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Spese di rappresentanza dei politici o peculato? (Cass.20535/20)

9 luglio 2020, Cassazione penale

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Rimborso spese di rappresentanza: il denaro  attribuito ai gruppi consiliari regionali è denaro pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato.

Non sono spese di rappresentanza, cioè, tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacità operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilità del consigliere o del partito di appartenenza.

Il gruppo consigliare, per la Cassazione, non è un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. per poter qualificare le spese di rappresentanza dei gruppi regionali come spese rimborsabili, occorre

1) un collegamento teleologico tra spese e finalità di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruità;

2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attività politica, ma alla conformità alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilità delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attività dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale;

3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entità, alla proporzionalità, alla effettività delle spese, alla veridicità della relativa documentazione e che può condurre alla manifesta difformità della spesa rispetto al perseguimento delle finalità sottese al funzionamento del Gruppi consigliari.

Non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attività politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioè, al funzionamento del gruppo; inoltre, non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attività politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della società civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilità personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; infine, non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; inutile rimarcare come non possano essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

(ud. 12/02/2020) 09-07-2020, n. 20535

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna - Presidente -

Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere -

Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore Generale presso la Corte di appello di Ancona;

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona il 12/02/2019;

nel procedimento nei confronti di:

C.F., nato a (OMISSIS);

R.R.O., nato in (OMISSIS);

B.G., nato ad (OMISSIS);

S.G.M., nato a (OMISSIS);

Bi.Ma., nato ad (OMISSIS);

udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;

udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Renato Finocchi Ghersi, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

uditi gli avv.ti GC in difesa di R.R. e Bi.Ma., MM, in difesa di C.F., DT, in difesa di B.G., ed anche in sostituzione dell'avv. MB, AG, in difesa di S.G.M., che hanno tutti concluso chiedendo l'inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso del Procuratore Generale.

Svolgimento del processo


1. La Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale aveva assolto Bi.Ma., B.G., C.F., R.R.O. e S.G.M. dal reato di peculato.

La contestazione del delitto di peculato, relativa agli anni 2008-2012, è stata formulata nei confronti: 1) di Bi. e S., nella qualità di presidenti dei gruppi consiliari regionali; 2) nei confronti di B. e C., in qualità di consiglieri regionali ma ritenuti anch'essi pubblici ufficiali - ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari; 3) nei riguardi di R.R.O. nella qualità di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo.

In generale, l'Accusa mossa agli imputati è di essersi appropriati dei fondi pubblici della Regione Marche, previsti per il finanziamento delle attività dei Gruppi consiliari dalla L.R. 10 agosto 1988, n. 34.

Secondo l'impostazione accusatoria l'appropriazione del denaro sarebbe consistita nel compiere una serie di spese non giustificabili ai sensi della predetta legge regionale per le quali si sarebbe chiesto ed ottenuto indebitamente il rimborso - imputandole al fondo per il funzionamento dei Gruppi Consigliari regionali.

Nei riguardi degli imputati era stata emessa all'esito dell'udienza preliminare, sentenza di proscioglimento, poi annullata dalla Corte di cassazione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge.

Secondo il ricorrente, dovrebbero considerarsi "spese rimborsabili" soltanto quelle strumentali al perseguimento dei fini istituzionali, nonchè quelle volte a soddisfare la funzione rappresentativa esterna del gruppo consigliare, con lo scopo di accrescerne il prestigio e l'immagine.

Andrebbero escluse invece le spese sostenute dal singolo consigliere per l'attività di "parte, come quella tipica del partito politico di appartenenza politica".

I Giudici di merito avrebbero peraltro errato nel ritenere irrilevante l'omessa giustificazione delle spese, laddove, invece, proprio in ragione della Delibera del Consiglio Regionale Marche 217/2005 - valorizzata in chiave difensiva - i consiglieri regionali avevano l'onere di giustificazione delle spese rimborsate: in ragione della delibera indicata, il rimborso delle spese poteva essere autorizzato solo a seguito di presentazione di: a) idonea documentazione giustificativa in ordine alla natura delle spese ed alle circostanze ed i motivi che le hanno occasionate; b) certificazione in originale comprovante la spesa effettuata.

Il tema attiene alla prova della inerenza delle spese con l'attività istituzionale e rappresentativa esterna del relativo Gruppo Consiliare;

3. Il 4.2.2020 è stata presentata una memoria nell'interesse di Bi.Ma. e R.R. con cui, sviluppando una serie di argomenti, si chiede che il ricorso proposto dal Procuratore Generale sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato.

