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Sottrazione di minori: quale dolo? (Cass. 24325/23)

6 giugno 2023, Cassazione penale

Integra il reato previsto dall'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente di abituale dimora.

L'elemento soggettivo del reato di sottrazione di minori è integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di sottrarre il minore all'altro genitore esercente la potestà genitoriale e di trattenerlo presso di sé contro la volontà dell'altro.

 

Cassazione penale

 sez VI, ud. 20 aprile 2023 (dep. 6 giugno 2023), n. 24325
Presidente Ricciarelli – Relatore De Amicis

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26 maggio 2022 la Corte di appello di Caltanissetta ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, che dichiarava S.S. responsabile del reato di cui all'art. 574 cod. pen.- commesso in […] a decorrere dal (omissis), per avere, in violazione dell'affidamento congiunto disposto dal Tribunale di Enna con decreto n. 1080 del 2016, sottratto la figlia minore al padre M.M., conducendola nella città di […] ove stabiliva il nuovo domicilio della minore in assenza di un provvedimento autorizzativo del Giudice -, riconoscendo in suo favore le circostanze attenuanti generiche e rideterminando in mesi cinque e giorni dieci di reclusione la pena irrogatale, con la conferma nel resto della decisione impugnata e la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo con un motivo unico plurimi vizi della motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità degli elementi costitutivi del reato ipotizzato, e segnatamente del dolo di sottrazione, per avere la Corte d'appello erroneamente valutato la circostanza, dalla difesa dedotta in sede di gravame, che il Tribunale civile di Enna aveva, con provvedimento del 18 luglio 2018, sostanzialmente autorizzato l'imputata a condurre con sé la figlia minore presso la sua nuova residenza piemontese in (omissis), postulandone la necessaria presenza in loco, in modo tale che ella potesse essere esaminata dai servizi sociali, espressamente incaricati di predisporre una relazione in ordine alla sua idoneità genitoriale, nonché in relazione alle condizioni di via attuali dei genitori e della minore e alle condizioni abitative e di coabitazione della minore presso la nuova residenza materna.

2.1. Si assume, al riguardo: a) che l'imputata non ha mai impedito i contatti della figlia con l'altro genitore, il quale ha potato esercitare senza soluzione di continuità il proprio diritto di visita e tutti i diritti connessi al rapporto genitoriale, tenendo con sé la figlia nel periodo in contestazione; b) che le dichiarazioni rese in sede civile dal padre, incentrate sul fatto che egli non vedeva la minore dal (omissis), ovvero da quaranta giorni, sono intrinsecamente inattendibili; c) che le risultanze anagrafiche, secondo cui in data (omissis) la minore era ancora residente nel primo Comune di residenza della madre, ossia in […], sono irrilevanti rispetto alla situazione sostanziale, in considerazione del loro mancato tempestivo aggiornamento.

3. Con requisitoria trasmessa alla Cancellerie di questa Suprema Corte in data 31 marzo 2023 il Procuratore generale ha illustrato e sue conclusioni, chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

4. Con memoria trasmessa alla Cancelleria in questa Suprema Corte in data 4 aprile 2023 il difensore della parte civile, Avv. FPML, ha replicato alle argomentazioni esposte nel ricorso e nella requisitoria del Procuratore generale, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso, con la conferma delle statuizioni civili e la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per i motivi di seguito indicati.

2. Le su esposte ragioni di doglianza sono essenzialmente orientate a riproporre, finanche in questa Sede, una serie di censure già puntualmente esaminate e disattese dalla Corte territoriale, che, dopo aver richiamato i diversi passaggi dell'intera vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, ha motivatamente condiviso le conformi valutazioni già espresse dal primo Giudice in relazione alle univoche risultanze probatorie dell'istruzione dibattimentale, ponendo in rilievo, segnatamente, le dirimenti circostanze di fatto qui di seguito richiamate: a) il Tribunale civile di Enna, con il richiamato provvedimento interlocutorio del 18 luglio 2018, non aveva affatto autorizzato l'imputata a portare con sé la figlia minore nel predetto Comune piemontese, ma si era invece limitato ad incaricare i servizi sociali di predisporre una relazione sull'idoneità genitoriale del padre e della madre, sulle loro attuali condizioni di vita e sulle condizioni abitative e di coabitazione che la minore avrebbe trovato nella nuova residenza materna, senza nulla stabilire in ordine al domicilio o alla dimora della minore; b) le risultanze di tali indagini, disposte nell'interesse della minore, avrebbero consentito sia di valutare la fondatezza delle pretese dalla ricorrente azionate in sede civile, sia di regolamentare, se del caso, i rapporti fra le parti; c) lo stesso Tribunale di Enna, come posto in evidenza già nella prima decisione di merito, aveva altresì precisato che di ogni spostamento della minore fuori della città di […] ciascun genitore avrebbe dovuto dare preventiva comunicazione all'altro; d) al momento della visita dei servizi sociali, avvenuta alla fine di (omissis), la minore non si trovava più ad […] in quanto trasferita assieme alla madre; e) il trasferimento della minore dal luogo della sua abituale dimora avvenne contro la volontà del padre, non coinvolto nella decisione assunta dalla madre e di fatto impedito nell'esercizio della propria potestà genitoriale dal di lei comportamento, pur potendo ella far cessare in ogni momento la sua condotta, per essere alla sua volontà rimessa la scelta di garantire i contatti tra la figlia e il padre; f) se ciò fosse effettivamente avvenuto, il Tribunale civile non avrebbe potuto ammonirla in tal senso, prescrivendole, con la successiva ordinanza interlocutoria del 31 ottobre 2018, di consentire al padre la possibilità di conversare con la minore in video-chiamata, stabilendo, al contempo, nuove condizioni di visita, poi confermate in un provvedimento adottato in data 11 dicembre 2018; g) il diritto di visita, disciplinato nelle sue concrete modalità di esercizio con un provvedimento emesso dal Tribunale di Enna già nel 2017, e ritenuto ancora efficace al momento del fatto, prevedeva incontri frequenti da tenersi nel corso del ‘intera settimana.

