostacoli a soddisfare la richiesta purché fosse partecipe della cosa un uomo `con le stellette' che facesse da garante. Ricordo che, secondo quanto mi riferì CAUCHI, GELLI gli aveva detto di avere la possibilità di certi contatti e rapporti con rappresentanti dell'Arma dei Carabinieri e dell'Esercito e che riteneva opportuno che fosse un esponente dell'Arma o dell'Esercito a farsi garante presso entrambe le parti e che le armi e gli esplosivi acquistati con il denaro che egli procurava fossero custoditi in depositi ed usati esclusivamente per le

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(178) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 410-411.


finalità che CAUCHI gli aveva prospettato già dal primo
colloquio". "Al GELLI era stato precisato che molti erano i gruppi che si erano venuti formando in diverse città, come il nostro in Arezzo, molti restavano all'interno del M.S.I., per impedire uno spostamento di quel partito verso sinistra. Torno a ripetere che su chi avrebbe dovuto usare quel materiale, cioè armi ed esplosivo, CAUCHI disse chiaramente a GELLI che sarebbero state usate da un'ala più dura del M.S.I.". "Sullo scopo o i fini per cui quelle armi ed esplosivi venivano acquistati CAUCHI precisò che avrebbero dovuto servire, come ho già detto, per una resistenza armata, una sorta di `partigiani alla rovescia'". Si tratta di dichiarazioni sostanzialmente confermative di quelle già rese nell'istruttoria di quel procedimento (179), dove il


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(179) - Cfr., segnatamente, vu 21/1/88, pp. 47 e 50-51. La consonanza delle dichiarazioni sopra riportate, rese in questo giudizio, nonché in quello fiorentino e nella relativa istruttoria, consente di interpretare correttamente il senso delle seguenti ulteriori dichiarazioni del BROGI -rese al Giudice Istruttore di Bologna dott. GRASSI (cfr. vu 21/1/88, p61), e confermate avanti a questa Corte (cfr. vu 22/1/88, p18)- che, `prima facie', appaiono di segno diverso:
"Stando a quello che mi ha detto il CAUCHI, questi non disse assolutamente al GELLI che il denaro sarebbe servito per acquistare armi ed esplosivi,ma gli fece quel discorso sull'autodifesa e sulla tutela della proprietà che si era inprecedenza preparato". A ben vedere, alla luce di tutte le altre dichiarazioni, si comprende come il BROGI abbia inteso dire -coerentemente con quanto affermato negli altri verbali- che il CAUCHI (segue)


BROGI aveva, tra l'altro, dichiarato: "...Siccome il GELLI sapeva che Augusto veniva da O. Nuovo e che O. Nuovo aveva cercato e cercava di arare nel campo del M.S.I. per fare nuovi adepti, Augusto avrebbe dovuto dire al GELLI che i soldi sarebbero serviti per iniziative tutte volte allo scopo di dare maggior forza a queste forze di destra alternative al M.S.I. (gli avrebbe parlato anche di una libreria da aprire ad Arezzo dove vendere libri di edizioni come Ar), e, in particolare compiere un'azione di addestramento e di preparazione, sul piano militare e cioè


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(segue) non fece concreto riferimento a singole specifiche operazioni di acquisto di armi o di esplosivo (e cioè, in sostanza, all'acquisto che seguì di pochi giorni il finanziamento), mantenendosi invece sulle generali.Particolarmente illuminante il contenuto del verbale reso in data 1/12/86 al dott. MINNA ed al dott. VIGNA (cfr. vu 21/1/88, pp. 51-52): "...a GELLI...fu detto chiaramente che eravamo un gruppo che si armava e che era pronto alla lotta armata nel caso di una vittoria delle sinistre al referendum.Su insistenza del G.I. escludo che a GELLI sia stato fatto un discorso con riferimento specifico o ad attentati individuati oppure al procacciamento di queste armi o di questo esplosivo. GELLI sapeva che eravamo pronti per la lotta armata e che gli chiedevamo finanziamenti ma non gli fu detto nulla nè di singoli attentati né di singoli armamenti..." Peraltro, già nelle dichiarazioni rese al dott. GRASSI, il contestuale riferimento al discorso sulla "autodifesa e sulla tutela della proprietà" stava ad indicare come il non aver messo il GELLI a parte degli imminenti acquisti di armi ed esplosivi andasse riferito a concrete operazioni diacquisto, ma non certo alla generica attività di armamento del gruppo, che era implicita nel concetto stesso di "autodifesa", cioè in quell'attività di `partigiani alla rovescia' che veniva prospettata per il periodo postreferendario.


con armi ed esplosivi, a persone che avrebbero potuto e dovuto, nel dopo-referendum, assumere iniziative. Augusto avrebbe dovuto dire al GELLI che per addestrare questi giovani si trattava di fargli fare delle azioni non di grossa entità in vista di una loro preparazione. Augusto andò da GELLI e dopo mi riferì che gli aveva puntualmente detto quello che avevamo concordato...Disse che il GELLI era rimasto d'accordo sulla proposta..."


Nel pervenire all'affermazione della penale responsabilità del GELLI, la Corte d'Assise di Firenze (180) -con argomenti che questo Collegio fa propri- ha rilevato che "reato scopo della banda armata può essere il delitto di `attentato contro la costituzione dello Stato', consistente, secondo quanto prevede l'art. 283 C.P., nella commissione di un `fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale dello Stato'...Orbene, se si tien presente che GELLIha finanziato consapevolmente, attraversoCAUCHI, un'associazione che si proponeva l'addestramento e la

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(180) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 411 ss.


preparazione `sul piano militare, e cioè con armi ed
esplosivi', di persone che avrebbero dovuto assumere `iniziative' -ovviamente illegali, dati il tipo di addestramento e la natura dei mezzi a disposizione- dopo il referendum, per controbilanciarne gli effetti ed impedire che l'asse politico del paese si spostasse irreparabilmente a sinistra...GELLI ha finanziato nient'altro che una banda armata,giacché quest'imputato, nel momento di porsi come sovventore, ben sapeva che i denari erano destinati all'addestramento ed alla preparazione (con armi ed esplosivo)...perché l'assetto politico dello Stato assumesse una forma diversa da quella che, a seguito della consultazione referendaria, avrebbe potuto legittimamente determinarsi; non ignorava, insomma, che con i milioni offerti sarebbero stati acquistati armi ed esplosivo" (anche se non proprio quelli che furono di fatto acquistati) "con i quali il gruppo di CAUCHI, agendo in collegamento con altri, avrebbe datovita ad una vera e propria resistenza armata aventelo scopo di controbilanciare a destra l'asse politico del Paese che, all'esito del referendum di imminente attuazione, si fosse orientato a sinistra."


Dunque, agli effetti della penale responsabilità per il delitto di sovvenzione di banda armata, "a nulla rileva che GELLI non sia stato informato che con l'esplosivo che ci si sarebbe procurato con i suoi milioni avrebbe avuto inizio una campagna di attentati a beni pubblici".


Peraltro, il GELLI "non poteva non rendersi conto che dar la disponibilità (non di volantini pubblicitari o di opuscoli ideologici ma) di armi e soprattutto di esplosivo a ragazzi a dir poco spregiudicati, come CAUCHI, equivaleva a consentire che gli stessi, garante o non garante, si dessero alla commissione di azioni terroristiche con lo scopo di suscitare nella popolazione richiesta d'ordine e favorire un governo forte di destra. GELLI, del quale tutto si potrà dire ma non che sia uno sprovveduto o un ingenuo, non poteva non prevedere che i ragazzi ai quali rendeva possibile di munirsi di esplosivo se ne servissero per attentati terroristici che frenassero lo spostamento a sinistra dell'assetto politico; non poteva non rendersene conto perché questa era anche la sua aspirazione e perché in quegli anni l'attentato terroristico non era un evento eccezionale né un fatto assolutamente improbabile;...nella prospettazione di GELLI, nel momento di consegnare i denari a CAUCHI, non è stata estranea l'eventualità di attentati, e di quel genere (a treni) che era il pezzo forte della destra, di talché già con la consegna dei milioni a CAUCHI per l'acquisto di armi e di esplosivo GELLI ha accettato che di questi potesse farsene uso per attentare alla sicurezza dello Stato e mettere in pericolo l'incolumità altrui." Conclude la Corte fiorentina: "...a GELLI occorre rimproverare di aver sovvenzionato una banda armata, ben sapendo che questa si proponeva di mutare con mezzi non consentiti la Costituzione dello Stato o la sua forma di Governo (reato di cui all'art. 283 C.P.) e ben dovendosi prospettare che la stessa si proponeva anche di commettere atti `diretti a portare...la strage', `allo scopo di attentare alla Sicurezza dello Stato' (reato di cui all'art. 285 C.P.)."








2.4.4.4) Le ulteriori componenti della contestata associazione


Si tratta ora di portare l'indagine su quelle che, nell'assunto accusatorio, vengono presentate come le ulteriori componenti dell'ipotizzata associazione eversiva. Va premesso che la pubblica accusa, attraverso la laboriosa ed attenta analisi di uno sterminato materiale documentario, ha finito, in taluni casi, per investire temi che paiono alla Corte in parte ultronei rispetto all'alveo alla deliberazione imposto dai limiti dell'imputazione. Che alcune zone del vastissimo affresco tracciato dal PUBBLICO MINISTERO restino escluse dall'indagine condotta ai fini della presente decisione non è quindi frutto della sottovalutazione dell'immane mole di lavoro svolta nel presente procedimento dall'Ufficio requirente, ma frutto della esigenza, tecnicamente doverosa, di circoscrivere quell'indagine entro i limiti invalicabili del `thema decidendum'.


Tanto premesso, va detto che -secondo una schematizzazione di cui già si è fatto cenno- si possono individuare, quali ulteriori componenti della contestata associazione, quella `ordinovista' (imputati SIGNORELLI, FACHINI, DE FELICE), quella `avanguardista' (imputati DELLE CHIAIE, BALLAN, TILGHER, GIORGI) e quella degli apparati di sicurezza (imputati PAZIENZA, MUSUMECI, BELMONTE). Quanto alle prime due, l'indicazione classificatoria che fa riferimento alla formazione di provenienza viene adottata per ragioni di comodità espositiva e non va intesa rigidamente: sia perché si dà il caso di personaggi -come, ad esempio, lo stesso imputato FACHINI- che hanno, rispetto alle due tradizionali formazioni neofasciste, una posizione ambivalente; sia perché dette formazioni -nella prospettiva accusatoria- non entrano, in quanto tali, nell'associazione eversiva in esame; sia, ancora, perché, nella stessa prospettazione dell'ordinanza di rinvio a giudizio, quella distinzione sfuma all'interno dell'organizzazione eversiva in esame, nella quale i personaggi di matrice avanguardista e `lato sensu' ordinovista sono riguardati non come esponenti di vertice delle due organizzazioni di provenienza, ma, appunto, come membri di un organismo occulto nel quale si riconoscono, operano (mettendo a disposizione, per i fini associativi, gli uomini, i mezzi e le attività che, da posizioni di vertice, possono gestire nel mondo dell'eversione neofascista) e trovano un denominatore comune, avendo mantenuto rapporti a livello personale ed avendo continuato a collaborare anche dopo il fallimento della riunificazione tra Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale (181).


Ciò posto, si tratta di cogliere, con riferimento alle varie componenti, eventuali ruoli, percorsi eversivi, collegamenti significativi, ed ogni altro elemento sintomatico della dedotta internità di ciascun imputato all'associazione in esame: e ciò, avendo come costante quadro di riferimento quello emergente da quanto argomentato sub 2.4.4.3), per via della segnalata centralità, nell'economia dell'impianto accusatorio, della figura del GELLI, quale titolare dello strumento di penetrazione ed occupazione `indolore' dei

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(181) - Cfr. SO, pp. 952 ss. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio si chiarisce altresì come questa prospettazione sia diversa, da quella, già sostenuta dal PUBBLICO MINISTERO e non accolta dal Giudice Istruttore né dal `Tribunale della Libertà', secondo la quale unica sarebbe stata, anche fra il '77 e l'80, la centrale -composta da `vecchi tramoni' ordinovisti ed avanguardisti- alla quale andavano ricondotti tutti gli attentati attribuiti alla destra (cfr. SO, pp. 947-951).


gangli vitali del sistema istituzionale.


2.4.4.4.1) La componente `ordinovista'


a)La `carriera' di Paolo SIGNORELLI è già in larga parte ricostruibile attraverso quanto si è venuti dicendo nelle precedenti parti della trattazione. Va ricordato, senza pretesa di esaustività, che egli partecipa alla riunione di Cattolica; ospita, nella sua villa sul Lago di Bolsena, una riunione nella quale egli, a differenza di altri, si fa sostenitore della linea degli "attentati istintivi, cioè sul pesante" (182); dall'incontro di Albano in poi, è puntualmente presente ad ogni altra scadenza eversiva: alla riunione di Nizza dell'8/12/75, alle vicende di Costruiamo l'Azione, a quelle della banda armata oggetto del presente giudizio, nell'ambito della quale si è visto quale ruolo egli abbia avuto rispetto all'omicidio del dott. AMATO. Ai fini che qui rilevano, non è tanto importante siffatta carriera eversiva in sé, quanto il fatto che il SIGNORELLI abbia agito essendo da data remota collegato ad ambienti militari ed apparati di sicurezza.



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(182) - Cfr. dichiarazioni BROGI, in vu 21/1/88, p52 e vu 22/1/88, p20.


Nel 1974, essendo stato compiuto un attentato in danno del Circolo `Drieu La Rochelle' di Tivoli, il CALORE ed il TISEI raccolgono informazioni secondo cui ne sarebbero stati autori giovani della sinistra extraparlamentare; il SIGNORELLI,messo al corrente di ciò, chiede ed ottiene una `relazione' scritta sui fatti e sui presunti responsabili; qualche giorno dopo arrivano a Tivoli due ufficiali dei Carabinieri: l'allora Tenente Sandro SPAGNOLLI ed un Capitano, il cui nome dovrebbe essere Antonio MARZACCHERA; si presentano, in divisa, direttamente al `bar Garden', punto di ritrovo di CALORE e soci, e, dopo aver salutato alla maniera nazista, dichiarano che vengono da parte del SIGNORELLI e desiderano saperne di più sull'episodio; il CALORE ed il TISEI hanno modo di vedere, nelle mani dei due ufficiali, la `relazione' che essi stessi avevano consegnato al SIGNORELLI (183).


Riferisce ancora Sergio CALORE che il SIGNORELLI, richiesto

di spiegazioni in proposito, ammise d'aver consegnato il


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(183) - L'episodio è così ricostruibile attraverso le dichiarazioni, di segno sostanzialmente convergente, del CALORE e del TISEI: cfr. Cal., V5, C12, p18; Cal., V5, C12, p2; vu 9/12/87, pp. 31-32; vu 19/1/88, pp. 20-21.


foglio ai Carabinieri, e, reso edotto che gli ufficiali avevano chiesto collaborazione, invitò il CALORE stesso ad "appoggiarli" (184).


Dal verbale dell'interrogatorio dibattimentale (185) di Sergio CALORE: (i due ufficiali) "dissero...che dovevano fare una serie di operazioni lì nella zona, dovevano cercare informazioni relative a persone legate alle B.R. dell'epoca e dovevano fare una serie di controlli anche su queste persone indicate sulla `cosa'" (la `relazione' consegnata dal SIGNORELLI)."Ci dissero se volevamo partecipare, addirittura, a qualcuno di questi controlli, dicendo che loro avevano il potere di...in caso di necessità, di procedere alla militarizzazione delle persone...se ne parlò con SIGNORELLI e lui riteneva queste persone estremamente affidabili e riteneva questo tipo di rapporto abbastanza normale...all'epoca, per quella che era la mentalità del nostro ambiente, non è che questa cosa fosse scandalosa al di là di un certo limite...nel momento in cui si parlava della possibilità di partecipare ad operazioni di tipo

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(184) - Cfr. vu 9/12/87, p33.
(185) - Cfr. vu 9/12/87, pp. 32-33.


golpista non è che poi uno si doveva scandalizzare più di tanto se esistevano rapporti con esponenti dell'Arma dei Carabinieri..."


Al CALORE ed al TISEI, i due ufficiali riferirono che facevano parte del gruppo comandato dal Col. CORNACCHIA: il quale ultimo, immancabilmente, è risultato iscritto nelle liste di Castiglion Fibocchi (186).


Ben si comprende come, grazie ad opportune entrature in certi ambienti, il SIGNORELLI, in occasione di determinate scadenze golpistiche, risultasse preavvisato di ciò che si andava preparando (187).


Sergio CALORE ha poi riferito (188) d'aver appreso, in carcere, a Novara, da Franco FREDA, di come costui avesse a sua volta saputo da Guido GIANNETTINI che il SIGNORELLI, per conto del SID, aveva effettuato schedature di ufficiali dei reparti operativi dell'Esercito operanti nel settore Nord-Est. Il GIANNETTINI aveva riferito ciò per sottolineare come


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(186) - Cfr. Cal., V6, C1, p10.
(187) - Cfr., in particolare, interrogatorio 12/1/84, in AA, V4, C24, p74; interrogatorio 25/2/84, in AA, V4, C24, p197; confronto 13/12/84, in Cal., V5, C12, p16; vu 10/12/87, p26.
(188) -In Cal., V5, C12, p16; cfr., per il giudizio, vu 9/12/87, p31.


il SIGNORELLI fosse stimato negli ambienti del SID. La notizia, doppiamente `de relato', non sarebbe in sé utilizzabile, se dell'attività di schedatura di ufficiali da parte del SIGNORELLI non vi fosse in atti un irresistibile riscontro documentale. Il 28 agosto 1980, nel corso di una perquisizione (189) effettuata nell'abitazione dell'imputato, in Roma, veniva sequestrato, tra l'altro, un appunto manoscritto redatto in codice (190). Una volta decriptato, l'appunto risultò (191) essere un'elenco di nominativi di alti ufficiali dell'Arma, con l'indicazione dei reparti di appartenenza. Si è visto, sub 1.11.4.5), come

il SIGNORELLI, in dibattimento, a contestazione dell'appunto, si sia dapprima difeso -secondo un non edificante paradigma giudiziario- sostenendo che si trattava di un assemblaggio di numeri o di un fotomontaggio; e come solo nella ripresa dell'interrogatorio, due giorni più tardi, `re melius perpensa', abbia ritenuto bene di modificare tale linea, non essendo peraltro riuscito ad escogitare nulla di meglio delle tesi secondo cui si

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(189) - Cfr. PQA, V2, C74, p8.
(190) -Cfr. SA, V3, C7, reperto 13.
(191) -Cfr. RA, V5, C247, p16.


sarebbe trattato di un elenco -da lui manoscritto- di "provocatori" spacciantisi per `camerati'. L'uso del codice cifrato sarebbe valso ad evitare che eventuali occhi indiscreti, quali quelli dei domestici, potessero cogliere il contenuto dell'appunto. Nella medesima occasione di cui si è detto, al SIGNORELLI fu sequestrato anche un altro foglietto (192), recante, a chiare lettere e senza l'uso di codici cifrati, in forma dattiloscritta, i nominativi di quattro ufficiali, con l'indicazione, per tre di essi, dei reparti di appartenenza. Si trattava, in questo caso, di ufficiali di Artiglieria (193); a contestazione di tale ulteriore appunto, il Prof. SIGNORELLI, poiché l'impersonalità del dattiloscritto glielo consentiva, ha preferito adottare la linea della presa di distanze (194): "...Prendo visione del documento, che io ricordi, non conosco nessuna di tali persone; può darsi pure che li abbia conosciuti, non ricordo i nomi. Non l'ho scritto io. Io scrivo sempre a mano, c'è incompatibilità con la macchina da scrivere..." Non si è premurato,il prevenuto, di spiegare

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(192) - Cfr. i riferimenti di cui alle note (189) e (190).
(193) - Cfr. AAD, V4, C13, p2.
(194) - Cfr. vu 14/4/87, p20.


come e perché l'appunto fosse finito nella sua abitazione.


Ha precisato Sergio CALORE (195) d'aver appreso che le schedature compiute dal SIGNORELLI riguardavano "ufficiali considerati affidabili da un punto di vista politico negli anni '74-'75". Nell'apprendere questa notizia, il CALORE la ricollegò con quanto il SIGNORELLI gli aveva detto nel '73-'74, nel periodo in cui il CALORE stesso prestava servizio di leva: e cioè che "era in preparazione un colpo di stato in quel periodo ad opera di esponenti delle forze armate operanti appunto nel settore Nord-Est. SIGNORELLI definiva tali ambienti militari come nazionalsocialisti ed aggiunse che il `golpe' militare avrebbe dovuto essere stimolato da una campagna di attentati". "SIGNORELLI mi disse" -continua il CALORE- "che io, per il mio grado di sicurezza, in occasione del golpe programmato per l'estate del '74, avrei dovuto essere contattato da un ufficiale del servizio I, evidentemente per ragioni di schedature" (196). Si tratta di dichiarazioni che vanno necessariamente poste in correlazione con quelle provenienti dal BROGI, nella parte

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(195) - Cfr. vu 9/12/87, p31.
(196) - Cfr. Cal., V5, C12, p16.


in cui egli riferisce come,in quel periodo di tempo, nell'ambito di un contrasto sorto in proposito fra i vertici di `Ordine Nuovo', "il SIGNORELLI...era fautore di una linea politica che prevedeva l'appoggio dei militari" (197), "era favorevolissimo ad un intervento militare però creato da cause destabilizzanti" (198) e -come si è già accennato- "voleva attentati `istintivi', cioè sul pesante" (199).


Alla stregua di tale quadro di equivoci rapporti, ben si comprende come il SIGNORELLI, apprezzato collaboratore del S.I.D. già da anni, abbia potuto, ancora nel 1978, essere `sorpreso in flagranza' da Paolo ALEANDRI. Così testualmente l'ALEANDRI (200): "nell'estate del 1978, mentre mi trovavo nella casa di INCARDONA a Trabia, il giorno successivo il rilascio dall'Ucciardone dove ero stato portato per un'accusa di rissa, sopraggiunse una persona...la quale chiese del SIGNORELLI. Mi disse che aveva saputo del mio arresto e che lavorava all'Ucciardone. Nell'attesa di

SIGNORELLI mi pose domande sulla mia collocazione politica



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(197) - Cfr. vu 21/1/88, p59. (198) -Cfr. vu 22/1/88, p20.
(199) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (182).
(200) -Cfr. Cal., V5, C12, pp. 19-20; per il giudizio, cfr. vu 7/1/88, pp. 44-45.


ed altre richieste di natura riservata. Quando sopraggiunsero SIGNORELLI e la moglie, li vidi entrambi sbiancare in volto per l'evidente disagio che dava loro la presenza di quello sconosciuto in casa tanto che si allontanarono con lui precipitosamente da casa. Quando successivamente chiesi a SIGNORELLI di chi si trattasse questi mi disse che era persona interna ai servizi e che si trovava in Sicilia per svolgere indagini circa probabili sequestri che gruppi di destra potevano aver progettato in Sicilia. SIGNORELLI mi spiegò di essere stato aiutato da questo uomo dei servizi quando molti anni prima era stato arrestato e sua moglie era riuscita ad avere rapporti con lui ed aveva risolto una serie di problemi legati alla sua detenzione. Mi disse che fu proprio lo sconosciuto a presentarsi alla moglie e a mettersi a sua disposizione. Ciò ovviamente avvenne a Roma".


b)Anche il percorso eversivo del FACHINI è noto, nelle sue grandi linee, attraverso quanto si è detto in altre parti della trattazione.Si è visto come remota nel tempo sia la sua vocazionedinamitarda e come egli sia venuto assumendo il ruolo di vertice della cellula venta o `gruppo del Nord'. Lo troviamo,inun eloquente crescendo,in veste costante di comprimario, presente prima alla riunione di Albano Laziale, e poi al centro delle esperienze di `Costruiamo l'Azione' e della banda armata oggetto del presente giudizio. Orbene, questo essendo, nei tratti essenziali, il `curriculum' eversivo del FACHINI, v'è prova che egli, da data assai risalente, è in collegamento con apparati di sicurezza.


Così Vincenzo VINCIGUERRA, il 19/7/1984, al Giudice Istruttore (201): "Qualche mese dopo il dirottamento aereo" (di Ronchi dei Legionari) "venni a sapere che il Col.

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(201) - Cfr. EB, V3, C76, p31. Nel presente giudizio, il VINCIGUERRA non ha inteso rendere testimonianza (cfr. vu 2/12/87, p14), con ciò assoggettandosi alle relative conseguenze penali (cfr. vu 2/12/87, pp. 18-19). Le motivazioni di tale atteggiamento sono contenute in una lettera inviata dal VINCIGUERRA al Presidente della Corte (cfr.vu 4/12/87, p15), letta dopo la prestazione del giuramento e dal teste confermata (cfr. vu 4/12/87, pp. 14 e 18), nella quale il VINCIGUERRA afferma altresì di confermare integralmente quanto ha dichiarato in sede istruttoria ai magistrati dai quali è stato interrogato (cfr. anche -vu 2/12/87, pp. 18-19- la conferma delle dichiarazioni rese il 18/11/87 al Giudice Istruttore dott. GRASSI). Siffatta conferma, espressa in forma generica, cristallizza il contenuto delle dichiarazioni istruttorie del VINCIGUERRA, sottraendole in questa sede, negli aspetti specifici, alla dialettica dibattimentale. Peraltro, le circostanze che qui rilevano risultano confermate avanti alla Corte d'Assise di Venezia, dove il VINCIGUERRA, interrogato proprio sulle circostanze riferite nel verbale 19/7/84 (cfr. AAD, V5, C11, p40), ha tra l'altro risposto (cfr. AAD, V5, C11, p41): "Il fatto che SANTORO avesse riferito a DE ECCHER il mio coinvolgimento su Peteano me lo aveva detto Cesare TURCO e poi ne ebbi" (segue)


SANTORO aveva convocato Cristiano DE ECCHER, mentre il capitano LABRUNA si era recato a Padova da FACHINI Massimiliano. Il primo disse ad ECCHER che loro erano a conoscenza del fatto che io ero l'autore dell'attentato di Peteano. LABRUNA invece si recò da FACHINI per dirgli che era ora di smetterla con certe `fesserie'".


IlFACHINI ed il LABRUNA (202) hannonegatodi conoscersi. Ora, nella recente sentenza della Corte d'Assise di Venezia pronunciata nel procedimento per la `strage di Peteano',si legge (203): "...Guido GIANNETTINI in istruzione il 16/1/1985 aveva dichiarato che `Nel 1972 (probabilmente verso il settembre-ottobre) venne a casa mia a Roma Massimiliano FACHINI il quale mi disse che che aveva saputo che il capitano LABRUNA cercava di avere un contatto con lui

e con il gruppo padovano. Probabilmente FACHINI mi aveva telefonato prima per fissare l'appuntamento. All'epoca il




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(segue) "conferma anche durante il mio soggiorno in Spagna da elementi di Avanguardia dei quali non intendo fare il nome". "Non ricordo invece da chi appresi il fatto che LABRUNA si sarebbe recato dal FACHINI per dirgli che era ora di smetterla con certe fesserie."
(202) - Cfr., per il LABRUNA, vu 10/2/88, p916.
(203) - Cfr. AAD, V10 ter, C2, p758. mio numero di telefono si trovava sull'elenco, anche se non posso escludere che possa aver avuto il mio numero telefonico o da FREDA o da POZZAN. FACHINI mi disse che non
si fidava del capitano LABRUNA e chiedeva a me un parere,
in quanto aveva saputo che ero amico di FREDA. In precedenza il capitano LABRUNA mi aveva chiesto un paio di volte se conoscevo FACHINI perché voleva entrare in contatto con lui ai fini di evitare provocazioni. Mi disse che voleva evitare che FACHINI e il suo gruppo veneto fossero spinti a fare sciocchezze, sul tipo di tenere armi in casa o di compiere qualcosa di non legale'. E GIANNETTINI consigliò il FACHINI di accettare il contatto con il LABRUNA: circostanze tutte che confermerà al dibattimento" (204).


Che il consiglio del GIANNETTINI sia stato raccolto emerge dalle dichiarazioni che il Giudice Istruttore di Venezia

dott. CASSON (205), grazie alla collaborazione e per il tramite del `Commissioner' di Johannesburg (206), ha

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(204) -E' appunto tale conferma dibattimentale che consente l'utilizzazione in questa sede delle dichiarazioni del GIANNETTINI. Cfr., sul punto, Cass., Sez. I, Sent. n. 8817 dell'8/10/82 -udienza 6/4/82- Presidente Rubino, imp. Pirrone.
(205) - Cfr. AAD, V5, C9, p1.
(206) - Cfr. AAD, V5, C9, p3.


ricevuto in territorio sudafricano dal Gen. MALETTI,


all'epoca dei fatti in questione diretto superiore del


LABRUNA all'interno del S.I.D..


Dal verbale (207) di tali dichiarazioni: D. "L'altro giorno le ho chiesto se sapeva di un contatto o di contatti circa LABRUNA e FACHINI e lei disse che pensava che tali contatti avessero avuto luogo - la mia domanda ora è: cosa intende per `Pensare'?" R. "Penso di aver avuto un rapporto verbale dal Capitano LABRUNA". D. "Che genere di contatti ci furono fra LABRUNA e FACHINI?" R. "Penso che LABRUNA abbia ricevuto da FACHINI delle informazioni sui gruppi di estrema destra, non posso ricordare ulteriori dettagli".


Neppure nel suo sicuro rifugio sudafricano il Gen. MALETTI riesce a rinunciare al conforto psicologico che gli viene dall'uso ostinato del verbo `pensare', con il quale tende in qualche modo a prendere le distanze dall'operato del suo sottoposto. Pur attraverso tale filtro psicologico, vengono


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(207) -Verbale letto, nella parte che qui interessa, dal PUBBLICO MINISTERO all'udienza del 10/2/88 (cfr. vu 10/2/88, p30), durante l'audizione del Cap. LABRUNA.
L'utilizzabilità delle dichiarazioni del MALETTI discende dal combinato disposto degli artt. 144 bis, 466 bis e 462 n.3 C.P.P., per essere il MALETTI assente dalla Repubblica.


ugualmente alla luce le circostanze storiche, sulle quali nulla v'è da pensare, ma delle quali si tratta di avere cognizione o non: il LABRUNA ebbe i contatti col FACHINI e ne riferì verbalmente al superiore. Di fronte a tale ammissione -che il LABRUNA, stando in Italia, non si è concesso, preferendo, in altra sede giudiziaria, affrontare le relative conseguenze penali (208)- poco importa, ai fini che qui rilevano, che il MALETTI sia poi parzialmente reticente sul reale contenuto dei contatti LABRUNA-FACHINI.


Siamo di fronte a dichiarazioni provenienti da individui nessuno dei quali appare animato da volontà gravatoria o mossa dall' interesse a mentire sul punto: non il VINCIGUERRA, al di sopra di ogni sospetto di `captatio benevolentiae' nei confronti dell'autorità giudiziaria in vista di eventuali benefici, per essersi egli recentemente lasciato passare in giudicato una condanna all'ergastolo per la strage di Peteano, in ordine alla quale si era reso confesso; non il GIANNETTINI, stante la "sua comprovata riservatezza" -già in altre sedi manifestata (209)- "in


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(208) - Cfr. vu 10/2/88, p12.
(209) - Cfr. AA, V6, C40, p746.


favore degli elementi del Servizio"; non il MALETTI, che si era in precedenza tenuto su posizioni di negativa (210), determinandosi alle tiepide ammissioni che si son viste soltanto dopo aver lasciato l'Italia.


Attraverso il conforto che alle dichiarazioni del VINCIGUERRA indirettamente viene da quelle del GIANNETTINI e del MALETTI, la circostanza del collegamento LABRUNA-FACHINI resta pienamente confermata.


c)Non è necessario qui ricostruire nel dettaglio la parabola `politica' di Fabio DE FELICE. Basterà ricordare l'attività di redazione e diffusione di `Politica e Strategia' come strumento di penetrazione ed amalgama degli ambienti militari virtualmente ancora interessati, dopo il `golpe BORGHESE n.1', a svolte di tipo autoritario:attività che va interpretata alla luce del suo inserimento "sin dall'inizio", con il fratello Alfredo, in "un centro di direzione politica parallelo a O.N. ed occulto ai suoi militanti", nell'ambito del quale i DE FELICE "assicuravano i collegamenti tra settori militari e politici ufficiali e


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(210) - Cfr. AA, V6, C40, pp. 746-747. organizzazioni eversive di destra" (211); e rammentare la sua centralità rispetto all'esperienza eversiva di Costruiamo l'Azione (212), di cui egli, con altri, è promotore, e all'interno della quale, fra l'altro, è uno dei redattori dei `fogli d'ordini di Ordine Nuovo'. Importante è rilevare l'elemento di continuità che accompagna l'attività del DE FELICE lungo tutta la sua multiforme `carriera'. Per usare le parole del PUBBLICO MINISTERO di Roma, "DE FELICE golpista è diverso da DE FELICE esponente di ordine Nuovo e ancora diverso da DE FELICE `quadro coperto' di Costruiamo l'Azione: ma stranamente è sempre se stesso nella ricerca dei moduli più funzionali alla conquista del potere" (213). Ed è in funzione di potere che il DE FELICE tende, tramite l'ALEANDRI, a porsi in rapporto di collaborazione col GELLI.


Dei contatti ALEANDRI-GELLI non è dato dubitare: non solo perché l'ALEANDRI, dopo iniziali comprensibili reticenze, ne



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(211) - Cfr. Cal., V5, C3, p3; nonché, vu 7/1/88, p42. (212) -Cfr., segnatamente, vu 9/12/87, pp. 17-18 e 56-57;
vu 11/10/87, pp. 14-15; vu 7/1/88, pp. 20, 37-39 e 46-48; vu 8/1/88, pp. 22, 27-28 e 123-124.
(213) - Cfr. AA, V1, C1/5, p1041.


ha riferito in termini particolareggiati e coerenti, ma perché di tali contatti si ha notizia anche da parte del CALORE (214) e dello stesso SIGNORELLI (215). Una schematica ma compiuta descrizione dei propri rapporti col GELLI, l'ALEANDRI la dà nel corso del confronto col CALORE del 25/2/1985 (216): "...Per quanto riguarda, in particolare, i miei rapporti con GELLI, è necessario ripercorrerli distinguendone tre fasi:in una prima fase,essi consistono nel riferire a GELLI quanto mi comunicava telefonicamente, dalla sua latitanza, Filippo DE IORIO. In effetti, DE IORIO si faceva chiamare Marcelli, ed io mi facevo annunciare a GELLI come `l'incaricato di Marcelli'. Tali rapporti ebbero inizio con la partenza per il Sud Africa, definitiva, di Alfredo DE FELICE. La seconda fase è caratterizzata da alcuni progetti di Fabio DE FELICE che dovevano da me essere riportati a GELLI; tali progetti consistevano nel tentativo di entrare in contatto con ambienti economici ed affaristici e nel prospettare a GELLI l'opportunità di usare la nostra organizzazione. Non riportai nessuno di questi

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(214) - Cfr. vu 10/12/87, p52. (215) - Cfr. vu 12/5/87, p33.
(216) -Cfr. Cal., V5, C3, pp. 73-74.


progetti a GELLI per un duplice motivo: non lo ritenevo
opportuno per lo stato dei miei rapporti con lui e soprattutto perchéla linea politica che in quel periodo (1978) io andavo elaborando con CALORE mi rendevano ostile a simili ipotesi. L'unico progetto concreto che mi si chiese di riferire a GELLI fu la richiesta di favorire l'ingresso e la permanenza di GRAZIANI in Paraguay poiché GELLI aveva rapporti di amicizia con il Capo dello Stato STROESSNER. Neanche tale proposta la riferii al GELLI. La terza fase consiste nella presentazione che io feci al GELLI, interessato a tale presentazione, di Franco SALOMONE" (217) "e di Claudio LANTI," (218) "giornalisti del Tempo di Roma e del Giornale di Milano. Questi ultimi si incontrarono con


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(217) - Risulterà iscritto nelle liste di Castiglion Fibocchi (cfr. Cal., V6, C1, p42). Personaggio dello `entourage' del DE FELICE, il SALOMONE consegna all'ALEANDRI una lista di magistrati della Procura della Repubblica di Roma, con l'orario dei turni: "voglio precisare che in questo caso c'era una specie di gioco delle parti, nel senso che io non chiesi esplicitamente questa lista per i motivi che saranno evidenti a tutti, e SALOMONE pur intuendo questi motivi non esplicitò né dissensi né consensi e si limitò a consegnarmela" (vu 7/1/88, p47). (218)-Anch'egli risulterà iscritto nelle liste di Castiglion Fibocchi (cfr. Cal., V6, C1, p23). La natura dei suoi rapporti col DE FELICE è tale, per cui quest'ultimo può tranquillamente, alla presenza del LANTI, nel corso di un diverbio con l'ALEANDRI, manifestare, tra l'altro, la pretesa di gestire direttamente i proventi delle rapine di autofinanziamento (cfr. Cal., V5, C3, p85, e vu 7/1/88, p46).


GELLI per due o tre volte in mia presenza; successivamente da soli e, dopo un breve periodo dalla mia presentazione, io interruppi ogni rapporto con GELLI, con DE FELICE e con i due giornalisti. Ciò avviene verso la fine del 1978. In verità la rottura dei miei rapporti con SEMERARI, SALOMONE, LANTI, DE FELICE avvenne nel marzo 1979, pur se io mantenni qualche rapporto personale con SALOMONE, con LANTI e con
SEMERARI. Seppi così da SALOMONE che si stava interessando per il salvataggio di GENGHINI che aveva dei problemi giudiziari e che GELLI lo aveva invitato ad iscriversi alla `massoneria' il che, per il cerimoniale previsto, lo divertiva molto." "GELLI si proponeva, attraverso il rapporto con i due giornalisti, entrambi cronisti giudiziari, di esercitare un certo controllo sulle notizie e sugli ambienti giudiziari. Preciso poi che il pretesto per la presentazione di SALOMONE a GELLI fu un progetto di agenzia giornalistica internazionale che SALOMONE aveva delineato con LANTI. In questo contesto, GELLI mi riferì di suoi tentativi di impadronirsi di organi di stampa tra i quali GELLI mi citò le testate del `Corriere della Sera' e del `Messaggero'. Ciò avvenne nel 1978, agli inizi..."


Il quadro si chiarisce e completa attraverso alcune dichiarazioni dibattimentali (219): "...Per una serie di motivi di ordine pratico" (Alfredo DE FELICE) "decise di presentare me a GELLI, proprio perché era stabilito che io fossi poi il contatto di tutta una serie di ambienti e anche per motivi di opportunità, perché fondamentalmente Fabio DE FELICE era anche un personaggio noto in certi ambienti ed era meglio stabilire una specie di filtro prima di iniziare le presentazioni dirette di Fabio DE FELICE e di SEMERARI...Poi avevo indicazioni da DE FELICE per sfruttare questo tipo di conoscenza in modo che potesse servire a noi e cominciai a lanciare una serie di proposte...che ci interessavano come la creazione di un trust di giornalisti che potesse svolgere una funzione di filtro per quanto riguardava la stampa e in quell'occasione appresi tutta una serie di manovre di GELLI per impadronirsi di alcune testate giornalistiche..."


L'internità del DE FELICE, in posizione di spicco,



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(219) - Cfr. vu 7/1/88, pp. 33-34.


all'ambiente di Costruiamo l'Azione, e le "indicazioni" che egli forniva all'ALEANDRI circa le possibilità di sfruttare il rapporto che si era venuto instaurando col GELLI, si conciliano e trovano spiegazione ove si pensi che il DE FELICE "da una parte era contrario alla lotta armata contro il potere, che riteneva velleitaria", e, "dall'altra, agiva su due strade: l'uso del terrorismo come strumento che incuteva paura e creava consenso; ma anche un uso strettamente finalizzato alla conquista, mantenimento ed alla stabilizzazione di quelle fette di potere reale a cui DE FELICE tentava di accedere. A tale fine egli curava anche una serie di rapporti personali con ambienti giornalistici e politici" (220). Nella stessa luce si spiega la contrarietà del DE FELICE alla rivendicazione degli attentati: "egli mi fece comprendere" -ha riferito l'ALEANDRI (221)- che l'aspetto della banda armata era soltanto uno, forse il meno importante, di un più vasto ed articolato disegno politico che si muoveva in un livello molto superiore al

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(220) - Cfr. Cal., V5, C3, pp. 83-84; cfr. anche vu 8/1/88, p124. (221)-Cfr. EA, V10/a-4, C190/3/2, p61 e vu 7/1/88, pp. 38-39.


nostro. Per questa ragione gli attentati potevano costituire


una merce di scambio per ottenere altri agganci o per condizionare delle scelte. Non occorreva allora nessuna rivendicazione perché il messaggio sarebbe apparso fin troppo eloquente".


Si è reso necessario soffermarsi, nella presente sentenza, sulla posizione di Fabio DE FELICE, esclusivamente per il rilievo che essa assume nell'economia complessiva dell'imputazione associativa, in vista della valutazione delle posizioni dei coimputati: dovendosi infatti sondare


necessariamente -secondo quanto si è chiarito sub 2.4.3)- il retroterra ideologico ed organizzativo dell'associazione eversiva di cui si assume l'esistenza, si è dovuta necessariamente focalizzare l'attenzione anche su un personaggio che, pur non raggiunto da prove di colpevolezza


-come immediatamente di seguito si vedrà- per il periodo posteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice,


risulta tuttavia aver avuto, sino ad epoca prossima all'entrata in vigore di quella norma, un ruolo centrale nell'ambiente e nella trama dei rapporti che legano gli imputati di associazione eversiva.


Ciò premesso, la posizione del DE FELICE può essere definita, proprio in ragione dell'accennata mancanza di elementi idonei a comprovare la sua operatività o, comunque, una sua attività significativa in epoca posteriore al 17/12/1979. La pubblica accusa, in proposito, ha sostanzialmente fatto leva su due circostanze. La prima emerge dalle seguenti dichiarazioni dell'ALEANDRI (222): "Quando io e CALORE uscimmo dall'orbita di DE FELICE il gruppo che rimase intorno a costui del quale facevano parte SEMERARI SIGNORELLI -che però continua a mantenere rapporti con noi- e probabilmente FACHINI, in quanto personalmente collegato a SIGNORELLI, depositò presso il Tribunale di Roma il nome di una nuova rivista dal titolo "SOLARIS" o simile...Ciò avviene intorno al marzo del 1979 ed io da allora non so più quali siano state le successive vicende politiche di questo gruppo". Il PUBBLICO MINISTERO ne fa discendere che il DE FELICE, attorniato dai soliti personaggi, e sgravatosi di presenze oramai incompatibili

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(222) - Cfr. AA, V10, C60, p129 e vu 8/1/88, p52.


con il suo progetto politico, abbia coltivato ulteriormente tale progetto, riaggregando l'ambiente attorno alla nuova rivista. L'ipotesi è tutt'altro che peregrina. Senonché, i riferimenti cronologici emergenti dalle acquisizioni processuali non confortano la tesi accusatoria. Dagli atti del procedimento per ricostituzione del disciolto Partito Fascista avviato nella primavera del '79 dalla Procura della Repubblica di Rieti non risulta (223) se non che, verso la fine del marzo di quell'anno, la rivista `Solaris' era di prossima pubblicazione presso la casa editrice A.R. di Padova.


La seconda circostanza accusatoriamente utilizzata dal PUBBLICO MINISTERO emerge dalla deposizione di Renato ERA. Costui, con riferimento all'epoca successiva alla scarcerazione del SEMERARI nel presente procedimento, ha così deposto (224): "Asseriva anche" (il SEMERARI) "che vi era un `camerata' di Castel San Pietro che lo seguiva dappertutto. Mi disse che `se lo trovava sempre fra i piedi' in casa ed in ufficio e che ciò serviva ad intimorirlo ancor

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(223) - Cfr. AA, V1 bis, C1 bis, p44.
(224) - Cfr. Cal., V5, C23, p14. più. Si tratta di persona più volte arrestata e rilasciata (2o3volte),figliodiuncollaboratore dellasua campagna, estremista di destra e suo compagno di riunione, del quale non ricordo il nome". Sulla base di queste indicazioni, il PUBBLICO MINISTERO ha creduto di identificare il giovane in Maurizio NERI (225) ed ha posto l'accento sul collegamento fra quest'ultimo ed il DE FELICE (226). Ora, è ben possibile che il DE FELICE abbia fatto controllare il SEMERARI (227). Occorre non dimenticare che -come si è visto altrove- il criminologo aveva dato segni di cedimento: e ciò doveva




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(225) - L'identificazione trae in qualche modo conferma dalla deposizione dibattimentale dell'ERA (cfr. vu 12/10/87, p111), il quale, alla domanda volta a conoscere se dal SEMERARI avesse sentito nominare il NERI, ha risposto in modo dubitativo, ma tendenzialmente affermativo.
(226) -Cfr. AA, V1 bis, C1 bis, pp. 63 ss. La conoscenza del DE FELICE e la frequentazione della sua casa -sia pure nell'ambito del rapporto di conoscenza dei figli dell'odierno imputato- sono ammesse dal NERI (cfr. IA, V9/a-1, C20, p3)
(227) -E' ben vero -come è stato rilevato- che Maurizio NERI ha continuato ad essere detenuto nell'ambito del presente procedimento anche dopo la scarcerazione del SEMERARI, per esser stata ordinata la scarcerazione di quest'ultimo il 2/4/81 (cfr. l'ordinanza della Sezione Istruttoria in data 8/5/81, in AR, V3, C27/1) e quella del NERI, da parte del Giudice Istruttore di Roma investito a seguito della sentenza dichiarativa dell'incompetenza per territorio, il 28/11/81 (copia del relativo provvedimento trovasi in CP, C14). Ma le circostanze confidate dal SEMERARI all'ERA possono riferirsi al periodo compreso fra l'uscita dal carcere del NERI e l'assassinio del criminologo, che risale alla primavera dell' '82.


necessariamente creare apprensione nell'odierno imputato.


Tuttavia, se pure la circostanza che, per il tramite del


NERI, il DE FELICE abbia controllato le mosse del SEMERARI, fosse non solo plausibile, ma provata, non si vede quale conclusione significativa dovrebbe trarsene in termini di certezza, se non, appunto, quella che l'odierno imputato per via dei pregressi illeciti rapporti e della pericolosità del patrimonio di conoscenze del SEMERARI, aveva un forte interesse a verificarne costantemente la tenuta ed, eventualmente, a cercare di garantirsela mediante un'opera di intimidazione diffusa.


Mancando, con riferimento all'epoca cui l'art. 270 bis del Codice penale è applicabile, la prova che il DE FELICE abbia commesso le condotte contestategli, s'impone l'assoluzione dell'imputato con la formula "per non aver commesso il fatto".


d)Contiguo alla componente `ordinovista' della contestata associazione è Aldo SEMERARI. Il dato rilevante di questo personaggio è che, essendo egli legato a doppio filo al DE FELICE ed al SIGNORELLI, per non esser rimasto estraneo, tra l'altro, all'esperienza di Costruiamo l'Azione (228), è poi risultato collegato alla malavita organizzata, a personaggi inseriti negli apparati di sicurezza, nonché interno alla `P2' ed in contatto personale col GELLI.


Fulvio LUCIOLI, personaggio interno alla `banda della Magliana' fra il 1978 ed il 1981, ha riferito (229): "...Il Prof. SEMERARI era lo psichiatra di fiducia della banda . Ha

fatto perizie per SELIS, D'ORTENZI, e probabilmente anche a COLAFIGLI. Un giorno venne da noi D'ORTENZI, detto Zanzarone, era il 1978 per dirci che SEMERARI ci proponeva di collocare delle bombe, credo a Roma, e di effettuare alcuni sequestri di persona dandoci un elenco di nomi. Ci prometteva di far uscire le persone eventualmente arrestate per questi fatti, come del resto era già riuscito a fare con D'ORTENZI e con SELIS messi fuori grazie a perizie psichiatriche di favore..." Orbene, Paolo ALEANDRI ha


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(228) - Il SEMERARI ospita, nella sua villa, talune delle riunioni nelle quali il gruppo si viene strutturando ed organizzando (cfr. vu 9/12/87, pp. 17-18;vu 7/1/88,pp. 19-20); "dava la sua adesione", pur non essendo portatore ed elaboratore di una specifica linea `politica' e senza svolgere un ruolo attivo (cfr. vu 7/1/88, p22). Lo ritroviamo ancora, nel maggio del '79, in occasione della conferenza tenuta presso il Cinema Hollywood (cfr. AA, V4, C24, p167, e vu 10/12/87, p17).
(229) - Cfr. Cal., V5, C37, p2, e vu 21/10/87, p33. dichiarato (230): "Nel 1978 Fabio DE FELICE e SEMERARI mi proposero di interessarmi di reperire notizie su persone da sequestrare a scopo di estorsione poiché loro avrebbero provveduto a passare le notizie ad ambienti della malavita organizzata romana". Ma le dichiarazioni del LUCIOLI hanno trovato conferma anche su altre circostanze. Egli ha altresì riferito (231): "So anche di una vicenda relativa ad una borsa piena di armi che era stata consegnata ad un esponente di destra di cui non ricordo il nome e che non venne restituita. Era il 1979 in un periodo in cui io mi trovavo

in carcere. La vicenda poi mi verrà riferita da CARNOVALE Giuseppe che mi disse di avere tenuto sequestrato il giovane di destra in casa sua su incarico di GIUSEPPUCCI, ABBATINO, TOSCANO, ABBRUCIATI e COLAFIGLI. La persona sequestrata venne poi rilasciata a seguito credo del ritrovamento delle armi." Oggi sappiamo che il giovane sequestrato era Paolo ALEANDRI, il quale, infatti, ha dichiarato (232): (Franco GIUSEPPUCCI detto `Franco il Negro) "l'ho conosciuto perché

nei discorsi che stanno a cavallo tra il momento della mia


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(230) -Cfr. Cal., V5, C3, p89; per il giudizio, cfr. vu 7/1/88, p48. (231) -Cfr. Cal., V5, C37, pp. 1-2, e vu 21/10/87, p33.
(232) - Cfr. vu 7/1/88, p41. frequentazione di DE FELICE e SEMERARI e la creazione di Costruiamo l'Azione si era già posto il problema di accedere a fonti di finanziamento, io non avevo nessuna esperienza e il prof. SEMERARI che aveva un rapporto professionale con GIUSEPPUCCI perché faceva delle perizie, me lo presentò...GIUSEPPUCCI mi affidò un sacco molto alto di armi che erano sue. Io portai queste armi da Italo IANNILLI a Tivoli...alcune persone del gruppo si recarono lì prelevando varie armi e Italo IANNILLI non percepì o non ricordò che questa non era la nostra dotazione di armi. Io mi trovai perciò nella condizione di trovare questo sacco depauperato
del suo contenuto e per questo subii il primo sequestro della mia storia ad opera del gruppo di GIUSEPPUCCI..."