Motivi della decisione


Sull'ammissibilità del ricorso

1. Il ricorso per cassazione in esame è ammissibile.

1.1. Con l'atto di appello la Pubblica accusa aveva:

a) ricostruito la disciplina regionale regolatrice della materia dei rimborsi delle spese sostenute dai Consiglieri regionali ed imputabili al fondo di funzionamento dei Gruppi consigliari regionali;

b) spiegato il contenuto della condotta appropriativa, in ragione dell'uso delle somme per il perseguimento di finalità, diverse e personali, rispetto a quelle per le quali erano erogate;

c) chiarito le ragioni per cui il ragionamento giuridico posto a fondamento della sentenza di assoluzione da parte del Giudice di primo grado non poteva essere condiviso;

d) richiamato il senso della sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 2015 in ordine al sindacato giurisdizionale sull'attività dei gruppi consigliari regionali;

e) indicato le ragioni per cui, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, non ogni singola spesa sostenuta dal singolo consigliere potesse essere imputata al Fondo per il funzionamento del Gruppo consigliare, nonchè i motivi per cui dovesse propendersi per una diversa nozione di spesa di rappresentanza;

g) rivisitato criticamente il ragionamento probatorio, quanto alla prova della condotta appropriativa, spiegando come, in relazione all'uso delle somme in questione, sia strutturalmente connesso un obbligo di rendiconto;

h) spiegato in concreto il meccanismo con cui le appropriazioni sarebbero state compiute e fatto riferimento alla responsabilità concorsuale dei Presidenti dei gruppi per le appropriazioni dei singoli consiglieri;

i) indicato per ogni singolo imputato e per ogni singola categoria di spesa le ragioni per cui non poteva essere condivisa la struttura della sentenza impugnata (pagg. 17 e ss).

1.2. Dunque, un atto di appello articolato e quanto mai specifico.

A fronte di un atto di impugnazione strutturato nel modo indicato, la Corte di appello con una sentenza strutturalmente cumulativa, senza affrontare le singole posizioni processuali, nè le singole questioni dedotte, nè esaminare le singole tipologie di spese ha richiamato la sentenza di primo grado ed i principi in essa indicati, valorizzato la natura giuridica latamente politica dei gruppi consigliari ed ha ritenuto per tale ragione che le condotte poste in essere dagli imputati non potessero essere ricondotte alla fattispecie di peculato, in quanto le spese rimborsate sarebbero state tutte consentite, ai sensi dell'art. 1 bis della legge regionale richiamata.

Si è affermato, con riferimento alle spese non specificatamente giustificate, che la normativa vigente all'epoca dei fatti non avrebbe richiesto alcuna specificazione al riguardo.

Quanto alla nozione di spese di rappresentanza, richiamando la delibera regionale del 2005, di cui si è detto (la descrizione del cui contenuto è a pagg. 25 - 26 della sentenza di primo grado), si è valorizzata la liceità di tale tipologia di spesa e si è fatto riferimento, anche ai fini della non configurabilità del dolo, all'opinione espressa dal direttore generale dell'Assemblea legislativa in un'occasione a seguito di una richiesta di chiarimento.

Le c.d. spese di rappresentanza, in particolare, sarebbero state nella specie connesse all'attività politica del gruppo; in tal senso si è aggiunto che la non conformità funzionale delle spese all'attività politica del gruppo e la loro inerenza al perseguimento di finalità personali del consigliere non potrebbe essere desunta da elementi, valorizzati sul piano accusatorio, privi tuttavia di decisiva valenza.

1.3. Rispetto ad una sentenza strutturata nel modo indicato non può ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione proposto.

Il ricorso per cassazione è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni siano state esposte nel provvedimento impugnato.

Esiste un necessario parallelismo fra la motivazione della sentenza ed il motivo di impugnazione e per entrambi è richiesto un pari rigore logico-argomentativo (sul tema, per tutti, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).

Rispetto ad una sentenza come quella della Corte di appello il ricorso per cassazione non poteva che essere articolato deducendo la violazione di legge, cioè la violazione dei principi giuridici posti a fondamento della decisione dalla Corte di appello, senza, ad esempio, fare riferimento specifico alle singole posizioni degli imputati, perchè rispetto ad essi la sentenza è muta.

2. Il ricorso è anche fondato.

Il processo ruota attorno ad una serie di temi giuridici.

Si tratta di molteplici questioni che attengono alla ricostruzione generale del quadro di riferimento normativo nel cui ambito si collocano i fatti oggetto del processo.

2.1. La natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate. Si tratta di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalità in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione Marche.

Il riferimento è innanzitutto alla sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui fu affermato che "dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non è arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinchè ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla società, alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attività istituzionali del Consiglio regionale".

La stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 187 del 1990 ebbe modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi pertanto contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attività dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica".

Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attività assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attività, quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale.

Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale.

Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si è aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attività dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica".

Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici.

Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non è un'appendice del partito politico di cui è esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)".

Il Gruppo consigliare non è un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere.

Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilità erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi.

Si è affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attività che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalità istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalità progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonchè alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940).

In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità erariale, sia perchè a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo".

Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinchè non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non può investire l'attività politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformità alla legge dell'azione amministrativa (L. n. 20 del 1994, art. 1), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilità delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per sè, a fare escludere necessariamente la possibilità che le singole spese siano "non inerenti" all'attività del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entità o proporzionalità, oltre che all'effettività delle spese, anche sotto il profilo della veridicità della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformità", in ciò consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attività di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruità e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalità pubblicistiche dei gruppi.

Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalità di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruità; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attività politica, ma alla conformità alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilità delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attività del gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entità, alla proporzionalità, alla effettività delle spese, alla veridicità della relativa documentazione e che può condurre alla manifesta difformità della spesa rispetto al perseguimento delle finalità sottese al funzionamento del Gruppi consigliari.

Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non è un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere.

Non è in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'art. 314 c.p., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce- la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, è un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che è integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non più dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa.

Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attività del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata.

La questione è quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi è possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere.

Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte penalmente rilevanti, la pertinenzialità dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa.

Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che:

a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attività politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioè, al funzionamento del gruppo;

b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attività politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della società civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilità personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato;

c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione;

d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere.

Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attività del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa - in quanto di per sè legata all'attività del singolo consigliere - sia imputabile al Fondo per il funzionamento.

Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attività di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi è portatore.

Con la sentenza in questione la Corte ha affermato il principio secondo cui non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attività, benchè non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo.

Si tratta di principi che devono essere rivisitati o comunque conformati in ragione delle considerazioni generali in precedenza esposte.

3. Le spese rimborsabili. Quanto appena evidenziato, consente di affrontare il tema delle spese c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione.

Il legislatore non ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed è stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilità e la liceità.

Vi sono cioè degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza.

La spesa deve essere strettamente correlata con le finalità istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attività dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64).

La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attività dell'ente: "Le attività di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettività amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356).

Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non è ammissibile e non può essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (così, testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466).

Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrietà, sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394).

Ancora, secondo la Corte dei conti, affinchè possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialità e dell'eccezionalità. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attività amministrativa. L'attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non può essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160).

Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, è necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attività dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246).

Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigò, Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763).

Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che:

a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione;

b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione;

c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione;

d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalità di cui si è detto;

e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo.

Il tema non è quello del se l'iniziativa e l'attività del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come già detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera.

Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilità della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza.

Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioè non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attività politica e della visibilità della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilità del gruppo consigliare.

Non sono spese di rappresentanza, cioè, tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacità operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilità del consigliere o del partito di appartenenza.

Le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato è se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalità ad esso sottese, così come indicate.

4. La prova della condotta appropriativa. Le considerazioni esposte assumono rilievo anche per quel che concerne la prova della condotta appropriativa, che non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa.

Ai fini della prova della responsabilità penale e della condotta di appropriazione, si ripete in ogni occasione, ed maniera del tutto condivisibile, da parte della giurisprudenza della Corte di cassazione: a) non può darsi di per sè rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non può intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549).

In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioè di spese la cui natura strutturale non sia di per sè rivelatrice della loro incompatibilità ontologica rispetto alle finalità pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilità, ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067).

Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto già in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessità che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalità del Fondo, di cui pure si è detto.

Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilità della spesa rispetto alle finalità istituzionali del gruppo, è un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della finalità dei gruppi consigliari; la spesa è davvero ambivalente se è in astratto compatibile con le reali finalità del fondo, queste ultime correttamente individuate.

Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalità strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilità pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge.

La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica.

La prova della finalità illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso è innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa.

La necessità di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacità dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioè al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto più sarà neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto più potrà essere evidente la necessità di approfondire ed investigare.

E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, può assumere rilievo la capacità dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite.

In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione è connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificità originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che è possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalità giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, è docu mentale.

Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o più persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale.

La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si può riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si è chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi più scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantità di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicità, riveli una finalità non compatibile con quella istituzionale, perchè esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attività istituzionale dei gruppi consiglieri è sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso.

Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicità, l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalità di gestione complessiva del denaro.

In tali contesti la dialettica probatoria può rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa.

Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalità istituzionali.

Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perchè sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di là dei convincimenti soggettivi (che al più possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalità attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso.

Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicità degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravità si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552).

Si tratta di profili che devono essere accertati sul piano processuale "caso per caso"; una fattispecie, quella di peculato, che, in casi complessi come quelli in esame, si pone tra diritto e prova, tra requisiti di struttura, riscontro empirico ed accertamento probatorio, tra tipicità e contesti mutevoli; una fattispecie in movimento, in divenire, che pone questioni ed esigenze di conformazione di consolidati schemi interpretativi, che, senza cedere a semplificazioni incontrollate, siano tuttavia capaci di analizzare le condotte ed il loro significato.

5. I Giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati.

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio; la Corte di appello, applicando i principi indicati, verificherà in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, sia configurabile il reato contestato.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Perugia.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020