3. Ciò posto, deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia coerentemente ritenuto infondate le richiamate ragioni di doglianza, per un verso escludendo, con argomentazioni logicamente esposte, la possibilità di una differente lettura del contenuto dei provvedimenti assunti dal Tribunale civile di Enna, per altro verso soggiungendo, ad ulteriore conforto della validità del proprio convincimento: a) che in una relazione del (omissis) i servizi sociali di […] davano conto del fatto che, in quella data, l'odierna ricorrente non aveva ancora provveduto al cambio della residenza della minore, che risultava, pertanto, ancora residente in quel Comune; b) che dalla deposizione testimoniale resa dalla parte civile nell'udienza dibattimentale celebrata in data 31 ottobre 2018 - dai Giudici di merito ritenuta attendibile sulla base di un apprezzamento mmune da vizi deducibili nel giudizio di legittimità - emergeva la circostanza di fatto che non gli era stato consentito di vedere la figlia sin dalla data del (omissis), per avere la madre da quel momento condotto la minore nel Comune di (omissis) contro la sua volontà.

Al riguardo, pertanto, deve ritenersi che la sentenza impugnata ha fatto buono governo delle implicazioni logicamente sottese al pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 22911 del 19/02/2013, I., Rv. 255621; Sez. 5, n. 28561 del 28/03/2018, G., Rv. 273545), secondo cui integra il reato previsto dall'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente di abituale dimora.

Analoghe considerazioni devono altresì svolgersi in ordine alla ritenuta configurabilità dell'elemento soggettivo del reato de quo, sì come integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di sottrarre il minore all'altro genitore esercente la potestà genitoriale e di trattenerlo presso di sé contro la volontà dell'altro (Sez. 6, n. 21441 del 18/02/2008, C., Rv. 239881): profilo, questo, congruamente evidenziato nelle conformi decisioni di merito, là dove, dopo aver puntualmente ricostruito l'intero quadro storico-fattuale dei comportamenti tenuti dall'imputata, obiettivamente riscontrati nei loro effetti negativi dagli stessi servizi sociali (v. pag. 7 della decisione di primo grado), ne hanno logicamente desunto - in ragione delle modalità, del significativo lasso temporale intercorso e della stessa collocazione territoriale dei luoghi del trasferimento - la chiara manifestazione della volontà di rendere impossibile, e non soltanto difficoltoso, l'esercizio delle facoltà e dei diritti riconnessi alla potestà genitoriale del padre.

4. In definitiva, a fronte di un apprezzamento completo delle emergenze processuali, congruamente illustrato attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logico-giuridici, deve rilevarsi come la sentenza impugnata sia del tutto immune dai denunciati aspetti di carenza, contraddittorietà o illogicità del ragionamento probatorio, e l'adeguatezza delle ragioni giustificative poste alla base del correlato epilogo decisorio non sia stata, di converso, validamente censurata dalla ricorrente, per lo più limitatasi a riproporre una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dai Giudici di merito ovvero a formulare critiche e rilievi sulle valutazioni espresse in ordire alle risultanze offerte dal materiale probatorio sottoposto alla loro cognizione, prospettandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura che in questa Sede, evidentemente, non è assoggettabile ad alcun tipo di verifica, per quanto sopra evidenziato.

5. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, la declaratoria di rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle Spese processuali.

La ricorrente va altresì condannata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, secondo le correlative statuizioni decisorie in dispositivo precisate, alla luce dei principi al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M.M. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Caltanissetta con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.