Per quanto attiene ai collegamenti del SEMERARI con persone
inserite negli ambienti degli apparati di sicurezza, va
subito detto che egli, perlomeno con certe persone, non ne
faceva mistero. Ancora Paolo ALEANDRI (233): "SEMERARI mi

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(233) - Cfr. Cal., V5, C3, p70; in giudizio (cfr. vu 7/1/88, p41), l'ALEANDRI ha spiegato: "...questo discorso del rapporto con i servizi segreti era un argomento un po' spinoso e quindi tutti tendevano ad escludere di avere rapporti con i servizi, salvo poi lasciar capire che i rapporti c'erano e potevano esser sfruttati...c'è anche da dire che SEMERARI aveva professionalmente dei rapporti con tutta una serie di persone che andavano da istituzioni e" (segue)


parlava con una certa facilità dei suoi rapporti con i `Servizi' alludendo a persone che ricopriva" (sic) "specifici ruoli professionali o che contemporaneamente svolgessero rapporti informativi con i `servizi'. Ricordo a tal proposito che più volte fece riferimento al Colonnello Michele SANTORO" (234) "suo amico e frequentatore della sua abitazione come di persona in collegamento con i servizi

segreti; più volte parlò anche del suo collega FERRACUTI come di persona collegata alla C.I.A...." (235). Proprio il FERRACUTI ha riferito (236) di un episodio collocabile

"probabilmente nel 1978 dopo la conclusione del sequestro MORO": "un giorno...SEMERARI mi consegnò una lettera in codice a firma `Mister BROWN'. Io mi limitai a trasmettere


la lettera al Dr. RUSSOMANNO, trattandosi di fatto `operativo'." In dibattimento (237), il FERRACUTI ha




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(segue) "quindi agli stessi servizi segreti, ed era difficile discriminare i rapporti che erano poi professionalmente giustificati, da rapporti di altro tipo..."
(234) -In altra sede, il SANTORO ha ammesso di esser stato ospite in casa di SEMERARI: cfr. AAD, V10 ter, C2, p508. (235) - Sugli incontri del FERRACUTI con esponenti della C.I.A. e dell'F.B.I., cfr. le dichiarazioni dello stesso FERRACUTI, in AA, V10, C60, p540, confermate in giudizio (cfr. vu 19/10/87, p114).
(236) -Cfr. AA, V10, C60, pp. 541-542. (237) -Cfr. vu 19/10/87, p115. chiarito che arguì trattarsi di un appunto cifrato dal fatto "che era una lettera del tutto sconclusionata e priva di senso e l'unica possibilità era che ci fosse un qualche messaggio". Vi "si alludeva vagamente al delitto MORO, se ricordo bene al Partito Comunista". A prescindere dalla naturadella missiva(238) edalsuocontenuto, occorre sottolineare come già nel '78 fosse operativo questo singolare circuito, in forza del quale un documento proveniente dal SEMERARI, senza filtri di sorta e in modo del tutto automatico, affluisce all'interno del SISDE: il


che, quantomeno, sta a significare che, rispetto al Servizio, il SEMERARI non era un `quivis de populo' e, nei confronti del FERRACUTI (239), non si poneva come colui che è semplicemente in possesso dellanotizia riservata dell'appartenenza di un collega ad un apparato di sicurezza.


Quanto all'appartenenza del SEMERARI alla P2, si è visto altrove come la circostanza resti provata attraverso la testimonianza del fratello dello stesso SEMERARI. Ma il


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(238) - Cfr. vu 20/11/87, p13.
(239) -Che -come egli stesso ha ammesso (cfr. AA, V10, C60, pp. 537-538)- nel febbraio-marzo 1980 si affiliò a sua volta alla P2, venendo iniziato dal GELLI alla presenza del Prof. GAMBERINI e del Gen. PICCHIOTTI. Cfr. anche Cal., V6, C1, p16. defunto criminologo era personalmente in contatto con Licio GELLI. Viene in considerazione, sul punto, la testimonianza di Giacomo GEIROLA:"...IlGELLI" (Raffaello, figlio dell'odierno imputato) "mi disse che conosceva, il padre, il Prof. SEMERARI di Roma..." (240) "...Confermo in particolare quanto ho riferito circa l'occasione in cui GELLI Raffaello mi fece il nome del SEMERARI; egli allorché gli espressi il mio desiderio di ottenere una perizia psichiatrica ai fini di una declaratoria di malattia mentale mi disse che
potevamo ricorrere al SEMERARI perché era una persona fidata alla quale essi si rivolgevano quando ne avevano bisogno perché era disponibile..." (241)


Ma dei rapporti SEMERARI-GELLI v'è anche la prova documentale. Su un calendario da tavolo (242) dell'anno 1980

sequestrato al criminologo, sotto la data del 12 giugno, si trova l'annotazione "ore 16 Gelli". Che l'indicazione si riferisca ad un contatto telefonico, ad un incontro, ad



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(240) -Cfr.EA, V10/a-5, C214, p17. Confermata in giudizio: cfr. vu 3/11/87, p42.
(241) - Cfr. EA, V10/a-5, C214, p18. Confermata in giudizio: cfr. vu 3/11/87, p42.
(242) -Cfr. SA, V5, C11, reperto 8. un appuntamento non coll'odierno imputato, ma col Prof.


GILLI, resta escluso non soltanto dal fatto che sul calendario da tavolo è inequivocamente annotato il cognome "GELLI", ma da quanto ha perentoriamente affermato il quasi omonimo Prof. GILLI (243): "Ho conosciuto il prof. SEMERARI in occasione di una relazione in tema di epilessia posttraumatica...nel mese di giugno 1956...Nell'occasione ebbi uno scontro verbale su temi, ovviamente scientifici, scontro che si ripeté poi in occasione della stampa della relazione...Da allora ho forse incontrato del tutto

casualmente ed occasionalmente il prof. SEMERARI in occasione di Congressi, ma non ho mai avuto occasione di intrattenermi con lui dato anche la sincera antipatia che provare" (sic) "io nei suoi confronti e lui nei miei. Credo che il rapporto orale si sia limitato a buongiorno e buonasera escludo nel modo più assoluto di avere mai avuto colloqui telefonici con il predetto...Non ho mai dato il mio numero di telefono a SEMERARI..."




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(243) -Cfr. EA, V10/a-6, C292, pp. 1-2. Dichiarazioni lette in dibattimento: cfr. vu 3/11/87, p32.


2.4.4.4.2) La componente avanguardista


a) Non è compito della Corte accertare se Stefano DELLE CHIAIE, la notte fra il 7 e l'8 dicembre 1970, si trovasse a Barcellona -come ha sempre sostenuto- o se, al comando di un manipolo di congiurati, fosse penetrato nei locali del Viminale. Quello che va sottolineato sono la profondità e la risalenza dei suoi rapporti `politici' con il BORGHESE,


personaggio nei cui confronti l'imputato fa mostra di profondissima stima. In aula, il DELLE CHIAIE, riferendosi ai fatti del dicembre 1970, ha usato l'espressione "preteso golpe BORGHESE". Sul numero 51 del settimanale l'Espresso, recante la data del 26/12/1982, compare il testo di un'intervista (244) rilasciata dall'odierno prevenuto al giornalista Roberto CHIODI. Vi si legge, tra l'altro: "D. Eppure un anno dopo il golpe scattò lo stesso... R. Molte illazioni sono state fatte in proposito. Non si può più accettare che il Comandante BORGHESE sia fatto passare...come uno strumento del sistema. Piaccia o no, abbiamo goduto della sua piena fiducia. D. Quali compiti

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(244) - RB, V4, C60, pp. 8-15.


avevate? R. Dovevamo controllare l'organizzazione e sventare eventuali infiltrazioni. Compimmo il nostro dovere e bene...


D. Ma lei, la famosa notte del golpe, si trovava o no al Viminale? R. Mi trovavo a Barcellona, in attesa di ordini. D. Perché non l'ha mai detto prima? R. Perché ritenevo inutile stabilire le verità che potevano far pensare a un mio tentativo di sfuggire a eventuali responsabilità. Infatti, se quella notte ci fu un tentativo di golpe, io ne fui corresponsabile."


Nella stessa intervista si legge (245): "...Quanto all'esecuzione OCCORSIO, posso dichiarare questo: non ho dato il mitra Ingram a CONCUTELLI. Non sono il mandante di quell'azione. Ma la condivido..." Nell'intervista (246) successivamente rilasciata ad Enzo BIAGI, il DELLE CHIAIE ribadisce il concetto, e crea un preciso collegamento: "...Condivido il gesto per gli stessi motivi per i quali tentavo prima di spiegarle il fenomeno NAR..." In proposito, poche pagine prima si legge: "...i ragazzi dei NAR sono ragazzi che venivano da una triste esperienza; sprangati

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(245) - Cfr. RB, V4, C60, p13.
(246) - Cfr. RB, V4, C64, pp. 8 ss.


nelle scuole, sotto casa, senza una garanzia -come si usa dire- in Italia. E, in ultima istanza, perseguitati dallo stesso regime che li accusa dei reati più diversi: apologia di fascismo, tentata ricostruzione" (sic) "del partito fascista, associazione sovversiva. Quindi lentamente lentamente quest'area si è sentita aggredita da ogni parte. E ha considerato che l'unica possibilità, l'unica possibilità di sopravvivere politicamente, potesse essere ritrovata nell'atto di testimonianza. Io credo che molti dei ragazzi dei NAR erano coscienti della loro...D. Lei chiama testimonianza sparare addosso ad uno? R. Io mi domando se sparare addosso a uno sia diverso che sparare addosso, per esempio, a Pierluigi PAGLIAI. Quando lo Stato scende al livello del banditismo al quale è sceso lo Stato italiano io credo che è legittima ogni reazione..." La pretestuosità della giustificazione con la quale si vuole legittimare la lotta armata dei NAR è dimostrata dalle parole di colui che dei NAR è stato il principale e più qualificato esponente. Così Valerio FIORAVANTI nel dibattimento (247) per

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(247) - Cfr. AA, V4, C17, pp. 19 e 22.


l'omicidio del dott. AMATO: "...noi scegliemmo AMATO come simbolo dello Stato per addivenire ad una rottura con quelle forze dello Stato stesso a cui eravamo `simpatici' fino a quel momento, poiché ci consideravano `figli della borghesia' lasciandoci fare e scorazzare liberamente per tutta Roma...per `simpatia' degli organi di polizia intendevo dire tolleranza, che prescindeva da qualunque rapporto con noi, noi abbiamo agito per far finire questo stato di tolleranza" (248). Ma a prescindere da ciò, resta comunque la giustificazione della lotta armata. Gli argomenti sono stati ripresi in giudizio. E poiché `scripta manent',l'imputato èstato postodi fronte all'obiettività delle dichiarazionisopra trascritte riportate sullastampa. Ha affermato(249) che, al momento dell'intervista, dato il particolare stato d'animo in cui si trovava, non condannava l'atto del CONCUTELLI, perché comprendeva "l'ottica di colui che aveva agito, di colui che aveva patito una persecuzione", nei cui confronti aveva inteso esprimere


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(248) - Sulla disattenzione degli apparati statali -sino ad una certa data- nei confronti dell'eversione neofascista, cfr., diffusamente, AA, V11, C68, pp. 71 ss.
(249) -Cfr. vu 9/7/87, p31.


solidarietà umana; quanto ai giovani dei N.A.R. e di Terza Posizione, non ha potuto che ribadire (250) il concetto della "grande colpa del sistema, che negli anni '70, ha permesso che questi giovani fossero sprangati, perseguitati e indicati come coloro che invece utilizzavano la violenza fascista".


Peraltro, nel testo dell'intervista resa a Roberto CHIODI alla fine dell'82 -quando appunto la scelta della lotta armata da parte dei N.A.R. era un fatto pacificamente acquisito- il DELLE CHIAIE non si era peritato di affermare: "...Riteniamo pertanto che tutti i militanti dei NAR possano costituire un potenziale positivo per la lotta rivoluzionaria. L'intero movimento nazional-rivoluzionario deve riternersi corresponsabile del sacrificio" (sic) "subito dai camerati dei NAR..." (251).


Ma il DELLE CHIAIE, oltre che nelle sue affermazioni, va letto -come in parte si è già fatto a proposito dei rapporti `politici' col BORGHESE- nelle sue relazioni e nei suoi collegamenti. Si scopre così che, durante la latitanza



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(250) - Cfr. vu 13/7/87, p53.
(251) - Cfr. RB, V4, C60, p13.


all'estero, egli diviene sicuro punto di riferimento degli autori di attentati stragisti; verso il DELLE CHIAIE, con moto inesorabilmente centripeto, confluiscono: Augusto CAUCHI (252), reduce, fra l'altro, dall'attentato commesso il 21/4/1974 sulla tratta ferroviaria Bologna-Firenze, per il quale ha riportato condanna nella recente sentenza 15/12/1987 della Corte d'Assise di Firenze (253); Giancarlo ROGNONI (254), reduce dall'attentato del 7/4/1973 al treno Torino-Roma, per il qualeè statopoi condannatoin via definitiva (255); Vincenzo VINCIGUERRA (256), che aveva commesso la `strage di Peteano',per la qualeè statopoi condannato in via definitiva; Carlo CICUTTINI (257), a sua volta allontanatosi dall'Italia dopo aver commesso la `strage di Peteano' per la quale è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Venezia (258).


Significativa la reazione del DELLE CHIAIE allorché apprende dal VINCIGUERRA delle responsabilità del medesimo. "Di




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(252) - Cfr. vu 9/7/87, p27.
(253) - Cfr. vu 10/6/88, pp. 20 e 443.
(254) - Cfr. vu 9/7/87, p25.
(255) - Cfr. AA, V14, C77, pp. 14-15 e 55-56.
(256) - Cfr. vu 9/7/87, p26.
(257) - Cfr. AAD, V10 ter, C2, p833.
(258) - Cfr. AAD, V10 ter, C2, pp. 4 e 901.


Peteano ne venni a conoscenza in Spagna dallo stesso VINCIGUERRA che lo definiva un gesto di lotta armata che si sottraeva al contesto della strategia della tensione. Io gli avevo fatto presente allora che lo stesso Peteano poteva essere strumentalizzato e di questo lui successivamente se ne rese conto attraverso il suo atteggiamento e modo di essere" (259). Mentre il VINCIGUERRA veniva così messo in guardia, in Italia, alcuni innocenti, dopo esser stati inquisiti ed aver conosciuto il carcere grazie ad opportuni interventi depistanti in favore dei veri responsabili neofascisti, solo a distanza di anni otterranno una pronuncia irrevocabile di accertamento della loro estraneità alla strage. Stefano DELLE CHIAIE, dal canto suo, aveva saputo magnanimamente "comprendere": "...Venendo al VINCIGUERRA, mi disse quello che aveva fatto; ma ciò che mi interessava di lui era che, nel momento stesso in cui parlava di quello che aveva fatto, non lo accettava più. Non capisco perché esista un pentitismo che lo Stato perdona e premia e perché io non dovrei comprendere chi, avendo le mie
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(259) - Così il DELLE CHIAIE in dibattimento a Venezia: cfr. AAD,V10 ter, p756.


idee, ha commesso qualcosa che non condividevo e non condivido ancora oggi..." (260)


Quanto agli altri personaggi che, in tempi diversi, vengono a gravitare nell'orbita spagnola del DELLE CHIAIE, vale la pena di ricordare, fra i tanti, i nomi di Paolo SIGNORELLI, Massimiliano FACHINI, Pierluigi CONCUTELLI.


Nel '75, nel quadro del progetto di riunificazione fra Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, l'imputato prende parte prima alla riunione di Albano Laziale, e poi, nel dicembre, a quella di Nizza. Nella primavera del 1979 è in Italia, ove prende parte alla riunione nello studio dell'Avv. CAPONETTI, tenutasi nell'ambito della ricostituzione clandestina di Avanguardia Nazionale (261). Ora, esula dai compiti di questa Corte, in quanto esula dall'economia del presente giudizio, ripercorrere analiticamente le vicende relative a tale ricostituzione

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(260) - Cfr. vu 9/7/87, p26.
(261) -Movimento che era stato sciolto -come si è avuta occasione di ricordare- con decreto del Ministero degli Interni in data 8/6/1976. Ciò a seguito della condanna inflitta tre giorni prima a numerosi militanti, con sentenza del Tribunale di Roma (cfr. AA, V6, C37), per il delitto di ricostituzione del disciolto Partito Fascista. Fra i condannati era anche il DELLE CHIAIE, per il quale la sentenza è divenuta definitiva il 22/11/82 (cfr. certificato penale, in CP, C5).


clandestina, nell'ambito delle quali sono state ravvisate una serie di ipotesi di reato, ora al vaglio delle Corte d'Assise di Roma (262). Basterà rilevare, ai limitati fini che qui interessano, come il DELLE CHIAIE abbia personalmente partecipato a determinate iniziative. Ci si riferisce all'episodio dell'incontro, avvenuto a Parigi, fra l'odierno imputato, e l'ALIBRANDI ed il CARMINATI, che furono accompagnati dal DIMITRI. La vicenda è stata ricostruita dall'autorità giudiziaria romana sulla base delle dichiarazioni di persone (Valerio e Cristiano FIORAVANTI, Walter SORDI, Angelo IZZO), che, a vario titolo, hanno avuto veste processuale anche nella presente sede. Scrive, nella sua requisitoria, il PUBBLICO MINISTERO di Roma (263): "Le modalità con le quali avvenne l'incontro a Parigi tra DELLE CHIAIE e ALIBRANDI, patrocinato da DIMITRI, sono importanti perché fanno comprendere quale rilievo assumesse per A.N. la capacità di egemonizzare l'area dello


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(262) - Per le imputazioni rimesse alla cognizione della Corte d'Assise di Roma, cfr. l'ordinanza di rinvio a giudizio, in AA, V9, C58 (segnatamente pp. 240 ss. e 447-448).
(263) -Cfr. AA, V9, C58, pp. 75-77; si trascrive il brano, omettendo i richiami -ivi contenuti- agli atti processuali di quel procedimento.


spontaneismo armato.


Già il solo fatto dell'intervento diretto di Stefano DELLE CHIAIE -capo indiscusso di Avanguardia Nazionale sin dalla fondazione del movimento- è indice di intenso interesse.


La presenza del DELLE CHIAIE è poi ulteriormente sottolineata dal cerimoniale che scandisce l'incontro.


ALIBRANDI racconta a SORDI che per essere ammesso alla presenza di DELLE CHIAIE era stato annunciato da Eugenio DE ROSA, un militante romano di A.N., soprannominato `lo scemo', che egli ben conosceva; ciò nonostante il DE ROSA, vedutolo, gli si era rivolto con il `lei' salutandolo romanamente...A Cristiano FIORAVANTI ALIBRANDI racconta poi `che nel corso dell'incontro con DELLE CHIAIE aveva avuto modo di assistere ad una sorta di cerimoniale e cioè a un massiccio spiegamento di uomini del DELLE CHIAIE, tutti schierati in assetto militare, con tute mimetiche e armati; ciò al fine di colpire gli eventuali nuovi adepti con la potenza delle armi e con il rispetto della gerarchia'. Si noti, per inciso, come ALIBRANDI avesse perfettamente compreso il significato della messa in scena, confermata peraltro a Cristiano FIORAVANTI dal fratello Valerio, il quale gli dice che l'ostentazione di potenza avveniva sulla base di specifiche direttive emanate da A.N. in un opuscolo nel quale si istruivano i militanti sulla maniera di fare proseliti...Di una `messa in scena', a proposito dell'incontro con DELLE CHIAIE, parla anche Valerio FIORAVANTI.


Angelo IZZO, inoltre, apprende nell'ambiente carcerario, del quale è ascoltatore assai attento, e in particolare da SINATTI, dell'incontro a Parigi tra ALIBRANDI e DELLE CHIAIE.


Il racconto di IZZO coincide sin nei minimi dettagli con quanto processualmente acquisito da altre fonti. Innazitutto per la descrizione dell'atteggiamento sprezzante con il quale ALIBRANDI trattò DELLE CHIAIE, per nulla impressionato dal cerimoniale e dallo spiegamento di forze.


E che effettivamente le cose si siano svolte in questi termini emerge dalle dichiarazioni di Cristiano e valerio FIORAVANTI e di SORDI.


Poi per l'individuazione dell'armamento (mitra Matt) dei quali erano dotati i guardiaspalle e che ALIBRANDI cercò di acquistare da DELLE CHIAIE, insieme alle radio rice-trasmittenti...


AncheIZZO infine asserisce che tra i militanti che attorniavano il capo di A.N. vi era Eugenio DE ROSA, detto `lo scemo'...


Vi è dunque da parte di DELLE CHIAIE la predisposizione di un cerimoniale e di uno spiegamento di forze e mezzi che non troveremo certo nelle riunioni interne al movimento, alle quali cioè sono ammessi i veri e propri militanti di Avanguardia Nazionale..." (264).


Va rilevato che il DELLE CHIAIE, pur negando d'aver incontrato chicchessia circondandosi di uomini armati (265), ha dovuto ammettere l'incontro con l'ALIBRANDI ed il DIMITRI a Parigi, soggiungendo di non sapere se ha conosciuto il CARMINATI (266).


La vicenda si colloca verso la fine del '79, in epoca di


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(264) - Cfr., per i richiami alla vicenda contenuti nel dibattimento del presente giudizio: vu 25/11/87, p84; vu 1/12/87, pp. 33, 45 e 54-55; vu 20/1/88, pp. 214-232; vu 13/7/87, p47.
(265) -Cfr. vu 29/6/87, p43.
(266)-Cfr. l'interrogatorio reso al G.I. dott.ssa MAGAGNOLI, in AAD, V12, C20, p20; cfr. anche vu 29/6/87, p43 e vu 9/7/87, p42.


poco precedente l'arresto del DIMITRI (267). Ma, nel luglio dell'80, mentre il DELLE CHIAIE è di nuovo in Europa, e dalla vicina e sicura Francia controlla la situazione, Francesco MANGIAMELI, quale sua `longa manus', prosegue l'opera di ricompattamento dell'eversione giovanile neofascista, tentando di convogliarne i rivoli dispersi attorno ad un programma terroristico unitario. In giudizio, Amos SPIAZZI, nel quadro della più vasta operazione -di cui si è fatto cenno- di annacquamento dei suoi contributi istruttori, si è, tra l'altro, erto a `difensore d'ufficio' di Stefano DELLE CHIAIE, introducendo elementi di confusione sulle fonti delle notizie ricevute e sforzandosi di minimizzare, se non di porre nel nulla, la valenza accusatoria delle notizie che egli stesso aveva raccolto e che attraverso di lui erano state introdotte nel presente procedimento. E si è sentito in dovere, a più riprese -quasi che ciò gli competesse- di rimarcare quella che sarebbe, a suo giudizio, l'infondatezza di tali notizie. Ma anche prescindendo dal fatto che le valutazioni certamente non

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(267) - Cfr. vu 9/7/87, p42 e vu 20/1/88, p232.


competono al teste, resterebbe da spiegare perché solo nell'ottobre dell'87 il Col. SPIAZZI abbia sentito il bisogno di sottolineare che "chi è assente ha sempre torto" (con ciò riferendosi alla pregressa latitanza dell'odierno imputato) e che "DELLE CHIAIE c'è dappertutto come il prezzemolo".


Ma i giudizi -si torna a ripeterlo- non spettano al Col. SPIAZZI. Dall'informativa che prende il suo nome (268) emerge aver lo SPIAZZI appreso, in epoca anteriore alla strage, che il `CICCIO' -ora identificato in Francesco MANGIAMELI- disponeva di ingenti mezzi finanziari inviatigli dal DELLE CHIAIE; che, per incarico di costui, si

occupava di coordinare l'attività terroristica di quelli che vengono definiti i "quattro gruppi dei NAR" operanti in Roma; e che, sempre per incarico del DELLE CHIAIE, doveva reperire armi ed esplosivo ad ogni costo, acquistandoli senza limiti di prezzo, ovvero procurandoli in altro modo.


Lo SPIAZZI ebbe poi a confermare all'autorità giudiziaria, in più occasioni, quanto aveva appreso circa i rapporti

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(268) - Cfr. supra, sub 1.6.4.1).


fra il DELLE CHIAIE ed il`CICCIO'. In particolare: "Il FIORE
mi disse che Ciccio agiva per conto di DELLE CHIAIE...Preciso dunque che, dopo la mia indagine romana, confermai al BARONE...che vi era un imminente pericolo di gravi attentati terroristici con le armi e gli esplosivi che che il MANGIAMELI si stava procurando con i fondi fornitigli da DELLE CHIAIE. Ribadisco che FIORE era ben consapevole del collegamento esistente tra MANGIAMELI e DELLE CHIAIE e che apprezzava l'intervento del DELLE CHIAIE..." (269) "...FIORE aggiunse che era in corso un tentativo di ricondurre i diversi gruppi su una linea comune, tanto sotto il profilo ideologico, che sotto il profilo organizzativo ed operativo. Mi disse che a tal fine era intervenuto il DELLE CHIAIE il quale era l'unica persona dotata della statura necessaria. DELLE CHIAIE operava attraverso certo `CICCIO'..." (270)


Come si è avuto modo di vedere (271), anche nell'intervista comparsa sull'Espresso nell'agosto '80 `Ciccio' e il DELLE CHIAIE vengono indicati, in rapida successione, come coloro

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(269) - Cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 30 e 34.
(270) - Cfr. EA, V10/a-5, C232 bis/1, pp. 40-41. (271) - Cfr. supra, sub 1.1.4). che tentano il ricompattamento dell'ambiente N.A.R.


Ma il FIORE non fu certamente l'unica fonte dello SPIAZZI. Nel documento `dottor PRATI', fra l'altro, si legge: "...Il
Dottore appura che Ciccio è un agente di DELLE CHIAIE, provocatore, che ha mandato in galera per conto della polizia dei malavitosi (affermazioni concordi di R.G. e T)..." Orbene, come lo stesso SPIAZZI ha chiarito (e come, del resto, era facile intuire), sotto le iniziali R.G. si nasconde Giulia RACANIELLO, e "`T' potrebbe essere Tommaso D'APRILE". Ora, la RACANIELLO, pur escludendo di aver parlato a SPIAZZI del `Ciccio', il 14/6/1983 ebbe tuttavia ad affermare (272): "come ho già detto in altro interrogatorio" (273) "fu la MINETTI a dirmi che un tale che all'epoca conoscevo soltanto con il soprannome di `Ciccio' e che solo successivamente ho saputo essere Ciccio MANGIAMELI, militava nell'organizzazione di DELLE CHIAIE". E poi, il 15/10/1983 (274): "Confermo di avere saputo da Leda PAGLIUCA MINETTI che Ciccio MANGIAMELI era alle dipendenze di DELLE


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(272) - Cfr. EB, V2, C49, pp. 3-4. Circal'esame della RACANIELLO in giudizio, cfr. supra, sub 2.1.2.3.2), nota (71); e, con riferimento all'argomento in esame, specificamente sub 2.2.5.2), nota (104). (273) -Cfr. EB, V2, C42, p5.
(274) -Cfr. EB, V2, C42, pp. 8-9.


CHIAIE...Leda MINETTI non mi precisò quale ruolo avesse
MANGIAMELI nell'organizzazione di DELLE CHIAIE. Disse soltanto che era `un fedelissimo'...Nulla so dei rapporti tra `l'ORGANIZZAZIONE', i N.A.R., TERZA POSIZIONE, eccetera...Peraltro è vero che fu la stessa Leda PAGLIUCA a dirmi che lei aveva un ruolo di collegamento tra l'organizzazione e i N.A.R...." Ulteriore conforto alle dichiarazioni dello SPIAZZI e della RACANIELLO -nella parte in cui individuano un rapporto di dipendenza gerarchica del MANGIAMELI dall'odierno prevenuto- viene indirettamente dalle parole di quanti hanno riferito del ruolo del MANGIAMELI, quale "punto di riferimento" o "capo" di Avanguardia Nazionale in Sicilia, ovvero come "momento di collegamento politico ed operativo" di Avanguardia con altre organizzazioni (275).


Stefano DELLE CHIAIE ha respinto con indignazione la tesi accusatoria relativa a suoi collegamenti con apparati di sicurezza; ed ha escluso altresì ogni suo collegamento con Licio GELLI.


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(275) - Sifa riferimento alle dichiarazioni di Sergio CALORE, Angelo IZZO e Marco AFFATIGATO: cfr. supra, sub 2.2.5.2), nota (104).


Orbene, è pacifico che il 30 novembre del 1972, il Cap. LABRUNA, dell'Ufficio `D' del S.I.D., volò a Barcellona, per incontrare Stefano DELLE CHIAIE. La notizia, che -come si è visto in narrativa- è riferita dallo stesso DELLE CHIAIE, ha trovato conferma da parte del LABRUNA (276). E' altresì pacifico che accompagnò il LABRUNA in Ispagna Maurizio GIORGI. Il DELLE CHIAIE tende comprensibilmente a contrarre la durata della permanenza del suo interlocutore in Barcellona, anticipando il volo di ritorno al 1° dicembre. Ma è lo stesso capitano LABRUNA ad ammettere di essere ripartito il giorno 2 (277). E precisa (278): "praticamente io sono arrivato la sera del 30...siamo andati a cena e poi ci siamo separati: il giorno dopo nella tarda mattinata sono venuti a prendermi, mi hanno portato alla periferia di Barcellona in un'abitazione, abbiamo parlato più o meno un paio d'ore, poi siamo ritornati, siamo andati a mangiare al mare, poi abbiamo fatto il giro della città, successivamente il giorno dopo a mezzogiorno o l'una, ho pigliato l'aereo e


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(276) - L'interrogatorio del LABRUNA ex art. 450 bis trovasi in vu 10/2/88, pp. 12 ss.
(277) - Cfr. vu 10/2/88, p23.
(278) -Cfr. vu 10/2/88, p24.


me ne sono tornato a Roma..." Peraltro, dallo stesso interrogatorio del DELLE CHIAIE si apprende che anche il giorno della partenza egli fu in compagnia del LABRUNA (quantunque poi il prevenuto si faccia scrupolo di escludere dal "colloquio" tale ultimo contatto, che sarebbe avvenuto "nell'attesa dell'aereo, passeggiando...").


E che cosa si dissero i due interlocutori? Il LABRUNA, nel corso di un confronto in cui entrambi hanno dato prova di consumata abilità, è arrivato a sostenere (279): "...l'unica cosa che io gli ho fatto è una sola domanda in albergo il giorno successivo, dicendo del golpe BORGHESE. Lui praticamente disse `che cos'è questo golpe BORGHESE?' Chiusi la discussione e ripartii per Roma..." E, sentendosi obiettare dal DELLE CHIAIE: "...ma di cosa abbiamo parlato il giorno che siamo stati insieme?", ha risposto imperturbabile: "ha parlato soltanto lui". In un precedente passo della sua audizione, aveva peraltro sostenuto che, essendosi recato a Barcellona per cercare materiale e collaboratori in relazione alla vicenda del `Golpe

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(279) - Cfr. vu 10/2/88, p19.


BORGHESE' (nella quale il DELLE CHIAIE era sospettato d'aver avuto parte), non aveva ottenuto nessuna informazione, ma una risposta interlocutoria: cioè, un richiesta di previa assicurazione, da parte del Gen. MALETTI, in ordine al "contesto politico" in cui si sarebbe dovuta svolgere l'eventuale collaborazione.


Il vero contenuto del colloquio, che non si risolse certamente -lo si è visto- in un fugace contatto, è in parte noto attraverso le dichiarazioni dell'imputato (280), le quali, se non dissipano di sicuro le ombre che avvolgono l'incontro barcellonese, sono tuttavia meno reticenti di quelle del LABRUNA. Quest'ultimo, tra l'altro, chiese "un aiuto per l'evasione di FREDA e VENTURA", e sondò circa la possibilità di aiutare ed ospitare il POZZAN. Ma che conclusioni si debbon trarre dall'esser stata posta in essere una richiesta di collaborazione in attività di quel tipo, posto che la stessa, se rivolta a persona di non collaudata affidabilità, avrebbe messo i proponenti alla mercé della controparte, esponendoli ad una situazione di

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(280) - Cfr. anche supra, sub 1.11.4.11).


permanente ricattabilità? Con una valentia dialettica che gli è poi valsa, da parte del PUBBLICO MINISTERO, l'appellativo di "filosofo" (281), è stato lo stesso Cap. LABRUNA a sollecitare indirettamente dal DELLE CHIAIE una risposta sul punto, allorché, negando d'aver rivolto all'odierno imputato richieste d'aiuto per la fuga del FREDA e del VENTURA, ha così argomentato: "...quindi, se si doveva fare un'evasione di FREDA e VENTURA, noi ci andavamo a fidare di elementi stranieri? Di elementi esterni al Servizio? Non eravamo nelle condizioni di poterlo fare? credo che un Servizio..."


Ma v'è molto di più. A Barcellona, il LABRUNA confessa al DELLE CHIAIE le responsabilità, proprie e di altri, per la vicenda dell'arsenale di Camerino (282). Davanti a questa Corte, l'imputato ha sostenuto (283) che il LABRUNA ebbe semplicemente a dirgli: "Camerino lo abbiamo fatto noi". Cosa diversa aveva sostenuto davanti alla Corte d'Assise di




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(281) - Cfr. trascrizione requisitoria orale, in vu 22/6/88, p106. (282) - Per la quale, cfr. RE, pp. 137 ss.; cfr., inoltre: la sentenza della Corte d'Assise di Venezia, in AAD, V10 ter, C2, pp. 518-520.
(283) -Cfr. vu 10/2/88, pp. 29-30.


Venezia, affermando (284) avergli il LABRUNA riferito "che


essi stessi avevano costruito l'operazione di Camerino e che colui che aveva costruito il famoso codice sul libro di DEBRE'" (285) "(sequestrato a uno degli imputati) era stato GIANNETTINI. Questo me lo disse per farmi capire come fossero in grado di pilotare verso e contro la sinistra, come posteriormente contro di noi, la responsabilità su determinati fatti delittuosi".


Dunque, Stefano DELLE CHIAIE viene a messo a parte di gravissime responsabilità dell'apparato di sicurezza in quell'episodio di provocazione politica. E a quale titolo, che non fosse l'internità dell'imputato all'area degli apparati e la sua pregressa accertata affidabilità?In effetti, benché degli innocenti venissero inquisiti, per alcuni anni il DELLE CHIAIE serberà il più rigoroso silenzio, così come si è visto che farà poi quando, attraverso la confessione stragiudiziale resagli dal VINCIGUERRA,si renderà conto dell'innocenza di coloro che venivano all'epoca perseguiti per la `strage di Peteano'.

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(284) - Cfr. AAD, V10 ter, p520.
(285) - Trattasi di Régis DEBRAY.


L'imputato capisce bene di dover in qualche modo giustificare siffatto silenzio (286): "LABRUNA...durante l'incontro mi citò il fatto di Camerino...e qui mi si potrebbe chiedere: perché DELLE CHIAIE ha aspettato per attaccare LABRUNA e i servizi?..." E imbastisce una fumosissima spiegazione.


Il prevenuto darà conto del suo contatto barcellonese col LABRUNAsoltanto nell'intervista concessa a Romano CANTORE e comparsa sul settimanale `Panorama' del 4/5/1976 (287). Non lo farà, cioè, se non dopo che quel contatto era emerso nel procedimento per la `strage di Piazza Fontana'(288) ed era rimbalzato sugli organi di stampa. L'incontro col LABRUNA, che non dava certamente lustro all'immagine dell'ideologo e del rivoluzionario puro cara al DELLE CHIAIE, era ormai di pubblico dominio; non restava che mettere in guardia il LABRUNA,persalvare il salvabile e far sì che la posizione e l'immaginedell'imputato nonavesseroa subire ulteriore detrimento. Dirà (289) il DELLE CHIAIE a Romano CANTORE,



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(286) -Cfr. vu 7/7/87, p30.
(287) -Cfr. RE, p141.
(288) -Cfr. AA, V6, C40, pp. 305 ss., e, segnatamente, p312.
(289) - Cfr. EB, V1, C1, p9.


riferendosi alla vicenda di Camerino: "quelle armi, quegli esplosivi e quel cifrario erano stati messi da LABRUNA per far scattare una crociata anticomunista...Se LABRUNA smentirà anche questa azione, allora gli ricorderemo facendo nomi e cognomi chi gli ha fornito le armi e l'esplosivo e chi gli ha preparato il cifrario". In sostanza, sappia il LABRUNA come comportarsi per il futuro: `intelligenti pauca'.


Ma non basta. Accompagnò il LABRUNA dal DELLE CHIAIE Maurizio GIORGI. E chi è costui, se non un uomo del SID? Ciò, non soltanto perché il S.I.D. procura al GIORGI il passaporto per recarsi a Barcellona (290) col LABRUNA e gli paga il viaggio di andata e ritorno (291); ma, soprattutto e risolutivamente, perché lo stesso LABRUNA, che pure l'ha negato davanti a questa Corte (292), aveva però ammesso davanti alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla loggia P2 (293) che Maurizio GIORGI è stato un collaboratore del Servizio. Sul punto la risposta era emersa faticosamente e dopo vari tentennamenti; il LABRUNA aveva però finito per


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(290) - Cfr. vu 10/2/88, pp. 24-25 e 71. (291) - Cfr. vu 10/2/88, p174.
(292) - Cfr. vu 10/2/88, p24.
(293) - Fra le dichiarazioni rese alla Commissione, quelle relative al GIORGI trovansi in vu 10/2/88, pp. 70-71 e 173-176.


rivelare che il GIORGI è stato un collaboratore del NOD (Nucleo Operativo Diretto); che la sua collaborazione sarebbe iniziata proprio in occasione della trasferta a Barcellona; e che proseguì "per un certo periodo di tempo", anche se il GIORGI -a detta del Cap. LABRUNA- non "ha mai voluto un soldo". Dall'audizione del LABRUNA davanti alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta emerge altresì che, in occasione dei funerali del BORGHESE, e, dunque, nella tarda estate del 1974 (294), il DELLE CHIAIE, servendosi, per tale ambasciata, di MaurizioGIORGI, aveva mandato a dire all'ufficiale che intendevaparlargli;nell'occasione, il GIORGIpretendevadi portare il LABRUNA in Ispagna,con l'automobile, in ventriquattro ore. Se i rapporti continuavano, ben si comprende come sia potuto accadere che -secondo quanto riferito da Clemente GRAZIANI a Marco AFFATIGATO (295)- il GRAZIANI, nel maggio del 1975, recatosi da Londra a Parigi per incontrare il DELLE CHIAIE, si fosse imbattuto, nel `bar' in cui era stato fissato l'appuntamento, nel Cap. LABRUNA, ed avesse quindi fatto

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(294) - Junio Valerio BORGHESE muore alla fine di agosto del '74: cfr. AA, 7, C44, p75. (295) -Cfr. EA, V10/a-5, C215, p41.


immediato rientro a Londra.


Peraltro, i contatti col DELLE CHIAIE si inquadrano in una più vasta opera di `penetrazione' dell'ambiente di Avanguardia Nazionale. Di una "penetrazione" non limitata al GIORGI, ma più estesa, v'è traccia nella stessa audizione del Cap. LABRUNA alla Commissione Parlamentare (296). Ed anche il Gen. MALETTI, nel corso della deposizione resa in territorio sudafricano, alla domanda volta a conoscere se il Servizio avesse utilizzato fonti di Avanguardia Nazionale, ebbe a rispondere (297): "Sì, l'abbiamo fatto: ho preso contatti, a scopo informazioni, con il movimento, ma non so quali fossero le fonti".


Durante la latitanza in Ispagna, Stefano DELLE CHIAIE intrecciò rapporti con i servizi segreti di quello Stato: lo apprendono dal CONCUTELLI il TISEI (298) e l'IZZO (299). Quest'ultimo fa riferimento ad operazioni anti-ETA; e dei racconti del CONCUTELLI circa "la collaborazione nell'operazione anti-ETA" fa cenno anche il CALORE (300).


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(296) -Cfr. vu 10/2/88, pp. 175-176. (297) -Cfr. AAD, V5, C9, p11.
(298) -Cfr. vu 19/1/87, p13.
(299) -Cfr. vu 25/11/87, p111.
(300) -Cfr. vu 9/12/87, p62.


Addirittura un fedelissimo come Marco BALLAN riferisce al PUBBLICO MINISTERO di Firenze (301) "...Questi fuoriusciti di O.N. che erano stati in un primo tempo aiutati da DELLE CHIAIE che li aveva posti in contatto in Spagna anche con le persone dei Servizi con le quali egli era in contatto, e da qui le operazioni anti-ETA, si erano poi resi autonomi..." Ciò -se pure ve ne fosse bisogno- conforta ulteriormente l'assunto del collegamento del prevenuto con apparati di sicurezza italiani, essendo del tutto naturale che da detti apparati sia venuto l'accreditamento presso servizi stranieri collegati.


Nel 1977 l'imputato si trasferisce in Argentina. Riferisce il teste LANFRE' (302) d'aver conosciuto, "nell'entourage degli Italiani di Buenos Aires, certo Alfredo GORLA", che egli riteneva un uomo d'affari, e che era "continuamente in viaggio fra l'Europa, l'Argentina e gli altri paesi sudamericani." Sotto le false generalità di Alfredo GORLA si nascondeva Stefano DELLE CHIAIE. Di tale vera identità il LANFRE' sostiene d'aver avuto contezza soltanto nel

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(301) - Cfr. p7 interrogatorio 6/3/86, in AAD, V3, C15.
(302) - Cfr. EB, V2, C47, p5 e vu 18/2/88, p13.


febbraio-marzo dell'80, dopo che l'immagine dell'odierno imputato apparve sull'`Espresso', in occasione della pubblicazione di un'intervista. L'affermazione è destituita di fondamento, atteso che la vera identità del sedicente GORLA era nota fin dal '77 a Carlo TADDEI (303), persona assai vicina al LANFRE',al punto da venirgli concretamente in soccorso per aiutarlo a far fronte alle sue precarie condizioni economiche. Peraltro, l'immagine del DELLE CHIAIE, per esser comparsa innumerevoli volte sulla stampa, non poteva essere certamente ignota alla comunità degli Italiani residenti in Argentina, e soprattutto alle autorità diplomatiche italiane accreditate in quel paese. Ora, dalle stesse parole del LANFRE' si apprende che "il sedicente GORLA" -cioè colui che non poteva non essere a tutti noto come il latitante Stefano DELLE CHIAIE- "frequentava a Buenos Aires tutte le associazioni di italiani dove era trattato con rispetto". Aggiunge il teste: "una sera lo vidi assieme al console italiano, seduto al suo fianco durante una cena della associazione abruzzese."


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(303) - Cfr. la sua deposizione istruttoria (EB, V2, C52, pp. 3-8), dichiarata utilizzabile ex art. 466 bis C.P.P. (cfr. vu 26/2/88, p30).


Si apprende dal TADDEI che, in un primo momento, il DELLE CHIAIE e le altre quattro o cinque persone giunte in Argentina al suo seguito se la cavavano piuttosto male. Si presentano come perseguitati politici, sono male in arnese e ricevono qualche aiuto dalla Fondazione di assistenza inserita nei Comitati Tricolori. Rimangono per diverso tempo a Buenos Aires "senza particolare attività". Dopo due o tre mesi partono alla volta del Cile. Passato un certo periodo di tempo, ricompaiono a Buenos Aires; ed il DELLE CHIAIE è di nuovo in serie difficoltà economiche. Senonché, a un certo punto, qualcosa accade,e l'imputato trova quella fortuna chenon avevatrovatonelCilediAugusto PINOCHET. Riferisce il TADDEI: "Nel frattempo DELLE CHIAIE aveva trovato con ogni evidenza una sistemazione perché da un certo momento in poi cominciò a vedersi meno in giro e dava manifestazioni esteriori di una certa agiatezza."


Ora, va chiarito che il colpo di stato realizzato dai militari boliviani nel luglio del 1980 fu appoggiato dall'esterno dai governi cileno ed argentino. Il TADDEI poté constatare i "rapporti strettissimi" che il DELLE CHIAIE manteneva in Bolivia, "dove non soltanto si recava spesso, ma, a suo dire, aveva poteri impensabili" (304). Ponendo in relazione tali circostanze, si comprende che il DELLE CHIAIE, seguendo il percorso già intrapreso in Europa, era evidentemente entrato al servizio della polizia militare argentina. Se ne ha peraltro la riprova, ponendo a confronto

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(304) -Occorrefare chiarezza sulla cronologia. Il TADDEI colloca il mutamento delle condizioni di vita del DELLE CHIAIE dopo il colpo di Stato in Bolivia, che risale al 17/7/1980 (per la data, cfr. AAD, V4, C38, p4). Il ricordo sul punto è evidentemente confuso. In effetti, dal contesto della deposizione emerge che la presentazione del DELLE CHIAIE al CIOLINI è posteriore all'avvenuto mutamento delle condizioni di vita dell'odierno imputato. E quella presentazione risale ai primi mesi del 1980 (cfr. lo stesso TADDEI, ma anche il DELLE CHIAIE, che -in vu 30/6/87, p22- fa risalire l'incontro alla primavera '80). Addirittura, quando si tratta di presentare qualcuno al CIOLINI -che cerca interlocutori per lucrose ed allettanti operazioni commerciali- il LANFRE' pensa al sedicente GORLA, in quanto costui gli appare già come un "uomo di affari, continuamente in viaggio tra l'Europa, l'Argentina e gli altri paesi sudamericani". Le sorti del DELLE CHIAIE si erano dunque risollevate nelperiodo compreso fra il ritorno dal Cile e la presentazione al CIOLINI: quindi, nel periodo a cavallo fra il '78 ed il '79. D'altronde, il TADDEI, quando fa riferimento agli "strettissimi rapporti" che l'imputato, stando in Argentina, manteneva in Bolivia, ed ai frequenti viaggi del DELLE CHIAIE in quel Paese, non può che riferirsi ad epoca anteriore al colpo di Stato, dal momento che, avendo l'imputato trascorso l'estate dell'80 in Europa, dal settembre di quell'anno, per sua stessa ammissione, passò definitivamente in Bolivia. Mente, dunque, il DELLE CHIAIE, quando afferma che, prima del settembre '80, non era stato in Bolivia, se non una volta sola, forse nel '78, per diporto. Che il baricentro dei suoi interessi si fosse spostato in Bolivia già nel periodo di incubazione del `golpe' è ulteriormente confermato dalle dichiarazioni del VINCIGUERRA (certamente non sospetto di ostilità neiconfronti del DELLE CHIAIE), secondo cui l'imputato si trasferì stabilmente in Bolivia verso la fine del '79, provenendo dall'Argentina (cfr. EB, V3, C76, p49). l'esperienza dell'odierno imputato con quella di Vincenzo VINCIGUERRA. Costui, latitante dal '74 sino al momento della costituzione, avvenuta nel settembre del '79, approda a Buenos Aires a metà del mese di maggio del 1978 (305). Nel giro di qualche tempo si rende conto di essere oggetto di un intenso controllo da parte di individui che poi apprenderà appartenere ai servizi di sicurezza argentini: in particolare, ai servizi della marina. Dapprima riceve delle pretestuose visite nell'appartamento in cui abita; poi viene fotografato lungo la strada e seguito da un paio di automobili; quindici giorni più tardi, avendo rivisto le stesse vetture all'uscita da un `bar', raggiunge la propria abitazione, di dove vede gli occupanti delle automibili -chel'hanno evidentemente seguito- rimanere per un paio
d'ore sulla strada e poi allontanarsi. Nel marzo del 1979 il VINCIGUERRA lascia l'Argentina (306). Spiegherà più tardi al Giudice Istruttore (307), nel chiarire i motivi per cui si era costituito, che aveva scartato la soluzione di arruolarsi presso un servizio di sicurezza di un Paese

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(305) - Cfr. EB, V3, C76, p13.
(306) - Cfr. EB, V3, C76/1, pp. 4-7.
(307) - Cfr. EB, V3, C76, p73.


politicamente allineato su posizioni anticomuniste, per non divenire un mercenario.


Stefano DELLE CHIAIE, invece, si muove invece con grande disinvoltura nell'Argentina dominata dall'occhiuto regime militare; da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano; reduce dall'esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l'apice della suafortunanelperiodo in cuile forzegovernative argentine -il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari- appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano; proprio nel periodo prodromico del `golpe' intensifica la frequentazione della Bolivia; e, dopo la realizzazione del `golpe', ottiene addirittura una collocazione stabile ed ufficiale presso lo Stato Maggiore dell'Esercito boliviano, quale `assessore' del VII Dipartimento: carica di tale importanza, che gli dava l' opportunità di incontri diretti con il Capo dello Stato.


Occorre a questo punto soffermare l'attenzione su alcuni dati che attengono all'epoca in cui, da un lato, il VINCIGUERRA è oggetto di pressanti `attenzioni' da parte dei servizi della marina argentina e preferisce lasciare quel Paese piuttosto che divenire un mercenario dei servizi, e, dall'altro, il DELLE CHIAIE comincia a prender quota in quello Stato, dove la polizia militare imperversa. Capo di Stato Maggiore della Marina è l'Amm. MASSERA, piduista (308) e addirittura visitatore dello stabilimento industriale del GELLI in Castiglion Fibocchi (309). Licio GELLI ha stretti rapporti con i servizi argentini: ciò non solo è stato oggetto di una confidenza fatta a Giancarlo Elia VALORI (310) dal Presidente FRONDIZI, ma può essere constatato per esperienza diretta dal Gen. GRASSINI. Dell'argomento si è già fatto cenno, citando le dichiarazioni rese sul punto dal Gen. GRASSINI nel presente procedimento. Converrà qui riportare, perché ancora più eloquenti, quelle rese alla Commissione parlamentare d'Inchiesta (311): "...Non avevamo nessun rapporto con i

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(308) - Cfr. Cal., V6, C1, p26.
(309) -Cfr. testimonianza VENTURI Carla, in Cal., V5, C55, p125, e vu 4/11/87, p42.
(310) -Cfr. vu 29/1/88, p69 e vu 14/12/87, p151.
(311)-Testualmente riportate nella relazione di maggioranza, in AA, V5, C29, p70 recto. Servizi dell'America latina...Sapendo bene che GELLI aveva grandissime possibilità per quanto riguarda l'Argentina, gli chiesi se mi poteva mettere in contatto con gli argentini. Egli aderì a questa richiesta e l'indomani mattina puntualmente il Capo del Servizio argentino in Italia, all'ambasciata argentina in Italia, si presentò nel mio ufficio dicendosi pronto a collaborare per qualsiasi cosa..."


Dunque, basta una parola del GELLI e il Capo del Servizio argentino in Italia corre a mettersi a disposizione del Direttore piduista del SISDE, stabilendo rapporti di proficua collaborazione. Basterebbe questo per attestare il potere raggiunto dal GELLI in quello Stato latinoamericano. Ma si deve ricordare ancora che egli entra in relazione con PERON (312) e con il suo `entourage', dove spicca un personaggio come LOPEZ REGA (313); ha rapporti col Gen. VIOLA (314); affilia alla P2 anche VIGNES (315), già

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(312) - Cfr. vu 29/1/88, p69.
(313) -Cfr. vu 29/1/88, p69; diffusamente, il verbale delle dichiarazioni rese alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta da Giancarlo Elia VALORI, in vu 14/12/87, pp. 22 ss; cfr. anche AA, V5, C29, p70 recto.
(314) -Cfr. VALORI alla Commisssione d'Inchiesta, in vu 14/12/87, p156.
(315) -Cfr. Cal., V5, C1, p46. ministro degli Esteri, dal quale ottiene la nomina a console onorario di Argentina in Roma (316). La `penetrazione' del potere gelliano in Argentina, tende dunque ad assumere le medesime caratteristiche e ad attingere livelli non inferiori a quelli dell'analoga `penetrazione' nella realtà italiana.


Nel contesto di tutto quanto precede e di talune circostanze analizzate in precedenti paragrafi viene a cadere la testimonianza di Nara LAZZERINI, nella parte in cui riferisce di contatti telefonici fra Licio GELLI e Stefano DELLE CHIAIE.


In aula, si è fatto un gran discutere circa l'attendibilità della LAZZERINI. Va subito chiarito che restano estranee alla valutazione di questa Corte le ragioni per le quali la Commissione Parlamentare d'Inchiesta non ha ritenuto di procedere all'audizione della donna. Dal momento che, in istruttoria, ella aveva deposto su circostanze che apparivano rilevanti ai fini della presente decisione, la sua escussione si è imposta come doverosa per questo


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(316) - Cfr. VALORI alla Commissione d'Inchiesta, in vu 14/12/87, pp. 146 e 155.


Collegio; né la Corte, ai fini dell'assunzione della testimonianza, ha dovuto accertare alcunché di diverso dalla rilevanza processuale delle circostanze su cui la LAZZERINI era in grado di riferire, posto che, ai sensi dell'art. 348 II comma del Codice di rito, "ogni persona ha capacità di testimoniare", "salvo", naturalmente, "al giudice di valutarne la credibilità".


E con riguardo, appunto, alla generale credibilità, va detto che non soltanto nessuna delle molte circostanze riferite dalla donna si è rivelata falsa, ma che la LAZZERINI, ha trovato, frale altre, ancheuna soprendente conferma di provenienza certamente non sospetta. La mattina del 3 aprile 1985 la DIGOS di Bologna procede al sequestro (317) di vari documenti consegnati dalla LAZZERINI. Vi compaiono, tra l'altro, vari appunti manoscritti (318) in cui la donna ha annotato notizie apprese durante il periodo di frequentazione del GELLI. In uno di essi, si legge il seguente periodo, il cui soggetto sottinteso -come si evince dal contesto- è Licio GELLI: "E' felice del regalo

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(317) - Cfr. Cal., V4, C1, pp. 74-75.
(318) -Cfr. Cal., V4, C1, p77/30.


ricevuto da AGNELLI: un telefono d'oro che porta a Villa Wanda". La notizia della donazione di un telefono d'oro, che sarà poi testimonialmente confermata (319), proprio perché all'apparenza alquanto fantasiosa, era destinata a gettare ombre su tutta la deposizione LAZZERINI, se non avesse trovato conforto estrinseco. Ebbene, nella stessa giornata del 3 aprile, il PUBBLICO MINISTERO sente come teste Carla VENTURI, la fedele segretaria-archivista del GELLI, giustamente definita come "la segreteria che tutti vorrebbero avere", per essere ella `discreta' al punto da farsi arrestare in aula per reticenza (320). Il Sostituto Procuratore, che evidentemente dalla Polizia Giudiziaria aveva già avuto notizia in via informale degli esiti del sequestro, pose alla donna la seguente domanda (321): "Ricorda se al GELLI è stato regalato un telefono?" E si sentì rispondere: "Il telefono d'oro?; sì ricordo questa circostanza poiché fu GELLI a dirci che gli avevano regalato un telefono d'oro."



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(319) -Cfr. p6 del verbale dell 'esame testimoniale 9/4/85, in Cal., V5, C35 e vu 21/10/87, p35.
(320) -Cfr. vu 4/11/77, pp. 52 e 77.
(321) -Cfr. Cal., V5, C55, p123 e vu 4/11/87, p42.


Si è sostenuta ancora l'inattendibilità della LAZZERINI,


affermando, `apertis verbis', che ella sarebbe una


ricattatrice. In linea generale, occorre rilevare che l'eventuale disponibilità a fare un uso strumentale di determinate notizie non implica affatto la falsità delle medesime; a ben vedere -a prescindere da ogni rilievo etico- la possibilità di una proficua strumentalizzazione è direttamente proporzionale alla fondatezza delle notizie di cui da altri si paventi la divulgazione.


Per altro verso, in concreto, non si comprende il motivo per cui la LAZZERINI, che per la natura e la durata del suo rapporto di frequentazione del GELLI, era comunque in possesso di un'enorme messe di notizie genuine e non smentibili la cui divulgazione era per molti non certamente auspicabile, avrebbe dovuto frammischiarle con notizie false, esponendosi a smentite che avrebbero pesantemente inciso sulla credibilità complessiva del coacervo delle rivelazioni da lei provenienti, travolgendone anche la parte veritiera.


Le argomentazioni che precedono non hanno tuttavia rilievo centrale e si pongono soltanto come cornice rispetto al
cuore del problema: perché il punto è che le indicazioni provenienti dalla LAZZERINI circa i contatti GELLI-DELLE CHIAIE (322) si sposano, armonizzandosi perfettamente, con

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(322) - Oltre alla lettera di cui alla nota che segue, cfr.: uno degli appunti manoscritti contenuti nella busta che trovasi in Cal., V4, C1, p77/30; la deposizione 2/4/85, in Cal., V5, C35, pp. 46 e 59; nella medesima cartella, i fogli 6° e 7° della deposizione 9/4/85; e la deposizione dibattimentale, in vu 21/10/87, pp. 35 ss.
In sede di replica, l'Avv. MENICACCI, codifensore del DELLE CHIAIE, ha prodotto un'abbondante documentazione che dovrebbe dimostrare come i contatti telefonici di cui riferisce la LAZZERINI non possano aver avuto luogo. Va premesso che la LAZZERINI ha sempre sostenuto che i contatti telefonici fra i due imputati avvenivano su una linea riservata e diretta (senza mediazione del centralino) di cui il GELLI fruiva all'`Excelsior'. La donna, che nella prima deposizione istruttoria aveva memoria di due telefonate risalenti al '77, in occasione della seconda testimonianza fu poi in grado di precisare che i rapporti telefonici col DELLE CHIAIE proseguirono "almeno fino alla fine del '79 inizio '80". Siffatta testuale espressione indica l'impossibilità di definire con precisione
-secondo l'esperienza ed il ricordo che la donna ne ha- il momento ultimativo di quel rapporto telefonico: momento che, dunque, ben può collocarsi entro l'anno 1979. Ora, l'Avv. MENICACCI ha prodotto documenti relativi al traffico telefonico degli anni '80-'81 (cfr. vu 18/6/88, pp. 282 ss. e 1614 ss.): siffatti documenti, per la maggior parte già presenti in atti fin dall'istruttoria (cfr. AA, V21, C98/2, pp. 259 ss.) sono inconferenti, perché riferentisi ad un periodo posteriore a quello cui le dichiarazioni della teste sono con certezza riferibili.
Fra le altre produzioni dell'Avv. MENICACCI figura altresì un verbale (cfr. vu 18/6/88, p277) di sommarie informazioni testimoniali rese dal "secondo portiere" dello `Excelsior', da cui risulta che nell'appartamento formato dalle stanze nn. 127, 128 e 129, che il GELLI occupò dal 1979, l'odierno imputato "usufruiva, oltre che del normale apparecchio telefonico sito in ogni stanza, anche di un apparecchio telefonico con linea diretta...fatto installare dalla direzione dell'albergo a richiesta del GELLI."
Non è dato comprendere come si arrivi ad affermare (cfr. vu 18/6/88, p271) che trova conferma (segue) una serie di acquisizioni che alla donna non potevano essere note. E'agli atti una lettera (323), consegnata dalla



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(segue) l'assunto "che la famosa linea diretta fu installata dopo il 1979". Né -dal momento che la persona sentita a titolo di sommarie informazioni testimoniali fa riferimento agli impianti telefonici installati nell'appartamento occupato dal GELLI a far tempo dal 1979- si comprende perché resterebbe dimostrato che "nella stanza n. 220, stanza dalla quale il GELLI avrebbe ricevuto nel 1977 le telefonate del DELLE CHIAIE,...non esisteva un telefono diretto" (ibidem).
A ben vedere, la testimonianza LAZZERINI,laddove riferisce della fruizione, da parte del GELLI, di una linea esterna diretta, sarebbe risultata corroborata e non indebolita dalla conferma dibattimentale delle citate sommarie informazioni testimoniali. Ma non si è resa necessaria l'interruzione della discussione ex art. 469 C.P.P., per l'escussione della persona sentita dalla Polizia Giudiziaria, perché dell'esistenza della linea esterna, oltre che dalla testimonianza di Tommaso MASCI, primo portiere dell' `Excelsior'(cfr. AA, V10, C60, p584 e vu 5/10/87, p13), si aveva già notizia anche dal rapporto della Questura di Bologna in data 10/11/87 (vu 19/11/87, p17). Per altro verso, solo perché nulla emergeva che apparisse idoneo a contrastare la testimonianza LAZZERINI sul punto delle fruizione, da parte del GELLI, di una linea riservata diretta anche nelle stanze da lui occupate all' `Excelsior in epoca anteriore all'assegnazione dell'appartamento formato dalle stanze nn. 127, 128 e 129, non ebbe a ritenere necessaria la Corte l'acquisizione al giudizio -mediante lacitazione e l'escussione in aula del teste- del contributo offerto dal teste BROCCA Giorgio, vicedirettore dell' `Excelsior' (cfr. vu 19/11/87, p17), il quale aveva riferito al PUBBLICO MINISTERO (cfr. vu 19/11/87, pp. 48-49) dell'esistenza di una linea telefonica della rete di Roma intestata all'Excelsior, ma in uso esclusivo al clienteLicio GELLI, soggiungendo: "Era solo lui dunque che poteva effettuare telefonate e riceverle. Tale utenza non passava né per il permutatore né per il centralino...la cosa certa è...che quella utenza venne distaccata ed assegnata in via esclusiva al GELLI già dal 1977, quando fui trasferito all'Excelsior, tanto è vero che io provvedevo ad addebitagli gli importi della relativa bolletta sul suo conto..."
(323) -Trovasi, in originale, in Cal., V7, C1/maggio, punto 13), nella busta in allegato 1) alla nota 26/4/85 della Questura di Bologna; e, in copia, in Cal., V4, C1, p77/23. LAZZERINI alla DIGOS di Bologna e posta sotto sequestro, in cui, fra le molte altre notizie sul conto del GELLI, ve n'è anche una che lo pone in collegamento col "DELLE GHIAIE" (sic). La lettera porta la data del 2/12/1977 e sulla busta

si legge: "Da consegnare al Sig. Roberto FABIANI Giornalista Dell'Espresso...in caso che mi succeda qualche cosa". La LAZZERINI ha riferito (324): "La lettera 2/12/1977...la scrissi per consegnarla al giornalista FABIANI. Infatti in quel periodo riuscii a fissare con lui un appuntamento e ci vedemmmo nella prima fila di poltrone di un cinema alle spalle di Via Veneto. Gli raccontai la storia..." Con quest'ultima espressione la donna allude al complesso delle notizie sul conto del GELLI di cui ella era in possesso e che sono in parte condensate nella missiva. Ora, un'indagine tecnica (325) eseguita dalla Polizia Scientifica sulla missiva in questione ha accertato esser "possibile che la carta del foglio e della busta risalga a quella della data apposta sul foglio"; e consente altresì di ritenere

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(324) - Cfr. fogli 2° e 3° della deposizione 9/4/85, in Cal., V5, C35.
(325) -La cui relazione trovasi in Cal., V7, C1/maggio, punto 13, in allegato 2) alla nota 26/4/85 della Questura di Bologna.


possibile che "la scrittura sul recto del foglio" -ove, appunto, compaiono le notizie relative al "DELLE GHIAIE"- "possa essere stata stilata in epoca corrispondente alla data che figura sul foglio stesso". Il FABIANI, dal canto
suo, deponendo il 21/5/1985 (326), ebbe a riferire che 9 o 10 anni prima, in periodo invernale, era stato contattato dalla LAZZERINI; che vi era stato anche un incontro in un cinema nei pressi di via Veneto; che la donna gli disse, fra l'altro, di aver delle carte che gli avrebbe fatto recapitare se le fosse accaduto qualcosa. Riferì ancora il FABIANI taluni particolari (327) appresi nell'occasione dalla LAZZERINI e che è dato rinvenire nella lettera in questione. Può dunque ritenersi provato che la missiva fu effettivamente redatta alla fine del 1977. Ad ogni buon conto, il 21/6/1982 -quando ancora non erano apparse sulla stampa le notizie, emerse nell'ambito della `pista CIOLINI', che ponevano in relazione il GELLI ed il DELLE


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(326) -Cfr. AA, V10, C60, pp. 576 ss., e vu 4/11/87, p13.
(327) - Cfr., a titolo d'esempio, quello delle valigie cariche di denaro viste dalla donna nell'appartamento occupato dal GELLI allo `Excelsior'. Il FABIANI ha altresì ammesso d'aver utilizzato alcune rivelazioni della donna nel suo libro `I massoni d'Italia' (libro che trovasi, in copia, in AAD, V5, C3).


CHIAIE (328)- ebbe a riferire al dott. Giovanni DI CIOMMO


LAURORA (329), addetto alla Segreteria della Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla Loggia P2, che "il GELLI aveva continui contatti telefonici con DELLE CHIAIE". Spiega il dott. DI CIOMMO LAURORA: "Il senso del suo discorso era questo: GELLI aveva rapporti talmente estesi che lo portavano ad avere contatti costanti e non superficiali con un arco di persone che andava da AGNELLI a DELLE CHIAIE".


La donna scrive nel '77, e riferisce poi al dott. DI CIOMMO LAURORA il 21/6/82, la notizia di un collegamento GELLI-DELLE CHIAIE che sarà poi possibile riscostruire solo in seguito, grazie alla ricomposizione, in un quadro unitario e coerente, di acquisizioni processuali posteriori e anche di dati precedentemente noti, ma la cui significatività è stata


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(328) -Sono acquisiti agli atti, in RS, V2, C4, rispettivamente pp. 882-893 e 902-903, due articoli tratti dai più diffusi settimanali italiani. Nel secondo, tratto da `Panorama' del 23 agosto 1982, facendo riferimento alle rivelazioni del teste Celso (sic) CIOLINI, si pongono in collegamento la "superloggia di Montecarlo creata da Licio GELLI" e "`l'orchestra nera' diretta da DELLE CHIAIE"; ma nel primo, tratto dall' `Espresso' del 23 maggio 1982 ed interamente dedicato all'attentato del 2 agosto '80, sotto il titolo "Libro bianco sulla strage di Bologna", si ha ancora esclusivamente riguardo alla pista `FARINA-rapporto LAZZERINI-VETTORE' (salvo un cenno alla `pista libanese'), mentre il GELLI ed il DELLECHIAIEnonvengono neppurenominati.
(329) -Cfr. Cal., V5, C19, pp. 1 ss. e vu 5/10/87, pp. 19 ss. portata in luce solo dalle successive emergenze. Solo oggi è


possibile conoscere sinotticamente ed apprezzare, nella loro

completezzae nel loro interagire, una molteplicità di


circostanze: il finanziamento della banda armata del CAUCHI


ad opera del GELLI; il disinteresse per la latitanza del CAUCHI -in un periodo in cui il GELLI era già potentisssimo nell'ambiente dei servizi- da parte di quel centro S.I.D. di Firenze in possesso di un fascicolo personale intestato all'imputato del quale al Maggiore DE SALVO non fu possibile prendere visione; il pronto confluire del CAUCHI alla corte del DELLE CHIAIE ed il suo gravitare nell'orbita dell'odierno imputato; l'essersi il DELLE CHIAIE trasferito dalla Spagna all'Argentina, Paese ove il GELLI non era meno potente che in Italia ed aveva un'enorme influenza negli ambienti militari e dei servizi di sicurezza; l'aver il DELLE CHIAIE prosperato in Argentina, quando ad un altro fuoriuscito della sua area, Vincenzo VINCIGUERRA, l'allontanarsi dall'Argentina si appalesò come l'unica seria alternativa all'arruolamento nei servizi segreti di quello Stato; l'aver il DELLE CHIAIE raggiunto l'apice delle sue fortune, fino ad assicurarsi poi un ruolo eminente presso lo Stato Maggiore dell'Esercito boliviano, in un periodo in cui quegli ambienti militari argentini coi quali
GELLI intratteneva strettissimi e qualificati rapporti prestavano il loro appoggio esterno per la realizzazione del colpo di Stato in Bolivia. In buona sostanza, le indicazioni provenienti dalla LAZZERINI, si vengono ad innestare, senza poterne dipendere, in un tessuto indiziario solo ora complessivamente valutabile, in virtù del quale il collegamento GELLI-DELLE CHIAIE non si presenta come una possibilità, più o meno plausibile, ma costituisce una necessità logica.


Un ultimo corollario. Il fatto stesso che la donna scriva "DELLE GHIAIE" anzichè DELLE CHIAIE conforta l'assunto della genuinità della testimonianza: perché la lieve storpiatura, se dimostra, da un lato, che quel nome non fu maliziosamente ricopiato da organi di stampa, dall'altro appare come il probabile frutto dello specifico contesto, assolutamente informale, in cui quel nome poté essere raccolto dalla viva voce di Licio GELLI.


Sulla scorta di tutto quanto precede, la LAZZERINI va dunque creduta quando riferisce dei contatti telefonici fra i due imputati, dei quali ebbe diretta cognizione in virtù della sua frequentazione del GELLI nelle stanze dello `Excelsior'.

b)Adriano TILGHER è stato la `longa manus' in Italia di Stefano DELLE CHIAIE a far tempo dalla fuga all'estero di quest'ultimo. Responsabile di Avanguardia Nazionale fra il '70 ed il '76, ha -come il latitante DELLE CHIAIE- riportato condanna definitiva per ricostituzione del disciolto Partito Fascista (330).


Come si è visto in narrativa, l'imputato, pur affermando di esser stato contrario alla riunificazione fra Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, ha ammesso di aver partecipato a varie riunioni "su questo argomento". Ha escluso, invece, in particolare, di essere stato presente alla riunione di Albano Laziale, comprensibilmente preoccupato -è evidente- diciò cheè emerso sugli specifici contenuti di quell'incontro. Senonché, lo indicano presente ad Albano Laziale Sergio CALORE (331), Aldo Stefano TISEI (332) e Piero CITTI (333).

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(330) -Cfr. AA, V6, C37; cfr. anche il certificato penale del TILGHER, in CP, C21.
(331) -Cfr. IA, V9/a-1 bis, C13/12, p34 e vu 10/12/87, p52.
(332) -Cfr. EA, V10/a-5, C217 bis, p4 e vu 19/1/88, pp.12 e 20. Il TISEI, che ha sulla riunione notizie `de relato', diede inizialmente indicazioni cronologiche (fine del 1974) e topografiche (una villa di Frascati) imprecise; ma il complesso dei riferimenti e le dichiarazioni dibattimentali non lasciano dubbi sul fatto che le notizie da lui apprese riguardavano la riunione di Albano Laziale del '75.
(333) -Cfr. EB, V2, C50, pp. 8-9 e 16.


Ritroviamo il TILGHER al centro delle vicende della ricostituzione clandestina di Avanguardia Nazionale (334).

Tali vicende, complessivamente considerate, esulano -come si è già avuta occasione di affermare- dall'alveo del presente giudizio. Ai fini che qui rilevano, va semplicemente osservato come il TILGHER, in epoca significativa rispetto all'imputazione di associazione eversiva contestatagli in questo procedimento, si sia personalmante attivato, con iniziative parallele a quelle delle DELLE CHIAIE e del BALLAN, in attività di arruolamento, nell'ambito di un progetto teso al ricompattamento ed alla strumentalizzazione delle forze disperse dell'eversione giovanile neofascista. Già nel procedimento romano per la ricostituzione di Avanguardia Nazionale, il TILGHER, "in data 5/10/84 nel contesto di una più ampia modifica del proprio atteggiamento processuale, comportante l'ammissione dell'aver egli nel corso dei vari interrogatori, detto `qualche non verità', ammette di aver avuto frequenti incontri, tramite VACCARI e CASALI, con giovani ai quali egli ripeteva di stare lontani

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(334) - Cfr. AA, V9, C58, passim. In particolare, il TILGHER partecipa, fra l'altro, alla riunione nello studio dell'Avv. CAPONETTI, cui è presente il DELLE CHIAIE. da ogni metodo terroristico" (335). Anche di fronte a questa Corte, il prevenuto, pur non desistendo dal porli in relazione ad un "progetto politico come ancora di salvezza per giovani che si stavano avvicinando alla lotta armata", ha dovuto ammettere quei contatti. Significativamente, ha però affermato di non ricordare gli incontri col FIORAVANTI e col SORDI. E se ne comprende la ragione. Valerio FIORAVANTI (336): "Devo dire che nell'inverno del '79 Peppe DI MITRI con il quale avevo rapporti di amicizia mi contattò dicendomi se volevo entrare a far parte di una organizzazione non meglio identificata.Alla mia risposta negativa lui insistette perché andassi con lui ad un incontro da Adriano TILGHER il quale avrebbe nei dettagli precisato in che cosa consisteva l'invito e mi avrebbe convinto della serietà della proposta. Io più che altro per condiscendenza mi recai con DI MITRI da Adriano TILGHER...Mi recai insieme a DI MITRI in via Alessandria nello studio del TILGHER dove il predetto sia pure non esplicitamente cercò

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(335) -Cfr. AA, V9, C58, p95.
(336) -Cfr. EB, V3, C86/A, pp. 21-23. Cfr. anche il confronto dibattimentale TILGHER-FIORAVANTI Valerio, in vu 13/5/87, pp. 194-196.


di convincermi in merito all'opportunità di coordinare le


nostre attività. Ovviamente da quanto il TILGHER andava dicendo, era assi chiaro nonostante i giri di parole, che io gli interessavo in quanto persona molto valida sul piano operativo. Anche il DI MITRI intervenne nel discorso garantendo la serietà delle proposte che TILGHER andava facendo invitandomi a riflettere prima di rifiutare le proposte che mi venivano fatte. Rammentoche nella circostanza TILGHER mi assicurò che avrebbe potuto fornirmi tutta l'assistenza di cui potevo avere bisogno compresa quella legale ove avessi potuto incorrere in altri incidenti del tipo di quello occorsomi a Chiasso in occasione di una detenzione di pistola...Devo dire a proposito di DI MITRI che questi ebbe a dirmi che non c'erano preoccupazioni di sorta circa il luogo ove conservare le armi che avevo assieme al mio gruppo. Dopo la mia scarcerazione per i fatti di Monte Chiasso potei personalmente constatare che le armi erano state trasportate nel locale di via Alessandria dove vennero poi sequestrate. Quando io visionai le armi, non avevo ancora incontrato il TILGHER. Quando mi recai da quest'ultimo, mi accorsi che il suo studio era nello stesso stabile dove c'erano le armi. DI MITRI mi raccomandò di non farne parola con TILGHER...Sta di fatto che successivamente Giorgio VALE mi disse che DI MITRI gli aveva mostrato le armi di via Alessandria dicendogli che le armi stesse erano di A.N. che le metteva a disposizione di T.P...." (337)


Walter SORDI (338): "Tra il febbraio ed il marzo dell'80
TILGHER contattò me, Carlo PUCCI ed altri invitandoci a
entrare in A.N. sostenendo che ciò ci veniva
richiesto da Beppe DI MITRI." (339) "Avanguardia in quel

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(337) - Il 6/5/82, Cristiano FIORAVANTI riferì al Giudice Istruttore (cfr. EA, V10/a-4, C163/1, pp. 48-49): "Di TILGHER so che Dario PEDRETTI e mio fratello Valerio mi fecero chiaramente capire che il sottoscala di via Alessandria, 129 era stato dato in uso per depositare le armi da Adriano TILGHER". In giudizio (cfr. vu 1/12/87, pp. 23-24), non serbava un buon ricordo della circostanza, ed ha introdotto elementi di dubbio circa l'origine della sua consapevolezza in ordine all' appartenenza al TILGHER del sottoscala. Ma, dopo le dichiarazioni del 6/5/82 sopra trascritte, aveva riferito all'autorità giudiziaria romana che il DIMITRI gli aveva confidato esser stato proprio il TILGHER a segnalargli i locali nella cantina dello stabile, ove occultare le armi (cfr. AA, V9, C58, p109). Non è dato dubitare della disponibilità dello scantinato da parte del TILGHER, se solo si pongono le dichiarazioni dei fratelli FIORAVANTI in relazione con la circostanza che lo scantinato sorgeva nello stesso stabile in cui aveva sede la società del TILGHER e con quella ulteriore che proprio il DIMITRI, prima della cattura, aveva operato -come emerge dalle dichiarazioni di Valerio- in veste di emissariodelTILGHERperl'arruolamento.
(338) -Cfr. Cal., V5, C52, p3.
(339) - Il DIMITRI, già elemento di raccordo fra Avanguardia Nazionale e Terza Posizione, e `operativo' infaticabile, era detenuto -come si è avuta occasione di vedere- dal 14/12/79.


periodo non aveva più nessuno che facesse le rapine e che la


finanziasse. Già in precedenza aveva fatto la stessa


proposta a CARMINATI, ALIBRANDI e FIORAVANTI Valerio che gli avevano risposto, come mi dissero, negativamente..." Ancora il SORDI (340): "...Perché TILGHER disse: `sì, voi venite con noi'...Ma prima ci parlò per due ore della necessità di rifondare Avanguardia come movimento rivoluzionario...tutte belle parole e poi ci disse: `Comunque voi entrate con noi, ci date tutte le armi che avete, quando fate le rapine ci chiedete il permesso, ci dite dove le fate, con chi le fate e ci date tutti i soldi.' Al che io gli dissi: `Ma tu le vieni a fare con noi le rapine?' e lui disse di no. `E allora per quale motivo ti devo spiegare tutto questo'."


Emerge così, nitidamente e drammaticamente, la natura davvero singolare dell'opera di apostolato che il TILGHER svolgeva per scongiurare il pericolo del coinvolgimento dei giovani nella lotta armata.


All'epoca dell'incontro, Walter SORDI non aveva ancora

compiuto il diciannovesimo anno di età (341).


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(340) - Cfr. vu 20/1/88, p211.
(341) - Cfr. le tremende parole del SORDI trascritte in AA, V9, C58, p220.


c)Marco BALLAN ha dichiarato di esser stato "vicino" (342) ad Avanguardia Nazionale. Vicino al punto -osserva la Corte- da aver partecipato alla riunione di Albano Laziale in veste di rappresentante di Avanguardia per la Lombardia. Di tale partecipazione si ha notizia da Giorgio COZI (343): "Ribadisco inoltre che ad Albano era presente un certo Marco di Milano di cui non rammento le fattezze fisiche e che veniva indicato come il referente per la Lombardia di Avanguardia Nazionale". L'identificazione è certa: sarebbero sufficienti, in tal senso, l'indicazione del nome di battesimo e la provenienza geografica; ma anche l'ulteriore riferimento converge nella medesima direzione, posto che lo stesso BALLAN -il quale, nel negare di esser stato "in Avanguardia", ammette tuttavia di aver "appartenuto al mondo di Avanguardia"- ha dichiarato (344): "sono indicato come referente di A.N., così è apparso, o forse anch'io ho dato modo che apparisse...in un certo senso corrispondeva alla realtà questa apparenza, ma non completamente".


D'altronde -come si è visto in narrativa- v'è, da parte del

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(342) -Cfr. vu 26/5/87, p12. (343) -Cfr. EB, V3, C84, p6 e vu 21/1/88, p66.
(344) -Cfr. vu 26/5/87, p14.


prevenuto, la timida ammissione di un "rapporto minimo" col FACHINI all'epoca del tentativo di riunificazione, nel '75-'76. Sempre dalle dichiarazioni dibattimentali del BALLAN risulta che egli ha partecipato nel '76 a riunioni di Avanguardia Nazionale, ha avuto incontri col DELLE CHIAIE in epoca posteriore allo scioglimento di Avanguardia Nazionale, ed è "molto legato a TILGHER".


Immancabilmente, si ritrova il BALLAN -che di Avanguardia è nulla di meno che un responsabile nazionale (345)- al centro della campagna di arruolamenti lanciata nell'ambito della ricostituzione clandestina del Movimento. Così Valerio FIORAVANTI,nel medesimo verbale in cui ebbe a riferire dell'incontro col TILGHER (346): "Dopo l'incontro presso lo studio del TILGHER si presentarono a casa mia a Roma DI MITRI in compagnia di BALLAN. Non conoscevo quet'ultimo. Nella circostanza entrambi mi sollecitarono ad entrare a far parte della loro organizzazione senza peraltro scendere nei particolari. Il BALLAN si qualificò come persona che all'interno dell'organizzazione svolgeva prevalentemente


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(345) - Cfr. AA, V9, C58, pp. 407-408. (346) -Cfr. EB, V3, C86/A, p23.


funzioni logistiche piuttosto che politiche e riteneva che proprio questo poteva portarmi ad avere più fiducia in lui piuttosto che non nel TILGHER, dal momento che quet'ultimo invece ricopriva solo un ruolo politico. Nuovamente declinai la proposta". Marco BALLAN, avuta lettura delle dichiarazioni del FIORAVANTI, preferisce non negare in radice l'incontro, e attinge vertici di involontario umorismo, affermando (347): "io ritengo che l'incontro con FIORAVANTI ci sia stato, non ricordo questi particolari che mi sembrano strani, l'incontro c'è stato senz'altro. Io ricollego il discorso di FIORAVANTI, ricordo che andai a casa, a Roma, di un giovane che non sapevo essere FIORAVANTI, lo seppi solo successivamente...non lo conoscevo di fama...Fu un discorso inserito nel discorso che facevo prima, di contattare giovani nella ricerca di una unità di ambiente, non finalizzato a proposte di altro tipo". Nell'occasione, il BALLAN era accompagnato, oltre che dal DIMITRI, anche da Domenico MAGNETTA (348). La puntualizzazione si rende necessaria per meglio afferrare il



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(347) - Cfr. vu 26/5/87, p14. (348) -Cfr. AA, V9, C58, pp. 71 e 291.


contesto e l'inequivocabile messaggio sostanziale che, al di là delle formule ambigue e dei sottintesi, era contenuto nelle parole del BALLAN. Giuseppe DIMITRI e Domenico MAGNETTA, infatti, sono, fra l'altro, coloro che, nel medesimo lasso di tempo, si rendono responsabili, con il FIORAVANTI ed altri, di quella rapina alla `Chase Manhattan Bank' della quale oggi anche il DELLE CHIAIE, il TILGHER ed il BALLAN sono chiamati a rispondere, a titolo di concorso morale, davanti alla Corte d'Assise di Roma (349). Ma la natura dei rapporti FIORAVANTI-DIMITRI è attestata dalla comune disponibilità, per la custodia delle armi,
dello scantinato di via Alessandria,e dal fatto che il primo si erarisoltoadincontrare il TILGHER "più chealtro per condiscendenza" verso il DIMITRI, cui era già legato da "rapporti di amicizia". Marco BALLAN, che è di Milano, a Roma si fa accompagnare ad incontrare colui che -tramite gli

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(349) -La rapina è del 27/11/79. Cfr. AA, V9, C58, pp. 137-138, 245, 351 e 448. Significativo il fatto che il BALLAN -nelle dichiarazioni rese al PUBBLICO MINISTERO di Firenze (cfr. 5° foglio del verbale 6/3/86, in AAD, V3, C15)- pur dichiarandosi estraneo alla rapine della fine del '79 ed affermando di non averne mai saputo in termini precisi, abbia però ammesso che non ignorava "certe situazioni"; e il suo non ignorarle era tale da consentirgli di sapere "che parte del denaro provento delle rapine fu inviato all'estero a DELLE CHIAIE che era in Sud America".


accompagnatori, ed il DIMITRI in particolare- sa benissimo


essere un consumato criminale, dedito a null'altro che a rapine e ad attività terroristica. Peraltro, la vera finalità del discorso di `reductio ad unum' dell'ambiente è fatta palese dalle parole che di lì a qualche tempo, in un analogo contesto, l'altro dirigente nazionale di Avanguardia, Adriano TILGHER, rivolgerà -come si è visto- a Walter SORDI.


L'`operatività'di Marco BALLAN durante il periodo cui l'imputazione si riferisce è attestata dalle proposte che, ancora nei primi mesi del 1981, egli rivolgeva a Gilberto CAVALLINI. Sul punto sono intervenute le dichiarazioni del SORDI e di Angelo IZZO. Il primo (350): "So che CAVALLINI, dopo i fatti di Padova" (351) "si appoggiò al suo vecchio amico MAGNETTA che conosceva fin dai tempi in cui stava a Milano, il quale a sua volta lo indirizzò verso Marco BALLAN. Costui, dopo averlo ospitato in un rifugio che non so indicare, gli propose di espatriare insieme anche a tutti

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(350) - EA, V10/a-5, C225 bis, p13; cfr., per il giudizio, vu 20/1/88, p218.
(351)-Si allude all'episodio del Canale Scaricatore del 5/2/81, a seguito del quale fu arrestato Valerio FIORAVANTI. gli altri del gruppo, in Bolivia. CAVALLINI mi disse anche


che aveva rifiutato perché le condizioni che gli erano state
poste gli sembravano inaccettabili: infatti avrebbe dovuto consegnare armi e denaro e mettersi alle dipendenze di DELLE CHIAIE in Bolivia, persona di cui non si fidava..."


Il secondo (352): "CAVALLINI mi ha detto che dopo la uccisione dei due carabinieri a Padova lui e quelli del suo gruppo si trovarono in una situazione difficile anche perché vari covi erano caduti ed era caduta la sua copertura in Veneto dove viveva in clandestinità. Mi disse CAVALLINI che a Milano era stato avvicinato, in quella situazione difficile che gli si era creata, da MAGNETTA e BALLAN i quali proposero a lui ed a quelli del suo gruppo di lasciar loro le armi e di rifugiarsi in Bolivia...mi raccontò che aveva detto della proposta fatta da MAGNETTA e BALLAN della Bolivia, a Cristiano FIORAVANTI specificandomi che questo incontro col FIORAVANTI era avvenuto al laghetto dell'EUR a Roma. CAVALLINI mi disse, poi, che aveva lasciato cadere la


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(352) - AA, V4, C24, pp. 102-103; cfr. anche EB, V3, C68, pp. 32-33; in dibattimento (cfr. vu 25/11/87, pp. 87-88),l'IZZO ha precisato che la proposta fu fatta in due occasioni e d'aver avuto come fonte anche Gabriele DE FRANCISCI.


proposta di andare in Bolivia..."


Il BALLAN, secondo il suo più recente atteggiamento, fatto di molte menzogne e qualche mezza verità, nel negare d'aver aiutato il CAVALLINI e di averlo personalmente incontrato nell'occasione, ha tuttavia finito con l'ammettere significativamente che si adoperò, per motivi umanitari, per procurare ospitalità alla SBROIAVACCA ed al figlio di lei e del CAVALLINI (353). Ed ha soggiunto: "...In questa occasione può anche darsi che qualcuno vicino a me consigliò al CAVALLINI di andarsene dall'Italia, che forse era la cosa migliore e da qui le varie dichiarazioni dei pentiti..." Non si capisce perché, pur disponibile a soccorrere la SBROIAVACCA, il BALLAN, che poco più di un anno prima aveva contattato un personaggio come Valerio FIORAVANTI, avrebbe dovuto arricciare il naso di fronte alla prospettiva di incontrare il CAVALLINI ("non ho voluto avere a che fare con lui personalmente"), soprattutto dopo che l'aveva già aiutato una volta nel '77, `appoggiandolo' al FACHINI, quando il CAVALLINI evase mentre si trovava detenuto con

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(353)- Cfr. vu 26/5/87, pp. 17-18.


l'imputazione di omicidio.


d) La posizione di Maurizio GIORGI si presta ad essere rapidamente definita. Si è avuta occasione di rilevare il suo rapporto di collaborazione col S.I.D. Il prevenuto è' poi presente alla riunione di Albano Laziale (354). Si stabilisce in Sudamerica nel luglio del 1977 (355) e rientra definitivamente in Italia nell'ottobre del 1981 (356). Benché in Sudamerica abbia mantenuto contatti personali con Stefano DELLE CHIAIE, non ha partecipato all'opera di riorganizzazione di Avanguardia Nazionale, e, segnatamente, all'opera di arruolamento che ha visto impegnati in prima persona il DELLE CHIAIE, il TILGHER ed il BALLAN. Negli anni in cui dimora fuori dall'Italia, si viene perciò a trovare in posizione defilata, a differenza del DELLE CHIAIE, che, nella sua posizione di latitante all'estero, mantiene tuttavia i rapporti col GELLI, rientra temporaneamente in Italia, per partecipare, da capo carismatico, alla riunione

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(354) - Cfr.le dichiarazioni del CALORE, in IA, V9/a-1 bis, C13/12, p34 e vu 10/12/87, p52, e quelle del CITTI, in EB, V2, C50, pp. 9 e 16; della presenza del GIORGI ad Albano ebbe a riferire anche Giorgio COZI, come emerge dalla contestazione mossa al GIORGI dal Giudice Istruttore di Roma, ricavabile dal verbale 14/6/83, in IB, C6/1, p7.
(355) -Cfr. IB, C6, p2.
(356) -Cfr. IB, C6, p38.


nello studio dell'Avv. CAPONETTI della primavera del '79, riceve l'ALIBRANDI ed il CARMINATI a Parigi in un contesto grottesco che vorrebbe fungere da catalizzatore per l'adesione all'organizzazione, e, dai comodi rifugi di oltre frontiera, riprende le operazioni in Italia per il tramite dei suoi sottoposti TILGHER, BALLAN, MANGIAMELI.


Il fatto che il GIORGI, in sede di discussione, sia stato sostanzialmente `dimenticato' dalle accuse pubblica e privata è in sé assai eloquente.


Va chiarito che, stanti le premesse di cui sopra, non incide sulla decisione della Corte il fatto che pende tuttora, in istruttoria, un separato procedimento a carico del GIORGI (e del DELLE CHIAIE, del TILGHER e del BALLLAN) per la strage del 2 agosto 1980. Tale questione -con i problemi che essa comporta (quali, ad esempio, l'esatta individuzione del periodo o dei periodi di soggiorno in Italia del GIORGI nel 1980)- può e quindi deve rimanere estranea alla cognizione di questaCortee resta del tuttoimpregiudicata. Infatti, nell'assenza -testé constatata- di elementi diversi che
inducano a ritenere l'inserimento del GIORGI all'interno dell'associazione eversiva ipotizzata dall'accusa, l'eventuale accertamento della responsabilità del prevenuto per l'organizzazione della strage non varrebbe se non ad individuarlo come partecipe del disegno terroristico del gruppo degli attentatori, senza per questo farlo assurgere al livello di membro dell'organizzazione che si assume essersi collocata a monte quale `sponsor' politico occulto di campagne di attentati. Allo stesso modo in cui è stato possibile ipotizzare da parte dell'accusa la penale responsabilità del FIORAVANTI, della MAMBRO e del PICCIAFUOCO per la strage, senza ricollegarla -data la peculiare collocazione di quegli imputati- alla partecipazione all'associazione eversiva, così l'eventuale accertamento della responsabilità del GIORGI nell'attentato del 2 agosto non verrebbe, `rebus sic stantibus', ad alterare il quadro su cui si forma il giudizio circa l'imputazione associativa contestata all'imputato in questa sede.


Da tale imputazione associativa il GIORGI va assolto per non aver commesso il fatto.

2.4.4.4.3) La componente del SISMI deviato


a)Francesco PAZIENZA -come si è visto in narrativa- tende a far risalire la conoscenza del SANTOVITO al dicembre '79, onde poter poi collocare l'ingresso al SISMI nel 1980. Si tratta di una postdatazione evidentemente dettata da esigenze difensive rispetto all'imputazione di calunnia, giacché mira a rappresentare una situazione in cui l'imputato, nel momento in cui prendono il via le manovre depistanti, sarebbe entrato nel Servizio da pochi mesi e non sarebbe ancora inserito nel tessuto dell'apparato abbastanza profondamente da poter avere, rispetto alle macchinazioni poste in essere, il ruolo che l'accusa gli ha contestato e che la Corte ha accertato. Ma l'assunto difensivo è decisamente destinato a naufragare. L'occasione dell'incontro col SANTOVITO -secondo lo stesso PAZIENZA- sarebbe stata una colazione organizzata al `Grand Hotel' di Roma dalfratello edalnipotedelgenerale. All'udienza del 19/10/1987 veniva escusso (357) il nipote del gen. SANTOVITO, Ing. Luciano BERARDUCCI, teste indotto

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(357) - Cfr. vu 19/10/87, p127.


dall'imputato. Il Presidente, dopo avergli rammentato che il Gen. SANTOVITO, di fronte alla Commissione Parlamentare d'Inchiesta, aveva affermato d'aver conosciuto il PAZIENZA ad una colazione all' `Hotel Excelsior' cui era presente anche lo stesso Ing. BERARDUCCI, e dopo aver accertato che il teste aveva memoria dell'episodio, gli chiedeva di precisarne la data. La risposta dell'Ing. BERARDUCCI: "Ritengo che avvenne nel 1978". Al quel punto interveniva il prevenuto, affermando che la colazione risaliva al '79 ed aveva avuto luogo non all' `Excelsior', ma al `Grand Hotel'. L'Ing. BERARDUCCI riconosceva esser stata quest'ultima la sede dell'incontro, ma, quanto alla data, rimaneva fermo sulle sue posizioni: "francamente mi sembra sia il '78". Coincideva dunque con quello del nipote il ricordo del Gen. SANTOVITO, allorché, il 20/10/1983, al Giudice Istruttore di Trento dott. Carlo PALERMO, ebbe a dichiarare (358): "Ho conosciuto PAZIENZA nel 1978; me lo presentò mio nipote, tale Luciano BERARDUCCI" (359).



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(358) - Cfr. AA, V21, C98/2, p251.
(359) - Sorprendentemente, poi, di fronte allo stesso dott. PALERMO, venti giorni più tardi, il SANTOVITO dichiarerà (cfr. AA, V21, C98/2, p253): "Ho conosciuto PAZIENZA nel 1980, anzi nel 1979..."


Nella medesima udienza in cui fu sentito l'Ing. BERARDUCCI, era stato esaminato (360) anche il teste Francesco LALLE, che, a suo tempo,aveva lavorato alle dirette dipendenze del Gen. SANTOVITO, occupandosi della rassegna stampa per il direttore del Servizio. Alla domanda circa la data della sua conoscenza del PAZIENZA, aveva risposto: "l'ho conosciuto appena arrivato lì, che poi siamo arrivati contemporaneamente. Non ricordo il mese, penso a cavallo tra il '78 e il '79".


Il Gen. NOTARNICOLA (361) è stato in grado di collocare l'arrivo del PAZIENZA al SISMI, con sicurezza, nel 1979. Il teste, assumendo come punto di riferimento il proprio ingresso nel Servizio, che rimonta al 1° settembre 1978, fa risalire l'inizio della frequentazione degli uffici del SISMI da parte dell'odierno imputato ad un un epoca posteriore di vari mesi, che potrebbero andare dai 4 o 5 fino ai 7 od 8.


Il Col.COGLIANDRO, che in dibattimento è apparso confuso e



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(360) - Cfr. vu 19/10/88, pp. 112.-113. (361) -Cfr. vu 12/10/87, p27.


disorientato (362), di fronte all'Istruttore, mettendo a fuoco il ricordo e correggendo una precedente indicazione fornita al PUBBLICOMINISTERO(363),avevaresolerisolute dichiarazioni riportate sub 1.10.2): dichiarazioni secondo cui il PAZIENZA "entrò nell'orbita del SISMI fin dall'estate del 1979" e fu presentato al teste nel luglio dello stesso anno.


Coordinando le indicazioni cronologiche di varia provenienza delle quali si è dato conto, si deve complessivamente concludere che il PAZIENZA, presentato al SANTOVITO verso la fine del '78, iniziò verosimilmente a frequentare gli uffici del SISMI in un periodo a cavallo fra la tarda primavera e l'estate del 1979, e comunque non dopo l'estate di quell'anno. Sempre per ovvie esigenze difensive, il PAZIENZA ha negato ogni rapporto di conoscenza o frequentazione del coimputato GELLI. Contro l'imputato stanno le dichiarazioni di Nara LAZZERINI, le quali, lungi dal rimanere isolate, anche in questo caso si vengono ad innestare in tessuto valutativo estremamente omogeneo e



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(362) - Cfr. vu 13/10/87, pp. 39, e 61-63.
(363) - Cfr. Cal., V5, C16, p10 recto.


compatto (364).


Ha affermato la LAZZERINI (365): "...il noto Francesco PAZIENZA fu tra i frequentatori di GELLI, poiché ricordo con certezza di averlo visto almeno un paio di volte nel salotto in attesa di GELLI presso l'Hotel `Excelsior' di Roma. Poiché ho visto GELLI nel 1981 una volta sola, e precisamente nel febbraio; poiché fui all'`Excelsior' solo tre volte nel 1980 e posso escludere di aver visto PAZIENZA in quel periodo, devo concludere di averlo visto in più occasioni all'Excelsior fare anticamera nel 1979, poiché quel ricordo non è molto remoto". E ancora (366):

"...Vidi il PAZIENZA in più di un'occasione entrare nel salone più piccolo, e cioè il primo, dove GELLI riceveva una parte delle persone che lo attendevano...Lo stesso


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(364) - Dal quale vanno tuttavia escluse le annotazioni di numeri telefonici dell'`Excelsior' sull'agenda di Massimo PENNA, segretario del PAZIENZA (cfr. vu 20/10/87, p78). Fra le medesime, dal Giudice Istruttore (cfr. PAZ., V2, C27, p56) e, in un primo tempo, dal PUBBLICO MINISTERO (cfr. RE, p428), si era ritenuto di individuare quella del numero riservato del GELLI nell'albergo romano. Senonché, dalla data sotto la quale figurano apposte e dal contenuto del rapporto 14/11/87 della DIGOS di Bologna e dei suoi allegati, prodotti dallo stesso PUBBLICO MINISTERO (cfr. vu 19/11/87, pp. 19 ss.), risulta ora chiaro che le annotazioni in questione si riferiscono a Robert (Bob) ARMAO, che alloggiò all' `Excelsior' fra il 27 ed il 29 ottobre dell'82.
(365) - Cfr. Cal., V5, C35, pp. 44-45 e vu 21/10/87, p35.
(366) -Cfr. 1° foglio del verbale 9/4/95, in Cal., V5, C35,
e vu 21/10/87, p35. GIUNCHIGLIA, che spesso si fermava a parlare con GELLI,...mi ha più volte fatto il nome di PAZIENZA come di persona conosciuta da lui e da GELLI..."


Ora, il PAZIENZA, che, all'`Excelsior', più volte era stato


notato (367) "entrare nella hall e dirigersi verso il


salone",non ha negato di essersi recato qualche volta nell'albergo in questione, anche se ha collocato quegli


accessi nel 1981.


Il 4/7/1986, il Giudice Istruttore di Milano ebbe a rendere edotto il PAZIENZA di talune dichiarazioni di Michele SINDONA, il cui contenuto è fatto palese dal tenore della risposta data dal PAZIENZA a quel magistrato (368): "Prendo atto di quanto dichiarato da Michele SINDONA a questo ufficio il 16 ottobre 1984 e il 17 ottobre 1984. Non risponde assolutamente a verità che io gli abbia prospettato di poterlo aiutare essendo io amico di Licio GELLI..."


D'altronde, come sarebbe stata realizzabile la folgorante carriera del PAZIENZA all'interno del SISMI, al di fuori di



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(367) -Dal teste MASCI Tommaso (cfr. AA, V10, C60, p584), che poi, vedendo il volto del PAZIENZA alla televisione, riconobbe la persona che aveva visto transitare nell'albergo (cfr. vu 5/10/87, p13).
(368) - Cfr. PAZ., V3, C4, p2.


uno stretto rapporto, di un legame fiduciario con colui che dei Servizi di Sicurezza era il `dominus'? Il PAZIENZA -come taluno giustamente ha rilevato- all'interno del SISMI non è mai stato un `soldato semplice'; egli è nato `generale'. E la sua bruciante ascesa, fino ad acquisire la direzione di fatto del SISMI deviato, avviene immancabilmente nell'orbita del piduista Gen. SANTOVITO, sul quale l'odierno imputato finisce per avere il sopravvento.


Non è quindi un caso che il PAZIENZA sia poi protagonista del salvataggio massonico del GELLI. Il 22 marzo 1981, cinque giorni dopo la perquisizione di Castiglion Fibocchi, si svolge all' `Hotel Hilton' di Roma un' assemblea massonica. Il 25 marzo ha luogo un incontro fra il PAZIENZA ed il giornalista BARBERI: nell'occasione, quest'ultimo apprende dall'imputato, che pure gli dice di non conoscere il GELLI e di essersi mosso per conto di altri, che dietro l'operazione di salvataggio che ha consentito al GELLI di non essere espulso dalla Massoneria v'è stato, con ruolo di protagonista, lo stesso PAZIENZA (369). Che siffatta



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(369) - Cfr. Cal., V5, C5, pp. 1 retro, 7, e 13-14, e vu 19/10/87, pp. 128, e 136-138.


operazione potesse e volesse avere il senso di preludere, non già ad un semplice affiancamento, ma addirittura -come è alternativamente sostenibile- ad un'indolore successione del PAZIENZA al GELLI alla testa di un `impero', non cambia i termini della questione,giacché l'avvicendamento sarebbe stato comunque frutto di strategie interne a quell'`impero' nel quale gli interessi del GELLI e del PAZIENZA avevano trovato il loro amalgama e non risulta siano mai entrati in conflitto, almeno nel periodo cui l'imputazione fa riferimento (370).


Ulteriore riprova logica del collegamento GELLI-PAZIENZA sta nella frequentazione dei medesimi ambienti interni ed internazionali. Della posizione massonica del PAZIENZA si è detto altrove; dopo quanto si è argomentato trattando il

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(370) - Diversa è la questione del conflitto di interessi che tra i due odierni coimputati può essersi venuto a creare a distanza di tempo, quando, allontanatosi anche il PAZIENZA dall'Italia, si sarebbe deciso di `sacrificarlo' a beneficio del GELLI (cfr. PAZ., V2, C27, p64, e, per ulteriori riferimenti, cfr. anche pp. 21-22, 50-51 e 58). Certo è che quando il PAZIENZA -a ragione o a torto- si duole di esser stato `venduto' per fini manovrieri legati agli interessi del GELLI (cfr. PAZ., V2, C20, p66 recto e verso), nella doglianza si deve leggere, sottintesa, la pregressa compenetrazione di interessi fra i due prevenuti: perché soltanto nell'ottica di un precedente collegamento possono trovar luogo eventuali tradimenti dell'uno a beneficio dell'altro.


delitto di calunnia pluriaggravata e in precedenti paragrafi relativi alla posizione del GELLI, occorre qui soltanto ribadire che i due imputati -in occasione delle indagini sulla strage di Bologna- hanno utilizzato l'apparato di sicurezza militare, imprimendo ad esso una linea unitaria deviata; entrambi vengono invitati alla cerimonia di insediamento di Ronald REAGAN (371); tra coloro che il PAZIENZA, a vario titolo, ha conosciuto o frequentato, o con i quali ha avuto contatti, si trova tutta una serie di personaggi, non certo di secondo piano, iscritti negli elenchi sequestrati a Castiglion Fibocchi: da Fabrizio TRECCA TRIFONE (372), medico personale del GELLI,a Carmelo SPAGNUOLO (373), già tra i partecipanti alla riunione di `Villa Wanda'; da Loris CORBI (374) a Mario GENGHINI (375); ancora, da Michele SINDONA (376) a Roberto CALVI (377), e ad altri, fra i quali Federico Umberto D'AMATO (378).




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(371) - Cfr., per il GELLI, AA, V5, C29, p70 recto; e, per il PAZIENZA, Cal., V5, C5, pp. 1 verso e 17.
(372) -Cfr. vu 7/10/87, pp. 65 ss., e Cal., V6, C1, p45.
(373)- Cfr. vu 2/6/87, p100 e Cal., V6, C1, p44.
(374) -Cfr. PAZ., V2, C20, p10 e Cal. V6, C1, p10.
(375) -Cfr. vu 8/6/87, p51 e Cal., V6, C1, p19.
(376) -Cfr. PAZ., V3, C4, p3 e Cal., V6, C1, p43. (377) -Cfr. vu 1/6/87, p30 e Cal., V6, C1, p7.
(378) -Cfr. vu 1/6/87, p29 e Cal., V6, C1, p11.


b)Pietro MUSUMECI è un uomo del GELLI almeno a far tempo dalla


riunione di `Villa Wanda'. Legato al Venerabile -come si è già rilevato altrove- dal vincolo piduistico (379), approderà immancabilmente al SISMI del SANTOVITO, dove si renderà coprotagonista delle manovre depistanti analizzate nel capitolo dedicato al delitto di calunnia.


Fra il '71 ed il '74, presso la I Divisione dei Carabinieri `Pastrengo' di Milano è attivo il "gruppo di potere al di fuori della gerarchia" sul quale ha fornito indicazioni, il teste Col. BOZZO (380), descrivendone anche la composizione soggettiva. Il "gruppo" si coagula attorno al Comandante di Divisione Gen. Giovambattista PALUMBO ed annovera nomi come quello del Ten. Col. Antonio CALABRESE e del Ten. Col. Michele SANTORO.Il PALUMBO ed il CALABRESE risulteranno iscritti negli elenchi della P2 (381);la figura del primo,piduista di antica data, presente alla riunione di `Villa Wanda', ricorre sinistramente-come si è avuta occasionedi vedere-

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(379) - Cfr. Cal., V6, C1, p35.
(380) - Cfr. EB, V2, C45, passim, e vu 12/10/87, pp. 89 ss.
(381) - Cfr. Cal., V6, C1, rispettivamente p36 e p6.


nella vicenda del giornalista ZICARI e nei depistaggi relativi alla strage di Peteano;il SANTORO -come pure si è visto- èrisultato pesantemente coinvolto nelle deviazioni delle indaginirelativeallastragedi Peteano. Orbene, all'interno di quel "gruppo" non manca il MUSUMECI, il quale si trova in "stretto e personale collegamento" con il Comandante della Divisione e, "pur facendo parte di altro reparto non dipendente dalla Prima Divisione," è "praticamente di casa nell'ufficio del...generale PALUMBO".


c)Per ciò che riguarda la posizione di Giuseppe BELMONTE, basterà qui fare rinvio alla parte della trattazione relativa al delitto di calunnia, richiamando segnatamente tutto quanto condensato sub 2.3.6.2), sottolineando la sua piena consapevolezza -desumibile dalle pur reticenti confidenze fatte al SANAPO (382)- del ruolo del PAZIENZA e della necessità di salvaguardare la struttura al PAZIENZA stesso facente capo, e aggiungendo semplicemente le seguenti parole del M/llo SANAPO (383): "...BELMONTE, su mia richiesta tendente a sapere se anch'egli fosse iscritto alla



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(382) - Cfr. supra, sub 2.3.6.3).
(383) - Cfr. Cal., V5, C47, pp. 26-28.


P2 mi disse che egli non aveva voluto aderire ad una simile richiesta rivoltagli dal Generale MUSUMECI perché, così mi disse, era cattolico...BELMONTE mi disse anche che era stata una fortuna che `lui non si era trovato iscritto nella P2' in quanto, venuti a mancare SANTOVITO e MUSUMECI, egli si era trovato di fatto a dirigere l'ufficio in quanto era il vice di MUSUMECI e quindi stava eliminando un po' di carte della vecchia amministrazione; aggiunse che ciò gli era consentito per legge, perché tutta la contabilità ordinaria andava distrutta nel passaggio da un'amministrazione ad un'altra amministrazione...BELMONTE già quando comandava il Gruppo, negli ultimi tempi di quel comando, sapeva che MUSUMECI lo avrebbe chiamato con lui al SISMI, tanto che aveva comprato la casa di Marino quando ancora comandava il gruppo di Taranto. BELMONTE comandò il gruppo di Taranto fino al luglio 1978.


BELMONTE aveva già avuto MUSUMECI come comandante a Velletri, ma già in precedenza era stato con lui per ragioni di lavoro, tanto che vantava con il MUSUMECI un'amicizia ventennale...Quando SANTOVITO venne reintegrato, BELMONTE...mi disse `hai visto che SANTOVITO ce l'ha fatta a ritornare?' Lasua speranza era sempre quella che anche MUSUMECI venisse reintegrato..."


2.4.4.5) Ulteriori tessere del mosaico probatorio


Prima di trarre le debite conclusioni, occorre ancora passare rapidamente in rassegna taluni elementi di giudizio su cui ha fatto leva l'accusa:


a)Vi sono `cointeressenze' processuali fra Licio GELLI e Valerio FIORAVANTI. Non sono in discussione, naturalmente, le responsabilità per l'omicidio di Mino PECORELLI, che dovranno essere accertate in altra sede dal giudice naturale. Qui occorre semplicemente rilevare come sia provato che,per conto del GELLI, l'Avv. DI PIETROPAOLO, per interposta persona e anche direttamente, intervenne presso Valerio FIORAVANTI, per raccomandargli di tenere, in ordine alla vicenda dell'omicidio PECORELLI, un contegno processuale tale che consentisse al GELLI di stare tranquillo e, per trasmettergli, quale contropartita, le profferte d'aiuto del GELLI stesso. Le vicende in esame sono ricostruibili attraverso i contributi processuali complessivamente offerti da Angelo IZZO (384), Sergio CALORE (385) e Stefano SODERINI (386).


b)In via Alessandria 129, in Roma, al 4° piano dello stabile nel cui scantinato era custodito il noto arsenale, presso gli uffici dell'agenzia assicurativa di Adriano TILGHER aveva sede anche la redazione-direzione-amministrazione del periodico `Confidentiel' (387), fra i cui redattori figurava lo stesso imputato, ed il cui direttore (388) era il di lui padre, il piduista (389) Mario TILGHER. In quegli uffici, il 17/9/1980, venne sequestrata (390), tra le altre cose, una rubrica alfabetica (391) sulla cui prima pagina interna si rinvengono annotazioni dalle quali si desume la riferibilità della rubrica stessa alla rivista `Confidentiel'. I nominativi e gli indirizzi che vi compaiono sono dunque quelli degli abbonati alla rivista. Sotto la lettera `C'




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(384) - Cfr. EB, V3, C68, p62, e vu 25/11/87, pp. 94-95.
(385) -Cfr. IA, V9/a-1 bis, C13/15, pp. 2-3, e vu 9/12/87, p64.
(386) -Cfr. AAD, V11, C16, p14, e vu 2/11/87, p70.
(387) -All'atto della cattura, il DIMITRI aveva nel borsello "alcuni fogli dattiloscritti contenenti la bozza di un articolo sul `KGB' che doveva apparire sul periodico": cfr. RA, V9, C384, p161.
(388) - Cfr. RB, V3, C52, p4.
(389) -Cfr. Cal., V6, C1, p45.
(390) - Cfr. PQA, V3, C88/2, pp. 29-30.
(391) - Che trovasi in SA, V9, C32.


figura il nominativo di Elio CIOLINI (392). E, all'interno della rubrica, sono inseriti alcuni fogli separati -con ulteriori nominativi ed indirizzi- costituenti evidentemente una sorta di aggiornamento: in uno di essi, fra le tante annotazioni, ove i nomi di alti ufficiali si sprecano, si legge "Comm. Dott. Licio GELLI - Villa Wanda S. Maria delle Grazie 52100 Arezzo".


c) L'ALEANDRI ed il CALORE si allontanano dal DE FELICE allorché cominciano a prendere in seria considerazione l'ipotesi di essere stati strumentalizzati, e arrivano a prospettarsi la possibilità di eliminare Licio GELLI. Paolo ALEANDRI (393): "Nel frattempo si erano incrinati i rapporti fra me e DE FELICE; ricordo poi che vi fu addirittura un diverbio molto duro tra me e DE FELICE a casa di quest'ultimo. Era presente Claudio LANTI. In quella occasione DE FELICE criticò apertamente il mio operato, chiese di gestire direttamente i proventi delle rapine e pretese che facessi autocritica. Gli risposi duramente ed


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(392)-Costui dovette essere tra i primi abbonati: ricevette i primi due numeri e, alla data del 17/7/80 (cfr.RB, V5, C71, p1), era ancora in attesa dei successivi (il periodico aveva frequenza trimestrale ed il n. 3 reca la data del giugno '80).
(393) - Cfr. Cal., V5, C3, pp 85-86.


andai via. La settimana successiva fu deciso di rivederci per tentare una chiarificazione. La riunione era a casa di SEMERARI ma io scelsi di non partecipare. Sergio, che vi partecipò, mi riferì tutto nei minimi particolari. In particolare DE FELICE, in presenza oltre che di SEMERARI, di FACHINI e SIGNORELLI, chiese nuovamente di amministrare i proventi delle rapine e disse a CALORE che lui ed io eravamo dei ragazzini irresponsabili e che era vero quanto gli contestava CALORE e cioè che loro, in particolare DE FELICE, SEMERARI e SALOMONE, stavano tentando l'operazione di salvataggio del costruttore GENGHINI, per riceverne riconoscenza dagli ambienti politici legati al costruttore. Fu a questo punto che in me e in CALORE iniziò una riflessione seria sui rapporti tra noi ed il gruppo di DE FELICE e tra questo e GELLI e su una ipotesi di una nostra strumentalizzazione inconsapevole ad opera di DE FELICE, per cui ipotizzammo di effettuare un attentato a GELLI" (394).




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(394) - Cfr., per il dibattimento, vu 7/1/88, pp. 46-47 , e vu 8/1/88, pp. 38 e 42. E, per le dichiarazioni di Sergio CALORE sul tema della rottura col DE FELICE e sull'ipotesi di soppressione del GELLI, Cal., V5, C12, pp. 42-43; vu 9/12/87, pp. 42-44; vu 10/12/87, p52.


d) V'è stato un amplissimo travaso dalla parte relativa alla `SICUREZZA' del manuale `FORMAZIONE ELEMENTARE', di matrice avanguardista (395) e sequestrato a Marco BALLAN (396), alle `Norme Generali' allegate al secondo `Foglio d'Ordini di Ordine Nuovo'. Ha evidenziato il PUBBLICO MINISTERO (397) chetali `Norme Generali' costituiscono una rielaborazione
di quellaspecificaparte del documentoavanguardista, che in larga misura viene pedissequamente ricopiato (398), e,


per le istruzioni relative a taluni argomenti, aggiornato



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(395) -Cfr. p64 del volume, che trovasi in SB, V1, C1. In base ai riferimenti storici in esso contenuti, il manuale è databile alla metà degli anni '70. Il BALLAN ha sostenuto che il volume è uno studio su "come la sinistra conduce la sua guerra rivoluzionaria". Non si vede come siffatta giustificazione si attagli alla parte relativa alla `SICUREZZA', la cui norme sono precedute da proposizioni del seguente tenore (cfr. pp. 111 e 112 del volume): "La battaglia nazionale ha bisogno di metodi nuovi!...Allo stato attuale, l'unica possibilità di vittoria può venire dall'unione dei veri combattenti...autentici militanti di una guerra rivoluzionaria. La guerra rivoluzionaria è, in effetti, un combattimento all'ultimo respiro, totale, senza requie, contro dei nemici potenti e forgiati dalla esperienza...I Nazionali devono prevedere l'eventualità che tale considerevole forza possa cadere, un domani, nelle mani del P.C.I. e, quindi, che potrebbero essere costretti ad ingaggiare una battaglia nella clandestinità alla quale la repressione marxista li spingerebbe. E', quindi, ora di studiare seriamente il terreno sul quale l'azione verrebbe ad articolarsi. E' ora di formare tecnicamente e in modo razionale uno schieramento; di fornire ai suoi componenti le vere armi di cui hanno bisogno e, in primo luogo, i mezzi per difendersi nella eventuale clandestinità".
(396) -Cfr. PQB, C22, p5.
(397) -Cfr. RE, pp. 71-72.
(398) - La ricopiatura -secondo il calcolo del PUBBLICO MINISTERO- riguarda 650 righe. sulla scorta di più recenti esperienze.


e)Il fallimento dell'unificazione di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale non comportò rotture fra i vertici delle due formazioni raggiunti dall'imputazione in esame. Ne fanno fede, in particolare, il fatto che che il SIGNORELLI ed il DELLE CHIAIE si ritrovino in Ispagna (399) e che al FACHINI -verosimilmente anche virtù dell'ambigua collocazione, tale per cui poteva esser considerato referenteanche di Avanguardia- venga appoggiato il CAVALLINI da parte del BALLAN (400). D'aver "visto" il SIGNORELLI anche dopo il fallimento della riunificazione fra Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale ammette anche Adriano TILGHER (401), salvo precisare che "ciò è avvenuto sul piano del tutto personale e del tutto saltuariamente" e che "in ogni modo non vi è mai stato alcuno scambio politico di nessun genere".



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(399) -La circostanza è ammessa da entrambi gli imputati, i quali fanno tuttavia ricorso allo stereotipo dell'incontro casuale, ricorrente in questo processo, quasi che la Spagna avesse le dimensioni del vicino Principato di Andorra.
(400) -Della circostanza si è già fatto cenno altrove; ne ha riferito, oltre a Sergio CALORE, anche Angelo IZZO (cfr. vu 25/11/87, p87), le cui fonti sono state il CAVALLINI, Valerio FIORAVANTI e lo stesso CALORE.
(401) - Cfr. IB, C9, p48.


f) Il VINCIGUERRA non ha ottenuto la collaborazione che aveva richiesto ai vertici di Avanguardia Nazionale, per condurre una comune opera di ricostruzione storico-politica e fare chiarezza sullo stragismo. Obiettivo del VINCIGUERRA, che era mosso dall'esigenza -da lui profondamente sentita- di evidenziare la totale estraneità di Avanguardia Nazionale "rispetto a qualunque strategia stragista", era quello di dimostrare "che la linea stragista non è stata seguita da nessuna formazione di estrema destra in quanto tale, ma soltanto da elementi mimetizzati, ma in realtà appartenenti ad apparati di sicurezza o comunque legati a questi da rapporti di collaborazione" (402). Così il VINCIGUERRA l'11 gennaio del 1986 (403): "A distanza di un anno ho preso atto e ne sto traendo le debite conclusioni che il gruppo dirigente di A.N. con cui avevo chiesto di confrontarmi non ha voluto partecipare neppure in minima parte alla mia azione lasciandomi prima isolato ed ora evidentemente cercando di presentarmi come un mitomane ed un

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(402) - Cfr. EB, V3, C76, p13.
(403) -Cfr. EB. V3, C76, p77.


calunniatore" (404).


g)Deve intendersi qui richiamato l'intero capitolo della presente parte motiva dedicato al delitto di calunnia pluriaggravata.


E quanto argomentato in quella sede va posto in relazione con ciò che si è visto sub 2.4.4.3.3), laddove si son messi a fuoco i modi ed i termini in cui, nel SISDE del Gen. GRASSINI e del dott. CIOPPA, dopo l'illuminata ed illuminante indicazione del GELLI circa la pista da battere,


finì per inaridirsi irrimediabilmente -con l'accantonamento dell' `informativa SPIAZZI'- la pista originaria, che portava in direzione degli ambienti in cui si muovevano gli odierni imputati.


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(404) - Si afferra il senso di quest'ultima proposizione, leggendo le prime righe del verbale, ove il VINCIGUERRA afferma: "Prendo atto che BALLAN nel suo interrogatorio mi ha definito un nuovo CIOLINI".
In effetti, nell'interrogatorio del 18/12/85 (cfr. IB, C8, p56), Marco BALLAN aveva affermato: "Quanto alfatto di non aver voluto partecipare al processo di ricostruzione delle stragi iniziato da VINCIGUERRA, non è vero che io abbia dato un semplice assenso formale rifiutando nella sostanza di partecipare ad esso. La verità è che quando mi incontrai con VINCIGUERRA egli mi disse di aver acquistato elementi precisi e circostanziati in ordine all'implicazione di alcuni vertici di ORDINE NUOVO, come SIGNORELLI, FACHINI e altri nomi tra cui tale Delfo in una vera e propria struttura occulta che utilizzava gli ambienti di destra in sintonia con i fini di apparati istituzionali. La cosa mi sconcertò e pensai che VINCIGUERRA fosse un altro CIOLINI, perché parlava di situazioni per me abnormi."

2.4.5) Il pensiero della Corte


Mentre il DE FELICE ed il GIORGI, per motivi diversi l'uno dall'altro,debbono essere assolti -come s'è visto- con formula ampiamente liberatoria, per tutti gli altri imputati di associazione eversiva, la verifica condotta -secondo lo schema d'indagine delineato sub 2.4.2)- sulla base della complessiva e sinottica valutazione degli elementi di giudizio porta a concludere che si versa in una situazione di insufficienza probatoria, ed impone, conseguentemente, l'adozione della formula assolutoria dubitativa. Alle assoluzioni debbono conseguire i necessari effetti liberatori per quanti si trovino ristretti per questo solo delitto e non debbano, in forza dela presente sentenza, essere catturati per altro titolo di reato.


La positiva verifica della responsabilità degli imputati per l'ipotesi associativa loro contestata deve necessariamente passare attraverso l'accertamento della sussistenza dell'elemento costitutivo del reato sostanziantesi in un accordo idoneo a vincolare stabilmente gli imputati stessi alla realizzazione di un programma comune. Siffatto stabile vincolo consensuale non ammette surrogati: non, in particolare, la convergenza di interessi `politici', in forza della quale, fuori da ogni previo accordo, taluno compia determinate attività (in ipotesi, attentati dinamitardi), speculando -eventualmente anche sulla scorta di pregresse favorevoli esperienze- sulla copertura o garanzia di impunità che altri, avendone i mezzi (e, segnatamente, disponendo di uomini e strutture deviate all'interno di apparati statuali), potrà e vorrà assicurare, perché interessato a sfruttare, per propri fini, gli effetti politici di quell'impunità, od a porre le condizioni per la reiterazione di quelle condotte criminose.


Non si intende con ciò affermare -beninteso- che la norma incriminatrice di cui all'art. 270 bis sia applicabile soltanto in quanto l'accordo assuma forme solenni o sia consacrato in un atto scritto: un siffatto limite resta escluso dalla lettera della legge, e sarebbe impensabile, per l'ovvia ragione che si configura come un'ipotesi meramente scolastica quella dell'adozione, da parte di un'organismo eversivo, di forme `statutarie' documentali o comunque ufficializzate. Ben potrà il vincolo associativo


-ed è questa l'ipotesi che nella prassi si verifica- consolidarsi sulla base di intese orali. Ma il previo accordo per la realizzazione del comune programma eversivo resta comunque necessario. Né -evidentemente- la maggior
difficoltà di provare, in sede giudiziaria, la sussistenza di un vincolo associativo contratto in forme più sfuggenti di quelle normalmente adottate dalle associazioni lecite -difficoltà generalmente ricollegabile ad ogni ipotesi delittuosa associativa- può in alcun modo autorizzare l'impiego di criteri di valutazione della prova meno rigorosi di quelli utilizzabili per giudicare le fattispecie in cui l'illecito prende corpo in accadimenti di più palpabile materialità; e neppure, quindi, ad abbassare la soglia delle certezze necessarie per un giudizio di penale responsabilità, facendo discendere, in via presuntiva, la prova della fattispecie associativa dal conseguito accertamento di situazioni -eventualmente ripetentisi nel tempo- di obiettiva reciproca strumentalizzazione delle azioni di ambienti eterogenei.


E' vero, peraltro, che la dimostrazione del vincolo associativo non dev'esser necessariamente affidata a prove dirette, di natura rappresentativa (quali, ad esempio testimonianze o chiamate in correità) che abbiano ad oggetto
il momento consumativo dell'accordo, ben potendosi ricavare

la dimostrazione stessa da un quadro probatorio complesso,
anche di natura squisitamente indiziaria, la cui unica
possibile chiave di lettura sia quella che riconduce alla sussistenza del vincolo in questione (405). E, in un siffatto quadro, non v'è dubbio che la prova della strumentalizzazione reciproca di cui si è testé fatto cenno gioca un ruolo, non decisivo, ma di peso specifico assai rilevante, lungo l'`iter' logico attraverso il quale, sulla base delle acquisizioni processuali, ci si proponga di verificare -attraverso e oltre il passaggio intermedio della convergenza o anche sovrapponibilità di interessi `politici' fra determinati ambienti- la sussistenza dell'ulteriore

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(405) -Pur tenuto conto delle diverse specificità del delitto in esame e di quello previsto e punito dall'art. 306 C.P., va rilevato come sia stato possibile alla Corte accertare la sussistenza della banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione, anche in assenza di chiamate in correità provenienti da persone interne alla banda stessa.


retrostante situazione di fatto (necessaria per l'integrazione della fattispecie `de qua') dell'intervenuto accordo volto a coordinare le rispettive future condotte, finalizzandole al risultato in cui si vorrebbe che quegli interessi trovassero attuazione.


Orbene, reputa la Corte che la ragionata disamina del materiale probatorio evidenzi una situazione non già di semplice convergenza d'interessi `politici', quanto piuttosto di contiguità -con punti di raccordo a livello di rapporti personali- fra ambienti deviati di apparati statuali gravitanti attorno a Licio GELLI, ed esponenti di vertice delle tradizionali formazioni neofasciste; ma che l'ipotesi secondo cui quella contiguità, a partire da un certo momento, avrebbe trovato stabile espressione organizzativa, in virtù di uno `storico contratto', nell'associazione eversiva ipotizzata dall'accusa, benché probabile, non possa essere affermata in termini di certezza, essendo possibile formularne una alternativa.


Altro è la fondatezza dell'indagine ricostruttiva condotta dall'accusa, con riferimento ad un lungo arco di tempo, circa l'inerzia di spezzoni di apparati statuali deviati nei confronti di attività eversive neofasciste, azioni di copertura di atti di terrorismo, o, ancora, aiuti materiali offerti ad esponenti di spicco dell'estremismo `nero'; altro è -si torna a ripeterlo- la riconducibilità delle
attività terroristiche e delle attività deviate di apparati statuali ad una medesima organizzazione, in virtù di una saldatura operativa fondata su uno stabile vincolo di natura consensuale.


In sintesi -e attingendo risultati in partenecessariamente anticipati altrove (406)- deve dirsi provato che:


-Licio GELLI, a partire dalla metà degli anni '70, si pose al centro di una strategia -cosiddetta `del controllo'- tendente a sottrarre il potere alla comunità nazionale, politicamente intesa, ed a svuotare i contenuti sostanziali della Costituzione, mediante un processo di infiltrazione nei gangli vitali delle Istituzioni;


-strumento principe del processo di occupazione delle Istituzioni dall'interno fu la Loggia `P2', sulla quale il

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(406) - Cfr. supra, sub 2.3.6.4).


GELLI venne acquistando un potere incondizionato;


-oggetto privilegiato d'infiltrazione furono gli apparati militari, fra i cui alti gradi le affiliazioni furono massicce, nonché, precipuamente, i servizi di sicurezza;


-degli apparati di sicurezza, il GELLI, dopo avervi
assunto, pur senza alcuna veste ufficiale, una posizione di assoluto rilievo già nella prima metà degli anni '70,
finì poi per divenire, in epoca più recente, l'occulto `dominus';


-il prevenuto si mosse, con ruolo eminente, negli ambienti coinvolti nei sussulti `golpistici' dei primi anni '70;


-nella primavera del '74, in un'epoca in cui -come emerge dai contenuti della riunione di Willa Vanda, dell'autunno 1973- precedenti propensioni più schiettamente `golpistiche' venivano già digradando verso ipotesi di involuzione autoritaria sostenuta da ambienti militari, il GELLI finanziò la banda armata neofascista di Augusto CAUCHI;


-vi sono `cointeressenze' -nei termini di cui si è detto- fra Licio GELLI ed un terrorista `nero' a tempo pieno come Valerio FIORAVANTI;


-a partire da epoca oramai remota, all'interno di quegli ambienti militari e degli apparati di sicurezza nei quali il ruolo dell'imputato veniva assumendo importanza via via crescente, e segnatamente da parte di personaggi che sono
poi risultati direttamente collegati al GELLI attraverso il vincolo dell'affiliazione alla `P2', sono state poste
in essere condotte deviate di favoreggiamento di esponenti dell'estremismo `nero' e di sviamento ed intossicazione delle indagini relative a gravissimi
delitti commessi da eversori neofascisti (407);




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(407) -Con riferimento ai `riguardi' sovente usati da spezzoni deviati degli apparati di sicurezza nei confronti di estremisti `neri', si è già fatto cenno, sub 2.4.4.2), del progetto, coltivato dal MALETTI, dal LABRUNA e dal GIANNETTINI, di far evadere Angelo VENTURA dal carcere di Monza. Tale progetto, risalente al gennaio del 1973, si inquadra evidentemente in quello, più vasto -comprendente anche la fuga del FREDA- al quale il LABRUNA volle interessare il DELLE CHIAIE verso la fine del '72. Ricorda Vincenzo VINCIGUERRA (cfr. EB, V3, C76, pp. 47-48) che, proprio nel 1973, fu contattato da Delfo ZORZI, perché aiutasse il FREDA -evidentemente una volta che fosse stato fatto evadere- ad attraversare clandestinamente il confine fra l'Italia e l'Austria. Il progetto abortì. Miglior sorte ebbe Marco POZZAN, che poté sottrarsi ai provvedimenti restrittivi emessi a suo carico nel procedimento per la `strage di Piazza Fontana', grazie ai soliti MALETTI e LABRUNA. Il latitante POZZAN fu ospitato negli uffici del S.I.D. di via Sicilia in Roma, dotato di un passaporto con false generalità e fatto accompagnare in aereo in Ispagna (cfr. AA, V6, C40, p720), dove finirà anch'egli per gravitare nell'orbita del DELLE CHIAIE.


- Paolo SIGNORELLI, del cui percorso eversivo si è detto ampiamente, già "fautore di una linea politica che

prevedeva l'appoggio dei militari" e "favorevolissimo ad un intervento militare...creato da cause destabilizzanti", è stato da data remota in rapporto di collaborazione con
ambienti dell'Arma risultati poi collegati al GELLI


(tramite il piduista Col. CORNACCHIA) e con apparati di


sicurezza, per conto dei quali ebbe ad effettuare apprezzati lavori di schedatura;


-Massimiliano FACHINI, personaggio la cui vocazione dinamitarda ed eversiva risale ad anni lontani e trova da ultimo espressione nella strage del 2 agosto 1980, è entrato a sua volta in contatto, sempre in anni lontani, con ambienti del S.I.D., e segnatamente con Guido GIANNETTINI e con quell'onnipresente Cap. LABRUNA che, assieme al suo diretto superiore Gen. MALETTI, risulterà poi iscrittto nelle liste di Castiglion Fibocchi;


-Fabio DE FELICE, già elemento di raccordo fra ambienti militari ed eversione di destra, tese a porsi, tramite l'ALEANDRI, in rapporto di collaborazione col GELLI; contrario alla lotta armata contro il sistema, teorizzava invece un uso del terrorismo inteso da un lato come strumento per incutere paura e creare consenso, e finalizzato, dall'altro, alla stabilizzazione di quel potere reale al quale si proponeva di accedere ed al quale la sua attenzione era costantemente rivolta; faceva
comprendere all'ALEANDRI come la banda armata fosse
soltanto uno degli aspetti di un più vasto ed articolato disegno, nell'ambito del quale gli attentati potevano fungere da merce di scambio per ottenere altri agganci o condizionare delle scelte;


-Aldo SEMERARI, personaggio contiguo allla componente `ordinovista' della contestata associazione e collocantesi all'incrocio fra formazioni dell'eversione di destra, ambienti della criminalità organizzata e frange degli apparati di sicurezza, entrò direttamente in contatto con Licio GELLI;


- il SIGNORELLI, il FACHINI, il DE FELICE ed il SEMERARI hanno vissuto, in anni ormai prossimi alla strage di Bologna, la comune esperienza eversiva di Costruiamo l'Azione, ed i primi due hanno avuto ruolo di comprimari all'interno della armata nella cui progettualità viene a collocarsi l'attentato del 2 agosto 1980;


-l'ALEANDRI ed il CALORE si allontanarono dal DE FELICE, quando cominciarono a sospettare che la loro azione fosse stata strumentalizzata ed arrivarono ad accarezzare l'idea
di sopprimere il GELLI; nella riunione che segnò il
definitivo distacco,il DE FELICE apostrofò il CALORE, nei termini che si son visti, alla presenza del SEMERARI, del FACHINI e del SIGNORELLI;


- Stefano DELLE CHIAIE, già legato all'ambiente `golpista' di Junio Valerio BORGHESE, già sicuro punto di riferimento in Ispagna di una molteplicità di personaggi provenienti da esperienze stragiste, già al centro del tentativo di riunificazione di Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, è stato poi impegnato in prima persona nella campagna di arruolamenti di giovani terroristi lanciata dai vertici avanguardisti a far tempo dalla fine del '79; ha coordinato le attività dei vari TILGHER, BALLAN, MANGIAMELI; è stato in collegamento con ambienti dei servizi segreti italiani (e segnatamente col solito Cap. LABRUNA), e non solo italiani; sotto l'ala protettrice di quegli stessi ambienti militari e dei servizi segreti argentini presso i quali enorme era l'influenza del GELLI, ha cominciato dapprima a prosperare in quel paese, finendo poi, dopo che i militari argentini avevano prestato
appoggio esterno al colpo di Stato boliviano dell'80, per
ricoprire in Bolivia addirittura una carica ufficiale presso lo Stato maggiore dell'esercito; è stato in contatto diretto (almeno telefonicamente, per quanto emerge dagli atti) con lo stesso Licio GELLI;


-il TILGHER ed il BALLAN, legati a doppio filo al DELLE CHIAIE da epoca assai risalente, si collocano entrambi al centro della campagna di arruolamenti promossa daivertici avanguardisti, diretta all'incanalamento ed alla strumentalizzazionedell'azione armata degli ambienti giovanili dell'estremismo neofascista (408);




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(408) - Dopo la morte del MANGIAMELI, GiuliaRACANIELLO apprese da Leda PAGLIUCA MINETTI che il TILGHER, di cui la PAGLIUCA parlava come di "un esponente qualificato dell'ORGANIZZAZIONE al cui vertice era DELLE CHIAIE", "avrebbe preso il posto del MANGIAMELI" (cfr. EB, V2, C42, p9).


-il nome di Licio GELLI figura nell'indirizzario di `Confidentiel';


-i vertici di Avanguardia si sono dimostrati refrattari alla proposta, proveniente dal VINCIGUERRA, di collaborare per far chiarezza sullo stragismo;


-anche dopo il fallimento della riunificazione fra le due

due tradizionali formazioni neofasciste (409), non vengono


meno, a livello di vertice, i collegamenti fra `Avanguardisti' ed `Ordinovisti';


- v'è un ampio travaso di contenuti, in relazione a profili operativi, dal documento avanguardista `Formazione Elementare' alle `Norme Generali' allegate al `Foglio d'Ordini' di Ordine Nuovo del maggio '78;


-negli anni '79-'80, il SIGNORELLI, il FACHINI,il DELLE CHIAIE, il TILGHER,il BALLAN, con azione convergente, concentrano le loro attenzioni, a fini di egemonizzazione e strumentalizzazione, sui medesimi ambienti dell'eversione giovanile neofascista (Terza Posizione e

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(409) - Nell'ambito del progetto di riunificazione, ad Albano Laziale, nel '75, si trovano significativamente riuniti in un unico contesto gli odierni imputati SIGNORELLI, FACHINI, DELLE CHIAIE, TILGHER e BALLAN (oltre a Maurizio GIORGI).


N.A.R.);


- Francesco PAZIENZA, approdato al SISMI del Gen. SANTOVITO non più tardi dell'estate del '79 e divenutone rapidamente l'occulto direttore di fatto, se ne servì, fra
l'altro, in combutta col MUSUMECI, per orchestrare la


macchinazione volta a deviare le indagini relative alla


strage del 2 agosto, indirizzandole verso la fantomatica pista internazionale, e stornandole dai vari SEMERARI, FACHINI, DE FELICE, SIGNORELLI, FIORAVANTI: e ciò, in perfetta sintonia con l'indicazione promanante da Licio GELLI, con il quale il PAZIENZA era in rapporti personali, ed al quale è risultato collegato non solo all'interno dei servizi, ma anche in ambiente massonico, e attrverso la conoscenza o frequentazione di vari personaggi di elevatissimo livello, operanti in settori diversi, ma accomunati dall'affiliazione alla Loggia `P2';


-Pietro MUSUMECI, già interno al gruppo coagulatosi nell'ambiente della Divisione `Pastrengo', nel quale operano i vari PALUMBO e SANTORO (segnalatisi -come si è visto- per gravissimi episodi di deviazione),legato personalmente al GELLI fin dalla riunione di `Villa Wanda', piduista, entra nel SISMI del SANTOVITO e, con il PAZIENZA, che opera dietro le quinte, pone in essere il depistaggio delle indagini per la strage di Bologna;


-il BELMONTE, legato al MUSUMECI da antica data, è entrato
al SISMI al suo seguito, nell'organico dell'Ufficio
Controllo e Sicurezza, del quale il PAZIENZA farà poi la sua base operativa; benché non sia risultato formalmente iscritto alla P2, il suo `cursus honorum' in ambito massonico è, per il resto, folgorante e perfettamente parallelo a quello dello stesso MUSUMECI; pienamente consapevole del ruolo del PAZIENZA, si presta a rendersi corresponsabile della varie manovre depistanti;


-Licio GELLI aveva `ispirato' -con i risultati che si son visti- anche il SISDE dei GRASSINI e dei CIOPPA.


Sulla scorta del complessivo quadro probatorio, tirando le fila, si deve affermare che:


- anche dopo l'evoluzione che si registra nella strategia gelliana attorno alla metà degli anni '70,non viene meno, ma piuttostosi intensifica, la direttrice della penetrazione e controllo degli apparati militari e di sicurezza;


- come era accaduto per le condotte deviate della prima metà degli anni '70 (depistaggi, connivenze, favoreggiamenti), allo stesso modo, all'indomani della strage del 2 agosto 1980, la complessa e pervicace manovra
di intossicazione processuale in favore degli ambienti dell'eversione neofascista raggiunti dalle prime indagini -ambienti nei quali si annidavano i responsabili dell'attentato- fu posta in essere, dall'interno di settori di quegli apparati, da uomini risultati poi legati al GELLI;


- nella protezione accordata all'eversione neofascista è dunque individuabile una linea di continuità, che non risente dell'adeguamento della strategia gelliana ai tempi nuovi: che si perpetua, cioè, anche dopo l'evoluzione di propensioni più marcatamente `golpistiche' verso il nuovo obiettivo dell'occupazione delle Istituzioni dall'interno;


-tale linea di continuità è riscontrabile in una fitta trama di rapporti tessuta in anni lontani e rinsaldatasi nel tempo: si pensi al ruolo del Gen. PALUMBO nelle deviazioni relative alla `strage di Peteano', alla sua affiliazione alla loggia del GELLI sin dal 1972 (anno in cui quella strage fu perpetrata), ai suoi rapporti extragerarchici col MUSUMECI nell'ambiente della Divisione
`Pastrengo', alla presenza di entrambi nella riunione di `Willa Vanda' nel '73, all' `episodio ZICARI' del '74 (che vede di nuovo protagonista il PALUMBO), e, da ultimo al ruolo del piduista MUSUMECI -dall'interno del SISMI del piduista SANTOVITO- nelle deviazioni relative alla strage del 2 agosto 1980;


-le protezioni, e la loro reiterazione ancora in occasione dei fatti che qui si giudicano, attestano, quantomeno, la strumentalità -perdurante sino all'epoca cui l'imputazione si riferisce- dell'azione eversiva odell'impunità dell'azioneeversiva di coloro cui le protezioni venivano accordate, rispetto agli interessi degli spezzoni deviati degli apparati resisi di volta in volta responsabili delle coperture e dei favoreggiamenti: interessi ed ambienti deviati riconducibili ad unità proprio nel gruppo di potere coagulatosi attorno al GELLI;


-d'altronde, la strumentalità dell'azione eversiva neofascista rispetto alla strategia gelliana è dimostrata, in modo ancora più diretto, dal finanziamento alla banda armata del CAUCHI: occorre richiamare, in proposito, le
pregevoli argomentazioni della Corte d'Assise di Firenze a proposito delle finalità che l'imputatosi riprometteva, nel sovvenzionare il CAUCHI (410);


-gli imputati SIGNORELLI, FACHINI, DE FELICE, DELLE CHIAIE, TILGHER e BALLAN, collegati da una fitta e risalente trama di rapporti, hanno avuto un'indubbia centralità ed un ruolo di vertice negli ambienti dell'eversione neofascista, e dunque, virtualmente, avrebbero avuto titolo per concludere lo `storico' contratto ipotizzato dall'accusa;


-i collegamenti del SIGNORELLI con ambienti militari e dei servizi di sicurezza, del FACHINI con apparati di sicurezza, del DE FELICE con ambienti militari e, per


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(410) - Cfr. supra, sub 2.4.4.3.4).


interposta persona, col GELLI, del DELLE CHIAIE con ambienti militari, con i servizi e direttamente col GELLI, il rapporto di stretta dipendenza del TILGHER (411) e del BALLAN rispetto al DELLE CHIAIE, pongono questo gruppo

di imputati -malgrado le ostentazioni di indignazione e le rivendicazioni di purezza ideologica- in una posizione almeno di contiguità `politica' rispetto alla componente della contestata associazione che fa capo al GELLI ed ai vertici del SISMI deviato.


Più da vicino, si tratta di vedere se non di semplice contiguità si sia sempre trattato,ma se, invece, almeno a far tempo da una certa data, si sia venuta stringendo -in termini tecnicamente apprezzabili nel senso precedentemente chiarito- l'`alleanza' che l'accusa predica.


Occorre considerare, in proposito, il compendio delle seguenti circostanze, che vengono a cadere proprio negli annia cavallo della strage di Bologna, e che vanno

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(411) - Per costui, e, quindi, per tutta la componente avanguardista, occorre tenere altresì costantemente presente, sul piano dei collegamenti significativi, l'elemento di prova costituito dall'indirizzario di `Confidentiel'.


considerate nella loro complessiva e combinata significazione:


- verso la fine del '78 viene a cessare il rapporto di intermediazione fra il GELLI ed il DE FELICE da parte dell'ALEANDRI: rapporto sostanzialmente sterile, posto che l'ALEANDRI, per motivi ideologici, non si fece latore delle istanze, provenienti dal DE FELICE, rivolte ad
ottenere contatti "con ambienti economici ed affaristici", né della proposta di porre la loro organizzazione a disposizione del GELLI;


-con la cessazione dei pellegrinaggi all'`Excelsior' dell'ALEANDRI -che aveva avuto il tempo di presentare al GELLI il LANTI ed il SALOMONE, personaggi gravitanti nell'orbita del DE FELICE- non viene certo meno il cordone ombelicale fra l'`organizzazione' ed il GELLI;


-i legami si rinsalderanno: entrerà personalmente in contatto col GELLIAldo SEMERARI;


-costui, presente -come il SIGNORELLI ed il FACHINI- alla riunione che segna il definitivo distacco del CALORE (e dell'ALEANDRI) dal DE FELICE (riunione nel corso della quale quest'ultimo si esprime in termini da cui esce inequivocamente riaffermata la sua strategia tutt'altro che rivoluzionaria di accesso al potere), è lo stesso personaggio che già aveva proposto ad esponenti della `banda della Magliana' di collocare bombe ed effettuare sequestri di persona;


-unico è il vertice strategico ispiratore delle tre
campagne di attentati del 1978, del 1979 e del 1980 (quest'ultima riferibile alla banda armata oggetto di giudizio);


-a quel vertice strategico il SEMERARI è indissolubilmente collegato, per aver aver partecipato all'esperienza di `Costruiamo l'Azione' e per i rapporti che lo legano al DE FELICE, al SIGNORELLI, al FACHINI;


-il rapporto fra il GELLI ed il SEMERARI -individuo certamente non limitato dalle remore psicologiche che avevano reso l'ALEANDRI un pessimo `trait d'union'- si viene a consolidare in un imprecisato momento intermedio del crescendo terroristico rappresentato dalle campagne di attentati testé richiamate;


-allorché, dopo la strage del 2 agosto 1980, acme dell'`escalation' terroristica, le indagini si orientano in direzione dell'ambiente dei SEMERARI, dei SIGNORELLI, dei DE FELICE, dei FACHINI, dei FIORAVANTI, ed i primi quattro vengono catturati, scatta, da parte del SISMI gelliano e contro l'inchiesta, una macchinazione per la quale, a giusta ragione, è stato speso l'aggettivo
"sconvolgente".


In questo quadro di riferimento, non è chi non colga la valenza, in senso accusatorio, delle manovre depistanti analizzate nel capitolo relativo al delitto di calunnia pluriaggravata: al punto che quelle deviazioni finiscono per assumere il ruolo di prova principe del delitto in esame. Si è visto come le tappe dell'intossicazione furono scandite dall'acuirsi, di momento in momento, dell'esigenza di venire in soccorso dei vari personaggi coinvolti nell'inchiesta. D'altronde, le stesse modalità operative che, ad un certo punto, ci si spinse ad adottare, sono oltremodo eloquenti: due alti ufficiali del servizio segreto militare si rendono corresponsabili addirittura della collocazione su un treno di una valigia carica di armi ed esplosivo. La considerazione del gravissimo e multiforme rischio che una simile operazione necessariamente comportava è in grado di orientare la complessiva valutazione delle circostanze sopra indicate in una direzione decisamente accusatoria: perché il livello del rischio assunto è direttamente proporzionale al grado della compenetrazione di interessi fra chi ha
depistato e chi del depistaggio doveva beneficiare. Più in generale, la complessità, la pervicacia e la pericolosità delle deviazioni tende a confortare l'assunto della `alleanza' fra servizi deviati gelliani e vertici dell'eversione neofascista.


Ma tutto quanto precede non consente di addivenire a certezze. L'esistenza o la conclusionedi un'`alleanza' configurantesi in forma tale da essere sussumibile sotto la fattispecie astratta di cui all'art. 270 bis non rappresenta l'unica possibile chiave di lettura del complesso di circostanze su cui si è focalizzata l'attenzione. Indubbiamente, fra il '79 e l''80, si vengono serrando i ranghi: non solo all'interno del mondo della


eversione (412), ma, grazie alla solidità e qualità del raccordo che è venuto ad impersonare il SEMERARI, anche fra eversione e ambienti GELLIANI; e, altrettanto indubbiamente, in questo quadro, l'intossicazione delle indagini relative alla strage del 2 agosto viene ad assumere il considerevole peso probatorio che si è evidenziato.


Mancano tuttavia più diretti e specifici elementi di prova idonei ad attribuire univocità, nel senso postulato dall'accusa, al tessuto logico-indiziario che si è venuto delineando. In definitiva, alla stregua delle acquisizioni raccolte, resta possibile che mai la contiguità ampiamente dimostrata fra le due principali componenti della contestata associazione sia venuta evolvendosi verso forme di aggregazione penalmente apprezzabili. I fatti accertati non implicano, in termini di stretta necessità, la conclusione del `pactum sceleris'.





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(412) -Si pensi, in particolare, all'opera del MANGIAMELI, che, per la doppia dipendenza di costui dal DELLE CHIAIE e dal SIGNORELLI, e per il suo essere contemporaneamente interno a Terza Posizione e `collaboratore'del gruppo`spontaneista' del FIORAVANTI, rappresenta un emblematico momento di aggregazione `militare'.

Concretamente, con riferimento al periodo posteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice in esame, è lecito -quantunque si tratti di ipotesi meno plausibile di quella sostenuta dall'accusa- ipotizzare che le attività `militari' (tanto quelle strettamente `esecutive' riconducibili alla banda armata oggetto di giudizio, quanto quelle di arruolamento e ricompattamento dell'ambiente eversivo neofascista riferibili ai vertici avanguardisti) e l' intossicazione dell'inchiesta, in favore degli ambienti neofascisti raggiunti dalle prime indagini relative alla strage del 2 agosto, siano state poste in essere al di fuori di un previo accordo che, appunto, vincolasse una parte al compimento di attività `militari', e la controparte a fornire adeguate coperture.


A ben vedere, la specificità della fattispecie associativa di cui si tratta di vagliare la sussistenza sta proprio in questo: nella sua natura sinallagmatica. La contestata associazione non congloba individui della medesima estrazione, e,quindi, naturalmente convergenti verso forme di spontanea aggregazione in un unico organismo eversivo, ma gruppi differenziati, portatori di interessi concretamente contemperabili in un unico disegno volto alla realizzazione di attività complessivamente concertata in funzione dei rispettivi apporti.


Una volta provato che quella concreta contemperabilità di interessi ha dato luogo, nel corso del tempo, ad una situazione di permanente contiguità fra ambienti differenziati, e di reciproca strumentalizzazione delle rispettive azioni, e che, fra quegli ambienti, si sono fissati solidi punti di raccordo sul piano delle relazioni interpersonali, non può ancora affermarsi con certezza che, in presenza delle peculiarità, ampiamente sottolineate, della manovra depistante orchestrata dagli imputati di calunnia, il quadro sopra evidenziato deve celare per forza di cose il vincolo associativo. Invero, il quadro probatorio attesta che il grado di compenetrazione fra gli interessi riferibili a quelle che sono state individuate -nello schema più semplificato- come le due componenti della contestata associazione, era comunque tale da giustificare -anche in assenza del vincolo associativo- lo spiegamento, da parte dell'una, di attività impegnative e -fino ad un certo livello di rischio- anche compromettenti, in favore dell'altra. Quanto, appunto, al livello del rischio assunto, se, da un lato, se ne è già evidenziata l'elevatezza, occorre, dall'altro, ad evitare enfatizzazioni e conclusioni arbitrarie, coglierne anche il limite. Si intende affermare che, se la spericolatezza della manovra è evidente ed innegabile (e tale -come si è visto- da non consentire di individuare un movente diverso da quello di apprestare coperture agli inquisiti), occorre tuttavia rapportarsi all'ottica soggettiva di chi tale manovra pose in essere: ottica nella quale il rischio, per quanto assai elevato, poteva apparire, secondo un calcolo aprioristico, ragionevolmente accettabile. Chi intossicava le indagini non era un `quivis de populo': erano, in combutta con altri nascosti dietro le quinte, funzionari incardinati in un delicatissimo Ufficio, riformato con la Legge 801 del 1977. Non solo, quindi, godevano necessariamente di una sorta di `presunzione di credibilità', ma si muovevano in un contesto e con strumenti tali da rendere estremamente difficoltosa la prova delle deviazioni che essi stessi venivano ponendo in essere. Occorre tener presente, in definitiva, che, anche dopoil sequestro di Castiglion Fibocchi e l'allontanamento dei vertici piduisti del Servizio, dovranno passare anni prima che, nel procedimento romano cosiddetto `del Supersismi' si faccia luce sugli interventi di MUSUMECI e soci nelle indagini per la strage del 2 agosto, e venga meno la sfrontata aspettativa di impunità che aveva accompagnato le iniziative di costoro. Delle manovre inquinanti condotte in dannodell'indagine relativa alla strage del 2 agosto, quella che desta maggiori perplessità, sotto il profilo in esame, è la collocazione della valigia sul treno Taranto-Milano, per via dell'assoggettamento a ricatto cui -come si è avuta occasione di accennare- essa veniva ad esporre coloro che, per porre in essere l'operazione, dovettero avvalersi della collaborazione di ignoti terroristi. Su tali retroscena la Corte nondispone di elementi di giudizio; allo stato delle conoscenze, resta tuttavia almeno ipotizzabile -anche sulla scorta della comune casistica giudiziaria- che il rischio sia stato ritenuto accettabile, in virtù dell'aspettativa di omertà che discendeva -come sempre discende- dal concorso nel delitto: aspettativa tanto più fondata, in quanto gli ignoti complici erano dei terroristi `neri', per i quali una simile attività di collaborazione con esponenti degli apparati era anche `politicamente' inconfessabile; e ancor di più, in quanto i compartecipi -come taluno, formulando un'ipotesi sulla quale la Corte non è chiamata a pronunciarsi, ha sostenuto- siano stati gli stessi Valerio FIORAVANTI e Gilberto CAVALLINI.


Il complessivo giudizio di insufficienza probatoria non resta scalfito da quanto è dato argomentare sulla base dei documenti di cui si è detto sub 2.4.4.1). Va subito detto che nessuno di essi è interpretabile quale `risoluzione strategica' o, comunque, quale espressione della contestata associazione, intesa come organismo già costituito ed operante. Ciò va affermato anche con riferimento agli atti del Convegno dell'Istituto POLLIO. Infatti, se si vennero in quell'occasione gettando le basi di un programma per studiare i metodi di attuazione in Italia della `controrivoluzione', e se, sotto l'ala protettrice dei servizi segreti, si venne indicando, in termini sufficientemente espliciti, la direttrice volta alla congiunzione operativa `controrivoluzionaria' di esponenti della destra e di militari, nondimeno, resta fermo, appunto, che ci si muoveva, allora, sul piano delle prospettive programmatiche. Ora, è ben vero che, a distanza di oltre dieci anni, un personaggio dello spessore di Eliodoro POMAR descrive come esistenti in atto situazioni che sono, per certi versi, sostanzialmente riconducibili ai paradigmi ideali individuabili dietro l'iniziativa di quel Convegno. Ma è vero anche che -a prescindere da ogni altra considerazione- sarebbe arbitrario cogliere,nelle alleanze raggrumate nel "potere oscuro" menzionato dal POMAR, aggregazioni di persone fenomenologicamente inquadrabili fra quelle cui ha riguardo la norma incriminatrice posta dall'art. 270bisdel Codice Penale (413).D'altronde, il

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(413) -Né, per altro verso, ci si può affidare alle percezioni soggettive del VINCIGUERRA (cfr. EB, V3, C76, p31), il quale, dopo la strage di Peteano e le coperture, da lui non richieste, che ne seguirono, ebbe "chiara consapevolezza che esisteva una vera e propria struttura occulta capace di porsi come direzione strategica degli attentati e non"
-come in precedenza aveva pensato- "una serie di rapporti umani e di affinità politica tra persone operanti negli apparati statali e persone operanti" nel suo ambiente.


`memoriale' del POMAR è stato scritto in un'ottica difensiva, e, risentendo pesantemente delle diatribe interne
agli ambienti dell'eversione neofascista, trasuda spirito di parte: talché non sarebbe accusatoriamente utilizzabile
nei punti in cui indica determinati nominativi, che, peraltro, sono solo parzialmente coincidenti con quelli delle persone che l'accusa postula interne all'associazione eversiva oggetto di giudizio.


Quanto poi al volume `La disintegrazione del sistema' ed ai `fogli d'ordini di Ordine Nuovo', va semplicemente rilevato che essi, almeno sul piano delle apparenze, si muovono in un'ottica squisitamente rivoluzionaria e certamente aliena da velleità di collusione con apparati statuali. Ora, non v'è dubbio che la verifica della corrispondenza fra le proclamazioni di principio e le sottostanti realtà dalle quali esse promanano può condurre a risultati sorprendenti: si è visto, infatti, con particolare riferimento ai `fogli d'ordini di ordine Nuovo' come essi provengano da ambienti che con gli apparati hanno abbondantemente colluso. Ma, al di là di questo rilievo, non è certo nei due documenti in questione che può individuarsi la `filosofia' dell'associazione eversiva di cui si assume l'esistenza.


D'altronde, l'assenza di `risoluzioni strategiche' non dovrebbe sorprendere, neppure ove la sussistenza della
contestata associazione fosse altrimenti provata in modo certo. Tale associazione, infatti, per le stesse peculiarità attribuitele dall'accusa, sarebbe dovuta rimanere occulta: non solo perché i collegamenti fra determinate componenti sarebbero stati `politicamente' inconfessabili; ma soprattutto perché in tanto gli scopi ultimi avrebbero potuto essere perseguiti, in quanto l'organizzazione avesse potuto continuare, attraverso spezzoni deviati degli apparati, ad operare dall'interno delle Istituzioni.


Ad eccezione del GIORGI e del DE FELICE, gli imputati appaiono tutti raggiunti da elementi di prova -analizzati nei precedenti paragrafi e ripresi nel presente- idonei a giustificarne l'assoluzione con la formula del dubbio e non con la formula ampia. Non fa eccezione il DELLE CHIAIE, benché il suo nome ricorra nelle informative depistanti redatte da MUSUMECI e soci. Dopo quanto si è argomentato sub 2.4.4.4.2) lettera a), l'immagine del DELLE CHIAIE vittima di un complotto ordito dal GELLI e dal gruppo a lui facente capo è semplicemente improponibile. Sul punto è necessario soffermare brevemente l'attenzione. Scopo di chi ha
organizzato la complessa manovra depistante delle indagini relative alla strage del 2 agosto, era -come si è reiteratamente affermato- quello di stornare le indagini stesse dalla pista originariamente battuta dagli inquirenti.

Il conseguimento dell'obiettivo imponeva la creazione di una pista alternativa, alla quale si provvide nei modi che si son visti. Ora, il DELLE CHIAIE, nei suoi comodi soggiorni sudamericani, non soltanto non correva il benché minimo rischio per quanto riguarda lo `status libertatis', ma doveva semplicemente attendere che la pista internazionale -come inevitabilmente doveva accadere- si sgonfiasse, per uscire a testa alta e rivendicare ancora una volta, come non ha mancato di fare, il ruolo di calunniato, di vittima designata, di capro espiatorio degli apparati. In definitiva, nelle intenzioni dei vertici deviati del SISMI, la `pista internazionale', una volta raggiunto lo scopo, avrebbe dovuto esser lasciata andare alla deriva; né avrebbe mai potuto essere rivitalizzata, portando allo scoperto l'inesistente `fonte'. Certo non è mancato chi -come il VALE, il FIORE e l'ADINOLFI- si è trovato a subire pesanti iniziative giudiziarie. Ma non è questo il caso del DELLE CHIAIE, a carico del quale non si provvide certo a precostituire elementi di apparente riscontro.


Né si dica che disavventure giudiziarie derivarono poi al DELLECHIAIE nel contesto della cosiddetta `pista CIOLINI'. Non compete a questa Corte -che non disporrebbe comunque dei necessari strumenti conoscitivi- prendere posizione in ordine al problema dell'eventuale responsabilità del DELLE CHIAIE per la strage del 2 agosto: tale ipotesi accusatoria è oggetto -come si è visto- di un separato procedimento (stralciato dal presente), che pende tuttora in fase istruttoria. E, allo stesso modo, non compete alla Corte, prendere posizione, in un senso o nell'altro, sulla cosiddetta `pista CIOLINI', in ordine alla quale, comunque, allo stato degli atti, non sarebbe pensabile di poter pronunciare l'ultima parola. Quello che si deve invece sottolineare in questa sede è che, allo stato delle conoscenze, sul piano delle ipotesi, è possibile sostenere ragionevolmente che, sul nucleo originario delle rivelazioni del CIOLINI, si sia venuta innestando una manovra orchestrata da spezzoni degli apparati, volta a coprire quegli stessi ambienti che da tali rivelazioni risultavano raggiunti: e ciò, secondo la consueta tecnica, consistente nell'immergere determinate informazioni in un contesto di falsità, affinché, nella successiva verifica da parte degli inquirenti, l'intero complesso informativo ne resti travolto.


Non giova qui riprendere le pregevoli e misurate argomentazioni svolte sul tema del `caso CIOLINI' dal Giudice Istruttore (414): argomentazioni alle quali occorre fare semplicemente rinvio. Basterà aggiungere come non appaia priva di significato la circostanza che, ancora nel 1986, lo stesso PAZIENZA sia apparso impegnato in un tentativo di riedizione di determinati aspetti della `pista



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(414) - Cfr. SO, pp. 903 ss. CIOLINI' (415).


In buona sostanza, a prescindere -lo si ripete- da ogni diversa valutazione, che non compete a questa Corte, è tutt'altro che dimostrato, allo stato degli atti, che, da parte di ambienti degli apparati, nel contesto della vicenda CIOLINI, ci si sia mossi con il proposito di `incastrare' o, comunque, con intenti gravatori, nei confronti del DELLE CHIAIE. Sul piano dell'obiettività, resta il fatto che entrambi i mandati di cattura emessi a carico del DELLE CHIAIE nel contesto della `pista CIOLINI' hanno finito per essere revocati (416) e che l'imputato, dopo la sua espulsione dal Venezuela, è stato detenuto nel presente procedimento soltanto in forza di un titolo recante l'ipotesi accusatoria che vuole il DELLE CHIAIE associato con esponenti di spezzoni deviati dei servizi: ipotesi che, se non ha trovato sufficiente suffragio probatorio in ordine all'elemento costitutivo del reato consistente nello stabile vincolo associativo su base consensuale, non è certamente

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(415) - Cfr. PAZ., V2, C27. pp. 14 ss. e 65 ss. Al PAZIENZA non furono poi forniti, o furono forniti solo in parte, i necessari supporti documentali: cfr. supra, sub 1.10.pp2). (416) - Cfr. OC, V3, C61, pp. 104-105.


stata smentita nella parte in cui attiene ai collegamenti
del DELLE CHIAIE con ambienti deviati dei servizi facenti
capo al GELLI, ed ai contatti diretti con lo stesso GELLI.


Conclusivamente: con riferimento a tutti gli imputati diversi dal DE FELICE e dal GIORGI, il quadro probatorio -secondo quanto si è argomentato- non evidenzia con certezza condotte riconducibili al paradigma astratto di cui all'art. 270 bis del Codice Penale. Evidenzia viceversa con certezza una situazione di contiguità fra determinati ambienti, e di reciproca strumentalizzazione delle rispettive attività: situazione che, quantunque macroscopicamente e concretamente allarmante, non attiene alla sferadel diritto penale, se non in un'eventuale prospettiva `de iure condendo'.




2.5) Ulteriori questioni e statuizioni


2.5.1)I reati di cui ai capi da 9 a 13 della rubrica, nel procedimento n. 12/86 R.G.C.A.


2.5.1.1) Il delitto contestato a Klaus Friedrich HUBEL


Secondo quanto emerge da ciò che si è riferito in narrativa, sub 1.4.6), il problema si pone nei seguenti termini: l'HUBEL fu esaminato nella veste formale di testimone; rifiutò di rispondere a varie domande dell'Istruttore; la sua posizione era tale per cui egli non avrebbe dovuto essere sentito come testimone, versando in una situazione di potenziale imputabilità, in quanto determinate risposte -se fossero state di un certo segno- avrebbero potuto portare alla sua incriminazione (per reati associativi od altro, dal momento che l'esame veniva condotto, fra l'altro, anche sulle sue attività in Libano e su quelle del `gruppo HOFFMANN', all'interno del quale aveva militato, nonché sugli eventuali collegamenti con Italiani addestratisi in Libano);in assenzadi cause estintive del reato, su tali premesse si dovrebbe pervenire all'assoluzione per non punibilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 384, II comma Codice Penale e 479 I comma Codice Procedura Penale; resta infatti esclusa ogni diversa formula assolutoria, atteso che l'HUBEL sottacque circostanze che, all'epoca, apparivano rilevanti ai fini del giudizio (1); peraltro, il delitto di cui all'art. 372 Codice Penale è ricompreso nel decreto di clemenza 16/12/1986 n. 865, di cui l'HUBEL può beneficiare, non risultando, dal suo certificato penale (2), condizioni soggettive ostative; e poiché l'art. 152 II comma del Codice di rito non prevede l'assoluzione per non punibilità fra le formule che -ove la relativa situazione di merito sia evidente- debbono comunque prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato, deve qui farsi luogo a declaratoria di non procedibilità, per essere il reato ascritto all'HUBEL estinto per intervenuta amnistia.





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(1) - Ciò è decisivo, dovendo la rilevanza ai fini del giudizio e la pertinenza in relazione all'oggetto della prova essere prese in considerazione con riferimento alla situazione processuale esistente al momento della consumazione del reato, anche se, in concreto, a seguito di determinati sviluppi, la deposizione reticente (o falsa) non sia entrata nel novero degli elementi che hanno influito sulla decisione: cfr. Cass., Sez. VI, sentenza n. 89 del 16/3/70 -udienza 20/1/70- Presidente Felicetti, imp. Geromin e sentenza n. 12533 del 30/12/85 -udienza 24/10/85- Presidente Marvasi, imp. Marinello; cfr. anche sentenza n. 6945 del 4/7/86 -udienza 12/3/86- Presidente Mainieri, imputato Giambarresi.
(2) - Cfr. CP, C11.


2.5.1.2)I delitti contestati al GIORGI in relazione all'arma sequestrata nell'abitazione di Carmine PALLADINO


La responsabilità del GIORGI è ampiamente provata. Va subito osservato che l'indicazione accusatoria a suo carico è, per la provenienza, di assoluta affidabilità. Non può non sottolinearsi, infatti, che, ad indicare il GIORGI come colui che aveva depositato l'arma là dove essa venne rinvenuta e sequestrata, fu Carmine PALLADINO, non soltanto camerata,ma amico fraterno del GIORGI.


Che il PALLADINO, fra l'altro raggiunto da accuse ben più gravi, si sia indotto, per scagionare se stesso, ad accusare falsamente l'amico, al quale era legato anche dalla comune militanza in Avanguardia Nazionale e da una pregressa esperienza lavorativa, è già circostanza del tutto inverosimile. Ma le accuse del PALLADINO hanno anche trovato dettagliata conferma nelle parole di Emanuele PINTUS. Così il PINTUS al Giudice Istruttore (3), il 17/7/1985 : "...mi risulta che la pistola sequestrata dalla Polizia Giudiziaria in casa di Carmelo era di proprietà o almeno nella

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(3) - Cfr. IB,C4, p18. Le dichiarazioni istruttorie del PINTUS, citato per il dibattimento ma risultato irreperibile, sono state dichiarate utilizzabili (vu 4/12/87, p12).


disponibilità di Maurizio GIORGI. Fu il GIORGI a consegnare la pistola a Carmine pregandolo di custodirla per brevissimo tempo. In effetti fu lo stesso Maurizio, su autorizzazione del PALLADINO e con le chiavi di casa dategli da questo, ad andare in casa PALLADINO e a deporre l'arma nel luogo in cui fu poi trovata. Stranamente la pistola rimase a casa del PALLADINO non per brevissimo tempo come aveva detto GIORGI, ma per circa quindici giorni fino a quando venne sequestrata dalla Digos di Roma..."


In questo quadro va interpretata la motivazione addotta dal GIORGI a sostegno della linea di dichiarata rinuncia a difendersi adottata in istruttoria (4). Il GIORGI si sarebbe determinato a tale scelta "per rispetto alla memoria" del PALLADINO, alla quale il prevenuto si è dichiarato legato. Siffatta motivazione suona come una criptoconfessione, sotto forma di implicito riconoscimento della veridicità delle accuse provenienti dal PALLADINO, dal momento che non si vede quale rispetto sarebbe dovuto a colui che si fosse macchiato di un'odiosa calunnia nei confronti di un camerata ed amico fraterno.


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(4) - Cfr. IB, C6, pp. 41 e 130.


L'arma abusivamente detenuta dall'imputato proveniva dal

delitto di cancellazione del numero di matricola di cui all'art. 11 IV comma, 2ª parte L. 18/4/1975 n. 110 (5), commesso dal precedente detentore, e, indirettamente, dal delitto di rapina. Grazie agli accertamenti di laboratorio condotti sull'arma in sequestro, è stato possibile individuare, sul rigo sottostante al contrassegno matricolare, le lettere "V" ed "E". Ora -in virtù di precedenti esperienze di laboratorio del Centro Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri e di successive indagini (6)- è risultato che l'Istituto di Vigilanza dell'Urbe dell'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, con sede in Roma, Piazza Ippolito Nievo 27, era in possesso di numerose pistole Beretta recanti la dicitura "VIGILI NOTTURNI URBE", le cui lettere iniziale e finale sono
appunto la "V" e la "E". La pistola in sequestro appartiene

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(5) - Cfr. Cass., Sez. II, sent. n. 2795 del 7/3/87 -udienza 3/11/86- Presidente Montanari, imp. Frisa: "L'acquistare o il ricevere un'arma che sia stata privata dei suoi segni di identificazione integra il delitto di ricettazione, giacché ai fini dell'identificazione del predetto reato in tema di armi, il reato presupposto può ben concretarsi in quello di cancellazione del numero di matricola dell'arma". Cfr. altresì Cass., Sez. II, sent. n. 6479 del 27/6/86 -udienza 27/1/86- Presidente Montanari, imp. Strangio.
(6) - Cfr. RB, V3, C46, pp. 1, e 7-9. dunque al novero di quelle uscite dalla disponibilità


dell'Istituto di Vigilanza in questione, per esser state sottratte a Guardie Giurate dallo stesso dipendenti, in occasione di rapine (7).


Per ciò che attiene alla consapevolezza, da parte del

GIORGI, dei reati presupposti, va detto, con riferimento alla cancellazione del numero di matricola, che la prova emerge dall'evidenza materiale dei fatti, appalesandosi necessariamente la cancellazione all'`accipiens', all'atto dell'apprensione dell'arma (8); e con riferimento alla

rapinacollocantesi a monte, che la natura dell'oggetto

ricevuto e l'abrasione del numero di matricola -anche a prescindere dall'ipotesi che il rapinatore o il precedente ricettatore, nel cedere l'arma all'imputato, lo abbia reso


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(7) - In RB, V3, C46, pp. 7-9, trovasi l'elencazione delle pistole Beretta, calibro 7,65, modello 70, con la dicitura "VIGILI NOTTURNI DELL'URBE", sottratte nel corso di rapine perpetrate fra l'1/1/78 ed il 30/4/82. La provenienza dell'arma da uno di tali delitti piuttostoche dagli altri può esser ritenuta soltanto in via di probabilità (cfr., sul punto, RB, V3, C46, p11).
(8) - Cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 3600 del 21/3/88 -udienza 23/10/87- Presidente Dolce, imp. Castorina: "Se già il semplice possesso di un'arma clandestina costituisce reato, la sua ricezione integra il delitto di ricettazione, in quanto l'assenza della marca, della matricola e degli altri segni di caratterizzazione e controllo del banco nazionale di prova impressi sull'arma evidenzia l'origine delittuosa dell'arma stessa, della quale l'agente non può non avere coscienza in quanto palese."


espressamente edotto delle specifiche circostanze della


sottrazione- eranola riprova di una detenzione clandestina


resa necessaria dalla provenienza della pistola da un precedente delitto (9).
2.5.1.3)Il delitto di false dichiarazioni sull'identità contestato al PICCIAFUOCO


In ordine al delitto di cui al capo 13 della rubrica, il PICCIAFUOCO è confesso, e, d'altronde, la sua responsabilità è documentalmente provata. Essendo stato il prevenuto dichiaratodelinquente abituale sin dal 26/2/1971 (10), non può egli beneficiare dell'amnistia di cui ai decreti di clemenza nn. 744/81 e 865/86, stante il divieto posto dall'art. 4 di ciascuno didetti provvedimenti legislativi.


Peraltro, alla data del 2/2/1988, il delitto si è estinto

per l'avvenuto decorso del termine massimo di prescrizione:
occorre quindi far luogo alla conseguente declaratoria.


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(9) - Cfr. Cass. Sez. II, sent. n. 3799 del 28/4/84 -udienza 5/12/83, Presidente Calcagni, imp. Del Prete: "Sussiste ricettazione in caso di acquisto o ricezione di un'arma con i numeri di matricola cancellati in quanto ciò ingenera in qualsiasi persona di media levatura intellettuale la certezza che l'arma medesima sia di provenienza delittuosa".
E' appena il caso di ricordare come la giurisprudenza di legittimità escluda poi che la conoscenza della provenienza delittuosa debba estendersi alla precisa e completa cognizione delle circostanze di tempo e di luogo e delle modalità esecutive del reato presupposto, bastando invece la consapevolezza di acquistare cose provenienti da delitto.
(10) - Cfr. certificato penale, in CP, C16.


2.5.2)Il trattamento sanzionatorio degli imputati per i qualiinterviene declaratoria di responsabilità


2.5.2.1) Le pene principali


I fatti di cui ai capi 2 e 3 del procedimento n.12/86 e quelli di cui al procedimento n. 2/87 sono -riguardati in concreto- di inaudita gravità. Sul punto è superfluo spendere parole. Basterà soltanto fare rinvio, per ciò che attiene alla banda armata, alle caratteristiche della stessa (come si sono venute evidenziando `in sede materiae'),al programma che essa si prefiggeva, e, a quell'infallibile misuratore della pericolosità che è rappresentato dai concreti, tragici episodi di attuazione del programma stesso; ricordare semplicemente, per quanto attiene alla strage del 2 agosto, che si tratta del più sanguinosao eccidio perpetrato in Europa in tempo di pace; sottolineare infine, con riferimento alla calunnia, la gravità dei reati
oggettodelle false incolpazioni,nonché il fatto che tale calunnia si inquadra in una pervicace,articolata manovra di depistaggio delle indagini faticosamente condotte per l'individuazione degli autori dell'orrendo eccidio del 2 agosto: manovra posta in essere servendosi di strutture istituzionalmente deputate anche alla prevenzione degli atti di terrorismo. Premesse tali considerazioni di ordine generale, da aversi presenti per ciascuno -unitamente a quelle che saranno ulteriormente indicate- in sede di irrogazione della pena base per i delitti diversi da quelli di strage e di omicidio plurimo; e rilevato come la stessa gravità del fatto sia di per sè ostativa al riconoscimento, in favore degli autori di tali ultimi due delitti, di attenuazioni di pena ex art. 62 bis Codice penale, peraltro non richieste -neppurein via di subordine- per nessuno degli imputati che con la presente sentenza vengono condannati, occorre osservare ancora quanto segue.


Massimiliano FACHINI: va condannato all'ergastolo sia per il delitto di cui al capo 3 che per quello di cui al capo 4 dell'imputazione. Gli ulteriori delitti di cui viene riconosciuto colpevole, in quanto puniti con pena omogenea, vanno unificati nel vincolo della continuazione, rappresentando i delitti di cui ai capi 5, 6 ed 8, tra loro contestuali, espressione operativa di un unico disegno criminoso, riconducibile al programma terroristico della banda armata. I delitti vanno riuniti sotto la più grave ipotesi di cui al capo 2, per la quale, avuto anche riguardo alla pericolosità del FACHINI, misurabile attraverso la centralità della sua figura nella banda armata, la sua veste di stratega del terrorismo, il ruolo eminente da lui diuturnamente svolto negli ambienti veneti e non soltanto veneti dell'eversione neofascista -e valutato ogni ulteriore elemento di cui all' art. 133 Codice Penale- la pena base va fissata in anni 14 di reclusione, da aumentarsi ad anni 15 per effetto della continuazione.


Giuseppe Valerio FIORAVANTI: vale per costui quanto si è detto per il FACHINI circa la pena da irrogare per i capi 3 e 4 della rubrica e l'unificazione ex art. 81 degli altri delitti. In ordine alla sua personalità, va semplicemente ricordato, a tacer d'altro, che egli è responsabile di una innumerevole serie di delitti (tra cui efferati omicidi),
nel novero dei quali la strage rappresenta il più grave, ma non l'ultimo, e che solo la cattura ha posto fine alla sua frenetica attività terroristica. Valutato ogni ulteriore elemento di cui all' art. 133 Codice Penale, determinata conseguentemente in anni 14 di reclusione la pena per il più grave reato di cui al capo 2, e aumentata la stessa ad anni 15 per effetto della contestata recidiva, il trattamento sanzionatorio si fissa in anni 16 di reclusione aseguito dell'aumento ex art. 81 Codice Penale.


Francesca MAMBRO: anche per costei deve valere quanto detto a proposito del FACHINI circa la pena da infliggere per i capi 3 e 4 della rubrica e circa l'unificazione degli altri delitti. La sua carriera criminale, è, a far tempo da una certa data, perfettamente parallela a quella del FIORAVANTI, di cui l'imputata finisce per condividere le scelte esistenziali, `politiche' ed operative, con risultati che sono tristemente noti. Anche nel suo caso soltanto la cattura, avvenuta ad oltre un anno di distanza da quella del FIORAVANTI, ha posto fine all'instancabile attività terroristica. Valutato ogni ulteriore elemento di cui all'art. 133 Codice Penale, la pena base va fissata in anni 14 di reclusione per il delitto di cui al capo 2, ed aumentata ad anni 15 per effetto della continuazione.


Sergio PICCIAFUOCO: anch'egli va condannato all'ergastolo sia per il delitto di strage che per quello di omicidio
plurimo. Gli altri delitti di cui risponde sono uniti nel vincolodella continuazione, per le ragioni già esposte a proposito del FACHINI. Prima ancora di rendersi corresponsabile dell'efferato crimine del 2 agosto 1980,
aveva dato prova di eccezionale pericolosità: autore di
innumerevoli reati contro il patrimonio, dichiarato delinquente abituale sin dal 1971, era riuscito ad evadere più volte (11). Nel suo caso, il delitto più grave -a seguito della derubricazione del capo 2- è quello del capo 5. La pena base -valutato ogni ulteriore elemento di cui all' art. 133 Codice Penale- va fissata in anni 6 di reclusione e £ 600.000 di multa; aumentata prima ad anni 9 di reclusione e £ 900.000 ex art. 1 D.L. 625/79, detta pena, per effetto della contestata recidiva -dalla quale va però escluso l'aspetto della specificità (12)- va ancora aumentata ad anni 11 di reclusione e £ 1.100.000 di multa, e quindi fissata, ex art. 81, in anni 12 di reclusione e £ 1.200.000 di multa.


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(11) - Cfr. RA, V9 bis, C383 bis/A, p7.
(12) - Nel certificato penale del PICCIAFUOCO (cfr. CP, C16) non si rinvengono precedenti della stessa indole.


Per il FACHINI, il FIORAVANTI, la MAMBRO ed il PICCIAFUOCO, in presenza di più reati puniti con l'ergastolo

e di ulteriori reati puniti con pena detentiva temporanea, la pena da applicarsi in concreto, ai sensi dell'art. 72 Codice Penale, è quella dell'ergastolo con l'isolamento diurno: misura, quest'ultima, che si stima equo debba protrarsi per anni 1 quanto al primo ed alla terza, per anni 1 e mesi uno quanto al FIORAVANTI e per mesi 8 quanto al PICCIAFUOCO.


Paolo SIGNORELLI: è stato costui, sotto le mentite spoglie di `maître à penser', in realtà il cattivo maestro di molti
giovani, permeabili dal suo messaggio di violenza terroristica. E' la banda armata oggetto di giudizio una sorta di creatura del SIGNORELLI, nella quale ha trovato l'ultima espressione una vocazione eversiva le cui radici affondano -come si è avuto modo di vedere- in precedenti

esperienze. La pericolosità del personaggio,emergente con
chiarezza dal suo ruolo di ideologo, arruolatore e stratega, si misura altresì attraverso la sua attività di `ispiratore' di singole azioni, quali l'assassinio del dott. AMATO.


La pena -valutato ogniulteriore elementodi cuiall' art. 133 CodicePenale- vafissata in anni 12 direclusione. Né
sussistono ragioni su cui fondare attenuazioni dipena ex art. 62 bis Codice Penale, poiché non si vede da cosa il riconoscimento di attenuanti generiche si potrebbe far discendere: non dall'età del prevenuto, non dal contegno processuale, non dalla condotta di vita anteatta.


Gilberto CAVALLINI: evaso mentre era detenuto con l'accusa di omicidio, si è prodotto, fra il '78 e l'83 (cioè fino alla cattura), in un'ulteriore impressionante `escalation' criminale, costellata di innumerevoli delitti, fra cui vari omicidi. Ha vissuto con continuità, da protagonista `operativo', in prima linea, la stagione della banda armata oggetto di giudizio. Il livello della sua `professionalità' è attestato dall'aver egli saputo uccidere lucidamente, a sangue freddo. Valutato ogni ulteriore elemento di cui all'art. 133 Codice Penale, il prevenuto va condannato ad anni 13 di reclusione. Non merita attenuanti generiche (13).


Egidio GIULIANI: ha precedenti per reati militari, rapina, detenzione abusiva di armi e munizioni, reati di falso ed

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(13) - Cfr., sul punto, la posizione del SIGNORELLI. altro. Già gravitante nell'ambiente che si riconosceva in
Costruiamo l'Azione, divenne titolare di una sorta di agenzia del terrorismo,in grado di fornire supporto logistico ad una molteplicità di gruppi armati, di estrazione politica non omogenea. L'enorme disponibilità di armi ed esplosivi, custoditi in vari depositi, e la febbrile attività di falsificazione di documenti di identità e di circolazione, oltre ad essere, in sè, sintomo tangibile ed inequivoco di eccezionale attitudine criminale, attestano altresì, nell'imputato, formidabili qualità di propulsore di attività terroristica.


Il prevenuto non merita attenuanti generiche (14).


La pena base -valutato ogni ulteriore elemento di cui all'art. 133 Codice Penale- va fissata in anni 9, ed aumentata ad anni 10 di reclusione per la contestata recidiva.


Roberto RINANI: era da tempo esponente della cellula veneta facente capo al FACHINI. L'esser stato il RINANI messo a parte del progetto della strage misura efficacemente la
profondità del suo inserimento nella banda armata e del

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(14) - Cfr. la nota che precede.


rapporto di fiducia che lo legava ai vertici; peraltro, la figura edil ruolo dell'imputato non appaiono centrali nel contesto dell'organizzazione che qui si giudica. La pena di anni 6 di reclusione, intermedia fra il minimo ed il massimo edittali comminati per la semplice partecipazione a banda armata, appare contemperare equamente -valutato anche ogni ulterioreelemento di cuiall' art. 133Codice Penale- tale relativa modestia del ruolo dell'imputato, e l'obiettiva gravità del fatto di aver partecipato ad una banda armata
con le caratteristiche di pericolosità evidenziate `in sede

materiae'. L'imputato non merita attenuanti generiche (15).


Licio GELLI: sulla pericolosità di costui è superfluo soffermarsi a lungo, in considerazione di ciò che emerge da quanto si è detto sub 2.3) e 2.4). Basterà qui sottolineare che la vicenda del depistaggio della strage di Bologna, rispetto alla quale l'imputato ha assunto il ruolo di mandante, si spiega soltanto come espressione operativa di quel vero e proprio contropotere in virtù del quale il GELLI,alverticediunaloggia massonicadeltutto anomala,

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(15) - Cfr. la nota (13).


gestita come una personale emanazione, veniva attraverso di
essa esercitando un pesante condizionamento sugli equilibri politici ed economici del Paese, in ossequio alla logica `del controllo', contrapposta a quella del governo; che tale condizionamento, oltre che mediante la strumentalizzazione dell'attività di formazioni eversive neofasciste (16), passava attraverso una massiccia opera di penetrazione negli apparati statuali, grazie agli arruolamenti (17) nella LoggiaP2; che il progetto politico riferibile al GELLI ed alla sua loggia era ispirato ad una concezione pre-


ideologica del potere, ambito nella sua più diretta e brutale effettività, e, mirando ad incidere non su parti del sistema, ma sul sistema stesso nella sua più intima ragion d'essere, si connotava per la valenza antiistituzionale e tendenzialmente eversiva dell'ordinamento.


Non si ravvisano elementi su cui fondare il riconoscimento di attenuanti generiche (18), che comunque apparirebbero


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(16) - Il ruolo di sovventore di una formazione armata neofascista Toscana è costato al GELLI -come si è visto- la recente condanna ad anni 8 di reclusione da parte della Corte d'Assise di Firenze (cfr. vu 10/6/88, pp. 17 ss.).
(17) -Per i quali, cfr. la relazione conclusiva di maggioranza della Commissione Interparlamantere d'Inchiesta, in AA, V5, C29, passim. (18) - Cfr. la nota (13).


inidonee, in un'eventuale giudizio di comparazione, a
controbilanciare il peso delle contestate aggravanti.


La penabase -valutato ogni ulteriore elemento di cuiallo art. 133 Codice Penale- va fissata in anni 5 di reclusione, ed aumentata prima ad anni 7 e mesi 6 ex art. 1 L. n. 15/80, poi di 6 mesi di reclusione per ciascuna delle 4 ulteriori aggravanti (art. 368 II comma, art. 112 n. 1, art. 61 n. 2 e art. 61 n. 9 Codice Penale), ed infine fissata in anni 10 di


reclusione, per la continuazione ex art. 81 Codice Penale, interna alla stessa contestazione.


Francesco PAZIENZA: i fatti per i quali ha riportato
condanna, nel procedimento cosiddetto `del Supersismi', con
sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Roma recentemente divenuta irrevocabile, illustrano la sua capacità a delinquere e lo spirito del suo rapportarsi al servizio segreto militare all'interno del quale operò. Attraverso il progressivo esautoramento del SANTOVITO, venne il PAZIENZA, teorico del depistaggio, ad assurgere al ruolo di direttore di fatto del servizio deviato, ed a porre la sua non comune abilità, in veste di vero e proprio regista, al servizio di un disegno perverso. Sintomo eloquente della personalità del PAZIENZA e delle sue frequentazioni sono altresì i suoi contatti con malavitosi del calibro di Domenico BALDUCCI o di Vincenzo CASILLO.


L'imputato non merita attenuanti generiche (19).


Valutato ogni ulteriore elemento di cui all' art. 133 Codice Penale, la pena base va fissata in anni 5, ed aumentata sino ad anni 10 di reclusione, per le ragioni e secondo la progressione indicate per il GELLI.


Pietro MUSUMECI: occorre semplicemente rilevare, sul conto di costui, che egli, ufficiale dei Carabinieri, è stato condannato, in via definitiva, in concorso col BELMONTE, per l'episodio della collocazione delle armi e dell'esplosivo sul treno Taranto- Milano (episodio che costituisce un segmento della complessiva condotta di intossicazione delle indagini): e che tale vicenda implica necessariamente inconfessabili contatti con elementi del terrorismo neofascista, dai quali appunto provenivano le armi e l'esplosivo.




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(19) - Cfr. nota (13).


Lo `status' di militare e di ufficiale del prevenuto conferivano suprema solennità al suo impegno di fedeltà alle Istituzioni: tanto più scellerato -anche sotto il profilo soggettivo- ne risulta l'atto di fellonia.


Il MUSUMECI non merita attenuanti generiche (20).


Valutato ogniulteriore elemento di cui all'art.133Codice Penale, la pena base va irrogata nella misura di anni 5, ed aumentata sino a anni 10 di reclusione, per le ragioni e secondo la progressione indicate per il GELLI.


Giuseppe BELMONTE: valgono per costui le medesime


argomentazioni già svolte per il MUSUMECI.


Neppure al BELMONTE devono essere riconosciute attenuanti generiche (21).


Valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 Codice Penale, la pena base va irrogata nella misura di anni 5, ed aumentata sino ad anni 10 di recclusione, per le ragioni e secondo la progressione indicate per il GELLI.


Non può essere accolta l'istanza -formulata dalla difesa in via di subordine-volta ad ottenere che la presente condanna

* * * * *


(20) - Cfr. la nota (13).
(21) - Cfr. la nota (13).


sia posta in continuazione rispetto a quella pronunciata dalla Corte d'Assise d'Appello di Roma nel procedimento
cosiddetto `del Supersismi'.`Nulla quaestio'in ordine
all'identità del disegno criminoso fra il delitto di porto

d'armi ed esplosivi e quello di calunnia; senonché, la violazione più grave è quella che qui si giudica (22).
Invero, la maggior gravità va valutata in concreto, proprio

con riferimento alla pena effettivamente irrogata per l'una violazione ed a quella che -nel giudizio ancora pendente- si
è stabilito doversi irrogare per l'altra (23). Orbene, basti

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(22) - D'altronde, per esser la presente condanna non definitiva, e quella inflitta nel procedimento romano irrevocabile, non è neppure dato porre quella in continuazione rispetto a questa. Aderisce infatti la Corte all'indirizzo, contrastato, ma ribadito anche da recenti pronunce di legittimità (cfr.Sez.V, sent. n. 1363 del 6/2/87 -udienza 20/11/86- Presidente Minozzi, imp. Venturini; Sez. VI, sent. n. 2892 del 4/3/88 -udienza 30/9/87- Presidente Trofa, imp. Lardone), secondo cui la disciplina della continuazione non può trovare ingresso quando la violazione concretamente ritenuta più grave inerisca al procedimento ancora da definire, mentre per quella meno grave sia già intervenuto il giudicato. Si violerebbe, altrimenti, il principio dell'intangibilità del giudicato, che può subire eccezioni solo nei casi specificamente disciplinati dalla legge, mediante opportuni espressi correttivi, non affidati alla discrezionalità del giudice (artt. 89, 506, 528 e 553 ss. C.P.P.).
(23) - Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 9559 del 20/10/82 -udienza 19/6/82- Presidente Mirabelli, imp. Alunni: "In tema di reato continuato, al fine della determinazione della pena base, la più grave delle violazioniva individuata con riferimento alle pene che in concreto dovrebbero essere inflitte per ciascuno dei reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso se non dovesse procedersi al cumulo giuridico di esse. Pertanto, a detto fine, è irrilevante la entità edittale delle pene, astrattamente considerate, riferibili ai singoli reati".


osservare, in proposito, che la pena base di anni 5 di reclusione qui determinata in relazione al delitto di calunnia è superiore alla pena complessivamente riportata dal BELMONTE per i reati di cui è stato riconosciuto colpevole nel procedimento romano (24).


Maurizio GIORGI: la notevole gravità del fatto si desume dall' eloquente circostanza che l'arma ricettata ed abusivamente detenuta era munita di un silenziatore per la cui applicazione la canna era stata opportunamente

filettata (25). Esclusa la riconoscibilità di attenuanti generiche (26), ed esclusa ulteriormente la contestata recidiva (27), occorre far luogo alla disciplina di cui all'art. 81, essendo `in re ipsa' l'identità del disegno criminoso. Avuto precipuo riguardo alla gravità obiettiva del fatto, alla quale si è testé accennato, e valutato ogni ulteriore elemento di cui all' art. 133 Codice Penale, la pena base, per la più grave ipotesi di ricettazione, va fissata in anni 2 e mesi 6 di reclusione e £ 3.000.000 di


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(24) - Ove la pena si è cristallizzata in anni 3 e mesi 5 di reclusione.
(25) - Cfr. RB, V3, C46, p2.
(26) - Cfr. la nota (13).
(27) - Il certificato penale del GIORGI (cfr. CP, C9) non registra a tutt'oggi alcuna condanna.


multa ed aumentata ex art. 81 Codice Penale ad anni 3 di reclusione e £ 4.000.000 di multa.


Il GELLI, il PAZIENZA, il MUSUMECI ed il BELMONTE beneficiano dell'indulto ex DD.PP.RR. 744/81 ed 865/86. Per questi ultimi tre imputati, l'applicazione del beneficio di cui al primo decreto di clemenza comporta, ai sensi dell'art. 6 III comma del D.P.R. 865/86, l'applicazione del beneficio di cui a tale ultimo decreto nella misuraridotta: complessivamente, al PAZIENZA, al MUSUMECI ed al BELMONTE vanno condonati anni tre di reclusione ciascuno (anni 2 + anni 1). Per il GELLI, il condono ex D.P.R. 865/86 va applicato nella misura di anni 3, essendo egli ultrasessantacinquenne e non soggiacendo il condono concesso in tale misura maggiorata soggetto a cause di riduzione: infatti, il 4° comma dell'art. 6 del decreto -che appunto prevede la concessione dell'indulto in misura maggiorata agli ultrasessantacinquenni- non è richiamato dal 3° comma, che, prevedendo come causa di riduzione la fruibilità di precedenti provvedimenti di clemenza, richiama espressamente soltanto i primi due commi dello stesso art. 6. Il beneficio va dunque applicato al GELLI nella misura di anni 5 (anni 2 + anni 3).


Il GIORGI, risalendo il commesso reato al 1982, beneficia soltanto dell'indulto ex D.P.R. 865/86, che copre la pena detentiva nella misura di anni 2, nonché l'intera pena pecuniaria.


2.5.2.2) Le pene accessorie


La condanna all'ergastolo comporta, ai sensi dell'art. 36 Codice Penale, la pubblicazione della sentenza -per estratto ea spesedei condannati- sia mediante affissione che sulla stampa. L'affissione dovrà aver luogo nei Comuni di Bologna (luogo di pronuncia della sentenza), ed in quelli di Padova (ultima residenza del FACHINI), Roma (ultima residenza del FIORAVANTI e della MAMBRO) ed Osimo (ultima residenza del PICCIAFUOCO). L'estratto della sentenza dovrà altresì comparire, per una volta, sui quotidiani `Il Resto del Carlino' e `la Repubblica'.


Tutti gli imputati condannati all'ergastolo od a pena detentiva non inferiore ad anni 5 (dunque tutti i condannati, tranne il GIORGI), debbono essere, ai sensi dell'art. 29 Codice Penale, perpetuamente interdetti dai pubblici uffici; ad essi inoltre, ai sensi dell'art. 32 Codice Penale, vanno irrogate, per la durata della pena, le ulteriori pene accessorie dell'interdizione legale e della decadenza dalla potestà di genitori.


Al GELLI, al PAZIENZA, al MUSUMECI ed al BELMONTE, poiché essi beneficiano del condono ex D.P.R. 744/81 quanto alla pena principale, vanno ulteriormente condonate, per intero, ai sensi dell'art. 9 del decreto, le pene accessorie temporanee.


2.5.3) Le spese processuali


Ai sensi dell'art. 488 del Codice di rito i condannati FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO, PICCIAFUOCO, SIGNORELLI, RINANI, GIULIANI, CAVALLINI, GIORGI, MUSUMECI, BELMONTE, PAZIENZA e GELLI sono tenuti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali.


2.5.4) Le spese di custodia cautelare


L'art. 274 del Codice di rito comporta l'obbligo di tutti i condannati che sono stati sottoposti a custodia cautelare per i reati per i quali hanno riportato condanna -e, dunque, tutti i condannati nel presente procedimento, tranne il GELLI- al pagamento, ciascuno per la parte di sua spettanza, delle spese per il mantenimento in carcere relative ai rispettivi periodi di presofferto.


2.5.5) La cattura di Francesco PAZIENZA


Il PAZIENZA è stato formalmente scarcerato nel procedimento n. 2/87 R.G.C.A. (28), continuando a rimanere detenuto sino ad oggi nel procedimento n. 13/86 R.G.C.A. All'assoluzione per il delitto di associazione eversiva non consegue peraltro l'effettiva scarcerazione, dovendo esser nuovamente disposta la cattura dell'imputato per l'imputazione di calunnia pluriaggravata, a seguito della condanna -che con la presente sentenza si pronuncia- per tale ultimo delitto.


Si osserva in proposito:


- la Corte, con provvedimento 21/7/1987, ebbe ad ordinare la scarcerazione del PAZIENZA, in relazione al delitto di calunnia pluriaggravata, per la data del 2/9/1987;


- il provvedimento si fondava sull'erroneo assunto che, per il delitto in questione, il termine di custodia cautelare

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(28) - Cfr. supra, sub 1.11.6).


relativo alla fase del giudizio di primo grado fosse pari a mesi 6 (sei);


- trattandosi di delitto aggravato ai sensi dell'art. 1 della legge n. 15 del 1980 e punito con pena edittale superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, si verte in ipotesi di obbligatorietà della cattura (art. 8 L. 6/2/1980 n. 15);


- e, trattandosi di delitto punito con pena edittale inferiore ad anni 15 di reclusione, il termine di custodia per la fase del giudizio di I grado è pari ad anni 1 (uno);


- peraltro, tale termine deve intendersi prorogato, al momento dell' ingresso in camera di consiglio (ingresso per effetto del quale la decorrenza della custodia per la fase in corso resta congelata), di giorni 205, pari al numero delle udienze celebrate dalla Corte dopo l'entrata in vigore della Legge 17/2/1987 n. 29 (cfr. art. 2 di tale Legge);


-ne consegue che il PAZIENZA, incarcerato il 7/1/1987, non ha ancora maturato il diritto alla scarcerazione, e che, quindi, il precedente stato di custodia dev'essere ripristinato; infatti, "il divieto di emettere un nuovo mandato di cattura per il medesimo fatto contro l'imputato nei cui confronti sia stato emesso provvedimento di scarcerazione per decorrenza dei termini ex art. 272 C.P.P., presuppone la legittimità del provvedimento di scarcerazione. Qualora, invece, la scarcerazione sia stata, per errore, disposta in un momento in cui non ancora era decorso il termine massimo, entro il quale la legge consente il perdurare della custodia preventiva, legittimo è il provvedimento con cui si ripristina la carcerazione fino al compimento di tale termine, disponendosi nuovamente la cattura dell'imputato, non avendo quest'ultimo acquisito alcun diritto allo `status libertatis' erroneamente riconosciutogli" (29);


-peraltro, anche a prescindere dalla questione del conseguimento del diritto alla liberazione e della ritualità dell'ordine di scarcerazione a suo tempo emesso, la cattura deve comunque essere riordinata, ai sensi

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(29) -Così Cassazione, Sez. I, ordinanza n. 1812 del 21/9/77 -camera di consiglio dell'11/7/77- Presidente Aliotta, imp. Tarantini.


dell'art. 272 ultimo comma C.P.P., atteso che l'imputato è

stato condannato per un delitto aggravato dalla finalità di eversione dell'ordinamento costituzionale e vi è manifesto e concreto pericolo di fuga, desumibile, tra l'altro, dalle seguenti circostanze:


-pregressa latitanza all'estero dell'imputato;


-rifiuto dell'imputato stesso di assoggettarsi alla giurisdizione italiana per i delitti giudicati dalla Corte d'Assise di Bologna, anche dopo l'estradizione in Italia per altre pendenze giudiziarie;


-ampia e concreta possibilità del PAZIENZA di riparare all'estero, grazie agli appoggi che possono venirgli dalla vasta e ramificata rete di potenti conoscenze di cui egli non ha fatto mistero anche in sede di interrogatorio.


2.5.6) La revoca parziale del mandato di cattura 119/85 e la revoca del mandato di cattura 126/85


L'assoluzione che con la presente sentenza viene pronunciata, nei procedimenti nn. 12/86 e 13/86 R.G.C.A., nei confronti degli imputati GELLI, MUSUMECI, BELMONTE, DE FELICE, DELLE CHIAIE, RAHO, MELIOLI, IANNILLI e PAZIENZA, comporta, per l'effetto immediatamente liberatorio (in quanto non sussistano altre cause di detenzione in atto o sopravvenienti in forza della presente sentenza) e -salvo diverso divisamento del giudice del gravame- definitivamente liberatorio che deve seguirne, la revoca di ogni titolo di attuale od eventuale carcerazione nell'ambito di detti procedimenti: deve pertanto farsi luogo alla revoca del mandato di cattura del Giudice Istruttore n. 119 del 10/12/1985, limitatamente alle posizioni GELLI, PAZIENZA, MUSUMECI, BELMONTE, DE FELICE, DELLE CHIAIE, RAHO e IANNILLI, nonché alla revoca dell'ulteriore mandato di cattura n. 126 emesso dal Giudice Istruttore il 20/12/1985 nei confronti del MELIOLI.


2.5.7) Le confische


Ai sensi dell'art. 240 Codice Penale, dev'essere ordinata la confisca della pistola, del caricatore e relative pallottole, del silenziatore e dei proiettili sequestrati il 16/4/1982 nell'abitazione di Carmine PALLADINO (30).


2.5.8) La revoca degli obblighi imposti al MELIOLI ed allo IANNILLI all'atto delle scarcerazione


All'assoluzione del MELIOLI e dello IANNILLI consegue



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(30) - Cfr. verbale di sequestro, in PQB, V1, C5, pp. 5-6.


ulteriormente, in virtù dell'effetto completamente liberatorio della pronuncia, la revoca degli obblighi ai prevenuti imposti all'atto della scarcerazione per avvenuto decorso dei termini di custodia cautelare.


2.5.9) La procedibilità nei confronti del GELLI


Non essendo accoglibile la richiesta di una favorevole

pronuncia nel merito formulata in via principale ex art. 152
del Codice di Procedura per l'imputato GELLI, occorre
esaminare l'ulteriore questione attinente al rito, proposta
dalla difesa di detto imputato. Si è sostenuto doversi far luogo a declaratoria di improcedibilità, in ossequio al principio di specialità dell'estradizione così come disciplinato dall'art. 14 della Convenzione europea di estradizione 13/12/1957, ratificata con Legge 30/1/1963 n. 300: e ciò, per esser stato il GELLI estradato in Italia dalla Svizzera per reati diversi da quelli che questa Corte giudica, per i quali ultimi l'estradizione è stata, invece, rifiutata (31).


Osserva questo Collegio:



* * * * *

(31) - Cfr., per l'associazione eversiva, vu 16/11/87, pp. 16-17, e, per la calunnia, vu 26/5/88, pp. 17-21.


- ai sensi dell'art. 656 del Codice di rito, in materia di estradizione, le norme pattizie prevalgono sulle norme interne di rango ordinario;


- corretto è quindi il richiamo all'art. 14 della Convenzione europea; senonché, dalla lettura sinottica dei primi due commi di tale articolo emerge come anche nell'estradizione ivi disciplinata -non diversamente da come, secondo una consolidata giurisprudenza, deve
ritenersi per l'estradizione non regolamentata da norme pattizie- il principio di specialità comporti, per lo
Stato richiedente, il divieto della disponibilità fisica dell'imputato per i reati anteriori alla consegna e non compresi nel provvedimento di estradizione, e non l'improcedibilità per tali reati;


- infatti, se il primo comma fissa il principio che l'estradato non può essere perseguito o giudicato per fatti anteriori alla consegna, diversi da quelli che hanno dato luogo all'estradizione,il secondo comma, con norma che fa rinvio alle singole legislazioni interne degli Stati contraenti, autorizza, tra l'altro, per suddetti reati, "in vista di una interruzione della prescrizione", a "prendere le misure necessarie, ivi compreso il ricorso ad un procedimento contumaciale";


- dunque, non soltanto è ammesso in ogni caso, per gli Stati la cui legislazione lo preveda, il giudizio contumaciale, ma l'indicazione di tale mezzo è fatta in via esemplificativa, non essendovi limiti di sorta per l'adozione di tutti quegli atti processuali che
impediscano o ritardino fino ai limiti massimi il maturare della prescrizione;


-una lettura coordinata delle norme poste dall'art. 14 evidenzia dunque una disciplina del principio di specialità inteso come perdurante tutela dello Stato di rifugio anche nei confronti della persona già consegnata, ma soltanto nel senso dell'incoercibilità fisica della stessa per reati diversi da quelli per iquali l'estradizione è stata concessa, dovendosi l'imputato, per questi ultimi, aversi come non presente sul territorio nazionale, ma idealmente ancora nello Stato di rifugio;


- né si può opinare altrimenti, confliggendo ogni diversa interpretazione con il dettato dinorme costituzionali, comunque prevalenti sulla legislazione pattizia; ci si riferisce, in particolare:


a) all'art. 3 della Carta Costituzionale, che resterebbe vulnerato, in quanto la tesi dell'improcedibilità viene a creare una sorta di immunità estradizionale, che varrebbe per l'estradato e non per l'imputato residente all'estero o per il rifugiato per il quale

l'estradizione sia stata negata in ordine ad ogni pendenza;


b) all'art.24, che assicura la possibilità delle tutela giudiziaria dei propri diritti: tutela che vale anche per le parti offese dal reato, e che resterebbe nei confronti delle stesse vanificata ove si accogliesse l'interpretazione che qui si contrasta;


c)all'art.112, che fissa il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale;


- peraltro, anche a voler seguire la tesi (32) secondo cui

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(32) - Cfr. Cass., Sezioni Unite, sent. n. 12 del 9/6/84 -cam. cons. 19/5/84- Presidente Barba, imp. Carboni. Le Sezioni Unite ebbero in tale occasione a pronunciarsi, per essere sorto, in materia di principio di specialità nell'estradizione, un conflitto giurisprudenziale, nel quale (segue) il primo comma dell'art. 14, nel fissare il pricipio di specialità, avrebbe inteso rigidamente precludere allo stato richiedente l'esercizio della giurisdizione per reati anteriori alla consegna, diversi da quello per cui

l'estradizione è stata concessa, rinviando l'esercizio stesso ad epoca posteriore all'esaurimento delle pendenze per le quali l'estradizione ha avuto luogo, ed avrebbe previsto in via soltanto eccezionale, per il caso di pericolo di prescrizione o di allontanamento dell'imputato dal territorio nazionale, la procedibilità in contumacia per detti reati, non si perverrebbe comunque, nel caso di specie, a scelte processuali diverse da quelle che qui si adottano e si dovrebbe, cioè, procedere in contumacia;


-sussisterebbe, invero, pericolo assai serio di prescrizione, ove il presente procedimento, notevolmente complesso e destinato a protrarsi, attraverso i vari gradi



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(segue) l'indirizzo, da esse Sezioni Unite accolto, e qui avversato, era stato largamente prevalente. Peraltro, anche dopo tale pronuncia, la tesi della specialità come causa assoluta di improcedibilità non ha trovato pacifica affermazione: cfr. Cass., Sez. II, sent. n. 7421 del 26/7/85 -udienza 27/2/85- Presidente Savina, imp. Trevisan; Sez. II, sent. n. 4541 del 28/5/86 -udienza 12/12/85- Presidente Manca Bitti, imp. Molè; Sez. III, sent. n. 2906 del 9/3/87 -udienza 21/1/87- Presidente Gambino, imp. Musselli. di giudizio, per un tempo certamente non breve, dovesse esser celebrato soltanto una volta esauritesi le pendenze per le quali il GELLI è stato estradato, a loro volta complesse, destinate a svilupparsi per vari gradi di giudizio ed a prolungarsi, per l'eventualità della condanna, del tempo necessario all'espiazione;


- quanto poi al pericolo di allontanamento dal territorio nazionale, vanno semplicemente ricordate la pregressa
latitanza, l'avvenuta costituzione all'estero e non in Italia, la mancata accettazione della giurisdizione italiana per i reati per i quali questa Corte procede, l'ampia ed articolata rete di appoggi di cui l'imputato gode in altri Paesi, nonché la disponibilità economica, atta a consentire -come per il passato- grande facilità di movimento attraverso le varie frontiere.


La proposta eccezione di improcedibilità dev'esser dunque disattesa.


2.5.10)Le richiestein rito della difesa dell'imputato MUSUMECI


Si affronta qui, per ragioni di comodità espositiva, una questione che, nell'articolarsi complessivo della decisione, precedelestatuizionidi merito relative alla posizione MUSUMECI.


Ha sostenuto la difesa di tale ultimo imputato, con riferimento al procedimento n. 2/87 R.G.C.A., che il PUBBLICO MINISTERO non avrebbe potuto, nel caso di specie, revocare la richiesta di emissione di decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale, a suo tempo proposta e poi revocata; che vi sarebbe nullità assoluta del decreto di

citazione a giudizio del MUSUMECI avanti a questa Corte, ai

sensi dell'art. 185 I comma n. 1 del Codice di rito, per esser stato il decreto stesso emesso per reato per il quale la Corte era incompetente per materia; che dovrebbe pronunciarsi, in ordine al delitto di calunnia ascritto al MUSUMECI, sentenza di incompetenza per materia, provvedendosi a trasmettere gli atti al Tribunale, che sarebbe appunto competente per materia.


Osserva la Corte:


- la richiesta del PUBBLICO MINISTERO di emissione del decreto di citazione a giudizio è atto revocabile sino al momento dell'emissione del decreto da parte dell'organo

cui la richiesta è rivolta (33);


-è bensì vero che nel procedimento cosiddetto `della calunnia' era stato emesso per due volte il decreto di
citazione a giudizio del MUSUMECI (prima davanti al

Tribunale di Bologna,poi a quello di Roma); ma, a seguito della sentenza della Suprema Corte risolutiva del conflitto negativo di competenza per territorio, il procedimento era regredito alla fase degli atti preliminari al giudizio, ed il nuovo decreto di citazione non era stato ancora emesso;


-ben poteva, dunque, il PUBBLICO MINISTERO, revocare la richiesta di emissione;


-in ogni caso, il Presidente della Corte d'Assise, una volta investito della richiesta di citazione davanti alla

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(33) - Cfr. Cass., Sez. 1, sent. n. 1607 del 29/3/69 -cam. cons. 9/12/68- Presidente Pioletti, imp. Scali: "Sussiste una netta differenza, quanto alla revocabilità dell'atto, tra la richiesta di citazione a giudizio rivolta dal P.M. al Presidente del Collegio Giudicante (Tribunale o Corte d'Assise) ed il decreto di citazione a giudizio emesso dal detto Presidente ovvero dal Pretore. Nel primo caso, infatti, si tratta di un atto autonomo e distinto dal successivo, che può essere revocato sinché questo non sia stato emanato. Il decreto di citazione invece, una volta emesso, è irrevocabile e può diventare inoperante solo se sia inficiato dalle nullità previste nell'art. 412 Cod. Proc. Pen." Conforme è Cass., Sez. 1, sent. n. 713 del 27/6/74 -cam. cons. 1/4/74- Presidente Rosso, imp. Dalmazio. Corte da lui presieduta, non aveva titolo per sindacare

l'opinamento del PUBBLICO MINISTERO in ordine all'individuazione del giudice competente, essendo ogni decisione in ordine alla competenza rimessa dal Codice di rito all'organo collegiale: l'emissione del decreto era, per il Presidente della Corte, atto dovuto;


-ad ogni buon conto, la pretesa causa di nullità eccepita nel caso di specie non è ricompresa tra le cause di nullità del decreto di citazione, tassativamente previste dall'art. 412 del Codice di rito e denunciabili, a pena di

decadenza, secondo la norma posta dall'art. 422 II comma, entro il termine stabilito dalla norma stessa;


-attesa la tassatività dell'elencazione di cui all'art. 412, non si vede come si possa invocare la norma posta dall'art. 185 I comma n. 1, che effettivamente riguarda nullità assolute e rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado, ma che attiene esclusivamente alla capacità di acquisto della qualità di giudice (cittadinanza, età, superamento del concorso, ecc.), nonché alla capacità di esercizio della funzione giurisdizionale, intesa sotto il profilo generico (nomina e ammissione alla funzione giurisdizionale, mediante la destinazione all'ufficio e l'immissione nell'esercizio delle funzioni) e specifico (costituzione del giudice nel singolo processo, presupponente la composizione del collegio con il numero dei membri stabilito dalla legge, l'osservanza dei modi prescritti dalla stessa e l'assenza di condizioni specifiche di incompatibilità);


- quanto poi alle ragioni per le quali la Corte si è ritenuta competente a giudicare il delitto di calunnia
pluriaggravata ascritto al MUSUMECI ed a trattare il relativo procedimento unitamente ai procedimenti nn. 12/86
e 13/86 R.G.C.A., esse sono compiutamente esposte in un'ordinanza (34) pronunciata `in limine litis', la cui
parte motiva deve aversi qui per integralmente richiamata, non avendo la Corte motivo di mutare il proprio divisamento in proposito.


La proposta eccezione e le conseguenti richieste debbono essere respinte.



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(34)- Cfr. p17 vu 9/3/87, nel proc. pen. n. 12/86 R.G.C.A.


2.5.11)L'eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 16 Legge 13/4/1988 n. 117
Si tratta in questa sede, sempre per ragioni di comodità espositiva, anche un'ulteriore questione di carattere preliminare.


E' stata sollevata (35) da un difensore eccezione di illegittimità costituzionale di due articoli della recente Legge cosiddetta `sulla responsabilità dei giudici'. Si è affermata, in primo luogo, l'illegittimità della norma
di cui all'art. 16, che prevede la formalizzazione del
dissenso in busta chiusa, sostenendo che essa mortifica il principio della segretezza dell'atto: principio che sarebbe tutelato dalla Costituzione, perché posto a garanzia dell'autonomia decisionale, dell'indipendenza e dell'imparzialità del giudice. Il giudice non verrebbe più ad essere soggetto soltanto alla Legge, ma anche alla preoccupazione di "de-responsabilizzarsi". Vi sarebbe contrasto con le norme del Titolo IV, Sezione I della Carta Costituzionale, ed in particolare con l'art. 101.


La questione è rilevante ai sensi dell'art. 23 II comma

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(35) - Cfr. la memoria dell'Avv. BEZICHERI, in vu 9/6/88, pp. 15-17. Legge 11/3/1953 n. 87, riverberandosi sulla segretezza di cui all'art. 473 V comma del Codice di Procedura Penale, ma non può, nel merito, essere dichiarata non manifestamente infondata. Invero, il principio della segretezza posto dalla norma di rango ordinario testé citata non riceve tutela costituzionale e la soggezione dei giudici soltanto alla legge e la loro autonomia decisionale sono garantite dalla indipendenza della magistratura -intesa come ordine separato, dotato di organo di autogoverno- da ogni altro potere. Né il principio della soggezione del giudice
soltanto alla legge è intaccato da quella che è stata definita "preoccupazione di de-responsabilizzarsi". A ben vedere, infatti, la procedura di cui all'art. 16 è espressione concreta di una scelta di diritto positivo, per effetto della quale è stato modificato l'assetto complessivo dell'ordinamento a cui soltanto -e a null'altro- il giudice è assoggettato. La legge è misura del giudice: nel senso che soltanto alla legge è soggetto nell'esercizio della giurisdizione, ma anche nel senso che solo dalla legge sono regolamentate le sue responsabilità. In ossequio a tale principio, a governare il giudice è oggi una nuova norma, e non l'eventuale preoccupazione di deresponsabilizzarsi, ipotetico riflesso meramente psicologico della medesima: riflesso che attiene, in sostanza, al problema dell'impermebilità ai condizionamenti, e dunque, in definitiva, alla professionalità del singolo.


Neppure è vero -secondo quanto si è sostenuto- che il dissenso in busta chiusa personalizzi la sentenza, infrangendone la fisionomia collegiale e rendendola espressione di una maggioranza, anziché espressione unitaria
ed impersonale di applicazione della legge, resa in nome del Popolo Italiano. Infatti, non soltanto il principio dell'adozione delle decisioni a maggioranza -che attiene al meccanismo interno di formazione della medesima ed è dettato dallo stesso Codice di rito- non confligge con quello che vuole il giudice, inteso come organo collegiale, applicatore della legge in nome del Popolo Italiano; ma, nell'ambito del processo penale, il principio della decisione quale espressione unitaria del collegio è fatto salvo, essendo rinviata ad un momento ulteriore e soltanto eventuale, e ad una diverso contesto, estraneo a quello processualpenalistico in cui la decisione è stata emessa, la rimozione del segreto in ordine alla formazione della medesima all'unanimità o a maggioranza.


La seconda questione attiene al preteso contrasto con l'art. 3 della Carta Costituzionale della norma (quella posta dall'art. 7, e non dall'art. 5, come è stato indicato per errore materiale) secondo cui mentre i giudici togati rispondono per dolo e colpa grave, i giudici popolari rispondono solo per l'ipotesi di dolo. Così posta, la
questione non ha rilievo in questa sede, essendo la sua rilevanza prospettabile soltanto nell'ambito dell'eventuale giudizio civile di rivalsa. Peraltro, va detto che, comunque, non potrebbe farsi luogo alla dichiarazioni di non manifesta infondatezza, poiché è pacifico che le disparità di trattamento fissate da norme ordinarie in tanto contrastano con l'art. 3 della Costituzione, in quanto non si fondino, secondo criteri di ragionevolezza, sull'obiettiva diversità delle situazioni regolamentate; e, nel caso in questione, l'obiettiva diversità attiene, all'evidenza, al diverso `status' professionale dei togati e dei laici: essendo i primi tecnici della materia, che trattano in veste e con esperienza professionali, e gli altri profani (e, comunque, non necessariamente tecnici del diritto), e chiamati -in base ad un sorteggio- a svolgere `una tantum' funzioni giurisdizionali.


Non v'è dunque luogo a pronunciare la richiesta declaratoria e ad adottare i conseguenti provvedimenti.



2.5.12)La richiesta di declaratoria d'improcedibilità ex art. 90 C.P.P. proposta in via principale dalla difesa del MELIOLI


Anche la presente questione -che, nello snodarsi complessivo della decisione, precede logicamente le statuizioni in ordine alla sussistenza o non della penale responsabilità- vienetrattata qui solo per ragioni di comodità espositiva. Quantunque formalmente proposta dalla difesa del solo MELIOLI, essa si pone, più in generale, anche con riferimento ad altri imputati.


La richiesta è infondata.


Il giudicato ostativo alla procedibilità dovrebbe essere quello formatosi con la sentenza di proscioglimento del Giudice Istruttore di Roma in data 25/2/1986 (36), pronunciata nel procedimento colà sorto a seguito della sentenza d'incompetenza 30/4/1981 emessa dal Giudice

Istruttore del presente procedimento (37).


Va subito affermato che le sentenze irrevocabili cui si riferisce l'articolo 90 del Codice di rito sono certamente anche quelle istruttorie, come si evince, all'evidenza, dal

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(36) - Cfr. AA, V20, C96.
(37) -Cfr. supra, sub 1.2.21).


tenore letterale del 1° comma dell'articolo, che fa salvo, fra l'altro, quanto è disposto dall'art. 402: cioè, i casi di riapertura dell'istruttoria, ove ne ricorrano gli estremi.


In prima approssimazione, si deve osservare che -se pure, in ipotesi, vi fosse identità tra il fatto di banda armata contestato negli ordini di cattura dell'estate '80 e quello che qui si giudica- sarebbero comunque emerse, nel presente procedimento, fra l'aprile dell'81 ed il dicembre dell'85 (cioè fra la sentenza d'incompetenza ed i mandati di cattura con cui si è contestata la banda armata oggetto di questo giudizio) tante e tali prove a carico degli odierni imputati di banda armata già raggiunti dai primi ordini di cattura, che si sarebbe imposta, con riferimento alla loro posizione, la riapertura dell'istruttoria.


Ma il punto è un altro: e, cioè, che gli inquirenti, senza necessità di far ricorso alle forme di cui agli artt. 402 e seguenti, legittimamente hanno proceduto `ex novo', contro gli odierni imputati, non ricorrendo la medesimezza del fatto di cui all'art. 90 del Codice di rito.


Occorre in proposito sgomberare il campo da un possibile equivoco. Con provvedimento 28/2/87 (38), la Corte ebbe a scarcerare il MELIOLI per avvenuto decorso dei termini di custodia cautelare, maturato in istruttoria; e ciò fece, adeguandosi al principio fissato dalla Suprema Corte (39), che, pronunciandosi in sede di ricorso avverso un provvedimento del Tribunale di Bologna, aveva stabilito doversi sommare i due periodi di custodia patiti in istruttoria dal MELIOLI in relazione all'ordine di cattura n. 83/80 (40), recante la contestazione su cui si è pronunciato il Giudice Istruttore di Roma, ed in relazione al mandato di cattura n. 126/85 (41), recante l'imputazione portata al giudizio di questa Corte. Nel ricorrere avverso il provvedimento del Tribunale, aveva sostenuto il MELIOLI trattarsi di un caso di `contestazione a catena', dolendosi che fosse stata ritenuta la diversità del fatto di cui ai due provvedimenti di rigore. La Corte di Cassazione annullò l'ordinanza del Tribunale, disponendo il rinvio al giudice


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(38) - Cfr. supra, sub 1.11.1).
(39) -Con sentenza n. 4172 del 17/12/86, che trovasi in CP, C14. (40) -Cfr. supra, sub 1.1.12.2).
(41) -Cfr. supra, sub 1.9.1.3).


`a quo', perché riesaminasse l'istanza del MELIOLI, provvedendo alla sommatoria dei due periodi di custodia. Questa Corte ritenne di doversi adeguare alla direttiva fissata dal Supremo Collegio al Tribunale di Bologna, in adesione all'indirizzo giurisprudenziale (42) secondo cui i provvedimenti di annullamento di ordinanze con rinvio, ex art. 543 n. 1) del Codice di rito, operano la reinvestitura del giudice `a quo', con l'implicita clausola `rebus sic stantibus', dovendosi -precipuamente in materia di libertà personale, ove frequente è l'evolversi della situazione processuale tra il momento dell'emissione dell'atto e quello dell'annullamento da parte della Corte di Cassazione- intendersi la designazione operata nei confronti del giudice che ha la disponibilità materiale e giuridica del provvedimento. Ciò premesso, è appena il caso di rilevare che la pronuncia del Supremo Consesso non può spiegare effetti diversi ed ulteriori rispetto a quelli -che le sono propri- di porre nel nulla l'ordinanza del Tribunale e di imporre il riesame dell'istanza di scarcerazione del

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(42) - Cfr., per tutte, Cass., Sez. I, sent. n. 2890 del 12/12/85 -cam. cons. 25/11/85- Pres. Carnevale, imp. Sirinozzi.


MELIOLI, secondo il criterio -da questo Collegio adottato nel provvedimento 28/2/1987- della sommatoria dei periodi di custodia cautelare patita per effetto dei due diversi provvedimenti coercitivi.


Si pone invece ora per il Collegio il problema della medesimezza o non del fatto di banda armata su cui si è pronunciato il Giudice Istruttore di Roma, e di quello di cui in epigrafe, ai fini dell'eventuale declaratoria d'improcedibilità ex art. 90 del Codice di rito.


Punto di partenza per le necessarie valutazioni è quella dell'obiettiva diversità formale delle contestazioni. Si tratta di vedere se tuttavia non sia accaduto che un `idem factum' sia stato dalle due imputazioni ripreso da due angolature diverse (anche alla stregua dei più penetranti elementi di giudizio di cui gli inquirenti disponevano nel dicembre del 1985 rispetto alla fase iniziale dell'istruttoria) e se, quindi, l'obiettiva diversità del tenore formale dei capi d'imputazione non rispecchi semplicemente le puntualizzazioni e la miglior decifrazione
-alla luce delle nuove molteplici emergenze istruttorie- del fatto di banda armata preso in considerazione fin dall'inizio dell'inchiesta. Ciò va escluso sulla base della comparativa analisi dell'originaria imputazione e dell' ipotesi sottoposta al giudizio di questa Corte, così come essa è risultata poi verificata alla stregua della compiuta valutazione delle risultanze processuali, di cui si è dato conto nella parte della presente sentenza relativa al delitto di banda armata.


Si contestava al MELIOLI, nel settembre '80, di avere, in concorso con altri, promosso ed organizzato una banda armata costituente la struttura `militare-operativa' di un'unica associazione sovversiva, considerata come riedizione del disciolto `Ordine Nuovo': associazione operante sul territorio nazionale sotto sigle diverse fino al 2 agosto 1980 -data in cui veniva realizzata la strage di Bologna- e finalizzata, mediante la violenza (esercitata anche attraverso gli attentati), a sovvertire l'ordinamento costituzionale dello Stato, ed in particolare a modificare il sistema di uguaglianza e solidarietà fra tutti i cittadini, e ad imporre l'egemonia di ristretti gruppi elitari, sopprimendo il sistema delle rappresentanze
parlamentari, elettive e democratiche; nel quadro del programma criminoso della banda armata sarebbero stati realizzati, tra l'altro, una molteplicità di episodi, che abbracciano un periodo compreso fra l'estate del 78 e quella dell'80: partendo dagli attentati all'ACEA di Roma ed alla centrale del latte del 16/6/1978, alla S.I.P. di Roma del 24/7/1978, e passando attraverso l'episodio di `Radio Città Futura', la rapina all'`Omnia Sport' del 15/3/1979, nonchè attraverso la campagna di attentati siglati M.R.P., si arriva agli omicidi dell'Appuntato EVANGELISTA e del dott. AMATO. Da siffatta imputazione di banda armata il MELIOLI e gli altri 41 imputati sottoposti alla cognizione dell'autorità giudiziaria romana per effetto della sentenza d'incompetenza territoriale 30/4/1981 sono stati prosciolti

dal Giudice Istruttore di Roma, il 25/2/1986, con la formula "perché il fatto non sussiste".


Per quanto concerne la contestazione di banda armata oggetto del presente giudizio, si debbono innanzitutto avere qui per richiamate le considerazioni in proposito svolte `in sede materiae', e, segnatamente, quanto argomentato sub
2.2.5.6). Occorre in questa sede ancora ribadire e puntualizzare che:


a) la banda armata oggetto di giudizio si pone come un soggetto associativo nuovo nel panorama dell'eversione neofascista, venendosi a formare sul finire del '79 e venendo ad occupare gli spazi lasciati dai movimenti precedentemente attivi, entrati in crisi per varie ragioni, tra cui la cattura di vari esponenti di spicco delle medesime;


b)il `tempus commissi delicti' abbraccia il periodo compreso fra la fine del '79 ed i primi otto mesi dell'80, essendo stata la banda -in quanto tale, nella sua complessiva organizzazione- travolta dai primi ordini di cattura dell'estate '80, ed essendo il vincolo della solidarietà criminale perdurato solo tra taluni membri dell'organizzazione, legati a livello personale;


c)quella che è una vera e propria `superbanda' si forma dall'aggregazione di individui provenienti da esperienze diverse, in taluni casi già membri di altre bande armate;


d)il programma criminoso -così come è stato individuato `in
sede materiae'- è assolutamente specifico;


e) la banda si connota inconfondibilmente per essere legata alla personalità ed all'ascesa di Valerio FIORAVANTI, nell'ambito di una "micidiale escalation", di un crescendo di azioni `militari', via via ingravescenti; è il sorgere dell'astro del FIORAVANTI -che debutta prepotentemente, da par suo, con l'omicidio LEANDRI- a determinare la possibilità delle varie componenti di aggregarsi attorno allo specifico programma di violenza terroristica; è la sua capacità di sottrarsi alla cattura che consente di condurre a termine il programma, il cui snodarsi, nella concatenazione stessa degli eventi, secondo la logica dell' `escalation', attraverso gli omicidi e gli altri attentati, porta alla strage del 2 agosto: che, nelle sue caratteristiche, si connota come il frutto esclusivo dell'esperienza `militare', della capacità operativa, dell'organizzazione e della determinazione della banda armata oggetto di giudizio;


f) la banda che qui si giudica non si pone come braccio operativo di un'unica associazione, costituente la riedizione del disciolto movimento `Ordine Nuovo', ma gode di una sua autonomia associativa e programmatica;


g) ciò si riflette sulla composizione soggettiva della banda, che è assolutamente peculiare e in qualche modo elitaria: l'imputazione, a differenza di quella originariamente contestata, non postula una magmatica aggregazione di militanti neofascisti, uniti a formare l' `esercito' di un risorto `Ordine Nuovo', ma coglie il selettivo associarsi di taluni individui, emergenti dalle rispettive formazioni di provenienza, ed idonei, per capacità, determinazione, adesione allo specifico programma -autonomo rispetto a quello dei sodalizi di origine- a fondersi nella `superbanda' oggetto di giudizio;


h)parzialmente diverso è anche, in virtù della specificità della banda, il suo ambito territoriale di operatività.


Sono, dunque, quelle delineate nell'originaria contestazione e nell'imputazione del dicembre '85, non due diverse descrizioni -l'una approssimativa e sfuocata, e l'altra, per successivi aggiustamenti, più puntuale e nitida- di una medesima banda armata, ma le descrizioni di due distinte strutture associative, diversificate quanto alle modalità di costituzione e formazione, ai criteri di arruolamento, al rapporto con il più vasto fenomeno dell'eversione di destra, al programma perseguito, alla prevalente composizione soggettiva, agli ambiti temporale e territoriale di operatività.


Siamo dunque in presenza di due imputazioni omologhe `sub specie juris', cui tuttavia corrispondono comportamenti ontologicamente diversi: dal che discende l'inapplicabilità, nel caso di specie, dell'art. 90 del Codice di rito.


2.5.13)Ulteriori questioni ex art. 90 del Codice di rito


L'assoluta diversità (desumibile, con tutta evidenza, dalla semplice lettura comparata delle imputazioni) fra i fatti contestati al BELMONTE e ad altri ai sensi dell'art. 416 del Codice Penale nel procedimento romano `del Supersismi' e quelli contestati, ex art. 270 bis, al capo 1 della rubrica nel procedimento n. 12/86 pendente avanti a questa Corte, esclude che possa porsi una preclusione ex art. 90 del Codice di rito per esser stati il BELMONTE ed i coimputati definitivamente assolti dall'ipotesi associativa contestata in Roma con la formula "perché il fatto non sussiste". Si contestava (43) al PAZIENZA, al MUSUMECI, al BELMONTE, e ad altri, nel procedimento romano, d'essersi associati, in concorso col SANTOVITO, "allo scopo di commettere più delitti (segnatamente delitti di peculato, interesse privato in atti di ufficio, favoreggiamento personale e altre ipotesi di reato in corso di accertamento), con l'aggravante dell'abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione di appartenenti al SISMI": contestazione assolutamente non sovrapponibile a quella -formulata dalla Procura dela Repubblica di Bologna a carico del BELMONTE e di altri, e dal Giudice Istruttore sottoposta alla cognizione di questa Corte- d'aver costituito, promosso ed organizzato un organismo associativo, conglobante una componente piduista, uno spezzone deviato del SISMI, nonché vertici dell'estremismo armato neofascista, e tendente a realizzare le proprie

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(43) - Cfr. AA, V11, C63, p3.


finalità eversive, mediante la realizzazione di un programma
di attentati o comunque mediante la gestione politica degli stessi, e, necessariamente, mediante la copertura e la garanzia dell'impunità agli autori di tali attentati.


Neppure è sostenibile che vi sia una preclusione ex art. 90 per quanto attiene all'aggravante ex art. 1 della Legge n. 15/80 contestata in relazione al delitto di calunnia. In proposito, basterebbe rilevare che, giudicandosi qui un reato concorrente, ma diverso da quello di porto d'armi ed esplosivoper il quale è intervenutacondanna definitiva a carico del BELMONTE e del MUSUMECI nel procedimento `del Supersismi', resta affidata a questo giudice la piena cognizione di tutti gli aspetti, anche circostanziali, della condotta contestata. Ma il punto è che nel procedimento romano non fu contestata (44) ai due ufficiali l'aggravante sulla quale si assume essersi formato il giudicato. Ora, a fronte di questa constatazione, tecnicamente insuperabile, nulla rileva il fatto che la Corte d'Assise d'Appello di Roma abbia ritenuto di non poter stabilire, sulla base degli

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(44) - Cfr. AA, V11, C63, p5.


elementi di giudizio desumibili dagli atti di quel procedimento, se dietro l'`operazione valigia', oltre a quello del lucro ed a quello, ritenuto possibile, che si ricollegava alla rivalità col SISDE, fosse altresì individuabile anche un diverso movente di intossicazione dell'indagine bolognese (movente ritenuto invece esclusivo dai giudici di primo grado), in un più ampio contesto di eversione dell'ordine democratico.


2.5.14) Le residue questioni, di rito e istruttorie


Sono state sollevate da un difensore, durante l'istruttoria dibattimentale, varie questioni di rito, poi richiamate al momento di rassegnare le conclusioni (45). Nell'ordine:


a)è stata eccepita (46) la nullità dell'atto di audizione in aula di Sergio CALORE, in quanto questi, già imputato nel presente procedimento e prosciolto all'esito dell'istruttoria, non avrebbe avuto veste per essere sentito in dibattimento: non come teste, stante il divieto di cui all'art. 348 III comma del Codice di procedura; e neppure come imputato dello stesso reato, ex


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(45) - Cfr. vu 8/6/88, p12.
(46) - Cfr. vu 12/12/87, pp. 14 ss. art. 450 bis, poiché nei suoi confronti non si è mai proceduto separatamente né si procede separatamente. L'eccezione è infondata. Il CALORE poteva e doveva essere liberamente interrogato -come in effetti è stato in dibattimento interrogato- ai sensi dell'art. 450 bis del Codice di rito. La novella n. 534 dell'8/8/1977 ha aperto una breccia di carattere generale nella disciplina precedentemente dettata dal combinato disposto degli artt. 348 III comma, 450 I comma e 465 II comma: disciplina sostanziantesi nel divieto -sancito a pena di nullità- di assumere come testimoni gli imputati dello stesso reato o di reato connesso (salvo il caso del loro proscioglimento in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste) e nella correlativa facoltà di dare lettura degli interrogatori di costoro, anche ove fossero stati prosciolti o condannati.


Dopo l'entrata in vigore della novella, fermo restando il divieto di assumerle come testimoni, le persone imputate dello stesso reato o di reato connesso "nei confronti delle quali si procede separatamente" possono essere interrogate liberamente ai sensi degli artt. 348 bis e 450 bis, attinenti, rispettivamente, alla fase istruttoria ed a quella del giudizio. Il problema, in sostanza, consiste nel vedere se l'inciso "nei cui confronti si procede separatamente" impedisca l'utilizzo dell'istituto del libero interrogatorio per coloro che si trovino nella posizione processuale di Sergio CALORE. Va subito detto che l'inciso non implica la simultanea pendenza di due procedimenti (quello a carico di colui che si voglia interrogare liberamente e quello in cui le sue dichiarazioni assumano rilievo): ciò emerge dalla giurisprudenza della Suprema Corte che ha chiarito come non spieghi effetto preclusivo l'intervenuta definizione del procedimento a carico dell'interrogando (47). Se così è, non v'è ragione di distinguere ulteriormente fra il
caso in cui la posizione della persona che si intende interrogare liberamente sia stata definita in un procedimento sorto a seguito di separato esercizio dell'azione penale ovvero a seguito di stralcio da un


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(47) - Cfr. Cass., Sez. I, sent. n. 7087 del 7/7/86 -udienza
16/12/85- Presidente Carnevale, imp. Ganzeria. procedimento cumulativo tuttora pendente a carico di altri imputati, ed il caso -come quello all'esame della Corte- in cui quella posizione sia stata definita nel procedimento cumulativo, mediante proscioglimento istruttorio contestuale al rinvio a giudizio dei coimputati. Si intende affermare che l'`eadem ratio' impone di ritenere l'istituto introdotto con gli artt. 348 bis e 450 bis applicabile a tutti i casi di non simultanea e non più simultanea pendenza di procedimenti a carico di persone imputate dello stesso reato o di reati connessi. Apparirebbe costituzionalmente illegittima, perché contraria al disposto dell'art. 3 della Carta Costituzionale, l'interpretazione che, con riferimento al caso di specie, predicasse l'utilizzabilità dell'istituto in questione nei confronti di colui che fosse stato imputato della strage di Bologna
e prosciolto in istruttoria prima dell'esercizio dell'azione penale nei confronti degli odierni imputati, ovvero, perseguito contestualmente a costoro, fosse poi stato prosciolto, a seguito di stralcio, con sentenza istruttoria intervenuta prima del presente giudizio, ed escludesse invece l'utilizzabilità dell'istituto stesso per colui che -come il CALORE- si viene a trovare in posizione sostanzialmente non diversa e solo formalmente distinguibile da quelle testé indicate. La riflessione che, pacificamente, il CALORE avrebbe potuto essere interrogato ex art. 450 bis qualora l'istruttoria a suo carico, per effetto di un provvedimento di separazione contenuto nella sentenza-ordinanza 14/6/1986, fosse proseguita anche per un sol giorno dopo il rinvio a giudizio degli odierni imputati, offre l'evidenza palmare dell'ammissibilità del ricorso al libero interrogatorio dibattimentale, che resterebbe altrimenti escluso soltanto per via del fatto contingente, estrinseco, e di natura squisitamente procedimentale, della contestualità del proscioglimento del CALORE rispetto al rinvio a
giudizio dei coimputati.


D'altronde, a ben vedere, il ricorso all'istituto di cui all'art. 450 bis nei confronti dell'imputato prosciolto con il medesimo provvedimento con cui si disponga il rinvio a giudizio di altri imputati, lungi dal confliggere con gli interessi di questi ultimi, rappresenta, nei loro confronti, una forma di garanzia, in quanto viene a sottoporre alla verifica pubblica, nel contraddittorio dibattimentale, accuse che resterebbero diversamente cristallizzate nei verbali istruttori.


V'è da rilevare che, comunque, l'audizione del CALORE nelle forme di cui all'art. 450 bis non avrebbe potuto dar luogo a nullità di sorta, per il principio di tassatività di cui all'art. 184 del Codice di rito: la nullità dell'audizione del coimputato prosciolto (non in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste) è sancita soltanto per il caso che lo
stesso sia stato escusso come testimone, e non anche per il caso che sia stato liberamente interrogato ex artt. 348 bis o 450 bis.


Ad ogni modo, poi, sarebbe intervenuta la sanatoria di cui all'art.471 del Codice di rito, posto che si tratta di un atto dibattimentale, e che nessuna eccezione fu sollevata prima dell'interrogatorio del CALORE e neppure immediatamente dopo il compimento dell'atto, nell'udienza dell'11/12/1987 (48).


b) E' stata eccepita (49) "la nullità di tutte quelle udienze in cui risulti che l'assistenza ad imputati di questo processo è stata prestata da successivi e diversi difensori d'ufficio per lo stesso imputato, nominati nel corso del dibattimento e nel corso delle varie udienze di questo dibattimento". Nel corso delle oltre 200 udienze, è accaduto sovente che uno o più imputati si siano venuti a trovare sprovvisti dei rispettivi difensori di fiducia.


Si è in tali casi doverosamente provveduto all'assegnazione di difensori d'ufficio. Peraltro, data la durata del giudizio e la conseguente comprensibile impossibilità, da parte dei legali all'uopo nominati, di assicurare una continuativa presenza nelle udienze

successive, si è spesso resa necessaria la sostituzione degli stessi difensori d'ufficio. La doglianza attiene appunto a questa situazione di avvicendamento di più difensori d'ufficio per un medesimo imputato nel corso
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(48) - Cfr. vu 11/12/87, pp. 39-40.
(49) - Cfr. vu 8/1/88, p14. del giudizio.


In proposito, occorre semplicemente rilevare che la sostituzione del difensore d'ufficio è non soltanto rituale, ma doverosa, ai sensi dell'art. 128 IV comma del Codice di rito, ogniqualvolta ricorra un giustificato motivo; e che tale è, certamente e precipuamente, l'esigenza di assicurare all'imputato, per il corso del giudizio, la continuità dell'assistenza tecnica, che è prevista a pena di nullità.


c) Altra eccezione (50) di nullità riguarda le trascrizioni delle registrazioni magnetofoniche. Essa è ormai superata, dal momento che la Corte, con ordinanza 26/2/1988 (51), ha disposto lo stralcio di dette trascrizioni dagli atti processuali.


d)E' stata eccepita (52) "altresì la nullità di tutti gli atti processuali utilizzati dalla Corte anche ai fini delle ordinanze dibattimentali, che siano scaturiti dalle cosiddette computerizzazioni", sull'assunto che sarebbe



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(50) -Cfr. vu 20/1/88, p127.
(51) -Cfr. vu 26/2/88, p31. (52) - Cfr. vu 20/1/88, p127. "illegittimo l'uso del mezzo tecnico del computer per quanto concerne la computerizzazione dei verbali d'udienza e la formulazione delle ordinanze", per essere quel mezzo "manovrato da personale tecnico non investito come dovrebbesi mediante regolare nomina di perito con giuramento, con avviso e partecipazione dei difensori ed eventuale nomina di consulenti di parte."


Al fondo della questione sembra annidarsi un equivoco: cioè che, per la redazione dei verbali e delle ordinanze dibattimentali, l'uso del `personal computer' o elaboratore elettronico assolverebbe una funzione sostanzialmente diversa da quella affidata ai tradizionali strumenti (la penna, la macchina da scrivere meccanica, la macchina da scrivere elettrica) con i quali si è sino ad oggi provveduto a dar forma scritta
agli atti processuali. Orbene, va semplicemente chiarito che, per la redazione dei verbali e delle ordinanze, il `computer' non funziona se non come uno strumento di scrittura: più sofisticato, più rapido, più funzionale, ma assolutamente inidoneo a produrre, nell' `iter' formativo dell'atto, alcunché di diverso dal mero risultato materiale apprezzabile sui fogli nei quali l'atto stesso viene a prendere forma. Con particolare riferimento alle ordinanze dibattimentali, una volta che esse siano state deliberate ad opera della Corte, non si vede come ci si possa dolere del fatto che un membro del Collegio, anziché trasfonderne il contenuto sulla carta mediante una penna, ovvero tramite l'azione meccanica delle leve di una tradizionale macchina da scrivere, vi provveda, ottenendo il medesimo risultato scritto, mediante un procedimento tecnico scaturente da impulsi lanciati attraverso la tastiera di quella che -così usata- non è altro che una macchina da scrivere elettronica, inidonea a fornire contributi ideativi, contenutistici o espositivi.


e)E' stata eccepita (53), ancora, la nullità dei provvedimenti collegiali anche in quanto "scaturiti da Camere di Consiglio con partecipazione di una doppia Corte e senza pertanto alcuna garanzia per gli imputati e

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(53) - Cfr. vu 20/1/88, p127.


per i difensori di non intervento nella deliberazione dei
provvedimenti da parte dei giudici supplenti".


Osserva la Corte che la presenza dei giudici aggiunti e supplenti (togati e laici) in camera di consiglio si rende necessaria in vista del loro eventuale subentro ai giudici titolari: può infatti la sentenza essere deliberata soltanto da giudici che abbiano presenziato a tutti gli atti dibattimentali; e tali sono anche le discussioni in camera di consiglio fra i giudici titolari e le conseguenti deliberazioni dagli stessi adottate, per la risoluzione di questioni incidentali ed istruttorie (54), con ordinanze pronunciate in corso di
giudizio, prima della deliberazione finale, alla quale


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(54) -Cfr. Cass., Sez. I, udienza 13/1/1967, Presidente Fumu, imp. Maggio (pubblicata in Cass. Pen. Mass. Ann., 1967, pp. 775 ss.). Si era posto, nella fattispecie, il problema della legittimità dell'avvicendamento -nel corso di un giudizio di Corte d'Assise- di un giudice popolare aggiunto ad un titolare, per il fatto che il nominativo dell'aggiunto non figurava nei verbali delle udienze intermedie fra la prima e quella del subentro. La Suprema Corte non ebbe a ravvisare alcuna nullità nell'integrazione del Collegio con il giudice aggiunto, per essere comunque dimostrata l'effettiva sua partecipazione a tutte le udienze; e diede atto, in proposito, del fatto che, da un'ordinanza della Corte e da un'attestazione di Cancelleria, risultava che il giudice aggiunto aveva presenziato a tutte le precedenti udienze, aveva partecipato ad un atto di accesso in luogo ed aveva assistito, pur senza diritto al voto, alla discussione relativa agli incidenti sollevati nel corso del procedimento e decisi con ordinanza.


soltanto i giudici aggiunti e supplenti non sono chiamati a presenziare, in quanto non potrebbero più, a quel punto -per espresso divieto legislativo- subentrare ai
titolari.


Ciò posto, circa la questione della garanzia del non intervento dei giudici aggiunti e supplenti nelle deliberazioni delle ordinanze, va semplicemente rilevato che il giudice non è tenuto a fornire a chicchessia garanzie di sorta, che non si vede, peraltro, in che termini ed in che forme potrebbero essere prestate.


f)V'è, infine, l'eccezione (55) relativa alla pretesa non utilizzabilità degli atti provenienti dalla Commissione Parlamentare d'Inchiesta sulla Loggia massonica P2: eccezione fondata sull'assunto che non si tratta di atti di un procedimento penale. A parte la considerazione che,
ai sensi dell'art. 82 II comma della Carta costituzionale, "la commissione d'inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria", è comunque

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(55) - Cfr. vu 26/2/88, p25 e vu 8/6/88, p12. risolutivo l'argomento che l'esser stata oggetto di

specifica positiva previsione normativa (artt. 144 bis e 466 II comma del Codice di rito) la possibilità della lettura di atti di un diverso procedimento penale (lettura ora surrogabile con la declaratoria di utilizzabilità) non crea preclusioni di sorta in altre direzioni, posto che la clausola generale di cui all'art. 466 III comma del Codice di procedura consente "la lettura di ogni atto e documento non espressamente vietata a norma degli articoli precedenti".


La difesa di Fabio DE FELICE ha invece riproposto (56) una questione di rito già sollevata `in limine litis'. L'assoluzione dell'imputato con formula ampiamente liberatoria determina il venir meno dell'interesse a detta questione di rito, in ordine alla quale, comunque, la Corte non avrebbe motivo di modificare il divisamento già espresso con l'ordinanza 12/3/1987 (57). Allo stesso modo restano superate, per sopravvenuta carenza di interesse, le istanze istruttorie formulate dalla difesa del DE FELICE in corso di


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(56) - Cfr. vu 22/6/88, p18 ss e 35. (57) - Cfr. vu 12/3/87, p43-44. giudizio, e riproposte in sede di discussione.


Per quanto attienea tutte le altre istanze istruttorie formulate dalle difese in sede di discussione, in quanto non siano superate dalla non utilizzazione in senso accusatorio di determinate acquisizioni processuali, il non accoglimento delle medesime discende: o dalle argomentazioni espressamente svolte dalla Corte nelle singole parti della trattazione aventi ad oggetto la questione di merito cui le istanze attengono; ovvero, implicitamente, dal complesso delle motivazioni dalla Corte poste a fondamento di un determinato capo della sentenza; o, comunque, in quanto si tratti di riproposizioni di istanze già precedentemente formulate, anche dalle motivazioni delle ordinanze pronunciate in merito in corso di giudizio.

2.5.15) Le parti civili


Dall'accertamento delle penali responsabilità di cui si è detto sub 2.1), 2.2) e 2.3) discende, ai sensi dell'art. 185 del Codice Penale, l'obbligo dei colpevoli di risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati. Con riferimento al procedimento n. 12/86 R.G.C.A., osserva la Corte -in ciò ribadendo, in questa sede di merito, la posizione già assunta con l'ordinanza 10/3/1987 (58), in sede di valutazione della legittimazione ad agire- che i danni cagionati per effetto e a seguito della strage sono eziologicamente riferibili anche al reato di banda armata di cui al capo 2) dell'imputazione. Invero, essendo stato accertato che la strage fu la massima e più qualificata espressione della progettualità terroristica della banda armata e rappresentò un naturale e coerente sviluppo delle attività dell'organizzazione, dalla quale provenivano uomini e mezzi impegnati nell'attentato, si deve affermare che l'avere, a qualunque titolo, anche meramente adesivo, contribuito al mantenimento in vita della struttura

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(58) - Cfr. vu 10/3/87, p70.


associativa, costituì, rispetto alla strage, causa rilevante ai sensi dell'art. 2043 del Codice Civile.Infatti -secondo un ormai consolidato orientamento della Suprema Corte- "in presenza di un evento dannoso, tutti gli antecedenti senza i quali esso non si sarebbe verificato debbono essere considerati come sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima, ovvero in via indiretta e remota. A questa regola fa eccezione il principio di causalità efficiente, di cui al capoverso dell'art. 41 Cod. Pen., secondo cui la causa, sempre che abbia le caratteristiche della prossimità e sopravvenienza rispetto alle altre cause e sia sufficiente da sola a produrrel'evento, escludeil nesso eziologico tra questo e le altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni" (59). Proprio in quanto la strage trovò nella banda armata alimento ideologico ed i mezzi materiali ed umani per essere posta in essere, va escluso che l'attentato si sia posto, lungo la serie causale che va dall'esistenza ed operatività della banda armata ai danni verificatisi a seguito

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(59) - Cfr. Cass. Sez. III, sent. n. 7467 del 7/10/87, Presidente Scribano, imp. Violini.


dell'esplosione, come accadimento estraneo, eccezionale ed imprevedibile (60), idoneo da solo a determinare gli eventi dannosi, e ad escludere l'efficacia causale dell'esistenza ed operatività della banda secondo una determinata strategia, relegandole al rango di mere occasioni.


Tanto premesso, con riferimento agli Enti pubblici costituitisi parti civili e la cui costituzione è stata ammessa (61), va rilevato che, essendo a tutti i medesimi derivati danni patrimoniali (62), per i quali non si pongono problemi di sorta, la giurisprudenza di legittimità ha peraltro riconosciuto la risarcibilità in favore degli Enti pubblici anche dei danni non patrimoniali (63): danni


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(60) - Cfr., per questo aspetto, Cass., Sez. I, sent. n. 7462, del 7/8/85 -udienza 22/4/85- Presidente Carnevale, imp. Arslan.
(61) - Cfr. vu 10/3/87, p72 e vu 12/3/87, p45.
(62) - In particolare, allo Stato, che come amministrazione del Ministero degli Interni ha erogato, in favore delle vittime, le speciali largizioni di cui all'art. 5 L. 13/8/80, n. 466 (cfr. vu 10/3/87, p42); alla Regione Emilia-Romagna, alla Provincia di Bologna, al Comune di Bologna (per i quali Enti, cfr. le voci rispettivamente indicate in vu 10/3/87, p70, punto 5); infine, all'Ente Ferrovie dello Stato, per il quale si può far riferimento ai danni al treno Ancona-Basilea, nonché alle corse soppresse a seguito dell'esplosione.
(63) - Cfr., in generale, Sez. V, sent. n. 8043 dell'8/10/83 -udienza 2/5/83- Presidente Gallo, imp. Amitrano. Con specifico riferimento al Comune, quale ente rappresentativo degli interessi collettivi della comunità locale, cfr. Sezioni Unite, sent. n. 5518 del 18/6/79 -udienza 21/4/79- emessa in materia di reati urbanistici.


riconducibili alla turbativa della posizione funzionale dell'Ente,attraverso il pregiudizio delle attività e dei servizi pubblici, ed evidenziantesi in funzione del negativo


risultato della mancata o non puntuale o ritardata realizzazione dell'interesse pubblico, a causa della sfavorevole incidenza degli eventi dannosi rispetto agli scopi ed obiettivi perseguiti dall'azione amministrativa.


Per quanto attiene alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, aderisce e fa proprio questo Collegio il pensiero della Suprema Corte, così testualmente espresso (64): "...l'art. 185 C.P., lungi dal rafforzare la tesi del carattere meramente sanzionatorio del diritto penale, costituisce il fondamento delle obbligazioni `ex delicto' delinendone la natura autonoma ed originale siccome correlata eziologicamente alla commmissione di un fatto costituente reato.


Data tale correlazione, è stato altresì puntualizzato che persona offesa dal reato è il titolare dell'interesse

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(64) - Cfr. Sez. I, sent. n. 9357 del 21/10/81 -udienza 26/6/81- Presidente Fasani, imp. Agnellini, pubblicata in Giustizia Penale 1982, parte 2ª, colonna 615 ss. (cfr. vu 10/3/87, pp. 62 ss.).


specifico direttamente protetto dalla norma penale e la cui


lesione o esposizione al pericolo costituisce l'essenza del
reato. Vi sono interessi che solo eventualmente sono pregiudicati dalla condotta antigiuridica, ma ve n'è uno che dev'essere offeso perché il reato sussista, ed è quello che costituisce il bene giuridico protetto dalla norma penale.


Orbene, se è vero che lo Stato è soggetto passivo generale di tutti i reati, esso nei delitti preveduti nel libro secondo, capo secondo" (65) "del C.P. è il soggetto passivo particolare, è la persona offesa, nel senso suddetto, dei reati testé citati, essendo il titolare dei beni giuridici specifici direttamente protetti da tali norme e che sono costituiti dagli interessi fondamentali della personalità dello Stato, attenendo essi alla inviolabilità del presente ordinamento politico, alla esistenza, alla incolumità e al decoro dei supremi organi dello Stato e al decoro della Nazione italiana.


Pertanto, poiché alla base della legittimazione attiva dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale, vi è

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(65) - Deve leggersi, evidentemente, "libro secondo, titolo secondo".


la natura plurioffensiva dell'illecito penale, il danno criminale subito dallo Stato-collettività trova la sua sanzione nella pena, mentre il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale direttamente causato dalla condotta criminosa, ossia il danno civile, viene ripartito" (66) "mediante le restituzioni o il risarcimento.


Tanto premesso e considerato che il titolare particolare del bene giuridico posto in pericolo dal reato di cui all'art. 305 C.P. è lo Stato, non può revocarsi in dubbio che chi lo rappresenta e, cioè, il Presidente del Consiglio dei Ministri, abbia il potere di agire per ottenere la riparazione non solo dei danni patrimoniali, ma anche di quelli non patrimoniali, posto che questi ultimi sono rappresentati, oltre che da sofferenze fisiche o psichiche, da turbamenti morali pregiudizievoli all'attività degli Enti pubblici, in genere, e dello Stato in particolare.


Pertanto correttamente è stata ammessa dai giudici di merito la Costituzione della Presidenza del Consiglio, ed emessa la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali..."




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(66) - Deve leggersi, evidentemente, "riparato".


Per quanto attiene alle parti civili private, `nulla quaestio', essendo i richiesti risarcimenti riferibili ai danni derivanti dalla morte di congiunti o dalle lesioni patite da congiunti rimasti coinvolti nell'esplosione, ovvero a lesioni riportate direttamente dai richiedenti, per effetto e a seguito dell'attentato.


Ai sensi dell'art. 187 II comma del Codice Penale, i condannati per il medesimo reato sono solidalmente obbligati al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale.


Più in generale, la norma posta dall'art. 2055 del Codice Civile obbliga in via solidale al risarcimento tutti gli imputati responsabili del capo 2) e dei capi 3), 4), 5), 6) ed 8) della rubrica, poiché -come si è visto- i fatti dannosi per i quali le domande di risarcimento sono proposte trovano causa rilevante ex art. 2043 del Codice Civile tanto nell'esistenza ed attività della banda armata quanto nell'attentato perpetrato alla stazione di Bologna, e sono dunque imputabili a tutti coloro che per i relativi reati riportano condanna, nulla rilevando che l'imputabilità discenda da distinti fatti illeciti e dalla violazione di norme giuridiche diverse (67).


Per quanto precede, gli imputati FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO, PICCIAFUOCO, CAVALLINI, SIGNORELLI, GIULIANI e RINANI, vanno condannati, in solido fra loro, al risarcimento dei danni -che, in assenza, allo stato degli atti, dei supporti necessari ai fini della quantificazione, dovranno essere liquidati nella competente separata sede civile- patiti dalle sottoelencate parti civili costituitesi nel procedimento n. 12/86 R.G.C.A.:


Presidenza del Consiglio dei Ministri (68), Ministero degli Interni (69), Ente Ferrovie dello Stato (70), assistite dagli Avv. Fausto BALDI e Francesco MENARINI;


Regione Emilia-Romagna (71), assistita dall'Avv. Guido CALVI;


Presidente dell'Amministrazione Provinciale della Provincia di Bologna (72), parte assistita dagli Avv. Umberto GUERINI e Achille MELCHIONDA;


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(67) - Cfr. Sezioni Unite civili, sent. n. 2156 del 28/5/75, A.N.A.S. c. Lentsch; Sez. III civile, sent. n. 3033 del 20/6/78, Angeli c. Ferretto; Sez. III civile, sent. n. 1708 del 24/3/79, Pretese c. Leone.
(68) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 95-96 e vu 28/3/88, pp. 17-18.
(69) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 95-96, vu 10/3/87, p42 e vu 28/3/88, pp. 17-18.
(70) - Cfr. nota (68).
(71) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 99-110 e vu 24/3/88, p19.
(72) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 114-124, vu 24/9/87, p12 e vu 17/3/88, p14.


Comune di Bologna (73), parte assistita dall'Avv. Giuseppe GIAMPAOLO;


AGRESTI Franco (74), CASTELLINA Pietro (75), BARANZONI Alessandro (76), ROTA Romeo (77), JURT Johann (78), BRUNO Marina (79), CHIARELLO Giuseppe (80), FUMARONI Lucia (81),


GAMBERINI Marina (82),GOVONI Sabina (83), GRECO Mario (84),


MORELLI Assunta (85),PONTI Mario (86),PROCINO Antonio (87),


RACANIELLO Margherita (88), SARCINA Ruggero (89), SOLAROLI

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(73) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 125-148, vu 23/9/87, pp. 168-169 e vu 25/3/88, p14.
(74)- Cfr. vu 19/1/87, pp. 169-173; DF, C1, p14; vu 14/3/88, p15.
(75) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 169-173; DF, C1, p9; vu 23/9/87, p116; vu 14/3/88, p15.
(76) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 169-173; DF, C1, p9; vu 23/9/87, p 117; vu 14/3/88, p15.
(77) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 169-173; DF, C1, p14 bis; vu 14/3/88, p15.
(78) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 532-535 bis; DF, C1, p4; vu 14/3/88, p15.
(79) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 212-216; DF, C1, p4; vu 14/3/88, p15.
(80) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 232-236; DF, C1, p17; vu 14/3/88, p15.
(81) - Cfr. vu 19/17/87, p283; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p134; vu 14/3/88, p15.
(82) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 298-302; DF, C1, p4; vu 14/3/88, p15.
(83) - Cfr. vu 19/1/87, p313; DF, C1, p14; vu 14/3/88, p15.
(84)- Cfr. vu 19/1/87, pp. 315-316; DF, C1, p4; vu 14/3/88, p15.
(85) -Cfr. vu 19/1/87, p365; DF, C1, p5; vu 14/3/88, p15.
(86) -Cfr. vu 19/1/87, p410; DF, C1, p76; vu 23/9/87, pp. 152-153; vu 14/3/88, p15.
(87) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 411-415; DF, C1, p5; vu 14/3/88, p15.
(88) -Cfr. vu 19/1/87, p424; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p154; vu 14/3/88, p15.
(89) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 448-452; DF, C1, p5; vu 23/9/87, p159; vu 14/3/88, p15.


Silvana (90), TEDESCHI Bruna(91), ZANASI Anello (92),


VACCARI Esterina (93),PASSINI Annita in ZARATTINI (94),


BERTASI Fulvio(95),DI PAOLA Francesco (96), DI PAOLA


Grazia(97), RAGUSA Maria (98), DI PAOLA Gaetano (99), DI

PAOLA Emilia (100), FRESU Salvatore (101), PILIU Rosina (102),


VACCARO Antonino (103), MARANGON Antonio (104), ZANELLATO Nella (105), MARANGON Gianni (106), MARANGON Guidina (107),
MARANGON Luigino (108), MANGANO Elvira (109), RUOZI Roberta (110),



* * * * *

(90) -Cfr. vu 19/1/87, p460; DF, C1, p17; vu 14/3/88, p15.
(91) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 475-478; DF, C1, p14 bis; vu 23/9/87, p163; vu 14/3/88, p15.
(92) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 500-504; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p166; vu 14/3/88, p15.
(93) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 500-504; vu 23/9/87, p167; vu 14/3/88, p16.
(94) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 541-543; vu 14/3/88, p16.
(95)-Cfr. vu 19/1/87, pp. 574-578; vu 22/9/87, p76; vu 14/3/88, p16.
(96) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 639-643; vu 14/3/88, p16.
(97) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(98) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota (96).
(99) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota (96).
(100)- Cfr. i riferimenti di cui alla nota (96).
(101) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 670-674; vu 22/9/87, p47; vu 14/3/88, p16.
(102) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 670-674; vu 22/9/87, p48; vu 14/3/88, p16.
(103) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 678-682; vu 22/9/87, p57; vu 14/3/88, p16.
(104) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 703-708; vu 14/3/88, p16.
(105) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 703-708; vu 22/9/87, p62; vu 14/3/88, p16.
(106) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 703-708; vu 22/9/87, p59; vu 14/3/88, p16.
(107) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 703-708; vu 22/9/87, p61; vu 14/3/88, p16.
(108) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 703-708; vu 22/9/87, p60; vu 14/3/88, p16. (109) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 740-744;vu 22/9/87,p50;vu 14/3/88, p16.
(110) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 773-777; vu 22/9/87, p90: vu 14/3/88, p16.


LENZI Giuseppina (111), PICCOLINI Lidia (112), ZANETTI


Daniela (113), DROUHARD Helene (114), SEKIGUCHI Jiro (115),


GURGO Francesco (116), DI MATTEO Grazia (117),DIOMEDE FRESA


Alessandra (118),DIOMEDE FRESA Vincenzo (119), BIRARDI


Giuseppe (120), PICCOLOElvira (121), LA SCALA Domenico (122),


LA SCALA Vincenzina (123), LA PIANA Filippa (124), OTTONI Osvaldo (125), SERRAVALLI Luigi (126), ZANOTTI Sonia (127), TINA Domenico (128), ROTUNNO Giuseppe (129), parti tutte assistite dall'Avv. Roberto MONTORZI;

CASTALDO Roberto (130); GRANDI Maria Teresa (131), COLLINA


* * * * *


(111) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 773-777; vu 14/3/88, p16.
(112) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 788-792; vu 22/9/87, p93; vu 14/3/88, p16.
(113) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 808-811; vu 23/9/87, p94; vu 14/3/88, 16.
(114) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 813-813 quinquies; vu 14/3/88, p16.
(115) -Cfr. vu 19/1/87, p814, vu 14/3/88, p16.
(116) -Cfr. vu 19/1/87, p555; vu 14/3/88, p16.
(117) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, p19; DF, C1, p4; vu 23/9/87, p129; vu 14/3/88, p16.
(118) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 21-24; vu 14/3/88, p17.
(119) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(120) -Cfr. iriferimenti di cui alla nota(118).
(121) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 25-30; vu 14/3/88, p17.
(122) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(123) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (121).
(124) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (121).
(125) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (121).
(126) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, p37; vu 22/9/87, p42; vu 14/3/88, p17.
(127) - Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 43-47; DF. C1, p26; vu 23/9/87, p173; vu 14/3/88, p17.
(128) -Cfr. vu 19/1/87, p485; DF, C1, p6; vu 23/9/87, p164; vu 14/3/88, p17.
(129) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 31-35; DF, C1, p5; vu 14/3/88, p17. (130) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 227-231; vu 23/9/87, pp. 122-123; vu 22/3/88, p16.
(131) -Cfr. vu 19/1/87,pp. 242-246; vu 22/9/87, p65; DF, C1, p3; vu 14/3/88, p16.


Giancarlo (132), PALAZZOLO Roberto (133),TEMPESTANicolò (134),


ZACCHIFranco (135), BOUDUBAN Damien (136), BASSO Delfino (137),


LAURO Rosanna (138),LAURO Maria Grazia (139), LAURO Aurora (140),


LAURO Gennaro(141),LAURO Giovanna(142),CECIPietro (143),


BALDACCI Anna (144), DE MARCHI Francesco Saverio (145), DE MARCHI MARIO Gaetano (146), DE MARCHI Angelo Valentino (147),


MONTANARI Romano (148), FUOCHI Esterina PETTENI (149), PROCELLI Rinaldo (150), PALAZZESCHI Ilda (151), RUOZI Onorio (152), RUOZI Valeria (153), AGOSTINI Giorgio (154),



* * * * *


(132)- Cfr. vu 19/1/87, pp. 222-246; DF, C1, p3; vu 22/3/88, p16.
(133) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 375-379; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p180; vu 22/3/88, p16.
(134) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 480-484; DF, C1, p11; vu 14/3/88, p16.
(135) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 515-519; DF, C1, p6; vu 14/3/88, p16.
(136) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 527-531; vu 22/3/88, p16.
(137) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 559-563; vu 22/9/87, p51; vu 22/3/88, p16.
(138) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 604-608; vu 22/3/88, p16.
(139) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(140) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (138).
(141)-Cfr. i riferimenti di cui alla nota (138).
(142) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 609-613; vu 22/3/88, p16.
(143) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 624-628; vu 22/3/88, p16.
(144) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(145) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 634-638; vu 22/9/87, p52; vu 22/3/88, p16.
(146) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 634-638; vu 22/3/88, p16.
(147) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 634-638; vu 22/9/87, p53; vu 22/3/88, p16.
(148) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 725-729; vu 22/9/87, p67; vu 22/3/88, p16.
(149) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 735-739; vu 22/3/88, p17.
(150) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 745-749; vu 22/3/88, p17. (151) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(152) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 763-767; vu 22/9/87, p91; vu 22/3/88, p17.
(153) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 768-772; vu 22/3/88, p17.
(154) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 816-820; vu 22/3/88, p17.


LAURO Patrizia (155), DALL'OLIO Raffaele (156), parti tutte assistite dall'Avv. Domenico PULITANO'; BEVILACQUA Angelo (157), BOLOGNESI Paolo (158), BOTTO Angelo (159),


CALZONI Ettore (160), COLAVITTI Antonio (161), DONATI Marisa (162),


FIORINI Alfredo (163), FIORINI Edmondo (164), GARUTI Roberta (165),


GOZZI Felice (166), LONGOBARDO Giorgio (167), MARANGONI Virginia (168), MASTRONICOLA Raffaele (169),MAZZETTI Gino (170),


NATALE Roberto (171), PASSINI Angelo (172), LENZI Valeria

* * * * *

(155) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 826-829; vu 22/9/87, p68; vu 22/3/88, p17.
(156) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 629-633; vu 22/3/88, p17.
(157) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 187-190; DF, C1, p17; vu 22/3/88, p13.
(158) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 197-200; DF, C1, p3; vu 22/9/87, p96; vu 22/3/88, p13.
(159) -Cfr. vu 19/1/87, p206; DF, C1, p3; vu 22/3/88, p13.
(160) -Cfr. vu 19/1/87, p217; DF, C1, p3; vu 23/9/87, p121; vu 22/3/88, p13.
(161) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 237-241; DF, C1, p20; vu 22/3/88, p13.
(162) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 262-266; DF, C1, p4; vu 22/3/88, p13.
(163) -Cfr. vu 19/1/87, p281; DF, C1, p29; vu 23/9/87, p132; vu 22/3/88, p13.
(164) -Cfr. vu 19/1/87, p282; DF, C1, p29; vu 23/9/87, p133; vu 22/3/88, p13.
(165) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 303-307; DF, C1, p26; vu 23/9/87, p136; vu 22/3/88, p13.
(166) -Cfr. vu 19/1/87, p314; DF, C1, p10; vu 23/9/87, p137; vu 22/3/88, p13.
(167) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 328-332; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p139; vu 22/3/88, p13.
(168) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 343-347; DF, C1, p4; vu 22/3/88, p13.
(169) - Cfr. vu 19/1/87, p348; DF, C1, pp. 4-5; vu 22/3/88, p13.
(170) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 350-354; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p181; vu 22/3/88, p13.
(171) - Cfr. vu 19/1/87, p374; DF, C1, p23; vu 22/9/87, p73; vu 22/3/88, p13.
(172) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 385-389; DF, C1, p5; vu 23/9/87, p156; vu 22/3/88, p13.


PASSINI (173), PITZALIS Clemente (174), POIRE' Lucia (175), PROVENZA Giuseppe (176), DALL'AQUILA Immacolata (177), SCARAMAGLI Vera (178), SCOLARI Benito (179), TROLESE Pasquale (180), TROLESE Chiara Elisa (181), TROLESE Andrea Pietro (182), ZINI Giovanni (183), ALES Giuseppe (184), ALES Giorgio (185), ALES Isidora (186), BUGAMELLI Luigi (187), INCERTI Adele (188), SICA Davide (189), ORSOLINI Grazia (190),


SICA Myriam (191), URTAMONTI Lida (192), BOSIO Eliseo (193), VACCARO Antonino (194), parti tutte assistite dall'Avv.


* * * * *


(173) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 385-389; vu 22/3/88, p13.
(174) -Cfr. vu 1971/87, pp. 399-403; vu 22/3/88, p13.
(175) -Cfr. vu 19/1/87, p409; DF, C1, p29; vu 23/9/87, p151; vu 22/3/88, p13.
(176) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 416-420; DF, C1, pp. 4-5; vu 22/9/87, p69; vu 22/3/88, p14.
(177) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 416-420; DF, C1, pp. 4-5; vu 22/3/88, p14.
(178) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 453-457; DF, C1, p5; vu 23/9/87, p160; vu 22/3/88, p14.
(179) -Cfr. vu 1971/87, p458; DF, C1, p20; vu 23/3/88, p14.
(180) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 491-496; vu 22/3/88, p14.
(181) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 491-496; DF, C1, p17; vu 22/3/88, p14.
(182) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 491-496; DF, C1, p11; vu 22/3/88, p14.
(183) -Cfr. vu 19/1/87, p526; DF, C1, p17; vu 22/9/87, p97; vu 22/3/88, p14.
(184) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 545-549; vu 22/3/88, p14.
(185) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(186) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (184).
(187) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 589-593; vu 22/3/88, p14.
(188) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 683-687; vu 22/9/87, p49; vu 22/3/88, p14.
(189) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 778-782; vu 22/3/88, p14.
(190) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(191) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (189).
(192) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, p38; vu 22/3/88, p14.
(193)-Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, p13; vu 22/3/88, p14.
(194)-Cfr. vu 19/1/87, pp. 678-682; vu 22/9/87, p57; vu 22/3/88, p14.


Paolo TROMBETTI,


DI VITTORIO Anna (195), GALATI Maria (196), parti assistite dall'Avv. Fausto TARSITANO;


RONDELLI Bruna (197), parte assistita dall'Avv. Federico BENDINELLI;


ERAGiuseppe (198),parte assistita dal Dottor Procurator Antonio SPINZO;


BALLERINI Alessandro (199), LANZONI Bruno (200), MAGISTRALE Maria in VERNI (201), MONTANI Luigi (202), MONTANI Anna Maria (203), SOLDANO Giuseppe (204), SPINELLO Giovanna (205),


ALGANON Florio Aldo (206), BAY Vittoria (207), CASADEI
Egidio (208), ZANOTTI Virginia (209), SPINELLO Luciana (210),


* * * * *


(195) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 652-656; vu 23/3/88, p14.
(196) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(197) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 426-428; DF, C1, p11; vu 23/9/87, p141; vu 24/3/88, p14.
(198) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 278-279; vu 23/9/87, p140; vu 24/3/88, p18.
(199) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 178-182; DF, C1, p9; vu 23/9/87, p178; vu 24/3/88, p20.
(200) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 318-322; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p138; vu 24/3/88, p20.
(201) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 333-337; DF, C1, p4; vu 24/3/88, p20.
(202) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 355-359; vu 24/3/88, p20.
(203) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(204) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 461-465; DF, C1, p23; vu 24/3/88, p20.
(205) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 466-469; vu 24/3/88, p20.
(206) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 550-554; vu 24/3/88, p20.
(207) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 550-554; vu 22/9/87, p44; vu 24/3/88, p20.
(208) -Cfr. vu 19/1/87, pp 614-618; vu 22/9/87, p79; vu 24/3/88, p20.
(209) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 614-618; vu 22/9/87, p80; vu 24/3/88, p20.
(210) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 619-622; vu 24/3/88, p20.


FORNASARI Otello (211), FORNASARI Ivonne (212), LAMBERTINI Giorgio (213), BIVONA Vincenzo (214), BIVONA Antonina (215), MARSARINelda (216), GAIOLA Manuela (217),GOZZITiberio (218),


ROVERI Gina (219), GOZZI Carlo (220), GOZZI Ivana (221), REMOLLINO Antonio (222), SECCI Torquato (223), VERDE Domenico (224), VERDE Gianni (225), VERDE Morena (226), POLIZZANO Maria (227), MARINO Giovanni (228), MARINO Anna Maria (229), ZANETTI Maria Grazia (230), parti tutte assistite dall Avv. Guido CALVI;




* * * * *




(211) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 665-669; vu 22/9/87, p82; vu 24/3/88, p20.
(212) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 665-669; vu 22/9/87, p83; vu 24/3/88, p20.
(213) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 665-669; vu 22/9/87, p84; vu 24/3/88, p20.
(214) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 578-583; vu 22/9/87, p64; vu 24/3/88, p20.
(215) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 578-583; vu 24/3/88, p20.
(216) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 675-679; vu 24/3/88, p20.
(217) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(218) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 688-692; vu 24/3/88, p21.
(219) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(220) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 688-692; vu 22/9/87, p86; vu 24/3/88, p21.
(221) -Cfr.iriferimenti dicuialla nota (218).
(222) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 750-754; vu 24/3/88, p21.
(223) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 783-787; vu 22/9/87, p92; vu 24/3/88, p21.
(224) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 798-802; vu 22/9/87, p66; vu 24/3/88, p21.
(225) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 798-802; vu 24/3/88, p21.
(226) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 798-802; vu 22/9/87, p63; vu 24/3/88, p21.
(227) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 831-835; vu 24/3/88, p21.
(228) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(229) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (227).
(230) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 39-42; vu 23/9/87, p174; vu 24/3/88, p21.


CAMPAGNA Giancarlo (231), MAFFEI Filomena (232), CAPRINI Corrado (233), CUOGHI Mirella (234), DEL MONTE Luigi (235), DRAGONETTI Maddalena (236), LA MORTE Rosa (237), GALLON Giorgio (238), GIBERTONI Beniamina (239), MANNOCCI Rolando (240),


PUCHEREliseo (241),PIZZIRANI Anna (242),TOSCHITeresa (243),


ZANETTI Umberto (244), LUSSEAU Yves Hervé Marie (245), BALDAZZI Danilo (246), BIAGETTI Luigi (247), MAGGESE Anna Maria (248), ZECCHI Vincenzo (249), EBNER Elisabetta (250),



* * * * *


(231) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 221-225; DF, C1, p3; vu 25/3/88, p15.
(232) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(233) - Cfr. vu 19/1/87, p226; DF, C1, p23; vu 25/3/88, p15.
(234) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 255-259; DF, C1, p9; vu 24/9/87, pp. 92-93; vu 25/3/88, p15.
(235) -Cfr. vu 19/1/87, p261; vu 23/9/87, p127; vu 25/3/88, p17.
(236) -Cfr. vu 19/1/87, p272; DF, C1, p20; vu 23/9/87, p131; vu 25/3/88, p15.
(237) -Cfr. vu 19/1/87, p277; DF, C1, p20; vu 25/3/88, p15.
(238) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 293-297; DF, C1, p4; vu 22/9/87, p75; vu 19/1/87, p15.
(239) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 308-312; DF, C1, p10; vu 25/3/88, p15.
(240) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 338-342; DF, C1, p10; vu 22/9/87, p85; vu 25/3/88, p15.
(241) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 421-423, DF, C1, p5; vu 25/3/88, p15.
(242) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 438-442; DF, C1, p14 bis; vu 25/3/88, p15.
(243) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 486-490; DF, C1, p11; vu 23/9/87, p165; vu 25/3/88, p15.
(244) -Cfr. vu 19/1/87, p520; DF, C1, p14 bis; vu 22/9/87, p58; vu 25/3/88, p15.
(245) -Cfr. vu 19/1/87, p536; DF, C1, p17; vu 25/3/88, p15.
(246) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 564-567; DF, C1, p17; vu 25/3/88, p15.
(247) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 569-573; vu 25/3/88, p25.
(248) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 584-588; vu 22/9/87, p77; vu 25/3/88, p15.
(249) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 594-598; vu 2279/87, p78; vu 25/3/88, p15.
(250) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 660-664; vu 25/3/88, p16.


LANCONELLI Pasquale (251), LANCONELLI Lina (252), LANCONELLI


Ersilia (253), MARINO Giuseppa (254), NATALI Gino (255), SEMINARA Alfio (256), parti tutte assistite dall'Avv. Giuseppe GIAMPAOLO;


ABBREVI Bruno (257), ABBREVI Patrizia (258), ADAMI Arga Maria (259), ANCILLOTTI Silvana (260), BARIONI Mario (261), BENGALA Moreno (262),BERTINI Tonino (263), GRAZIOTTO Pia (264),


BIASIN Alessandro (265), BONORI Luigi (266), BRACCIA Tonino (267),


COLONNA Maria Donata ABBREVI (268), COLONNA Porsia (269),


* * * * *


(251) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 693-697; vu 25/3/88, p16.
(252) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(253) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota (251).
(254) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 712-716; vu 25/3/88, p16.
(255) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 730-734; vu 2573/88, p16.
(256) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 793-796; vu 25/3/88, p16.
(257) - Cfr. vu 19/1/87, p157; DF, C1, p9; vu 23/9/87, p114; vu 25/3/88, p17.
(258) - Cfr. vu 19/1/87, p161; DF, C1, p9; vu 23/9/87, p115; vu 2573/88, p17.
(259) -Cfr. vu 19/1/87, p165; vu 23/9/87, p179; vu 25/3/88, p17.
(260) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 174-177; DF, C1, p3; vu 25/3/88, p17.
(261) -Cfr. vu 19/1/87, p183; Df, C1, p3; vu 25/3/88, p17.
(262) -Cfr. vu 19/1/87, p184; DF, C1, p20; vu 23/9/87, p118; vu 25/3/88, p17.
(263) -Cfr. vu 1971/87, p185; DF, C1, p9; vu 22/9/87, p99; vu 25/3/88, p17.
(264) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 192-196; DF, C1, pp. 3 e 4; vu 23/9/87, p124; vu 25/3/88, p17.
(265) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 192-196; DF, C1, p3; vu 23/9/87, p177; vu 25/3/88, p17.
(266) -Cfr. vu 19/1/87, p202; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p119; vu 25/3/88, p17.
(267) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 207-210; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p120; vu 25/3/88, p17.
(268) -Cfr. vu 19/1/87, p247; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p125; vu 2573788, p17.
(269) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 251-254; DF, C1, p14; vu 25/3/88, p17.


SALLUCE Palma (270), D'AGUANNO Goffredo Giuseppe (271), D'ORTA Vincenzo (272), DURANTE Francesco (273), TODARO Anna (274),


FRANCESCHELLI Fabio (275), GAGLIARDI Adriana (276), MAURI Antonio (277), MONTUSCHI Silvio (278), MOTT Silvio (279), NANETTI Nello (280), PASSARDI Maria Angela (281), PELLIZZOLA Franco (282), PETRONI GRANATA Luciano Mario (283), PIZZITOLA Pietro (284), ROMA Stefano (285), SACRATI Paolo (286), SANTINELLI Gianfranco (287), SELVA Walter (288), STEFANUTTI


* * * * *


(270) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 251-254; DF, C1, p11; vu 23/9/87, p126; vu 25/3/88, p17.
(271) - Cfr. vu 19/1/87, p260; DF, C1, p3; vu 23/9/87, p128; vu 25/3/88, p17.
(272) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 267-270; DF, C12, p26; vu 23/9/87, p130; vu 25/3/88, p17.
(273) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 273-276; DF, C1, p4; vu 22/9/87, p95; vu 25/3/88, p17.
(274) -Cfr. vu 19/1/87, p280; vu 25/3/88, p17.
(275) -Cfr. vu 19/1/87, p284; DF, C1, p17; vu 23/9/87, p135; vu 25/3/88, p17.
(276) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 288-292; DF, C1, p4; vu 25/3/88, p18.
(277) -Cfr. vu 19/1/87, p349; DF, C1, p20; vu 23/9/87, p147; vu 25/3/88, p18.
(278) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 360-364; DF, C1, p5; vu 25/3/88, p18.
(279) -Cfr. vu 19/1/87, p366; DF, C1, p14; vu 23/9/87, p145; vu 25/3/88, p18.
(280) -Cfr. vu 19/1/87, p370; DF, C1, p11; vu 23/9/87, p144; vu 25/3/88, p18.
(281) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 380-383; DF, C1, p14; vu 25/3/88, p18.
(282) -Cfr. vu 19/1/87, p390; DF, C1, p5; vu 23/9/87, p146; vu 25/3/88, p18.
(283) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 394-398; DF, C1, p5; vu 23/9/87, pp. 148-149; vu 25/3/88, p18.
(284) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 404-408; DF, C1, p5; vu 23/9/87, p150; vu 25/3/88, p18.
(285) -Cfr. vu 19/1/87, p425; DF, C1, p20; vu 23/9/87, p155; vu 25/3/88, p18.
(286) -Cfr. vu 19/1/87, p430; DF, C1, p14 bis; vu 25/3/88, p18.
(287) - Cfr. vu 19/1/87, pp. 443-446; DF, C1, p14 bis; vu 23/9/87, p158; vu 25/3/88, p18.
(288) -Cfr. vu 19/1/87, p459; DF, C1, p29; vu 23/9/87, p161; vu 25/3/88, p18.


Maria Teresa (289), VALLONA Giuliana (290), VIVARELLI Diana (291),


ALLIOT Jean Luc Christian Paul (292), MADER Horst (293), CAPRIOLI Enzo (294), BORDIGNON Francesca (295), CAPRIOLI Maria Cristina (296), ARLETTI Alma (297), LUGLI Carlo

Alberto (298), SACRATI Dario (299), SACRATI Piera (300), DAL
BUONO Irma RODA (301),RODA Giovanni (302), ZAPPALA' Ilario (303),


MITCHELL Henry Wilfred (304), BERLOT Armida (305), SANGUIN
Elisabetta (306), ZACCARELLI Maria Luisa (307), PATRUNO




* * * * *




(289) - Cfr. vu 19/1/87, p471; DF, C1, p5; vu 25/3/88, p18.
(290) -Cfr. vu 1971/87, pp. 505-509; DF, C1, p17; vu 25/3/88, p18.
(291) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 510-513; DF, C1, p17; vu 2573/88, p18.
(292) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 510-513; vu 2573788, p18.
(293) -Cfr. vu 19/1/87, p537; DF, C1, p14; vu 25/3/88, p18.
(294) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 599-603; vu 22/9/87, p56; vu 25/3/88, p18.
(295) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 599-603; vu 25/3/88, p18.
(296) -Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(297) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 698-702; vu 22/9/87, p87; vu 25/3/88, p18.
(298) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 698-702; vu 22/9/87, p88; vu 25/3/88, p18.
(299) -Cfr. vu 19/1/87, p717; vu 25/3/88, p18.
(300) -Cfr. vu 1971/87, p721; vu 22/9/87, p89; vu 25/3/88, p18.
(301) -Cfr. vu 19/1/87, p755; vu 22/9/87, p45; vu 25/3/88, p19.
(302) -Cfr. vu 19/1/87, p759; vu 22/9/87, p46; vu 25/3/88, p19.
(303) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 803-806; vu 25/3/88, p19.
(304) -Cfr. vu 19/1/87, p815, vu 22/9/87, p69; vu 25/3/88, p19.
(305) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 821-824; vu 22/9/87, p101; vu 25/3/88, p19.
(306) -Cfr. vu 2/3/87 proc. n. 12/86, p36; DF, C1, p14 bis; vu 23/9/87, p157; vu 25/3/88, p19.
(307) -Cfr. CPC, V1, C21; vu 19/1/87, p94; DF, C1, p6; vu 25/3/88, p19.


Alessandro (308), DELIA Anna (309), STASSI Maria (310),

BALDAZZI Alessandro (311), DE MARCHI Mario Gaetano (312), LOLLI Rossana (313), parti tutte assistite dall Avv.ssa Laura GRASSI.


Ai sensi dell'art. 489 III comma del Codice di rito, gli imputati condannati al risarcimento dei danni vanno altresì condannati alla rifusione, in favore delle costituite parti civili di cui sopra, delle spese di costituzione e difesa: spese che si reputa di dover liquidare -intendendosi le liquidazioni come comprensive di onorari di avvocato- secondo la richiesta, e cioè nella misura di £ 19.500.000 per le parti assistite dal'Avv. MONTORZI; di £ 19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. PULITANO'; di £ 19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. TROMBETTI; di £ 19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. TARSITANO; di £ 8.890.000 per la parte assistita dall'Avv. BENDINELLI; di £ 6.850.000 per la parte assistita dal Dott. Proc. SPINZO; di £

* * * * *


(308) -Cfr. CPC, V1, C60 e C62 bis; vu 19/1/87, p94; vu 25/3/88, p19.
(309) - Cfr. i riferimenti di cui alla nota che precede.
(310) -Cfr. CPC, V1, C47; vu 19/1/87, p94; vu 25/3/88, p19.
(311) -Cfr. CPC, V1, C47; vu 2/3/87 proc. n. 12/86, pp. 14-18; vu 25/3/88, p19.
(312) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 634-638; vu 25/3/88, p19.
(313) -Cfr. vu 19/1/87, pp. 323-327; vu 23/9/87, pp. 142-143; DF, C1, p4; vu 25/3/88, p19.


19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. CALVI; di £ 19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. GIAMPAOLO; di £ 19.500.000 per le parti assistite dall'Avv. GRASSI; di £ 37.000.000 per la parte assistita dagli Avv.ti GUERINI e MELCHIONDA; di £ 50.000.000 per le parti assistite dagli Avv.ti BALDI e MENARINI.


Non possono trovare accoglimento le richieste di risarcimento proposte in sede di conclusioni (314) da ALGANON Silvana, BURRI Angelo e SERRAVALLI Rosalia, trattandosi di persone che non risultano essersi validamente costituite parti civili.


Neppure può trovare accoglimento l'istanza di assegnazione di provvisionale proposta in favore di RONDELLI Bruna: le spese vive, relative a primi soccorsi ed alle necessarie curemediche, gravano in capo alla pubblica amministrazione sanitaria; e, per la parte del risarcimento che attiene a voci diverse, non si profila il carattere dell'urgenza.


Nel procedimento n. 2/87 R.G.C.A., gli imputati GELLI, PAZIENZA, MUSUMECI e BELMONTE vanno condannati, in solido

* * * * *


(314) - Cfr. vu 22/3/88, p14.


fra loro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili che si sono validamente costituite ed hanno concluso.


La liquidazione resta riservata alla competente separata sede civile, mancando in questa sede i supporti conoscitivi necessari ai fini della quantificazione. La condanna al risarcimento va disposta in favore dei calunniati FIORE Roberto (315), ROSSI Giovanni (316) ed AFFATIGATO Marco (317),


nonché in favore di GAROFOLI VALE Anna Antonia (318) e VALE

Umberto (319). Per queste ultime due parti l'accoglimento

della domanda va inteso come riferito al risarcimento dei danni che tali parti possano pretendere, `iure successionis', quali eredi del figlio VALE Giorgio, per i danni che lo stesso avrebbe potuto reclamare quale calunniato; nulla compete, `iure proprio', ai genitori del VALE, non risultando che ai medesimi sia derivato alcun danno personale, risarcibile ex artt. 185 del Codice Penale


* * * * *


(315) - Cfr. Cal., V7, C2, pp. 132-134; vu 2/3/87 proc. n. 2/87, p21; vu 31/3/88, p14.
(316)-Cfr. Cal. V7, C2, p173; vu 2/3/87 proc. n. 2/87, pp. 24-25; vu 31/3/87, pp. 15-17.
(317)-Cfr. Cal., V7, C2, pp. 117-118; vu 2/3/87 proc. n. 2/87, pp. 9-10; vu 31/3/87, pp. 18-20.
(318) - Cfr. Cal., V7, C2, p149; vu 2/3/87 proc. n. 2/87, pp. 28-29; vu 31/3/88, p13.
(319) -Cfr. Cal., V7, C2, pp. 158-159; vu 2/3/87 proc. n. 2/87, pp. 28-29; vu 31/3/88, p13.


e 2043 del Codice Civile, dal delitto di cui Giorgio VALE fu parte offesa: in particolare -secondo quello che risulta allo stato degli atti- non ne derivò la morte del figlio, posto che, appunto sulla scorta delle emergenze processuali, non è dato stabilire un nesso eziologico rilevante ex art. 2043 del Codice Civile fra le condotte di cui gli odierni imputati di calunnia vengono riconosciuti colpevoli ed il decesso del giovane terrorista (320).


Ai sensi dell'art. 489 III comma del Codice di rito, gli imputati condannati al risarcimento dei danni vanno altresì condannati alla rifusione, in favore delle costituite parti civili, delle spese di costituzione e difesa, che si reputa di dover liquidare come segue, intendendosi le liquidazioni comprensive di onorari di avvocato: in £ 3.000.000, per VALE Umberto e GAROFOLI VALE Anna Antonia; ed in £ 3.000.000 ciascuno per FIORE Roberto, ROSSI Giovanni e AFFATIGATO Marco.


Non ravvisandosi gli estremi dell'urgenza, non possono trovare accoglimento le istanze di assegnazione di


* * * * *

(320) - Per le circostanze di tale decesso, cfr. gli atti citati sub 1.5.11), nota (96). provvisionali proposte nel procedimento n. 2/87.

PARTE TERZA: DISPOSITIVO


P. Q. M.


Visti gli articoli rubricati, gli articoli 483, 479 e 477 C.P.P., nonché gli articoli 72, 81 cpv., 99 e 157 ss. C.P.,


A)dichiara FACHINI Massimiliano, FIORAVANTI Giuseppe Valerio, MAMBRO Francesca e PICCIAFUOCO Sergio colpevoli dei delitti di strage e di omicidio plurimo aggravato contestati nei capi 3) e 4) dell'imputazione;


dichiara i primi tre imputati colpevoli del delitto di banda armata loro contestato e di quelli di cui ai capi 5), 6) ed 8) della rubrica, e li condanna, per i reati di cui ai capi 3) e 4), ciascuno alla pena dell'ergastolo, e per gli altri reati, uniti dal vincolo della continuazione, il FACHINI e la MAMBRO alla pena di anni 15 di reclusione ed il FIORAVANTI, con la contestata recidiva, alla pena di anni 16 di reclusione, e così, complessivamente, per tutti i reati, il FACHINI e la MAMBRO alla pena dell'ergastolo con l'isolamento diurno per anni 1 (uno) ed il FIORAVANTI alla pena dell'ergastolo con l'isolamento diurno per anni 1 (uno) e mesi 1 (uno);


dichiara inoltre il PICCIAFUOCO colpevole del delitto di partecipazione a banda armata -così modificata nei suoi confronti l'originaria imputazione di cui al capo 2) - e di quelli di cui ai capi 5), 6) ed 8) della rubrica, e lo condanna, per i reati di cui ai capi 3) e 4), alla pena dell'ergastolo, e per gli altri reati, uniti dal vincolo della continuazione, con la contestata recidiva -esclusa la specificità- alla pena di anni 12 (dodici) di reclusione e £ 1.200.000 di multa, e così complessivamente, per tutti i reati, alla pena dell'ergastolo, con l'isolamento diurno per mesi 8 (otto) e £ 1.200.000 di multa;


visto l'articolo 36 C.P.,


ordina la pubblicazione della presente sentenza, per estratto ed a spese dei condannati, mediante affissione nei Comuni di Bologna, Padova, Roma ed Osimo; ne ordina altresì la pubblicazione, per una volta, per estratto ed a spese dei condannati, sui quotidiani 'Il Resto del Carlino' e 'la Repubblica';


B) assolve SIGNORELLI Paolo dal delitto di strage (capo 3) e
da quelli di cui ai capi 4), 5), 6) ed 8) della rubrica, per insufficienza di prove; lo dichiara responsabile del delitto di banda armata (capo 2 dell'imputazione) e lo condanna alla pena di anni 12 (dodici) di reclusione;


C) assolve RINANI Roberto dal delitto di strage (capo 3 dell'imputazione), nonché da quelli di cui ai capi 4), 5), 6) ed 8), per insufficienza di prove;lo dichiara colpevole del delitto di partecipazione a banda armata


-così modificata nei suoi confronti l'originaria imputazione di cui al capo 2)- e lo condanna alla pena di anni 6 (sei) di reclusione;


D) dichiara non doversi procedere nei confronti di FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO, SIGNORELLI, PICCIAFUOCO e RINANI in ordine al delitto di cui al capo 7) dell'imputazione, perché estinto per prescrizione;


E) dichiara GIULIANI Egidio e CAVALLINI Gilberto colpevoli del delitto loro ascritto e condanna il primo, con la contestata recidiva, alla pena di anni 10 (dieci) ed il secondo alla pena di anni 13 (tredici) di reclusione;


F)assolve RAHO Roberto e MELIOLI Giovanni dal delitto loro
ascritto per insufficienza di prove, e IANNILLI Marcello dal delitto ascrittogli per non aver commesso il fatto;


G) dichiara non doversi procedere nei confronti di HUBEL Klaus Friederik in ordine al delitto ascrittogli, perché estinto per intervenuta amnistia (art. 1 D.P.R. 16/12/1986, n. 865);


H) assolve dal delitto di associazione eversiva ex art. 270 bis C.P.:


GELLI Licio, PAZIENZA Francesco, MUSUMECI Pietro, BELMONTE Giuseppe, SIGNORELLI Paolo, FACHINI Massimiliano, DELLE CHIAIE Stefano, BALLAN Marco e TILGHER Adriano, per insufficienza di prove;


assolve inoltre dallo stesso delitto DE FELICE Fabio e GIORGI Maurizio, per non aver commesso il fatto;


I) dichiara GIORGI Maurizio colpevole dei delitti di cui ai capi 10), 11) e 12) dell'imputazione, uniti dal vincolo della continuazione, ed, esclusa la recidiva, lo condanna alla pena di anni 3 (tre) di reclusione e £ 4.000.000 di multa; visto l'art. 6 D.P.R. 16/12/1986 n. 865, dichiara la pena detentiva condonata nella misura di anni 2 (due)
di reclusione e la pena pecuniaria condonata per intero;


L) dichiara non doversi procedere nei confronti di PICCIAFUOCO Sergio in ordine al delitto di cui al capo 13) dell'imputazione, perché estinto per intervenuta prescrizione;


M) dichiara GELLI Licio, PAZIENZA Francesco, MUSUMECI Pietro e BELMONTE Giuseppe colpevoli del delitto di calunnia pluriaggravata loro contestato nel procedimento n. 2/87 R.G.C.A. -precisata l'imputazione nel senso che la condotta è cessata entro l'agosto 1981- e li condanna ciascuno alla pena di anni 10 (dieci) di reclusione; dichiara le pene sopra inflitte al MUSUMECI, al BELMONTE ed al PAZIENZA condonate nella misura di anni 3 (tre) di reclusione (D.P.R. 18/12/1981 n. 744 e D.P.R. 16/12/1986 n. 865) e quella inflitta al GELLI condonata nella misura di anni 5 (cinque) di reclusione (D.P.R. n. 744 citato e art. 6, IV comma D.P.R. n. 865);


N) visto l'art. 488 C.P.P., condanna FACHINI, FIORAVANTI, MAMBRO, PICCIAFUOCO, SIGNORELLI, RINANI, GIULIANI, CAVALLINI, GIORGI, MUSUMECI, BELMONTE, PAZIENZA e GELLI
al pagamento, in solido, delle spese processuali;


O)visto l'art. 274 C.P.P., condanna gli imputati testé nominati -escluso il GELLI- al pagamento, ciascuno per quanto gli compete, delle spese di mantenimento in carcere relative ai rispettivi periodi di custodia cautelare;


P) visti gli artt. 29 e 32 C.P.,


dichiara tutti gli imputati di cui al capo N) -escluso il

GIORGI- interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonché, durante l'espiazione della pena, interdetti legalmente e decaduti dalla potestà di genitori;


Q) visto l'art. 9 D.P.R. 18/12/1981 n. 744, dichiara condonate per intero le pene accessorie dell'interdizione legale e della decadenza dalla potestà di genitori inflitte al MUSUMECI, al BELMONTE, al PAZIENZA ed al GELLI;


R) visto l'art. 576 C.P.P.,


ordina l'immediata liberazione di DE FELICE Fabio e l'immediata scarcerazione di DELLE CHIAIE Stefano, se non siano detenuti o sottoposti al regime degli arresti
domiciliari per altra causa;


revoca gli obblighi imposti a IANNILLI Marcello con ordinanza di questa Corte in data 12/3/1987, così come modificati con successiva ordinanza 19/10/1987;


revoca gli obblighi imposti a MELIOLI Giovanni con ordinanza di questa Corte in data 28/2/1987, così come modificati con successiva ordinanza 27/5/1987;


S) visti gli artt. 272 e 275 C.P.P.,


ordina l'immediata scarcerazione di RINANI Roberto, se non sia detenuto o sottoposto al regime degli arresti domiciliari per altra causa;


T) visto l'art. 272 C.P.P.,


ordina la cattura di PAZIENZA Francesco per il delitto di calunnia pluriaggravata di cui al procedimento n. 2/87 R.G.C.A.;


U) visto l'art. 260 C.P.P.,


revoca il mandato di cattura del Giudice Istruttore n. 119/85, in data 10/12/1985, limitatamente agli imputati GELLI Licio, MUSUMECI Pietro, BELMONTE Giuseppe, DE FELICE Fabio, PAZIENZA Francesco, RAHO Roberto, IANNILLI
Marcello, DELLE CHIAIE Stefano;


revoca altresì il mandato di cattura del Giudice Istruttore n. 126/85 del 20/12/1985, emesso nei confronti di MELIOLI Giovanni;


V) visto l'art. 240 C.P.,


ordina la confisca della pistola, del caricatore e relative pallottole, del silenziatore e dei proiettili sequestrati il 16/4/1982 nell'abitazione di PALLADINO Carmine (cfr. verbale sequestro, in Perquisizioni B, Vol. I, Cart. 5, pp. 5 e 6);


Z)visto l'art. 489 I e II comma C.P.P.,


condanna gli imputati FACHINI Massimiliano, FIORAVANTI Giuseppe Valerio, MAMBRO Francesca, SIGNORELLI Paolo, PICCIAFUOCO Sergio, RINANI Roberto, GIULIANI Egidio, CAVALLINI Gilberto, in solido fra loro, al risarcimento dei danni -da liquidarsi in separata sede civile- patiti da tutte le parti civili costituitesi nel procedimento penale n. 12/86 R.G.C.A., così come sotto elencate:


AGRESTI Franco, CASTELLINA Pietro, BARANZONI Alessandro, ROTA Romeo, JURT Johann, BRUNO Marina, CHIARELLO
Giuseppe, FUMARONI Lucia, GAMBERINI Marina, GOVONI Sabina, GRECO Mario, MORELLI Assunta, PONTI Mario, PROCINO Antonio, RACANIELLO Margherita, SARCINA Ruggero, SOLAROLI Silvana, TEDESCHI Bruna, ZANASI Anello, VACCARI Esterina, PASSINI Annita in ZARATTINI, BERTASI Fulvio, DI PAOLA Francesco, DI PAOLA Grazia, RAGUSA Maria, DI PAOLA Gaetano, DI PAOLA Emilia, FRESU Salvatore, PILIU Rosina, VACCARO Antonino, MARANGON Antonio, ZANELLATO Nella, MARANGON Gianni, MARANGON Guidina, MARANGON Luigino, MANGANO Elvira, RUOZI Roberta, LENZI Giuseppina, PICCOLINI Lidia, ZANETTI Daniela, DROUHARD Helene, SEKIGUCHI Jiro, GURGO Francesco, DI MATTEO Grazia, DIOMEDE FRESA Alessandra, DIOMEDE Fresa Vincenzo, BIRARDI Giuseppe, PICCOLO Elvira, LA SCALA Domenico, LA SCALA Vincenzina, LA SCALA Giuseppe, LA PIANA Filippa, OTTONI Osvaldo, SERRAVALLI Luigi, ZANOTTI Sonia, TINA Domenico, ROTUNNO Giuseppe, tutte assistite dall'Avv. Roberto MONTORZI;


CASTALDO Roberto, GRANDI Maria Teresa, COLLINA Giancarlo, PALAZZOLO Roberto, TEMPESTA Nicolò, ZACCHI Franco,
BOUDUBAN Damien, BASSO Delfino, LAURO Rosanna, LAURO Maria Grazia, LAURO Aurora, LAURO Gennaro, LAURO Giovanna, CECI Pietro, BALDACCI Anna, DE MARCHI Francesco Saverio, DE MARCHI Mario Gaetano, DE MARCHI Angelo Valentino, MONTANARI Romano, FUOCHI Esterina PETTENI, PROCELLI Rinaldo, PALAZZESCHI Ilda, RUOZI Onorio, RUOZI Valeria, AGOSTINI Giorgio, LAURO Patrizia, DALL'OLIO Raffaele, tutte assistite dall'Avv. Domenico PULITANO';


BEVILACQUA Angelo, BOLOGNESI Paolo, BOTTO Angelo, CALZONI Ettore, COLAVITTI Antonio, DONATI Marisa, FIORINI Alfredo, FIORINI Edmondo, GARUTI Roberta, GOZZI Felice, LONGOBARDO Giorgio, MARANGONI Virginia, MASTRONICOLA Raffaele, MAZZETTI Gino, NATALE Roberto, PASSINI Angelo, LENZI Valeria PASSINI, PITZALIS Clemente, POIRE' Lucia, PROVENZA Giuseppe, DALL'AQUILA Immacolata, SCARAMAGLI Vera, SCOLARI Benito, TROLESE Pasquale, TROLESE Chiara Elisa, TROLESE Andrea Pietro, ZINI Giovanni, ALES Giuseppe, ALES Giorgio, ALES Isidora, BUGAMELLI Luigi, INCERTI Adele, SICA Davide, ORSOLINI Grazia, SICA Myriam, URTAMONTI Lida, BOSIO Eliseo, VACCARO Antonino, tutte
assistite dall'Avv. Paolo TROMBETTI;


DI VITTORIO Anna, GALATI Maria, assistite dall'Avv. Fausto TARSITANO;


RONDELLI Bruna, assistita dall'Avv. Federico BENDINELLI;


ERA Giuseppe, assistito dal Dott. Proc. Antonio SPINZO;


BALLERINI Alessandro, LANZONI Bruno, MAGISTRALE Maria in VERNI, MONTANI Luigi, MONTANI Anna Maria, SOLDANO Giuseppe, SPINELLO Giovanna, ALGANON Florio Aldo, BAY Vittoria, CASADEI Egidio, ZANOTTI Virginia, SPINELLO Luciana, FORNASARI Otello, FORNASARI Ivonne, LAMBERTINI Giorgio, BIVONA Vincenzo, BIVONA Antonina, MARSARI Nelda, GAIOLA Manuela, GOZZI Tiberio, ROVERI Gina, GOZZI Carlo, GOZZI Ivana, REMOLLINO Antonio, SECCI Torquato, VERDE Domenico, VERDE Gianni, VERDE Morena, POLIZZANO Maria, MARINO Giovanni, MARINO Anna Maria, ZANETTI Maria Grazia, tutte assistite dall'Avv. Guido CALVI;


CAMPAGNA Giancarlo, MAFFEI Filomena, CAPRINI Corrado, CUOGHI Mirella, DEL MONTE Luigi, DRAGONETTI Maddalena, LA MORTE Rosa, GALLON Giorgio, GIBERTONI Beniamina, MANNOCCI Rolando, PUCHER Eliseo, PIZZIRANI Anna, TOSCHI Teresa,
ZANETTI Umberto, LUSSEAU Yves Hervé Marie, BALDAZZI Danilo, BIAGETTI Luigi, MAGGESE Anna Maria, ZECCHI Vincenzo, EBNER Elisabetta, LANCONELLI Pasquale, LANCONELLI Lina, LANCONELLI Ersilia, MARINO Giuseppa, NATALI Gino, SEMINARA Alfio, tutte assistite dall'Avv. Giuseppe GIAMPAOLO;


ABBREVI Bruno, ABBREVI Patrizia, ADAMI Arga Maria, ANCILLOTTI Silvana, BARIONI Mario, BENGALA Moreno, BERTINI Tonino, GRAZIOTTO Pia, BIASIN Alessandro, BONORI Luigi, BRACCIA Tonino, COLONNA Maria Donata ABBREVI, COLONNA Porsia, SALLUCE Palma, D'AGUANNO Goffredo Giuseppe, D'ORTA Vincenzo, DURANTE Francesco, TODARO Anna, FRANCESCHELLI Fabio, GAGLIARDI Adriana, MAURI Antonio, MONTUSCHI Silvia, MOTT Silvio, NANETTI Nello, PASSARDI Maria Angela, PELLIZZOLA Franco, PETRONI GRANATA Luciano Mario, PIZZITOLA Pietro, ROMA Stefano, SACRATI Paolo, SANTINELLI Gianfranco, SELVA Walter, STEFANUTTI Maria Teresa, VALLONA Giuliana, VIVARELLI Diana, ALLIOT Jean Luc Christian Paul, MADER Horst, CAPRIOLI Enzo, BORDIGNON Francesca, CAPRIOLI Maria Cristina, ARLETTI
Alma, LUGLI Carlo Alberto, SACRATI Dario, SACRATI Piera, DAL BUONO Irma RODA, RODA Giovanni, ZAPPALA' Ilario, MITCHELL Henry Wilfred, BERLOT Armida, SANGUIN Elisabetta, ZACCARELLI Maria Luisa, PATRUNO Alessandro, DELIA Anna, STASSI Maria, BALDAZZI Alessandro, DE MARCHI Mario Gaetano, LOLLI Rossana, tutte assistite dall'Avv. Laura GRASSI;


COMUNE di Bologna, assistito dall'Avv. Giuseppe GIAMPAOLO;


Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Bologna, assistito dagli Avv.ti Umberto GUERINI e Achille MELCHIONDA;


REGIONE Emilia-Romagna, assistita dall'Avv. Guido CALVI;


Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Interni, ENTE FERROVIE DELLO STATO, assistiti dagli Avv.ti Fausto BALDI e Francesco MENARINI;


visto l'art. 489 III comma C.P.P.,


condanna inoltre gli imputati sopra indicati alla rifusione delle spese di costituzione e difesa delle parti civili costituite di cui sopra, che liquida come
segue:


per le parti assistite dall Avv. MONTORZI in £ 19.500.000;


per le parti assistite dall'Avv. PULITANO' in £ 19.500.000;


per le parti assistite dall'Avv. TROMBETTI in £ 19.500.000;


per le parti assistite dall'Avv. TARSITANO in £ 19.500.000;


per la parte assistita dall'Avv. BENDINELLI in £ 8.890.000;


per la parte assistita dal Dott. Proc. SPINZO in £ 6.850.000;


per le parti assistite dall'Avv. CALVI in £ 19.500.000;


per le parti assistite dall'Avv. GIAMPAOLO in £ 19.500.000;


per le parti assistite dall'Avv. GRASSI in £ 19.500.000;


per la parte assistita dagli Avv.ti GUERINI e MELCHIONDA in £ 37.000.000;


per le parti assistite dagli Avv.ti BALDI e MENARINI in £
50.000.000;


liquidazioni tutte comprensive di onorari di avvocato;


A1) visto l'art. 489 I e II comma C.P.P.,


condanna gli imputati GELLI Licio, PAZIENZA Francesco, MUSUMECI Pietro e BELMONTE Giuseppe, in solido fra loro, al risarcimento dei danni -da liquidarsi in separata sede civile- patiti da tutte le parti civili VALE Giorgio, GAROFOLI VALE Anna Antonia, FIORE Roberto, ROSSI Giovanni ed AFFATIGATO Marco, costituitesi nel procedimento penale n. 2/87 R.G.C.A.;


visto l'art. 489 III comma C.P.P., condanna i medesimi imputati alla rifusione delle spese di costituzione e difesa delle dette parti civili, che liquida come segue: per VALE e GAROFOLI VALE in £ 3.000.000; per FIORE, ROSSI ed AFFATIGATO, in £ 3.000.000 ciascuno;


liquidazioni tutte comprensive di onorari di avvocato;


B1) visto l'art. 489 bis C.P.P.,


rigetta le istanze di assegnazione di provvisionale formulate in favore di VALE, GAROFOLI VALE, FIORE, ROSSI ed AFFATIGATO.


Bologna, 11/7/1988 Il Presidente
(dott. Mario ANTONACCI)


Il Giudice estensore
(dott. Alberto ALBIANI)







Il Direttore di Sezione

(D. Carioti)




DEPOSITATA IN CANCELLERIA OGGI 27/4/1989


IL DIRETTORE DI SEZIONE
(Domenico Carioti)


Sentenza appellata in data 14/7/1988 dalla Procura della Repubblica di Bologna nella persona del Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Libero MANCUSO nei confronti dei seguenti imputati:

SIGNORELLI Paolo;
RINANI Roberto;
RAHO Roberto;
MELIOLI Giovanni;
GELLI Licio;
MUSUMECI Pietro;
BELMONTE Giuseppe;
DE FELICE Fabio;
FACHINI Massimiliano;
DELLE CHIAIE Stefano;
TILGHER Adriano;
BALLAN Marco;
GIORGI Maurizio;
PAZIENZA Francesco;

impugnata mediante ricorso per Cassazione il 14/7/1988 dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna nella persona dell'avv. Francesco MENARINI nei confronti degli imputati:

SIGNORELLI Paolo;
RINANI Roberto;
RAHO Roberto;
MELIOLI Giovanni;
IANNILLI Marcello;
GELLI Licio;
PAZIENZA Francesco;
MUSUMECI Pietro;
BELMONTE Giuseppe;
SIGNORELLI Paolo;
FACHINI Massimiliano;
DELLE CHIAIE Stefano;
BALLAN Marco;
TILGHER Adriano;
DE FELICE Fabio;
GIORGI Maurizio;


impugnata mediante ricorso per Cassazione in data 14/7/1988 dalle parti civili SECCI Torquato, DALL'OLIO Raffaele, GALLON Giorgio, GAMBERINI Marina;


appellata dalla Procura Generale in data 21/7/1988 nella persona Generale dott. Franco QUADRINI nei confronti dei seguenti imputati:

SIGNORELLI Paolo;
RINANI Roberto;
RAHO Roberto;
MELIOLI Giovanni;
GELLI Licio;
MUSUMECI Pietro;
BELMONTE Giuseppe;
DE FELICE Fabio;
FACHINI Massimiliano:
DELLE CHIAIE Stefano;
TILGHER Adriano;
BALLAN.Marco;
GIORGI Maurizio;
PAZIENZA Francesco;


appellata in data 11/7/1988 dall'avv. Germano SANGERMANO difensore di BALLAN Marco;

in data 11/7/1988 dall'avv. Filippo Piero VINCENZI ed il 13/7/1988 dall'avv. Patrizia SPINELLI difensori di BELMONTE Giuseppe, in data 13/7/1988 dall'imputato BELMONTE Giuseppe;

in data 13/7/1988 dall'avv. Francesco BONA difensore di CAVALLINI Gilberto ed in pari data dall'imputato CAVALLINI;

in data 11/7/1988 dall'avv. Stefano MENICACCI e dall'avv. Giuseppe PISAURO difensori di DELLE CHIAIE Stefano;

in data 11/7/1988 dall'avv. Marcantonio BEZICHERI ed il 12/7/1988 dall'avv. Andrea VASSALLO difensori di FACHINI Massimiliano, il 12/7/1988 dall 'imputato FACHINI;

in data 12/7/1988 dall'avv. Adriano CERQUETTI difensore di FIORAVANTI Valerio e il 13/7/1988 dall'imputato FIORAVANTI;

in data 11/7/1988 dall'avv. Gianni CORREGGIARI e dall'avv. Fabio DEAN difensori di GELLI Licio;

in data 12/7/1988 dall'avv. Ugo LENZI difensore di GIORGI Maurizio e dall'imputato GIORGI;

in data 12/7/1988 dall'imputato GIULIANI Egidio ed il 13/7/1988 dall'avv. Giosuè Bruno NASO difensore dell'imputato GIULIANI;

in data 19/9/1988 dall'avv. Marcantonio BEZICHERI difensore di HUBEL Klaus Friedrik;

in data 12/7/1988 dall'avv. Adriano CERQUETTI difensore di MAMBRO Francesca ed in pari data dall'imputata MAMBRO;

in data 12/7/1988 dall'imputato MELIOLI Giovanni;

in data 11/7/1988 dall'imputato MUSUMECI Pietro ed il 12/7/1988 dall'avv. Luigi BACHERINI difensore dell'imputato MUSUMECI;

in data 11/7/1988 dall'avv. Giuseppe DE GORI e avv. Scipione DEL VECCHIO difensori di PAZIENZA Francesco, il 13/7/1988 dall'avv. Scipione DEL VECCHIO presso la Pretura di La Spezia;

in data 11/7/1988 dall'avv. Marcantonio BEZICHERI dall'avv. Antonio LISI difensori di PICCIAFUOCO Sergio, 12/7/1988 dall'imputato PICCIAFUOCO;

in data 12/7/1988 dall'avv. Ugo LENZI difensore di RAHO Roberto;

in data 11/7/1988 dall'avv. Giuseppe GASPARDINI difensore di RINANI Roberto ed il 12/7/1988 dall'imputato RINANI;

in data 14/7/1988 dall'avv. Gianfranco BORDONI SIGNORELLI Paolo;
in data 12/7/1988 dall'imputato TILGHER Adriano.



IL DIRETTORE DI SEZIONE
(D. CARIOTI)






Sentenza passata in giudicato per Iannilli Marcello il 26/9/I988 (*)

IL DIRETTORE DI SEZIONE
(Domenico Carioti)




La Corte d'Assise d'Appello di Bologna con sentenza emessa il 18/7/1990, visti
gli artt.202, 207, 209, 523 C.P.P./1930; 192, 530 C.P.P./1988; 245, 254 D.L. N.271 del 1989; 1 e segg. D.P.R. 18/12/1981 n. 744 e D.P.R. 16/12/86 n. 865,

ha:così deciso:

1) dichiara manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale della normativa concernente i termini per la presentazione dei motivi di impugnazione;

2) dichiara inammissibile per mancata notifica alle altre parti ed omessa presentazione dei motivi la impugnazione proposta dalle parti civile private Secci Torquato, Dall'Olio Raffaela, Gallon Giorgio, Gamberini Marina avverso la sentenza della Corte di Assise di Bologna in data 11/7/1988 e condanna gli stessi alle spese cui hanno dato causa;

3) dichiara inammissibile per rinuncia l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica nei confronti di Raho Roberto avverso la suddetta sentenza; dichiara, altresì, inammissibile l'appello proposto dal Procuratore Generale nei confronti della stesso Raho per omessa presentazione dei motivi;

4) dichiara inammissibile l'appello proposto dal Procuratore Generale nei confronti di Giorgi Maurizio per omessa presentazione dei motivi;

5) dichiara inammissibile l'appello proposto da Huber Klaus Friedrik e di Raho Roberto per omessa presentazione dei motivi e condanna ciascuno al pagamento delle spese cui ha dato causa;

in parziale riforma della medesima sentenza,

ASSOLVE

6) Gelli Licio, Musumeci Pietro, Belmonte Giuseppe, Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Delle Chiaie Stefano, Tilgher Adriano, Ballan Marco, Giorgi Maurizio e De Felice Fabio dal delitto di cui all' art. 270 bis C.P. perchè il fatto non sussiste;

ASSOLVE

7) il Signorelli, il Fachini, il Rinani, Melioli Giovanni e Picciafuoco Sergio dal delitto di cui all' art. 306 C .P. per non aver commesso il fatto;

ASSOLVE

8) il Signorelli, il Fachini, il Rinani, il Picciafuoco, Fioravanti Giuseppe Valerio e Mambro Francesca dai delitti di cui ai nn. 3 (strage), 4 (omicidio plurimo), 5 (collocazione di ordigno esplosivo), 6 (lesioni volontarie plurime), 8 (attentato a impianto di pubblica utilità), per non aver commesso il fatto;

ASSOLVE

9) Gelli Licio e Pazienza Francesco dal delitto di concorso in calunnia aggravata per non aver commesso il fatto;

10) concesse a Giorgi Maurizio attenuanti generiche in ordine ai delitti già unificati per continuazione, di cui ai nn. 10, 11 e 12 della rubrica, riduce la pena al medesimo inflitta ad anni 2 di reclusione e £. 1.000.000 di multa; pena interamente condonata;

11) nei comront1 di Fioravanti Giuseppe Valerio, Mambro Francesca, Cavallini Gilberto e Giuliani Egidio, in conseguenza delle statuizioni assolutorie di cui sopra

DETERMINA

la pena, in ordine al delitto di concorso in banda armata, come segue:

a) Fioravanti Giuseppe Valerio, anni 13 di reclusione;

b) Mambro Francesca, anni 12 di reclusione;

c) Cavallini Gilberto, anni 11 di reclusione;

d) Giuliani Egidio, anni 8 di reclusione;

12) quanto al reato di concorso in calunnia pluriaggravata ascritto al Musumeci ed al Belmonte, esclusi l'aggravante speciale di cui all'art. 1 L.6/2/1980 n.15, e ritenuta la continuazione con i reati in ordine ai quali i medesimi hanno riportato condanna irrevocabile con sentenza 14/3/86 della Corte di Assise di Appello di Roma, rispettivamente alla pena di anni 3, mesi 11, giorni 15 di reclusione e £. 1.200.000 di multa ed alla pena. di anni 3, mesi 5, giorni 15 di reclusione e £.1.000.000 di multa.

AUMENTA

dette pene di anni 3 di reclusione; e conseguentemente,

DETERMINA

unitariamente la pena, quanto al Musumeci, in anni 6, mesi 11 e giorni 15 di reclusione e £. 1.200.000 di multa e, quanto al Belmonte, in anni 6, mesi 5, giorni 15 di reclusione e £. 1.000.000 di multa;

DICHIARA

detta pena condonata nella misura di anni 3 di reclusione;


conferma nel resto e condanna

13) il Fioravanti, la Mambro, il Cavallini ed il Giuliani, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, daliquidarsi in separata sede, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, limitatamente al delitto di banda armata; nonchè alla rifusione delle spese sostenute da detta parte civile, per entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano complessivamente in £.20.000.000 per onorari di difesa, con aggiunta delle spese prenotate a debito;

condanna inoltre,

14) il Belmonte ed il Musumeci, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalle parti civili Vale Giorgio, Garolfi Vale Anna Antonia, Fiore Roberto. Rossi Giovanni ed Affatigato Marco; spese che si liquidano, quanto alla difesa del Vale e della Garolfi, in £.3.000.000 per onorario; quanto alla difesa di Affatigato e Rossi, in £.1.000.000 per onorari; e quanto, infine, alla difesa di Fiore, in lire 1.160.000 di cui £.1.000.000 per onorari; al netto di I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati;

15) rigetta le proposte istanze di concessione di provvisionale;

16) revoca le misure disposte ai sensi dell'art.272 C.P.P./1930 nei confronti del Signorelli e del Fachini con ordinanza di questa Corte in data 13/2/90;
e nei confronti del Picciafuoco con ordinanza in data 16/7/90 dell 1° Corte di Assise di Appello di Bologna;

17) rimette alla Corte di Cassazione il giudizio relativo al ricorso, non convertito in appello, proposto dall'Avvocato dello stato nei confronti di Iannilli Marcello avverso la pronuncia assolutoria del medesimo in primo grado, non impugnata dal Pubblico Ministero.



Visto l'art.89 C.P.C.

dispone

che vengano cancellate dallo scritto di replica presentato dall' avv. Giuseppe De Gori le seguenti espressioni sconvenienti ed offensive con riferimento all'avv. Baldi: "ecco la menzogna fredda, calcolata, strumentale e disonesta"(pag. 11);

con riferimento all'avv. Calvi: "ha mostrato tutto intero il suo livore che esula dal processo, la sua protervia, la sua arroganza, tutte doti negative che gli appartengono" (pag. 13);

nonchè l'espressione "pietoso" (pag. 13), riferito al medesimo legale.


Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Bologna del 18 luglio 1990 hanno proposto ricorso in Cassazione:
il 18/7/90 il Procuratore Generale nei confronti di:
Gelli Licio, Musumeci Pietro, Belmonte Giuseppe, Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Pazienza Francesco, Rinani Roberto, Melioli Giovanni, Picciafuoco Sergio, Fioravanti Valerio, Mambro Francesca.

In data 20/7/90 il difensore di Giuliani Egidio.
In data 20/7/90 il difensore di Cavallini.
In data 19/7/90 il difensore di Mambro Francesca e Valerio Fioravanti.
In data 21/7/90 il difensore della Regione Emilia Romagna nei confronti di tutti gli imputati sia avverso la sentenza che avverso tutte le ordinanze dibattimentali.
In data 21/7/90 l'Avvocatura dello Stato sia avverso la sentenza che avverso tutte le ordinanze dibattimentali nei confronti di: Gelli Licio, Musumeci Pietro, Belmonte Giuseppe, Signorelli Paolo, Fachini Massimiliano, Delle Chiaie Stefano, Tilgher Adriano, Ballan Marco, Giorgi Maurizio, De Felice Fabio, Rinani Roberto, Melioli Giovanni, Picciafuoco Sergio, Fioravanti Valerio, Mambro Francesca, Pazienza Francesco.
In data 20/7/90 il difensore della Provincia di Bologna nei confronti di: Signorelli Paolo, Fachini Massfmiliano, Rinani Roberto, Picciafuoco Sergio, Fioravanti Valerio, Mambro Francesca.
In data 20/7/90 il difensore del Comune di Bologna sia avverso la sentenza che avverso tutte le ordinanze dibattimentali nei confronti di tutti gli imputati.
In data 20/7/90 l'avv. Paolo Trombetti difensore della parte civile Paolo Bolognesi avverso la sentenza nonchè avverso tutte le ordinanze dibattimentali nei confronti di tutti gli imputati.
In data 21/7/90 i difensori di Francesco Pazienza.
In data 20/7/90 Fioravanti Valerio.
In data 20/7/90 Cavallini Gilberto.
In data 20/7/90 Giuliani Egidio.
In. data 19/7/90 Musumeci Pietro e Belmonte Giuseppe.
In data 21/7/90 le parti civili Vale Umberto e Garofali Anna Antonia.



La Corte Suprema di Cassazione in data 12/2/1992 a Sezioni Unite Penali ha pronunciato la seguente sentenza:(n.1/92 - 16674/91 - 27503/91 R.G.):

1) dichiara inammissibile:

a)i ricorsi delle parti civili Provincia di Bologna, Vale Umberto e Garofoli Anna Antonia;

b)i ricorsi delle parti civili Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Interni, Ministero. di Grazia e Giustizia ed Ente Ferrovie dello Stato nei confronti di Raho Roberto e Iannilli Marcello;

c) i ricorsi del Procuratore Generale, delle parti civili rappresentate dall'Avvocatura dello Stato, della parte civile Regione Emilia Romagna nei confronti di Melioli Giovanni;

d) il ricorso della parte civile Regione Emilia Romagna nei confronti di Ballan Marco.



2) annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Pazienza Francesco, nel capo relativo alla imputazione di cui al reato previsto dall'art. 270 bis C.P. perchè il fatto non sussiste.



3) Annulla la sentenza impugnata:

a) nei confronti di Fioravanti Giuseppe Valerio, Mambro Francesca, Fachini Massimiliano e Picciafuoco Sergio, nei capi relativi ai reati di strage, omicidio plurimo, porto illegale di esplosivo, lesioni personali volontarie ed attentato ad impianti di pubblica utilità;

b) nei confronti del Fachini, del Picciafuoco e di Rinani Roberto nel capo relativo al reato di banda armata;

c) nei confronti di Gelli Licio e Pazienza Francesco nel capo relativo al reato di calunnia;

d) nei confronti di Belmonte Giuseppe e Musumeci Pietro nel punto relativo all'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 1 Legge n. 15/80, contestata in relazione al reato di calunnia;

e) rinvia per nuovo giudizio nei confronti dei predetti imputati e sui capi e punti sopra precisati ad altra Sezione di Corte di Assise di Appello di Bologna.



4) Rigetta:

a) i ricorsi di Fioravanti, Mambro, Cavallini Gilberto e Giuliani Egidio, dichiarando assorbiti i motivi relativi alla violazione dell'art. 90 C.P.P. ;

b) i ricorsi di Musumeci e Belmonte;

c) nel resto i ricorsi del Procuratore Generale, delle parti civili rappresentate dall'Avvocatura dello Stato, della Regione Emilia Romagna, del Comune di Bologna e di Bolognesi Paolo.



5) Condanna in solido al pagamento delle spese del processo Musumeci, Belmonte, Provincia di Bologna, Vale e Garofoli, nonchè ciascuno al versamento di £.500.000 alla Cassa delle Ammende.



6) Dispone la cancellazione delle frasi offensive nei confronti della Corte di Assise d'Appello di Bologna contenute nei motivi di ricorso dell'Avvocatura dello Stato di Bologna indicate in motivazione.




(*) L'annotazione circa il passaggio in giudicato della sentenza per IANNILLI MARCELLO (così come riportata a pago 1827) è errata in quanto la sentenza è stata impugnata mediante ricorso per cassazione avverso la statuizione assolutoria di esso IANNILLI MARCELLO dall' Avvocatura dello Stato per le parti civili da essa rappresentate e difese.

IL DIRETTORE DI CANCELERIA
(Domenico Carioti)



La presente sentenza passa in giudicato in data 12.02.1992 per: Ballan, Cavallini, De Felice, Delle Chiaie, Giorgi, Giuliani, Hubel, Melioli, Raho, Signorelli, Tilgher e Iannilli.
La presente sentenza passa in giudicato in data 12.02.1992 per Mambro e Fioravanti in relazione al capo 2 delle imputazioni.
Estratto esecutivo alla Procura Generale della Repubblica di Bologna in data
03.07.1992 per Giorgi, Cavallini e Giuliani.
Estratto esecutivo alla Procura Generale della Repubblica di Bologna in data 23.01.1993 per Mambro e Fioravanti.
Redatta scheda in data 23.01.1993 per: Giuliani, Giorgi, Cavallini, Mambro e Fioravanti.


La Corte di Assise di Appello di Bologna con ordinanza datata 18/10/1993 nel dichiarare la inefficacia del giudicato della sentenza emessa dalla Corte d'Assise d'Appello in data 18.07.90 relativamente alle posizioni Fioravanti, Mambro, Cavallini e Giuliani, in ordine al capo 2) delle imputazioni, rimette, così come disposto dalla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in data 12.02.92, sul punto, al giudice di rinvio.


La Corte di Assise di Appello di Bologna con sentenza emessa 16.05.1994, visti gli arti. 544, 213, 214 e 523 cpp. 1930, 245 e 254 d. lgl. 28.07.1989 n.271, 530 comma 2° cpp. 1988, ha così deciso:

conferma la sentenza di primo grado nei confronti di Fioravanti, Mambro, Picciafuoco, Gelli e Pazienza;
quanto a Musumeci e Belmonte, ritenuta la sussistenza della aggravante di cui all'art. 1 della legge 15/80, determina in complessivi anni quattro e mesi sei di reclusione ciascuno, l'aumento di pena per la continuazione, ritenuta con la sentenza 18 luglio 1990 della Corte di Assise di Appello di Bologna, con reati in ordine ai quali i medesimi imputati hanno riportato condanna irrevocabile con sentenza 14.03.86 della Corte di Assise di Appello di Roma: per l'effetto determina unitariamente la pena, quanto al Musumeci, in anni otto, mesi cinque e giorni quindici di reclusione e lire 1.200.000 di multa e, quanto al Belmonte, in anni sette, mesi undici e giorni quindici di reclusione e lire 1.000.000 di multa;
quanto a Cavallini e Giuliani, determina la pena nella misura di anni undici e, rispettivamente, di anni otto di reclusione già fissata dalla sentenza 18 luglio 1990 della Corte di Assise di Appello di Bologna in ordine al delitto di concorso in banda armata;
assolve il Fachini ed il Rinani dai reati loro rispettivamente ascritti per non avere commesso il fatto;
conferma la sentenza di primo grado in ordine alla condanna alle spese anche per Cavallini, Giuliani, Musumeci e Belmonte;
esclude l'applicazione dell'indulto ex dpr. N. 744/1981 nei confronti di Gelli, Pazienza, Musumeci e Belmonte e rimette alla fase dell' esecuzione l'applicazione degli indulti ex dpr. N. 865/86 e N. 394/90 nei confronti dei medesimi imputati;
conferma nel resto la sentenza di primo grado relativamente alle parti non caducate nelle fasi successive fino al giudizio di Cassazione;
condanna gli imputati Fioravanti, Mambro, Picciafuoco, Gelli e Pazienza, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali di questo grado e dei precedenti giudizi, compreso quello di Cassazione;
visti gli artt. 272 e 282 cpp./1930, dispone che Picciafuoco Sergio si presenti al comando Stazione Carabinieri di Castelfidardo alle ore 19 di lunedì, mercoledì e sabato di ogni settimana,
conferma le statuizioni in favore delle costituite parti civili e condanna gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa delle parti civili che hanno concluso in questo grado, spese da intendersi comprensive di onorari di avvocato, al netto di IVA e CPA e che liquida come segue:

a) a carico di Fioravanti, Mambro, Picciafuoco:
lire 1.500.000 in favore di Scapinelli Cristiana assistita dall'avv. Federico Bendinelli, respingendo l'istanza di concessione di una provvisionale;
lire 4.000.000 per il grado di Appello, altrettante per il giudizio di Cassazione e altrettante per il presente grado in favore di Agresti Franco, Castellina Pietro, Baranzoni Alessandro, Rota Romeo, Bruno Marina, Chiarello Giuseppe, Jurt Johann, Gamberini Marina, Greco Mario, Procino Antonio, Sarcina Ruggero, Zanasi Anello, Vaccai Esterina, Passini Annita in Zarattini, Bertasi Fulvio, Di Paola Francesco, Di Paola Grazia, Di Paola Gaetano, Di Paola Emilia, Ragusa Maria, Fresu Salvatore, Piliu Rosina, Vaccaro Antonino, Marangon Antonio, Marangon Gianni, Marangon Guidina, Marangon Luigino, Zanellato Nella, Mangano Elvira, Ruozi Roberta, Lenzi Giuseppina, Zanetti Daniela in Bolognesi, Morelli Assunta, Fumaroni Lucia, tutti assistiti dall' avv. Carlo Federico Grosso;
lire 12.000.000 in favore della Provincia di Bologna, assistita dagli avvocati Umberto Guerini e Paolo Trombetti;
lire 8.000.000 in favore di Bevilacqua Angelo, Bolognesi Paolo in proprio e per Bolognesi Marco, Botto Angelo, Calzoni Ettore, Colaviti Antonio in proprio e per Colaviti Tristan Santi, Donati Marisa, Fiorini Alfredo, Fiorini Edmondo, Garuti Roberta, Gozzi Felice, Longobardo Giorgio, Marangoni Virginia, Mastronicola Raffaele, Mezzetti Gino, Natale Roberto, Passini Angelo, Lenzi Valeria Passini, Pitzalis Clemente, Poirè Lucia, Provenza Giuseppe in proprio e per Provenza Anna, Dall'Aquila Immacolata, Scaramagli Vera, Scolari Benito, Trolese Pasquale, Trolese Andrea Pietro, Trolese Chiara Elisa, Zini Giovanni in proprio e per Zini Juri, Ales Giuseppe, Ales Isidora, Bugamelli Luigi, Incerti Adele, Sica Davide, Corsolini Grazia in proprio e per Sica Simone, Sica Mirian, Urtamonti Lida, Bosio Eliseo, Vaccaro Antonino, Alganon Silvana, Burri Angelo, Serravalli Rosalia, La Scala Domenico, La Scala Vincenzina, La Scala Giuseppe, La Piana Filippa, Ottoni Osvaldo, Drohuard Hélène, Ales Giorgio, Bay Vittoria, Piccolo Elvira, tutti assistiti dall'avv. Paolo Trombetti;
lire 15.000.000 in favore della Regione Emilia Romagna, assistita dagli avvocati Francesco Berti Arnoaldi Veli e Guido Calvi;
lire 6.000.000 in favore di Piccolini Lidia, Diomede Fresa Alessandra, Diomede Fresa Vincenzo, Birardi Giuseppe, Zanotti Sonia, Rotunno Giuseppe, assistiti dall' avv. Francesco Berti Arnoaldi.Veli;
lire 6.000.000 in favore di Ballerini Alessandro, Lanzoni Bruno, Magistrale Maria in Vernì, Montani Luigi, Montani Anna Maria, Soldano Giuseppe, Spinello Giovanna, Alganon Florio, Casadei Egidio, Zanotti Virginia, Spinello Luciana, Fornasari Otello, Fornasari Ivonne, Lambertini Giorgio, Bivona Vincenzo, Bivona Antonina, Marsari Nelda, Gaiola Manuela, Gozzi Tiberio, Roveri Gina, Gozzi Carlo, Gozzi Ivana, Remollino Antonio, Torquato Secci, Verde Domenico, Verde Gianni, Verde Morena, Polizzano Maria, Marino Giovanni, Marino Anna Maria, Zanetti Maria Grazia, Giogoli Lucia, tutti assistiti dall'avv. Guido Calvi;
lire 40.000.000 per il grado di Appello, lire 20.000.000 per il giudizio di Cassazione e lire 30.000.000 per il presente grado, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito, in favore di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Amministrazione dell'Interno, S.p.A. Ferrovie dello Stato, assistite dall' Avvocatura dello Stato; conferma la condanna alle spese in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri pronunciata in grado di Appello a carico degli imputati Cavallini e Giuliani, condannati per il delitto di banda armata;
lire 25.000.000 per il grado di Appello, lire 20.000.000 per il giudizio di Cassazione e lire 20.000.000 per il presente grado in favore del Comune di Bologna, Campagna Giancarlo, Maffei Filomena, Caprini Corrado, Cuoghi Mirella, Dal Monte Luigi, La Morte Rosa, Gallon Giorgio, Gibertoni Beniamina, Mannocci Rolando, Pucher Eliseo, Pizzirani Anna, Toschi Teresa, Zanetti Umberto, Lusseau Yves Hervé Marie, Baldazzi Danilo, Biagetti Luigi, Maggese Anna Maria, Zecchi Vincenzo, Ebner Elisabetta, Lanconelli Pasquale, Lanconelli Lina, Lanconelli Ersilia, Marino Giuseppe, Natali Gino, Seminara Alfio, Dragonetti Maddalena, tutti assistiti dall'avv. Giuseppe Giampaolo;
lire 12.000.000 in favore di Castaldo Roberto, Grandi Maria Teresa, Collina Giancarlo, Palazzolo Roberto, Tempesta Nicolò, Zacchi Franco, Bouduban Damien, Basso Delfino, Lauro Rosanna; Lauro Maria Grazia, Lauro Aurora, Ceci Pietro, Baldacci Anna, De Marchi Francesco Saverio, De Marchi Mario Gaetano, De Marchi Angelo Valentino, Montanari Romano, Fuochi Petteni Esterina, Procelli Rinaldo, Palazzeschi Ilda, Agostini Giorgio, Lauro Patrizia, Dall'Olio Raffaele, Lauro Gennaro, Lauro Giovanna, Abbrevi Bruno, Abbrevi Patrizia, Adami Arga Maria, Ancilotti Silvana, Barioni Mario, Bengala Moreno, Bertini Tonino, Graziotti Pia, Biasin Alessandro, Bonori Luigi, Braccia Tonino, Colonna Maria Donata Abbrevi, Colonna Porsia, Salluce Palma, D'Aguanno Goffredo Giuseppe, D'Orta Vincenzo, Durante Francesco, Lugli Carlo Alberto, Sacrati Dario, Sacrati Piera, Dal Buono Roda Irma, Roda Giovanni, Zappalà Ilario, Mitchell Henry Wilfred, Berlot Armida, Sanguin Elisabetta, Zaccarelli Maria Luisa, Patruno Alessandro, Delia Anna, Stassi Maria, Baldazzi Alessandro, Lolli Rossana, Todaro Anna, Franceschelli Fabio, Gagliardi Adriana, Mauri Antonio, Montuschi Silvia, Mott Silvio, Nanetti Nello, Passardi Maria Angela, Pellizzola Franco, Petroni Granata Luciano Mario, Pizzitola Pietro, Roma Stefano, Sacrati Paolo, Santinelli Gianfranco, Selva Walter, Stefanutti Maria Teresa, Vallona Giuliana, Vivarelli Diana, Alliot Jean Luc Christian Paul, Mader Horst, Caprioli Enzo, Bordignon Francesco, Caprioli Maria Cristina, Arletti Alma, Ruozi Onorio, Ruozi Valeria, tutti assistiti dall'avv. Laura Grassi Breccia;
b) a carico di Musumeci, Belmonte, Gelli e Pazienza:
lire 1.200.000 in favore di Fiore Roberto, assistito dall'avv. Stefano Fiore;
c) a carico dei soli Musumeci e Belmonte:
lire 2.500.000 in favore di Vale Umberto e Garofoli Anna Antonia, assistiti dall'avv. Giannevio Scaglia.

Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello emessa in data 16.05.1994, hanno proposto ricorso per Cassazione:

In data 17.05.1994 il Procuratore Generale nei confronti degli imputati Fachini Massimiliano e Rinani Roberto.
In data 17.05.1994 l'imputato Pazienza Francesco.
In data 17.05.1994 l'avv. Tommaso Mancini difensore dell'imputata Mambro Francesca.
In data 17.05.1994 l'imputato Belmonte Giuseppe.
In data 17.05.1994 l'imputato Musumeci Pietro.
In data 18.05.1994 l'avv. Adriano Cerquetti difensore dell'imputato Fioravanti Valerio Giuseppe.
In data 18.05.1994 l'avv. Patrizio Spinelli difensore dell'imputato Belmonte Giuseppe.
In data 18.05.1994 l'avv. Giosuè Bruno Naso difensore dell'imputato Giuliani Egidio.
In data 18.05.1994 l'avv. Giuseppe Pisauro difensore. dell'imputato Fioravanti Valerio Giuseppe.
In data 18.05.1994 l'Avvocatura dello Stato nei confronti degli imputati Fachini Massimiliano e Rinani Roberto.
In data 18.05.1994 l'imputato Cavallini Gilberto.
In data. 19.05.1994 l'avv. Alessandro Pellegrini difensore dell'imputato Fachini Massimiliano.
In data 19.05.1994 l'avv. Scipione Del Vecchio difensore dell'imputato Pazienza Francesco.
In data 19.05.1994 l'avv. Antonio Lisi difensore dell'imputato Picciafuoco Sergio.
In data 19.05.1994 l'avv. Giuseppe Giampaolo difensore delle parti civili nei confronti degli imputati Fachini Massimlliano e Rinani Roberto.
In data 19.05.1994 l'imputato Gelli Licio.
In data 19.05.1994 l'imputata Mambro Francesca.
In data .19.05.1994 l'avv. Marcantonio Bezicheri difensore dell'imputato Picciafuoco Sergio.
In data 19.05.19941'avv. Biffa difensore dell'imputato Musumeci Pietro.
In data 20.05.1994 l'imputato Fioravanti Valerio Giuseppe.
In data 20.05.1994 l'imputato Fachini Massimiliano.
In data 19.05.1994 l'avv. Alberto Zoboli difensore dell'azienza autonoma FF.SS nei confronti di Fachini Massimiliano e Rinani Roberto.
In data 19.05.1994 l'avv. Cesarina Mitaritonna difensore dell'imputato Pazienza Francesco.
In data 02.06.1994 l'imputato Picciafuoco Sergio.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Penali, in data 22-23.11.1995, ha pronunciato la seguente sentenza:
annulla l'impugnata sentenza nei confronti di Picciafuoco Sergio e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise di Appello di Firenze;
dichiara inammissibile il ricorso di Fachini Massimiliano;
rigetta i ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna e delle parti civili: Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell'Interno, S.p.A Ferrovie dello Stato e Comune di Bologna nei confronti di Fachini Massimiliano e Rinani Roberto;
rigetta i ricorsi di Fioravanti Valerio Giuseppe, Mambro Francesca, Cavallini Gilberto, Giuliani Egidio, Belmonte Giuseppe, Musumeci Pietro, Gelli Licio e Pazienza Francesco;
condanna Fachini, Fioravanti, Mambro, Cavallini, Giuliani, Belmonte, Musumeci, Gelli e Pazienza, in solido, alle spese del procedimento e, ciascuno, al versamento della somma di lire cinquecentomila in favore della Cassa delle Ammende;
condanna altresì Fioravanti Valerio Giuseppe e Mambro Francesca, in solido, al rimborso delle spese verso le costituite parti civili che liquida per la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero degli Interni, in complessive lire nove milioni, di cui otto milioni per onorario;
per il Comune e la Provincia di Bologna, in complessive lire sei milioni per ciascuno, di cui cinque milioni per onorario;
per la S.p.A Ferrovie delle Stato, in complessive lire sei milioni, di cui lire cinque milioni per onorario;
per Bolognesi Paolo in complessive lire tre milioni, di cui lire un milione a titolo di rimborso spese;
per Secci Torquato e Piccolini Lidia in lire due milioni per ciascuno, a solo titolo di onorario.


La presente sentenza è passata in giudicato in data 22.11.1995 per i seguenti imputati: Belmonte Giuseppe, Cavallini Gilberto, Fachini Massimiliano, Fioravanti Valerio Giuseppe, Gelli Licio, Giuliani Egidio, Mambro Francesca, Musumeci Pietro, Pazienza Francesco, Rinani Roberto.
Estratto esecutivo alla Procura Generale della Repubblica di Bologna in data 24.11.1995 per: Belmonte, Cavallini, Fioravanti, Gelli, Mambro, Musumeci, Pazienza, Giuliani.
Redatta scheda e comunicazione elettorale in data 15.02.1997 per: Belmonte, Cavallini, Fioravanti, Gelli, Mambro, Musumeci, Pazienza, Giuliani.


La Procura Generale presso la Corte di Appello di Bologna con ordinanza datata 31.05.1995 ha disposto l'unificazione delle seguenti pene inflitte nei confronti di Mambro Francesca:
Corte Appello Venezia 12.10.82 in riforma sentenza Tribunale di Treviso 10.02.82 irr. 16.10.82.
Corte Assise Appello Venezia 17.01.1985 in parziale riforma sentenza Corte Assise Padova 14.01.83 irr. 18.12.85.
Tribunale Padova 28.06.85 irr. 04.06.86.
Corte Assise Appello Bologna 06.02.86 conferma sentenza Corte Assise Bologna 05.04.84 irr. 16.12.87
Corte Assise Appello Roma il 19.04.86 in riforma sentenza Corte Assise Roma 02.05.85 irr. 09.04.87.
Corte Appello Roma 15.07.87 in riforma sentenza Tribunale Roma 24.02.87 irr. 19.07.87.
Corte Assise Appello Milano 05.11.87 in parziale riforma sentenza Corte Assise Milano 06.11.86 irr. 03.11.88.
Corte Assise Appello Roma 10.12.87 in riforma sentenza Corte Assise Roma 11.03.85 irr. 04.10.88
Corte Assise Appello Roma 07.04.88 in riforma sentenza Corte Assise Roma 16.07.86 irr. 28.12.88.
10.Tribunale di Ferrara 17.02.89 irr. 19.03.89.
11.Corte Assise Appello Roma 03.03.89 in conferma sentenza Corte Assise
Roma 29.07.86 irr. 12.10.89.
12.Corte Appello Roma 04.05.89 in conferma sentenza Tribunale Roma 10.05.83 irr. 09.05.89
13.Corte Assise Appello Bologna 20.06.89 irr. 19.02.90; e di conseguenza
che la predetta debba espiare in concreto la pena dell' ergastolo con isolamento diurno per mesi 18, con pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell'interdizione legale per la durata della pena, oltre alla perdita della potestà.




La Corte di Assise di Appello di Firenze con sentenza emessa in data 18.06.1996, giudicando in sede di rinvio dalla Cassazione, in riforma della sentenza 11.07.1988 della Corte di Assise di Bologna, impugnata dall'imputato, assolve Picciafuoco Sergio dalle imputazioni ascrittegli, per non aver commesso il fatto.


Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Firenze hanno proposto ricorso per Cassazione:

In data 18.06.1996 il Procuratore Generale.
In data 18.06.1996 le parti civili Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministero dell'Interno.

La Corte di Cassazione con sentenza emessa in data 15.04.1997, ha rigettato i ricorsi e ha condannato le parti civili ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali, nonché ciascuna alla sanzione pecuniaria di lire 100.000.

In giudicato per Picciafuoco Sergio in data 15.04.1997


La Corte di Assise di Appello di Bologna con ordinanza in data 19.05.1998 ha dichiarato estinta la pena e cessata la relativa esecuzione nei confronti di Belmonte Giuseppe per morte del reo.


Bologna, 07/04/2003

IL CANCELLIERE